LA GHIACCIAIA
di Michael O'Reilly e Robert Brooks
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Ci sono molti modi di morire, ma uno solo di vincere.
Precetto 1 della Ghiacciaia
Gabriel Feltz non riusciva a respirare. L'aria riciclata puzzava di spazzatura calda, e
peggiorava ogni volta che gli altri ventiquattro poveri bastardi nella stiva espiravano. Erano
sdraiati sul pavimento duro, al buio, mentre lo scafo della nave vibrava. Gabriel non riusciva
a dormire da giorni, se non qualche minuto ogni tanto.
Le oscillazioni si conclusero con un tonfo che fece gridare alcuni. I portelloni si aprirono e
finalmente ci fu un po' di luce. Ne sarebbero anche stati felici, non fosse per la folata
simultanea di aria gelida che li investì. Li colpì come un pugno, gelando la pelle e soffocando
la gola. Sembrava non ci fosse nulla là fuori, tranne la luce e l'odore della neve.
Poi una grande ombra si fece avanti e si fermò tra i portelloni. Tutti sapevano che cosa
fosse. Due metri di altezza e solido come una statua, mezzo metro di fucile tra le mani. Alzò
la canna e gridò.
"Tutti su! Quaranta secondi al congelamento! Muovetevi!"
Gabriel si mescolò agli altri, riparandosi gli occhi dal vento ghiacciato. Sussultò quando i suoi
piedi lasciarono la rampa e toccarono la neve. Altre guardie in armatura da combattimento
radunarono i prigionieri in direzione di una serie imponente di porte, che si aprivano davanti
a loro come le fauci dell'inferno. Da quelle aperture almeno arrivava un po' di calore, per cui
si affrettarono a entrarci.
Quando le porte si chiusero, le luci illuminarono la loro nuova casa. Era evidentemente stata
creata dall'uomo, tutta in acciaio e cavi, con un lungo corridoio che conduceva chissà dove.
Una guardia urlò un comando e loro si mossero fino a raggiungere un'altra porta. Oltre
quella, un salone abbastanza grande da contenere cinquecento uomini.
"In riga!" gridò la guardia. "Ispezione del direttore!"
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Il direttore Kejora stava al centro della sua sala controllo, con le mani dietro la schiena, a
guardare le decine di schermi davanti a sé: ognuno mostrava i nuovi arrivati. Non gli piaceva
il loro l'aspetto. Non che fosse una novità. Solo una piccola percentuale dell'umanità sapeva
opporre una qualche resistenza alla risocializzazione, e di quel ristretto gruppo il suo
programma riceveva soltanto la feccia: pirati, piccoli truffatori, assassini. Forse un dissidente
politico o due.
Pensò per l'ennesima volta di fucilarli tutti lì sul posto, ma non era quello il suo lavoro.
L'imperatore Mengsk voleva dei mietitori, e dannazione, mietitori avrebbe avuto.
"Ditemi di quello," disse Kejora, indicando. "Il settimo della riga."
Era un giovane basso e denutrito, sembrava un ragazzetto. La testa e le spalle, nude, erano
sfregiate da ustioni da acido, e gli avambracci segnati da cicatrici. Gli occhi che sporgevano
dal volto martoriato erano come quelli di un protoss: spalancati, impassibili.
Uno degli analisti, un guardiamarina, rispose. "Soldato semplice Samuel Lords, età 22.
Colpevole di violenza, uso improprio di attrezzature militari e distruzione di proprietà
militare. Sei capi di imputazione. Il profilo psicologico è alquanto inquietante, signore."
"Immagino. Qual è la storia delle cicatrici?"
"Le ferite sulla testa se le è procurate su un pianeta zerg, signore. Durante un'operazione
non ben pianificata, è stato uno dei primi a sbarcare in una colonia. L'intera squadra è stata
colpita dalle biotossine zerg, ma lui in qualche modo è sopravvissuto. Le altre sono lesioni
autoinflitte."
Kejora ingrandì sullo schermo l'immagine del tessuto cicatrizzato sulla testa di Lords,
ripensando alla scheda del ragazzo. Chissà quante sinapsi erano state avvelenate dall'acido
alieno, trasformando quel ragazzo in un golem. L'addestramento avrebbe scoperto se
sarebbe stato davvero utile. Il direttore chiuse lo zoom e tornò agli altri.
3
La maggior parte dei nuovi detenuti teneva lo sguardo in avanti o verso il basso. Alcuni
fissavano le guardie in modo ostile. Ma c'erano un paio di occhi che guizzavano avanti e
indietro, sull'orlo del panico.
Kejora non aveva mai visto nessuno così spaventato nel corridoio, prima d'allora. "Chi
diavolo è quello? Il ventesimo."
I tecnici picchiettarono sui loro computer, ma dopo alcuni minuti ancora non avevano una
risposta. Quando il direttore si rivolse loro, ne vide tre piegati su uno schermo, stupiti.
"Cosa c'è?"
"Non abbiamo quasi niente, signore. Si chiama Gabriel Feltz, è stato prelevato da un
avamposto coloniale. Nessun precedente penale, nessun dettaglio, nemmeno una nota sulla
sua attitudine neurale."
Kejora aggrottò la fronte. Non sarebbe stata la prima volta in cui un burocrate aveva
lesinato sul lavoro d'ufficio. "Inviate una richiesta a Korhal. Abbiamo bisogno di più
informazioni."
"Ci vorrà almeno un giorno perché arrivi una risposta. Dobbiamo togliere Feltz dalla riga?"
"No. Ci penso io." Alcuni clic più tardi, la luce gialla davanti al microfono al centro della sala
controllo s'illuminò.
La voce di Kejora tuonò tra le pareti. "Benvenuti nel sistema Torus, prigionieri. Voi siete qui
perché nessun altro in tutta la galassia vuole avere a che fare con voi. Questa è la vostra
ultima possibilità di rendervi utili al Dominio. Ci sono solo poche regole da rispettare, e
possono essere racchiuse da un semplice concetto: voi diventerete mietitori, o morirete
provandoci. Fate il vostro dovere."
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La vittoria va ottenuta a ogni costo, perché nessun costo è mai troppo alto.
Precetto 2 della Ghiacciaia
Un brivido scosse i detenuti, come succedeva sempre. E Kejora non mancava mai di
goderne.
"L'addestramento inizierà dopo il prossimo ciclo di sonno. E terminerà quando lo dirò io."
