I CENTO GIOCHI DELLA VECCHIA FOSSATO
È un buon sapore per tante ragioni: si riassaggia la semplicità e ci si al-
IL BUON SAPORE
lontana per un attimo dalla frenesia del Duemila, ci si riaccosta ad un monDEL TEMPO ANTICO do cominciato a sparire intorno a metà Novecento e che già appare lontano come la luna, ci si riavvicina a nonni che come per incanto ci appaiono improvvisamente tanto simili
ai nostri avi di secoli fa, perché improvvisamente ci rendiamo conto che le loro vite in fondo erano simili
e che i diversi, da qualche decennio, siamo noi. Quello del tempo antico è un buon sapore anche perché
consente di recuperare memoria di cose prima che sia perduta per sempre ed in questo caso di recuperare
tradizioni popolari, quelle dei giochi, tanto comuni quanto sostanzialmente trascurate dalla ricerca storica,
nella quale hanno cominciato a far capolino soltanto da qualche decennio attraverso l’antropologia.
L’errore di trasformarsi, su questo terreno, in meri laudatores temporis acti è perennemente in agguato, così che cadere in banali mitizzazioni o in discorsi meramente nostalgici non è poi tanto difficile, come si può notare scorrendo fogli locali, guide turistiche e simili, prodotti per lettori dal consumo rapido e
superficiale. Il metodo giusto nello scrivere di tradizioni popolari, è quello di farlo con il cervello nella saggistica, per rispettare il carattere scientifico di ciò che si sta dicendo, e con il cuore nella narrativa per rendere attraente quanto si dice o per lo meno non noioso; il modo migliore per praticare in questa sede il
principio appena affermato, appare quello di descrivere brevemente ad uno ad uno i giochi recuperati nella residua memoria popolare, facendo precedere l’elenco da quel poco che gli Archivi Storici di Fossato di
Vico in merito ci tramandano.
Prima, tuttavia, vanno precisati alcuni punti al fine di meglio inquadrare tutto il discorso.
Il primo: i giochi che si facevano a Fossato non erano diversi da quelli che si facevano negli altri insediamenti dell’Appennino umbro – marchigiano, salvo qualche variante, per la semplice ragione che l’ambiente e la vita erano praticamente uguali per tutti e tali da suggerire a tutti le medesime soluzioni ludiche;
la vicinanza dei paesi e delle persone, inoltre, favoriva la rapida diffusione di ogni iniziativa popolare. Questa è la considerazione che permette di comprendere tutti entro la definizione di “homo ludens dell’Appennino umbro – marchigiano”, fermo restando che alcuni giochi sono da considerare comuni a tutta Italia, come il nascondino, oppure particolarmente attestati in qualche area, come il saltacavalletta a Roma
– dove cambia soltanto nome in salta la quaglia – o come la morra tuttora molto in auge in Sardegna e
Corsica.
Il secondo: più che veri e propri giochi, sono da considerare semplicemente comportamenti giocosi
quelli per esempio dell’appendere ciliege ad orecchi, capelli o vesti (sul gioco in questo caso prevale la decorazione), oppure quelli del soffiare attraverso una foglia o un pettine coperto da un esile foglio di carta
o il soffiare attraverso il semplice foglio di carta per trarne qualche suono, oppure ancora quelli connessi
alla curiosità o alla vitalità giovanile in cerca di sfoghi, come ad esempio l’arrampicarsi su alberi o tirarsi
acqua addosso o farsi lo sgambetto o far scivolare un sasso appiattito sulla superficie di uno stagno oppure lanciarlo contro questo o quel bersaglio, o sollevare nugoli di grilli correndo su un prato, o nascondersi dietro una porta per spaventare d’improvviso chi vi passi e così via. Talora però alcuni di questi comportamenti assumevano l’aspetto di gara tra coetanei, così da trasformarsi in veri giochi, come nel caso del
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lanciar sassi il più lontano possibile dall’alto di un dirupo mettendo alla prova forza e abilità o come nel
caso dell’attraversare con un salto le fiamme di un fuoco acceso all’aperto per esibire scatto e spavalderia;
per tale ragione, dunque, sono da inserire nell’elenco dei giochi.
Il terzo: non deve sorprendere che potevano diventare giochi alcune banali situazioni della quotidianità, come ad esempio il torcere un lenzuolo appena lavato al fosso o al lavatoio per espellere quanta più
acqua possibile e così accelerarne l’asciugatura, alcune situazioni d’incosciente crudeltà su qualche animale, alcune situazioni di violenza ancora incosciente tra ragazzi, come la stira consistente nel bloccare a
terra un compagno ed afferrargli il pisello tirandolo via con forza, alcune situazioni connesse a certi servizi, come il dondolare appesi alle corde tirate per far suonare le campane, altre situazioni connesse alla
convivenza con gli animali e con i loro escrementi, come la coda della volpe, scherzo che si concludeva
con un bastone intinto nello sterco tra le mani di un malcapitato, e così via. Situazioni di vita trasformate
in giochi – quasi un esorcizzare una dura realtà – ambiente come luogo di creatività, casualità integrata da
fantasia, totale assenza di diversivi e giocattoli che non fossero quelli costruiti in famiglia o nel gruppo sociale di cui si faceva parte; un mondo semplice che si autoriproduceva da secoli e da millenni, capace di
giocare con se stesso e di divertirsi, ancora ignaro della sua incombente fine.
Va premesso che tanti comportamenti giocosi e tanti veri e propri giochi
IL GIOCO A FOSSATO
che negli Archivi Storici non sono mai stati oggetto di possibile testimoNEL MEDIOEVO
nianza per tutte le ragioni che si vogliono, sono destinati a rimanere ignoti per sempre.
E veniamo subito al gioco nel Medioevo, dicendo che l’unica fonte per notizie in merito è costituita dagli Statuti due – trecenteschi del castrum Fossati (castello di Fossato). Si tratta però di notizie scarse in
quanto i medievali avevano generalmente altro a cui pensare e si tratta anche di notizie indirette in quanto contenute all’interno di rubriche prodotte non per descrivere questo o quel gioco, ma per regolarne amministrativamente certi aspetti, come ad esempio l’attribuire una pena pecuniaria a chi osava tirar giù il
cappuccio dalla testa di qualcuno o strappargli qualcosa dalle mani (rubr. XX), se queste operazioni erano
praticate, come appare probabile, a titolo di scherzo o di gioco.
Era sicuramente un gioco quello vietato dalla rubrica XXXII, De pena proicentis nivem, la pena per chi
lancia la neve, cinque soldi ogni volta, dice la rubrica; e sicuramente non si trattava di vietare un divertimento in quanto tale, ma soltanto di evitare qualche sua eventuale conseguenza negativa e difficilmente rimediabile, come poteva esser quella di venir colpiti agli occhi da una palla di neve involontariamente contenente anche un sassolino o un pezzo di ghiaccio.
Era un gioco anche il canem suum vel alienum actizare (rubr. XXII), cioè l’attizzare il proprio cane o
quello altrui contro altri animali, punito ogni volta con una multa di 10 soldi e con il risarcimento del danno se per l’animale aggredito ne fossero derivate menomazioni o morte; non era più un gioco, ma per l’interessato un atto difensivo l’attizzare un cane contro animali che gli stessero danneggiando qualcosa, così
che costui non pagava multe, continuando comunque – in un mondo in cui gli animali costituivano un notevole aspetto della sopravvivenza – a risarcire i danni eventualmente subiti dagli animali danneggiatori.
C’erano aspetti di gioco nell’entrare in terreni (rubr. XIX), vigne (rubr. LXXXIIII) o orti (rubr.
LXXXV) altrui, soprattutto se collettivamente ed allo scopo di arraffare qualcosa; altri aspetti potevano essere quelli della fame, dello scherzo, della vendetta, ecc… I ragazzi che qua e là vanno all’assalto di uva
o di altri frutti, hanno comunque attraversato i secoli – ne danno testimonianza anche gli Archivi Storici –
e sono arrivati fino a metà Novecento; nel ’200 e nel ’300 a Fossato pagavano una multa di 5 soldi, se venivano sorpresi in arboribus domesticis alterius…colligendo de fructibus…, cioè a rubacchiare frutta su alberi altrui (rubr. LXXXVII).
Difficile dire se era gioco o altro l’ingnem accendere in montibus comunis fossati (accendere un fuoco
sui monti del Comune di Fossato) – rubr. LXIIII – soltanto sulla base del fatto che la rischiosa pratica di
bruciare erba secca su qualche prato montano, per il semplice piacere di spegnere poi l’incendio prima che
si allargasse, è appartenuta anch’essa a ragazzi del posto. Il Comune medievale, ben consapevole di avere
alla sua base un’economia silvo – pastorale, la puniva severamente: multa di 100 soldi di denari a testa e
per ogni volta, una tra le più alte negli Statuti.
Identico discorso si può fare per chi osava in ipso stecchato facere aliquod guastum vel fracturam ac2
cipiendo nec devastando palangas punctones sbarras et caviglias (rubr. CCXLIIII), cioè portar via o rovinare palanche, puntoni, sbarre e caviglie dello steccato posto ad ulteriore protezione intorno alle mura
castellane; furto, vandalismo o gioco semplicemente vandalico? O tutte e tre le ipotesi, d’altronde separate tra loro da sottigliezze?
L’unica volta che negli Statuti un gioco viene definito tale, è a proposito del gioco dei dadi, ludum taxillorum (rubr. XVI). Viene vietato, con pena di 10 soldi di denari al trasgressore, raddoppiata per chi ospiti
il gioco in casa sua, nell’orto e in ogni altro luogo, indicazione che rivela come il gioco si praticasse un
po’ovunque; multa di 10 soldi di denari anche a chi procuri per il gioco denarios tabulerium taxillos vel
lumen, cioè denari, tavoliere (su cui si gettavano i dadi), dadi o lume, parola, quest’ultima, che ci dice una pratica del gioco dei dadi anche notturna o comunque di ore non illuminate dal sole, così come la presenza di denari – che qualcuno più furbo riesce come sempre a scucire dalle tasche altrui – costituisce la
ragione più plausibile del divieto da parte degli statutari, i quali tuttavia per Natale chiudono un occhio:
quel giorno si può giocare ed anche nei due giorni precedenti e successivi.
Il gioco dei dadi è il gioco della zara di dantesca memoria (Purgatorio, VI); nella rubrica XVI, infatti,
è definito anche ludum alcare, mentre è ludum acare – con la cediglia sotto la c che ne trasforma il suono
in zeta – nella Riformanza del 1406, rubr. XXVI, la quale ribadisce il divieto ed innalza le pene per i giocatori, riferendo inoltre che il gioco si poteva svolgere anche de
nocte. Ma ribadire un divieto, come è noto, rivela semplicemente
che esso è continuamente disatteso.
Negli Statuti medievali del castello di Fossato, sui giochi o probabili giochi non c’è altro, come
non c’è altro nelle residue carte
medievali fossatane, ad eccezione
del registro del semestre amministrativo marzo – agosto 1537, in
cui tra le inquisitiones dei “danni
dati” fatte dal Vicario del castello
compare un certo Luca che denuncia ignoti i quali gli hanno sottratto cartas lusorias ex caputio
pallii in platea porte de maio,
cioè carte da gioco che lui teneva
sul cappuccio in Piazza di Porta di
Maggio; mentre è impossibile dire oggi qual’era questa Piazza dal nome suadente, è molto interessante
l’attestazione di carte da gioco – e dunque del loro contesto – già nella Fossato della prima metà del ’500.
Età pontificia, cioè di appartenenza allo Stato Pontificio, dal 1540 al-
IL GIOCO A FOSSATO
l’Unità d’Italia. Tre secoli abbondanti durante i quali i giochi popolari
NELL’ETÀ PONTIFICIA
rispecchiano pienamente il quadro sociale in cui sono inseriti: repressi-
vo l’uno, repressi gli altri.
La differenza con i divieti da parte dei medievali è che mentre questi miravano ad impedire danni soltanto materiali (una palla di neve che colpisca gli occhi, ecc), i divieti dell’età pontificia mirano ad impedire danni anche spirituali; ed è una differenza sostanziale, perché mentre il danno materiale è qualcosa di
oggettivo, quello spirituale è qualcosa di soggettivo e cioè di variabile a seconda della politica del momento, degli umori individuali o del territorio e così via.
La conseguenza è quella di interventi censori su giochi innocui come quelli del carnevale (il “Bando
sopra le maschere” emesso il 15 gennaio 1695 dal Governatore dell’Umbria, per esempio, vieta l’andar in
Maschera fuori delle Porte della Città, Terre, Castelli, et altri luoghi murati di questa Provincia, con pe3
ne pecuniarie e di carcere per i trasgressori sotto i 14 anni e con pene pecuniarie e di tre tratti di Corda da
darsi subito in publico per gli altri; i “tratti di corda” sono la tortura che sloga le braccia sollevando da terra il malcapitato per le mani legategli preventivamente dietro la schiena) ed è anche quella tout court di astenerci dal fare il Carnevale…per lo spazio di cinque anni – delibera del 26 giugno 1796 del Consiglio
comunale di Fossato – se il Signore Iddio libererà la nostra Terra e Territorio dall’Invasione di dette Truppe Francesi. Il 30 luglio un cittadino fa notare lo zelo soverchio di tali consiglieri comunali che non si erano accorti che nel giorno in cui ciò risolvettero, era di già segnato l’Armistizio ed aggiunge una notizia
preziosa: tutti li divertimenti da cui vogliono far astenere il Popolo intero, consistono nella recita di qualche Commedia, dove non vi può essere alcuna cosa di male; notizia preziosa perché ci dice che nella Fossato di fine ’700 esisteva un luogo di rappresentazioni teatrali e cioè il Teatro, quello appunto di stile settecentesco ubicato nel palazzo comunale del Medioevo e distrutto in omaggio al cemento nel 1957.
