069-073:REGDOC 17-2008.qxd 9-02-2011 15:42 Pagina 69 S tudi e commenti Credenti in dialogo. Utopia o risorsa? Lezione dottorale del card. Jean-Louis Tauran all’Institut Catholique di Parigi Vedere il volto di Dio nell’altro Nella sua dissertazione per il dottorato honoris causa ricevuto a Parigi (23.11.2010), il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso si è soffermato sulla necessità del confronto tra credenti delle diverse religioni nel momento storico attuale. I rischi, le potenzialità e le esigenze di una ricerca comune nel dialogo in una stagione culturale segnata a un tempo dal ritorno del religioso, ma anche dall’indebolimento delle identità e da una razionalità chiusa al divino che «respinge la religione nell’ambito delle sottoculture», sono tra i temi affrontati da un testo aperto al positivo contributo delle religioni alla costruzione delle società nella giustizia e nella pace. Fedeltà alla propria tradizione, apertura coraggiosa alla diversità e rigetto di ogni forma di violenza in nome della religione, che significa l’esigenza «di coniugare la fede con la ragione», vengono indicate da Tauran come le basi di un dialogo autentico nel quale i cristiani sono chiamati a offrire «in maniera credibile la loro collaborazione a tutti coloro che si sforzano di fare di questa terra un luogo dove vivere insieme è un bene». Opuscolo, Parigi 2010. Nostra traduzione dal francese. Sottotitoli redazionali. IL REGNO - DOCUMENTI 3/2011 Alla data di oggi, trentuno dei miei quarantun anni di sacerdozio sono stati consacrati al dialogo: ventotto nel servizio diplomatico della Santa Sede e un po’ più di tre nell’ambito del dialogo interreligioso. A dire il vero, lo stesso giorno della mia ordinazione sacerdotale, il 20 settembre 1969, avevo scelto di scrivere dietro l’immaginetta a ricordo questa convinzione di Paolo: «Cristo ha affidato a noi il ministero della riconciliazione (…) In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta» (2Cor 5,18.20). Ben presto ho scoperto che a dialogare non sono delle strategie o delle religioni, ma degli uomini e delle donne concrete, capaci del meglio come del peggio, perché loro stessi divisi tra il bene e il male. Queste persone, che amano e che tradiscono, che creano e che distruggono, capaci di prodezze tecniche imprevedibili come di atti tra i più barbari, sono miei fratelli. Io non li ho scelti. Dio mi chiede di amarli e di servirli: «Il ricorso alla religione – afferma il messaggio dei partecipanti alla recente Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente – deve portare ogni persona a vedere il volto di Dio nell’altro» (Regno-doc. 19,2010,641) e a trattarlo come Dio lo tratta: con bontà, giustizia, amore. Nel mondo complesso che abbiamo costruito tutto si coniuga al plurale, comprese la cultura e la religione. Dopo la fine dell’unanimità culturale, la messa in quarantena del religioso, l’indebolimento dei modelli, ecco che la religione è divenuta in pochi anni un elemento imprescindibile della vita politica, economica e sociale. Ci si domanda perfino se non sia conveniente insegnare «il fatto religioso» a scuola. Certo, la pratica religiosa nella società occidentale è diminuita. Viviamo l’epoca del believing without belonging (credere senza appartenere; ndr ). Si registra una ridefinizione del paesaggio religioso su un modello più individualista che potrebbe esser dovuto a quattro fattori: – le sette; 69 069-073:REGDOC 17-2008.qxd 9-02-2011 15:42 Pagina 70 S tudi e commenti – le nuove comunità sorte dai movimenti carismatici cattolici; – il successo incontrato dalle religioni asiatiche (buddismo); – la presenza ormai stabile di musulmani di tutte le provenienze e obbedienze (3-5% della popolazione europea). Eppure la filosofia dei Lumi ci aveva assicurato che soltanto la ragione poteva accedere