UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE Inaugurazione dell’Anno Accademico 2008-2009 Relazione del Magnifico Rettore Prof. Ing. Marco Pacetti They are ill discoverers that think there is no land, when they can see nothing but sea. (Sono cattivi esploratori quelli che pensano che non ci sia terra se vedono solo mare). Francis Bacon (1561 – 1626) Advancement of Learning, II, 7. Autorità, colleghi Rettori, Professori e Ricercatori, Collaboratori tecnici e amministrativi, Studenti, Signore e Signori A Voi tutti grazie di gratificare l’Ateneo con la Vostra presenza. L’Università denigrata “L’Italia ha come principale risorsa il proprio capitale umano. L’Università e la ricerca – un binomio inscindibile – sono una ricchezza fondamentale per l’Italia”. Non sono le parole del severo monito del Capo dello Stato pronunciate alcuni giorni fa a Perugia a difesa del sistema universitario, ma affermazioni tratte dalle “Linee Guida del Governo per l’Università” (Novembre 2008). Credo che tutti condividano tali proposizioni anche se siamo ormai abituati – ma non rassegnati – a misurare la siderale distanza fra lo splendore smagliante dei programmi dei governi, di tutti i governi, e la ruvida realtà degli stanziamenti reali. Ciò che invece rileviamo da mesi è che politica, mezzi di comunicazione di massa e spesso anche sedicenti studiosi del sistema universitario sembrano colpiti da una sorta di bulimia denigratoria nei confronti dell’Università. Questo bombardamento eseguito da molti opinionisti – che appunto espongono più le loro opinioni che i fatti – è costituito da accozzaglie di luoghi comuni, statistiche travisate, dati parziali che però, ripetuti ossessivamente, creano in una opinione pubblica disorientata una visione dell’Università come il contenitore di tutte le nequizie. Tutto questo, orchestrato o meno che sia, ha come pratico risultato di isolare l’Università dalla società e nell’immediato di fornire una splendida giustificazione ad una drastica diminuzione delle risorse, già scarse, che il Paese investe nella istruzione superiore e nella ricerca. 1 Cercherò tuttavia di sfuggire alla facile tentazione di unirmi alla “geremiade” generale che sale dagli Atenei per cercare di confutare con argomenti specifici, razionali e misurabili, il teorema negativo che aleggia su tutte le Università, almeno per mostrare come vi siano tante istituzioni e tantissimi colleghi che lavorano con passione e, con intelligente quotidiana applicazione, ottengono risultati di prestigio tali da far onore al Paese. E’ in uscita nelle librerie un pregevole volume di Marino Regini et alii intitolato “L’Università malata e denigrata” dal quale trarrò alcune considerazioni di merito. Spendere meno ma spendere meglio! Questo è lo slogan ripetuto più volte che parte dal falso assunto che l’Italia spenda già abbastanza per l’Università. A parte l’avvilente scarso 1% del PIL speso dal Paese, se si considera la spesa per istruzione terziaria per studente nel corso della intera carriera (così eliminando la diatriba tra studenti part-time e a tempo pieno) si scopre che l’Italia investe quasi il 40% in meno della Germania, il 45% in meno dell’Olanda ma anche il 15% in meno della Spagna, come l’OCSE segnala nelle più recenti statistiche. Quando si confrontano i risultati con quelli degli altri Paesi bisogna considerare anche la quantità di risorse investite. L’Università italiana costa poco, meno che negli altri Paesi europei! Un secondo tema riguarda il presunto eccesso di offerta formativa connessa alla moltiplicazione delle Università, delle sedi decentrate e dei corsi di laurea. Anche la polemica sulle proliferazioni è pretestuosa ed infondata, a parte l’evidente processo di transfert per cui la politica (nazionale e locale) che tali eccessi avrebbe prodotto ora cerca di caricarne la responsabilità sugli Atenei. Infatti i confronti internazionali segnalano che il numero degli Atenei per milione di abitanti dell’Italia è in linea con il valore degli altri Paesi europei e molto al di