I secoli pontifici come secoli di proibizione di attività ricreative, trovano negli Archivi Storici un’ampia documentazione, che va dall’ammonizione al tale a non tenere figli di famiglia a giocare in casa o in
bottega, all’ammonizione al tal altro che non faccia veglie notturne, o che non gioghi, o che non faccia veglie di ballo, o che non suoni la ghitarra di notte nella radunanza d’uomini e donne, oppure che non soni il Ciembolo, ecc…(Fossato, ASP, “Libro delle ammonizioni” del 1826 e 1827); nel 1830 un tale è ammonito – sempre dal parroco del paese – a non giocare di festa racchiuso in casa in tempo di funzioni,
mentre un altro nel 1836 è ammonito che non tenga veglie di notte (“libro delle ammonizioni” di tali anni). L’idea che si tratta di indebite interferenze nella vita privata, penetranti perfino tra le mura domestiche, non sfiora neanche lontanamente il censore, che si considera legittimo guardiano e giudice di ciò che
fanno i sudditi dello Stato.
Se poi i sudditi si trovano in qualche bettola mentre nella chiesa è in corso una funzione religiosa – cosa vietata dalla normativa – per loro sono guai: il Fiscale li può scoprire entrando nella bettola a forza e
denunciare tali delinquenti, come è dovere, anche se non stanno facendo niente oppure stanno soltanto bevendo, come è normale che in una bettola accada, oppure stanno giocando alla morra …con voce alta
(Fossato, ASP, docc. 23 settembre 1817).
Se non è il Fiscale, è il cursore a presentare presso la Curia Foranea di Fossato – che non si chiama
ancora “di Vico” – denunce di questo tipo (fonte sempre ASP, doc. 22 agosto 1828): nella Bottega ove Giuseppe Iachini vende generi di Pizzicaria e vino posta in Fossato in contrada la Piaggiola si giocò a carte…e la cosa ha violato l’Editto sulla osservanza delle feste emanato dal vescovo di Nocera; viene prodotto un testimone che depone di essere entrato nella bottega e di aver visto lo Iachini ed un tal Vecchietti di Gualdo che mangiavano insieme certa carne di Maiale cotta nel forno…,dopo di che si posero a giocare alle carte tra loro e precisamente al gioco di briscola in un tavolino situato nella Bottega stessa essendo poco prima di mezzogiorno. Un secondo teste specifica, dopo aver prestato il Giuramento davanti
al Vicario Foraneo e al suo cancelliere – tramandandoci come il precedente interessanti notizie – che il gioco a carte tra i due era perché si giocarono una libra di Porchetta, finendo il gioco come suol dirsi a pettarella cioè a chi pagava tutto; un terzo teste informa che mentre i due giocavano a carte, altri erano a sedere intorno al tavolino medesimo… Altri testi confermano tutto nei giorni successivi.
E come è reato giocarsi a carte la porchetta in un giorno di festa, è reato giocare alla boccia in tempo
di S. Funzioni (fonte ancora ASP, doc. 1 ottobre 1828); questo giocare alle boccie – altra definizione dei
testimoni, che stavolta sono tre donne – avviene nel primo pomeriggio in contrada porta nuova ossia stradone e le donne l’hanno ben visto perché stavano a sedere sulle scale fuori della Porta di casa.
Alla porchetta cotta al forno e venduta in pizzicheria, alla briscola e ai suoi spettatori, al giocare a bocce per strada e alle donne sedute sullo scalino di casa, un documento del 27 febbraio 1850 aggiunge fossatani che oltre lo stradale detto la Conserva…giuocavano alla ruzzola, anch’essi compiendo un reato perché il gioco avveniva dopo tre quarti d’ora dacché aveva suonato la S. Dottrina; altri reati sui quali intervengono le autorità riguardano la violazione dell’Editto sulla osservanza delle feste per ballo (doc. 3 febbr. 1852), la mancata chiusura di un Caffè in Borgo di Fossato in tempo dei divini Uffici, con l’aggravante che il Caffettiere permetteva che i clienti attendessero perfino al Giuoco delle carte (doc. 1 gennaio
1854, giorno del reato contestato dalla Gendarmeria Pontificia ed anche giorno di capodanno) e così via.
Assume un aspetto decisamente odioso la proibizione che ad un certo punto interviene delle veglie, cioè
di quel dolce e giocoso momento serale che intorno al fuoco raduna i vicini di casa per scartoccià ’l gran4
turco o scarminà la lana o filà con fuso e conocchia, ecc…, mentre i nipotini si addormentano sulle ginocchia del nonno e qualcuno racconta terribili storie di streghe e di lupi;proibire il più caldo momento
aggregativo, quello nel quale si tramandano tradizioni, si parla del lavoro e di come vanno gli animali della stalla ed i vini della botte, si inventano giochi e indovinelli, si raccontano le proprie storie, s’incontrano occhiate amorose, si impara la storia e la geografia ascoltando il reduce da qualche guerra o l’emigrante
tornato da lontano, appare soltanto un fatto punitivo per persone che non hanno modi migliori per passare le serate dell’inverno.
La proibizione è in una lettera circolare del 21 novembre 1802, indirizzata dal vescovo di Nocera – diocesi alla quale apparteneva Fossato prima di essere soppressa nella seconda metà del ’900 – ai parroci perché la pubblichino ai loro popoli tre volte l’anno (ma se vogliono, anche di più): prima domenica di settembre (quando le veglie più o meno cominciano), poco prima di Natale (inizio dell’inverno) e nella domenica di Sessagesima. Il vescovo, che parla con il “plurale maiestatis” e con l’autorità politica che possiede, dice: …Siamo venuti nella determinazione di proibire in ogni luogo della nostra Diocesi le sempre
biasimevoli…veglie…Quindi ordiniamo a voi che inculchiate da parte nostra al vostro popolo, che non si
faccino più tali veglie….solite a farsi specialmente nel tempo dell’Autunno e dell’Inverno, rimanendo queste da noi espressamente proibite sotto la pena di una libra di cera per ciascun’uomo o donna; e di scudi
tre e di altre pene a nostro arbitrio per chi darà il comodo della casa… Il vescovo ricorda che anche il suo
predecessore, mons. Massaioli, aveva proibito le veglie e spiega che la proibizione è dovuta al fatto che le
veglie sono le occasioni più prossime per le quali si deprava il costume, si difforma e contamina l’onore,
e si fomentano insani amoreggiamenti, e indegne corrispondenze.
Qualche anno prima – nell’Editto sopra il carnevale emanato il 16 gennaio 1791 dal Governatore Generale e Preside dell’Umbria, la massima autorità pontificia regionale – si limitava l’uso carnevalesco della maschera, da sempre del tutto vietata alle meretrici o altre donne di mala vita, si proibiva di andare in
maschera al di fuori del proprio paese ed ai festini nelle case private e di notte tempo, di sostare travestiti presso chiese e monasteri, si ricordavano le pene previste da vari papi per i Giuochi proibiti, ed il tenere alcuna sorte di Biscazzie, specialmente nelle case, si vietavano Commedie e Opere anche in musica prive dell’opportuna Licenza ed approvazione; il punto XIII dell’Editto ci informa infine di un’usanza inedita: certi addetti al Carnevale non possono, se privi di licenza scritta, andare in unione di più persone con
Maschera, o senza, e molto meno con Bandiera spiegata, e Tamburo battente…
Proibizioni per il carnevale le incontriamo anche in un documento fossatano del 9 gennaio 1797, con il
quale il vescovo di Nocera approva il voto fatto dai fossatani nell’estate precedente di non festeggiare il
carnevale per cinque anni – affinché Dio preservasse il territorio dall’arrivo dei napoleonici – e conclude
vescovilmente: …proibiamo espressamente nel corso del prossimo Carnevale qualunque divertimento di
Teatro (quello stoltamente abbattuto nel 1957), Maschere, Veglie, Festini, giuochi… ci ripromettiamo dal
divoto popolo di Fossato una pronta e cieca obbedienza…,così che nessuna manifestazione di allegria
vorrà obbligarci a procedere a rigorose pene contro li trasgressori…
In un altro Editto, quello emanato il 21 luglio 1801 da Agostino de’Marchesi Rivarola Delegato Apostolico di Perugia e territorio, si vieta – per l’occasione della Festa del Perdono ad Assisi – a Saltimbanchi far circoli…e salire in Palchi e Tavole in qualsivoglia modo, come pure a Giuocatori di Biribisse, Torretta, ed altri Giuochi…; il saltimbanco è quello che oggi definiamo “artista di strada”, il “biribisse” è nell’elenco che segue dei cento giochi, la “torretta” non si sa più quale gioco sia.
Una notizia straordinaria incontriamo a Fossato in epoca napoleonica, che nonostante il citato voto dei
fossatani interrompe quella pontificia dal 1808 al 1814, sei anni durante i quali Fossato appartiene al Regno d’Italia; la notizia riferisce di qualcosa che è a metà tra gioco e scienza e precisamente de l’inalzamento de’ Globi Aerostatici, operazione per la quale occorre una preventiva domanda, ricorda il Prefetto il
19 ottobre 1810 (Fossato, ASC, Protocollo della Comune di Fossato). Palloni aerostatici o mongolfiere
hanno dunque un’origine antica, determinata quasi certamente dalle nuove frontiere aperte alla scienza nel
’700 dal fenomeno passato alla storia con il nome di Illuminismo.
Nel documento appena citato ed in data 23 gennaio 1810, compare un vero e proprio gioco, la Pollina,
di cui oggi sappiamo dal documento nient’altro all’infuori del fatto che poteva essere in uso, ostacolato
dalle autorità, presso gl’Impiegati di Finanza, presumibilmente quelli in servizio nella Dogana napoleonica – necessaria per poter entrare dal Regno d’Italia nell’Impero di Francia nel quale si trovava la vicina
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Gualdo – ubicata nell’unica casa allora presente ad Osteria nuova, più tardi chiamata Osteria del Gatto.
Dal prezioso Protocollo della Comune di Fossato riportiamo infine la citazione che esso fa in data 15
febbraio 1810 dei Giuochi di tombola, ed altri nelle strade in pregiudizio dell’impresa del Lotto – origine
antica anche per questo gioco tuttora esistente, dunque, mentre rappresenta una sorpresa la tombola giocata nelle strade – e la citazione in data 21 febbraio 1810 di dilettanti che richiedono di far la Comedia alcune sere, a Fossato ed ovviamente nel piccolo Teatro con i suoi palchi lignei, anche se il documento non
lo dice.
Si può ora passare all’elenco dei giochi rinvenuti in area fossatana nella seconda metà del Novecento,
nella residua memoria popolare ed in carte sparse dei più vari generi.
Il gioco del “Battimuro”.
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ELENCO DEI GIOCHI
1 – acqua e foco – Gioco di ragazzi di ambo i sessi diffuso praticamente ovunque. La ricerca da parte di
un ragazzo di un oggetto precedentemente nascosto, avviene guidandolo con le parole acqua, acquetta, acquolina, mare, oceano in proporzionale rapporto alla sua lontananza dall’oggetto, e con le parole fochino
e focherello man mano che si avvicina all’oggetto e foco quando lo trova.
2 – aeroplano – Gioco anche questo diffuso ovunque e prevalentemente maschile. L’oggetto è costruito
piegando un foglio di carta così da rappresentare muso e ali di un aereo, infilandovi poi la coda anch’essa
di carta. Quindi lo si lancia sperando che per qualche metro voli.
3 – altalena – Non è soltanto l’alzarsi ed abbassarsi seduti sulle estremità di un palo poggiato al centro su
qualcosa, praticato ovunque, ma anche il compiere la medesima operazione da parte di uno o più ragazzi
a cavalcioni sul timone o bure del carro delle vacche ed altri ragazzi seduti sull’estremità opposta, in fondo al carro. Andava bene allo scopo anche il carretto del somaro, con l’unica differenza che un ragazzo si
sistemava sopra la catena posta all’estremità delle stanghe.
4 – ambasciatore – Il gioco prevede due gruppi di ragazzi che si pongono uno di fronte all’altro alla distanza di una decina di metri e che si tengono per mano, ma a braccia incrociate. Quindi da un gruppo si
stacca un componente, l’ambasciatore, che si dirige verso l’altro gruppo cantando una strofa che inizia così: È arrivato l’ambasciatore / attraverso monti e valli… Tra l’ambasciatore ed il gruppo si svolge un dialogo, sempre in strofe cantate, la cui sostanza è che l’ambasciatore vuol prendere e portare con sé una ragazza presente nel gruppo a cui si rivolge, cosa che alla fine riesce a fare. Tra i due gruppi, che si guardano sempre in faccia, c’è anche un venirsi incontro e poi retrocedere – più volte ripetuto – cantando strofe.
5 – anello – Ragazzi di ambo i sessi si siedono in circolo, tenendo unite davanti a sé le palme delle mani.
Uno con le mani nella stessa posizione, nelle quali tiene stretto un anello, passa davanti a tutti e lascia cadere l’anello –senza che il gesto sia notato dagli altri– nelle mani della persona che preferisce. Finito il giro, che può essere ripetuto più volte a sua volontà, si rivolge a uno chiedendo: Al bello al bello / chi ci ha
l’anello? Se l’interpellato, che può dire solo un nome, indovina, tocca a lui prendere l’anello e ricominciare il gioco; se non indovina, se ne prende nota e si va avanti con altri con la stessa domanda. Chi non
indovina per la terza volta, deve fare la penitenza scegliendo tra queste proposte: dire, dare, fare, baciare,
lettera, testamento. Se sceglie dire, gli si fa dire ad esempio qualche frase strana o impegnativa alla prima
persona che passa, se sceglie dare può significare qualunque cosa, un calcio al tale, una bacio alla tal altra ecc.., idem per fare o baciare – baciare una ragazza o anche lo spigolo del muro – mentre lettera e testamento significano farsi “scrivere” sulla schiena, da mani che ci passano sopra in maniera pesante, una
“lettera” inviata a qualcuno e dettata dal gruppo, oppure un “testamento” dettato dal penitente stesso.