Una pausa, e poi il gran finale, "Benvenuti nella Ghiacciaia."
Le guardie fecero muovere i detenuti verso un altro gruppo di porte, più in profondità nel
complesso.
Le guardie non li seguono all'interno, e le pesanti porte si serrarono. Alcuni dei detenuti si
guardarono intorno, alla ricerca dei loro nuovi custodi. Dei droidi, ciascuno alto una testa
più di un uomo, erano posizionati nelle nicchie lungo il corridoio, corazzati e armati con due
cannoni gaussiani ciascuno. Non si muovevano, ma Gabriel pensò che fossero pronti a
mettersi in moto sulle loro ruote cingolate da un momento all'altro.
Nessuno dei detenuti sembrava interessato a collaudarli.
Una compassata voce femminile cominciò a parlare. Alcuni si lamentarono, borbottando
maledizioni e volgarità contro le aiutanti. La voce diede loro un formale benvenuto nella
struttura d'addestramento dei mietitori, esprimendo la speranza che si sarebbero rivelati
collaboratori degni del Dominio. Al ragazzo con la testa sfregiata sfuggì una cupa risata.
L'aiutante descrisse con toni entusiastici la struttura, come se stesse leggendo un opuscolo
turistico. Sarebbe potuto sembrare anche un luogo attraente, non fosse stato per i tanti
segnali già visibili di quello che in realtà sarebbe accaduto. L'aria era asciutta e fresca, ma
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sapeva di falso. Su un pannello a muro c'era una macchia rossa secca, facile intuirne la
provenienza.
La sensazione di essere osservati era palpabile. Gabriel alzò lo sguardo e vide gruppi di
apparati sensoriali su tutto il soffitto: sensori termici, rilevatori di movimento, telecamere e
chissà che altro. Tutto nel più totale rispetto della privacy.
Alla fine raggiunsero il dormitorio. Scoprirono che si trattava di una sezione piena di celle, e
non erano vuote. Un centinaio di uomini, arrivati probabilmente poche ore prima di loro,
emerse per salutare i nuovi arrivati.
Gabriel sapeva che non sarebbe stato un incontro piacevole. Cercò di defilarsi. Senza dubbio
qualcuno sarebbe stato valutato, sfidato e maltrattato come esempio per tutti gli altri.
Come in risposta ai suoi pensieri, ecco una pertica d'uomo camminare impettito verso i
nuovi detenuti, sorridendo come un coccodrillo.
"Cos'abbiamo qui?" disse con una voce ruvida.
Tutti stavano guardando la vittima che il bruto aveva scelto, il ragazzo sfregiato. L'uomo alto
continuava a sorridere, col suo volto da rettile: moriva dalla voglia di tirare qualche pugno,
ma prima voleva divertirsi un po'.
"Da dove vieni, nanerottolo?"
"Non lo so." Nessuna paura. Nessuna emozione.
"Non lo so," gli fece il verso il tizio alto, provocando risate tutt'intorno. "E il tuo nome,
almeno quello lo sai? O sei troppo stupido per saperlo?"
"Lisca."
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A Gabriel si rizzarono i peli sulle braccia.
I detenuti devono pagare un prezzo per la propria sopravvivenza.
Precetto 3 della Ghiacciaia
"Ah sì? Sei una mutalisca? Guardatelo. Mi sa che ha bisogno di un nome nuovo. Forse
Nanolisca. Piccolo ratto. Ma cosa caz...?"
Gabriel non riuscì a vedere quello che il tizio alto vide, ma gli altri sì, e smisero di ridere. Fu
allora che il ragazzo fece la sua mossa. Gli tirò un pugno nello stomaco, forte, piegandolo in
due. Poi, una rapida serie di calci feroci sui fianchi. Il tizio alto vacillò, cadde e rimase a terra
a guaire sommessamente.
Il ragazzo si guardò attorno, sorridente. Era un sorriso orribile, con tutti i denti limati e le
gengive incrostate, il sorriso di un mostro.
"Il nome è Lisca, e basta."
Il ciclo di sonno non durò a lungo. Un allarme martoriò le orecchie dei detenuti finché non
uscirono tutti dalle celle.
Furono ammassati nella mensa, dove una macchina dispensò loro la colazione, una melma
malsana di nutrienti e chissà cos'altro. Non aveva alcun sapore, non dava alcun senso di
sazietà, ma fu tutto ciò che ricevettero. Un detenuto più grosso strappò la ciotola a Gabriel,
dopo che ne aveva mangiati solo un paio di bocconi. Lui decise di non farne motivo di
discussione.
Nessuno si avvicinò a Lisca mentre mangiava, col pasto che gli scivolava fuori dai buchi fra i
denti.
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La voce dell'aiutante li invitò a tornare nella sala, trasformata nell'idea che avrebbe un
sadico di in un campo di atletica leggera. Ai detenuti venne quindi ordinato di correre,
saltare, piegarsi, allungarsi, scattare, afferrare, e così via. Una postazione di cannoni
sentinella li manteneva in costante movimento.
Il primo giorno finì. Tutti i detenuti, esausti e sfiancati, imploravano un po' di riposo.
Ma le cose sarebbero solo peggiorate.
I giorni cominciarono a fondersi, perché non seguivano un ciclo regolare. Il momento di
dormire arrivava solo quando lo decideva l'aiutante. Il cibo non cambiava mai, ma
l'addestramento sempre.
Non era corretto dire che delle macchine gestivano la Ghiacciaia. La Ghiacciaia stessa era
una macchina. Ogni stanza conteneva un droide di qualche tipo, molti dedicati a un solo
aspetto dell'addestramento. C'erano droidi che fungevano da bersagli mobili, da avversari
per le tecniche di combattimento, da ostacoli. Nessuna clemenza, nessun rallentamento,
nessuna possibilità per i detenuti di prendersela comoda.
I giorni peggiori erano quelli nelle gabbie per la simulazione. Ogni detenuto veniva condotto
verso una struttura a forma di bara tutta lampadine, fili e cinghie, quindi l'aiutante lo
invitava a entrarvi. Il rifiuto non era un'opzione consentita.
Ciò che seguiva era a dir poco un incubo. Luci e suoni venivano inviati direttamente nel
cervello, diversi a seconda dell'emozione da suscitare. Anche Gabriel si ritrovò legato a uno
di quei dispositivi, a farsi pizzicare i sentimenti come corde. Provò una gioia estatica e una
disperazione paralizzante, un terrore tale da preferire la morte al desiderio di resistere e
sopportare.
