attualità
IL PM e l’ICD:
preparazione psicologica
della persona assistita
Martin Hoffmann,
Consigliere
N
ell’ultimo decennio i centri impiantatori e il
numero di procedure eseguite in Italia sono notevolmente cresciute: nel 1999 sono stati impiantati
21.693 pacemaker e 1.319 defibrillatori in 484 centri(1).
Come segnalato da L.J. Carpenito(2), nel 75-100%
dei pazienti sottoposti ad impianto di pacemaker
è possibile riscontrare la diagnosi infermieristica
di ansia, paura, correlata all’imminente inserzione del pacemaker e alla prognosi.
Per affrontare questo aspetto ritengo sia
opportuno contestualizzarlo nell’ambito della
più ampia problematica dell’ansia, paura, ed io
aggiungerei anche della depressione, nel
paziente cardiopatico. Questi aspetti non
devono essere trascurati né sottovalutati, non
solo per le ripercussioni sulla qualità della vita
dell’assistito ma anche per le influenze sull’aspettativa di vita: numerosi studi hanno infatti
evidenziato correlazioni tra il vissuto psicologico, l’aspettativa di vita e l’insorgenza di
episodi ischemici cardiaci, aritmici e di morte
improvvisa(3). Durante eventi acuti stressanti è
stato ad esempio notato un aumento dell’incidenza di morte improvvisa e di eventi infartuali, come ad esempio durante terremoti(4)(5)(6)(7)
1) Registro Italiano Pacemaker e Defibrillatori, Bollettino
Periodico 1999, Fondazione I.R.C.A.B., Udine
2) Carpenito, L. J., Piani di assistenza infermieristica e documen
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14
15000
5000
0
1985
1990
1995
Distribuzione degli impianti di PM in Italia dal 1981 al 1999.
Fonte: registro italiano pacemaker e defibrillatori, Bollettino 1999
80
60
40
20
0
<5
5-15
15-30
>30
Distribuzione degli impianti di PM per centro in Italia
(1999). Fonte: registro italiano pacemaker e defibrillatori,
Bollettino 1999
100
80
60
40
20
0
<50
50-100
100-200
>200
Distribuzione degli impianti di ICD per centro in Italia
(1999). Fonte: registro italiano pacemaker e defibrillatori,
Bollettino 1999
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o situazioni belliche(8). Da anni infatti è stato
identificato lo stress psicologico quale fattore
di rischio sia nella preparazione del substrato
fisiopatologico che nel momento dell’induzione dell’aritmia mortale(9). Affinché un’aritmia si
possa innescare, è necessaria una perturbazione transitoria che agisca su un substrato miocardico alterato. La perturbazione può essere
rappresentata da un’ischemia miocardica
transitoria, una disfunzione del sistema autonomico, un’attivazione piastrinica, una presenza anomala di fattori metabolici sistemici, alterazioni della propagazione dell’onda elettrica o
disturbi dei canali ionici. Lo stress psicologico
agisce cronicamente contribuendo a determinare le alterazioni del substrato anatomico ed
acutamente a livello di tutti gli elementi scatenanti l’evento. Ziegelstein et Al. hanno dimostrato come sia l’ansia che la depressione che
l’isolamento sociale si associno spesso al fumo,
all’obesità, all’alcoolismo e ad un’inefficace
gestione del regime terapeutico per ridotta
compliance, accelerando i processi degenerativi responsabili delle principali cardiopatie
potenziando così i fattori di rischio(10). Lo stress
agisce favorendo significativamente la comparsa di aterosclerosi sia con un’azione diretta sull’endotelio che incrementando a livello serico
sia il colesterolo che le catecolamine che il
cortisolo(11)(12). Nelle donne lo stress può determinare un’insufficienza ovarica con conseguente perdita dell’azione protettiva estrogenica e rapido sviluppo dell’aterosclerosi, ipercortisolemia, ed esaltata risposta cardiaca allo
stress(13)(14)(15). Lo stress determina aumento della
8) Kark, J.D., et Al., Iraqui missile attacks on Israele. The association
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in premenopausal female cynomolgus monkey with diet-induced
atherosclerosis, Circul, 1994, 90, 983-7.