alla verità. Lo scientismo ci aveva insegnato che tutto ciò che la ragione non può giustificare semplicemente non esiste. Il programma della rivoluzione francese era chiaro: organizzare la società senza Dio. L’uomo, messo al centro del mondo, nella sua autosufficienza, capace di prodezze scientifiche innegabili, non aveva bisogno della religione per vivere e per sopravvivere. Homo homini deus? Ci sono coincidenze nella storia che sono in realtà degli appuntamenti. Il 25 agosto 1900, a Weimar, uno scrittore moriva nella follia, Friedrich Nietzsche. Qualche tempo prima aveva steso una sorta di biografia, Ecce homo, rivelatrice dell’angoscia che lo attanagliava: «Dov’è Dio?» si domandava. «Ve lo dirò io: lo abbiamo ucciso, voi ed io. Dio è morto; siamo noi ad averlo ucciso». Nello stesso momento, a Roma, un vecchio papa, Anna Maria Cànopi Ha salvato ogni uomo Via Crucis C on sapienza ed esperienza l’autrice accompagna il credente a riconoscere in Cristo l’ultimo tra gli ultimi, il più povero tra i poveri, contemplando il Salvatore del mondo che si fa carico della debolezza di tutti gli uomini. La struttura classica della Via Crucis, unita alla semplicità e alla profondità delle meditazioni, favorisce la partecipazione dei fedeli. «Sussidi per i tempi liturgici» pp. 36 - € 1,70 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 70 Leone XIII (che aveva allora novant’anni), redigeva quella che sarebbe stata l’enciclica Tametsi futura, resa pubblica il 1° novembre 1900: «Bisogna reintegrare nel suo dominio Cristo signore. (…) Molti sono lontani da Gesù Cristo per ignoranza, più che per cattiva volontà; molti sono infatti coloro che si dedicano a studiare l’uomo, a studiare il mondo, ma pochissimi sono coloro che cercano di conoscere il Figlio di Dio. (…) Noi scongiuriamo tutti i cristiani, quanti e dovunque sono, di fare tutto il possibile per conoscere il loro Redentore, quale veramente egli è» (EE 3/1518-1519). L’accostamento dei due testi è rivelatore del dramma spirituale che vivono ancora gli uomini e le donne di questo tempo. Da un lato, la ribellione dell’intelligenza e, dall’altro, l’adesione a un Dio che esercita la sua sovranità sullo spirito di ognuno nella concretezza del quotidiano. Abbiamo sperimentato cos’è il mondo senza Dio: l’inferno. L’umanità ha conosciuto nel secolo scorso la notte di due totalitarismi che hanno generato gli eccessi che conosciamo fin troppo bene. Essi avevano annunciato la morte di Dio, programmato la persecuzione dei credenti ed escluso definitivamente la religione dallo spazio pubblico. Ma Dio, che era stato congedato, era in realtà sempre là. Come avrebbe potuto essere altrimenti? L’ateismo insegnato e praticato non è mai riuscito a sopprimere Dio dall’orizzonte dell’uomo. La ricerca di Dio che sorge più forte che mai, il sacro che interroga, la presenza di un islam europeo che va affermandosi, il successo delle sette, l’attrazione esercitata dalle saggezze venute dall’Asia, il lungo pontificato di Giovanni Paolo II che ha ridato alla Chiesa la sua visibilità e l’insegnamento di papa Benedetto XVI che le dà la sua interiorità, hanno contribuito a ricordarci che l’uomo è prima di tutto la creatura che si interroga sul «senso del senso» (Paul Ricoeur). È la coscienza – la facoltà di riflettere sul proprio destino, sul senso della vita e della morte – che distingue l’uomo dai vegetali e dagli animali. Egli è il solo a considerare la possibilità di un aldilà. Le tombe e i riti funerari della preistoria testimoniano di un tale rapporto dell’uomo col divino. Da 100.000 anni, il fatto religioso s’impone. La religione non rappresenta una stagione particolare della storia, essa appartiene alla natura dell’uomo. Nelle nostre società multiculturali e plurireligiose, tutti, credenti e non credenti, ci poniamo le tre domande fondamentali