L’Orto Botanico di Brera dell’Università degli Studi di Milano, istituito nel 1774 con finalità didattico-scientifiche per gli studenti di medicina e farmacia da Maria Teresa d’Austria, è un giardino storico situato all’interno di Palazzo Brera, un’incantevole e suggestiva isola verde dedicata alla ricerca e alla didattica, nel pieno centro di Milano. Splendido museo all’aperto, l’Orto Botanico oggi è un luogo ideale per imparare a conoscere le piante, scoprendo uno spettacolo diverso in ogni stagione. www.brera.unimi.it percorso artistico-botanico tra Pinacoteca e Orto Botanico di Brera 3 Luglio - 31 Ottobre 2015 ORARI Pinacoteca di Brera martedì - domenica: 8.30 - 19.15 Chiuso: tutti i lunedì aula didattica Orto Botanico di Brera dell’Università degli Studi di Milano lunedì - sabato non festivi: 10 - 17 Chiusure: tutte le domeniche e dal 17 al 23 agosto Aperture straordinarie: 5 luglio, 30 agosto, 27 settembre specola ingresso Orto Botanico Orto Botanico Via Gabba Cortile della Magnolia BIBLIOTECA BRAIDENSE biblioteca dell’Accademia di Belle Arti VIII VII 8 7 Cortile Esportazioni XI 11 IX VI Via Fiori Oscuri II III IV V IA 2 3 4 5 I XIV I 14 X 10 XIX XVIII 38 Testi a cura di Fabrizio Zara, responsabile Ricerca Botanica Aboca e Veronica Pandiani, storica dell’arte ed educatrice museale 18 XV 15 XII 12 XIII XXXVII Da qui nasce il percorso artistico e botanico Arte Horto, voluto da Aboca in collaborazione con la Pinacoteca e l’Orto Botanico di Brera, per riscoprire da dove veniamo e attraverso la bellezza di opere e piante tornare a sentire l’intimo legame tra uomo e natura. 13 37 XX 20 Supervisione scientifica di Emanuela Daffra e Paola Strada (Pinacoteca di Brera) e di Elisabetta Caporali e Cristina Puricelli (Orto Botanico di Brera dell’Università degli Studi di Milano) Composizione e impaginazione: Ufficio Grafico Aboca S.p.A. Società Agricola Tutti i diritti sono riservati. Riproduzioni anche parziali sotto qualsiasi forma sono vietate senza autorizzazione dell’Editore Foto: Massimo Gardone, Azimut e Thinkstock Immagini delle opere d’arte su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - Pinacoteca di Brera XXXV XXI XXXVI 35 21 36 XXXIV XXII 34 22 XXXIII 33 XXXI XXX XXIX XXVIII XXVII XXIV XXIII XXXII 31 30 29 28 27 24 23 Piazzetta di Brera Massimo Mercati 32 Direttore Generale Aboca ingresso Pinacoteca Via Brera © Aboca S.p.A. Società Agricola www.aboca.com ARTORTOPU-B Copyright ©2015 Aboca Edizioni Stampa Visitare un importante museo come la Pinacoteca di Brera, focalizzando l’attenzione sul mondo vegetale rappresentato nei dipinti e ritrovare poi le stesse piante all’interno dell’Orto Botanico, offre inedite e affascinanti scoperte. La valenza culturale e simbolica raggiunge il suo apice quando si parla di piante medicinali, per millenni unico rimedio ai nostri problemi di salute, sospese tra magia e scienza, da sempre nostre compagne nell’evoluzione. 19 XXXVIII 3 Luglio - 31 Ottobre 2015 La natura costituisce da sempre una fonte privilegiata di ispirazione per gli artisti, ciascuno dei quali l’ha interpretata secondo la propria cultura e sensibilità. 9 6 IA percorso artistico-botanico tra Pinacoteca e Orto Botanico di Brera Un percorso unico tra arte e natura che ricalca il passaggio dalla rappresentazione alla realtà e ci porta a interrogarci sul rapporto tra natura e cultura, tra l’uomo e il suo ambiente. orto di verdure Cortile Pesa EX SERRA La Pinacoteca di Brera, museo di statura internazionale, nacque a fianco dell’Accademia di Belle Arti, voluta da Maria Teresa d’Austria nel 1776, con finalità didattiche. Espone oggi una delle più celebri raccolte in Italia di pittura, specializzata in pittura veneta e lombarda, con importanti pezzi di altre scuole. Custodisce capolavori assoluti del Novecento ed è da considerare uno dei maggiori musei statali italiani. www.brera.beniculturali.it Osservatorio Aboca è leader nell’innovazione terapeutica a base di complessi molecolari naturali, sviluppa e realizza prodotti innovativi efficaci e sicuri per la salute e il benessere delle persone. Aboca crede fortemente in un nuovo modo di curare basato su una medicina consapevole dei meccanismi fisiopatologici dell’organismo, che ricerca e trova nella complessità della natura le risposte più adatte alla richiesta di salute di oggi e di domani. Opera da 40 anni con una filiera totalmente verticalizzata, dalle coltivazioni al prodotto finito e distribuisce i propri prodotti solo nei canali professionali della salute, in 14 paesi nel mondo. www.aboca.com Il percorso artistico-botanico Arte Horto è visitabile partendo dalla Pinacoteca o dall’Orto Botanico di Brera Il percorso artistico-botanico Arte Horto è visitabile partendo dall’Orto Botanico di Brera VIII VII 8 7 entrata XI 11 IX 9 VI PALAZZO BRERA 6 IA II III IV V IA 2 3 4 5 I inizio percorso artistico I 8 XIV 14 X EX SERRA 10 4 orto di verdure 5 15 12 1 6 specola XIX 19 XII XXXVIII 38 XVIII 18 XV 17 12 15 16 13 XIII vasca 13 XXXVII 11 37 XX 10 14 20 9 3 XXXV XXXVI XXI 35 36 21 2 7 XXXIV XXII 34 22 aula didattica XXXIII XXXI XXX XXIX XXVIII XXVII XXIV XXIII XXXII 31 30 29 28 27 24 23 32 entrata 33 SALA VI PIANTA 1 Disputa di Santo Stefano fra i Dottori nel Sinedrio, Vittore Carpaccio Borragine - Borago officinalis L. VII 2 Pietà, Giovanni Bellini Marruca - Paliurus spina-christi Mill. IX 3 San Gerolamo penitente, Tiziano Vecellio Edera - Hedera helix L. XIV 4 Resurrezione di Cristo tra i Santi Gerolamo, Giovanni Battista e due offerenti, Cariani (Giovanni Busi) Olivo - Olea europaea L. XVIII 5 Venere e Cupido con due satiri in un paesaggio, Simone Peterzano Melograno - Punica granatum L. XVIII 6 Fruttivendola, Vincenzo Campi Gelso nero - Morus nigra L. XVIII 7 Madonna col Bambino con i Santi Mattia, Antonio da Padova, il beato Alberto di Villa d’Ogna, Giulio Campi Biancospino - Crataegus monogyna Jacq. XIX 8 Madonna col Bambino (Madonna del Roseto), Bernardino Luini Rosa - Rosa ×damascena Mill. XIX 9 Ritratto di giovane, Giovanni Antonio Boltraffio Alloro - Laurus nobilis L. XIX 10 Lo scherno di Cam, Bernardino Luini Vite - Vitis vinifera L. XXI 11 Madonna della Candeletta, Carlo Crivelli Pero - Pyrus communis L. XXII 12 San Sebastiano, Dosso Dossi (Giovanni di Niccolò Luteri) Arancio - Citrus sinensis (L.) Osbeck XXIV 13 Sposalizio della Vergine, Raffaello Sanzio Oleandro - Nerium oleander L. XXVII 14 La Vergine Annunciata e i Santi Giovanni Battista e Sebastiano, Timoteo Viti Clematide - Clematis vitalba L. XXXVII Ritratto di Giovanni Battista Sommariva, Pierre-Paul Prud’hon 15 Acanto - Acanthus mollis L. XXXVII Fiori nel chiostro, Eugenio Gignous 16 Malvarosa - Alcea rosea L. XXXVIII Pascoli di primavera, Giovanni Segantini 17 Pino mugo - Pinus mugo Turra Sala VI Pianta n. 1 Vittore Carpaccio Disputa di Santo Stefano fra i Dottori nel Sinedrio Borragine Borago officinalis L. 1514 Il cipresso è l’albero tradizionalmente piantato in prossimità delle tombe come simbolo di lutto e dolore. Forse in questo caso rappresenta il martirio di Santo Stefano. Può anche simboleggiare la Chiesa cristiana difesa da Stefano nel Sinedrio, in quanto il cipresso è una pianta svettante verso l’alto, che congiunge cielo e terra