Vortrag zum Thema „Dal pluralismo al multiculturalismo“ 60. Anniversario della Dichiarazione dei Diritti del Uomo 1948-2008 Signori e Signore, caro uditorio, Parole e concetti significativi aleggiano su di noi: “Pluralismo, Multiculturalismo, Diritti dell‘Uomo “. Il tema del convegno è esigente … Veramente volevo iniziare il mio intervento con le parole: „ E‘ un piacere per me parlare davanti a voi, ma non so cosa ho da dire in merito“ All’idea che questo inizio – che allo stesso tempo sarebbe stata una conclusione – potesse essere un po’ spiacevole, ho iniziato a rifletterci meglio. Allora ho preso in mano il dizionario moderno e ho cominciato a cercare su “google.“ Wikipedia mi ha aiutato a trovare gli spunti e ha arricchito il mio buonsenso. Avevo appena considerato che „ pluralismo “ significhi più che altro un vivere uno accanto all’altro, un po’ secondo il motto „ vivi e lascia vivere “, mentre che con „ multiculturalismo “ si intenda più che altro un senso idealizzato della convivenza, che parta dal conoscersi e capirsi e che ambisca all’arricchimento reciproco in una società multi-culturale (Multikulti). Così sono stata messa a confronto con molte trattazioni e definizioni sociologiche diverse, che però non vorrei presentare in questa sede, da un lato perché l’avrà già fatto qualche altro relatore e dall’altro perché da me, come teologa, ci si aspetta probabilmente altro. Quindi comincio da me e dal mio lavoro di pastora: Subito mi viene in mente che parlo in nome di una comunità, che è essa stessa caratterizzata dal pluralismo e dalla multiculturalità. La Comunità Evangelico Luterana di Sicilia è stata fondata – ca.15 anni fa - da donne di lingua tedesca, che vivono qui in Sicilia e che sono sposate, non solo con i loro mariti, ma anche con le relative famiglie estese. Siamo una chiesa bilingue, che prova ad unire entrambe le identità culturali di italiani e di tedeschi, si addirittura di siciliani e anseatici. E sotto il nostro tetto sono riuniti addirittura cattolici e protestanti, perché a quanto pare all’estero la lingua comune e la cultura unisce più di quanto possano dividere le differenze confessionali. Anche questo è un aspetto interessante, che dovrebbe far riflettere noi in quanto teologi. Probabilmente anche i rappresentanti delle comunità islamiche sono nelle condizioni di testimoniare qualcosa del genere! Come minoranza in un paese con una religione, cultura e lingua diversa ciò che unisce sta improvvisamente molto più al centro dell’attenzione di ciò che divide. E se questo è già così per gli immigrati europei, quanto più forte sarà con immigrati provenienti da stati arabi, asiatici, africani, americani!!! Il senso di comunità di una minoranza è sempre più forte rispetto alla coesione della maggioranza. La questione decisiva è, come si mettono in relazione minoranza e maggioranza e viceversa maggioranza e minoranza? Esistono dei punti di contatto? C’è scambio? Ci sono obiettivi comuni? E chi chiede obiettivi deve richiedere anche valori che determinino in maniera evidente o meno gli obiettivi? Quindi, quali valori determinano la nostra convivenza? E se poniamo la questione al contrario: esistono emarginazioni? C’è discriminazione? La maggioranza prova a imporre le proprie opinioni alla minoranza? Spesso agiamo come se avessimo tutti valori comuni, cosa che però a guardar bene non corrisponde alla realtà Proprio in questioni etiche e di diritti umani lo si vede quotidianamente. • Alcuni vogliono bandire la pena di morte, altri la chiedono. • Alcuni vogliono la parità tra donne e uomini in tutti gli ambiti della vita, altri la temono. • Alcuni vogliono rendere possibile l’eutanasia in situazioni di vita di estrema sofferenza, altri non la vogliono permettere per nessun motivo. • Alcuni vogliono che le coppie omosessuali non vengano più