SOLIDARIETA’ Per la costruzione del Soccorso Rosso in Italia Numero 3, aprile 2008 Euro 3 Potete legarmi mani e piedi Togliermi il quaderno e le sigarette Riempirmi la bocca di terra: La poesia e' sangue del mio cuore vivo sale del mio pane, luce nei miei occhi. Sarà scritta con le unghie, lo sguardo e il ferro, la canterò nella cella della mia prigione, al bagno, nella stalla, sotto la sferza, tra i ceppi nello spasimo delle catene. Ho dentro di me un milione d'usignoli Per cantare la mia canzone di lotta. Mahmud Darwish Poeta palestinese INDICE Editoriale pag. 1 Redazionale pag. 2 Contro il carcere Imperialista pag. 3 • Alcune riflessioni sull’attuale strutturazione del sistema carcerario; • Alcune riflessioni sulla lotta contro l’ergastolo; • Comunicato delle detenute di Rebibbia; • Intervista dell’avv. Giannangeli Ugo sull’ergastolo; • Contro l’isolamento carcerario solidarietà e lotta; • No all’isolamento; • Saluto della Commissione per un Soccorso Rosso Internazionale ai compagni in sciopero della fame; • Sciopero della fame: alcuni punti da sapere; • Solidarietà con i compagni italiani dell’inchiesta 12 febbraio; • Comunicato di solidarietà del Soccorso Rosso di Francia; • Siano da morire; • Sul carcere di Benevento; • Rompere l’isolamento: presidii i Firenze e Parma; • Trasformiamo il processo alla solidarietà in occasione per rilanciarla e organizzarla; • La necessità della trasformazione rivoluzionaria non si processa; • Per la libertà della Palestina e dei suoi combattenti imprigionati nelle carcere dell’imperialismo; • Pedro vive nelle lotte; • 10 anni fa morivano Baleno e Sole; Repressione e lotte pag. 14 • Apriamo spazi di libertà; • 1° marzo: per la resistenza, contro la guerra e la repressione; • Solidarietà ai compagni del Cloro rosso di Taranto; • Milano: arrestato Mattia; • Comunicato del presidio No Dal Molin sulle perquise; • Benevento: ennesime denunce per “stampa clandestina”; • Perquisite 3 case a Torino e Cuneo; • Ribellarci ai soprusi non è solo un diritto, ma un dovere; • Vittoria a S. Giuliano milanese; • Occupata la fabbrica Sirma di Marghera (Ve); Inchieste e processi pag. 19 • Sulle perquisizioni a Livorno; • Cosenza, Sud ribelle: chiesti 50 anni; • Un colpo alla botte e uno al cerchio; • Il solo terrorismo è quello dello stato, libertà per i compagni; • Dichiarazione della delegazione internazionale per un SRI—RHI; • Dichiarazione della gioventù rivoluzionaria di Zurigo; • Per l’Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli arrestati il 12/02/07; • Bologna: udienza preliminare dell’inchiesta contro i Carc; Controinformazione e solidarietà internazionale pag. 23 • Germania: 129a e 129b, i molti usi della legislazione anti-terrorismo; • Come si manipola una notizia; • Conclusione del processo di Thierry Delforge; • 303 prigionieri evadono da un carcere in India; • Azione preventiva della polizia contro un’iniziativa del SR per Georges Ibrahim Abdallah; • Arrestati in Spagna 5 membri del SRI; • La compagna Fina è in libertà; • Azione contro l’ufficio del turismo italiano a Zurigo; • Libertà per i compagni di Action Directe; • Stato e repressione contro i militanti politici italiani; • Contro l’ergastolo, per la liberazione di Mumia; • Giornata internazionale del prigioniero politico a Parigi il 17 aprile; • Kalera: 17 aprile come giornata internazionale di solidarietà con i prigionieri politici; • Turchia pag. 30 • Processo ai compagni turchi; • Il 28 e 29 febbraio: seconda udienza per i prigionieri comunisti; • A proposito del processo DHKC; • Comunicato di solidarietà del SR di Francia; • Solidarietà ai compagni prigionieri; • Solidarietà ai compagni Antonella, Ivano e Paolo; • Appello alla mobilitazione; • Udienza del 10 aprile per Avni Er; Riceviamo e pubblichiamo pag. 35 Elenco dei prigionieri politici e altri con cui siamo in corrispondenza pag. 48 Indirizzi e contatti dei vari organismi di solidarietà internazionale pag. 52 Materiali in diffusione EDITORIALE Perché “il politico” fa paura Nel carcere di Siano (Catanzaro), dalla fine del 2007, è stata aperta una sezione EIV (Elevato Indice di Vigilanza) in cui vengono “deportati” prigionieri politici rivoluzionari a migliaia di Km di distanza dai propri affetti. Subito dopo, anche a Benevento, ne viene inaugurata una simile, per soli prigionieri islamici. Così scrive un detenuto che ha avuto la “fortuna” di provarle entrambe: “A gennaio 2008 è stata aperta una nuova sezione EIV a Benevento composta di soli prigionieri islamici, una decina in tutto, tra cui un anziano palestinese, combattente per la libertà del suo popolo. “La struttura della sezione è già di per sé significativa: bocche di lupo alle finestre, reti sopra il passeggio (…). Il regime di detenzione si è subito rivelato di tipo intimidatorio e teso a imporre una disciplina vessatoria e militaresca; a titolo di esempio, tra le altre angherie, si impone ai prigionieri di stare in piedi, in silenzio e di spegnere il televisore durante la quotidiana battitura delle sbarre della finestra in cella”. Come mai, dopo quasi vent’anni, succede che i detenuti politici vengano ammucchiati in carceri lager, isolandoli sia da altre “categorie” di detenuti che dall’esterno? La risposta è che i prigionieri rivoluzionari e la prospettiva che incarnano oggi rifanno paura ai padroni e al loro stato. Nonostante non ci sia un’opzione rivoluzionaria forte che si manifesti concretamente, hanno ugualmente paura che si diffonda l’aspirazione alla prospettiva comunista e antimperialista. Per questo vogliono addirittura nascondere l’esistenza dei prigionieri politici e sottoporli a barbari trattamenti penitenziari per annientare la loro identità. Hanno paura perché la crisi fa passi da gigante, la recessione conclamata lo conferma e la guerra è l’unica via che essi possono percorrere. E, nella guerra, tutto cambia velocemente: la mobilitazione reazionaria può tramutarsi in rivoluzionaria. Sono leggi della storia che anche i padroni hanno imparato. Il politico che può interpretare la via del cambiamento rivoluzionario va dunque eliminato preventivamente, va criminalizzato e sanzionato penalmente e, se resiste, va nascosto e annientato. Hanno fatto di tutto negli ultimi decenni per azzerare la memoria della lotta di classe rivoluzionaria in Italia, per spezzare l’identità dei prigionieri, per fiaccare la loro resistenza: carceri speciali e isolamento, leggi premiali e ogni tipo di vessazione. Ma la necessità storica della rivoluzione non si può arrestare. I fatti concreti lo dimostrano. Oggi dietro le sbarre si trovano compagni rinchiusi da oltre venti anni assieme a giovani compagni che hanno lottato nei nostri giorni contro la guerra, contro lo sfruttamento del lavoro salariato, contro l’odierno fascismo, per un cambiamento radicale della società… Con l’arresto hanno voluto separarli dal contesto sociale in cui militavano, con il tipo di carcerazione ora vogliono recidere non solo ogni legame con l’esterno, ma anche dividerli e differenziarli dal resto del popolo detenuto. I politici e gli altri prigionieri sono divisi sia per gironi sia per comparti stagni e vivono in balia dell’ordinamento penitenziario. Esso è sempre più basato sull’arbitrarietà sancita per legge e applicato secondo il criterio della premialità concessa solo a chi collabora e rinnega se stesso. L’isolamento, barbara tortura, è l’arma principale usata per far funzionare i vari gironi carcerari e trova, all’apice, la sua vergognosa applicazione nelle sezioni di 41bis. Come affrontare questa situazione nel lavoro di solidarietà e di sostegno ai rivoluzionari prigionieri? Far emergere il politico che stato e padroni vogliono nascondere è essenziale per ostacolare i loro disegni ed impedire che manipolino l’identità dei compagni facendoli passare per pazzi criminali. La solidarietà di classe potrà estendersi e socializzarsi anche verso tutti gli altri prigionieri solo facendo emergere la prospettiva che i politici rappresentano. Ci piace citare a questo proposito una lettera scritta da Sergio Spazzali* al Soccorso Rosso dal carcere di San Vittore nel 1975, ma che ci sembra perfettamente attuale: “(…) I "politici" servono perché possono porre la questione, nel carcere, come in fabbrica. La politica (proletaria), se entra in fabbrica, distrugge la fabbrica come espressione del rapporto capitalistico di produzione. La politica proletaria, se entra nel carcere, vanifica ogni senso delle sbarre e delle serrature. Mettere in contatto vitale il carcere (la politica nel carcere) con l'esterno (con la politica all'esterno) significa aprire il carcere in modo definitivo. Ciò vale per la fabbrica, per la scuola ecc. Allora lo scopo fondamentale del Soccorso Rosso è lavorare per questa apertura. I "politici" servono perché sono tramite privilegiato (…). È ovvio che il potere, come non accetta la politica proletaria in fabbrica, così non può accettarla in carcere. E reagisce in definitiva con la violenza, ed in prima approssimazione con le "riforme" (nelle quali tutto ciò che resti nell'ambito del "privato" può essere concesso) meno l'introduzione della politica proletaria nell'istituzione carceraria (…). Nel concreto, come in fabbrica (es. Thyssen Group) le lotte vengono riassorbite dal sistema se non c’è una direzione politica operaia autonoma dai sindacati venduti, così, ad esempio, nel carcere, le mobilitazioni contro l’ergastolo non hanno raggiunto risultati concreti perché mancava un punto di riferimento libero dai legacci istituzionali che volesse vincere. Quindi, nella lotta per rompere l’isolamento attorno ai prigionieri rivoluzionari va messa al centro la loro identità, vanno fatte conoscere le loro idee, la loro resistenza e l’esistenza di posti come Siano. Questi contenuti vanno fatti vivere nell’intero movimento di classe. * Sergio Spazzali, insegnante e avvocato, sempre a fianco delle classi subalterne e dei movimenti di lotta, è stato più volte incarcerato, dal 1975 al 1981, e infine costretto all’esilio in Francia dove è morto, nel 1994. E’ stato uno degli instancabili animatori del Soccorso Rosso Internazionale. 