sotto dei dati USA; ciò vale “a fortiori“ se si considera che in Italia manca quasi del tutto un settore di alta formazione professionalizzante come le Fachhochschulen o le Grandes Écoles. Un altro ritornello insistente è che il numero di corsi di studio (5.500) è raddoppiato. Intanto, per esempio, bisognerebbe sapere che in Germania i corsi sono 9.000 nei soli Atenei, cui si dovrebbero aggiungere i 3.700 delle Fachhochschulen. E’ certamente possibile che in alcuni Atenei siano stati progettati ed attivati corsi con nomi esotici, quando non esoterici e con scarsa attinenza alle necessità del Paese, ma la causa reale è che l’introduzione della riforma ha spezzato in due parti i precedenti corsi a tronco unico portando quasi automaticamente al raddoppio dei circa 2.700 corsi preesistenti. Peraltro, come Paese, andrebbe valutata positivamente la capacità mostrata di 2 innovare, con le appropriate correzioni, una architettura didattica rigida e non più adeguata alla società contemporanea che richiede percorsi più flessibili ed articolati. Ancora una volta un certo provincialismo autodenigratorio ci induce a non valorizzare un processo avviato in tutto il continente grazie all’impulso prevalente del nostro Paese e a non apprezzare appieno il “Bologna process”, che per ironia porta in tutta Europa un nome italiano, mentre da noi è chiamato 3+2, con un termine forse coniato dal redattore sportivo di un giornale di provincia. Quanto alle sedi decentrate le nostre esperienze, complessivamente positive, segnalano che il problema non è nel decentramento in sé, ma nel come e dove si decentra. L’argomento che ciò comporti una maggiore spesa è largamente infondato ove si consideri che per noi condizione necessaria per un progetto di decentramento è sempre stata la copertura, da parte delle comunità locali, del totale dei costi delle attività rese. E’ vero invece che nel terzo ciclo di formazione (il dottorato) in molti casi si era partiti con frammentazioni eccessive, ma il nostro Ateneo ha compiuto un passo avanti nella direzione di contenerle, con la istituzione di Scuole di Dottorato di Facoltà anticipando anche le linee di riforma annunciate dal governo. Un terzo argomento riguarda la inefficienza del sistema sia in termini di produttività nella formazione di capitale umano che di risultati della ricerca. Riguardo alla formazione vengono imputati soprattutto un basso numero di laureati rispetto alla popolazione ed un alto numero di abbandoni. A parte il deciso miglioramento in termini di numero di laureati conseguente alla riforma, molti dei quali nella durata legale, vanno considerati due fattori non attribuibili agli Atenei quali la mancanza di una vera politica di affermazione del diritto allo studio, che ci vede ultimi in Europa per la spesa per servizi agli studenti, e la assenza di filtri all’ingresso all’Università. La prova di ciò sta nel fatto che se si togliesse dalle statistiche degli abbandoni quel 20% di studenti che si perde tra il 1° e il 2° anno la produttività sarebbe perfettamente in linea con i Paesi OCSE ove tali filtri esistono. Riguardo infine alla produttività della ricerca scientifica basterebbe ricordare che su “Nature” l’analisi di Sir David King, consigliere scientifico del governo inglese, ha mostrato che se si considerano gli articoli scientifici più citati prodotti per singolo scienziato occupato, i ricercatori italiani guadagnano il 3° posto al mondo precedendo USA, Francia e Germania; i dati mostrano una produttività superiore del 40% a quelle dei molto più numerosi colleghi inglesi o tedeschi ed addirittura pari a più di 5 volte quella dei giapponesi. Peraltro anche le ricorrenti polemi3 che sulla assenza di Atenei italiani nelle posizioni di vertice nei ranking internazionali sono frutto di analisi affrettate se non espressamente tendenziose. Infatti se si tiene conto della percentuale di Atenei italiani presenti nelle principali 4 graduatorie internazionali si vede che è superiore in alcune di esse alle Università francesi, inglesi e