discriminate, altri vogliono impedire la loro accettazione. E i confini tra favorevoli e contrari vengono spesso tracciati non lungo raggruppamenti sociali diversi e comunità religiose, ma all’interno o tra le stesse. Così tra musulmani da tempo non è regolata unitariamente, quale collocazione può avere la donna nella società. E anche tra i cristiani esistono valutazioni etiche differenti. Così per esempio mi è totalmente incomprensibile come la chiesa cattolica – di recente si sia potuta volgere contro la depenalizzazione dell’omosessualità presso l‘ONU. E questo nonostante che anche il catechismo cattolico si esprima contro la discriminazione degli omosessuali e dell’amara realtà che in 90 stati, solo a causa dell’orientamento sessuale, molte persone finiscano in carcere o addirittura debbano subire la pena di morte. Le chiese, a mio avviso, dovrebbero essere promotrici nella difesa dell’amore e dei diritti umani!!! Un altro esempio. Mi sono sorpresa molto quando nel programma del convegno ho scoperto una sola donna su 14 relatori. E mi sento un po’ in imbarazzo che proprio io qui rappresento metà dell’umanità, io che non sono neanche una femminista militante. Gli organizzatori me lo vogliano perdonare, ma ritengo che nell’anno 2008 per un’organizzazione come la LIDU dovrebbe essere ovvio badare alla parità dei sessi. Naturalmente come donna sono in tal senso più sensibile, come in generale le minoranze finiscono per rappresentare un buon indicatore per il clima sociale di una società. Ma fatemi tornare di nuovo al mio discorso. Parlavamo di presunti valori e visioni comuni nella nostra società e dei rapporti tra maggioranza e minoranza- … e viceversa. Molti politici ed ecclesiastici in Italia in tal senso la fanno facile. Essi dicono: „ Noi siamo un paese cattolico!, noi siamo italiani, dunque abbiamo gli stessi valori.“ E con ciò si sostiene più o meno in maniera evidente: „ A chi non sta bene, può anche andarsene.“ Ma alla base di questo atteggiamento c’è una conclusione sbagliata: Noi non viviamo più in un mondo uniforme!!! - non in Europa, non in Italia, non in Sicilia, e neanche nel paesino più piccolo. La globalizzazione è arrivata, non solo nell’ambito economico, ma anche nelle teste e nei cuori e alla fine in tutti gli ambiti della società. Anche l’identità religiosa non è soltanto e semplicemente prestabilita. 1. Quanti cattolici non condividono più i valori della chiesa cattolica!? 2. Quante persone si definirebbero in questo paese ancora cristiani praticanti? 3. Quanti cercano risposte in altre religioni, nel buddismo, nell’islam o in altre religioni dell’estremo oriente? 4. Quanti – e oso affermare la maggioranza –non cercano più il senso della loro vita in Dio, ma in tutt’altro. Di domenica non si va più in chiesa, di venerdì non si va più nelle moschee, di sabato non si va più nelle sinagoghe. Ormai si va in massa nei centri commerciali. Non a caso si parla di “templi del consumo” e questi sorgono come l’erbaccia dal terreno. Viviamo in un mondo e in una società, in cui esistono vari orientamenti religiosi, etici, culturali, sociali. Questo è un fatto. Negarlo non sarebbe solo poco intelligente, ma addirittura stupido. Ma ciò che forse Vi sorprenderà: io come pastora non vedo in questa pluralità qualcosa di così negativo. Non vorrei neanche chiudere gli occhi davanti alla problematica e quanto di esplosivo può nascondersi in tutto ciò. La questione è, come si trattano le diversità. La pluralità crea un orizzonte ampio e offre possibilità di scelta. E già questo è positivo. Ma anche visto da un punto di vista teologico, vorrei sottolineare: • La fede ha bisogno di libertà. • La fede non si può ordinare / prescrivere. • La fede non deve diventare un’abitudine E le costrizioni di una società uniforme impediscono spesso la fede autentica. Questo lo dico