La borragine potrebbe ricordare il mondo dei lanai: la maggioranza dei confratelli della Scuola di Santo Stefano operava in questo ambito LA RAPPRESENTAZIONE Vittore Carpaccio nacque a Venezia intorno al 1465 e lì operò fino alla morte, avvenuta nel 1526. I suoi dipinti più famosi sono i cicli di storie realizzati per le principali confraternite della città (Scuole). In queste opere, la tradizione narrativa veneziana si coniuga con l’attenzione al dettaglio propria dell’arte fiamminga, dando vita ad ambientazioni fantastiche. La Disputa di Santo Stefano fra i Dottori nel Sinedrio faceva parte della serie di cinque grandi tele con le storie del santo che ornavano la sede veneziana della Confraternita dei Laneri. Carpaccio ambienta la vicenda, che si era svolta a Gerusalemme, in uno scenario immaginario con edifici fantastici, in cui molti personaggi sono abbigliati all’orientale. Anche le piante, fra le quali molte sono medicinali, vengono descritte minuziosamente e tra di esse è riconoscibile la borragine. L’insolita scelta di raffigurare proprio questa pianta dipende forse dal fatto che il suo nome si collega al mondo dei produttori e dei commercianti della lana, che costituivano la maggioranza dei confratelli della Scuola di Santo Stefano. Borragine deriva infatti dal latino borra, un tessuto di lana ruvida, per la peluria che ne ricopre le foglie. GLI UTILIZZI La borragine officinale è una pianta a tratti misteriosa: non esiste chiarezza e unità di opinione né sull’origine – alcuni autori suppongono provenga dalla Siria, altri da aree del Nord Africa – né su alcune delle sue storiche, e presunte, attività psicoterapeutiche. Se oggi è infatti riconosciuta come una delle migliori fonti vegetali di acidi grassi essenziali ottenuti dalla spremitura dei semi, in passato veniva impiegata per una finalità ormai sconosciuta: curare la malinconia e la tristezza, come peraltro testimoniato da Pietro Andrea Mattioli (I Discorsi, 1568). Potrebbe infatti costituire l’ingrediente segreto del Nepenthes omerico, prodigiosa bevanda che portava all’oblio. Molti autori classici la consideravano in grado di rendere l’uomo euforico, come attesta l’antico verso Ego borago, Gaudia semper ago. Castore Durante e lo stesso Mattioli riportano il suo nome precedente, corragine, per le sue mirabili virtù nelle passioni di cuore, o come corruzione del latino cor-ago (con significato di ”coraggio”) presso i Celti che la impiegavano per dare coraggio ai guerrieri prima della battaglia. L’uso terapeutico e alimentare di Borago officinalis è attualmente sconsigliato, per la presenza (ad esclusione dei semi) di alcaloidi pirrolizidinici con attività epatotossica. Sala VII Pianta n. 2 Giovanni Bellini Pietà Marruca Paliurus spina-christi Mill. 1465 circa Secondo la tradizione, la corona di spine imposta a Gesù durante la Passione è stata realizzata con rami di marruca LA RAPPRESENTAZIONE Giovanni Bellini (Venezia, 1430 circa -1516) fu una delle figure chiave per l’affermazione della pittura moderna in area veneta. La sua lunga carriera artistica fu contrassegnata dalla capacità di cogliere e rielaborare i nuovi stimoli provenienti dalle ricerche contemporanee, creando un linguaggio personalissimo, capace di grande intensità emotiva. Nella Pietà, Maria e San Giovanni si stringono intorno al corpo esanime di Cristo, appena deposto dalla croce. Il loro dolore sembra fondersi con i toni cinerini del paesaggio, saldando in un unico sentimento uomo e natura. La tradizione vuole che la corona di spine, citata dai tre vangeli canonici - Matteo (27, 29), Marco (15, 17), Giovanni (19, 2) - e calcata sulla testa di Cristo dopo la flagellazione, sia stata realizzata dai soldati romani intrecciando dei rami di marruca, un arbusto spinoso caratterizzato da rami flessibili. Il nome scientifico della marruca è infatti Paliurus spina-christi, a ricordarne questo leggendario utilizzo. GLI UTILIZZI Non sono certo molte le piante dotate di un epiteto specifico così chiaro e intuitivo come quello attribuito a questa specie dal botanico scozzese settecentesco Philip Miller. La marruca (nome comune più diffuso per indicare Paliurus spina-christi) è un arbusto perenne, cespuglioso, con rami dotati di spine pungenti, rigide, acutissime e ineguali, la più lunga diritta, la più breve ricurva. I frutti hanno forma di disco e sapore di mela essiccata. Recenti studi sull’interpretazione di reperti fossili hanno individuato la sua area di origine in Europa meridionale e Asia occidentale, da cui poi si è diffusa naturalizzandosi in altre regioni, come il Nord Africa, dove era impiegata come pianta medicinale e come recinzione. Diversamente Plinio la descriveva come specie proveniente dalla località Paliurus nei pressi del golfo di Bomba, in Libia, che divide la Cirenaica storica dalla contigua Marmarica. A livello tradizionale medico se ne impiegano i frutti per l’azione diuretica, ipocolesterolemizzante e nel trattamento di calcoli vescicali e renali. Studi più recenti ne hanno evidenziato l’attività antimicrobica. Sala IX Pianta n. 3 Tiziano Vecellio San Gerolamo penitente Edera Hedera helix L. 1552 circa Questa pianta potrebbe essere identificata con una quercia, ricorrente in altre rappresentazioni di San Gerolamo. Grazie al suo legno estremamente resistente, indica grande rigore fisico e morale, una fede incorruttibile e in grado di resistere alle avversità L’edera rappresenta la fede salda di San Gerolamo LA RAPPRESENTAZIONE Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore 1488/90 – Venezia 1576) fu uno dei più importanti pittori del Cinquecento. Ebbe una carriera lunghissima, durante la quale lavorò per i più prestigiosi committenti d’Europa e creò, soprattutto in età matura, opere dalla straordinaria carica drammatica, caratterizzate da impasti di colore fortemente espressivi. Nel San Gerolamo penitente, realizzato per la chiesa veneziana di Santa Maria Nuova, Tiziano rappresenta il santo completamente fuso con il paesaggio alpestre circostante, reso con una gamma quasi monocromatica di toni terrosi. Colpisce l’edera dipinta con grande minuzia sulla roccia in primo piano. Questa pianta implica diverse interpretazioni simboliche. È sempreverde (allusione all’immortalità dell’anima), è rigogliosa, ma poggia su steli modesti (similitudine con l’umiltà di Gesù nel farsi uomo), è difficile da sradicare (richiamo ai tormenti della Passione). In questo caso specifico sembrerebbe simboleggiare la fede salda di Gerolamo: l’edera cresce arrampicandosi, “abbracciando” rami e rocce, ispirando riferimenti all’amore, alla devozione e alla fedeltà perenne. La compresenza della quercia nell’opera rafforzerebbe questo concetto. GLI UTILIZZI Pianta sempreverde, lianosa, dotata di fusti volubili in grado di aderire a mezzo di radici avventizie a qualsiasi supporto che ne permetta uno sviluppo verticale; tuttavia non è una pianta parassita e quindi non rappresenta una minaccia per gli alberi su cui cresce. Caratteristiche sono le sue foglie di forma variabile (eterofillia) palmato-lobate sui rami in basso, oppure, sui rami fertili più alti ed in pieno sole, ovali-lanceolate. Attualmente vengono riconosciute circa venti specie