prossime a quelle tedesche segno che la qualità media è buona mentre mancherebbero punte di eccellenza. Ma la speciosità denigratoria delle critiche sul tema si smaschera ove si considerino le diverse risposte degli altri paesi europei come noi insoddisfatti dei risultati di queste classifiche. Mentre la Germania ha lanciato un programma aggiuntivo per 2 miliardi di euro per creare Atenei eccellenti e in Francia il governo (di destra) ha ripreso una idea del precedente governo (di sinistra) investendo in 10 Atenei 5 miliardi di euro in più, nel nostro Paese la reazione è stata di tagliare del 20% a regime gli investimenti (già bassi) per l’intero sistema universitario. Si vede allora come l’appello del Capo dello Stato ad evitare “generalizzazioni liquidatorie” sia particolarmente fondato. Ovviamente nessuno vuol sostenere che le Università in Italia non abbiano difetti, anzi è ben evidente come il sistema necessiti di aggiornamenti anche robusti nel proprio modello organizzativo generale per poter fornire risultati degni di una istituzione superiore di massa, ma al tempo stesso di qualità. Proprio attorno alla necessità di evidenziare le buone pratiche e sviluppare qualità nella formazione e nella ricerca è nata l’AQUIS (Associazione per la Qualità nelle Università Italiane Statali) di cui il nostro Ateneo è fondatore assieme ad altre dodici istituzioni. Questi Atenei si sono fatti promotori del valore della qualità nel sistema di istruzione superiore e della sua rigorosa valutazione, come strumento per la più efficiente allocazione delle risorse pubbliche. In un documento inviato al ministro Gelmini, reso pubblico la scorsa settimana, AQUIS ha ricordato come sia una anomalia tutta italiana quella di un Paese con un sistema universitario fondato sul principio di autonomia degli Atenei senza che l’applicazione di tale principio sia accompagnata da processi rigorosi di valutazione di come gli Atenei abbiano esercitato i poteri di autogoverno che l’autonomia attribuisce loro. I recenti episodi relativi a gravi dissesti finanziari emersi in alcune Università segnalano come proprio la qualità dei bilanci e della gestione sia stata colpevolmente trascurata da molti anni nella ripartizione delle risorse pubbliche. Infatti la mancata applicazione di pur disponibili modelli basati su costi standard 4 ha portato ad accentuare lo squilibrio tra gli Atenei quanto a ripartizione delle risorse pubbliche, penalizzando quindi quelli che, non solo per logica di efficienza ma addirittura per legge, avrebbero avuto diritto a quote di finanziamento più consistenti proprio sulla base delle loro performance nella didattica, nella ricerca oltre che nella gestione del bilancio. Il nostro Ateneo, come documentato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, rispetto ai risultati ottenuti, è sottofinanziato da oltre 10 anni di circa il 10%, il che significa che avrebbe maturato un credito accumulato di circa 70 milioni di euro. Ciò nonostante grazie alla oculatezza nei criteri di spesa delle Facoltà, dei Dipartimenti e dell’Amministrazione centrale anche nell’ultimo bilancio abbiamo potuto registrare circa 8 milioni di euro disponibili e spesi prevalentemente in investimenti di ricerca per rinnovare le attrezzature scientifiche e dare opportunità ai più giovani talenti di accedere alla faticosa, ma entusiasmante carriera, dello scienziato/ricercatore. Non sono solo questi ricordati i crediti che l’Ateneo può vantare nei confronti del Governo centrale; infatti il sistema universitario nazionale presenta una situazione di grave sofferenza per gli Atenei che hanno una Facoltà di Medicina che interagisce con il Sistema Sanitario Nazionale attraverso aziende ospedaliero – universitarie integrate. Gli Atenei come il nostro forniscono prestazioni di carattere sanitario ai cittadini attraverso il lavoro dei clinici universitari (senza contare l’apporto degli specializzandi e dei sanitari); i loro compiti istituzionali prevedono una inscindibile integrazione di funzioni didattiche, di