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Le sessioni terminavano nello stesso modo per tutte le vittime: strisciavano fuori da quella
specie di bara e cadevano a terra, tra lacrime e brividi. Anche Lisca aveva risposto a quel
trattamento, ma con occhi più avidi che disperati.
Dopo tre settimane, uno degli uomini non si risvegliò. L'aiutante ordinò ai detenuti di
liberare le celle. Gabriel intravide un relitto tremolante rannicchiato sul letto, con
incrostazioni di sangue intorno alla bocca. Quando tornarono, non c'era più.
"C'è qualcosa in te."
Gabriel alzò lo sguardo dalla panchina. Lisca stava parlando con lui. Non aveva mai rivolto la
parola a nessuno, da quando erano arrivati. "Che cosa intendi?"
"Non sei spaventato come dovresti." Lisca sorrise. I denti affilati lo facevano sembrare
tutt'altro che sorridente. "Gli altri prendono il tuo cibo, il tuo letto. Ti fanno aspettare al
cesso. Sei l'ultima ruota del carro. Dovresti avere più paura."
"Grazie… credo," disse Gabriel, e mangiò un altro cucchiaio della sua zuppa insipida. Nessun
altro si era avvicinato al tavolo da quando Lisca si era seduto. Magari Gabriel sarebbe
riuscito a mangiarsi la sua ciotola intera, almeno quella volta.
I detenuti devono proteggersi costantemente.
Ogni momento di riposo è una battaglia, ogni battaglia è un momento di riposo.
Precetto 4 della Ghiacciaia
"Non era un complimento," disse Lisca. Non c'era malizia nelle sue parole, solo una
snervante curiosità. "Ti comporti da debole. Sembri debole. Ma non hai paura. Quindi non
sei debole. Ti nascondi."
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Gabriel cominciò a sospettare che Lisca non avrebbe accettato un rifiuto. "Immagino che le
cose qui peggioreranno e basta", disse. "Forse avrò qualche vantaggio, se mi sottovalutano."
Lisca non sembrava ascoltarlo. Fissava il livido viola brillante sul braccio di Gabriel. "Di quello
non avevi bisogno."
Era abbastanza vero. Il campo era stato riempito di droidi che sparavano proiettili di
gomma. Le macchine si muovevano lentamente, non potevano abbassarsi o schivare, e
riuscivano a malapena a seguire un bersaglio mobile. Evitare quei proiettili sarebbe dovuta
essere una cosa piuttosto facile.
Poi però un droide aveva proiettato un ologramma di un bambino, non tridimensionale e
neppure con una risoluzione alta, ma Gabriel era rimasto sorpreso e aveva esitato. Il droide
gli aveva sparato sul braccio per punizione.
"Non sono riuscito a evitarlo", disse, ma Lisca fece uno dei suoi sorrisi.
"Sì che ci potevi riuscire. Io lo so. Ma loro no." E indicò il soffitto.
Gabriel rise. "Lisca, ti hanno mai detto che sei un po' strano?"
Lisca si strinse nelle spalle. "Sono fatto così."
Kejora era tutt'altro che inattivo. Ogni giorno guardava i suoi allievi, stabiliva le rotazioni,
gestiva i nutrienti. Nessuno di loro si era ancora reso conto di aver mangiato diciotto diversi
pasti, ognuno con un miscuglio personalizzato di steroidi, neutralizzatori, ritardanti ormonali
e altri veleni vari. Quei miscugli erano come delle puntate a un gioco d'azzardo: per quanto
la percentuale di successo fosse alta, c'erano sempre uno o due fallimenti all'inizio di ogni
ciclo d'addestramento.
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Mentre guardava la registrazione dell'autopsia del prigioniero Henisall, Kejora parlava con il
medico in piedi alla sua sinistra. "Quindi non avete idea di cosa l'abbia ucciso?"
"Temiamo che sia stata la combinazione diciassette, anche se non sappiamo ancora in che
modo."
"D'accordo, rimetteteli sulla sedici, e non usate la diciassette finché non sono state
completate le analisi."
Il dottore annuì e lasciò la sala controllo. Kejora ritornò agli schermi. I detenuti erano in coda
per ricevere la loro zuppa insapore.
Pochi minuti dopo successe quello che aveva già visto succedere molte volte nelle passate
settimane, era arrivato il momento in cui un detenuto di nome Polek rubava la ciotola di
cibo di Feltz. Feltz ogni volta l'aveva lasciato fare. Ma non quella.
Kejora quasi rise quando Feltz si alzò dal suo posto e colpì Polek sulla nuca. Il cibo e i
detenuti si sparpagliarono mentre i due uomini cominciarono a picchiarsi: la mensa si riempì
di grida di incoraggiamento. Anche i tecnici smisero un attimo di lavorare e guardarono.
Kejora osservò attentamente Feltz. La sua abilità nel combattimento era migliorata, ma era
solo questione di tempo. Polek da ragazzo probabilmente faceva a pugni due volte alla
settimana, mentre Feltz non aveva mai affrontato un vero scontro.
Polek iniziò fracassando la faccia di Feltz con un colpo che lo fece barcollare. Tre pugni veloci
più tardi, Feltz era a terra. Polek lo inchiodò al pavimento e a Feltz non rimasero molte
possibilità. Il suo avversario, più pesante, gli allargò le braccia e cominciò a prenderlo a
pugni come fosse pasta per il pane. I detenuti lo incitavano. Fu un massacro.
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Kejora non poté evitare di accigliarsi. La politica del centro era di non interferire. Ogni
momento di riposo è una battaglia, ogni battaglia è un momento di riposo. Se Feltz non ce la
faceva, allora non era adatto a diventare un mietitore.
Il tuo nemico è il tuo più grande maestro. Sii un allievo all'altezza.
Precetto 5 della Ghiacciaia
D'altra parte, era stato lo stesso Kejora a scrivere le regole. Decise di concedersi uno
strappo.
Premette un pulsante e delle sirene risuonarono nella sala della mensa. La luce gialla
davanti al microfono s'illuminò. "Il pranzo è finito. Tornate all'addestramento." Lentamente i
detenuti obbedirono, anche Polek, che si rialzò con una certa riluttanza. Uscirono tutti,
lasciando Feltz da solo, immobile.
Kejora si rivolse a uno dei tecnici. "Mandate una squadra medica a prelevarlo e medicarlo.
Voglio che parli."
"Signore?"