di Hedera, tra le quali anche la nota Edera di Dionysos, oggi chiamata Hedera helix f. poetarum (Nicotra) McAll. & A. Rutherf, già descritta da Tournefort, che la conobbe nei mercati di Costantinopoli, e da De Candolle, come specie dell’India settentrionale a foglie cuoriformi e bacche gialle a cinque semi. Prima di loro anche Plinio la descrive come specie nobile impiegata per fare corone per i poeti. Il motivo più credibile di tale utilizzo e della sua consacrazione è legato alla credenza che una corona ben stretta alla testa fosse il miglior rimedio per il mal di testa causato da eccessi alcolici. Attualmente in medicina si impiegano le foglie per il trattamento delle secrezioni bronchiali, un tempo anche in uso esterno per il trattamento delle ulcere; tutte le parti della pianta sono però ricche in composti attivi potenzialmente tossici, in particolare i frutti. È curioso il fatto che le razze bovine, dopo il parto, ricerchino spontaneamente le foglie di edera utili contro le emorragie e come tonico per l’utero. Sala XIV Pianta n. 4 Giovanni Cariani Resurrezione di Cristo tra i Santi Gerolamo, Giovanni Battista e due offerenti Olivo Olea europaea L. 1520 L’olivo è universalmente riconosciuto quale simbolo di pace e concordia LA RAPPRESENTAZIONE Giovanni Busi detto Cariani (Bergamo 1485 ca – dopo 1547) fu uno dei più interessanti pittori bergamaschi del Cinquecento. Si formò a Venezia e le sue opere giovanili sono infatti debitrici dei Bellini e di Giorgione. Successivi soggiorni in Lombardia influenzarono il suo stile maturo, più vicino all’arte lombarda e attento alle opere di Lorenzo Lotto. Questa Resurrezione fu commissionata per la cappella funeraria di famiglia dal patrizio cremasco Ottaviano Vimercati (raffigurato in ginocchio insieme alla moglie). A sinistra è ben riconoscibile un olivo, considerato emblema di pace sin dall’antichità classica. A rafforzare questo simbolismo, tra i suoi rami è appollaiata una colomba, che nella Genesi (8, 11), porta a Noè il rametto di olivo che annuncia la fine del Diluvio universale e l’inizio di una nuova era di concordia tra Dio e gli uomini. Allo stesso modo, la Resurrezione di Cristo inaugura la pace tra l’umanità e Dio, e forse questo è uno dei significati più profondi dell’opera. GLI UTILIZZI Per le popolazioni mediterranee è impossibile immaginare una pianta più importante e rappresentativa dell’olivo. Fin dall’antichità il Mediterraneo è stato infatti il centro nevralgico sia della sua diffusione sia dello sviluppo della sua coltura, che persiste ancora oggi con più di 750 milioni di esemplari, pari al 95% degli olivi presenti nel mondo, che forniscono i 2/3 della produzione di olio, concentrata prevalentemente tra Spagna, Grecia e Italia. Per i botanici l’olivo coltivato è una specie dal complesso nome Olea europaea subsp. europaea var. europaea, la cui origine e storia biogeografica è ancora incerta; la teoria oggi più accreditata fa derivare l’olivo da qualche zona del Mediterraneo orientale, da cui poi si diffuse, arricchendosi di nuove forme, nell’area dell’Egeo, nel Nord Africa e poi nel sud della Spagna e dell’Italia. Qualunque sia stata la sua origine, l’olivo è divenuto parte fondamentale della cultura di tutte le grandi civiltà. Inserito, assieme a vite e cereali, nella triade delle divinità alimentari, sono sempre state riconosciute le virtù medicinali e cosmetiche di frutti, foglie, gemme e olio. Le foglie oggi si adoperano per la loro attività nel metabolismo di carboidrati e lipidi, per normalizzare la pressione arteriosa, migliorare la circolazione del sangue e come antiossidanti per la presenza di polifenoli. Sala XVIII Pianta n. 5 Simone Peterzano Venere e Cupido con due satiri in un paesaggio Melograno Punica granatum L. 1570 circa La vite è uno dei simboli attribuiti al dio Bacco e ai suoi seguaci, i satiri Il melograno è in questo caso un attributo della dea Venere: indica fertilità e prosperità. Inoltre, la mitologia classica vuole che questo albero, e quindi il frutto, sia nato dal sangue del dio Bacco LA RAPPRESENTAZIONE Allievo di Tiziano e maestro di Caravaggio, Simone Peterzano (Bergamo 1540-1596) fu attivo principalmente a Milano. Le opere della maturità sono caratterizzate da composizioni semplici, da una grande attenzione al disegno preparatorio e dal ricorso a gamme cromatiche soffuse. Venere e Cupido con due satiri in un paesaggio, realizzato intorno al 1570, è uno dei pochi dipinti a carattere profano realizzati dall’artista. Forte ed esplicita è la carica erotica del soggetto dell’opera, che vuole forse celebrare le potenze generatrici della natura e i piaceri dell’amore carnale. Venere, dea dell’Amore, dorme in compagnia del figlio Cupido, mentre due satiri, personificazioni della sfrenatezza e della lussuria, tentano di insidiarla. La scena è ambientata in un paesaggio naturale lussureggiante, nel quale risalta un piccolo, dettagliatissimo brano di natura morta nell’angolo in basso a destra, in cui compaiono anche alcune melagrane. Grazie a questi suoi frutti ricchi di semi, il melograno è simbolo di prosperità e fertilità, elementi connessi alla dea Venere. GLI UTILIZZI È un albero leggendario, sinonimo di fertilità per tutte le culture. I suoi frutti sono talmente unici da avere spinto il botanico De Candolle a coniare il termine apposito “balausta”. Si tratta di una bacca a pericarpo coriaceo contenente da 7 a 14 logge sovrapposte in due piani, separate da tramezzi membranacei bianco-giallastri, piene di numerosi semi con polpa carnosoacquosa di colore rosso, unico anch’esso al punto da definire il colore rosso granato. Nel suo curioso trattato Phytognomonica (Napoli, 1588), che illustra le proprietà medicinali delle piante raffrontate con le varie parti del corpo umano, il naturalista, filosofo e alchimista Giovambattista della Porta indica la melagrana per problemi ai denti, vista la somiglianza del frutto sbucciato ad una bocca semiaperta con denti in vista. Oggi questo utilizzo non trova nessun riscontro, ma il melograno rimane una specie medicinale di enorme valore ed interesse. Il succo del frutto protegge contro le malattie cardiovascolari ed è dotato di attività antimicrobica e antiossidante, considerata tre volte superiore rispetto a quella del vino rosso o del tè verde. La corteccia dei giovani rami e della radice, per il suo contenuto in pelletierina, era già nota ai Romani per l’attività vermifuga. Sala XVIII Pianta n. 6 Vincenzo Campi Fruttivendola Gelso nero Morus nigra L. 1590 circa Le more sono i frutti del gelso nero. Questa pianta nel Rinascimento era connessa alla saggezza, alla pazienza e alla diligenza L’abbondanza di frutti legati alla stagione della raccolta e la presenza dei grappoli d’uva, che richiamano la vendemmia, ha portato ad ipotizzare che il quadro sia un’allegoria dell’Autunno L’opera è stata realizzata nel periodo della Controriforma. L’opulenza di frutti e ortaggi potrebbe essere un ammonimento alla moderazione nell’assunzione e consumo del cibo I tanti frutti e ortaggi messi in bella vista nelle ceste (ciliegie, asparagi, carciofi, fichi, zucche...) hanno fatto supporre che l’opera rappresenti l’allegoria di uno dei quattro