ricerca ed appunto assistenziali. Per questo motivo il costo di questi docenti sostenuto dagli Atenei comprende al suo interno una quota destinata a pagare prestazioni assistenziali quantificata convenzionalmente in un terzo del costo complessivo. Questo onere dovrebbe correttamente essere sostenuto dal Fondo Sanitario Nazionale e non dal singolo Ateneo; si calcola che siano così sottratti circa 350 milioni di euro all’anno alle Università e per il nostro Ateneo questo “credito” vale circa 4 milioni di euro all’anno. Malgrado tutte queste mancate erogazioni possiamo, con legittimo comune orgoglio, affermare che i conti economici dell’Ateneo sono solidi, che non ci sono “buchi” né debiti occulti che anzi non abbiamo in essere alcun tipo di – pur legittimo – mutuo. Tutto quanto esposto dovrebbe consolidare in tutti l’idea di quanto ingiusti siano gli attacchi generalizzati per presunti sprechi di denaro pubblico che sembrano sempre più finalizzati solo a dare giustificazione di tagli che non si ha il coraggio politico 5 di applicare solo dove necessario, sfidando consolidate reti di rapporti opachi. Si preferisce invece la tecnica dei tagli generalizzati, sia per gli Atenei virtuosi che per gli altri, in una sorta di programmata eutanasia del sistema per via finanziaria anche attraverso il blocco del turn-over. Se il Paese è disposto a salvare l’Alitalia, con 3 miliardi di euro di denaro pubblico e contemporaneamente a tagliare 1,5 miliardi alle Università allora è difficile credere che “l’investimento più importante che il Paese può fare è quello sul capitale umano e sui giovani che ne rappresentano il futuro” come recitano le Linee Guida. Tuttavia, per onestà intellettuale e per professione di ottimismo, va ricordato che la recentissima Legge 1/2009 prevede che una quota non inferiore al 7% del Fondo per il Finanziamento Ordinario delle Università sia ripartito su basi “meritocratiche”: entro la fine del corrente mese il MIUR è chiamato a definire i criteri applicativi. Questa è una grande occasione per lanciare all’intero sistema un segnale che può valere più di cento leggi; speriamo che non sia l’ennesima occasione perduta per affermare il principio che i comportamenti virtuosi alla fine sono ripagati. Anche politicamente – ricorda il CUN – gli stessi pur apprezzabili spunti delle “Linee Guida” assumono significati del tutto diversi se collocati entro un disegno di riqualificazione della spesa oppure di semplice e radicale risparmio. Per una nuova Università Per non lasciare l’impressione di restare a livello di accidiose lamentazioni, ma al contrario contribuire alla presa di coscienza dei problemi reali ed anche proiettare nel futuro ipotesi di sviluppo, è necessario procedere ad una analisi di come l’autonomia abbia funzionato finora e di come possa, a nostro avviso, essere ancora la chiave di volta per la costruzione di un solido futuro. Solo dal 1989 la previsione costituzionale dell’autonomia degli Atenei (art. 33 Cost.) ha potuto trovare applicazione con il passaggio da un sistema di enti autarchici eterodiretti centralmente dallo Stato, ad un sistema di autonomie funzionali per il quale l’autonomia si esercita sul “come” raggiungere il fine. Purtroppo l’esperienza mostra che spesso l’insufficienza dei mezzi per raggiungere il fine se non addirittura il più o meno consapevole cambiamento del fine stesso hanno finito per depotenziare l’autonomia affermata. Il problema è che i compiti affidati alle Università, ricerca scientifica e trasmissione del sapere, sono caratterizzati da due condizioni che limitano la stessa autonomia funzionale che dovrebbe essere il mezzo per raggiungere il fine, cioè il compito sociale affidato. 