6 – ascella – Gioco per lo più di giovanotti che sfoggiano abilità di produrre un rumore somigliante ad un
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peto, ponendo una mano tenuta non distesa ma un po’concava sotto un’ascella e quindi schiacciandola con
movimenti del braccio.
7 – barattolo – Pericoloso gioco maschile consistente nel creare a terra una pozzetta d’acqua – ne bastava un bicchiere – e nel mettervi dentro un po’di carburo (di uso quotidiano perché serviva per l’omonima
lampada). Il tutto veniva subito ben ricoperto da un barattolo privo di un fondo e con un foro sull’altro fondo; il gas che si produceva dall’incontro del carburo con l’acqua e che usciva dal foro, veniva acceso da
un fiammifero posto in cima ad un bastone per dare una distanza di sicurezza a colui che lo teneva in mano. Ne seguiva uno scoppio che scagliava lontano il barattolo, tra l’ammirazione dei presenti.
8 – barchetta – Gioco come quello descritto al n. 2, con l’unica differenza che in questo caso si trattava
di una piccola barca che si cercava di far navigare sull’acqua di un fosso, al lavatoio,ecc.
9 – battaglia coi fiori – Avveniva tra ragazzi dopo la processione del Corpus Domini, scagliandosi addosso manciate di fiori sopra i quali essa era passata percorrendo le vie principali del castello, fiori cominciati a raccogliere con i canestri giorni prima, in un saccheggio della natura contro cui nessuno apriva
bocca. Questo gioco – come anche quello della sassaiola di cui si dice più avanti – affonda le sue origini
nei secoli ed è probabile che a Fossato esso si svolgesse in Via Campo dei Fiori, oggi via alle spalle della
chiesa di S. Sebastiano e nel ’200 e ’300 via affacciantesi invece sulla Piazza centrale che si estendeva anche all’area attualmente occupata dalla chiesa; in varie località ove si conserva il nome di tale via, infatti,
sono documentate simili attività giovanili medievali. Una lettera del 9 maggio 1720 indirizzata dal vescovo di Nocera ai Parrochi della Diocesi, loda il fervore esistente intorno alle processioni ed aggiunge che
non possiamo però approvare che si sparghino e gettino dalle fenestre i fiori sopra coloro ch’accompagnano le Processioni, mentre un’altra lettera del vescovo nocerino ai suoi parroci, datata 28 maggio 1805,
vuole che durante la processione non stiano alcuni uomini e donne di qualunque età o grado siano su le
porte o alle finestre a vedere (Fossato, ASP); la prima testimonianza è in diretto rapporto con la floreale
battaglia arrivata fino agli anni ’50 del sec. XX, mentre la seconda è forse ereditata dal passato remoto,
quando la “battaglia” con ogni probabilità aveva dalle case adiacenti spettatori e tifosi.
10 – battimuro – Due ragazzi davanti ad un muricciolo, con una monetina in mano. Uno la scaglia contro il muro (e si dice che batte), facendola schizzare il più lontano possibile; l’altro fa altrettanto, facendo
sì che la sua monetina si fermi a terra a non più di un palmo di distanza da quella del suo avversario, caso nel quale può subito intascare la monetina del medesimo. Se la distanza è superiore, tocca al primo lanciatore raccogliere la sua monetina e tentare di prendersi con lo stesso sistema quella rimasta a terra del
suo concorrente; al gioco potevano partecipare contemporaneamente più ragazzi e più monete. E siccome
di queste ultime se ne vedevano davvero poche, nel gioco si usavano soprattutto bottoni staccati da vestiti o arraffati nel cassetto della mamma.
11 – bella scatola – È il gioco tipico delle veglie serali ed è orale perché le mani sono nello stesso tempo
impegnate nello scartocciare o nello sgranare granturco, nel filare lana o altro, nello sferruzzare maglie o
calzetti e così via. Nel gruppo seduto in cerchio intorno al fuoco del camino e costituito da vicini di casa
e talora anche da amici venuti a piedi da più lontano, ad un certo punto uno – poniamo Francesco – si rivolge ad un altro – poniamo Gaia – chiamandolo per nome ed aggiungendo: bella scatola! È l’inizio del
gioco ed il chiamato risponde: ben venga!, mentre tutti si fanno attenti a seguirne l’andamento. Quindi
Francesco, che può essere aiutato da suggerimenti del gruppo, inizia a descrivere due esseri (per te c’è uno…), uno dei quali dovrà essere scelto da Gaia alla fine della descrizione, la quale riguarda aspetti fisici
e comportamentali, ma resta nel vago affinché Gaia non capisca di chi realmente si stia parlando e venga
possibilmente tratta in inganno; Francesco è considerato tanto più abile, quanto più induca Gaia a fare la
scelta sbagliata e così a far ridere tutti, per esempio inducendola a prendere quello che lui ha descritto come “alto e forte, ben fatto, veloce nel correre, con capelli biondi, ecc…”, che non è il tal giovanotto – come poteva ben essere – ma il tal cavallo. Grandi risate anche quando un giovane prendeva la tal vecchia
brutta e grinzosa e – perfettamente ingannato – lasciava una bella ragazza; nessuno si offendeva mai per
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essere stato descritto in maniera anche fortemente caricaturale.
12 – belle figlie – Ragazzi e ragazze si mettono in cerchio, tenendosi per mano a braccia incrociate. Un
ragazzo – A – resta fuori del cerchio e tra i due si svolge questo dialogo a strofe cantate (il cerchio– B–
mentre canta gira su se stesso):
A – Oh, quante belle figlie, madama dorè – oh quante belle figlie!
B – Son belle e me le tengo, madama dorè – son belle e me le tengo.
A – Il re ne comanda una, madama dorè – il re ne comanda una.
B – Che cosa ne vuol fare, madama dorè – che cosa ne vuol fare?
A – La vuole maritare, madama dorè – la vuole maritare.
B – A chi la vuole dare, madama dorè – a chi la vuole dare?
A – Al principe di Spagna, madama dorè – al principe di Spagna.
B – (mentre si apre e lascia entrare il ragazzo): Entrate nel nostro castello, madama dorè
B – entrate nel nostro castello.
A – Nel vostro castello ci sono già entrato, madama dorè
A – nel vostro castello ci sono già entrato.
B – Sceglietevi la più bella, madama dorè – sceglietevi la più bella.
A – La più bella me l’ho già scelta, madama dorè – la più bella me l’ho già scelta.
Quest’ultima strofa viene cantata sillabando ed additando con l’indice della mano qua e là nel gruppo, fermandosi infine sulla prescelta, che è in genere l’amica del cuore, a meno che il ragazzo non voglia farlo
sapere e perciò ne additi un’altra.
13 – belle statuine – Un ragazzo – o una ragazza – si pone con la faccia rivolta ad un muro, mentre gli altri giocatori si mettono a 10 – 15 metri dietro di lui. Uno dei giocatori chiede a quello al muro quanti e
quali passi può fare e l’interpellato – che comanda il gioco – risponde ad esempio: tre passi da formica,
oppure due da leone e così via con tutti gli animali possibili; l’interessato fa dunque i passi da formica,
perciò piccoli e più o meno mettendo soltanto un piede davanti all’altro, o quelli da leone, perciò lunghi
balzi, e se riesce a terminare l’operazione senza che il comandante del gioco giri d’improvviso la testa e
lo veda muoversi, ha conquistato spazio avvicinandosi al muro, che quando riuscirà a toccare durante i passi autorizzati gli consentirà di diventare lui il comandante del gioco. Chi viene scoperto dal comandante
mentre fa i passi autorizzati, deve retrocedere al punto di partenza; per non farsi scoprire deve dunque fermarsi nella posizione in cui si trova quando il comandante gira di
scatto la testa,finendo con il somigliare ad una statua, donde il nome del gioco.
14 – biribisse – Gioco per lo più
maschile, consistente nel lanciare
su un piano un piccolo cono di legno – tramite una cordina arrotolata alla sua base – per farlo girare a lungo e sulla sua punta come
una trottola.
15 – bocce – Gioco anche questo
maschile di uno contro un altro o
di una coppia contro un’altra, con
quattro bocce a testa nel primo caso e due nel secondo. È uguale a
quello giocato oggi nei bocciodromi, con la sola differenza che
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un tempo veniva giocato nelle pubbliche vie, non transitate da automobili.
16 – boccetta – Gioco uguale a quello della ruzzola, con la differenza che si lanciava una piccola boccia
di legno, costruita a mano.
17 – bolle di sapone – Gioco diffuso ovunque ed ancora praticato, con la differenza che quello di una volta veniva fatto sciogliendo un po’di sapone di casa in un bicchiere o in un barattolo, nel quale poi si bagnava una paglia soffiandovi dentro per far uscire le bolle.
18 – bottoni – Giocare a bottoni era un altro modo di chiamare il gioco a battimuro, in quanto erano per
lo più bottoni – e non monetine, rarissime in mani di ragazzi – ad esser messi in gioco.
19 – brecce – Giocare a brecce era prevalentemente femminile: si trattava di buttare in aria delle brecce –
le medesime con cui fino agli anni ’50 si imbrecciavano le strade, non ancora asfaltate – e raccoglierle prima che cadessero a terra. Prima una, poi due, poi tre, ecc…, separatamente tra loro. La velocità e la prontezza di riflessi erano alla base del gioco.
20 – brocche – Gioco carnevalesco e prevalentemente maschile, consistente nel colpire con un
bastone, da parte di un ragazzo bendato, delle
brocche (pignatte) appese ad una corda fissata tra
due pali o tra due alberi, in mezzo a spettatori
che tra lazzi e commenti aspettano di vedere come andrà a finire il gioco medesimo. Le quattro
o cinque brocche, infatti, contengono rispettivamente acqua, cenere, terra, segatura e così via –
sotto le quali il ragazzo non vorrebbe finire, colpendole – e solo una contiene invece buone cose
mangerecce o comunque utili. Il ragazzo viene
bendato a qualche metro di distanza dalle brocche e poi condotto nei loro pressi, dove comincia
con il bastone a tastare l’aria sopra la sua testa
per individuarle; il gioco finisce quando il ragazzo colpisce quella giusta, del cui contenuto si impadronisce. L’area preferita del gioco, era a Fossato quella della Portanova.
21 – buriolo – Era il nascondino con la variante
del barattolo. Questo veniva posto in uno slargo
–molto usato a Fossato quello delle Mura, sotto
la sede comunale– e davanti ad esso un ragazzo,
faccia al muro, contava fino ad un numero convenuto (per esempio fino a trenta), mentre i suoi
compagni nel frattempo fuggivano nascondendosi in tutte le direzioni. Poi il ragazzo iniziava la loro ricerca e quando ne scopriva uno lo catturava e teneva prigioniero nello slargo, soltanto se correndo arrivava primo al posto della conta dicendo tana; se arrivava primo quello che era stato scoperto, aveva diritto a
nascondersi di nuovo. Quello o quelli fatti prigionieri ridiventavano liberi se un loro compagno libero riusciva, non visto dal cercatore, ad arrivare al barattolo e a dargli un calcio gridando liberi tutti; il tempo che
avevano a disposizione per nascondersi di nuovo, era comunque soltanto quello impiegato dal cercatore a
rimettere il barattolo al suo posto. Il gioco, tipicamente maschile, finiva quando il cercatore aveva catturato tutti; ne ricominciava subito un altro, nel quale diventava cercatore colui che era stato catturato per primo nel gioco precedente.
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22 – busso – Gioco per lo più di belle serate estive o primaverili. Giovani di ambo i sessi radunati su una piazzetta, si mettono in cerchio tenendosi per mano. Uno – chiamiamolo A – rimane fuori del cerchio
e comincia a corrergli intorno, toccando ad un certo punto su una spalla un componente del cerchio, per
esempio B, che immediatamente si mette a correre intorno al cerchio – che sta fermo – nella direzione opposta a quella tenuta da A; uno dei due arriva primo a riempire il vuoto lasciato nel cerchio da B quando
ha iniziato la corsa ed il perdente continua a girare intorno al cerchio di nuovo dando un colpo alla spalla
di chi preferisce e che può essere ancora colui che l’ha sconfitto. Chi perde la corsa per tre volte consecutive, fa la penitenza, descritta cantando in coro dal cerchio: Per la prima penitenza / in ginocchio deve stare… E poi: la seconda penitenza, mani alzate deve stare… e così via, con ordini che il penitente doveva eseguire senza batter ciglio. L’ultima penitenza era tuttavia desiderata, perché si concludeva con : …un bacino deve dare; il pudore dei tempi andati faceva talora arrossire il penitente e scatenare battute tra i presenti.
23 – campana – Ragazzine tracciano sulla terra un rettangolo di
circa m 1x3, dividendolo poi con
altre tracce in otto rettangolini,
contrassegnati ognuno da un numero tracciato al loro lato, al di
fuori del rettangolo iniziale. Da
fuori rettangolo, la prima comincia il gioco (dalla sua base corta)
lanciando un sassolino nel rettangolino n. 1 ed andandolo poi a
raccogliere
superando
una
difficoltà, per esempio saltando
nel rettangolino con un piede solo, oppure portando in testa un
sassolino che non deve cadere,
ecc.. ed allo stesso modo deve poi
uscirne; se il sasso viene lanciato
al di fuori del rettangolino, oppure cade dalla testa entrando o uscendo dal rettangolino, la concorrente deve fermarsi e cedere il posto alla successiva. Era vincente la concorrente che superando le difficoltà del
primo rettangolino anche in quelli successivi, riusciva a fare tutto il giro.