IO INFERMIERE - N.2 /2003
frequenza cardiaca ed incremento dei valori
pressori provocando un rapido aumento delle
richieste metaboliche cardiache e quindi di
O2(16); inoltre è stata segnalata una significativa
riduzione della funzione di pompa ventricolare nei pazienti postinfartuati(17). Pazienti affetti
da cardiopatia ischemica sottoposti a test con
stress mentali (ricordo di momenti di collera,
dialogo davanti ad un pubblico) sono stati
colti da ischemia elettrocardiograficamente
silente e clinicamente muta. Si ritiene inoltre
che sotto stress si verifichi una stimolazione
neuroumorale che determina vasospasmo
coronarico emodinamicamente significativo(18)(19) accompagnato da incapacità del microcircolo a dilatarsi(20)(21)(22). Lo stress concorre
anche alla diretta induzione di aritmie come
dimostrato da Lown et Al.(23) e Tavazzi et Al.(24),
riducendo la soglia di induzione della fibrillazione ventricolare(25) e nei pazienti coronaropatici favorendo la dispersione del QT(26). Infine
lo stress acuto determina alterazioni piastriniche, come dimostrato dagli esperimenti di
stress mentali condotti da Grignani(27) o da
Kario et Al(28). riscontrati durante eventi naturali quali terremoti, oltre che alterazioni della
16) Gottdiener, J.S., et Al., Induction of silentmyocardial ischemia
with mental stress testing: relation to the trigger of ischemia
during daily life activities and to ischemic functional severity.
J. Am. Coll. Cardiol., 1994, 24, 1645-51.
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pump function in postinfarctual patients: an invasive hemodynamic
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responses during mental stress, Psycosom. Med., 1999, 61, 365-70.
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Cardiol., 2001, 37, 1359-66.
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during mental stress testing in postinfarctual patients.Role of
body surface mapping, Circul., 1991, 83 (Suppl) II115-27.
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problem of sudden cardiac death, Am. J. Cardiol., 1977, 39, 892-902.
24) Tavazzi, L., et Al., The role of psychologic stress in the genesis
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Eur. Heart J., 1986, 7 (Suppl), 99-106.
25) Verrier, R.L., et Al., Delayed myocardial ischemia induced by
anger, Circul., 198,7 75, 249-54.
26) James, P.R., op. cit.
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patients with coronary disease, Circul., 1991, 83 (Suppl 4), II128-36.
28) Kario, K., et Al., Earthquake-induced potentiation of acute risk
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cardiovascular events after a major earthquake, J. Am- Coll.
Cardiol., 1997, 29, 926-33.
15
viscosità ematica per emoconcentrazione(29)(30)(31)(32), che è stata correlata con l’insorgenza di eventi cardiaci(33).
Le ipotesi scientifiche atte a suffragare la correlazione tra depressione e cardiopatia ischemica sono analoghe alle precedenti(34) (associazione dei fattori di rischio coronarici classici e
depressione; incremento delle catecolamine
circolanti; ipertono simpatico; ridotti livelli di
attività parasimpatica; maggior aggregabilità
piastrinica secondaria all’incremento delle
catecolamine; ridotta fibrinolisi spontanea;
vasocostrizione coronarica; incremento lipidemico; alterato sistema serotoninergico; ridotta
compliance alla terapia farmacologica; predisposizione genetica).
A partire dalla fine degli anni ’50 venne identificata da Friedman e Rosenman(35) un tipo di
personalità che predispone alle patologie cardiovascolari (personalità tipo A). In seguito ad
autorevoli studi(36)(37)(38), nel 1981 il National
Heart Lung and Blood Institute incluse la personalità quale fattore di rischio significativo
per la cardiopatia ischemica e la morte improvvisa. Una successiva meta-analisi però portò a
risultati differenti(39) facendo quindi focalizzare
l’attenzione attualmente solo su alcuni aspetti
della personalità di tipo A, quali la rabbia, l’ostilità ed il cinismo(40)(41); lo studio di J.C.