6 La prima condizione deriva dal valore legale dei titoli universitari che richiede una (anche minima) uniformità dei curricula e giustifica l’intervento, spesso vincolante e troppo di dettaglio, del Ministero. La seconda condizione deriva dal finanziamento dello Stato che induce (o meglio dovrebbe indurre) a controllare i risultati. Nei fatti queste due condizioni hanno prodotto profluvi di leggi e decreti, un vero e proprio stress normativo, con un continuo e incongruo alternarsi di rigurgiti centralistici e riaffermazioni di autonomia. Se non si può dire che vi è stato un ritorno all’autarchia centralistica ante 1989, tuttavia non si può nemmeno affermare che vi sia stato pieno sviluppo dell’autonomia. Come ricordava recentemente il collega Fabio Merusi abbiamo conosciuto una sorta di “autonomia al guinzaglio” molto simile alla “rückgekoppelte autonomie” di cui ha parlato Horst Kern ex - rettore di Gottinga, caratterizzata da una continua tensione tra autonomia e provvedimenti accentratori ed eteronomi a seconda della lunghezza del guinzaglio; ciò ha disorientato gli Atenei nelle loro necessità di programmazione pluriennale, ma anche di specifica azione quotidiana. E’ necessario dunque che l’autonomia venga non solo affermata, ma sostenuta nei fatti, coniugandola ovviamente alla maggiore responsabilizzazione di tutti gli attori della complessa vita accademica e alla valutazione dei risultati in relazione agli obiettivi. Non serve cioè un decisionismo frettoloso e talvolta arrogante come quello mostrato negli ultimi anni da governi di opposto colore, serve invece mobilitare le tante energie che esistono negli Atenei e chiedono di essere coinvolte in un credibile progetto di riforma e sviluppo condiviso. La risposta per una maggiore responsabile autonomia non può certo venire dalle fondazioni, almeno non da quelle che, con affrettata goffaggine normativa, sono state delineate dalla Legge 133/2008. Si tratta infatti più di un totem ideologico, contro il quale si sono scagliate le proteste negli Atenei, che un vero pericolo di privatizzazione. Non esistendo alcun tipo di agevolazione fiscale per chi volesse investire nelle fondazioni, non essendo ammessa distribuzione di utili in nessuna forma e per di più essendo le fondazioni destinatarie di controlli del MIUR e della Corte dei Conti ancora più stringenti rispetto agli Atenei, non si comprende quale privato sano di mente possa voler investire capitali in simile avventura quando potrebbe, più facilmente, creare ex-novo una Università privata. Un pericolo ben maggiore piuttosto comincia ad intravvedersi nell’intervento dei 7 Governi Regionali che per alcuni Atenei con vistosi buchi di bilancio si dichiarano pronti ad intervenire con apposite fondazioni sulle quali esigono – ovviamente – un controllo politico, con il duplice danno di finanziare le inefficienze e limitare l’autonomia. In un momento di acuta crisi è necessario domandarsi come l’Università possa contribuire a dare un futuro (“futuro come valore” è scritto nel nostro slogan comunicativo) ai cittadini del villaggio globale e quale set di valori culturali e competenze professionali saranno necessari per affrontare i mutamenti del tessuto sociale ed economico. E’ indispensabile un approccio che leghi maggiormente l’Università alla società in veloce trasformazione; è una tendenza ineluttabile che va gestita dal mondo accademico il quale, senza rinunciare alle sue peculiarità, deve individuare nuovi modelli per rapportarsi con il mondo esterno. Tre appaiono i pilastri della costruzione di questa nuova Università. Innanzi tutto una alta reputazione per giustificare un forte finanziamento pubblico in secondo luogo uno stretto legame con il mondo economico per lo sviluppo di servizi utili (formazione e ricerca) ed infine un rapporto fiduciario volto ad incrementare il capitale sociale della comunità che opera nel territorio di riferimento. Le azioni del nostro Ateneo da anni si sono richiamate a queste linee anche nella formulazione, necessariamente condensata, di parole chiave quali la terza missione, la tripla elica, le 3T di “Talenti, Tecnologie e Territorio” perché ben presenti ci sono i nuovi paradigmi di produzione di conoscenza ed i nuovi modelli di insegnamento e ricerca che ne conseguono. Tuttavia pur nell’incerto quadro nazionale che abbiamo delineato, alcuni aspetti