24 – campane – Ragazzi alla base di un campanile (a Fossato quello della chiesa di S. Sebastiano) tiravano le corde per suonare le campane a fini liturgici, spesso trasformando l’operazione in un gioco: quando le campane iniziavano il movimento e perciò le corde iniziavano il loro saliscendi, era questo il momento di rimanervi aggrappati come scimmie, anche perché era difficile riprendere una corda che fosse
sfuggita di mano, nel suo violento e pericoloso frustare qua e là, soprattutto se era collegata ad una campana grande. L’arte di smettere ad un certo punto di “tirare la corda” e di farsi tirare invece da essa, volando in aria come folletti impazziti, la si apprendeva – tra un bernoccolo e l’altro – dai più grandicelli,
che tra loro avevano anche istituito la gara a chi arrivava più in alto.
25 – cantilena – Termine dialettale,con varianti, per indicare quel bellissimo insetto che è la cetonia, coleottero lungo sui cm 2, color verde cupo dai riflessi dorati, presente soprattutto da maggio in poi. Il “gioco” con essa – tipico dell’incoscienza infantile – avveniva per lo più sui banchi della scuola elementare;
in primavera la cantilena entrava dalle finestre aperte, veniva catturata (non sempre, ovviamente) e legata
per una zampina ad un filo. Se la maestra non interveniva, alla povera bestiola non restava che continuare
a volare senza poter fuggire.
26 – carrarmato – Era un giocattolo natalizio, costruito dai grandi per i bambini. Si facevano i denti sul11
le parti terminali e tronco – coniche di un rocchetto del filo, tagliuzzandone i bordi, si infilava poi un bastoncino nel buco interno del rocchetto e su una parete del rocchetto – alla quale si applicava un dischetto ligneo di piccolo spessore e ricoperto di cera – lo si fermava unendolo tramite un elastico ad un pezzetto di stecchino; quest’ultimo veniva fatto girare su se stesso un po’di volte, così da arrotolare anche l’elastico che, messo l’oggetto sul tavolo, cominciava a srotolarsi, facendo muovere (camminare) il carrarmato, chiamato così per le sue ruote dentate.
27 – carretti – Gioco praticato da maschi adulti che
hanno voglia di ritornare a vivere e a divertirsi dopo il buio del fascismo e della guerra; è infatti praticato dal 1945 a circa metà degli anni ’50 ed oltre
a permettere ai suoi praticanti sfoggio di abilità e
coraggio, divertiva la gente che accorreva in massa
a vederlo. Consisteva in corse non competitive nelle quali si partiva uno per volta, sfruttando la posizione di altura di Fossato: dal castello – e talora dal
Roccaccio – si partiva da soli o in due su un carrettino, che iniziava subito una corsa sfrenata verso il
basso, raggiunto in genere sulla Flaminia dopo aver
attraversato Palazzolo e tra due ali di folla, ammassata in genere nei due punti più critici: “la discesa
delle Mura”, accanto al palazzo comunale, e quella
sotto il ponte della ferrovia a Palazzolo. I carretti erano costruiti dagli stessi adulti che li guidavano:
tavolette di legno inchiodate l’una all’altra fino ad
ottenere un rettangolo di circa cm 60 x 100 (o 150),
all’inizio e alla fine del quale si fissavano due ruote
davanti e due dietro, unite tra loro da un ferro rotondo (la sala). Le ruote potevano essere di vecchie
carrozzine per bambini, oppure – ed era il caso prevalente – provenivano da carrucole rimediate lungo
la ferrovia o da residuati bellici; il freno – che sul
carretto poteva giustificare la presenza di un secondo uomo, il frenatore – era dato da un legno fissato in qualche modo ad un bordo del rettangolo e tirandolo con una cordicella andava a raschiare il terreno consumandosi presto, fatto che alimentava la fantasia
popolare sulla maggiore o minor incoscienza del tal guidatore, capace di affrontare curve e discese a scapicollo.
28 – carte – Gioco tipico di maschi adulti nella bettola, tuttora in auge in bar e simili; paga una bevuta il
perdente di briscole o scope di antica tradizione, come attestano le carte lusorias – cioè da gioco – viste
nella Fossato della prima metà del ’500 e come attesta la pettarella incontrata a Fossato nell’Ottocento.
29 – castello – Gioco di ragazzi di ambo i sessi presumibilmente scomparso nella prima metà del ’900, in
quanto rimasto con difficoltà nella memoria di chi ricorda i giochi – per averli praticati – di metà sec. XX.
Si sa comunque che consisteva in due gruppi che si ponevano in forma di cerchio l’uno vicino all’altro,
che un gruppo era più grande dell’altro, che all’interno di ogni gruppo i giovani si tenevano per mano e
che – girando su se stessi – uno alla volta i gruppi si scambiavano cantando messaggi di questo tipo:
–Gruppo piccolo (A): Oh, che bel castello marcondino ’ndiro ’ndello
Oh, che bel castello marcondiro ’ndiro ’ndà.
– Gruppo grande (B): È più bello il nostro, marcondino ’ndiro ’ndello
È più bello il nostro, marcondino ’ndiro ’ndà.
– A: Ve lo ruberemo, marcondino… (ecc…)
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– B: E la guardia noi faremo, marcondino… (ecc…)
– A: Ve lo bruceremo, marcondino… (ecc…)
– B: Noi lo rifaremo, marcondino… (ecc…)
Nelle parole è nettamente percepibile il rinvio popolar–culturale all’epopea del castello medievale, sopravvissuta per secoli fino ai nostri giorni.
30 – cerbottana – Gioco maschile consistente nel soffiare nel vuoto di una canna, per espellerne la pallina di carta oppure di stoppa bagnata di saliva e precedentemente inseritavi. Aveva un particolare successo
tra i banchi di scuola e diventava pericoloso quando sulla pallina di carta qualche incosciente applicava uno spillo.
31 – cerchietto – Gioco per lo più femminile fatto in due: tenendo un piccolo cerchio di venco con due
bastoncini appoggiati in alto e in basso al suo interno, una ragazza lo lanciava ad un’altra che con i suoi
due bastoncini lo prendeva prima che cadesse a terra e che poi rilanciava all’amica continuando il gioco.
32 – cerchio – Gioco di maschietti consistente nello spingere in strada, gareggiando tra loro, un cerchio
di ferro (talora era un vecchio cerchione di bicicletta) con un bastoncino di ferro dalla cima ricurva e perciò in grado anche di guidare il cerchio, oltre che di spingerlo.
33 – chiave – Un gioco che solo pochi adulti erano in grado di fare. Una cordicella lunga un mezzo metro e chiusa come se fosse un anello, viene fatta passare dentro il cerchio di una chiave, quello che si teneva in mano per infilarla nella toppa; la cordicella viene quindi presa dall’interno e dal pollice ed indice
separati delle due mani di Tizio, così che la sua area interna è un rettangolo, dal quale pende la chiave, che
non può uscire dalla cordicella perché da questa Tizio non toglierà mai le mani. Invece Caio, senza che Tizio tolga le mani dalla cordicella e soltanto praticando movimenti di cordicella all’interno delle sue mani,
incredibile a vedersi, riesce a sfilare la chiave.
34 – chiavica – Pericoloso gioco di ragazzini che s’infilavano, appunto, in una chiavica o cunicolo, strisciando sulla pancia come serpi, sottoterra, talora tenendo in mano dei fiammiferi da accendere nei punti
più critici. E talora il buco si faceva così stretto, da non permettere più di proseguire. Non si trattava comunque di chiaviche che trasportavano i rifiuti delle case – tra l’altro a Fossato prive di acqua fin verso la
fine degli anni ’50 e perciò anche prive di lavandini e gabinetti – ma di chiaviche quasi soltanto per il
deflusso dell’acqua piovana e che dunque non puzzavano. Qualche volta il ragazzino s’infilava nel buco
non per gioco, ma per necessità e cioè quando vi doveva andare a recuperare una palla che vi era rotolata
dentro.
35 – ciurumella – Gioco maschile di quattro ragazzi che tracciano un quadrato sulla terra, entrandovi poi
dentro e disponendosi ognuno in un angolo. Si svolge quindi una gara di due contro due (alleati tra loro
sono i ragazzi degli angoli opposti): uno dei quattro va al centro del quadrato e buttando in aria un bastoncino che ha con sé, lo colpisce con un bastone che ha in mano, cercando di mandarlo verso il suo alleato (coppia A), che a sua volta lo colpisce al volo cercando di scagliarlo il più lontano possibile. Mentre
uno degli avversari (coppia B) si precipita a raccogliere questo bastoncino e a rientrare al suo angolo, la
coppia A si scambia di posto nel quadrato quante più volte può e se ci riesce ad esempio sette volte, realizza sette punti. Se però il bastoncino lanciato dal centro del quadrato si dirige verso un avversario (coppia B) e questi lo colpisce spedendolo fuori del quadrato medesimo, tocca a uno della coppia A andarlo a
recuperare, mentre la coppia B realizza punti con il solito sistema. Dal centro del quadrato lancia il bastoncino prima una coppia e poi l’altra; la gara è vinta dalla coppia che al termine di un numero di giocate prestabilite, ha sommato più punti.
36 – coda della volpe – Gioco praticato raramente a causa della sua sgradevolezza, soltanto nei confronti di una persona conosciuta e che ignorasse il gioco medesimo. Consisteva nel far attendere sulla porta di
casa qualcuno che da fuori aveva chiesto di entrare, avvertendolo di prendere con le sue mani, quando di
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lì a poco gli si sarebbe aperto, la coda della volpe che si sarebbe trovato davanti.
Questa era nient’altro che un bastone, una
cui metà nel frattempo si era sveltamente
provveduto ad immergere in sterco animale (nelle case del paese c’era sempre un
collegamento interno con la stalla), tenuto
tra le gambe da chi andava ad aprire la
porta (ed ecco la coda) e rivolto verso il
malcapitato che stava per entrare in casa.
Al disappunto di chi subiva lo scherzo, si
aggiungevano i lazzi divertiti di chi vi assisteva.
37 – corda – Gioco di ragazzi di ambo i
sessi, consistente nel tuttora praticato saltare la corda – a piedi pari o con un piede
per volta – fatta velocemente ruotare con
le mani intorno a se stessi, come farebbe
un atleta in allenamento. Più comune e
spettacolare era entrare con tempismo – e
dopo un po’di salti uscire ancora con tempismo – nel vortice della corda fatta girare
da due ragazzi che la tenevano alle rispettive estremità.
38 – corsa – Gioco maschile dell’arrivare primi correndo al tal punto, in due o più. C’era anche una corsa coi sacchi – praticata per carnevale o per qualche circostanza festosa – consistente nell’infilarsi in un
sacco fino alla vita e poi a salti cercare di arrivare primi al traguardo.
39 – cucuzze – Un gruppo di ragazzi di ambo i sessi, per esempio sette, si davano un numero ed in
questo caso avremo il n. 1, il n. 2, il n. 3......e il n. 7.
Dopo di che il capogruppo, detto il cucuzzaro, diceva: Vo nell’orto e cojo tre cucuzze (vado nell’orto e
raccolgo tre cucuzze); il ragazzo n. 3 doveva subito
chiedere: E perché tre cucuzze? Il cucuzzaro gli rispondeva: E quante se no? Di nuovo il n. 3: Cinque
(o altro numero entro il sette). Il ragazzo n. 5, chiamato in causa, doveva subito dire: E perché cinque
cucuzze? Ed il cucuzzaro: E quante se no?… e il
gioco proseguiva. Se il ragazzo n. 5 era distratto o
confuso dal gioco e perciò non rispondeva subito: E
perché cinque cucuzze?, veniva eliminato e il gioco
proseguiva con gli altri.
40 – fango – Con il fango si facevano almeno tre
giochi; qui si descrivono i due senza nome, mentre
il terzo, la parata, è descritto alla relativa voce. Un
gioco era andare presso una troscia d’acqua –
definizione che troviamo anche nella novella LXVI
de “Il Novellino”, raccolta di novelle dell’ultimo
ventennio del ’200 – ed a Fossato in genere quella de Felicione, la casa contadina subito al di sotto della
Conserva, e lì costruire con il fango una specie di piatto, con un piccolo buco al centro, subito dopo scagliato a terra sulla strada e in modo tale che l’impatto avvenisse con la parte concava; più il colpo era
schioccante, più gli schizzi di fango andavano in tutte le direzioni, più il gioco era considerato riuscito.
L’altro gioco, maschile come quello precedente, era andare d’estate sulle rive di un fiumicello e da Fossato si andava in genere al Rigo, quello che passa sotto il ponte romano di epoca augustea; lì, in un punto
lontano da occhi indiscreti, i ragazzini si spogliavano di tutto, mutande comprese, ricoprendosi poi di fango dal collo ai piedi, fatto seccare subito addosso esponendosi al sole. Ne conseguiva l’effetto di somigliare alla fine a tante statue di terracotta ed in questo, oltre che nella trasgressione collettiva, consisteva il
divertimento.
41 – firello – Era giocato quasi sempre da due ragazzine. Con un ciuffo d’erba strappato da terra, disegnavano un quadrato di circa cm 25 x 25 su uno scalino o su una pietra, su un muretto ecc…, tracciandovi dentro, sempre con l’erba, delle righe a forma di croce che lo dividevano in quattro e poi delle diagonali che portavano il risultato finale ad otto spicchi uguali tra loro. Una aveva in mano tre sassolini e l’altra qualcosa di diverso, per esempio tre pezzetti di legno; chi cominciava il gioco metteva il proprio oggetto o nell’incrocio centrale o in uno degli otto lungo i lati del quadrato, poi toccava all’altra metterlo dove preferiva, ma comunque sempre in un punto d’incrocio, dopo di che toccava di nuovo alla prima piazzare il suo oggetto sul punto preferito e così via. Vinceva (faceva firello) chi per prima – potendo effettuare una mossa alla volta spostando il suo oggetto lungo tutte le linee tracciate e dovendosi fermare ad ogni
incrocio – riusciva a mettere i suoi tre oggetti lungo una sola linea, diagonale o lato del quadrato che fosse.