"Korhal non ha ancora risposto, e sono stanco di aspettare. Quell'uomo non appartiene a
questo posto. Voglio sapere chi ha ordinato il contrario."
Al suo risveglio, un migliaio di lividi si divisero l'attenzione di Gabriel, ma il dolore era una
sensazione lontana, come una silhouette all'orizzonte. Si sentiva bene, anche se non riusciva
a muoversi. Delle cinghie lo tenevano legato a un letto che era troppo pulito per essere
quello della sua cella.
"Alla fine ti sei svegliato."
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Gabriel voltò la testa verso la voce. Tutto quello che vedeva erano delle piacevoli luci che
brillavano attorno a un'ombra vaga. Una forma indistinta, impossibile, che cambiava di
attimo in attimo.
"Perché sembri una mela? Non è normale che una mela si sciolga in cubetti di ghiaccio..."
Gabriel ridacchiò.
La voce rise, brevemente. "Goditi gli antidolorifici finché durano, Feltz." Gabriel sentì un
delicato sibilo meccanico e poi la sensazione di pace evaporò in un istante. La visione di
migliaia di cubetti di ghiaccio che danzavano nell'aria si dileguò. Rimasero solo l'ambulatorio
ben illuminato e il direttore Kejora.
"Ti senti meglio?"
Il cuore di Gabriel riprese a correre e la sua testa a girare. Si sentiva all'erta, il dolore non più
così distante. "No. Non molto."
"Abituatici. È lo stesso cocktail che mettono negli stimpack, solo annacquato di un sesto, più
o meno. Consente di concentrarsi anche in condizioni spiacevoli." Il direttore si sedette
accanto al letto. "I detenuti di solito devono guadagnarsi le cure mediche attraverso
prestazioni eccezionali, Feltz. Non sei ancora stato qui abbastanza a lungo per qualificarti.
Quindi, sto infrangendo le regole con te."
"Sono lusingato."
"Sono lusingato, signore," disse Kejora.
Gabriel per un istante pensò di provocarlo. Un istante molto breve. "Sì, signore."
"I miei tecnici hanno una dozzina di teorie diverse sulla tua identità." Gli occhi di Kejora non
lasciavano mai i suoi. "L'unica cosa su cui siamo d'accordo è che non sei materiale per la
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Ghiacciaia. Le persone intelligenti, concentrate ed empatiche, non appartengono a questo
posto."
Non permettere mai ai nemici di blandirti con falsi sorrisi.
Guarda oltre le apparenze, troverai il vero pericolo.
Precetto 6 della Ghiacciaia
Gabriel non riuscì a eliminare il sarcasmo dalla propria voce. "Mi spiace averla delusa,
signore."
"Come sei finito qui?"
"Signore?"
Il direttore si sporse in avanti. "Che crimine hai commesso? Per quale motivo sei qui?"
"Non lo sa?" disse Gabriel, aggiungendo di corsa, "Signore?"
"Facciamo finta di no."
"Sì, signore." Gabriel raccolse i pensieri. Come se la sua storia potesse davvero essere vera...
"Io e mio fratello abbiamo preso parte a una ricolonizzazione, un anno e mezzo fa. Una
decisione sbagliata."
"Le ricolonizzazioni possono rendere la vita difficile."
"La rendono impossibile, se è il Dominio a controllarle. Prima l'eccesso di burocrazia, poi
l'abolizione della proprietà privata e infine, dopo due mesi, l'obbligo per metà della colonia
di andare a lavorare nelle miniere. Così il Dominio teneva il malcontento sottoterra per
quattordici ore al giorno. Mio fratello fu uno di quelli costretti, poi scomparve."
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Il direttore annuì. "Quindi hai risolto a modo tuo."
"Sono andato dal magistrato a fargli un paio di domande. Non voleva sentirne parlare,
quindi ho urlato più forte. Prima che mi buttasse fuori dal suo ufficio, sono riuscito a
rovesciargli una bottiglia di scotch sulla camicia. Allora, i suoi tirapiedi si sono avventati su di
me e mi sono risvegliato sulla navetta per la Ghiacciaia."
Kejora rimase incredulo. "Tutto qui?"
"Lei non mi crede."
"Quello che io credo, è che un lacchè delle colonie vorrebbe tanto spedire quassù tutti quelli
che gli pestano i piedi. Però, non credo possa davvero farlo." Kejora sembrava perso nei suoi
pensieri. "Non è facile finire nella Ghiacciaia, Feltz, e tu non dovresti esserci."
"Mi dispiace se occupo del posto, signore. Cosa pensa di fare, ora?"
Kejora sorrise. "Niente."
"In che senso?"
"Il Dominio ha bisogno di mietitori. Questo per me è sufficiente."
"Ma... Signore... " balbettò Gabriel.
"Finiscila, detenuto," disse Kejora. "Noi creiamo dei mietitori dal nulla. La maggior parte dei
tuoi vicini, giù nelle celle, non vale nemmeno il costo del trasporto per portarli qui, ma in
ogni caso diamo anche a loro una possibilità. Forse il dieci o il quindici per cento di loro è
all'altezza della sfida. Il resto no, e non è una gran perdita."
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"Ma tu," continuò Kejora, "hai più di un briciolo di cervello. Fino a oggi, ti sei sempre tenuto
alla larga dagli scontri che sapevi di non poter vincere. La forza bruta non è tutto. Trova il
giusto equilibrio e diventerai una delle risorse migliori in servizio. I miei mietitori hanno
ricevuto elogi dai comandanti più rispettati nel Dominio. I miei mietitori mettono una paura
del diavolo ai nemici in ogni combattimento, e sai perché?"
"Perché facciamo il nostro dovere," bisbigliò Gabriel.
"Esatto." Kejora si alzò. "Ricordatelo. Se vuoi vivere, allenati e combatti come gli altri e
completa il programma."
"Sembra semplice, eh?"
Kejora ignorò l'assenza del "signore". "Sarai pronto per tornare all'addestramento tra due
giorni. Ti consiglio di cominciare a farti amici quelli che possono aiutarti a evitare altri
pugni."
Gabriel aspettò che Kejora s'incamminasse verso la porta. "Farò il mio dovere, signore."
Qualcosa nel suo tono di voce fece voltare il direttore.
"Vedremo."
Gabriel sentiva le telecamere e i sensori di monitoraggio su di sé in ogni momento. Riuscì a
evitare ulteriori scontri con Polek, e la compagnia di Lisca impediva ad altri di provarci.