Barefoot invece dimostra una differente
sopravvivenza tra il gruppo di pazienti con
personalità di tipo A rispetto a quelli di tipo
B(42); inoltre, sempre secondo J.C. Barefoot, nei
pazienti depressi esiste un rischio di sviluppo
di cardiopatia ischemica aumentato del 71%,
con una correlazione lineare tra depressione e
rischio. Mentre dai dati epidemiologici risulta
che la depressione coinvolge il 5-17% della
popolazione globale, nei pazienti infartuati
l’incidenza è superiore (14-30%)(43). Lo studio
condotto da R. Anda(44), nel quale sono stati
seguiti 2.832 pazienti per una media di 12,4
anni, ha documentato come nel paziente con
depressione severa il rischio di eventi cardiaci
è aumentato rispetto alla restante popolazione
(>60% eventi non fatali; >50% eventi fatali). La
correlazione lineare tra intensità della depressione e l’incidenza futura di episodi cardiaci è
stata evidenziata anche dallo studio di
O’Connor(45) e di Shiotani(46); inoltre è stata evidenziata anche una corrispondenza tra livelli
di ansia e incidenza di morte improvvisa da
parte di Kawachi(47)(48). I lavori di N. FrasureSmith(49)(50)(51)(52) dimostrano, nel follow-up a 6
29) Matsuo, T., et Al., Haemostatic activation and cardiac events
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30) Suzuki, S., et Al., Hansin-Awaji earthquake as a trigger for
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31) Kario, K., et Al., op. cit.
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Milano, Ospedale Maggiore Riguarda, 23 gennaio 1998.
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Ospedale Maggiore Riguarda, 23 gennaio 1998.
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51) Frasure-Smith, N., et al., Social and Economic Factors in
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Infarction: Impact on 6-month survival, Jama, 1993, Oct. 20
270 (15), p. 1819-25.
16
IO INFERMIERE - N.2 /2003
mesi dall’evento infartuale, come si diversifichi
la mortalità tra pazienti depressi e non
(depressi 17%; non depressi 6%); nel 1995
sono stati resi pubblici i dati a 18 mesi (mortalità nei pazienti con depressione maggiore
20%; con depressione lieve/moderata 17%).
Attraverso gli studi di R.M.
Carney(53)(54)(55) si può costatare una correlazione tra
depressione e cardiopatia e
osservare che il 39% dei
pazienti riferisce insonnia e
depressione nel corso delle
2 settimane precedenti l’evento infartuale; nel lavoro
di F. Lesperance(56)(57) si
dimostra un aumento della
mortalità
nei
pazienti
depressi con infarto miocardico acuto rispetto ai non
depressi; nella ricerca di F. Bonaguidi(58) su 654
pazienti colpiti da infarto miocardico acuto
circa 400 presentavano ansia, instabilità emotiva, depressione e rigidità mentale; il GISSI 2(59)
ha dimostrato che i pazienti che presentavano
depressione prima dell’evento infartuale
hanno un decorso peggiore. Se si analizzano i
numerosi studi condotti su pazienti coronaropatici, emerge una concordanza di risultati su
progressione della malattia coronarica e fattori
di rischio psicosociali: in altri termini è stata
dimostrata una correlazione tra rischio cardiovascolare da una parte e depressione e manifestazioni di stress psicosociali dall’altra [ansia,
insonnia, ira, ostilità, personalità di tipo A e D
53) Carney, R.M., et al., Major Depression, Panic Disorder and
Mitral valve prolapse in patients who complain of chest pain,
Am. J. Cardiol., 1990, Dec. 89 (6), p. 757-60.
54) Carney, R.M., et al., Isomnia and Depression, Prior to
Myocardial infarction,. Psycosom. Med., 1990, Nov-Dec. 52
(6), p. 603-9.
55) Carney, R.M., et al., Panic Disorder and Depression in
patients with chest pain not due to coronary artery disease,
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56) Lesperance, F., et al., Major Depression before and minter
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57) Lesperance, F., et al., Negative Emotions and Coronary Heart
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17 347, p. 414-5.
58) Bonaguidi, F., et al., Personalità ed infarto miocardio acuto:
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59) Labbrozzi, D., et al., Le caratteristiche psicologiche del paziente
infartuato: risultati del GISSI-2.Gruppo Italiano per lo Studio
della Sopravvivenza nell’Infarto miocardio (GISSI),G. Ital.
Cardiol., 1996, Gen. 26 (1), p. 85-106.