42 – fischietto – Era costituito dalla corteccia di un ramo di venco, sfilata via battendoci prima sopra con
un bastoncino per allentarla. Nel tubicino che si otteneva, simile ad un boccolotto della pastasciutta, si
soffiava traendone un fischio.
43 – focaraccio – Un grande fuoco con tante fascine veniva acceso di sera su certi slarghi del castello
(Portanova e Croce, generalmente), come su varie
aie contadine sparse nella campagna, alla vigilia di
certe feste, come quella di S. Giuseppe (19 marzo,
dunque anche un festeggiare l’arrivo della primavera), dell’Ascensione festa mobile di maggio, di S.
Giovanni (24 giugno, l’estate che sta entrando), di
S. Pietro (29 giugno, giorno di fiera), della Madonna della Ghea in aperta campagna (5 agosto). Dell’occasione ogni volta festosa approfittavano giovanotti per gareggiare a chi oltrepassava meglio con
un salto le fiamme mentre erano ancora piuttosto
alte. Se era tempo di spighe di granturco, le si metteva sulle braci per fare la bruschetta. Sulle residue
lute al termine della festa, i ragazzini facevano la
pipì per spegnerle ed era anche questo un gioco.
44 – fonte – Nella buona stagione e quando dalle
fonti pubbliche veniva acqua – fatto che non sempre si verificava – era di tutti i giovani il gioco di dirigere in qualche modo il suo getto addosso ad un
amico, facendogli una specie di gavettone.
45 – foriverde – Gioco quaresimale di ragazzi di
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ambo i sessi. Due si accordavano tra loro e giocavano per tutto il periodo, fino a Pasqua. Il gioco consisteva nel portare sempre con sé, preferibilmente in una piccolissima boccetta di vetro (molto adatte erano
quelle dei medicinali), un rametto di bosso con tre o quattro delle sue foglioline verdi (il verde), esibendolo all’amico / avversario ogni volta che questo, incontrato per strada, lo chiedeva dicendo: Fori verde!
Se non si era in grado di esibirlo per qualsiasi ragione, si perdeva un punto, ma se invece lo si esibiva, si
rispondeva: Fori il tuo, ché il mio non perde! e allora toccava all’altro tirarlo fuori, se non voleva perdere
un punto. La mattina di Pasqua chi aveva perso più punti doveva invitare il vincitore a casa sua ed offrirgli da mangiare un uovo sodo o qualcos’altro benedetto dal prete qualche giorno prima durante la benedizione delle case.
46 – fornaio – Gioco di ragazzi di ambo i sessi che prima costituiscono una fila e poi si mettono in cerchio tenendosi per mano. Quello che era stato l’ultimo della fila chiede al primo: Fornaio, è cotto il pane?
E il fornaio: E’cotto e bruciato! Di nuovo l’altro: Chi è stato la cagione? E il fornaio dice il nome di un
membro del gioco, per esempio: Rina! A questo punto il cerchio si mette a girare cantando: Povera Rina
legata alle catene / queste son le pene per farla poi soffrì. Anche Rina gira col cerchio, ma dopo essersi
girata di 180 °, dando così le spalle al centro del cerchio e tenendo per mano i suoi vicini a braccia incrociate (con la destra tiene per mano il compagno che sta alla sua sinistra e con la sinistra quello che sta alla sua destra). Finito il canto, si ripete il dialogo con un altro del gruppo e così via fino alla fine, finché tutti i ragazzi girino dando le spalle al centro del cerchio, legati tra loro a braccia incrociate. A questo punto
nel cerchio si comincia a tirare ora in una direzione, ora in quella opposta, finché in un punto il cerchio si
spezza (s’è rotta la catena); il responsabile o i due responsabili della rottura, fanno la penitenza descritta
nel gioco n. 5.
47 – fortunello – Ragazzi che si ritrovano insieme all’aperto, piegano pezzetti di carta tutti bianchi, meno uno sul quale era stata scritta la parola fortunello. Li mischiano tra loro e dal mucchietto ognuno prende il suo; li aprono e chi trova il foglietto con la parola fortunello fugge via di gran corsa, mentre gli altri
lo inseguono finché non lo acchiappano.
48 – freccia – Era il nome locale della fionda, quel bastoncino a forma di Y e con le due estremità collegate ad un elastico, al centro del quale si sistemava un sasso da scagliare contro qualche obiettivo.
49 – fumo – Gioco praticato, sia pure raramente, da ragazzini all’interno di una piccola cavità o grottino
nel quale si erano ritrovati. Lì dentro davano fuoco a sterpaglie raccolte tutt’intorno ed il fumo invadeva
presto il locale a cominciare naturalmente dall’alto, costringendo tutti ad abbassarsi sempre di più, fino a
portare la bocca – per poter respirare – al livello del terreno. Dopo di che non restava che uscire all’aperto.
50 – giravolta – Un bambino si
piega in due facendo uscire le mani più o meno tra i propri stinchi e
un adulto – con le ginocchia a
contatto della schiena del bambino – gliele afferra sollevandolo da
terra e con ciò facendogli fare un
giro su se stesso, alla fine del quale il bambino si ritrova in piedi.
51 – girotondo – Gioco universale di ambo i sessi, sempre in auge:
nelle serata della bella stagione un
cerchio di ragazzi che si tengono
per mano gira su se stesso ora in
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una direzione ora in un’altra, cantando qualcosa. Una strofetta fossatana del girotondo diceva:
Balliam balliamo vergine / che gli angeli ci sono,
se Tizia si voltasse
/ un angelo la baciasse.
“Tizia” sta per il nome di una componente del gruppo. Un’altra strofa finiva con: Ci sono rose e fiori / signorina voltatevi voi, al che la signorina a cui ci si era rivolti si voltava, cioè continuava a stare nel cerchio, ma con le spalle rivolte al suo centro.
52 – graciole – Negli ultimi tre giorni della Settimana Santa, quando le campane venivano legate affinché
non suonassero in quanto Cristo era morto, il parroco del paese mandava un gruppo di ragazzi in giro per
le strade ad annunciare orari di funzioni religiose; per farsi sentire da tutti, i ragazzi producevano un gran
rumore con strumenti costruiti allo scopo: graciolone, graciole e battistangole (esemplari sono conservati nel Centro Museale della Civiltà Contadina di Fossato), ogni pochi metri fermandosi e strillando all’unisono, ad esempio: Sona la prima volta la messa nella chiesa di S. Sebastianooooo! Talora il grido era
per annunciare il mezzogiorno ed in questo caso si diceva: Sona mezzogiorno nel castello di Fossatoooo!,
continuando ad urlarlo anche mezzora o un’ora dopo, quando il giro finiva. Si trattava di una tradizione di
lontana origine, che per i ragazzi era un gioco, come lo era anche produrre rumore durante il battustino,
quello sbattere con forza bastoni ed altro sul pavimento della chiesa la mattina del Giovedì santo, durante
una certa cerimonia religiosa, per ricordare la fustigazione di Gesù alla colonna.
53 – guerra – Due gruppi di maschietti si nascondevano, sparpagliandosi, su opposti lati di una collinetta cespugliosa (a Fossato quelle del recinto e del montarone) ed il gioco consisteva nello scoprire da parte di ognuno quanti più avversari possibile, senza farsi a propria volta scoprire. Chi veniva scoperto veniva anche subito catturato e portato in un punto del proprio campo d’azione, nel quale era difficilissimo che
arrivassero suoi compagni a liberarlo, senza esser visti dalle guardie e perciò catturati. Il gioco finiva quando tutta la squadra avversaria era stata catturata; era assolutamente silenzioso per non far sentire agli avversari il minimo fruscio e durava molto perché ci si muoveva con estrema lentezza, strisciando sulla pancia e protetti da rami frondosi, erbe, cortecce ecc… posti per lo più davanti alla faccia, fatto, quest’ultimo,
che complicava il gioco, perché per catturare un avversario non bastava vederlo dietro il tal riparo, ma occorreva gridarne anche il nome, cosa impossibile se non lo si poteva riconoscere. Un aspetto piacevole del
gioco era quello d’imbattersi, strisciando lentamente a terra e perciò osservando ogni palmo del terreno,
in uova di gallina o di oca il cui proprietario non si sapeva mai chi fosse; le prime venivano immediatamente bevute e le seconde portate a casa per la gioia della mamma, che così ti perdonava meglio lo sporco e gli strappi sul vestito.
54 – indovinello – Con le mani dietro la schiena, si nasconde un piccolo oggetto in una di esse, poi le si
rimette davanti invitando un altro ad indovinare in quale mano sia. Quest’ultimo non lo dice subito ed invece recita sillabando in una cantilena una delle tre strofe seguenti, ad ogni sillaba additando alternativamente le mani che gli stanno davanti e delle quali la prescelta sarà quella additata dall’ultima sillaba:
a) Pero melo dimmi il vero dimmi la santa verità se sta qui o se sta qua.
b) Ambarabacci ciccoccò tre civette sul comò
b) Che facevano l’amore con la figlia del dottore,
b) Il dottore s’ammalò ambarabacci ciccoccò.
c) I tre asinelli che vanno in Egitto, oh che tragitto, oh che piacere
c) Andare a vedere la stella polare che cade nel mare.
Le tre formule potevano essere usate anche per individuare, in un gruppo, quello che doveva fare la conta
nel nascondino, o qualunque altra attività.
55 – inferno e paradiso – Ragazzi di ambo i sessi piegavano un foglio di carta in modo tale che ne venivano fuori quattro nicchie, nelle quali uno infilava altrettante dita e cioè i pollici e gli indici delle sue mani. Muovendo le dita per un verso, si apriva un avvallamento tra le nicchie e questo veniva colorato di azzurro (il paradiso), muovendole per l’altro possibile verso si apriva un altro avvallamento, che veniva colorato di rosso (l’inferno); tenendo tutte e quattro le dita unite tra loro e sempre infilate nelle nicchie, non
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appariva alcun avvallamento. Il gioco consisteva nel dire un numero, per esempio 5, e colui che teneva le
dita nelle nicchie doveva aprirle e chiudere – ora in una direzione ora in un’altra – 5 volte; se alla quinta
apertura appariva il rosso, andava all’inferno e se appariva l’azzurro, in paradiso.
56 – lente – Ragazzi sotto un bel sole ne filtravano i raggi attraverso una lente – per lo più d’ingrandimento
– dirigendoli su un foglio di carta che dopo un po’cominciava a bruciare; i più abili riuscivano a scrivere
intere parole di bruciaticcio sul foglio, senza che prendesse fuoco. Oltre che carta, si potevano bruciare foglie secche e sterpi.
57 – liberi – Giocare ai liberi è quello che si dice anche giocare a guardie e ladri. Si fanno due gruppi,
maschili, uno dei quali è quello che deve
fuggire e l’altro quello che deve inseguirlo. Quando un ragazzo fuggiasco viene
raggiunto e toccato da un inseguitore, viene fatto prigioniero, condotto in uno spiazzo e controllato a vista; se però un fuggiasco riesce a toccare il prigioniero senza a
sua volta farsi toccare / imprigionare, lo libera facendolo di nuovo fuggire. Il gioco
finisce quando i fuggiaschi sono stati tutti
raggiunti, toccati e fatti man mano prigionieri nello spiazzo, il che determina anche
la vittoria degli inseguitori sui fuggiaschi;
potevano tuttavia vincere anche questi ultimi ed allo scopo bastava che uno di loro
fosse riuscito a non farsi mai raggiungere.
58 – maschere – Gioco carnevalesco praticato da ambosessi di ogni età e consistente nel rendersi irriconoscibili; non tanto, un tempo, applicando maschere davanti alla faccia, quanto tingendo questa con
carboni, belletti o altro, oppure nascondendola in tutto o in parte dietro cappelli,
fazzoletti ecc… Per il resto, si indossavaGioco della morra
no vecchi vestiti di casa, preferibilmente
malconci e pagliacceschi, nel senso, ad esempio, che un bambino veniva sistemato dentro un vestito in cui poteva entrare più volte. In queste condizioni, si faceva a piccoli gruppi il giro delle case del paese, nelle quali ci si sbizzarriva ad indovinare chi
fossero i mascherati, ai quali si offrivano castagnole, i tipici dolci carnevalizi ricoperti di miele.
59 – mazzafrumbola – Gioco maschile consistente nel lanciare un sasso sostenuto da una corda con una
sua base di appoggio, fatto roteare con il braccio prima del lancio medesimo per imprimergli una maggiore
velocità di uscita e di fuga.
60 – mestieri – Gioco di ragazzine consistente nell’imitazione dei gesti tipici dei vari mestieri. Si mettevano in fila indiana ed alla prima della fila una ragazzina, non facente parte della fila, ordinava, ad esempio: Fa la stiratrice! Al che la prima della fila cominciava a marciare con tutte le sue compagne dietro, facendo insieme ad esse con le mani e con le braccia i gesti di una che stia stirando i panni, contemporaneamente cantando tutte insieme:
Le stiratrici passano, Rosa e Rosetta
Le stiratrici passano, Rosa e Rosà.
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Facendo in questo modo (che stanno appunto mimando), Rosa e Rosetta
Facendo in questo modo, Rosa e Rosà.
Si continuava poi con altri mestieri e nella strofa cambiava solo il nome del mestiere: fabbri, falegnami,
calzolai, barbieri, muratori, boscaioli, pastori, sarti e così via con il fitto mondo artigiano di una volta.