Dopo tre mesi, l'aiutante li introdusse in una stanza in cui non erano mai entrati prima. Fu la
cosa più simile a un premio che ricevettero nella Ghiacciaia. La stanza era lunga e stretta e vi
erano allineate delle tute corazzate. Più piccole e più sottili di una CMC dei marine, erano
tutte dotate di propulsori dorsali. Le tute, pur così inerti, sembravano sul punto di prendere
il volo. Lisca sorrise, guardandole.
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Quando l'aiutante ordinò ai detenuti d'indossarle, non ci furono battute di spirito. Solo
impazienza. Dopo pochi minuti, la nuova fase dell'addestramento ebbe inizio, e la Ghiacciaia
divenne ancora peggiore.
La prima sfida fu imparare a gestire i propulsori dorsali. I detenuti inizialmente non avevano
alcun controllo sui propulsori, pensava a tutto l'aiutante, che sembrava divertirsi ad
accenderli nei momenti peggiori, lanciando gli uomini contro i soffitti e contro le pareti
finché non imparavano a controllarli. Le commozioni cerebrali divennero la norma. Due
reclute morirono per le fratture al cranio.
Iniziarono anche l'addestramento con le nuove armi. La pistola gaussiana P-45 "Falce" era
un piccolo mostro sputa fuoco, la tuta a malapena ne compensava il rinculo. Il poligono di
tiro venne fatto a pezzi. Diversi detenuti furono abbattuti da altri detenuti.
Quando finalmente raggiunsero il 75 percento di precisione, l'aiutante si congratulò. Quindi,
chiese loro di utilizzarne due alla volta.
Infine, c'erano le cariche D-8, studiate per far saltare in aria le strutture. Avevano una
potenza più che sufficiente per spalmare sul muro i meno concentrati. L'obiettivo era
preparare e piazzare gli ordigni, ma in condizioni sempre estreme e spietate: rumori forti, il
buio totale o una luce accecante, locali in cui era stata sospesa la forza di gravità... Infortuni
e morti s'accumularono in fretta.
I detenuti continuavano a combattere. Alcuni erano morti in azione, altri erano stati trovati
morti come Henisall, qualcuno si era suicidato. Gabriel aveva continuato a combattere: non
aveva altra scelta.
Kejora aggiunse un impegno alla sua routine. Prima di spegnere le luci, si riguardava il
filmato dell'addestramento di Gabriel Feltz. Non riusciva a spiegarsi il perché. Be', in realtà ci
sarebbe riuscito, ma non era ancora pronto ad ammetterlo.
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Gli ultimi due anni nel sistema Torus erano stati produttivi e soddisfacenti. Una volta fuori
dalla Ghiacciaia, i mietitori andavano dove c'era bisogno che andassero, salvaguardando gli
interessi del Dominio con il fuoco e la morte. Medaglie e riconoscimenti, molti dei quali
postumi e riservati, piovevano sulla Ghiacciaia, e i nomi di chi li riceveva si aggiungevano a
una lista crescente di casi di successo.
Ma mai prima d'allora un innocente era stato nella Ghiacciaia, quindi Kejora lo guardava con
preoccupazione. Era un pericolo, molto semplicemente. E se qualcuno l'avesse scoperto? E
se la storia di Gabriel Feltz, il colono incredibilmente sfortunato, avesse raggiunto un
telegiornale della sera sulla UNN? Quei mezzibusti avrebbero rischiato anche una lavata di
capo, pur di dare una notizia da prima pagina del genere.
La possibilità che ci fosse una fuga di notizie non era da escludere. Qualcuno aveva già
violato il protocollo: Feltz non avrebbe dovuto essere lì. Kejora non aveva ancora
rintracciato la persona responsabile. Il magistrato non aveva risposto alle sue chiamate e i
dati sul computer sostenevano che in realtà nessuno aveva dato l'ordine di trasferire Feltz.
Neppure le note dei tecnici erano d'aiuto. La personalità di Feltz era al centro di numerosi
dibattiti: il suo comportamento era cambiato. L'atteggiamento solitario era scomparso, al
suo posto Feltz aveva stabilito dei legami con gli altri detenuti, in particolare Lords, quello
che si faceva chiamare Lisca. I due mangiavano insieme a ogni pasto e collaboravano
durante gli esercizi e i combattimenti di prova. Per la maggior parte degli osservatori, erano
diventati molto amici.
Kejora lasciava che i tecnici ipotizzassero, non aveva parlato loro del consiglio che aveva
dato lui stesso al detenuto. Feltz sapeva che avvicinarsi all'uomo più spaventoso della
Ghiacciaia avrebbe contribuito a tenere lontane tutte le altre attenzioni meno amichevoli.
Eppure... Feltz stava migliorando, parecchio. Inoltre, stava mostrando un'attitudine insolita
per la tattica e la strategia. Un potenziale capo. Che cosa sarebbe successo se si fosse unito
alla schiera dei mietitori?
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Sarebbe stato un caso esemplare di successo, pensò Kejora. Feltz sarebbe stato la prova
vivente che il programma per i mietitori necessitava di reclute qualificate e intelligenti,
invece di limitarsi a spremere le ultime gocce di valore dalla feccia dell'umanità più
difettosa. I mietitori erano già molto ricercati per l'azione in prima linea, ma se fossero
ulteriormente migliorati, ogni comandante del Dominio avrebbe richiesto che Kejora
ricevesse una classe di reclute migliori.
In breve, se Feltz ce l'avesse fatta, avrebbe segnato l'inizio di una nuova era per la macchina
bellica del Dominio.
Kejora scrisse le sue note finali e chiuse il fascicolo di Feltz. L'ultima fase dell'addestramento
per l'attuale gruppo di detenuti sarebbe iniziata quel giorno. "Il giorno della laurea," disse
con un sorriso sottile.
Diede il comando al suo personale.
"Esami finali approvati. Distribuite la prossima razione di cibo e liberate tutti i Predator tra
due ore. È arrivato il momento di scaldare la Ghiacciaia."
"Sta succedendo qualcosa, amico."
Gabriel sorrise a Lisca. "Sono due giorni che continui a dirlo."
Lisca s'infilò un altro cucchiaio di sbobba beige in bocca. "Sai di cosa sto parlando."
Gabriel dovette ammettere che Lisca probabilmente aveva ragione. Il loro addestramento
era giunto a un punto morto. Avevano anche avuto abbastanza tempo libero, tanto da
riuscire a godersi una discreta quantità di sonno per due giorni di fila. Non prometteva
niente di buono.