1 REDAZIONALE Il Soccorso Rosso Internazionale è una risposta necessaria Milano, 27 marzo 2008: alla prima udienza del processo contro i compagni arrestati nell’ambito dell’operazione Tramonto presenziano, all’interno del folto presidio di manifestanti, delegazioni solidali giunte da Turchia, Belgio, Francia, Svizzera e Germania. Finalmente i pennivendoli di regime si trovano davanti agli occhi quella ”rete del terrorismo denominata Soccorso Rosso” che da mesi stanno criminalizzando sui loro fogliacci, ma scelgono di tacere in proposito, coerenti con la cappa di silenzio, rotto solo da periodiche calunnie, che intendono far cadere sull’intera vicenda processuale. Forse perché fuori e all’interno dell’aula i pugni chiusi dei prigionieri, in segno di resistenza rivoluzionaria, e i pugni chiusi dei manifestanti, in segno di solidarietà di classe e internazionalista, si uniscono e si danno forza reciprocamente, come già è avvenuto prima, a Milano e in tutta Italia, durante il ventennio fascista e durante le lotte degli anni settanta e ottanta. Mobilitazioni come questa ci devono infatti far riflettere sul valore internazionale che ha la solidarietà proletaria. Internazionalismo e lotta alla repressione borghese sono stati, nella storia del movimento comunista, indissolubilmente legati. Il concetto e l’organizzazione del Soccorso Rosso nascono proprio su impulso del Comintern negli anni venti del secolo scorso come risposta della classe oppressa alle politiche controrivoluzionarie portate avanti dagli stati imperialisti dopo l’Ottobre Sovietico. Fu dunque una struttura che fondamentalmente concretizzava l’internazionalismo proletario in una dimensione specifica e strettamente necessaria: quella della solidarietà. Specifica non perché separata dal più generale movimento proletario, ma viceversa perché collocata come terreno di lotta assolutamente non disertabile e fondamentale nel più vasto conflitto contro l’oppressione capitalista. Necessaria perché erano gli anni dell’affermarsi della controrivoluzione fascista in vari paesi d’Europa e si stavano sviluppando le condizioni, dettate dalla crisi economica, per il secondo conflitto mondiale. Oggi, noi riteniamo che quella dimensione specifica della solidarietà di classe e quella sua necessità, le quali portarono alla costruzione del Soccorso Rosso Internazionale nel secolo scorso, siano oltremodo presenti. Nella situazione attuale, tutti i movimenti d’avanguardia o di massa che mettono i bastoni tra le ruote ai piani della classe dominante vengono colpiti da una repressione dura e per certi versi inedita. Si veda, ad esempio, nel nostro paese, i continui arresti di militanti comunisti, anarchici e antimperialisti, ma anche il pugno di ferro militare usato contro il popolo campano per imporre la devastazione del territorio a suon di discariche e inceneritori. Si veda, per allargare lo sguardo oltre ai confini nazionali, la criminalizzazione del movimento popolare basco e dei comunisti turchi in Europa, l’oppressione poliziesca nei grandi quartieri delle metropoli del vecchio continente, dove lo spettro delle banlieues aleggia ancora, e le continue retate contro il cosiddetto terrorismo islamico. È evidente soprattutto che la guerra imperialista sia una tendenza, insita nel modo di produzione capitalistico e nell’odierno sistema di relazioni internazionali, in sviluppo sempre più marcato, soprattutto a causa del procedere della crisi economica. Il suo manifestarsi non è solo sul piano del conflitto militare nei paesi occupati, ma anche nelle lotta interna contro tutti i fermenti sociali e nella collaborazione tra gli stati per una repressione senza frontiere, creando così una corrispondenza di governo della società alla formula concettuale della “guerra preventiva e globale”. Ora, la domanda che dobbiamo porci è: quale risposta politica, a questo punto specifica e necessaria, possiamo dare a tale processo? Possiamo eludere tale questione o dobbiamo guardare creativamente al patrimonio che abbiamo alle spalle come comunisti? Noi pensiamo che la risposta alla repressione nei singoli paesi e a livello sovranazionale stia nella solidarietà di classe e internazionalista. Noi pensiamo che questa solidarietà debba essere quanto più coerente, solida, costante, organizzata e allargata senza opportunismi. Per questo pensiamo sia necessario lavorare, con tutte le realtà che in altri paesi si stanno adoperando in tal senso e come hanno fatto, prima di noi, migliaia di militanti comunisti e antifascisti, per la costruzione del Soccorso Rosso Internazionale. 2 CONTRO IL CARCERE IMPERIALISTA Alcune riflessioni sull’attuale strutturazione del sistema carcerario Negli ultimi decenni il carcere è stato riformato e riorganizzato secondo la logica della differenziazione basata sulla premialità, con l’obiettivo di dividere e frammentare il corpo prigioniero. I detenuti “buoni”, che collaborano con la giustizia e che abbassano la testa hanno più possibilità di avere sconti di pena e piccoli privilegi (come il lavoro, la semilibertà ecc.), mentre quelli “cattivi”, coloro che non svendono la loro identità politica o che semplicemente non stanno alle regole carcerarie, subiscono trattamenti più duri. In quest’ottica sono state numerose le riforme, dalla legge Cossiga del 1980, a quella Gozzini del 1986 abbinate sempre all’utilizzo dell’isolamento come forma di tortura legalizzata che vede come punta di diamante l’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario figlio del famigerato articolo 90 ora abolito. La rimodellazione del carcere è comunque continua e segue il corso delle necessità dello stato e dei padroni in relazione allo sviluppo delle contraddizioni di classe. In questa perenne ristrutturazione i due aspetti che appaiono, quello della risocializzazione e quello dell’annientamento (riformismo e fascismo) non sono due tendenze tra loro contrastanti, ma strettamente legate. Proprio in questo connubio si esprime al meglio l’essenza fascista del carcere: quella dell’annientamento di chi non viene “recuperato” ai rapporti sociali odierni. Il sistema capitalista si basa su un rapporto di sfruttamento di una classe su un’altra che determina il ventaglio di condizioni in cui viene divisa e frammentata la classe; una di queste è proprio il carcere. Da sempre le galere imperialiste rinchiudono una buona fetta di proletariato, che è stato momentaneamente o definitivamente escluso dal ciclo produttivo capitalista per motivazioni di “pericolosità sociale” (da ampie fette di proletariato che ricadono nella extra legalità a causa dell’avvitarsi della crisi, agli immigrati). In questa società è il sistema produttivo che determina e regola i rapporti sociali e che costringe a vita i proletari all’alienazione della catena di montaggio sottomessi ai ritmi di produzione del capitale. Chi non viene considerato idoneo a tali rapporti sociali ne viene scartato anche attraverso la reclusione, di cui l’ergastolo è la forma più alta. Chi, oltre a rifiutare i rapporti sociali esistenti, li mette in discussione o si organizza per farlo, viene considerato “estremamente pericoloso” e viene rinchiuso in condizioni sempre più pesanti. L’attuale organizzazione del sistema carcerario si basa dunque sui circuiti differenziati: il circuito penitenziario di primo livello comprende istituti e sezioni di Alta Sorveglianza per detenuti della grande criminalità organizzata, l’Elevato Indice di Vigilanza per detenuti di “terrorismo” ed eversione oltre che per quelli ritenuti “pericolosi” tra i “comuni”; il circuito di secondo livello, Media Sicurezza, destinato alla maggioranza dei prigionieri cioè a quelli che non sono compresi nel primo e nel terzo livello; il circuito di terzo livello, Custodia Attenuata, per coloro che sono considerati “recuperabili”. Esistono inoltre regimi “speciali” di carcerazione come il 41 bis (carcere duro) e il 14 bis (sorveglianza speciale). Nei circuiti per detenuti ritenuti “pericolosi” non si può accedere alle misure previste dalla Gozzini. Oggi esiste anche la tendenza, come negli anni passati, di isolare i prigionieri politici dal resto della popolazione carceraria come dimostra la recente apertura di una sezione EIV a Siano (Cz) e quella di una sezione EIV per soli prigionieri politici islamici a Benevento. Il passaggio da un circuito all’altro, in particolare nei primi due livelli, è possibile solo attraverso la collaborazione. Il controllo dei circuiti è centralizzato e dipende dal Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (DAP). Di fatto esiste un enorme setaccio a maglie molto sottili che permette di controllare e “trattare” individualmente ogni detenuto e farlo scivolare nel girone del suo livello. La composizione attuale del carcere, in generale, vede in netta minoranza i soggetti politicizzati, sparpagliati in istituti differenti e divisi nelle sezioni ad AS: anche per questo è difficile lo sviluppo di proteste su larga scala e “a lungo termine” anche perché in questa situazione il detenuto “comune” è più facilmente disposto a compromessi pur di raggiungere un risultato immediato per migliorare la sua condizione. Quello che abbiamo scritto sono dei semplici appunti, ma ci interessa approfondire l’inchiesta e l’analisi sulla strutturazione e sulla composizione del carcere imperialista di oggi in Italia. E’ una necessità per