61 – monopattino – Gioco maschile, benché poco praticato, con il noto giocattolo costruito in casa: due
rotelle applicate ad una tavoletta di legno, sulla quale si saliva durante il gioco cercando di mantenersi in
equilibrio e dalla quale ne veniva su un’altra nella parte anteriore, terminante con un rudimentale manubrio per appoggiarvi le mani.
62 – morra – Millenni fa non era un gioco, ma un rito divinatorio presente già in bassorilievi egiziani ed
attestato anche presso Greci e Romani. Più tardi lo si incontra come metodo per risolvere liti tra pastori.
Arrivato fino a noi, anche se attualmente praticato solo in aree ristrette (da notare che durante il fascismo
era proibito, come d’altronde erano proibite le gare poetiche), il gioco consisteva in un gruppo di uomini
che nei momenti di riposo e nella bettola oppure in punti riparati dalla pioggia (a Fossato per esempio sotto le Rughe), giocavano uno contro l’altro, con intorno un crocchio di spettatori; i due contendenti, tenendo chiusa la mano destra, la gettavano d’improvviso e contemporaneamente avanti esibendo da zero a cinque dita ed urlando un numero da zero a dieci, numero quest’ultimo che è la somma delle dita di due mani (la parola zero era sostituita dalla parola: do). Guadagnava un punto colui che aveva urlato un numero
uguale alla somma delle dita scagliate fuori dalle due mani; per esempio se aveva urlato sette e nello stesso tempo aveva buttato fuori quattro dita e l’avversario tre. Per vincere una partita bisognava in genere arrivare a dieci punti e non era permesso barare cercando di modificare il numero delle proprie dita nel momento in cui le si scagliava fuori
dal pugno, magari cercando di capire il numero che stava per urlare l’avversario.
63 – moscacieca – Gioco di ragazzi di ambo i sessi, consistente
da parte di un bendato nell’acchiappare e riconoscere a tasto almeno uno di quelli che gli giravano intorno.
64 – muffa – Ancora un gioco di
ragazzi di ambo i sessi, consistente nella rincorsa che uno – il quale aveva la muffa e voleva disfarsene attaccandola a qualcun’altro
– faceva ai suoi amici, i quali fuggivano perché non la volevano.
Naturalmente, però, ad un certo punto qualcuno veniva raggiunto e toccato e così si prendeva la muffa, cominciando a questo punto lui a dar la caccia agli altri.
65 – muri – Saltare dall’alto di un muro verso il basso – esibizionismo di maschietti scavezzacollo– era
gioco che solo pochi audaci osavano fare. Radunato un gruppo di amici, lo scavezzacollo mostrava loro di
che cosa era capace, saltando a terra da altezze anche di sei – sette metri e con ciò accrescendo il suo prestigio presso gli amici, i quali assistevano all’impresa con il fiato sospeso. A Fossato si saltava preferibilmente dai muretti delle Rughe negli orti sottostanti, dai muri in area Portanova o in area Lavatoio, dal rudere del Roccaccio dopo averlo scalato fino ad una certa altezza, dal muretto davanti al monastero. Bernoccoli e scorticature, ma mai un osso rotto.
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66 – nascondino – Gioco universale, ma ogni volta
con le sue regole. A Fossato si giocava nelle serate della bella stagione ed in genere alla Mura, sotto l’edificio
comunale e mentre gli adulti si ripetevano le solite cose davanti all’ampio orizzonte. Individuato con uno dei
tanti sistemi colui che doveva contare e stabiliti i
confini entro i quali era consentito nascondersi (da poche decine di metri, all’intero paese), il contatore poggiava la testa ad un muro (in genere quello della Torre)
– e quel punto diventava la cova – iniziando a contare
(fino a venti o più, secondo gli accordi presi), mentre i
compagni sparivano in tutte le direzioni. Finita la conta ne dava l’annuncio a voce alta dicendo: Chi è fori è
fori, chi è dentro è dentro, tingoli e tingolati. Poi iniziava la ricerca, ma sempre con un occhio alla cova per
evitare che qualcuno facesse cova, cioè sbucando all’improvviso arrivasse a toccarla prima di lui; quando
scopriva qualcuno – e doveva dirne anche il nome preceduto dalla parola tingolato – tra i due c’era una folle corsa verso il luogo desiderato, su cui chi arrivava
primo strillava: cova! Se arrivava primo il cercatore, il
primo sconfitto diventava lui il cercatore (si diceva:
quello che chiappa) del giro successivo, a meno che –
se era stata stabilita questa regola – non fosse stato liberato da un compagno che sul finire del gioco e arrivando primo alla cova avesse gridato: liberi tutti!, cosa che di fatto faceva ricominciare il gioco da capo con lo stesso cercatore e gli stessi, appunto liberi, che
per la seconda volta andavano a nascondersi. Si concludeva un giro di gioco con la cattura di tutti quelli
che si erano nascosti. Dato il buio delle strade, del gioco talora si approfittava per amoreggiare.
67 – neve – Non era soltanto l’antico gioco del lanciarsi addosso palle di neve, o del costruire pupazzi ai
quali mettere per occhi due carboni, o del raccoglierne un po’ sulla paletta del camino per l’ineffabile piacere di vederla sciogliersi davanti al fuoco, ma era anche il lasciarsi cadere di spalle e a braccia aperte su
strati di neve alti e compatti, lasciandovi così la propria impronta, che si cercava di non rovinare uscendone fuori con l’aiuto altrui. I passanti potevano poi ammirare questi bassorilievi alla rovescia, per così dire,
e fare ipotesi a chi appartenessero.
68 – ombre – Gioco di adulti per divertire bambini – ma anche se stessi – quando in casa partiva la luce
e si accendevano candele. Con le mani poste tra la candela ed un muro, proiettavano sul muro l’ombra delle mani medesime, sistemate in modo da rappresentare in genere il profilo di un animale e, più raramente,
di qualcos’altro.
69 – oste – Un gruppo di uomini, in giorno di festa ed ognuno con una boccia di legno in mano, si riunisce su una strada fuori del paese. Il primo inizia il gioco lanciando la sua boccia dovunque voglia – anche
al di fuori della strada – e poi chiama per nome quello che dovrà lanciare per secondo (dice per esempio:
venga Giovanni!), il quale dovrà lanciare imitando in tutto il percorso della prima boccia, per esempio
sbattere su quel muretto, saltare quel cespuglio, ecc… Il secondo lanciatore chiama quindi per nome il terzo, che dovrà anch’esso imitare il percorso della prima boccia e così via con il terzo che chiama il quarto,
con il quarto che chiama il quinto ecc… Dopo che tutti hanno lanciato, il primo lanciatore grida: Venga
l’oste! Questi, che ha seguito l’allegra brigata con fiaschi di vino e bicchiere, da da bere a tutti meno che
ai perdenti, i quali sono quelli che a giudizio del primo lanciatore hanno imitato peggio il percorso della
prima boccia, quelli la cui boccia è finita troppo lontana dalla sua e quelli che sbagliandosi hanno chia20
mato a lanciare la boccia uno che era già stato chiamato. Poi si ricominciava.
70 – palla a muro – Una ragazzina si metteva davanti ad un muro e verso questo lanciava la palla che doveva poi riprendere senza far cadere a terra, ad ogni lancio superando una difficoltà, contemporaneamente annunciata dalla sua voce:
– a muovermi (e nel riprendere la palla doveva muoversi)
– senza muovermi (nel riprendere la palla non doveva muoversi)
– con una mano (riprendere la palla con una sola mano)
– con un piede (riprendere la palla stando su un solo piede)
– senza ridere (riprendere la palla senza ridere)
– vado a battere (riprendere la palla battendo le mani)
– zigo zago (riprendere la palla arrotolando le mani)
– violino (riprendere la palla mimando l’atto di suonarlo)
– un bacino (riprendere la palla lanciando un bacio al vento)
– tocco terra (riprendere la palla toccando con una mano la terra)
– la ritocco (come l’operazione precedente)
– S. Agnese del Signore (riprendere la palla incrociando le braccia)
Il gioco proseguiva con numerose altre espressioni che tutte le ragazzine di allora conoscevano.
71 – palla prigioniera – Gioco di ragazzi di ambo i sessi. Due squadre di ugual numero di ragazzi si sistemano in un terreno – il campo di gioco – al di qua e aldilà di un filo che lo divide a metà, come l’odierna rete in un campo di pallavolo. Uno lancia la palla, che deve passare al di sopra del filo, nel campo
opposto e se essa viene presa prima di cadere a terra, anche il lanciatore deve passare nel campo avversario, dal quale potrà tornare nel suo soltanto quando riuscirà ad afferrare la palla lanciatagli dai compagni,
cosa che i suoi avversari cercheranno d’impedirgli. La palla viene lanciata ora da una squadra ora da un’altra e vince la squadra che riesce a far prigionieri tutti gli avversari.
72 – pallone – Il gioco è quello noto: una squadra contro un’altra e vince quella che fa più gol. Se fosse
soltanto così, non sarebbe da raccontare; ma giocare a pallone, ragazzi mischiati tra loro anche di età molto diverse, su terreni che non erano campi sportivi, ma strade, prati e campi agricoli sui quali le porte erano segnate
da sassi o cespugli, giocare spesso in montagna, giocare
con un pallone che raramente era di cuoio o di gomma,
giocare partite lunghe anche tre o quattro ore e senza arbitri di sorta, con le scarpe di tutti giorni ed ovviamente quelle più rattoppate per chi ne aveva più di un paio, in sette
contro sette, ma anche dieci contro sei, tredici contro diciotto (ed allora erano i ragazzi di un paese contro quelli di
un altro), due contro cinque e perfino uno contro tutti, giocare a perdifiato con il sole e con la pioggia senza avere coperture, ristori o assistenze di qualsiasi tipo, giocare andando ogni cinque minuti tutti a ritrovare il pallone finito
nel bosco sottostante – cosa che a Fossato capitava quando
si giocava sull’area montana della Torricella – non era precisamente il giocare a pallone di oggi tra tutte le comodità.
73 – pallucche – Due maschietti scelgono nel terreno una
piccola buca, oppure la fanno e prima l’uno poi l’altro, da
qualche metro di distanza, lanciano la propria pallucca (la
galla della quercia) verso la buca, con uno specifico movimento: punte della mano sinistra a terra e polso piegato di
90°, mano destra appoggiata a questo polso piegato e strin-
gente la pallucca tra il pollice rivolto verso l’interno della mano e l’indice e medio, espulsione della pallucca da parte del pollice e facendo in modo che la pallucca vada a finire nella buca o il più vicino possibile ad essa; chi vi si avvicina di più, ha diritto di cominciare la gara. Questa consiste nel colpire con la
propria pallucca, da lanciare come già descritto, quella avversaria e ad ogni colpo andato a segno si realizza un punto, purché tra la pallucca colpita e quella che l’ha colpita non resti sul terreno una distanza inferiore ad un palmo, misurato aprendo quanto più possibile le dita, caso nel quale il punto non è valido ed
anzi da diritto all’avversario di prendere lui in mano il gioco. Vince chi per primo arriva a venti punti, mostrando così di avere una migliore mira e l’abilità di non colpire troppo forte la pallucca avversaria, per
non mandarla troppo lontana e dunque diminuire la possibilità di colpirla ancora, e allo stesso tempo di
non colpirla troppo piano per non lasciare sul terreno tra le due pallucche una distanza inferiore ad un palmo; i punti comunque si realizzano anche riuscendo ad andare a buca, cioè a farvi entrar dentro deliberatamente o per caso la pallucca propria o quella avversaria e così giocare nei pressi della buca avvantaggia
notevolmente. Prima del gioco si fa attenzione a che l’avversario non abbia un palmo della mano troppo
largo e durante il gioco a che non faccia l’azzico, cioè non ricorra ad un lancio di pallucca barando con il
piegare troppo in avanti il polso della mano sinistra o il portare troppo in avanti la mano destra, riducendo così la distanza tra sé e la pallucca da colpire. Il perdente è tenuto a fare una penitenza detta pile. A
Fossato si ricordano giocatori così bravi da realizzare i venti punti tutti in una tirata, magari con l’aiuto
della buca, non permettendo così all’avversario neanche un lancio. Più tardi sono arrivate anche palline di
vetro, che il perdente talora doveva cedere al vincitore.
74 – palo – Un palo già esistente sul terreno, oppure piantatovi per l’occasione, veniva unto di materie
grasse e così era molto divertente vedere giovanotti che tentavano di arrampicarvisi senza riuscirvi o scivolare a terra dopo esser saliti su per un paio di metri.
75 – panni – Il torcere i panni avveniva subito dopo il loro lavaggio al fosso o al lavatoio pubblico da parte delle donne, per le quali l’operazione non era un gioco, ma un aspetto della quotidiana fatica. Lo consideravano un gioco i ragazzi che, aiutando mamme e sorelle a strizzarli a più non posso, ricavavano un
certo piacere nel vedere prima l’acqua scrosciare, poi filare e sempre meno, infine stillare dal panno che si
trasformava in un serpentone man mano che si avvitava su se stesso, arrotolato alle estremità in opposte
direzioni. Se non venivano messi subito ad asciugare sui rovi circostanti, li si metteva in canestre e canestri che venivano portati a casa in spalla – ma le donne li portavano in testa – o su carretti tirati a mano ed
allora anche per i ragazzi cominciava la fatica, in particolare se si trattava di scalare il colle di Fossato partendo dal fosso della Lenna, sotto i ponti della ferrovia; naturalmente venivano portati a casa anche dopo
essersi asciugati all’aperto, ma in questo caso pesavano un po’di meno.