di Immanuel Kant: che cosa posso conoscere? Che cosa devo fare? Che cosa posso sperare? Credenti o non credenti, tutti attendiamo qualcosa che dia senso alla nostra esistenza, che salvi la nostra vita dall’inutilità e dall’abisso. Alcuni lo trovano nella politica, altri nell’apparire, altri ancora nell’edonismo. Come ha ben colto Dostoevskij, «l’uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l’uomo rifiuta Dio, si inginocchierà davanti a un idolo. Noi siamo tutti idolatri, non atei». Il desiderio di credere è così forte nell’uomo che, dopo aver espulso Dio dalla propria vita, un’altra fede vi s’insedierà: la fede in un altro assoluto che non è altro che l’uomo stesso: «Homo IL REGNO - DOCUMENTI 3/2011 069-073:REGDOC 17-2008.qxd 9-02-2011 15:42 Pagina 71 homini deus», per dirla con Feuerbach. Ieri Dio era assente; oggi ci sono troppi dei! Conoscersi per arricchirsi È in questo contesto che si situa il dialogo interreligioso. Ma che cos’è il dialogo? «La ricerca di un’intesa motivata tra due individui o sistemi di pensiero in vista di un’interpretazione comune del loro accordo o del loro disaccordo». Osserviamo: intesa motivata, ciò significa che si utilizza la ragione e non la violenza. Interpretazione comune: si è alla ricerca di uno stesso linguaggio. Accordo o disaccordo: onestà nel presentare il proprio punto di vista o quello della propria comunità. Tutto questo presuppone evidentemente che ciascuno dei partner sia abitato da un desiderio profondo di fare tutto quanto è nelle sue possibilità per comprendere il punto di vista dell’altro. Quando i credenti dialogano, cercano di conoscersi e di arricchirsi gli uni gli altri con il rispettivo patrimonio spirituale, nel rispetto della libertà di ciascuno, al fine di considerare ciò che essi possono fare insieme per il bene della società. Il dialogo interreligioso non ha come scopo la conversione dell’altro, benché sovente la favorisca. Siamo di fronte al mistero di due libertà, quella di Dio e quella dell’uomo, sulle quali non abbiamo nessuna presa. Non si tratta di rinunciare alle proprie convinzioni. Si tratta di accettare e prendere in considerazione argomenti differenti dai miei o da quelli della mia comunità. Dia-logos, lasciarsi attraversare dalla parola dell’altro. Attenzione, noi non diciamo che tutte le religioni si equivalgono; noi diciamo: tutti i cercatori di Dio hanno la stessa dignità, o, per riprendere le parole di papa Benedetto XVI, tutti siamo invitati a «scrutare il mistero di Dio alla luce delle nostre tradizioni religiose e delle nostre rispettive saggezze, per discernerne i valori atti a illuminare gli uomini e le donne di tutti i popoli della terra, qualunque sia la loro cultura e la loro religione» (BENEDETTO XVI, Discorso ai membri fondatori della Fondazione per la ricerca e il dialogo interreligiosi e interculturali; 1.2.2007). Le nostre rispettive tradizioni religiose insistono tutte sul carattere sacro della vita e sulla dignità della persona umana. Con gli uomini di buona volontà aspiriamo alla pace e per questo, lo ripeto con insistenza, la ricerca e il dialogo interreligioso non sono un’opzione, ma una necessità del nostro tempo. Riconosciamo che Dio è all’opera in ciascun uomo (il Verbo è «la luce vera, quella che illumina ogni uomo»; Gv 1,9). Nelle altre religioni si possono dunque trovare dei segni della verità rivelata da Cristo, come in un’opera in attesa di compimento: «La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini» (VATICANO II, Nostra aetate, n. 2; EV 1/857). Il dialogo interreligioso non sarà però autentico se ciascuno non resta fedele alla sua fede. Non la si mette affatto tra parentesi: al contrario, la si approfondisce per poterne meglio dare ragione. Direi che tre atteggiamenti s’impongono: – il dovere dell’identità: avere un’identità spirituale (problema dell’ignoranza in materia religiosa); – il coraggio dell’alterità: gli altri credenti possono arricchirmi; – la franchezza delle nostre intenzioni: testimoniamo, proponiamo, evitando gli eccessi del proselitismo. Le religioni tra opportunità e rischio Il paradosso sta nel fatto che le religioni vengono spesso percepite come un pericolo: fanatismo, fondamentalismo, derive settarie sono sovente associate alla religione, e questo soprattutto a causa di azioni terroristiche ispirate da motivazioni religiose, perpetrate da adepti deviati e minoritari di una religione. «Nessuna circostanza vale a giustificare tale attività criminosa, che copre di infamia chi la compie, e che è tanto più deprecabile quando si fa scudo di una religione, abbassando così la pura verità di Dio alla misura della propria cecità e perversione morale». Non conosco una condanna più forte e incisiva di quella pronunciata da Benedetto XVI davanti al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede all’inizio dell’anno 2006 (Regno-doc. 3,2006,82). In effetti le religioni – o meglio, alcuni credenti – sono capaci del meglio come del peggio. Le religioni possono mettersi al servizio di un progetto di santità o di alienazione; esse possono predicare la pace o la guerra. Da ciò scaturisce la necessità per i loro responsabili di coniugare la fede con la ragione. Benedetto XVI lo ha richiamato nella sua celebre lezione all’Università di Regensburg il 12 settembre 2006: «“In principio era il logos” (…) Logos significa insieme ragione e parola, una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione (…) Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture» (Regno-doc. 17,2006,542.544). Cosa possono apportare le religioni alla società, sono esse una risorsa? La mia risposta è evidentemente affermativa. Se esiste un umanesimo, esso affonda le sue radici nell’humus cristiano: la persona umana come valore supremo, la sua dignità, i suoi diritti fondamentali, il principio di solidarietà e sussidiarietà, la giustizia e la pace sono valori cristiani. La prima scuola sul continente europeo verrà fondata da un monaco, Alcuino, alla corte di Carlo Magno. Sarà la Chiesa cattolica a fondare le prime università. Le élites dei continenti d’Africa e di Asia si sono formate dentro istituzioni educative cristiane. Vi sono pensatori e teologi all’origine del diritto IL REGNO - DOCUMENTI 3/2011 71 069-073:REGDOC 17-2008.qxd 9-02-2011 15:42 Pagina 72 S tudi e commenti delle genti. È il papato ad aver realizzato le prime mediazioni di pace. Infine, va ricordato che è stato il cristianesimo a render possibile l’inscrizione nelle società moderne della distinzione tra il fatto politico e quello religioso, principio che ha stravolto le relazioni internazionali. Poiché siamo a Parigi, in Europa, io dirò che le religioni hanno una missione di dialogo e d’unità in ordine alla costruzione dell’Europa di oggi e di domani. Louis Massignon sosteneva che, a suo giudizio, ciascuna delle tre religioni monoteiste illustrasse più particolarmente una delle virtù teologali: Israele, la speranza; il cristianesimo, la carità; l’islam, la fede. Al di là di queste formule, è chiaro che i credenti hanno una responsabilità personale e comunitaria nella costruzione delle società. Tutte le religioni considerano: – la famiglia come ambito nel quale si apprende a vivere insieme: generazioni e scelte differenti; – che la terra, quella in cui sono nato e che ha una storia, plasma la mia identità; – che l’educazione non è soltanto conoscenza, ma trasmissione di valori e che la politica e l’economia non sono il tutto dell’uomo; – infine, la necessità della vita interiore. La grandezza dell’ebraismo, come anche quella dell’islam, si trova senza dubbio nella denuncia dell’idolatria. La grandezza del cristianesimo è ricordare