proseguire nella pratica concreta della solidarietà di classe senza andare a tentoni, ma elaborando una riflessione che rafforzi e indirizzi la mobilitazione e la lotta. Per questo chiediamo a tutti, in particolare ai prigionieri, un contributo. Alcune riflessioni sulla lotta contro l’ergastolo Nel dicembre scorso, nelle carceri italiane si è svolta una lotta per l’abolizione dell’ergastolo. Lo sciopero della fame è nato da un dibattito lanciato da alcuni detenuti ergastolani e si è diffuso dentro a quasi tutte le galere. Ha raccolto numerose adesioni e una vasta solidarietà, sia tra i detenuti stessi, anche non ergastolani, (oltre 700 tra comuni, politici …), che all’esterno tra parenti, familiari, amici e sostenitori vari. La proposta di questo sciopero della fame, durato dal 1° al 14 dicembre, ha risvegliato il desiderio di lottare in una categoria particolare di detenuti, coloro che sono condannati al carcere a vita che hanno visto nella lotta uno strumento per continuare a sentirsi vivi e per non soccombere alle dinamiche del carcere. Per chi è impegnato nella solidarietà di classe è utile, alla luce di questa importante esperienza, cercare di fare un bilancio e tirare le fila di ciò che si è determinato in questo arco di tempo per essere preparati e più capaci a sostenere con maggiore forza future mobilitazioni, imparando sia dagli aspetti positivi emersi, ma anche dagli errori o dagli aspetti negativi. Il principale aspetto positivo è che questa lotta, nata da una protesta e ribellione che covava da tempo nelle carceri, ha incentivato la discussione e il confronto tra i detenuti stessi, ha dato vita a nuovi rapporti e nuove conoscenze all’interno del carcere e anche con l’esterno. Ha permesso così di costruire nuovi legami e, attraverso la 3 Da ciò impariamo che la forza di una lotta, di prigionieri o meno, sta solo nella sua estensione e in una direzione autonoma e determinata a raggiungere gli obiettivi. Per essere vincenti bisogna slegarsi totalmente dai bavagli istituzionali che soffocano ogni potenzialità per riassorbirla a soli fini elettorali. I revisionisti dell'ex esecutivo Prodi sono coloro che, mentre si facevano promotori della campagna per la moratoria contro la pena di morte a livello internazionale, contemporaneamente, in Italia, inasprivano il regime di 41 bis, approvavano il “pacchetto sicurezza”, modificavano il pacchetto Pisanu, rimanendo totalmente indifferenti davanti allo sciopero della fame di oltre 700 detenuti. Comunicato delle detenute di Rebibbia solidarietà, rafforzare i rapporti con l’esterno. Ha inoltre determinato una rottura della sottomissione individuale totale del detenuto alla politica dei trattamenti differenziati e del mercato della premialità con gli sconti di pena in cambio della propria dignità e identità. Un altro elemento estremamente positivo, da ciò che si conosce all’esterno, è la necessità di allargare i contenuti e le forme di lotta emersa dallo stesso dibattito e iniziative in alcune carceri. Ad esempio, a Rebibbia, sono state avanzate anche altre richieste oltre all’abolizione dell’ergastolo e sono state intraprese diverse forme di lotta abbinate allo sciopero della fame. Questa indicazione è positiva perché in questo modo si estende la partecipazione, sia perché i contenuti coinvolgono nelle esigenze più prigionieri, sia perché un ventaglio di forme di protesta offre a tutti la possibilità di dare un contributo unendosi alla lotta. Tutto ciò nei rapporti di forza con la controparte va a favore dei prigionieri. A queste valutazioni positive va affiancata anche quella sulla solidarietà che si è sviluppata all’esterno in diverse città italiane davanti a numerose carceri e nelle piazze con presidi, volantinaggi e azioni militanti per rompere il muro del silenzio totale attorno a questa vicenda come è successo con l’occupazione della sede Rai a Torino. Il principale aspetto negativo è emerso con la fine repentina della lotta che secondo noi, va ricercato nel fatto che la sua direzione non era in mano ai detenuti stessi. Il problema non sta tanto nella questione che i detenuti volevano un referente istituzionale poiché l’abolizione dell’ergastolo oggi può avvenire con una legge, quanto quale rapporto di forza serve perché ciò avvenga. Costruire un rapporto di forza vincente, in una lotta sicuramente sentita come questa, dipende anche dal fatto che chi ha in mano la direzione della lotta voglia condurla alla vittoria. Senza questa condizione qualsiasi lotta è persa in partenza. Da ciò che è emerso all’esterno, la direzione non era in mano ai prigionieri, ma ad associazioni che (chi consciamente, chi inconsciamente) fin dall’inizio hanno favorito questa iniziativa più come una valvola di sfogo per calmierare il grave malcontento che c’era in galera che come una lotta da portare alla vittoria. Ma la situazione è talmente pesante che è bastata una scintilla! La lotta prendeva piede e poteva diventare incontrollata così “i promotori esterni” hanno tirato i remi in barca. Noi detenute della sezione di Massima Sicurezza di Rebibbia Femm. in Roma, vogliamo aderire alla campagna per l'abolizione dell'ergastolo in quanto pensiamo che un fine pena mai sia persino la negazione più evidente del principio sancito dalla costituzione, per cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Ci chiediamo, infatti, come mai quelle stesse forze politiche che hanno sposato la campagna internazionale contro la pena di morte non si indignino di fronte a leggi nazionali che infliggono una vita in galera, quale è l'ergastolo, che presuppone allo stesso modo un'esclusione definitiva dalla società e che quindi, per molti detenuti e loro familiari, rappresenta nient’altro che una morte lenta. Sappiamo bene che la nostra è una domanda retorica vista la stessa insensibilità che si dimostra di fronte ad un trattamento penitenziario, come il 41bis, che violentemente calpesta non solo il senso di umanità, ma anche i diritti più elementari e la dignità umana. Ci sembra proprio che nei palazzi dove si promuovono leggi non arrivi neanche l'eco delle drammatiche realtà del sistema penitenziario. Così come, per esempio, avvenne quando nell'estate 2006 fu promulgato dal Parlamento l’indulto e fu completamente ignorato quanto detto da chi conosceva sulla propria pelle quella realtà: un gesto di clemenza non era certo la soluzione. A distanza di poco più di un anno si è dimostrato che non era neanche un palliativo: le carceri sono nuovamente sovraffollate... anche di bambini sotto i tre anni! ALLA FACCIA DELLA DETENZIONE COME ULTIMA RATIO! E la situazione non può che peggiorare viste le proposte in atto in merito a pacchetti sicurezza che criminalizzano ancor di più le fasce disagiate salvaguardando, come è sempre stato, chi veramente nuoce alla società ben attento però a salvarne sempre il decoro apparente! Coscienti del fatto che occorrerà far ascoltare la nostra voce ancora e ancora e che, per fare questo, avremo bisogno di tutte le nostre forze ed energie, abbiamo preferito aggiungere alla forma dello sciopero della fame indetta dai promotori alcune altre che incoraggino la nostra resistenza. Effettueremo quindi una protesta pacifica che inizierà il 1° dicembre che si articolerà inizialmente con 3 gg. di battitura, della durata di 10 min., due volte al giorno alle 9.30 e alle 14.30, alla quale affianchiamo uno sciopero della spesa (incluse le domandine) che si protrarrà per una settimana. Per l’abolizione dell’ergastolo! Per l’abolizione del regime 41 bis! Basta con i bambini nelle galere! 1/12/2007 4 Intervento scritto dell’avv. Giannangeli per l’assemblea di Milano del 16/12/07 L’ERGASTOLO MERITA SOLO UN’INVETTIVA Nel 1944 la pena di morte é stata sostituita dall'ergastolo, ma la sostituzione non ha fatto venire meno quell'idea di definitività che la pena di morte porta ontologicamente con sé. La pena di morte elimina fisicamente il "reo"; l’ergastolo lo elimina socialmente (donde la definizione di "morte civile" benche' di civile l’ergastolo nulla abbia). In un certo sentire comune diffuso nella componente "forcaiola" (altro termine in uso evocativo di morte) della società, ma esteso a molti magistrati chiamati ad occuparsi a vario titolo degli ergastolani, permane un senso di fastidio rispetto alla sopravvivenza di questi rei che, scampati alla "forca", residuano come zavorra sociale. Il fatto che gli sia consentito di vivere, anche se inteso solo come sopravvivere, dovrebbe, secondo costoro, comportare un eterno debito di gratitudine verso la società a carico dei "graziati". Quando é stato fatto notare che l’art. 27 della Costituzione afferma che la pena tende alla rieducazione del condannato e che, quindi, una pena infinita non aveva senso ed era in contrasto con il dettato costituzionale, rappresentando un esplicito fallimento e una vanificazione della dichiarata finalità rieducativa, é stato ribattuto che l’ergastolo, perpetuo sulla carta, tale non é nella realtà perché anche l’ergastolano può beneficiare della liberazione condizionale e quindi può vedere estinta la pena dopo un periodo di libertà vigilata (il tutto dopo il periodo non trascurabile di 26 anni di galera). Al danno della pena perpetua si é così aggiunta la beffa: l’ergastolo é legittimo costituzionalmente perché esiste ed é applicabile l’istituto della liberazione condizionale; se poi la liberazione condizionale, di fatto, non viene applicata, questo non incide sulla costituzionalità (astratta) della pena perpetua. Perché la liberazione condizionale non viene applicata se non in rarissimi casi (i rarissimi casi servono sempre per salvare le apparenze ed evitare che la beffa diventi irridente)? A monte vi é innanzitutto l’atteggiamento psicologico di