76 – parata – I ragazzi facevano la parata quando pioveva molto, ponendosi, a Fossato, in fondo alla discesa del primo o dell’ultimo tratto coperto di Ruga e costruendo, appunto, la parata, cioè una diga di terra – che diventava subito fango – per raccogliervi l’acqua piovana che scorreva giù abbondante dalla Ruga medesima e costruire una specie di laghetto nel quale sguazzare, felicemente scalzi e seminudi, con
l’acqua fino alle ginocchia. C’era un frenetico tappare con terra le falle che l’acqua apriva ininterrottamente nella diga e l’unico dispiacere era che la pioggia a dirotto non durava mai più di tanto.
77 – perché – Il gioco del perché inizia, in un crocchio di ragazzi di ambo i sessi, con uno che attribuisce
ad ogni presente un mestiere: tu farai il sarto, tu il contadino, tu il farmacista… ecc. Subito dopo, nel silenzio generale, comincia ad interrogare per esempio il sarto e gli chiede: sarto, l’hai fatto quel vestito?
ed il sarto deve rispondere senza dire mai la parola perché. Il conduttore incalza con le domande, per esempio chiedendo: perché non l’hai fatto?, oppure: perché l’hai fatto senza avvertirmi?… Se all’interrogato nel rispondere scappa distrattamente un perché, viene eliminato. Nel caso citato il dialogo poteva andare avanti, per esempio, così:
A: Perché non l’hai fatto quel vestito? e B: Non avevo più filo.
A: E perché?
e B: Mi era scordato di comprarlo.
A: E perché t’eri scordato?
ecc…
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78 – piastre – Gioco di ragazzi, ma raro, equivalente a quello adulto del giocare a bocce, con la differenza che si usavano piastre, cioè dischi rotondi di circa una dozzina di cm di diametro, fatti di materiale gommoso.
79 – piatto – Il gioco – o se si preferisce, lo scherzo – del piatto affumicato lo poteva fare chiunque a
chiunque altro lo ignorasse. Gabriele, ad esempio, teneva in mano uno specchio – in posizione da potercisi specchiare – e Tania un piatto che gli era stato posto in mano e che non doveva muovere, il cui fondo era stato precedentemente sporcato – ma Tania non lo sapeva – di fumo di candela. Poi Gabriele invitava
Tania a ripetere le mosse che lui avrebbe fatto, motivandole all’occorrenza con qualche scusa e relative al
toccare con uno o più dita il fondo dell’oggetto tenuto in mano, passando quindi le dita stesse sulla faccia.
Con il risultato che Tania, senza saperlo, si copriva la faccia medesima di nero come un carbonaio, cosa
che un istante dopo scopriva con sorpresa guardandosi allo specchio.
80 – piede piedella – Ragazzi di ambo i sessi si mettevano seduti in circolo e davanti ad ognuno passava
un giocatore che snocciolava una filastrocca, recitata pronunciando una sillaba per ogni piede che incontrava (donde il nome del gioco). Nella residua memoria popolare è stato possibile recuperare la seguente
strofa della filastrocca:
…
che sale nella scala
/ la scala e lo scalone
la penna del pavone / la bella zitella
che gioca a piastrella / col figlio del re
un due tre
/ alza la gamba che tocca a te.
Colui al quale toccava alzare la gamba, restando seduto, doveva restarci per un certo tempo e questa era la
penitenza.
81 – piede piedogna – Gioco in tutto simile al precedente, con l’unica variante della penitenza, che era
quella descritta nel gioco n. 5.
82 – pietre – Il gioco, fatto da maschietti che non si ponevano il problema di eventuali conseguenze, consisteva nel far rotolare pietre giù da burroni, scarapeti, avvallamenti, pendenze d’ogni tipo, in un specie di
gara a chi le faceva arrivare più lontano.
83 – pipì – Il gioco della pipì, maschile ed espressione dei periodi a cavallo dell’età puberale, consisteva
in una gara a chi riusciva a mandare più lontano la propria orina, fatta tutti in fila da un muretto. Si stava
ben attenti a che nessun occhio estraneo spiasse la scena, tanto meno quello del padrone degli eventuali
ortaggi innaffiati con questo sistema.
84 – pista – Gioco di maschietti, a Fossato fatto in genere sotto la Ruga dove il terreno coperto non faceva crescere erba e metteva a disposizione montagne di polvere con cui veniva costruita la pista, lunga, sinuosa, con dossi e gallerie come quella che i ragazzi fanno sulla sabbia del mare. Ognuno con la sua pallucca in mano, si gareggiava per interi pomeriggi in un polverone fitto come la nebbia. Il colpo dato alla
pallucca dal proprio indice o dal proprio medio fatto scattare dalla punta del pollice, era detto petecchia.
85 – pistà l’uva – Ancora maschietti impegnati in un lavoro considerato un gioco, come nel torcere i panni. Venivano chiamati in qualche cantina dove c’era tanta uva da trasformare in mosto, fatti spogliare come mamma li aveva fatti (a qualcuno più timido era consentito restare in mutande) e quindi immersi nel
tinello, quel grande recipiente rotondo e di castagno pieno di grappoli d’uva già passati un giorno o due
prima nella macinatrice a mano per ottenerne il primo mosto, raccolto e messo in botte prima dell’arrivo
dei ragazzi (talora invece del tinello si trattava di un vascone di cemento).
I ragazzi effettuavano quindi con i piedi la seconda spremitura, prima della terza ed ultima che era quella del torchio: pistavano l’uva facendone uscire ancora mosto, talora gareggiando in velocità e talora con
le mani sul bordo del tinello mettendo fuori la testa per respirare aria e non le vampate che esalavano in23
tensissime dal fondo.
Scherzi e lazzi accompagnavano tutta l’operazione, connessi generalmente al fatto che si era entrati nel
tinello con i piedi sporchi (ma tutti sapevano che la fermentazione del mosto nella botte avrebbe distrutto
ogni impurità), al fatto che Tizio era lì lì sul punto di cadere ’mbriacato nel tinello, al fatto che Sempronio ci aveva il pisello troppo piccolo per la sua età, al fatto che Caio approfittava della circostanza per farsi finalmente un bagno… Ed in realtà si trattava del bagno più impegnativo dell’anno, anche perché una
volta usciti dal tinello si andava sotto qualche fonte pubblica a levarsi di dosso il mosto; nelle case, infatti, non c’era acqua.
Più difficile era levarsi il mosto dai capelli o dagli occhi – che finché non si arrivava a qualche acqua non
si riusciva ad aprire – quando la testa veniva per gioco spinta da qualcuno nella mastella che raccoglieva
il mosto della torchiatura, sulla quale ci si era chinati per berne un goccio.
86 – potassa – Pericoloso gioco di giovanotti che su una superficie piana e dura (di cemento, per esempio) ponevano un po’di carbonato di potassio in polvere (la potassa), unendovi un po’di zolfo; ricoprivano quindi la miscela con un sasso piatto e liscio, sul quale appoggiavano un tacco della propria scarpa, violentemente colpito subito dopo con l’altro tacco, come in un saluto militare. Il colpo secco provocava la
fragorosa esplosione della miscela e come minimo un bel dolore al piede che vi era appoggiato sopra.
Una variante del gioco consisteva nell’alloggiare la miscela nel buco filettato di un bullone metallico o dado, posto sempre su una superficie piana e possibilmente ricoperta da un cartoncino, nel riavvitare poi la
vite nel buco, nell’appoggiarvi sopra ancora un tacco e nel colpirlo con l’altro come già detto.
87 – primo aprile – I tradizionali scherzi di questa data erano qualcosa di semplice, a Fossato come nelle località limitrofe; per esempio si diceva a qualcuno che era desiderato subito dal tale, oppure si convinceva il tal altro a portare in quel punto una fascina e così via. Ciò bastava a divertire gli autori dello scherzo e coloro ai quali lo si raccontava.
88 – quarantotto – Gioco di uomini che a Fossato si svolgeva in genere nei tratti scoperti di via Ruga e
tra numerosi spettatori. All’interno di un cerchio di circa un metro di diametro si ponevano quattro bocce
di legno e fatte a mano, nella posizione rispettivamente delle ore 3 – 6 – 9 – 12 dell’orologio ed una più
piccola al centro, detta pallino. A tutte era assegnato un valore, noto a tutti: quella delle ore 6 valeva un
punto e – girando in senso antiorario – quella delle ore 3 due punti, quella delle ore 12 tre punti, quella
delle ore 9 quattro punti; il pallino otto punti. Si giocava in genere uno contro l’ altro o una coppia contro
l’altra, lanciando una alla volta da una dozzina di metri di distanza nel primo caso quattro bocce a testa,
nel secondo due; vinceva chi colpendo le bocce e sommando i rispettivi punti, arrivava per primo alla cifra di quarantotto. Per la validità della giocata occorreva che le bocce colpite uscissero dal cerchio, che la
boccia lanciata per colpirle cadesse aldilà di un bastoncino posto ad una decina di centimetri davanti al cerchio, che sul punto di lancio non
si superasse una linea segnata da
un altro bastoncino o dalla strisciata della scarpa sulla terra. Se
la boccia lanciata ne colpiva una o
più facendole uscire dal cerchio
ed essa restava nel cerchio, i punti realizzati valevano il doppio.
89 – quattro cantoni – Gioco di
ragazzi di ambo i sessi. In uno
spazio si sceglievano quattro angoli, cantoni, costituenti un ideale
quadrato, poi occupati ognuno da
un giocatore, mentre un quinto si
poneva al centro. Quest’ultimo
doveva riuscire a conquistare un angolo mentre i quattro si scambiavano di posto tra loro, costringendo così quello rimasto senza angolo a porsi lui al centro ed a tentare lui di riprendersi un angolo. E si andava avanti finché se ne aveva voglia.
90 – ruba bandiera – Due squadre di ragazzi di ambo i sessi si dispongono una di fronte all’altra e ad una distanza di circa venti metri; ad ogni ragazzo corrisponde un numero in entrambe le squadre e per esempio a Matteo n. 3 di una squadra, corrisponde Lorenzo n. 3 dell’altra squadra. Al centro del campo segnato da una linea tracciata sul terreno, o se si preferisce ad equidistanza dalle due squadre, si pone l’arbitro che tiene in mano una bandiera e che da inizio al gioco chiamando un numero. Subito i due ragazzi
corrispondenti scattano verso la bandiera tenuta dal braccio disteso dell’arbitro e chi riesce a prenderla –
senza superare la linea di demarcazione tra i due campi – ed a portarla tra i propri compagni senza essere
toccato dall’avversario che lo insegue, realizza un punto; ma se l’inseguitore tocca con la sua mano chi ha
preso la bandiera, il punto è suo, vale a dire della sua squadra. Vince la squadra che per prima arriva ai
punti prestabiliti, per esempio venti.
91 – ruzzola – Gioco di uomini che la domenica pomeriggio si radunavano alle porte del paese con una ruzzola di
legno in mano ed in genere costruita da loro stessi e gareggiavano magari giocandosi un bicchiere di vino da bere
alla fine nella bettola. Si formavano due squadre e si stabiliva fin dove sarebbe arrivata la gara, praticata ovunque.
Da Fossato il percorso scendeva verso Palazzolo, sulla
strada allora bianca, stretta, un po’gobba al centro dove
non passavano le ruote dei carri e su cui fino agli anni ’50
transitava una macchina ogni morte di papa; si poteva arrivare a la cerquaiola – culmine della salitella qualche decina di metri dopo la conserva ed ora scomparsa per lo spostamento leggermente a valle della strada in quel punto –
oppure più giù al chiavicotto, poco al di sotto della casa
contadina tuttora esistente, o più giù ancora fino a barucco, toponimo all’inizio della Valle di S. Martino ove era una casa contadina di cui non è rimasta traccia e da qui si
poteva arrivare infine alle prime case di Palazzolo, su terreno che si faceva pianeggiante.
Sia all’andata che al ritorno la gara si svolgeva con un lancio (tiro) della ruzzola da parte di tutti, rilanciando ogni
volta dal punto più avanzato raggiunto da un giocatore di
ogni squadra; per esempio, se la squadra A con il suo miglior lancio aveva percorso m 150 e la squadra B m 180, era da questi punti che tutti i componenti delle due squadre
effettuavano il lancio successivo, finché una squadra arrivava prima al traguardo; un bravo lanciatore in una squadra – salvo imprevisti – era garanzia di vittoria.
Si poteva anche stabilire di gareggiare effettuando soltanto quattro lanci, ad esempio, e naturalmente vinceva chi arrivava più avanti.
Il lancio della ruzzola – affidato in gran parte all’abilità di fargli seguire l’andamento del terreno fatto anche di curve, avvallamenti, fossetti laterali e dossi – avveniva imprimendo a questa la massima spinta possibile, grazie anche all’aiuto di una cordicella che gli veniva arrotolata intorno ed un cui capo finiva legato all’indice della mano che la lanciava; per rendere la cordicella più scivolosa, la si stringeva e la si tirava via più volte tra foglie di giaio – il tardo latino gigarus, poi jarus, giaro e gigaro – raccolto per i giocatori dai ragazzi lungo i greppi del percorso. I ragazzi erano anche quelli che si precipitavano a ritrovare
le ruzzole che uscendo di strada finivano nei campi e nei fossi.
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92 – salta cavalletta – Gioco maschile: ragazzi si disponevano
lungo una strada uno dietro l’altro
ed a qualche metro di distanza
l’uno dall’altro. Poi l’ultimo della
fila correndo saltava tutti i suoi
compagni, che per farsi saltare si
chinavano in avanti e porgevano
al saltatore la schiena, sulla quale
costui si appoggiava con le mani
per meglio effettuare il salto; saltati tutti diventava lui il primo della fila e si chinava a sua volta in
attesa di essere saltato da tutti
quelli che gli stavano dietro. Era
seguito quindi da quello che nel
frattempo era diventato ultimo e
che dopo aver saltato tutti diventava primo e così via con il resto
della fila; correndo e saltando si
poteva anche fare il giro dell’intero paese.