fondamentali, seppur brevemente, vanno ribaditi perché costituiscono aspetti cruciali e caratteristiche fondanti. Prima di tutto va riconfermata la natura di istituzione pubblica e di bene pubblico dell’Università; l’apertura al mondo economico, che il nostro Ateneo persegue da tempo, non può portare in alcun modo ad una mercatizzazione forsennata, viste anche le non propriamente brillanti prestazioni del “mercato” anche in settori più abituati a regimi di concorrenza. L’indispensabile sostegno pubblico deve essere gestito in maniera responsabile e attraverso severi sistemi di valutazione devono essere misurati i risultati e le valutazioni positive o negative debbono comunque avere conseguenze concrete: da un lato in termini di reputazione dall’altro in termini di capacità di attrazione di iscritti e di finanziamento. Un secondo aspetto si connette al cambiamento di ruolo che la società richiede agli Atenei e che efficacemente è stato descritto come il passaggio da “university” 8 a “multiversity” per segnalare l’allargamento dello spettro di attese e di compiti cui gli Atenei devono oggi fare fronte. Essi comprendono per esempio non più solo ricerca, cultura e alta formazione ma anche sviluppo economico (la terza missione), rapporti con il territorio, internazionalizzazione spinta, percorsi flessibili per il life-long learning, attenzione alla salute ed allo sviluppo sostenibile. Una pluralità di compiti sconosciuta nel passato che richiede l’identificazione di alcune questioni cruciali: - la definizione di strategie organiche di sviluppo per l’intero Ateneo con un orientamento alla valorizzazione dei punti di eccellenza, per fortuna presenti, sia nella ricerca che nella didattica nella consapevolezza che nessun Ateneo può eccellere in tutto; - una offerta didattica compatta attorno ai corsi con un tasso di occupabilità elevato, recuperando energie da distribuire su corsi magistrali veramente specialistici; - una ricerca più internazionale e transdisciplinare aperta però alle applicazioni e alle propensioni imprenditoriali; - un robusto ringiovanimento (da noi già avviato) del corpo docente per sfruttare le nuove energie intellettuali; - infine, ma veramente “last but not least” tutto ciò richiede una governance più snella con una distribuzione efficiente delle responsabilità e con un apparato burocratico meno massivo, ma più professionalizzato per sostenere con più efficacia le attività universitarie tradizionali e innovative. Le nostre azioni Il rispetto del quotidiano appassionato lavoro di quanti operano nel nostro Ateneo ci impone di ricordare quanto già realizzato o in corso d’opera, spinti come siamo dall’imperativo di agire intanto “come se” (appunto il kantiano “als ob”)fosse già realtà l’Università cui aspiriamo, ed i cui contorni abbiamo delineato. Nel quadro nazionale non roseo lo stato di salute dell’Ateneo appare decisamente buono: oltre ai citati dati del MEF riguardo alla sostenibilità del bilancio viene una conferma della alta reputazione acquisita dalle ormai tradizionali classifiche CENSIS – Repubblica che ci consegnano un 2° posto assoluto nel Paese preceduti da una Università – Siena – che non si troverebbe in quella posizione se fosse data la giusta valutazione anche alla solidità di bilancio; infatti la graduatoria valuta gli Atenei soprattutto dal punto di vista dell’utente/studente. Ci sono tuttavia per noi margini di miglioramento ad esempio in riferimento alla completezza e alla fruibilità del sito web: proprio in questa direzione va lo sforzo avviato con il coinvolgimento dei Dipartimenti nella costruzione di una banca - dati della ricerca che costituirà il portale di ingresso del mondo economico esterno verso i tanti – spesso poco conosciuti – eccellenti gruppi di ricerca. 