che Dio si è fatto uomo affinché noi diventassimo suoi figli. Insieme dobbiamo denunciare ogni pretesa dell’uomo di farsi Dio. Non dimentichiamo mai che la tentazione del paganesimo è quella di divinizzare tutto! Ma se noi cristiani, in particolare: – esprimiamo il sentimento di essere abitati da qualcuno; – sappiamo accogliere l’altro nella sua diversità; – cerchiamo di apprezzare le qualità degli altri; – proviamo a metterci dalla parte di coloro che non hanno nessuna ricchezza, nessuna cultura, piuttosto che dalla parte di coloro che contano; allora ciò vorrà dire che un mondo migliore è possibile e potremo offrire in maniera credibile la nostra collaborazione a tutti coloro che si sforzano di fare di questa terra un luogo dove vivere insieme è un bene. Tutti i credenti dovrebbero poter unire la loro buona volontà quando si tratta di servire, di prendersi cura, di educare. Oscar Cullmann Il mistero della Redenzione nella storia P ubblicato per la prima volta nel 1965, lo studio offre una trattazione sistematica della storia della salvezza neotestamentaria: come se ne è formata la concezione, quale ne è la fenomenologia, quali le principali posizioni neotestamentarie. Le risultanze dell’analisi esegetica vengono poi applicate a problemi dogmatici fondamentali. Un ‘classico’ della teologia, ora riproposto in versione economica. Due grandi ostacoli «Economica EDB» pp. 540 - € 25,00 Purtroppo, però, due grandi ostacoli condizionano la testimonianza dei credenti: la crisi dell’intelligenza e la difficoltà nella trasmissione dei valori. La crisi dell’intelligenza: siamo uomini e donne super-informati, ma abbiamo grandi difficoltà a pensare, a mettere in ordine le nostre idee, a gustare il silenzio. Ciò che maggiormente manca all’uomo di oggi è una vita interiore. Pascal diceva: «La grande disgrazia degli uomini è che non sanno trovar pace nella loro stanza». Dello stesso autore: Cristo e il tempo La concezione del tempo e della storia nel Cristianesimo primitivo pp. 368 - € 18,70 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 72 IL REGNO - DOCUMENTI 3/2011 069-073:REGDOC 17-2008.qxd 9-02-2011 15:42 Pagina 73 La crisi della trasmissione dei valori: siamo assicurati contro tutti gli infortuni, eccetto la malattia e la morte; ciò che importa è sentirsi bene senza vincoli, perfino se questo significa sacrificare l’amico, il parente, il collega. Si pratica un umanesimo sociale che si riduce a dire: non facciamo il male, ma non abbiamo bisogno di Dio per fare il bene. È un mondo chiuso a Dio! L’uomo è in sé capace di autentiche grandezze; egli non ha nulla da attendere da Dio! Ora, noi cristiani faremo sempre resistenza di fronte a questo mondo. Per dirlo con Pascal: «Senza Gesù Cristo noi non sappiamo che cosa sia la nostra vita, né la nostra morte, né chi sia Dio, né chi siamo noi stessi». Ma è a questo mondo, al nostro mondo, che noi dobbiamo annunziare Gesù Cristo e il suo Vangelo «con dolcezza e rispetto», secondo la raccomandazione di Pietro. Di fatto il solo problema esistente, che è il valore fondamentale da trasmettere e proporre, è quello di sapere se c’è stato il caso unico di un uomo in diritto di dire che egli era Dio; e non perché quest’uomo si è fatto Dio, ma perché Dio si è fatto uomo. È tutto qui! Non si tratta di un’utopia! Ecco ciò che siamo chiamati a proporre; ecco ciò che noi celebriamo. Se proviamo a volte qualche dubbio, qualche fatica e sconforto, ricordiamoci dei due doni magnifici coi quali Dio ci ha gratificati: un’intelligenza per comprendere e un cuore per amare. Non dobbiamo essere complessati. Si dice che siamo minoritari. Diciamo che siamo una minoranza che conta! A due passi da qui, al Collège des Bernardins, Benedetto XVI ha magistralmente ricordato che l’annuncio cristiano porta una novità. Tale novità altro non è che la possibilità di annunciare ora a tutti i popoli: «Dio si è mostrato. Egli personalmente (…) La novità dell’annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto: Egli si è rivelato» (Regnodoc. 