IO INFERMIERE - N.2 /2003
(ridotta espressione dell’affettività), hopeleness, vital exhaustion, isolamento sociale,
superlavoro]. Tra questi studi si ricorda il GISSI
2 – sottoprogetto GIPSY, nel quale emerge che
il 20-70% dei pazienti reagisce all’infarto miocardico con ansia e negazione, mentre l’1145% presentava depressione (l’incidenza nella popolazione degli altri pazienti
internistici è del 20%); nello
studio di S.J. Schleifer(60) è
stato invece valutato che a
3 mesi dall’infarto miocardico solo il 38% dei pazienti con depressione maggiore è tornato al lavoro contro il 63% dei non depressi.
Numerosi studi(61)(62)(63)(64)(65)(66)
hanno dimostrato come esista una relazione lineare tra
isolamento sociale e incidenza di eventi cardiaci aumentando l’incidenza di cardiopatia
ischemica in questo gruppo di pazienti fino a
3 volte. Sono state infine evidenziate correlazioni tra la perdita di speranza, la morte
improvvisa(67)(68)(69) e una diatesi aterosclerotica
carotidea(70). Nel lavoro di McLean(71) è emersa
la correlazione tra infarto miocardico, morte
60) Schleifer, S.I., et al., The nature and Course of Depression
following myocardial infarction, Arch. Intern. Med., 1989,
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1490-5.
71) Mclean, A.A., Work stress, Boston, Addison-Wisley, 1979.
17
improvvisa(72)(73)(74) e fretta nei risultati, alta
responsabilità, sovralavoro e superiori poco
protettivi. In caso di situazione lavorativa con
alte richieste a bassa retribuzione o basso
potere decisionale viene incrementato fino a
quattro volte il rischio di morte improvvisa,
potendolo considerare come vero e proprio
fattore di rischio(75).
Per comprendere meglio il motivo dell’alta
incidenza di ansia, paura e depressione nel
paziente che deve essere sottoposto ad
impianto è necessario, oltre che considerare il
timore dell’intervento stesso, contestualizzare
la cardiopatia e il suo significato simbolico nel
background socioculturale del paziente, dal
quale non può essere disgiunto.
Il cuore non è solo un’associazione di miocellule, di fibre, di protoplasma, citoplasma, mitocondri, ecc: è un organo che nell’immaginario
sociale è stato, forse, il più caricato tra tutti di
valori simbolici attinenti la sfera psichica. Già
15.000 anni fa, nelle caverne di El Pindal
(Spagna), apparvero delle pitture rupestri rappresentanti un pachiderma con una chiazza
72) Karasek, R.A., et Al.., Job characteristics in relation to the
prevalence of myocardial infarction in the US Health
Examiation Survay (HES) and the Health and Nutrition
Examination Survay (HANES),Am. J.Public Health, 1998, 78,
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73) Theorell, T., et Al., Decision latitude, job strain and myocardial
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cardiovascular disease mortality: an international study, Eur.
Heart J., 2000, 21, 1141-51.
18
rossa situata in prossimità del cuore, quasi ad
indicare ai cacciatori il punto giusto da colpire
nel grosso animale, anche se ai tempi non esisteva ancora il concetto di organo vitale.
Nelle popolazioni precolombiane il cuore era
considerato la chiave della vita, mentre tra i
babilonesi il “libbu” era considerato la sede
dell’intelligenza e della memoria. Gli antichi
egizi erano convinti che oltre al corpo anche il
cuore era la sede dell’anima, attribuendogli
valore di sacralità. I greci erano anch’essi convinti che questo organo fosse la sede dell’anima, oltre che della vita intellettuale e delle
emozioni.
Anche gli indù, in oriente, ritenevano che il
cuore fosse la sede dell’anima: secondo loro il
respiro arriva al cuore e poi si diffonde in tutto
il corpo (da qui l’importanza della respirazione nella pratica yoga). Nella medicina tradizionale cinese il cuore non è di interesse diretto,
ma riveste importanza per i meridiani che lo
attraversano: infatti per tale disciplina i disturbi della sfera psichica sono conseguenti a squilibri energetici di questi meridiani.
Nella cultura occidentale troviamo ancora oggi
il cuore investito di simbolismo nel linguaggio
quotidiano: “il cuore del problema”, “è morto
di crepacuore”, “il cuore infranto”, “è stato portato un attacco al cuore dello stato”, la rappresentazione grafica di due innamorati che tracciano un cuore trafitto da una freccia.