elementi, la Terra LA RAPPRESENTAZIONE Vincenzo Campi (Cremona 1536 ca – 1591) è famoso per la raffigurazione in età matura di nature morte e di vivaci scene di mercati e cucine, popolate da contadini. I suoi dipinti, influenzati dall’arte fiamminga e molto naturalistici, contribuirono all’affermarsi della pittura di genere e della natura morta in Lombardia. La Fruttivendola fa parte di una serie di quattro dipinti (con Pollivendoli, Cucina, Pescivendoli) variamente interpretati, quali allegorie dei quattro elementi o delle stagioni dell’anno. Il ciclo proviene dalla foresteria del convento gerolimita di San Sigismondo a Cremona. Ciò sembra rafforzare l’ipotesi che vede in queste tele intenti moraleggianti legati alla pittura pedagogica controriformista, che stimolava il fedele a riflettere sull’amore divino, sul bene e il male, sui vizi terreni, in questo ciclo forse volendo alludere alla moderazione nel consumo del cibo. Notevole, nella Fruttivendola, il realismo con il quale è rappresentato il campionario di frutti e ortaggi di varie specie e stagioni. In particolar modo, su un piattino a destra, sono in bella vista delle more di gelso nero. Questa pianta era considerata emblema di saggezza (è l’ultima a germogliare, solo quando i freddi sono passati) e ricorre nell’allegoria della Diligenza (la persona diligente sa aspettare e non ha fretta nello svolgere il proprio lavoro). GLI UTILIZZI Il gelso è noto per la funzione che ha svolto in passato nell’allevamento del baco da seta, dapprima con le foglie del gelso nero (Morus nigra L.), poi sostituito a metà del XV secolo con il gelso bianco (Morus alba L.), le cui foglie più tenere erano maggiormente appetite dal baco da seta (Bombyx mori). Il gelso nero si riconosce rispetto al bianco per le foglie che sono più profondamente divise e ruvide nella pagina superiore. Secondo Ovidio il gelso nero nacque dal sangue di Piramo e Tisbe, quando i due decisero di togliersi la vita per l’impossibilità di amarsi. Dopo che la coltivazione del gelso nero, ai fini della bachicoltura, è stata abbandonata, la pianta è stata mantenuta in coltura per ornamento e per la produzione dei frutti, usati per marmellate e sciroppi e, un tempo, come coloranti per il vino. Inoltre era tenuto in grande considerazione per le proprietà medicinali, già riferite da Galeno, che ne impiegava i frutti maturi come purgante, quelli immaturi come astringenti e la corteccia come vermifugo. Il Mattioli consigliava di cuocerli in vaso di rame e quindi mescolarli con miele per le infiammazioni della gola. Studi più recenti hanno confermato l’attività ipoglicemizzante delle foglie e ne hanno convalidato l’impiego come antianemico per la presenza di acido folico e folinico. Studi ancora più recenti hanno rilevato la presenza, nelle foglie e nella corteccia, di composti fenolici con moderata azione antiossidante e antibatterica. Sala XVIII Pianta n. 7 Giulio Campi Madonna col Bambino con i Santi Mattia, Antonio da Padova, il beato Alberto di Villa d’Ogna Biancospino Crataegus monogyna Jacq. 1530 circa Il biancospino si riferisce a Maria e a Gesù. I fiori bianchi indicano la Immacolata Concezione; i frutti rossi simboleggiano le gocce di sangue versate da Gesù sulla croce; le spine ricordano la corona imposta a Cristo durante la sua Passione LA RAPPRESENTAZIONE Giulio Campi (Cremona 1508 ca – 1573) fu, insieme ai fratelli minori Vincenzo e Antonio, uno dei protagonisti del Manierismo italiano. Nelle sue opere tradusse in chiave lombarda le raffinatezze formali della pittura contemporanea, in particolare emiliana e romana (Giulio Romano), dando vita a dipinti altamente decorativi e di accentuato illusionismo prospettico. Questa Madonna col Bambino proviene dalla chiesa di San Mattia a Cremona. Sullo sfondo di un paesaggio reso con una veduta a volo d’uccello, San Mattia introduce l’offerente (non ancora identificato) alla Vergine e al Bambino, in compagnia di un gruppo di santi. Gesù è disteso su una morbida coperta, che poggia vicino ad una piccola pianta di biancospino, chiaramente riconoscibile. Questo arbusto è connesso con la figura della Vergine Maria, in quanto i suoi fiori bianchi si riferiscono alla Immacolata Concezione; i frutti rossi simboleggiano le gocce di sangue versate da Gesù sulla croce e le spine ricordano la corona imposta a Cristo durante la sua Passione e morte. Gli antichi Romani associavano questa pianta ai riti primaverili di fertilità della dea Maia e decoravano gli altari nuziali con rami fioriti di biancospino. GLI UTILIZZI Sin dall’età classica il biancospino è stato oggetto di grande considerazione con un forte significato simbolico, ciononostante bisognerà attendere il XIX secolo, perché le sue proprietà terapeutiche vengano messe in luce, forse anche a causa di errate interpretazioni botaniche. Curiosamente alcune delle sue qualità curative hanno una forte connessione con le leggende, ad esempio con il sonno e la protezione dei dormienti. Tale credenza risulta molto radicata: nella fiaba La Bella Addormentata nel Bosco la principessa Rosaspina cade in un sonno incantato di cento anni dopo essersi punta con un fuso, che al tempo pare fosse fabbricato con legno di biancospino; sappiamo che i trogloditi erano soliti accompagnare e proteggere i propri defunti nel sonno eterno, dopo aver legato loro i piedi sopra la testa con rami di biancospino. Grazie a indagini chimiche si sono poi scoperti complessi molecolari presenti nelle foglie e nei fiori di biancospino che svolgono azione cardiocinetica e leggermente sedativa tale da favorire il sonno, il rilassamento e il benessere mentale in generale; è inoltre utile nella regolazione della pressione arteriosa. Oltre al biancospino comune (Crataegus monogyna Jacq.) condividono le medesime proprietà altre specie presenti allo stato spontaneo in Italia, come il biancospino selvatico - Crataegus laevigata (Poir.) DC. - e l’azzeruolo (Crataegus azorolus L.). Sala XIX Pianta n. 8 Bernardino Luini Madonna col Bambino (Madonna del Roseto) Rosa Rosa ×damascena Mill. 1520 - 1521 circa Il fiore di aquilegia, di colore che dal bruno-violetto va al rossastro, rappresenta la Passione di Cristo e il conseguente dolore di Maria La rosa indica l’estraneità al peccato di Maria, definita dal poeta provenzale del XIII secolo Pierre de Corbiac “Rosa senza spine, la più odorosa dei fiori” Le foglie di melo potrebbero alludere al peccato dilagante nel mondo, dal quale sono però immuni Maria e Gesù LA RAPPRESENTAZIONE Bernardino Scapi detto Luini nacque nei pressi del lago Maggiore nel 1480 circa, ma fu prevalentemente attivo a Milano, dove morì nel 1532. Le sue prime opere rivelano l’influenza di Zenale, Bergognone, Bramantino e Leonardo. Il suo stile maturo mostra impianti compositivi molto semplici ed espressione misurata dei sentimenti, anche nelle scene più drammatiche. La Madonna del Roseto è un’opera probabilmente destinata alla Certosa di Pavia. Nella rappresentazione della Vergine col Bambino, Luini coniuga il gusto per la descrizione del dato naturale tipico della tradizione lombarda con gli studi botanici iniziati da Leonardo fin dal periodo fiorentino. Ogni specie vegetale è ben riconoscibile e