17,2008,526). Il papa proseguiva dicendo che, a dispetto delle apparenze, gli uomini del nostro tempo sono alla ricerca di Dio e devono esser messi in condizione di poterlo «cercare e di lasciarsi trovare da lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati». E concludeva: «Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi» (Regno-doc. 17,2008,527). La ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo restano ancora oggi il fondamento di ogni vera cultura. Quando il cristianesimo inizierà a esistere? Per concludere, vorrei dire che il dialogo interreligioso non può fondarsi su una base di ignoranza globale. Noi abbiamo delle radici; dobbiamo conservare il patrimonio umano e spirituale che ci ha modellati. Abbiamo un ruolo da svolgere dal momento che tanti giovani sono eredi senza eredità e costruttori senza modello. Nel 1905, Ferdinand Buisson non esitò a scrivere: «Per l’educazione di un bambino che deve diventare uomo è bene che sia, di volta in volta, messo a contatto coi versetti appassionati dei profeti d’Israele e coi filosofi greci, che abbia conosciuto e sentito qualcosa della Città antica. Sarà bene che gli si facciano conoscere e sentire le più belle pagine del Vangelo, come pure quelle di Marco Aurelio; che abbia sfogliato, come Michelet, tutte le Bibbie dell’umanità; che gli si faccia attraversare, non con pregiudizi e spirito di critica, ma con calorosa simpatia, tutte le forme di civiltà che si sono succedute. Ciò che risulterà da questo studio non sarà il disprezzo, l’odio, l’intolleranza, sarà al contrario una profonda simpatia, un’ammirazione rispettosa per tutte le manifestazioni del pensiero incessantemente in cammino verso un ideale incessantemente in crescita». Il secolo che inizia eredita da quello che l’ha preceduto: come lo scorso secolo anche questo è dominato dall’economia, dalle guerre e dalle disuguaglianze. Ma è anche arricchito dai progressi delle scienze e della tecnica. I nostri contemporanei sono più consapevoli delle loro responsabilità nella gestione delle risorse naturali e nell’utilizzo dei risultati della ricerca scientifica. Dopo aver dominato le realtà fisiche, ci si avventura ora nel dominio del vivente. Sorgono domande: andiamo verso uno scontro o verso un dialogo fra culture e religioni? Come cristiani quale sarà il nostro contributo? Saremo ispiratori o accompagnatori? È certamente difficile rispondere, ma sono convinto che il cristianesimo, che non è mai stato tanto universale quanto oggi, saprà, come ha saputo fare nel corso della sua lunga storia, approfittare della globalizzazione - che è un dato di fatto - per offrire il suo contributo a due necessità che quest’ultima non è in grado di assicurare: la giustizia e la pace. Lo faremo nella Chiesa, questa Chiesa talvolta col volto segnato, ma sempre nascente, che genera apostoli capaci di osare affinché questa terra non manchi mai di speranza e di amore. Si pone spesso la domanda: il cristianesimo morirà? Personalmente mi pongo un’altra domanda: quando il cristianesimo inizierà a esistere? Ciò che è allo stesso tempo magnifico e terrificante è che Dio ci lascia liberi. Noi possiamo dire «no» a Dio! Abbiamo il potere di salvarci o di perderci. Il problema non è né la morte, né l’assurdo, è la libertà. Tale è Dio, tale è l’uomo. Il che faceva dire al grande poeta tedesco, contemporaneo di Goethe, Friedrich Hölderlin (da cui prendo in prestito la mia conclusione): «Dio ha creato l’uomo come il mare fa i continenti, ritirandosi». Parigi, 23 novembre 2010. JEAN-LOUIS card. TAURAN, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso IL REGNO - DOCUMENTI 3/2011 73