Il leitmotiv di questo simbolismo è il connubio
tra organo, attività psichica, affettiva, vita stessa, e posizione anatomica (il cuore è sito nella
porzione più protetta, centrale, inaccessibile e
quindi intima dell’individuo).
L’evento cardiologico non rappresenta quindi
solo la comparsa di una patologia ma un terremoto che ha come epicentro il centro stesso
del corpo (non solo per sito anatomico), la
sfera più intima, più difesa ed inaccessibile,
minando le strutture e le certezze dell’individuo, risvegliando le ancestrali paure inerenti
alla morte che nel mondo occidentale si tende
a rimuovere. Nella nostra società non viene
più accettata la morte come momento ineluttabile del ciclo vitale, ma viene vista come un
aspetto da dominare. La cultura occidentale si
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è sempre concretizzata con fenomeni di dominio: sul popolo, su altri popoli, su altre culture e sulla natura stessa. In questo senso la
morte afferma il fallimento della lotta dell’uomo contro la natura, a differenza di ciò che
avviene in altri contesti culturali, nei quali
invece non prevale il pensiero meccanicistico
e il determinismo biologico. Anzi, soprattutto
per le malattie gravi, è prevalente il coinvolgimento del proprio psichismo e la disfunzione
del proprio Io culturale rispetto alla comunità
e l’ambiente, in un’ottica d’ecocultura(76). Oltre
a ciò nel paziente sottoposto ad impianto di
pacemaker o defibrillatore si sommano anche
noxae ansiogene quali la dipendenza da una
protesi meccanica(77) con la conseguente idea
di essere tenuti in vita artificialmente, il timore
dell’intervento ed a volte della sedazione profonda o anestesia, l’idea che durante l’intervento venga “toccato” il cuore e, nel caso in
cui venga posizionato un defibrillatore, che
venga indotta un’aritmia che diventa mortale
se non viene interrotta, le limitazioni imposte
nei portatori di protesi (guida, lavoro,…)(78), la
paura di malfunzionamenti o degli shock(79)(80)(81).
L’assenza di un’adeguata preparazione psicologica del paziente all’impianto in questo contesto si può ripercuotere con fenomeni di ansia
sia in forma acuta (durante la fase pre- ed
intraoperatoria), determinando ridotta compliance dell’utente aumentando anche le difficoltà tecniche durante l’inserzione del presidio, che cronica. Esistono in letteratura evidenze che dimostrano che un’adeguata preparazione psicologica dell’utente determina non
solo una migliore compliance durante la fase
postoperatoria e di follow-up, ma anche una
migliore qualità di vita del paziente stesso con
minori complicanze postoperatorie(82)(83)(84).
Inoltre è largamente dimostrato che l’intervento infermieristico riduce l’ansia preoperato76) Terranova-Cecchini, R., Tognetti-Bordogna, M., La popolazione
straniera proveniente dai paesi in via di sviluppo di fronte al
disturbo cardiologico, in Foffmann, M., et Aa., Il cuore,
assistenza al paziente cardiopatico, Napoli, Idesol-GnocchiSorbona, 2001, 347-362.
77) White, M.M., Psychosocial impact of the implantable
cardioverter defibrillator: nursing implications, J. Cardiovasc.
Nurs, 2002, 16, 3, 53-61.
78) Pelletier, D., et Al., Australian implantable cardiac defibrillator
recipients: quality-of- life isues, Int. J. Nurs. Pract., 2002, 8, 2, 68-74.
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ria(85)(86)(87)(88)(89)(90) e la depressione postoperatoria. Alla luce di quanto detto la preparazione
psicologica del paziente dovrà porsi l’obiettivo
di ottenere la massima compliance possibile
da parte del paziente e dei suoi cari alla scelta
terapeutica adottata, al fine di facilitare la
seduta operatoria e di migliorare il più possibile la qualità di vita del nucleo familiare dopo
l’impianto.