resa con estrema aderenza alla realtà. Di particolare rilievo il pergolato di rose che funge da sfondo alla scena, creando un hortus conclusus, elemento tradizionalmente associato alla figura di Maria, alludendo alla sua purezza. L’iconografia del giardino chiuso è connessa con l’Immacolata Concezione della Vergine e con la sua totale estraneità al peccato. GLI UTILIZZI Arbusto dotato di robuste spine ricurve che produce fragranti fiori ghiandolosi, a petali rosa o bianchi, la sua origine è il risultato di un incrocio casuale poi riprodotto agamicamente, o dall’ibridazione tra Rosa gallica e R. phoenicea o R. ×bifera, diffusa nel mondo dai crociati tornati dalla Terrasanta. Da questa, nei secoli successivi si sono create numerose cultivar, tra le quali citiamo la York and Lancaster a fiori semidoppi a colore bianco e rosa, dedicata alla riconciliazione tra le due casate inglesi, e la M.me Hardy, la varietà più apprezzata e profumata, ottenuta nel 1832 dal curatore dei giardini del Lussemburgo a Parigi, Monsieur Hardy, che la dedicò alla moglie. La sua fragranza l’ha resa una delle rose più importanti per l’industria essenziera e profumiera, al punto da caratterizzare intere aree come la valle di Kazanlak in Bulgaria, dove la leggenda vuole che Alessandro Magno, di ritorno dalla Persia, ne abbia introdotto la coltivazione. La raccolta dei fiori si effettua manualmente prima della completa antesi. Attualmente i maggiori produttori sono Bulgaria, Iran, India e Turchia. Viene impiegata, per la presenza di componenti come terpeni, glucosidi, flavonoidi e antocianine, anche in medicina. Gli effetti farmacologici sono principalmente sul sistema nervoso: ipnotici, analgesici e anticonvulsivanti; svolge anche un’azione sul sistema cardiovascolare, è antimicrobica, antinfiammatoria e antiossidante. Pare utile anche in casi di infiammazione della cistifellea e calcoli biliari. Sala XIX Pianta n. 9 Giovanni Antonio Boltraffio Ritratto di giovane Alloro Laurus nobilis L. 1500 circa L’alloro, sin dall’antichità, è simbolo di vittoria e di eternità LA RAPPRESENTAZIONE Giovanni Antonio Boltraffio (Milano 14671516) fu forse l’alunno più talentuoso di Leonardo da Vinci, in grado di recepire la sua lezione soprattutto nel campo della ritrattistica. A partire dall’ultimo decennio del Quattrocento, l’artista lombardo realizzò infatti alcuni ritratti che non soltanto esaltavano il rango dell’effigiato, ma facevano emergere la psicologia dei protagonisti. Il Ritratto, a lungo ritenuto del poeta Girolamo Casio, databile intorno al 1500, presenta molte somiglianze con il Musico di Leonardo, conservato all’Ambrosiana di Milano. Boltraffio dipinse il giovane a mezzo busto, contro uno sfondo indefinito, con una intonazione psicologica e idealizzata al tempo stesso. A generare l’equivoco dell’identificazione con il poeta Girolamo Casio, committente della pala del Louvre di Boltraffio, sono stati i versi sul cartiglio e la corona d’alloro, aggiunti nel corso del XVI secolo. Nella cultura classica l’alloro, pianta sacra al dio Apollo, simboleggiava sapienza e gloria. Una corona di lauro cingeva la fronte dei vincitori e costituiva il massimo riconoscimento per un poeta, che diveniva “laureato”. Da qui l’accezione figurativa che lo identifica quale simbolo di vittoria, fama, trionfo e onore. GLI UTILIZZI Nelle stazioni soleggiate delle zone dell’olivo cresce spontanea l’unica specie della flora italiana appartenente alla straordinaria famiglia delle Lauraceae, meglio nota per le piante sacre e dall’enorme potere terapeutico. Sono piante caratterizzate dalla presenza di oli volatili e dal sapore speziato, quali ad esempio la cannella (Cinnamomum verum J. Presl) e la canfora, Cinnamomum camphora (L.) J. Presl. I Greci e i Romani consacrarono l’alloro intrecciato in forma di corona ad ogni tipo di gloria. Antichi erano anche gli impieghi terapeutici: già Ippocrate e Plinio prescrivevano l’olio delle sue bacche per dolori nevralgici di varia natura. Oggi le foglie, per l’elevato contenuto in oli essenziali stimolanti, carminativi, antispasmodici, vengono considerate rimedio utile per disturbi e spasmi del sistema digerente. L’olio che si ottiene dalla spremitura delle bacche (olio laurino) è indicato nella terapia locale dei dolori reumatici. Sala XIX Pianta n. 10 Bernardino Luini Lo scherno di Cam Vite Vitis vinifera L. 1515 - 1517 circa La vite allude all’ebbrezza di Noè e alla Passione di Cristo In questa porzione di prato in primo piano sono dipinte con perizia molte piante medicinali tipiche della campagna lombarda. Tra le altre: tarassaco, viola, felci, malva e piantaggine LA RAPPRESENTAZIONE Il soggetto de Lo Scherno di Cam, un’opera di Luini forse originariamente destinata alla chiesa milanese di San Barnaba, è tratto dalla Genesi (9, 20-27). Dopo il diluvio universale, Noè giace a terra nudo e ubriaco. I figli maggiori tentano di coprirlo con un drappo rosso, in segno di rispetto; Cam, il minore, irrompe da destra schernendo il vecchio padre e attirando così su di sé la maledizione per la sua stirpe. In luogo del Monte Ararat, dove è ambientata la scena secondo le Scritture, Luini raffigura una campagna tipicamente lombarda. Nel prato, in primo piano, si concentrano un gran numero di piante medicinali caratteristiche di quest’area. Ricca di significati è la vite alle spalle dei personaggi. Solitamente questa pianta è segno di prosperità e gioia, ma in questo contesto sono espliciti i rimandi cristologici. L’ubriachezza di Noè rappresenta il vino eucaristico bevuto da Gesù durante l’Ultima Cena. La nudità e la derisione del patriarca da parte del suo stesso sangue alludono alla Passione del Redentore sulla croce. GLI UTILIZZI La vite è una specie estremamente polimorfa che allo stato spontaneo - Vitis vinifera L. subsp. sylvestris (C.C. Gmel.) Hegi - ha forma di liana che può superare il secolo di età: vengono infatti descritte persino piante di 340 anni con rami lunghi oltre i 30 metri. A partire da questa, l’uomo ha selezionato nei millenni moltissime varietà con caratteristiche differenti nell’acino e più o meno adatte alle diverse produzioni: vino o uva da tavola. Le cultivar o vitigni coltivate sono inserite in Vitis vinifera L. subsp. vinifera. Altre specie del genere Vitis, importanti per la viticoltura, sono quelle di origine nordamericana che, direttamente o per ibridazione, hanno dato origine a varietà per portainnesti o per la produzione di uva. Tra questi si distinguono gli ibridi americani (Vitis rupestris Schelle, V. riparia Mich×. agg.) da quelli francesi (V. labrusca L., V. aestivalis Mich×.). Nonostante tutti i riferimenti storici e letterari siano legati al principale prodotto della vite, il vino, altre parti della pianta hanno indiscusse virtù. Le foglie svolgono un’importante attività antiossidante e regolano il microcircolo e l’apparato cardiovascolare, mentre l’olio estratto dai semi facilita l’integrità e la funzionalità delle membrane cellulari, il trofismo e la funzionalità della pelle e contrasta i disturbi dovuti al ciclo mestruale. Oltre all’uomo, un altro animale che ha stretto un forte legame evolutivo con il genere Vitis è lo storno (Sturnus vulgaris), che