cui si é detto, riassumibile rozzamente nell'indicibile "é già tanto se ti lasciamo ancora in vita". Questo atteggiamento, talora, emerge in modo esplicito in alcuni provvedimenti, ispirati da mero sadismo. Recentemente un Procuratore Generale di Cagliari, dovendo semplicemente aggiornare il fine pena di una ergastolana a seguito della concessione di 45 giorni di liberazione anticipata (sconto di pena per ogni semestre di "buona condotta"), così si é espresso: "ORDINE DI SCARCERAZIONE …si comunica che la data di fine pena, già fissata al MAI é anticipata al MAI, data in cui dovrà essere scarcerata se non detenuta per altra causa”. E' sublime, si rasenta la filosofia e la metafisica (l’eternità anticipata nell'eternità). O, meglio, si sfocia nel sadismo: non si nega il diritto alla scarcerazione (questo termine ricorre più volte); il problema é la data perché “MAI” non compare sul calendario. Quasi che la carcerazione perpetua sia colpa di eventi naturali. Lo strumento per realizzare lo scopo voluto (disapplicazione della liberazione condizionale) é fornito da una parola inserita nell'art. 176 c.p.: “ravvedimento". E' una condizione essenziale per il beneficio e deve essere “sicuro". Al giudice sembrerebbe richiesta una indagine introspettiva dell'animo del reo. Di solito a questa indagine sono preposti i religiosi (e non é mancato qualche caso di testimonianze allegate agli atti di preti e suore sul profondo pentimento del reo, raccolto in confessionale o in colloqui privatissimi). Il giudice dovrebbe valutare invece dati oggettivi: il comportamento nel corso della esecuzione della pena, l’ottenimento di benefici penitenziari (permessi, lavoro esterno, semilibertà), l’impegno sociale e lavorativo. Questi elementi di valutazione, però, sono stati ritenuti non bastanti. Poiché l’ergastolano é tale per avere commesso almeno un omicidio (così, almeno, é stato ritenuto in sentenza) l’attenzione é stata rivolta alle vittime e ai loro parenti. La norma sulla libera- zione condizionale contiene già un riferimento alle vittime, laddove impone il risarcimento del danno come ulteriore condizione. Poiché, però, non é esigibile il risarcimento da chi non é in condizioni di risarcire (traduci: é facile "farla franca" grazie alla propria indigenza, situazione frequente tra gli ergastolani), si é ritenuto opportuno confondere il risarcimento con il ravvedimento: due condizioni ben separate (anche nel dato testuale e nella struttura dell'art. 176) sono state fuse e confuse in modo del tutto arbitrario. Rispetto ai detenuti politici (cioé i partecipi al fenomeno di lotta annata degli anni '70 e '80) il problema si complica ulteriormente perché costoro hanno avuto a disposizione una legislazione (cosiddetta "premiale") che favoriva comportamenti di delazione e di dissociazione. Oggi é ancora in carcere chi non ha ritenuto di percorrere quelle strade. L'ostilità verso la concessione del beneficio, allora, esplode virulenta: costoro sono "irriducibili" (termine incomprensibile, usato non solo dalla stampa ma anche in provvedimenti giudiziari, con o senza virgolette), cos’altro cercano? E si torna al "é già tanto se sono scampati alla forca". Qualche magistrato ritiene di chiudere cosi il discorso, con questa esclusiva motivazione, ignorando bellamente che la norma impone di valutare tutto il percorso detentivo dall'inizio della esecuzione della pena in poi. Altri chiedono prove esteriori di ravvedimento che devono transitare attraverso un rapporto con i familiari delle vittime. La casistica é fantasiosa: emolumento mensile alle varie Associazioni di familiari di vittime di terrorismo; lettera o comunque contatto personale con i familiari dell'ucciso; risarcimento del danno anche simbolico, ecc. ecc.. Quando é stato obiettato che appariva evidente l'ipocrisia e la strumentalità della condotta richiesta, intanto perché richiesta e poi perché finalizzata all'ottenimento del beneficio, é intervenuta una risposta agghiacciante e cinica: intanto si tenga questo comportamento, poi valuteremo. In alcuni casi hanno dimostrato, a proprie spese, più sensibilità verso i familiari delle vittime i detenuti che non i magistrati, rifiutando i primi di porre in essere una condotta cosi platealmente sftumentale. Che dire ancora? Che esiste l’ergastolo aggravato dall'isolamento diurno, così incidendo la pena non solo sulla quantità di carcere ma anche sulla sua qualità, (chi ricorda, oggi, quel Pretore di Genova che negli anni '70 dopo avere visitato il locale carcere, ha cambiato drasticamente la propria giurisprudenza, infliggendo pene minori di molto?). Che l'isolamento diurno é spesso stato applicato dopo venti anni dalla sentenza che aveva comminato la pena, con buona pace della funzione "rieducativa" del carcere. Che esiste 1'ergastolo aggravato dalle condizioni di segregazione previste dall'art. 41 bis che, col pretesto della sicurezza, mira al crollo psicologico della persona e alla sua collaborazione processuale (carcere come strumento di tortura). Che, in questo, contesto, la pena appare avere esclusivamente la funzione di pubblica vendetta, con buona pace delle scolastiche funzioni retributiva, preventiva ed emenda. Ma, soprattutto, viene da chiedersi: che senso ha il gran ciarlare di partecipazione all'opera di rieducazione e di reinserimento sociale? La stragrande maggioranza delle carceri o delle sezioni in cui si sconta 1'ergastolo non prevede alcun tipo di attività rieducativa o risocializzante ma, soprattutto, quali sono i valori ispiratori della società in cui deve essere reinserito il reo? Oggi dominano guerra, violenza, sopraffazione, corsa al riarmo, distruzione dell'eco sistema, corruzione, libero mercato inteso come concorrenza devastante, ambizione, potere, violazione impunita e continuata della legalità internazionale. Questi sono i principi dominanti. La richiesta di comportamenti ipocriti e strumentali ai detenuti é, forse, allora, una verifica della loro idoneità all'ingresso in questo tipo di società? Chi non accetterà l'offerta sarà libero solo di scegliere dove morire: in carcere se di notte, sul lavoro se di giorno, altrove solo se avrà la fortuna di morire in uno dei 45 giorni annui di permesso. Milano, 3 maggio 2007 avv. Ugo Giannangeli 5 Contro l’isolamento carcerario solidarietà e lotta 12 febbraio 2008: ad un anno dai nostri arresti, due di noi continuano a subire il regime di isolamento. Proprio la nostra internità ai movimenti di lotta, ed alla pratica dell’internazionalismo, ci ha fatto conoscere tutta l’importanza di quest’arma di repressione, e soprattutto nei sistemi carcerari delle democrazie imperialiste. E’ una forma di “tortura bianca” , “pulita”, che costa poco nella sua gestione politica e che, pertanto, è sistematicamente impiegata contro “il nemico interno” al fine esplicito di aggredirne la resistenza, spezzarlo, indurlo a capitolazione. Sistema talmente collaudato che viene esportato nel kit della sedicente “democrazia” imperialista: paesi vassalli, dipendenti, come la Turchia, hanno trovato politicamente vantaggioso importare questi metodi “democratici” di carcerazione. Evidentemente i risultati non devono deludere... pure un regime torturatore sanguinario, come quello turco. D’altronde siamo in un’epoca in cui l’aggravamento repressivo, su tutti i piani (giudiziario, poliziesco, guerra “sporca” e segreta...) si confonde con la guerra d’aggressione neo-coloniale: Guantanamo, Abou Ghraib ne sono gli osceni simboli. Il movimento di classe deve ben riflettere su tutto ciò, e assumerlo nella propria dimensione di lotta. Forse che le mobilitazioni popolari contro gli scempi capitalistici (per profitto!) del territorio, o contro le basi di guerra, non devono far fronte alle manganellate? Forse che le condanne nei tribunali, contro queste mobilitazioni, non sono diventate feroci (Genova, Milano-Corso Buenos Aires, Bologna...)? Forse che gli operai in molte fabbriche non devono far fronte ad uno stillicidio di licenziamenti politici (magari da parte di padroni assassini), sotto il marchio universale “sospetto terrorismo”?! E su tutti questi casi plana l’ombra dei reati associativi... cioè sempre più movimenti di lotta vengono imputati di terrorismo, e da quale pulpito? Dal codice fascista! In questo allegro contesto, l’isolamento carcerario è arma di punta contro lo schieramento di classe. Arma di guerra politica che lo stato borghese imperialista conduce contro il proletariato, la classe operaia, particolarmente contro le loro espressioni politico-organizzative che cercano di porre e costruire la prospettiva rivoluzionaria. D’accordo o non d’accordo con questa, si deve ritrovare il riflesso di classe: di fronte a noi si muovono come una macchina da guerra, la repressione è il risvolto interno della loro marcia di guerra imperialista nel mondo. Ritroviamo un percorso di unità di classe, attraverso le varie lotte! La repressione è la stessa, facciamo fronte! Contro l’isolamento (carcerario e sociale), solidarietà! Noi saremo in sciopero della fame, per la fine dell’isolamento dal giorno 12 febbraio 2008. Alcuni compagni dell’inchiesta 12.2.2007 No all’isolamento Ad un anno di distanza dagli arresti del 12 febbraio, quando gli organi di repressione dello stato con l'operazione "Tramonto" avevano portato in carcere 14 compagni con l'accusa di associazione sovversiva e banda armata con finalità di eversione dell’ordine democratico, Alfredo Davanzo si trovava ancora in totale isolamento. Contro questa situazione di totale arbitrio e di tortura, poiché l’isolamento è da considerare a tutti gli effetti tale, è iniziato da parte dei compagni uno sciopero della fame. Come parenti e amici degli arrestati è stato organizzato sabato 16 febbraio