Valutando i livelli culturali e le capacità di
comprensione del paziente e dei suoi parenti,
si dovranno fornire informazioni chiare e precise sulle funzioni di un pacemaker o defibrillatore, delle motivazioni che hanno portato
alla decisione di eseguire l’impianto, sulle
modalità di esecuzione dello stesso, sulle
restrizioni che un paziente portatore di stimolatore cardiaco o defibrillatore deve osservare,
79) Pelletier, et Al., op. cit.
80) Sears, S.F., et Al., Examining the psychosocial impact of
implantable cardioverter-defibrillators: a literature review,
Clin. Cardiol., 1999, 22, 7, 481-9.
81) Duru, F., et Al., How different from pacemaker patients are
recipients of implantable cardioverter-defibrillators with
respect to psychosocial adaption, affective disorders, and
quality of life?, Heart, 2001, 85, 4, 375-9.
82) Pereira, R.P., et Al., Is psycoprophylaxis a valid approach for
heart surgery in children?, Arq. Bras. Cardiol., 1995, 65 (4),
317-20.
83) Hesse, K.A., Meeting the psycosocial needs of pacemaker
patients, Int. J. Psychiatry Med., 1975, 6 (3), 359-72.
84) Stewart, J.V., Permanent pacemakers: the nurse’s role in
patient education and follow-up care, J. Cardiovasc. Nurs.,
1991, 5 (3), 32-43.
85) James, J., Living on the edge-patients with an automatic internal
cardioverter defibrillator (AICD): implications for nursing
practice, Nurs. Crit. Care, 1997, 2, 4, 163-8.
86) Reid, S.S., et Al., Outcomes, problems and quality of life with
the implantable cardioverter defibrillator, Aust. J. Adv. Nurs., 1999.
87) Dunbar, S.B., et Al., Factors associated with outcomes 3
months after implantable cardioverter defibrillator insertion,
Heart Lung, 1999, 28, 5, 303-15.
88) Fridlung, et Al, J. Clin. Nurs., 2000.
89) White, M.M., Psychosocial impact of the implantable
cardioverter-defibrillator: nursing implications, J. Cardiovasc.
Nurs., 2000, 16 (3), 53-61.
90) Dickerson, S.S., et Al., Affective distress and implantable
cardioverter defibrillators: cases for psychological and
behavioral interventions, Heart Lung, 2000, 22, 12, 1831-4.
19
esperienze condotte dai
gruppi di autoaiuto, alcuni autori suggeriscono
incontri dell’utente con
altri pazienti precedentemente sottoposti ad
impianto(93). Come dimostrato in letteratura(94)(95)(96)
anche l’istituzione di un
gruppo multidisciplinare
tende a migliorare i risultati, oltre che a ridurre la
durata della degenza
ospedaliera ed i costi per
paziente(97). Infine è consigliato proporre all’utente un sottofondo musicale durante la seduta
d’impianto per la capacità della musicoterapia
nella riduzione dell’ansia(98)(99)(100)(101)(102)(103)(104).
dell’importanza del follow-up successivo
all’impianto, presentando inoltre l’equipe che
eseguirà l’impianto. Si è notata l’importanza
di mostrare al paziente ed ai suoi familiari
un generatore con relativo/i elettrocatetere/i
(facilmente ottenibile dalle ditte costruttrici,
che li distribuiscono a scopo propagandistico),
di permettere loro di tenerlo in mano,
di toccarlo (acquistano così familiarità con
la protesi, diradando spesso molti dubbi legati
ad immagini fantasiose di un pacemaker).
Secondo Stewart et Al(91), infatti le informazioni
tattili e visive favoriscono la comprensione
dello strumento e la sua accettazione.
Gli incontri andrebbero pianificati durante
l’orario di visita dei parenti (o subito dopo trattenendoli), in modo da coinvolgere il nucleo
familiare del paziente nella sua globalità.
Di buon ausilio risulta anche essere la
distribuzione di un opuscolo informativo
realizzato a tale scopo(92), che il paziente potrà
consultare a più riprese e nei momenti
che ritiene più opportuno. Partendo dalle
20
91)
92)
93)
94)
95)
96)
97)
98)
99)
100)
101)
102)
103)
104)
104)
Stewart, et Al., op cit., 1991.
Guzzetta, et Al., Cardiovascular nursing: Holistic practice,
Mosby Year Book, 1992.
Guzzetta, et Al, op. cit.
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