9 Il parametro che continua a penalizzarci ingiustamente è quello relativo ai servizi del diritto allo studio, non governato da noi, ma dalla Regione alla quale rilanciamo ancora una volta la domanda su come sia giustificabile che la spesa regionale pro-studente del nostro Ateneo sia fino a 3 volte inferiore a quella di studenti di altri Atenei della stessa regione, evidentemente più “bisognosi”. Sul piano della didattica da un lato va segnalato – in controtendenza con il dato nazionale – un ulteriore incremento delle iscrizioni con un vero boom per la sede di San Benedetto del Tronto; dall’altro è stata completata da parte delle Facoltà la revisione dei corsi di studio che permetterà di contenere la frammentazione degli insegnamenti e di ridurre il carico didattico oramai insostenibile sia per gli studenti che per i docenti che, se presi da bulimia didattica, corrono il serio rischio di vedere snaturato il loro ruolo di scienziato/docente. La ricerca ha la priorità nei nostri investimenti ed è l’unico settore in cui le nostre spese sono in crescita: oltre al potenziamento della filiera borse di dottorato – assegni di ricerca – ricercatori, è stato finanziato un ingente intervento per il potenziamento delle attrezzature scientifiche ed incrementato del triplo dell’inflazione il fondo per la ricerca di Ateneo. Per spingere verso una qualità sempre maggiore della ricerca scientifica e prepararci nel modo migliore all’imminente nuovo esercizio di valutazione dei prodotti della ricerca che il CIVR inizierà a breve, prevediamo nelle prossime settimane di organizzare dei seminari generali, ma anche di Facoltà, per diffondere la conoscenza sui vari metodi di valutazione che la scientometria offre. Per valorizzare i risultati delle ricerche, rendere ancora più intensi i rapporti con le imprese e favorire la ulteriore crescita di imprese spin-off è stato costituito l’I.L.O. (Industrial Liaison Office) che, con l’assistenza prestata nella partecipazione ai bandi regionali per il trasferimento tecnologico, ha già permesso di ottenere cospicui finanziamenti per i nostri docenti. Sul piano della dotazione di infrastrutture, che costituisce un riconosciuto punto di forza, si sono completate ad Economia la nuova sede per la Scuola di Dottorato; ad Agraria dopo l’ampliamento del blocco aule si passerà alla sistemazione definitiva dei laboratori dei Dipartimenti. Si registra invece un ritardo – dovuto a contenzioso con l’impresa – per il 3° edificio di Scienze che comunque entro l’estate sarà completato permettendo così anche il trasferimento delle Segreterie Studenti in più ampi ed adeguati locali. Per Medicina la disponibilità dei locali ancora per poco occupati dalla RMN, permetterà il trasferimento delle Segreterie Studenti e la messa a disposizione di altri spazi per l’utenza sempre più numerosa; anche il progetto di realizzare dei gazebo all’interno del cortile dell’Edificio principale, va nel senso di dare altra possibilità di aggregazione agli studenti. 10 Il blocco della normale attività amministrativa del Comune di Ancona ha invece rallentato l’iter già avviato per l’acquisizione di altre aree edificabili o destinabili a parcheggi per le impellenti necessità connesse allo sviluppo della Facoltà. La qualità infine delle strutture dipende anche dal livello di sicurezza nel quale si svolgono le attività quotidiane di lavoratori ed utenti. Il quadro normativo è stato di recente modificato perciò abbiamo offerto ai datori di lavoro la consulenza di un apposito centro di Ateneo, confermando l’intento di essere pronti a tutti gli interventi necessari perché le attività didattiche e di ricerca si svolgano secondo i più sicuri e consolidati criteri di salvaguardia della salute. Ovviamente esistono anche aree di criticità sulle quali nei prossimi mesi andrà esercitata la massima capacità di intervento. La completa dipartimentalizzazione delle strutture decentrate se da un lato fa sperare di ottenere sinergie nella ricerca ed economie di scala nella gestione, particolarmente necessarie in un momento di blocco delle assunzioni di personale, dall’altro pone il problema di formare adeguate professionalità da affiancare ai Direttori e più in generale della necessità di raccordi più veloci e costanti con le funzioni svolte centralmente. Il