sia in riferimento alla chiesa popolare evangelico luterana in Germania sia in riferimento alla chiesa cattolica in Italia. Chi va in chiesa solo per un attaccamento alla tradizione e possibilmente per costrizioni esterne, non stabilisce veramente un rapporto personale con Dio. Di ciò però vive la fede e infine anche la chiesa. E così le nostre chiese tradizionali sono sottoposte al momento a una trasformazione radicale. Questa trasformazione può far paura – come ogni cambiamento, ma in ciò però c’è anche una grande opportunità. Possiamo notare che oggi le chiese si sviluppano e si riempiono di vita lì dove non sono irrigidite in strutture vecchie, ma dove sono inserite in un contesto multiculturale e multi religioso. Oggi giorno le chiese sorgono in Africa e in Asia mentre nella vecchia Europa si combatte contro il calo dei credenti. Ho collaborato per due anni con la „ Chiesa dell’India del Sud “ e ho imparato molto di più lì che in 8 anni di università teologiche tedesche e italiane. Il concetto del „ Dialogo interreligioso “ in India non viene praticato solo sulla carta. Ciò che s’intende con ciò, è la realtà quotidiana presente nei paesi e nelle città, nelle scuole e nelle università, ma anche nei Parlamenti e nei sinodi. Il subcontinente indiano è estremamente multiculturale e multi religioso. E in generale la convivenza è pacifica e piena di rispetto!!! I mass media che si interessano solo per gli incidenti tragici ci danno una vista molto unilaterale. Mi sono meravigliata di come convivessero normalmente induisti, mussulmani, sikh, parsi, buddisti, cristiani ed ebrei: Per esempio • quando ci si invita reciprocamente alle feste religiose, ci si fa gli auguri e dei regali • quando in progetti sociali nessuno chiede, a quale religione appartengono i beneficiari, badando soltanto al bisogno. • quando in una città (Coimbatore, Tamilnadu), si formò spontaneamente un consiglio di pace interreligioso, dopo che conflitti fomentati altrove, rischiavano di estendersi, e le autorità spirituali di tutte le religioni riuscirono a calmare le teste calde. • quando delle chiese appartenenti a varie confessioni – nonostante le differenze storiche – si riunivano in un’unica chiesa ecumenica, come è successo già nel 1948 con la „Church of South India“. • quando in un “Seminario Pontificale”, un’ università ecclesiale, insegnano anche docenti musulmani o induisti • e quando i bambini in scuole statali vengono educati alla tolleranza religiosa • ecc. Come chiese cristiane abbiamo il grande vantaggio, di avere una rete di relazioni in tutto il mondo. Così avviene l’incontro e la collaborazione, che altrimenti non sarebbero possibili. E possiamo imparare più facilmente dagli altri. Incoraggio sempre i giovani a fare un servizio di volontariato in una chiesa partner all‘estero o almeno in vacanza li incoraggio a partecipare ad una messa di un’altra chiesa o comunità religiosa, anche se non si conosce la lingua. Grazie ai mezzi di comunicazione di oggi, tutto ciò è molto più semplice rispetto al passato. Ma il nostro avvicinamento non è solo merito di Internet e delle compagnie aeree internazionali. In fondo lo scambio internazionale e interculturale all’interno della chiesa cristiana esisteva sin dalle origini. Nella chiesa cattolica quest’anno in particolare viene ricordato l’apostolo Paolo. Per noi evangelici il cosiddetto ’apostolo per i pagani” non è meno significativo. Paolo portava l’ Evangelo dell’amore di Dio in ogni angolo del’ Mediterraneo. Se leggiamo gli Atti, la storia degli apostoli, il libro biblico dei suoi viaggi missionari, siamo impressionati dal suo entusiasmo. E chi studia il capitolo 17 con il suo discorso sull’aeropago ad Atene, noterà che l’ apostolo conosceva bene il „ Dialogo interreligioso“. Sapeva come metterlo in pratica. Possiamo imparare da lui