nella mutua simbiosi ha beneficiato di una preziosa fonte alimentare, mentre la vite di un efficace mediatore di disseminazione. Sala XXI Pianta n. 11 Carlo Crivelli Madonna della Candeletta Pero Pyrus communis L. 1490 circa Anche se non esplicitamente citato nella Bibbia, l’albero proibito è stato tradizionalmente identificato con il melo (in latino malus significa sia “cattivo” che “melo”). Il suo frutto è così diventato emblema del peccato. Se però associato a Maria e Gesù, rimanda alla redenzione dell’umanità Il vaso contiene rose bianche e gigli, che alludono alla purezza di Maria. Le rose rosse possono rimandare alla Carità, ma anche alla Passione di Gesù La pesca ha alcuni significati ricorrenti: temperanza, immortalità, verità Nella simbologia cristiana la pera è spesso connessa, per la sua dolcezza, all’amore di Dio per l’uomo Il colore rosso delle ciliegie potrebbe indicare il sangue versato da Cristo sulla croce, ma anche fiamma di carità LA RAPPRESENTAZIONE Carlo Crivelli nacque a Venezia intorno al 1430, coetaneo di Giovanni Bellini e di Andrea Mantegna. Si formò a Padova, presso la bottega di Squarcione. Negli anni sessanta si stabilì nelle Marche, dove si specializzò nella produzione di pale d’altare. Fu uno dei principali esponenti del linguaggio figurativo dell’area adriatica, caratterizzato da una originale commistione tra stilizzazioni ancora tardogotiche e naturalismo di matrice rinascimentale. Morì intorno al 1495. Nei suoi dipinti compaiono spesso fiori e frutta, sovente impaginati in festoni vegetali suggeritigli dall’opera di Squarcione, ma che probabilmente riprendono anche architetture vegetali effimere, e ai quali sono stati attribuiti significati simbolici. Nella Madonna della Candeletta, realizzata per il duomo di Camerino, la lettura complessiva della simbologia vegetale, considerate le specie vegetali raffigurate, allude alla salvezza dell’uomo. In particolar modo Gesù stringe in mano una pera dalla forma perfetta. Questo frutto è ricorrente in molte rappresentazioni della Vergine con il Bambino: la sua dolcezza tradizionalmente rimanda all’affetto e alla tenerezza tra Madre e Figlio. Non da ultimo, nella simbologia cristiana, la pera è spesso in connessione con l’amore di Dio per l’umanità. GLI UTILIZZI La piacevole dolcezza della pera, nonché le sue molteplicità di forme, sono qualità che il pero comune ha sviluppato per nutrirci, deliziarci, ispirarci, perfino inebriarci. Pyrus communis L. è infatti una specie che non esiste allo stato spontaneo, ma solo coltivata dall’uomo. La sua origine, ottenuta dall’incrocio di peri selvatici, è ipotizzata in un’area compresa tra Anatolia, Caucaso, Transcaucasia e Asia Centrale. Nel corso degli anni sono state create molte varietà con diversità di forme, sapori, epoche di maturazione; la pera ebbe il suo culmine tra il 1750 ed il 1850, detto il secolo d’oro della pera, durante il quale si arrivò a crearne più di mille varietà differenti. Oltre al suo largo impiego alimentare e mitologico, la pera svolse un importante ruolo terapeutico, come si desume dagli scritti di Dioscoride, Galeno, Mattioli, che la indicava utile perfino per eliminare la tossicità dei funghi velenosi. Con alcune varietà veniva preparato un medicamento chiamato liquamen castimoniale, impiegato come bevanda di castità e ottenuto pressando le pere con sale fino ad ottenere una poltiglia che veniva conservata, per almeno tre mesi, in piccole botti e quindi addizionata con un estratto in vino rosso di Nigella sativa. In epoca più recente se ne impiegavano le foglie, per il contenuto di arbutina, nella cura di patologie urinarie, e i frutti venivano utilizzati come diuretici ed antiuricemici. Oggi se ne consiglia il consumo per il ridotto contenuto di glucosio, per l’apporto di fibra solubile, vitamina C e flavonoidi. Sala XXII Pianta n. 12 Dosso Dossi San Sebastiano Arancio Citrus sinensis (L.) Osbeck 1524 circa La pianta di arance potrebbe rinviare alla fede salda e incorruttibile di Sebastiano, oppure nella scena di martirio la rara presenza dell’agrume potrebbe essere interpretata in chiave amorosa L’edera che si arrampica sul tronco dell’arancio allude anch’essa alla devozione e alla fedeltà perenne LA RAPPRESENTAZIONE Giovanni Luteri detto Dosso Dossi (Quistello, Modena 1473/1474 - Ferrara 1542) fu l’artista di punta della corte ferrarese di Alfonso d’Este nel primo Cinquecento, l’epoca di Ludovico Ariosto. Formatosi sui maestri ferraresi e veneziani, frequentò Firenze e Roma, studiando Michelangelo e Raffaello. In quest’opera, realizzata per una chiesa di Cremona intorno al 1526, Dossi rappresenta San Sebastiano secondo l’iconografia più ricorrente: legato ad un albero (altre volte è una colonna) e trafitto dalle frecce. Non frequente è la scelta di dipingere un arancio, il cui frutto è più sovente connesso alla figura di Maria, quale emblema di purezza e castità, o a quella di Cristo, come simbolo di redenzione. In questo caso, essendo la pianta un sempreverde, potrebbe rappresentare un’allusione alla rettitudine e alla fede incorruttibile di Sebastiano. L’arancia è anche presente nelle simbologie amorose profane: dunque in questo caso potrebbe essere messa in relazione con l’amore nei confronti di Dio, il che spiegherebbe anche lo sguardo intenso e quasi estatico del santo. Bisogna poi considerare che Dossi lavorò prevalentemente a Ferrara, famosa nel Rinascimento per i suoi giardini, tra i quali la Loggia degli Aranci di Palazzo Ducale. GLI UTILIZZI Fu solo agli inizi dell’epoca moderna, nel 1525, almeno quattro secoli dopo l’introduzione dell’arancio amaro, che l’Europa fece la conoscenza dell’arancio dolce - Citrus sinensis (L.) Osbeck - (comunemente melarancia o portogallo), “originari della China, del Giappone, della Cocincina, e delle Isole del Mar Pacifico” (Antonio Targioni Tozzetti, 1853). Secondo alcuni, il merito fu del governatore portoghese Giovanni de Castro che, di ritorno dalla Cina, ne portò una pianta a Lisbona. Il Mattioli, medico e botanico senese del Cinquecento, parla degli aranci dolci, e lo stesso fa il frate domenicano fiorentino tardocinquecentesco Agostino del Riccio, come di piante non nuove, ma anzi da molto tempo indietro conosciute e coltivate. Quello che è certo è che indagini recenti hanno stabilito che si tratta di un incrocio tra il mandarino (C. reticulata) ed il pummelo (C. maxima). Note erano sin dall’antichità le sue virtù terapeutiche, trattate già da Avicenna nel suo antidotario. La scorza e i frutti di arancio svolgono una azione tonica e stomachica per la presenza di olio essenziale, costituito da limonene e linalolo e da composti di natura flavonoidica. Inoltre sono state isolate due sostanze ad attività opposta, una ipoglicemizzante e l’altra iperglicemizzante. Sala XXIV Pianta n. 13 Raffaello Sanzio Sposalizio della Vergine Oleandro Nerium oleander L. 1504 La tradizione vuole che la verga consegnata ai pretendenti di Maria fosse di legno di oleandro LA RAPPRESENTAZIONE Raffaello Sanzio (Urbino 1483 – Roma 1520) fu alunno di Perugino e la sua maturità artistica si compì nel 1508, quando da Firenze (dove conobbe Leonardo e Michelangelo) si trasferì a Roma, per lavorare