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Lisca sbatté il palmo della mano sul tavolo, facendo rimbalzare la ciotola mezza vuota. "Non
ne posso più."
Gabriel trasalì. "Lo so."
"No che non lo sai!" Lisca balzò in piedi, ringhiando. "Nessuno di voi lo sa. Specialmente tu,
io ti ammazzo, ti ammazzo subito!"
Gabriel scattò in piedi e si allontanò. Questo non era Lisca. Se non avesse chiuso la bocca,
Gabriel gli avrebbe dato un calcio sui denti e poi gli avrebbe staccato la testa e si sarebbe
messo a squartare tutti gli altri detenuti presenti finché non fosse rimasto vivo solo lui...
Cosa? Gabriel si scosse e tornò lucido.
La follia travolse l'intera sala mensa. Pugni chiusi, facce contorte per la rabbia, spintoni, poi
strattoni e presto anche pugni. Lisca sembrava aver perso il lume della ragione, cercava
freneticamente qualcuno contro cui combattere e digrignava con forza i denti.
Gabriel guardò la sua ciotola. Il cibo. Certo. Doveva essere questo il gioco di Kejora. Sentiva
la furia bruciare come acido nel petto e le labbra contorcersi in smorfie involontarie. Kejora
avrebbe pagato. Col sangue. Per tutto: per l'addestramento e per i morti e soprattutto per
Dennis...
Fermatevi! Gabriel controllò la propria rabbia con la sola forza di volontà. "Lisca! Torna in te!
È tutta colpa del cibo! È solo il cibo!"
Lisca non lo sentiva. Stava camminando in tondo, come se si trovasse in una gabbia. Gabriel
lo afferrò per le braccia.
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"Hanno messo qualcosa nel cibo!" Lisca stava scuotendo la testa, ma Gabriel insistette. "Non
ci sono zerg qui, giusto? Non c'è niente di peggio degli zerg! Questo è quello che mi hai
detto!"
Gli occhi di Lisca si concentrarono su di lui. "Sì", riuscì a dire. "Niente di peggio degli zerg..."
Gabriel quasi svenne per il sollievo. Quindi, Kejora voleva che si spaventassero e
arrabbiassero, ma erano ancora in grado di controllare se stessi. Doveva essere tutto parte
di un nuovo addestramento. Che cosa sarebbe successo, dopo?
La mensa si stava svuotando, i detenuti si precipitavano fuori gridando e agitandosi. Diversi
prigionieri indugiarono all'interno, Polek tra loro. Gabriel trascinò Lisca verso di lui,
resistendo alla voce violenta che gli scorreva nelle vene. "Dobbiamo andarcene anche noi."
Polek sogghignò. "In quale universo ubbidiamo a te, nanerottolo?"
Gabriel indicò col pollice dietro di sé. "Vuoi finire come loro?"
Sette dei detenuti avevano reagito molto, molto male. Quattro di loro erano già morti a
causa dei ripetuti colpi alla testa, un altro si stringeva il volto sfigurato. Gli ultimi stavano
cercando di strozzarsi a vicenda. Anche Polek sembrava non stare molto bene.
"Vieni, dobbiamo uscire di qui." Gabriel li portò via.
Lasciarono la frenesia della mensa e si ritrovarono nei corridoi lampeggianti. La voce
dell'aiutante tuonò attraverso la struttura. "A tutte le reclute, procedere verso il
compartimento armeria da 1 a 8 e prepararsi per il combattimento. Questa non è
un'esercitazione. Ripeto..."
"Siamo la polizia antisommossa, adesso?" chiese qualcuno.
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Gabriel continuava a voltare la testa, alla ricerca di nuove minacce. "Questo è ancora
l'addestramento. State all'erta."
"Ehi, hai sentito?"
Artigli d'acciaio echeggiarono sul pavimento.
Qualcosa stava accovacciato in fondo al corridoio. Aveva l'aspetto e le movenze di un felino,
ma era una macchina delle dimensioni di un Vulture. Girò il cranio a forma di proiettile verso
i detenuti e spalancò le sue fauci metalliche. Un urlo agghiacciante trapassò le loro orecchie.
"Scappiamo!"
Scattarono attraverso i corridoi, il passo metallico al galoppo non molto indietro. Un
detenuto fu tanto stupido da guardarsi alle spalle: la bestia meccanica lo raggiunse un
secondo dopo, facendo scattare le mascelle intorno al suo busto.
Detta tu le regole al nemico. Non lasciargli altra scelta che affrontarti così come tu hai
deciso.
Precetto 7 della Ghiacciaia
Gli altri continuarono a guardare avanti e a correre finché non si aprono le porte di
un'armeria, proprio davanti a loro. Si lanciarono attraverso l'apertura come se fosse la
strada per il paradiso.
"Chiudete le porte!"
Le porte cominciarono a chiudersi, ma troppo lentamente. La macchina felina sbatté contro
la fessura rimasta aperta, incapace di infilarvisi del tutto, ma con la testa schiacciata lì in
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mezzo e le fauci insanguinate che schioccavano con il loro terribile suono. Alla fine, Polek
prese una pistola da una rastrelliera e la svuotò contro il robot, facendolo a pezzetti.
Prima che potesse vantarsene, Gabriel indicò dietro di lui. "Ce ne sono degli altri!" Ed ecco
che un intero branco di quei droidi stava correndo verso di loro. Gabriel spinse indietro i
resti malconci del felino meccanico e le porte finalmente si chiusero. Si udirono i corpi
sbattere contro l'altro lato della barriera e subito dopo il suono delle unghie che raschiavano
il metallo. Smorzata, giungeva loro una cacofonia terrificante di ruggiti, di tutti gli animali
affamati possibili.
"E adesso?" chiese Lisca.
Gabriel guardò nell'armeria, verso gli abiti da mietitore, le pistole, le D-8 e una serie di
sistemi specializzati per i potenziamenti stimpack.
"E adesso? Adesso facciamo il nostro dovere."
Kejora diede un'occhiata alle immagini che i tecnici stavano trasmettendo. Quattro allievi
morti entro il primo minuto. Dodici morti alla fine dei primi dieci. C'erano state partenze
peggiori.
Il cibo modificato aveva funzionato a dovere. Kejora si era aspettato che Gabriel Feltz fosse
una delle prime vittime, e rimase sorpreso nel vedere gli altri sopravvissuti accettarlo così
velocemente come leader. I risultati di quel test sarebbero stati molto interessanti.