alcuni aspetti fondamentale. Il presupposto più importante per dialogare è: 1. conoscere le opinioni religiose dell‘altro, 2. valutare ciò che c’è di positivo e in comune, 3. esprimere chiaramente la propria convinzione e le differenze, 4. la disponibilità di lasciar stare uno accanto all’altro ciò che non si può unire, perché nessuno è possessore della verità assoluta, perché di ciò può disporre solo Dio, 5. la volontà di incontrarsi, nonostante tutto, nel rispetto e nell‘amore. Con questo spirito può nascere il dialogo e il cambiamento reciproco!!! Quanto l’apostolo Paolo si sia impegnato in ciò, si evince da molte righe delle sue lettere. Si, lì possiamo addirittura trovare un modello per una convivenza pacifica in una società multiculturale. La 1. Lettera ai Corinzi cap. 12 confronta la comunità primitiva nella metropoli di Corinto, la quale non poteva essere più variegata, con il corpo umano. • Gli arti di un corpo sono tutti interdipendenti tra di loro. • Ognuno ha un compito diverso e una peculiarità. • Eppure tutti si appartengono e sono parte di un grande insieme. V.12 “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. 13E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito.” In maniera umoristica l’apostolo chiarisce, come sia assurdo, quando qualcuno si pone in maniera assoluta: V.15 “Se il piede dicesse: "Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe più parte del corpo.” oppure V.21 Non può l'occhio dire alla mano: "Non ho bisogno di te"; né la testa ai piedi: "Non ho bisogno di voi". 22 Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; Ecc. E‘ uno splendido raffronto, sia per le differenze umane che per tutto quello che ci unisce al di là delle diversità etniche, religiose, sociali, politiche. L’umanità non è solo come una grande famiglia, ma è come un corpo unico in cui vale “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.” . Sappiamo tutti, che siamo ancora molto distanti da questo ideale biblico. Ma per me è un modello, una visione, una speranza per una convivenza pacifica. A questo punto qualcuno potrebbe obiettare: “Ma questo vale soltanto per i cristiani.” E coloro che si vedono come unica autentica chiesa, diranno: “Questo vale soltanto per i credenti della mia chiesa, della mia comunità, del mio gruppo … Io, invece, dico: Sarebbe bello se questa consapevolezza dell’unità’ fosse già arrivata all’interno delle varie chiese, ma la realtà appare spesso in maniera diversa … Ovviamente Paolo in quella situazione parlava ai cristiani e parlava della forza unificante che viene da Cristo, dal suo spirito, dal suo amore. Ma non è scritto da nessuna parte, che questa non si possa estendere oltre la comunità cristiana. Cristo non è soltanto più grande del nostro cuore, è anche più grande delle stanze delle nostre chiese. Egli è l’amore di Dio che si è fatto uomo e come tale vale per tutti gli uomini. Cristo abiterà lì dove lo si lascia entrare. Il suo spirito soffia dove vuole lui. E qualche volta ci sorprende e soffia lì dove noi non ce l’aspettiamo. A questo punto non vorrei mettere i miei occhiali cristiani anche ad altri credenti di altre confessioni. Vorrei solo evidenziare, il modo in cui vedo le cose da cristiana evangelica e qual’é la mia speranza. Io credo a quel Dio che ha creato e amato tutti gli uomini. E da ciò nasce l’impegno per un mondo in cui valgono sia i diritti di libertà individuali che i diritti dell’uomo universali e dove ci si rispetta l’uno con l’altro. Il mio sogno è, che tutte le religioni collaborino ad una convivenza pacifica e che non la ostacolino, come spesso succede! Il mio sogno è che pace, giustizia e salvaguardia del creato si manifestino sempre di più in questo mondo. Il mio sogno è il regno di Dio, il Regno in cui governi solo l’amore. Pastora Christa Wolf Traduzione di Michele Lauria