nel cantiere vaticano. Fu uno dei protagonisti indiscussi del Rinascimento e le sue opere sono caratterizzate da equilibrio compositivo, armonia cromatica e misurata espressività. Lo Sposalizio della Vergine è uno dei capolavori giovanili, realizzato per la chiesa di San Francesco a Città di Castello. Sullo sfondo vi è un tempio a pianta circolare, verso il quale converge la prospettiva perfetta della piazza lastricata. In primo piano si svolge la scena principale: un sacerdote officia il matrimonio tra Maria e Giuseppe. Come vuole la tradizionale iconografia, la giovane è accompagnata da un gruppo di donne; l’uomo è invece circondato dai pretendenti non prescelti. I vangeli apocrifi narrano che per scegliere lo sposo di Maria fu consegnato un ramo secco di oleandro ad ognuno dei contendenti. Solo quello di Giuseppe miracolosamente fiorì e la scelta ricadde su di lui: da quel momento la pianta fu denominata “mazza di San Giuseppe”. GLI UTILIZZI L’oleandro è pianta ampiamente utilizzata per fini ornamentali, il cui fascino è però offuscato da un ormai noto lato oscuro legato alla tossicità di alcuni suoi composti. In tempi antichi, si credeva fosse giunto dalla terra di Colchide, ritenuta la patria della magia, ed era considerato una delle piante di Medea, figura ambigua dotata di straordinari poteri magici. Di questa sua componente magica si può trarre testimonianza anche da autori del passato: Senofonte (ca. 430-355 a.C.) nell’Anabasi riporta che alcuni soldati vennero inebriati e avvelenati dal miele che era stato prodotto dai rododendri del Ponto (Rhododendron ponticum L.) e apparentemente dagli oleandri dai fiori rossi (Nerium oleander L.); Teofrasto riferisce che la radice macerata nel vino rendeva il temperamento dell’uomo più dolce e allegro. Popolarmente è noto anche come “ammazzalasino”, in accordo con le Metamorfosi di Apuleio, oppure “mazza di San Giuseppe”. Come riferito, l’oleandro presenta tossicità in tutte le sue parti di glicosidi cardioattivi. Dal lato terapeutico il più importante di questi glicosidi è l’oleandrina. Dall’oleandro è stato inoltre estratto un olio particolare, l’oleandrosio, e un eteroside, la nerina, ad azione strofantino-simile. Sala XXVII Pianta n. 14 Timoteo Viti La Vergine Annunciata e i Santi Giovanni Battista e Sebastiano Clematide Clematis vitalba L. 1515 circa La clematide rampicante sul tronco cui è legato San Sebastiano potrebbe sostituire l’edera, che solitamente indica la fede incorruttibile dei santi LA RAPPRESENTAZIONE Timoteo Viti (Urbino 1469-1523) si formò a Bologna, nella bottega di Francesco Francia. Le sue opere sono caratterizzate da composizioni semplici ed equilibrate, e dalla dolcezza delle espressioni. La Vergine Annunciata e i Santi Giovanni Battista e Sebastiano, del 1515, fu realizzata per la chiesa urbinate di San Bernardino, ove era conservata anche la Pala Montefeltro di Piero della Francesca. La scena è ambientata in un paesaggio naturale, all’interno del quale sono riconoscibili alcune piante medicinali. Nella porzione di prato in primo piano vi sono margherite, primule e viole; sull’albero al quale è legato San Sebastiano è dipinta, con una sorprendente aderenza alla realtà, una clematide rampicante. In questo caso le specie vegetali sembrano avere un valore più descrittivo del paesaggio naturale del Centro Italia che simbolico. La viola è però tradizionalmente simbolo di umiltà e modestia, e quindi potrebbe essere associata alla Vergine Annunciata; la clematide potrebbe sostituire l’edera, ricorrente in altre raffigurazioni di santi a richiamare la loro fede incorruttibile. In questa porzione di prato sono riconoscibili margherite, primule e viole. Quest’ultima pianta è solitamente connessa a Maria, in quanto simbolo di modestia e umiltà GLI UTILIZZI È certamente la pianta a forma lianosa più nota e diffusa delle regioni temperate, ricca di attribuzioni e significati talvolta contraddittori. Nell’ottocentesco linguaggio dei fiori c’è chi le assegna il significato di artificio, perché i mendicanti, per farsi commiserare, si procuravano, strofinandosi con la pianta, degli ascessi fittizi; per altri la vitalba indica l’intelligenza limpida e onesta. La sua notorietà e considerazione è da sempre massima nelle aree rurali, dove si adopera come cibo quando ancora allo stato di germoglio, sin da epoca romana, come riporta Columella (L’arte dell’agricoltura e Libro sugli alberi), in particolare la C. vitalba. Oltre all’uso alimentare, già nell’antichità le venivano riconosciute proprietà medicinali: Dioscoride le attribuiva la capacità di guarire la lebbra, mentre attorno al XVIII secolo si adoperava per preparare l’olio rosato, che “riesce di gran giovamento nella Sciatica non solo adoperato esternamente ma preso ancora per bocca al peso di tre dramme” (G.G. Zannichelli, 1735). Un curioso utilizzo popolare prevedeva l’introduzione di piccole quantità di pianta fresca nelle narici come analgesico per le emicranie. Oggi l’utilizzo per via interna è fortemente sconsigliato, per la presenza, in tutta la pianta adulta, di protoanemonina, sostanza irritante e vescicante. Sala XXXVII Pianta n. 15 Pierre-Paul Prud’hon Ritratto di Giovanni Battista Sommariva Acanto Acanthus mollis L. 1813 LA RAPPRESENTAZIONE Pierre-Paul Prud’hon (Cluny 1758 – Parigi 1823) fu uno dei principali artisti del periodo napoleonico. Iniziò i suoi studi a Digione e Parigi, per poi spostarsi a Roma tra il 1784 e il 1788. Amico di Antonio Canova, è famoso soprattutto per i ritratti di illustri contemporanei. Nel Ritratto di Giovanni Battista Sommariva è immortalato uno dei personaggi più influenti della Milano napoleonica, nonché grande esperto d’arte. L’uomo ha deciso di farsi ritrarre immerso nella quiete del suo parco, circondato da due sculture realizzate dal Canova per la sua collezione personale. Il cespuglio di acanto in primo piano contribuisce a rafforzare gli intenti celebrativi del dipinto. L’acanto rappresenta infatti il prestigio e il benessere materiale e comporta un richiamo all’arte classica: basti pensare ai motivi decorativi tipici dei capitelli di ordine corinzio ispirati proprio a questa pianta. L’acanto simboleggia il benessere materiale e rievoca i motivi decorativi dell’arte greca GLI UTILIZZI L’acanto è specie di grande bellezza, largamente adoperata per decorare le zone ombrose e fresche in parchi e giardini. Il fascino delle sue foglie, caratterizzate da margini frastagliati e nervature pronunciate, ha attirato l’attenzione di artisti del passato, che la apprezzavano al punto da impiegarla come spunto per la decorazione di mobili, vasi, vesti preziose, colonne. Lo stesso Plinio assicura, a quanto scrive Charlotte De Latour nel suo Linguaggio dei fiori, pubblicato intorno al 1819, che si tratta di una “pianta erbacea meravigliosamente utile come motivo decorativo”. L’acanto comune è pianta erbacea perenne inconfondibile per le foglie verde brillante, a contorno spatolato, pennatopartite, con lobi profondamente divisi di grandi dimensioni (lunghe anche 60 centimetri). La sua presenza spontanea in Italia, nelle stazioni naturali di crescita, è di gran lunga inferiore alla diffusione in stazioni secondarie