93 – saltamula – Un ragazzo appoggiava le spalle ad un muro ed un altro si appoggiava alla sua vita con
la testa piegandosi un po’. Su quest’ultimo andava a finire cavalcioni un altro ragazzo, dopo aver preso una breve rincorsa, e poi un secondo ed un terzo, se quello piegato era in grado di sopportarne i relativi pesi. Se i giocatori erano numerosi il cavallo – per così dire – era costituito da più di un ragazzo. Quello che
stava con le spalle al muro serviva essenzialmente ad impedire che qualche saltatore troppo esuberante ci
andasse a sbattere la testa.
94 – salto col bastone – Ancora ragazzi, impegnati in una specie di salto con l’asta. Con un robusto e rigido bastone in mano lungo più o meno un paio di metri, correvano su un terreno erboso e ad un certo punto puntavano il bastone a terra cercando con quella spinta di saltare più in alto possibile, ci fosse o no un
ostacolo da superare.
95 – sassaiola – Per gli ultimi ad averla praticata, i ragazzi di metà Novecento, era un gioco e quasi certamente lo era anche per i ragazzi di tante generazioni precedenti. Ma era nata in epoche lontane come addestramento dei giovani alla guerra e si può citare l’esempio del luogo pervenutoci con il significativo nome di "Campo di battaglia", in Perugia, sul quale accanto ad altre attività si svolgevano nel Medioevo anche i giochi della sassaiola interpretati come palestra militare (F. Cavallucci, La Fontana Maggiore di Perugia, 1993, Perugia, pag. 164 – l’autore riporta la descrizione di una sassaiola dell’anno 1417 e riferisce
che in tale gioco – combattimento si potevano vedere impegnate anche duemila persone, davanti a una folla che incitava gridando, anche quando gli scontri erano sanguinosi e talora mortali).
A Fossato si fronteggiavano due squadre, ognuna vicina ad un bel mucchio di sassi (ma sassaiole avvenivano anche con le castagne cadute dagli alberi); non si combatteva tanto per una vittoria – che di fatto poteva esserci quando una squadra sopraffaceva l’altra costringendola alla fuga – quanto per il piacere di farlo, vale a dire di colpire l’avversario, di schivare i suoi colpi, di tirare un maggior numero di sassi in un
tempo più breve e così via. Salvo bernoccoli, nessuno ricorda altri danni.
Un altro gioco con i sassi era quello del gareggiare a chi li scagliava più lontano, preferibilmente dall’alto di un dirupo o di una forte scoscesità (a Fossato dalla Portanova in direzione della Valle).
96 – scaricabarile – Gara in genere tra due maschietti a chi resisteva più a lungo nel tenere ognuno sulle
spalle un altro ragazzo, dopo averlo sollevato incrociando di spalle le quattro braccia, mettendo le due
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schiene a contatto tra loro, uno piegandosi un
po’, l’altro mandando le
gambe in aria.
97 – schiaffo – È il gioco di giovanotti detto
anche schiaffo del soldato. Un giocatore, con
la faccia davanti ad un
muro, mette la sua mano destra, aperta, accanto alla guancia destra,
come se fosse un paraocchi (ed in effetti deve impedire che da
quella parte possa vedere i suoi compagni); piega quindi il braccio sinistro e lo mette sotto il destro, con il palmo della mano rivolto verso l’esterno, aldilà dell’ascella. Su questo palmo, uno dei giocatori alle sue spalle da un sonoro schiaffo ed insieme a tutti i giocatori alza il dito
indice per dire: sono stato io! Lo schiaffeggiato deve indovinare, scrutando espressioni e movimenti, chi è
stato a dargli lo schiaffo e finché non indovinerà continuerà a prendere schiaffi sul palmo della mano; sarà
sostituito dallo schiaffeggiatore soltanto quando indovinerà chi è stato.
98 – schioppetto – Gioco di maschietti consistente nella rapida espulsione di una pallottola di stoppa –
bagnata di saliva e tramite un bastoncino di legno duro (corniolo, in genere) appoggiato alla pancia del giocatore – dalla galleria precedentemente ottenuta togliendo l’anima e cioè la parte molle o midollo ad un
ramo di sambuco lungo una quindicina di centimetri. Il nome deriva dal caratteristico schiocco che fa la
pallottola uscendo dal suo sito; è anche da rilevare in essa un certo interesse filologico, in quanto schioppetto e sue varianti sono presenti, ad indicare una primitiva arma da fuoco, già nella Fossato della prima
metà del Cinquecento.
99 – scivolarella – Gioco di ragazzi di ambo i sessi, consistente nello scivolare lungo una pendenza preferibilmente liscia e senza ostacoli, con i piedi o con il sedere o con tutto il corpo...per la disperazione delle mamme che poi dovevano rattoppare i buchi.
100 – sforicchia somaro – Anche questo era gioco di ragazzi di ambo i sessi, praticato in genere durante
le veglie invernali. Due si siedevano a terra, uno di fronte all’altro e con le gambe piegate, ognuno con un
bastone tra le gambe e le coscie, tenuto anche dall’incavo delle braccia ed ognuno tenendo in mano un fuso, quello con cui si filava. La posizione favoriva il dondolio e durante questo ognuno cercava con i propri piedi di far rotolare l’altro a terra con tutto il corpo; quando uno ci riusciva, aveva diritto a punzecchiare
quello rotolato – ed eccolo perciò sforicchiato – con la punta del suo fuso.
Quando invece del fuso si aveva in mano una ciabatta, il gioco prendeva il nome di lavora ciabatta.
101 – smorzalume – Ancora gioco durante le veglie, ma soltanto maschile. Nella spaziosa cucina di una
volta – vero centro di casa – un giovanotto si arrampicava sulle due corde che pendevano dalle travi del
soffitto ed alle quali si appendeva il maiale spaccato a metà prima della sua lavorazione; si poneva quindi
a testa in giù, come un ginnasta, ed entro un certo tempo doveva spegnere, soffiando, una candela posta
accesa sul pavimento, se non voleva esser deriso dai presenti.
102 – stira – Gioco un po’violento di maschietti, lontano da occhi indiscreti. Uno veniva improvvisamen27
te preso d’assalto da tre o quattro suoi compagni ed immobilizzato a terra al grido: La stira! La stira! Gli
venivano aperti i pantaloni e – nonostante tutti i tentativi di divincolarsi – gli veniva acciuffato e tirato via
il pisello (la stira era questo tirar via).
103 – telefono – Utilizzando soltanto una piccola scatola di latta (molto idonea quella del lucido delle scarpe, naturalmente quando il lucido era finito) ed una corda lunga qualche decina di metri e con i due capi
collegati ai due elementi della scatola, due ragazzi si parlavano alla distanza consentita dalla corda, cercando di udire qualche parola. Qualcosa si riusciva davvero ad ascoltare a distanza – o lo si credeva – quando tutto il marchingegno era tecnicamente più curato, nei materiali impiegati, nella cassa di risonanza, nel collegamento tra filo
(anche metallico) e scatola,
ecc.....
104 – tiro della fune – È il noto
gioco di due gruppi di uomini che
in una gara di forza tirano in senso opposto una fune alle sue estremità ed in cui vince il gruppo
che riesce a trascinare l’altro verso di sé. I due gruppi non erano
necessariamente costituiti dallo
stesso numero di persone, almeno
a Fossato ove il gioco era praticato per lo più nelle sere d’estate, in quanto due o tre forzuti di un gruppo potevano ad esempio esser considerati equivalenti a cinque o sei del gruppo avversario, al quale era dunque consentito essere in numero
maggiore.
105 – toccaferro – Gioco di ragazzi di ambo i sessi, consistente nello sparpagliarsi di corsa dal punto in
cui si trovano insieme e nel cercare immediatamente un qualcosa di ferro a cui appoggiare la mano – un
cancello, una ruota di carro, il battente di una porta, ecc.. – mentre il giocatore designato come inseguitore cerca di raggiungere e toccare chi un ferro ancora non l’abbia trovato e chi, avendolo trovato, cerca di
scambiarsi di posto con qualche suo amico e perciò si stacca dal ferro, giusto per provocare l’inseguitore
stesso. Chi viene raggiunto e toccato fa sì che si ricominci, diventando lui l’inseguitore.
106 – toccalegno – Gioco identico a quello precedente, con la sola differenza che qui non si tratta di toccare il ferro, ma il legno.
107 – tombola – La si giocava con le medesime regole di adesso, ma con la differenza che la tombola di
una volta – soprattutto quella della sera del 24 dicembre, a Fossato, in casa del gestore dell’unico negozio
del paese, sulla piazza centrale e prima della messa di mezzanotte – costituiva per tutti un autentico avvenimento, atteso com’era da giorni e massicciamente partecipato, anche perché nelle case non c’era ancora la televisione e solo pochi possedevano una radio. Torroni, aranci ed altri generi alimentari costituivano
il premio dall’ambo in su, mentre per chi faceva tombola, invidiato da tutti, c’era un grosso cappone vivo
– particolarmente apprezzato per i cappelletti in brodo – e prima del cappone c’era un agnello, sempre vivo, come ricordano i più anziani.
Si faceva più di una tombolata per far festa fino a tardi, ogni tanto andando a scaldarsi al fuoco acceso nella stanza accanto ed il tutto diventava più bello se fuori nevicava e se partiva la luce, occasione buona per
i più vari scherzi. Anche nelle case si giocava a tombola durante le feste di Natale, talora riunendo amici
e vicini; c’era meno roba da vincere, ma un ugual calore.
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108 – zucca – Era soprattutto un gioco per spaventare i più paurosi e lo si poteva fare in qualunque momento dell’anno. Si svuotava una zucca e sulla superficie gli si facevano buchi come se fossero occhi, naso e bocca di un teschio; veniva quindi sistemata – in un luogo buio e con una candela accesa dentro – in
un punto dove si sapeva che sarebbe passata la tal persona paurosa.
L’effetto di spavento, in un mondo di immaginario popolare dominato dal mistero, era sicuro e diventava
oggetto di elaborato racconto ai bambini prima che andassero a dormire, nelle lunghe veglie davanti al fuoco; la casistica di questo genere di racconti era molto ampia e si estendeva a fantasmi con e senza lenzuola, a lupi mannari (licantropi), a cimiteri, a vampiri ecc......
109 – zucca pelata – Gioco di maschietti consistente nel canzonare – cioè prendere in giro – un loro compagno uscito dalla bottega del barbiere con i capelli rasati a zero, cosa che poteva avvenire su disposizione dei suoi genitori all’inizio della stagione calda. Di questa provvisoria variazione d’identità ogni ragazzo si vergognava notevolmente e cercava di farsi vedere in giro il meno possibile, mentre i suoi amici rincaravano la dose cantandogli intorno:
Zucca pelata da cento capelli / tutta la notte te canteno i grelli (i grilli)
E te fanno la serenata / viva viva zucca pelata.
A Fossato l’ultimo barbiere esercitava il mestiere – con i suoi quattro arnesi essenziali e fino agli anni ’50
– nel piccolissimo monolocale a pavimento ligneo in cima alla salita delle Mura ed accanto alle scalette
della Piaggiola; a conferma di un mondo in cui ci si arrangiava a far tutto, costui era anche il calzolaio del
paese, nonché colui che suonava l’organo settecentesco nella chiesa (S. Sebastiano), azionato da mantici
le cui grosse corde erano ininterrottamente tirate da ragazzi che, nonostante l’operazione fosse faticosa,
consideravano anche questa come un gioco.
Fossato di Vico, marzo 2003
Luigi Galassi
Post scriptum – L’autore esprime fin d’ora gratitudine a quei conterranei dell’Appennino umbro–marchigiano che vorranno comunicargli vecchi giochi non compresi nell’elenco dei 109, oppure che vorranno
comunicargli varianti o integrazioni rispetto alla descrizione che ne è stata fatta.
L.G. – Via Roma 27 – Fossato di Vico (PG) – tel. 075 – 91 93 66
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INDICE
I CENTO GIOCHI DELLA VECCHIA FOSSATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 1
Il buon sapore del tempo antico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 1
Il gioco a Fossato nel Medioevo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 2
Il gioco a Fossato nell’età pontificia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 3
ELENCO DEI GIOCHI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 7
acqua e foco, aeroplano, altalena, ambasciatore, anello, ascella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 7
barattolo, barchetta, battaglia coi fiori, battimuro, bella scatola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 8
belle figlie, belle statuine, biribisse, bocce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 9
boccetta, bolle di sapone, bottoni, brecce, brocche, buriolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 10
busso, campana, campane, cantilena, carrarmato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 11
carretti, carte, castello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 12
cerbottana, cerchietto, cerchio, chiave, chiavica, ciurumella, coda della volpe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 13
corda, corsa, cucuzze, fango . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 14
firello, fischietto, focaraccio, fonte, foriverde . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 15
fornaio, fortunello, freccia, fumo, giravolta, girotondo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 16
graciole, guerra, indovinello, inferno e paradiso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 17
lente, liberi, maschere, mazzafrumbola, mestieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 18
monopattino, morra, moscacieca, muffa, muri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 19
nascondino, neve, ombre, oste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 20
palla a muro, palla prigioniera, pallone, pallucche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 21
palo, panni, parata, perché . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 22
piastre, piatto, piede piedella, piede piedogna, pietre, pipì, pista, pistà l’uva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 23
potassa, primo aprile, quarantotto, quattro cantoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 24
ruba bandiera, ruzzola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 25
salta cavalletta, salta mula, salto col bastone, sassaiola, scaricabarile. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 26
schiaffo, schioppetto, scivolarella, sforicchia somaro, smorzalume, stira . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 27
telefono, tiro alla fune, toccaferro, toccalegno, tombola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 28
zucca, zucca pelata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . « 29
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Stampato in Gubbio
presso la Tipografia G. Donati
nel marzo 2003
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Opuscolo prof. Galassi