alle ore 11.00 un presidio di protesta e denuncia davanti al carcere di Cremona dove Alfredo Davanzo è rinchiuso. Grazie all’unione della lotta dei compagni prigionieri e alla solidarietà che si è manifestata all’esterno il compagno Alfredo è uscito dall’isolamento ed è stato trasferito presso il carcere di Vigevano. La lotta paga! La solidarietà è un’arma! Saluto della commissione per un Sri ai compagni in sciopero della fame Cari compagni e compagne Con voi salutiamo i prigionieri rivoluzionari in sciopero della fame contro il regime della tortura bianca – l’isolamento e la censura politica. Nel carcere di Cremona si trova il compagno Alfredo Davanzo, militante per la costituzione del Pc p-m. Lui è isolato dal giorno del suo arresto, il famoso 12.2.07, giorno nel quale la controrivoluzione italiana, appoggiata da quella svizzera, ha lanciato all’alba l’azione “Tramonto” contro militanti comunisti/e, avanguardie del movimento di classe e militanti per la costituzione del partito comunista politico -militare. L’isolamento e la censura politica, come del resto il metodo di schiaffare i singoli prigionieri politici nelle carceri sovraffollate di prigionieri sociali ha un obbiettivo chiaro: isolare il compagno o la compagna prigioniera dal suo contesto di lotta, dalla politica rivoluzionaria per creare un’ “isola intorno”, che prima o poi dovrebbe portarli ad un processo lento di depoliticizzazione. Isolamento e censura politica – la tortura bianca 6 hanno in questo caso l’obbiettivo specifico di togliere ai compagni/e la possibilità di arrivare al processo senza essere in grado di gestirlo come processo politico. Il processo politico è un’arma collettiva e potentissima dei compagni in mano al nemico di classe, un’arma che il nemico teme ed ecco perché usa tutti i suoi mezzi a disposizione per impedirlo o ostacolarlo. Esempio più clamoroso è il processo in videoconferenza per i compagni/e sottoposte al 41bis! Il compagno Davanzo scrive giustamente che “lottando contro gli attacchi della controrivoluzione preventiva, il carcere imperialista, non si deve cadere nell’errore “vittimista-idealista, ma la difesa contro la repressione va congiunta (per così dire) ad una strategia tendenziale di attacco…L’unità del movimento attorno ai prigionieri/e è un atto indispensabile per la saldezza e la fermezza della costruzione rivoluzionaria (come, in negativo, mostra l’offensiva sistematica dello stato per estorcere resa e dissociazione). Nel mentre si pratica solidarietà, si fanno vivere le ragioni e la sostanza della lotta rivoluzionaria. Perciò la solidarietà non è mai a senso unico, è reciprocità. La cosa più importante per i prigionieri/e è continuare ad essere soggetti della trasformazione rivoluzionaria della società.” Il processo politico è un passo in questo percorso … Compagni e compagne, lottiamo insieme con i compagni prigionieri/a contro questo regime carcerario con l’obiettivo concreto di arrivare al processo politico (che inizia il 27.3) gestito dai compagni/a insieme a noi tutti, sia in Italia che altrove. Trasformiamo insieme a loro la repressione in nuova determinazione La solidarietà è nostra arma – usiamola! Commissione per un SRI (Zurigo/Bruxelles) 16.02.08 Carissimi compagni vi inviamo un paio di appunti che sono da prendere in considerazione facendo lo sciopero della fame. Magari l’italiano non sarà perfetto, ma vi assicuriamo che il contenuto è scientifico e praticato in lunghi anni di esperienze fatte dai compagni rivoluzionari in Europa. In segni di solidarietà rivoluzionaria vi mandiamo i nostri pugni chiusi assicurandovi il nostro pieno appoggio. (…) Se avete delle domande da porgere al nostro esperto medicocompagno, scriveteci e (…). Un caro abbraccio rivoluzionario Commissione per un SRI Holger Meins subiva una nutrizione forzata nella quale gli somministravano 500-800 kcal al giorno, molto meno di ciò che è necessario per non dimagrire (almeno 1500 kcal quando non ci si muove, ca. 3500 per un lavoratore nell’edilizia per esempio), ma troppo per poter cambiare nel metabolismo all’acetone. Così, è morto molto prima di quanto sarebbe avvenuto senza nutrizione forzata. Di conseguenza, il metodo il più sicuro è di non mangiare nulla e di non bere che poche bevande contenenti carboidrati (succhi di frutta, tè zuccherato). Durante lo sciopero, si beve normalmente, si accettano compresse di vitamina e minerali ed eventualmente qualche volta un brodo leggero contenente un po’ di sale (dipende di come ci si sente). Terminato lo sciopero, è opportuno cominciare lentamente a mangiare: i primi 3 giorni ¼ di ciò che si mangia normalmente, i 3 giorni seguenti ½, i tre giorni seguenti ¾. Continuare ad accettare vitamine e minerali. Solidarietà con i compagni italiani dell’inchiesta 12 febbraio Ad un anno dagli arresti dell’operazione che investì i militanti per la costituzione del PC p-m, il centro sociale Gramigna e altre forze e militanti, due prigionieri continuano a subire il regime d’isolamento. Sappiamo quanto gli stati “democratici” tengano a questa “tortura bianca”, “pulita”, molto più facilmente gestibile, a livello di opinione pubblica, che non le torture direttamente fisiche. Sperimentata negli USA, sistematizzata in Germania contro i prigionieri della RAF, questo dispositivo carcerario, mirato alla distruzione psichica e politica dei prigionieri rivoluzionari, si è generalizzato negli anni ’80 (in Belgio contro i prigionieri delle CCC, in Francia contro gli AD, ecc.), estendendosi pure ai paesi dipendenti (Perù, Turchia, …) I compagni italiani arrestati il 12 febbraio sono confrontati a questa realtà. Di fronte a questa aggressione alla propria integrità personale, hanno scelto l’unica forma di lotta disponibile: lo sciopero della fame. Per sostenerli nella doppia battaglia, del processo e della resistenza all’isolamento, il S.R./APAPC organizzerà a metà aprile un grande meeting di solidarietà a Bruxelles. La solidarietà è nostra arma SR/APAPC Bruxelles 14 febbraio 2008 13.02.08 Sciopero della fame: Alcuni punti da sapere L’evoluzione dell’uomo l’ha adattato alla necessità di sopravvivere nei periodi di aridità e di carestia. Disponiamo di un cammino collaterale del metabolismo dei carboidrati, che passa per la sostanza chimica chiamata acetone. Questo metabolismo collaterale ha il vantaggio di usare molta meno energia. Di conseguenza, il processo di dimagrimento si svolge più lentamente. Così si può resistere ad uno sciopero della fame per un tempo maggiore di alcune settimane. L’organismo cambia nel metabolismo per l’acetone quando assumiamo meno di circa 400 kcal al giorno per alcuni giorni. Questo si avverte da un odore del corpo un po’ acidulo. 7 Comunicato di solidarietà del Soccorso Rosso di Francia In occasione dell’anno trascorso dall’arresto dei militanti comunisti il 12 febbraio 2007, il Soccorso Rosso di Francia esprime loro il suo intero sostegno e anche agli altri compagni che subiscono la repressione poliziesca da oltre un anno. La nostra struttura di solidarietà ha sempre espresso il suo sostegno con iniziative, volantini, affissione di manifesti e dibattiti. Il nostro compito è di analizzare questa offensiva della borghesia in un contesto europeo dove si manifesta un ampio coordinamento repressivo in particolare contro i militanti rivoluzionari e, in generale, contro le masse popolari in lotta. Vogliamo in particolare esprimere sostegno al nostro compagno Alfredo Davanzo, per un lungo tempo militante del Soccorso Rosso di Francia, in sciopero della fame (contro l’isolamento che dura da oltre un anno) iniziato il 12 febbraio di quest’anno e anche al compagno Andrea, anche lui in isolamento). Salutiamo fraternamente i compagni che in tutta Italia organizzano convegni di sostegno ai militanti incarcerati e lottano contro la politica reazionaria del potere politico borghese e imperialista. Sosteniamo anche l’appello per un’ampia mobilitazione di solidarietà per il 27 marzo a Milano, data in cui inizierà il processo politico contro i prigionieri rivoluzionari arrestati il 12 febbraio 2007. NO ALLA REPRESSIONE CONTRO I MILITANTI RIVOLUZIONARI VIVA LA SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE DEI POPOLI Parigi, il 20 febbraio 2008 Siano da morire Da oltre quattro mesi, nel carcere di Siano-Catanzaro, è stata aperta una nuova struttura detentiva denominata ad EIV (Elevato Indice di Vigilanza). In questa struttura, sottoposti allo stesso regime carcerario, sono rinchiusi sia i detenuti provenienti dal carcere di Palmi che, in una delle sezioni, 8 detenuti politici, di cui 3 delle inchieste sui movimenti islamici, 3 compagni dell’inchiesta PCC e 1 militante delle BR-Walter Alasia. Inoltre, per un breve periodo, altri 11 compagni dell’inchiesta del 12 febbraio (PCPM), hanno condiviso la stessa esperienza. L’apertura di questa nuova sezione, e la tipologia della stessa, pone alcune riflessioni che pensiamo sia importante condividere e denunciare pubblicamente. Ci sembra di poter cogliere da parte del Ministero due fondamentali intenzioni: - la prima, che riguarda prevalentemente i prigionieri politici, crediamo la si possa definire politica di deportazione [1] e isolamento. E’ da metà degli anni 80 che non veniva ripresa, almeno in questa forma (inizialmente 20 prigionieri tutti insieme!), la prassi di portare a più di 1.000 km di distanza dal luogo dei loro affetti e rapporti i compagni incarcerati (alcuni da oltre 25 anni!). Deportazione e isolamento aggravato da condizioni impossibili di colloquio con familiari ed amici. I colloqui [2], infatti sono previsti un unico giorno settimanale e lavorativo. Viene impedito, nei fatti, alla faccia delle 6 ore formalmente consentite, la possibilità di usufruirne: le