legate agli insediamenti umani. Foglie e radici svolgono un’azione emolliente e lenitiva sia sul sistema digerente sia sulle vie urinarie. Tra gli impieghi popolari tradizionali che sono stati oggetto di approfondimento merita di essere citato l’impiego che se ne fa nel Sud Italia contro la psoriasi e altre malattie della pelle. Sala XXXVII Pianta n. 16 Eugenio Gignous Fiori nel chiostro Malvarosa Alcea rosea L. 1877 Nell’ottocentesco linguaggio dei fiori, il malvone, o malvarosa, è rappresentativo della fertilità e dell’ambizione femminile LA RAPPRESENTAZIONE Eugenio Gignous (Milano 1850 – Stresa 1906) iniziò la sua formazione artistica presso l’Accademia di Brera. Amico di Tranquillo Cremona e vicino all’ambiente bohémien della Scapigliatura, si dedicò soprattutto alle pitture di paesaggio, creando visioni poetiche caratterizzate da dissolvenze cromatiche, atmosfere avvolgenti e contorni indeterminati. In Fiori nel chiostro alcune suore passeggiano all’interno del convento, in un giardino lasciato spontaneo. Il vero protagonista della vicenda sembra essere il grande malvone in primo piano, ben riconoscibile nonostante le pennellate veloci e vibranti. Nel linguaggio dei fiori di epoca vittoriana questa pianta ornamentale era connessa alla fecondità e all’ambizione femminile. Tutto questo sembra essere in netta contraddizione con le protagoniste del dipinto, le suore, ma forse è proprio questo il paradosso che voleva suggerire l’artista. Spesso la pittura scapigliata propone soggetti anticonformisti e perfino amorali, anche di ispirazione letteraria; basti pensare alla fascinazione esercitata da un’altra suora, la Gertrude monaca di Monza dei Promessi sposi. GLI UTILIZZI In qualunque fonte storica lo si ricerchi, il significato del nome della Althea rosea, oggi cambiato in Alcea rosea L., evidenzia un’accezione legata al suo valore medicinale. Già Plinio la considerava specie dalle meravigliose proprietà medicinali, e Ippocrate la consigliava per ogni tipo di ferita e addirittura contro i morsi velenosi di serpenti, ragni e scorpioni. Curioso è l’effetto riportato da Teofrasto in De causis plantarum, che descrive la capacità delle foglie di gelare l’acqua, conseguenza dell’elevata presenza di mucillagini, anche se queste sono in realtà concentrate principalmente nella radice, che ne è la droga principale. Proprio la presenza di queste mucillagini, costituite da diversi polisaccaridi e anche proteine, alcaloidi, flavonoidi e minerali, conferisce proprietà emollienti utili per la funzionalità delle mucose dell’apparato respiratorio e il benessere della gola. Svolgono inoltre attività emolliente e lenitiva sul sistema digerente e urinario e sono debolmente lassative. Studi farmacologici asiatici riportano che questa pianta svolge anche attività antibatterica ed effetti analgesici. Nonostante la sua grande diffusione nei giardini, è controversa la sua presenza come specie spontanea sul territorio italiano. Sala XXXVIII Pianta n. 17 Giovanni Segantini Pascoli di primavera Pino mugo Pinus mugo Turra 1896 Il pino mugo e i rododendri in primo piano sono le piante che caratterizzano il panorama alpino dipinto da Segantini LA RAPPRESENTAZIONE Giovanni Segantini, nato ad Arco (Trento) nel 1858, studiò presso l’Accademia di Brera. Inizialmente influenzato dal naturalismo lombardo, si avvicinò all’opera di JeanFrançois Millet e alle ricerche divisioniste francesi. Nel 1894 si stabilì in Engadina, dove dipinse fino alla morte, avvenuta nel 1899. I soggetti delle sue opere sono legati al mondo contadino e pastorale. La tecnica utilizzata è il divisionismo, con dense pennellate di colore puro accostate fra loro, capaci di rendere le atmosfere rarefatte e la luminosità dell’alta montagna. Inoltre, a partire dagli anni novanta, si avvicinò al simbolismo, esaltando la spiritualità e il senso di religiosità che permeano le sue visioni naturalistiche. Amatissima da Segantini, Pascoli di primavera è una veduta della zona del Maloja con pennellate filamentose, che restituisce la vibrazione cromatica e la trasparenza tipiche delle altitudini. Uomo e natura (l’uomo sullo sfondo, il pino mugo e i rododendri in primo piano) sono fusi in una visione serena ed estremamente lirica: un senso di pace e di tranquillità pervade il dipinto. GLI UTILIZZI La muga, o pino mugo, è una tipica pianta dell’arco alpino, descritta per la prima volta dal botanico Antonio Turra (1746) sul Monte Baldo in Trentino, che ne è quindi il locus classicus. Lo scrittore e scultore Mauro Corona si fa ancora oggi portavoce della credenza dei popoli alpini, descrivendola con queste parole: “la cattiva per eccellenza. Subdola di natura, cresce falsa e disonesta ed è anche rompiscatole. Come tutti i vili sta col branco e, al pari dei noccioli e dei sambuchi, trae forza dal numero. Il cuore e il corpo li tiene nascosti per non doverli donare ad altri. Assomiglia a quel cauto miliardario che si finge povero e nullatenente per paura che un amico bisognoso gli possa chiedere diecimila lire. Se la stringi ti dà l’idea di affidamento e a volte tiene. Ma se gli stai antipatico, e in un pendio ripido ti aggrappi a lei per tirarti su, ecco che ghignando fa ‘crac’ e ti molla di sotto”. In realtà per questo caratteristico portamento prostrato-ascendente, la pianta svolge un importante ruolo contro il dilavamento del suolo e la caduta di valanghe. Dalla distillazione dei suoi rami si ottiene un olio essenziale dal caratteristico nome: il mugolio, ad attività antisettica, balsamica e secretolitica, che svolge la propria attività principalmente sull’apparato respiratorio. PIANTA 1 SALA VI Borragine - Borago officinalis L. Disputa di Santo Stefano fra i Dottori nel Sinedrio, Vittore Carpaccio 2 VII Marruca - Paliurus spina-christi Mill. Pietà, Giovanni Bellini 3 IX Edera - Hedera helix L. San Gerolamo penitente, Tiziano Vecellio 4 XIV Olivo - Olea europaea L. Resurrezione di Cristo tra i Santi Gerolamo, Giovanni Battista e due offerenti, Cariani (Giovanni Busi) 5 XVIII Melograno - Punica granatum L. Venere e Cupido con due satiri in un paesaggio, Simone Peterzano 6 XVIII Gelso nero - Morus nigra L. Fruttivendola, Vincenzo Campi 7 XVIII Biancospino - Crataegus monogyna Jacq. Madonna col Bambino con i Santi Mattia, Antonio da Padova, il beato Alberto di Villa d’Ogna, Giulio Campi 8 XIX Rosa - Rosa ×damascena Mill. Madonna col Bambino (Madonna del Roseto), Bernardino Luini 9 XIX Alloro - Laurus nobilis L. Ritratto di giovane, Giovanni Antonio Boltraffio 10 XIX Vite - Vitis vinifera L. Lo scherno di Cam, Bernardino Luini 11 XXI Pero - Pyrus communis L. Madonna della Candeletta, Carlo Crivelli 12 XXII Arancio - Citrus sinensis (L.) Osbeck San Sebastiano, Dosso Dossi (Giovanni di Niccolò Luteri) 13 XXIV Oleandro - Nerium oleander L. Sposalizio della Vergine, Raffaello Sanzio 14 XXVII Clematide - Clematis vitalba L. La Vergine Annunciata e i Santi Giovanni Battista e Sebastiano, Timoteo Viti 15 Acanto - Acanthus mollis L. XXXVII Ritratto di Giovanni Battista Sommariva, Pierre-Paul Prud’hon 16 Malvarosa - Alcea rosea L. XXXVII Fiori nel chiostro, Eugenio Gignous 17 Pino mugo - Pinus mugo Turra XXXVIII Pascoli di primavera, Giovanni Segantini