Kejora giunse le dita e guardò i monitor. Decine di reclute combattevano per la loro vita in
tutta la Ghiacciaia, mentre lui e il suo personale se ne stavano nascosti dentro camere di
sicurezza segrete. La porta della sala controllo era aperta verso il corridoio principale, il
quale invece era stato bloccato molto prima dell'inizio dell'esercitazione, inaccessibile sia
alle reclute sia alle macchine.
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I detenuti cominciarono a uscire dall'armeria. Ora aveva inizio la prova reale, gestita da
macchine che non avevano altro obiettivo che attaccare qualsiasi cosa avesse un cuore.
Un monitor si accese nel momento in cui le reclute si sparsero lungo i corridoi. Feltz
indossava la tuta RP17. Eccoli, quaranta uomini armati e pronti a combattere. Quelli di loro
che vagavano da soli, un terzo circa, non sarebbero durati a lungo dopo la nuova ondata di
droidi in arrivo. Ad aspettarli, c'erano nemici più terrificanti dei felini meccanici.
"Non ci sono zerg qui!"
Un'altra macchina, a forma di idralisca, sollevò e agitò le due falci dei suoi arti anteriori.
Lisca le sparò, urlando come un bambino. Non smise di gridare neppure quando la cosa
cadde e finì in pezzi.
"Non ci sono! Non ci sono zerg qui!"
Gli altri si strinsero nelle spalle e continuarono a sparare. Non c'era tempo per calmare
Lisca. Troppi dannati finti zerg da uccidere.
L'inizio della fuga dall'armeria era andata bene, ma le macchine avevano prontamente
rimpiazzato le perdite. Non c'era altra scelta che correre, saltare, tuffarsi e sparare,
distruggendo il prima possibile qualunque cosa si muovesse. Gabriel e la sua squadra si
lasciarono alle spalle una scia d'involucri vuoti e devastati.
I droidi erano troppo lenti, troppo goffi, troppo approssimativi, per fermarli. Anche se il
corpo gli doleva e i polmoni protestavano, a Gabriel tutto quello piacque. Kejora non aveva
scherzato sulla sfida: difficile ma fattibile. E Gabriel stava per farcela.
Ma c'era qualcosa da fare prima. Così, cominciò a sparare al soffitto.
Kejora fissò gli schermi, improvvisamente neri. "Che cosa è successo?"
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"I sensori lungo un corridoio sono fuori uso. Nessuna informazione per il settore L4."
Il direttore imprecò: era il settore di Feltz.
"Signore, un gruppo di tute si è disattivato."
Kejora esaminò le informazioni. Una delle tute era la RP17. "Morto?"
"Nessuna informazione. Nessun dato."
"Allora, Ensign," disse Kejora con esasperata pazienza, "potresti dirmi che cosa i dati
riportavano prima che la tuta si disattivasse?"
"Frequenza cardiaca e pressione sanguigna elevate, evidente stato di agitazione... niente di
strano."
Non per questa esercitazione, almeno. Kejora scosse la testa.
"Eventuali anomalie nella tuta RP17 poco prima dell'interruzione?"
"No, signore, nulla di particolare."
Kejora fece un profondo sospiro. "Di particolare? Puoi elaborare il concetto, per favore?"
Il guardiamarina deglutì a fatica, la fronte imperlata di sudore.
"Sì signore, subito signore. Ha ricaricato le sue armi prima della disattivazione e la frequenza
cardiaca si è leggermente ridotta," disse il tecnico. "Era calmo. Non penso sia stato vittima di
un'imboscata..."
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"Shh!" Kejora tagliò l'aria con un gesto secco della mano. Il tecnico tacque. Kejora si alzò in
piedi, con l'orecchio teso. Avrebbe giurato di aver sentito un sibilo fuori dall'ingresso della
sala, un sibilo simile a uno...
...uno stimpack.
Kejora con un calcio rovesciò la sua scrivania su un lato e si accucciò lì dietro. "Giù! Al
riparo!"
Il ruggito di due pistole gaussiane riempì la stanza, e la scrivania tremò quando i proiettili la
colpirono su tutta la superficie. I tecnici urlarono e morirono, quando l'odore di rame e di
cordite intasò l'aria.
Kejora estrasse la sua arma dalla fondina, una piccola pistola semi-automatica che valeva
ben poco, e aspettò che il frastuono cessasse. Dei gemiti gli dissero che alcuni dei tecnici
erano ancora in vita, ma per il momento avrebbero dovuto badare a se stessi. Sapeva
perfettamente chi si trovava dietro la porta.
"Feltz?"
La recluta rise, la sua voce falsata dalla carica adrenergica. "Sì, signore, direttore, signore, ho
fatto il mio dovere, signore."
"Discreto agguato, Feltz. Peccato che tu abbia dovuto rivelare la tua posizione. Il sistema di
erogazione chimica è rumoroso, anche durante un combattimento. Comunque, davvero non
male." Gli effetti dello stimpack sarebbero durati ancora pochi secondi. Se solo Kejora fosse
riuscito a temporeggiare ancora un po'...
"Significa molto, detto da lei." Un'altra assordante raffica di proiettili scosse la sala controllo.
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I nemici vanno affrontati e distrutti con efficienza, a prescindere dal metodo.
Coltello, pistola, bomba o pugni. Non esitare, mai.
Precetto 8 della Ghiacciaia
Kejora attendeva con calma. Attraverso il caos, sentì i passi pesanti: Feltz si muoveva verso il
suo fianco. Il direttore ciecamente sparò con la sua pistola dal lato della scrivania,
impossibilitato ad alzare la testa per prendere di mira il bersaglio.
I passi si fermarono accanto a una fila di computer contro la parete opposta. Contenitori
vuoti caddero sul pavimento.
"Mancato, direttore."
"Immaginavo." Kejora ricaricò la sua arma. "Sei scontento di qualcosa, Feltz?"
"Sono scontento per mio fratello, signore."
Il direttore ricordò la loro chiacchierata nell'ambulatorio. "Quello che è scomparso? Cosa
c'entra?"
"Non le ho detto tutta la verità, direttore" disse Feltz. "Mio fratello non è scomparso. So
dove si trova. O meglio, dove si trovava."