difficoltà oggettive (economiche, di lavoro), permettono al massimo un colloquio al mese. - la seconda è quella di “blindare” questa sezione, di chiuderla e separarla da tutto il resto. Ciò risulta evidente sia dall’inchiodatura e oscuramento delle finestre della sezione e fino a poco tempo fa, della saletta, sia dal progetto, confermato dallo stesso direttore del carcere, di montare alle finestre delle celle le famigerate “bocche di lupo”, ribattezzate per l’occasione “gelosie”! [3]; ovvero, l’applicazione di barriere alle finestre per impedire l’accesso di aria e luce, oscurare qualsiasi possibile contatto visivo ed uditivo. Questa blindatura è confermata dal divieto di rapporti anche solo “visivi” con prigionieri delle altre sezioni di EIV, che si sostanzia soprattutto nell’assurda alternativa tra “passeggio” e medico e nell’impossibilità di risalire dall’aria prima di due ore, affinché non si realizzi nessun possibile contatto. A questi due intenti se ne aggiunge un altro, solo apparentemente prodotto della gestione “locale”: la rigidità/ chiusura che investe ogni aspetto delle condizioni di prigionia in questo carcere. Una serie di cose formalmente o informalmente garantite fino a qualche anno fa, vengono eliminate: si va dalla socialità, alla situazione sanitaria, alla domandina (con conseguente impossibilità, per chi non ce l’ha già, di avere cose essenziali quali orologio, musica, cancelleria…), alla restrizione dei giornali da acquistare, alla riduzione della possibilità di fare entrare viveri per pacco e della loro quantità (in barba ai 20 Kg. 8 mensili formalmente garantiti!). Inoltre, nel contesto di questa ed altre restrizioni, si vorrebbe imporre un rapporto individualizzato tra prigioniero e direzione del carcere affinché ogni espressione, ogni richiesta non assuma valore collettivo, si svilisca nel rapporto tra individuo e apparato così da poter consentire ogni pressione ed esercitare tutto il potere ricattatorio di cui questo dispositivo può disporre. L’impronta data a questa nuova sezione manifesta l’intenzione di trasformare il circuito di EIV [4] in un ulteriore strumento di deterrenza che si affianca al regime di 41 bis. Questo nel contesto della più generale politica degli ultimi anni contro ogni espressione di ripresa di iniziative contro lo “stato di cose presenti”. Stato di cose che è contrassegnato da un’acuta crisi economico-sociale del sistema capitalistico, che si manifesta soprattutto con la guerra e l’accentuazione dello sfruttamento (precarizzazione, crisi). Questo contesto spinge sempre più lo Stato a gettare la maschera del diritto, ad agire preventivamente con la violenza contro ogni istanza di trasformazione o chiunque esprima un principio di resistenza sia all’interno dei propri confini che all’esterno. Non è una scelta legata ad una corrente o a schieramenti politici, ma scelte inerenti la natura stessa dello Stato borghese e ricorda, almeno per quanto riguarda l’Italia, quella che fu praticata in risposta alle lotte del '68/'69, con le stragi e le denuncie di massa di operai e studenti. Solo che allora era il movimento di classe ad essere forte… oggi forse è il capitale ad essere troppo “debole”, almeno strutturalmente, per sopportare anche il sentore di una resistenza. Già i fatti di Genova (precedenti l’11 settembre!), hanno dimostrato la volontà di prevenire con ogni mezzo la ripresa di un movimento non rituale anticapitalista. Ma quello fu solo un primo segnale. Gli anni che seguirono sono stati quelli della instaurazione di una legislazione speciale cosiddetta “antiterroristica” che ha avuto l’unico scopo di dare mano libera agli apparati polizieschi contro ogni forma di resistenza. In Italia abbiamo visto i vari 270 bis, ter, ecc, in molti processi sommari, gli ultimi sono il caso di Genova, Cosenza, Firenze… ma non vanno dimenticati i tanti contro anarchici, compagni vari, quelli dell’11 marzo, musulmani… E la legalizzazione delle espulsioni di stranieri in stati dove si tortura e quando ciò non è possibile o non si ritiene opportuno, si provvede ad appaltare a servizi “paralleli” o stranieri il sequestro di persone, sempre con lo scopo di avere mano libera e poter liberamente torturare nei paesi dove questa prassi è la norma. Ma con Guantanamo e le altre carceri più o meno segrete gestite dalla Cia o da altri servizi occidentali, è caduto anche questo ultimo tabù (tortura), che gli Stati “democratici” vantano avere. Il muro di isolamento e di blindatura che vorrebbero erigere intorno a questo carcere ed in particolar modo intorno a questa sezione, non risponde a presunte esigenze di sicurezza, ma solo al tentativo di chiudere ulteriori spazi di vivibilità, socialità e salute (in barba anche alle loro stesse leggi e normative!), nel tentativo di recidere ogni rapporto di solidarietà, affetto, umanità sia all’interno che all’esterno di queste mura. Risponde al tentativo di piegare l’identità politica dei prigionieri e spezzarne la resistenza, impedire ogni spazio di riflessione autonoma non assoggettabile. Ogni spazio che si chiude all’interno delle carceri è uno spazio che si chiude, sempre più, intorno ad ognuno di noi; ogni silenzio è una rinuncia alla possibilità di pensare e credere che sia possibile e giusto lottare contro ogni sopruso, vessazione, sfruttamento, miseria, guerra, razzismo. Ogni conquista che ci viene espropriata è una parte della nostra condizione di vita e di lavoro che peggiora. Per questo e per molto altro ancora, continueremo a lavorare per denunciare quanto succede in questo carcere, a denunciare i piani in corso di attuazione. [5] Lavoreremo per un confronto e un incontro con tutte le realtà interessate affinché si sviluppi un’attenzione sul carcere anche su questo territorio, quale condizione imprescindibile della difesa delle condizioni psico/fisiche di tutti i detenuti e l’identità dei rivoluzionari prigionieri. Lavoreremo per la nostra stessa possibilità di esprimere, come lavoratori e sfruttati, un’alterità a questo stato di cose. Amici e familiari dei prigionieri rivoluzionari Per contatti: [email protected] Note: [1] Politica di deportazione utilizzata, probabilmente, anche come atto punitivo nei confronti di compagni da 26 anni in galera a seguito della campagna “Un libro in più di Castelli”, che aveva fatto maturare una bella mobilitazione sotto il carcere di Biella che aveva visto impegnate insieme forme ed esperienze diverse contro le politiche carcerarie. [2] Recentemente una compagna che ha, da oltre 20 anni, colloqui in qualità di tutrice con un prigioniero, è stata convocata, sotto richiesta di informativa da parte della direzione del carcere di Siano, dalla P.S. per informazioni sulla natura dei suoi permessi. Ci sembra che questo atto, apparentemente innocuo, sia solo in funzione di creare maggiore pressione ed intimidazione nei confronti di chi (familiari o amici), ha rapporti con prigionieri. [3] Il carattere sfacciatamente afflittivo di queste barriere insieme alla censura sui giornali, furono alcuni degli elementi che determinò, negli anni ’70, un vasto movimento di prigionieri (e non solo), che portò alla loro abrogazione con la riforma penitenziaria del ’75. [4] I prigionieri sottoposti ad EIV si trovano sempre più spesso a subire le stesse privazioni, se non addirittura peggiori, di quelle previste dall’art. 41 bis o.p., specialmente per quanto riguarda l’isolamento e la censura. A differenza del 41 bis, però l’EIV è un regime detentivo molto più arbitrario in quanto ad applicabilità e specifiche condizioni a cui si è sottoposti. Negli ultimi anni, il suo ampio utilizzo, specialmente nei confronti di detenuti politici, rende evidente la volontà statale di estendere le condizioni di trattamento previste dal 41 bis, come preannunciato sia dal ministro Castelli che da Mastella, senza tuttavia incorrere in critiche di incostituzionalità, di violazione dei diritti umani, per l’utilizzo di questa forma di tortura, propria del 41 bis. La situazione delle carceri italiane ha meritato l'attenzione del Commissario per i diritti umani di Strasburgo (2005); l'Italia è stata condannata, per l'introduzione e la disciplina dei reparti EIV (Elevato Indice di Vigilanza) dalla stessa Corte Europea per i Diritti dell'Uomo nel 2005; ed il recente provvedimento finale (Concluding Observations) di maggio 2007 del Comitato Contro la Tortura sulla situazione italiana rileva come nelle maglie del nostro ordinamento si annidino rischi di involuzione della politica sui diritti umani verso l'abbassamento delle garanzie di tutela e ciò in quanto l'innalzamento delle condizioni di 9 sicurezza compromette e, in alcuni casi pregiudica, l'effettività del divieto di pratiche degradanti la dignità umana. [5] E’ previsto che questo carcere diventi uno dellr 4 carceri più grandi del meridione dopo Poggioreale, l’Ucciardone, Lecce. Questo comporterà, più di quanto già non comporti, un ulteriore peggioramento nella vita di ognuno in termini di controllo, di presenza militare, di condizioni economiche, di spesa pubblica, di ristrutturazione del territorio, di agibilità politica e possibilità di espressione delle lotte. Sul carcere di Benevento A gennaio 2008 è stata aperta una nuova sezione EIV a Benevento, composta di soli prigionieri islamici, una decina in tutto: 5 algerini, 2 iracheni, 1 egiziano, 1 tunisino ed 1 anziano palestinese di 74 anni con problemi di salute, da 17 anni in carcere in Italia per l’Achille Lauro; provenienti dalle sezioni EIV di Siano-Catanzaro (5), Poggioreale (2), Carinola (1), Sulmona (1) e Parma (1). La struttura della sezione è già di per sè significativa: bocche di lupo alle finestre oltre alle reti; reti sopra il passeggio; e ancora luce e televisione