problema sembra anche più generale a seguito della sempre più complessa produzione normativa, nel senso che bisognerà, pur nella difficoltà dei vincoli di legge e di bilancio, sviluppare alcuni elementi di raccordo tra vertici e strutture amministrative, per una ancora più efficace sintesi nella soluzione dei problemi. Anche per le professionalità amministrative più elevate il tema del ringiovanimento sembra urgente alla luce di una serie di pensionamenti che si preannunciano talvolta resi obbligatori dalle disposizioni di legge. Sul piano dell’offerta didattica appare necessaria una rivalutazione critica di alcune esperienze di decentramento, soprattutto alla luce della difficoltà o del mutamento di indirizzo che in alcuni enti sovventori cominciano a manifestarsi. Altro tema che richiederà riflessioni ed impegni è quello relativo alla valutazione della preparazione degli studenti all’ingresso, con i connessi programmi per azioni di recupero dei debiti formativi: la riduzione drastica del fenomeno dei “drop–out” è uno dei parametri di qualità sul quale certamente gli Atenei saranno valutati. I problemi specifici della Facoltà di Medicina richiedono un impegno particolare almeno su due temi caldi. Il primo riguarda la riforma delle Scuole di Specializzazione, che dopo la complicata soluzione dello status degli specializzandi, devono ora affrontare una riorganizzazione affrettata ed in assenza di chiare indicazioni di prospettiva. E’ grave che nelle Linee Guida non ci sia una qualunque riflessione sul loro ruolo e sul 11 fatto che, costituendo un terzo livello di formazione, è necessario preservare prerogative e funzioni diverse dal dottorato di ricerca, cui talvolta rischiano di contrapporsi. La rilevanza anche ai fini della programmazione sanitaria ci ha spinti a sollecitare tempestivamente i decisori regionali perché, al tavolo Stato – Regioni, sia garantita a ciascun sistema regionale la massima autonomia delle Scuole di specialità. Dopo una lunga ed assai complessa vicenda si è conclusa, con il vasto consenso espresso dal referendum confermativo, la trattativa per l’applicazione dell’art. 6 del Decreto legislativo 517/1999. I colleghi clinici hanno finalmente viste riconosciute da Azienda Ospedaliera e Regione alcune indennità e prerogative. Ora si passa alla applicazione pratica di questi accordi e probabilmente l’esperienza indicherà la opportunità di miglioramenti e correttivi. Tuttavia il sovrapporsi continuo di norme nazionali e regionali e di sentenze amministrative rende assai problematica la complessa gestione quotidiana dei rapporti con il sistema sanitario per cui dovremo impegnarci per l’individuazione di più efficaci forme di raccordo che, senza prevaricare il ruolo specifico delle rappresentanze sindacali, consentano alla Amministrazione universitaria di essere ancora più al fianco dei colleghi. Data infine la gravità della situazione generale delle Università in Italia, avremmo potuto sospendere l’inaugurazione dell’Anno Accademico in segno di protesta come avvenuto in altre sedi. Abbiamo voluto non accodarci alle sterili lamentele, ma preferito approfittare dell’occasione per fare chiarezza sugli irresponsabili attacchi generici al sistema universitario pubblico, per svolgere riflessioni razionali, pacate ancorché severe e per mostrare - con la piena consapevolezza della difficoltà in cui il Paese si trova - che siamo pronti a rispondere pienamente del nostro operato in un disegno che mantenga davvero l’Università al centro delle prospettive di sviluppo del Paese. Non per niente il nostro più recente claim comunicativo recita “Futuro come valore, merito come metodo”. E’ con questi impegni per il futuro dell’Ateneo che ho l’onore di dichiarare aperto l’Anno Accademico 2008/2009. The great tragedy of science: the slaying of a beautiful hypothesis by an ugly fact. (La grande tragedia della scienza: il massacro di una bella ipotesi da parte di un brutto dato di fatto). Thomas H. Huxley (1825 – 1895) Collected Essays – Biogenesis and Abiogenesis 12