"Davvero?" Kejora aveva assolutamente bisogno che la conversazione durasse il più a lungo
possibile. Gli spari nella sala avevano automaticamente attivato una dozzina di diversi
allarmi silenziosi, presto le squadre di sicurezza sarebbero sopraggiunte da tutti gli angoli
della Ghiacciaia.
Ma qualcosa avrebbe potuto ritardarle, pensò poi. L'esame finale in corso avrebbe impedito
loro di trovare un percorso veloce per la sala controllo. Avrebbero dovuto aprirsi la strada
attraverso gli stessi nemici che stavano affrontando le reclute.
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Kejora dubitava che sarebbe riuscito a impedire a Feltz di ucciderlo fino al loro arrivo.
"Mio fratello è stato qui, direttore. Alla Ghiacciaia, sotto le sue cure affettuose." Due clic
contemporanei echeggiarono nella stanza, quando Feltz caricò un colpo in ognuna delle sue
armi. "Mi ci è voluto un sacco di tempo e di soldi per ottenere delle informazioni. Un sacco.
Non ha idea."
"Vuoi chiedere un indennizzo? Tu sei il primo Feltz che abbiamo avuto qui dentro."
Le parole del mietitore attraversarono il fragore lontano dei combattimenti. "Non nota la
somiglianza? O forse non vale la pena ricordare quelli che muoiono durante
l'addestramento? Non mi stupisce."
"Ricordo ogni detenuto."
"Anche i fallimenti? Quelli che non sono riusciti a diventare utili?"
"Soprattutto loro."
La voce di Feltz si trasformò in ghiaccio. "Mio fratello si chiamava Dennis Staton."
Dennis Staton? Era morto dopo una sola settimana di addestramento, il miscuglio numero
sette gli era andato di traverso e alcuni dei suoi organi vitali erano diventati una fanghiglia.
Non era stata una gran perdita, comunque. Dennis Staton era una recluta insignificante e
inutile.
Kejora decise di sorvolare sui dettagli. "Ho dato a tuo fratello una possibilità. La stessa che
ho dato a te. Semplicemente non ha funzionato."
"Mio fratello non ha mai avuto una possibilità," disse Feltz. L'effetto dello stimpack era
terminato. I postumi chimici facevano tremare la sua voce, ma le parole conservavano tutto
il loro veleno. "Non con lei. Non con chiunque altro."
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"Ti sbagli."
"Io sapevo che cosa stavo per affrontare. Io ero pronto. Lui no." Il suono dei propulsori del
mietitore improvvisamente aumentarono di tono. Feltz si preparava a fare la sua mossa. "E
nemmeno lei. Il tristo mietitore è qui, direttore. È giunto il momento che lei paghi."
"Vendetta? Per che cosa?" Kejora afferrò saldamente la sua arma. "Stava per subire la pena
capitale, Feltz..."
"Mi chiamo Staton."
"Tuo fratello era un criminale, Staton, e non uno dei più intelligenti. Se avesse avuto un
briciolo del tuo autocontrollo, avrebbe passato solo un paio di settimane in carcere per
piccoli furti," disse Kejora. "Invece ha ucciso due civili per la manciata di crediti che avevano
in tasca e non è nemmeno riuscito a sfuggire a chi lo inseguiva."
"Era mio fratello. Meritava qualcosa di più del suo inferno personale."
"Il mio inferno personale funziona." Kejora si guardò intorno, alla ricerca di una via d'uscita.
C'erano solo opzioni suicide e percorsi esposti. "Dimmi che non è così. Dimmi che non ti ho
trasformato in uno dei killer più efficienti che la galassia abbia mai visto."
"Congratulazioni per l'ottimo lavoro, direttore" disse Feltz. In quello spazio ristretto, i
propulsori dell'armatura sibilavano in modo incredibilmente forte. "Ecco un segno speciale
del mio apprezzamento."
Kejora chiuse gli occhi. La scrivania non lo avrebbe protetto contro un fuoco più potente.
Non c'era alcuna possibilità di fuggire dai colpi di Feltz.
Nessuna via di scampo.
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Il suono assordante di una pistola gaussiana riempì la sala, e la superficie della scrivania
tremò e si curvò sotto una raffica di proiettili. Un'altra P-45 aprì il fuoco.
Poi una terza. E una quarta.
Cosa diavolo?
Il rumore si spense, e Kejora udì un'armatura corazzata cadere a terra. Ma rimase
accucciato.
"Direttore?"
Era una voce diversa, una voce familiare. Kejora sorrise. "Lords?"
Del fumo saliva dalle due pistole gaussiane di Lisca. "Sì, signore."
"Bel lavoro, recluta." Kejora quindi si alzò.
Feltz, anzi Staton, anche se sarebbe sempre stato Feltz nei ricordi di Kejora, era lì accanto,
sdraiato, con l'armatura trapassata dai buchi dei proiettili. Kejora s'inginocchiò accanto a
Feltz e con attenzione gli tolse il casco. A ogni affannoso, profondo respiro, del sangue
arterioso rosso vivo schiumava agli angoli della sua bocca. E ogni respiro era più debole di
quello precedente.
Gli occhi di Feltz mostravano sorpresa e confusione. Provò a girare la testa verso Lisca e una
domanda senza parole gli gorgogliò nella gola.
Kejora diede a Feltz una pacca sulla spalla. Feltz aveva, in un certo senso, superato tutte le
aspettative del programma, sconfiggendo il sistema di protezione della Ghiacciaia,
nonostante avesse la mente confusa dalla droga durante i combattimenti. Aveva trovato il
suo bersaglio e l'aveva messo con le spalle al muro, più furbo degli innumerevoli sistemi di
sicurezza volti a prevenire proprio uno scenario del genere.
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Era la prova che la Ghiacciaia poteva lavorare con reclute migliori. Se Kejora avesse
trasmesso l'idea su per le gerarchie fino all'imperatore Mengsk stesso, il mese successivo
avrebbe forse potuto ottenere dei detenuti di livello superiore. Il suo curriculum avrebbe
richiesto degli aggiustamenti, naturalmente, ma niente di inaspettato.
L'altro mietitore fissò Feltz, uno sguardo curioso sul volto. "Perché l'ho fatto, signore? Era un
mio amico."
"Tu sei un mietitore, Lords", disse Kejora.
Lisca ci pensò in silenzio e vide gli occhi di Feltz chiudersi per sempre. Infine, annuì.
"Faccio il mio dovere."
L'unica verità è la vittoria. Tutto il resto è futile e vano.
Precetto 9 della Ghiacciaia
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LA GHIACCIAIA