vengono spente a mezzanotte; non sono state consegnate le audiocassette con contenuto religioso già consentite nelle carceri di provenienza e i libri permessi in cella sono limitati al numero di 5. Il regime di detenzione si è subito rivelato di tipo intimidatorio e teso ad imporre una disciplina vessatoria e militaresca: a titolo di esempio tra le altre angherie si impone ai prigionieri di stare in piedi, in silenzio e di spegnere il televisore durante la quotidiana battitura delle sbarre della finestra in cella, a chi distribuisce il vitto (uno dei dieci suddetti prigionieri), viene imposto con minacce, da tre guardie sempre dietro, di non parlare con gli altri; in particolare il 10 febbraio, una guardia ha minacciato due lavoranti di portarli in isolamento e di picchiarli se non avessero accettato le loro imposizioni. Dal comportamento si presume che le guardie addette a questa sezione appartengano ai ROM (ex GOM), già tristemente famose per i noti fatti di Bolzaneto del G8 di Genova. Il giorno mercoledì 27 febbraio alle ore 10,30, il sottoscritto Bouhrami Yamine, in seguito ad una protesta verbale, in risposta ad una guardia che con il solito tono provocatorio mi ha detto di non impiegare più di 10 minuti per la doccia, questa guardia mi ha risposto di chiudere la bocca e di rientrare in cella, poi mi si è avvicinato e mi ha colpito con un pugno in faccia, quindi sono intervenute due guardie che mi hanno portato in cella. Alle 12,00 è tornata la guardia che mi ha colpito, per farmi uscire dalla cella per l’aria e mi ha insultato, a questo punto c’è stata una colluttazione in cui sono intervenute altre guardie con calci e pugni. Gli altri prigionieri hanno subito fatto una battitura, quindi sono intervenuti un ispettore ed un brigadiere che mi hanno rinchiuso in cella. Dopo due ore, alle 14,10, è venuto lo stesso brigadiere che mi ha detto di seguirlo dal medico per farmi visitare. Quando sono sceso, arrivato nel corridoio dove c’è l’infermeria, che è al piano sottostante la sezione, sono stato colpito da una guardia con un pugno in testa davanti al brigadiere ed all’ispettore, poi trascinato da tre guardie di fronte al medico che mi ha solo guardato in faccia senza visitarmi e ha detto al brigadiere che tutto era a posto. Poi mi hanno trascinato un’altra volta in una cella a cinque metri di distanza dall’infermeria, dove sono entrate dieci guardie che hanno cominciato a picchiarmi con calci e pugni alla testa e nel corpo, sbattendomi la testa sul muro, per dieci minuti; tutto questo è successo alla presenza dell’ispettore, del brigadiere e del medico. Quando hanno finito di pestarmi, mi hanno spogliato nudo con la forza e minacciato che se parlavo sarei morto. Gli altri prigionieri sentendo le mie urla per quanto stava accadendo, hanno fatto subito una battitura di protesta. Per tre giorni sono rimasto in quella cella ed ho fatto lo sciopero della fame. Il giorno 28 febbraio ho chiesto la matricola per fare la denuncia ma non mi è stato permesso. Il 29 febbraio alle ore 9,30 sono andato al consiglio di disciplina dove ho esposto l’accaduto al direttore ed al comandante del carcere, a cui hanno risposto dandomi una punizione di 15 giorni di isolamento. Il giorno 1 marzo vengo chiamato per essere trasferito; quando ero già salito sopra il furgone, un ispettore mi minacciava un’ultima volta dicendomi di non parlare di quanto era successo. Adesso sono stato trasferito al carcere di Siano-Catanzaro dove ho scontato i 15 giorni d’isolamento alle celle di punizione e dove, infine, sono stato ricondotto nella sezione EIV per soli prigionieri politici. Bouhrami Yamine, detenuto nel carcere di Siano Rompere l'isolamento: presidi a Firenze e a Parma Dal 7 al 14 aprile promuoviamo una mobilitazione semplice e diretta riguardo alla condizione detentiva che stanno vivendo ultimamente i compagni Daniele Casalini e Francesco Gioia. Arrestati nel giugno 2007 con l'accusa di rapina a cui è stata aggiunta, pochi mesi fa, l'aggravante di terrorismo, sono tuttora detenuti nelle carceri di Parma e Firenze. Durante la loro detenzione si sono subito presentati problemi di comunicazione con l'esterno: sistematicamente la posta viene fatta sparire, compresa anche quella dei loro avvocati. Invitiamo tutti i solidali ad una settimana (7-14 aprile) di invio massiccio di cartoline, lettere, telegrammi e quant'altro, come prima mossa nella prospettiva di rompere l'isolamento che viene imposto ai nostri compagni con il palese obiettivo di indebolire la loro identità politica e limitare il loro contributo alle lotte che li hanno sempre visti 10 partecipi. Dopo questa settimana, nelle giornate del 19 e del 20 aprile si terranno due presidi a Parma e Firenze. Per chi volesse ricevere le cartoline e i manifesti che trovate in allegato, potete scrivere a: email: [email protected] posta: casella postale 351 Livorno centro 57123 Livorno anarchici e anarchiche di via del cuore Trasformiamo il processo alla solidarietà in occasione per rilanciarla e organizzarla Nell'ultimo mese, sono state notificate 25 denunce ad altrettanti compagni che hanno partecipato alla manifestazione di sabato 3 giugno 2007 a L'Aquila, conclusasi con un presidio sotto al carcere delle Costarelle. Tra le varie accuse compaiono “apologia di terrorismo”, “istigazione a delinquere”, “deturpamento di cose altrui” e “invasione di terreni”. Questa manifestazione è stata parte di un percorso di lotta e di denuncia contro la tortura dell'isolamento, che in Italia si concretizza attraverso il regime di 41 bis o.p., che è nato con la precedente manifestazione sotto al carcere di Parma e che è continuato con la recente mobilitazione sotto al carcere di Viterbo. Queste strutture hanno sezioni specifiche attrezzate ad "ospitare" i detenuti destinati al carcere duro che oggi sono oltre 600, tra cui 4 rivoluzionari prigionieri. Il 41 bis prevede la sospensione dei più basilari diritti di ogni detenuto, impone una sola visita mensile con familiari stretti e con la separazione del vetro divisorio, la censura della corrispondenza, la predisposizione in reparti sorvegliati dai Gom (Gruppi Operativi Mobili, gli stessi responsabili delle torture a Genova nel 2001) fino all'esclusione totale dell'imputato dall'aula di tribunale, costretto ad assistere al proprio giudizio in videoconferenza. La pratica dell'isolamento è da sempre usata in Italia, come all'estero: dalle celle di isolamento sperimentate in Germania negli anni ’70 sui compagni e poi esportate in Turchia, ispirando le attuali celle di tipo F, ai moduli FIES usati dallo stato Spagnolo, con il chiaro intento di annientare l'identità politica che questi compagni incarnano, la lotta e l'esempio di resistenza tenace che essi costituiscono a livello internazionale. Non a caso si può revocare l'applicazione del 41 bis unicamente se il detenuto diventa collaboratore di giustizia, prendendo le distanze dall'organizzazione di appartenenza e rinnegando le proprie scelte. Questo articolo rappresenta la punta più alta del codice premio-castigo che regolamenta la differenziazione che tende a dividere il corpo prigioniero e a indurre all’abiura. Lo stesso codice è intrinseco all’intera società e vuole imporre trattamenti differenziati per sgretolare l’unità di classe dividendo tra lavoratori fissi e precari, tra italiani e immigrati, tra buoni e cattivi. Queste misure rappresentano la necessità dello stato di “pacificare” il fronte interno, per continuare a garantire, su quello esterno, la sua complicità con diverse aggressioni militari. La manifestazione a L’Aquila è stata un momento in cui si è concretizzata la solidarietà di classe che si stringe attivamente attorno a tutti i compagni rinchiusi e a chi viene segregato nelle galere imperialiste. È proprio la pratica della solidarietà militante che viene attaccata con queste denunce per depotenziare questa arma vincente che è nelle mani degli oppressi. La solidarietà spaventa la borghesia perché rafforza quel filo rosso che unisce chi lotta fuori dalle carceri a chi vi lotta dentro. Questo è confermato da un continuo incremento di episodi repressivi. Sono, infatti, numerose le denunce recenti e gli arresti di diversi compagni per volantinaggi o scritte murali di solidarietà, come la carcerazione dei compagni a Sesto San Giovanni dopo gli arresti del 12/02/07 per l’inchiesta Tramonto. Una compagna minorenne di Padova è stata denunciata per “propaganda clandestina”, (articolo che nemmeno esiste più) per non aver apposto il FIP su un volantino di solidarietà. Ancora più significative sono alcune delle motivazioni con le quali il Ministro dell’Interno ha prorogato il 41 bis, il 29/09/07 a Roberto Morandi, militante delle BR – PCC: “A fronte dell’ondata di consensi (riferendosi alla manifestazione a L’Aquila) un’eventuale mancata proroga del 41 bis nei confronti di Roberto Morandi potrebbe essere interpretata dal variegato movimento protagonista delle iniziative sopraddette, come un attestato dell’efficacia delle campagne di solidarietà condotte e dai terroristi in carcere come un segnale della ripresa della capacità rivoluzionaria della classe”. Non dobbiamo lasciarci intimorire da questi continui attacchi, al contrario dobbiamo essere più forti e riappropriarci del patrimonio storico della solidarietà per continuare a organizzarla e praticarla. Dobbiamo proseguire in questa direzione, organizzando manifestazioni e presidi sotto le prigioni, dare voce ai detenuti, sostenere le loro lotte, appoggiare la loro resistenza e diffondere le loro idee. È altrettanto importante rilanciare l’unità nell’affrontare questo processo organizzandoci come imputati e costruire delle iniziative in sostegno. Questo per contrastare questo chiaro attacco politico ai movimenti di solidarietà, poiché la solidarietà non si multa, non si arresta e non si processa! DIFENDIAMO LA SOLIDARIETA’ PRATICANDOLA NO ALLA TORTURA DELL’ISOLAMENTO, NO AL 41 BIS LIBERTA’ PER TUTTI I RIVOLUZIONARI PRIGIONIERI Compagni e compagne per la costruzione del Soccorso Rosso in Italia 31/01/08 la necessità della trasformazione rivoluzionaria non si processa! In questi ultimi mesi sono piovute denunce di vario tipo a 25 compagni che hanno partecipato alla manifestazione contro l'isolamento carcerario di L'Aquila del 3 giugno 2007. Le denunce vanno da "apologia di terrorismo", "istigazione a delinquere", "invasione di terreni", etc. Prima di tutto bisogna precisare perché la manifestazione di L'Aquila contro l'isolamento carcerario. L'iniziativa fa parte di una campagna contro l'isolamento carcerario, come il regime EIV (elevato indice di vigilanza) e il 41bis a cui sono sottoposti circa 600 detenuti nelle carceri italiane, di cui 4 rivoluzionari. I regimi d'isolamento nel carcere prevedono condizioni particolari di detenzio- 11 ne: una sola visita mensile con i familiari con la separazione del vetro divisorio, la censura della corrispondenza, la predisposizione in reparti sorvegliati dai GOM (Gruppi Operativi Mobili, gli stessi responsabili delle torture a Genova) e in alcuni casi il divieto per l'imputato detenuto di partecipare al proprio processo in tribunale. L'isolamento carcerario in Italia è utilizzato da tempo, dall'art. 90 e le carceri speciali degli anni 80, all'art. 41bis attuale, così come negli altri paesi imperialisti come in Germania negli anni 70 con la cosiddetta tortura bianca che ha portato all'assassinio dei compagni nel carcere di Stammheim, come in Turchia con le celle di tipo F e in Spagna con i moduli FIES. Questa particolare forma di detenzione, che è una vera e propria tortura, è utilizzata dallo stato borghese con il chiaro intento di annientare l'identità politica e sociale dei detenuti, la capacità dei rivoluzionari di resistenza tenace che incarnano. Questa tortura rappresenta il livello più alto raggiunto dalla controrivoluzione nelle carceri, in particolare la regolamentazione della differenziazione che tende a spaccare il corpo prigioniero e ad indurre all'abiura della propria lotta rivoluzionaria e di classe. È ciò che succede nell'arco di tutta la società con la differenziazione tra i vari settori della classe, tra lavoratori precari e fissi, tra lavoratori e disoccupati, tra lavoratori italiani e immigrati, etc. In questo senso era stata indetta la manifestazione di L'Aquila. La difesa dei rivoluzionari e la lotta all'isolamento carcerario hanno sempre rappresentato uno dei punti cardine della lotta più generale che il proletariato e le sue avanguardie hanno condotto contro le politiche statali, atte all'arricchimento dei padroni e al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di milioni di lavoratori e proletari. Le accuse rivolte ai compagni denunciati sono logiche per i vari giudici e pubblici ministeri che difendono gli interessi di una sola classe, la borghesia imperialista. Noi, come compagni e compagne, come lavoratori e lavoratrici, come precari e come disoccupati e disoccupate, con la stessa convinzione e consapevolezza della giustezza della manifestazione di L'Aquila, respingiamo quelle accuse. Non possiamo fare altro che respingerle, stringendoci intorno ai compagni e alle compagne colpiti dagli ulteriori tentativi di incastrare la capacità e la possibilità che negli ultimi anni si sta sviluppando di organizzarsi in forme diverse contro il sistema capitalista, che è atto solo ad arricchire uno sparuto pugno di uomini e donne, sfruttandone milioni in tutto il paese, in Europa e nel mondo intero. La condizione necessaria per difendere quella solidarietà espressa con la campagna contro l'isolamento carcerario, è quella di continuare ad esprimerla, esercitandola e diffondendola. La solidarietà è un'arma, usiamola! Compagni e compagne contro la persecuzione dei rivoluzionari Per la libertà della Palestina e dei suoi combattenti imprigionati nelle carceri dell’imperialismo Nel 60° anniversario della Nakba, la catastrofe palestinese corrisposta alla nascita dello stato d’Israele, vogliamo ricordare gli oltre 11mila prigionieri che resistono all’annientamento nelle carceri sioniste, ma anche i palestinesi tenuti in ostaggio dalle “democrazie” europee per aver internazionalizzato la lotta di liberazione del loro popolo. Per questo pubblichiamo degli stralci di comunicati su Ibrahim Abdellatif Fathayer e Khaled Hussein, due partigiani palestinesi, da più di vent’anni prigionieri in Italia per l’operazione Achille Lauro (1985). Ibrahim Abdellatif Fathayer Ibrahim è nato in Libano il 7.10.1965, nel campo di Tall Al Zaatar, divenuto tristemente famoso per la strage commessa dai siriani nel 1976. Ha perso quasi tutta la sua famiglia nella guerra del Libano degli anni '80 e successivamente. Ha fatto la guerra per la liberazione della Palestina, il suo Popolo, la sua identità. Il 7 ottobre del 1985 s'imbarcò sull'Achille Lauro con altri giovani profughi palestinesi, per scendere al porto israeliano di Ishdud e rapire dei soldati israeliani in cambio della liberazione di alcuni prigionieri palestinesi. Le cose non andarono secondo i piani prestabiliti e nella base americana di Sigonella, in Sicilia, Ibrahim fu arrestato insieme ai suoi compagni e condotto in carcere a Spoleto, dove rimase oltre 2 anni in totale isolamento. Dopo Spoleto, Voghera e poi ancora Spoleto (sez. EIV), Livorno (sempre in sezione EIV), Spoleto. Aveva 20 anni quando entrò nelle carceri italiane e ne uscì a 40. Aveva una famiglia in Libano, ora non ce l'ha più. Nei 3 anni di libertà vigilata a Perugia, dormiva in un appartamento della Caritas, lavorando inizialmente in un kebab, ma non ci stava dentro e voleva qualcosa di più solido, una esigenza legittima, per un esiliato. La permanenza a Perugia è stata segnata da costanti molestie da parte delle forze dell'ordine e dei servizi. Nel 2004 ricevette delle richieste, girate per rogatoria alla Magistratura di Spoleto e Perugia, per cui gli USA lo volevano ancora processare per l'Achille Lauro, in barba al processo di Genova e ai decenni scontati di galera. Non procedettero per rogatoria perché la riapertura dell'inchiesta doveva rimanere segreta e la notizia trapelò su alcune testate giornalistiche, suscitando un certo clamore mediatico. Uscito nel 2005 in libertà vigilata a Perugia con l’obbligo della firma fino al 20 aprile 2008, ieri, 9 aprile, si è recato a firmare in questura e in quella sede gli sono stati comunicati la revoca della libertà vigilata e il trasferimento in un c.p.t. di Roma. E' stato trattenuto nella questura di Perugia per 4 ore così come si era presentato: senza soldi, senza un cambio, senza un soprabito, con una sola maglietta addosso e senza poter avvisare nessuno. Il cellulare gli è stato sequestrato perché dotato di videofonino. In questura c'era un giornalista della Nazione al quale lui ha potuto dire di avvisare l'opinione pubblica che lo stavano deportando a Roma (naturalmente l'anonimo giornalista della Nazione ha condito l'articolo odierno con alcune considerazioni sue che Ibrahim non condivide). Dalla questura ieri sera è stato trasferito a Ponte Galeria e grazie alla solidarietà di altri detenuti ha potuto avvisare qualche compagno qui a Perugia di cosa gli stava succedendo. Hanno aspettato adesso le elezioni per farlo fuori, per farlo finire a Guantanamo, o Abu Ghraib, o in qualche altro infame tugurio dell'imperialismo! Non possiamo permetterlo! Rete Antifascista Perugina 12 Khaled Hussein (…) Al processo nel 1989 vengono condannati all’ergastolo in contumacia Abu El Abbas come responsabile politico dell’Organizzazione e Khaled Hussein come responsabile operativo del commando (…) Nel 1991 quest’ultimo viene arrestato insieme ad altri compagni in Grecia; nel 1996 l’Italia chiede l’estradizione e Khaled finisce nelle carceri italiane, passando molti anni a Parma. Abu El Abbas, nel 2003 in Iraq, subito dopo l’occupazione di Baghdad da parte degli Americani, viene catturato dagli invasori e trasferito ad Abu Ghraib dove morirà dopo due mesi di detenzione. Anche Khaled Hussein è nel mirino della CIA. Da qualche anno è iniziata una campagna per la sua liberazione, ma come al solito ci si è trovati davanti ad un ostruzionismo totale del sistema carcerario e giuridico italiano su dettame degli Americani. A Khaled in tutti questi anni è stato negato il diritto ad avere un tutore, ad avere colloqui con qualcuno e, quando la campagna ha iniziato a fare più pressioni, il 18 gennaio 2008 è stato trasferito a Benevento in condizioni paragonabili a Guantanamo. Oggi, a 74 anni, così scrive: “...Vivo in questa sezione con otto detenuti arabi, islamici, accusati di terrorismo islamico, cinque algerini, due iracheni e un egiziano. Le condizioni generali nostre sono di isolamento totale, sono in cella da solo, riesco a vedere gli altri solo nell’ora d’aria…”. Rompiamo il muro dell’isolamento e del silenzio a cui questi partigiani della libertà sono sottoposti! Facciamo sentire il caldo abbraccio della solidarietà scrivendo ai seguenti indirizzi: Abdellatif Ibrahim Fatayer, c/o CPT Ponte Galeria, via Portuense km 10.400, Roma Khaled Hussein casa circondariale via Ermete Novelli ,1 82100 Benevento 9 Marzo 1985 – 9 Marzo 2008 PEDRO VIVE NELLE LOTTE Il 9 marzo del 1985, il militante comunista Pietro Greco, detto Pedro, molto conosciuto nel Veneto e nella nostra città, venne ucciso in Via Giulia da sicari della Digos e del Sisde. Lo stato borghese, in questa maniera, eseguiva la condanna a morte extragiudiziale di un compagno da sempre attivo nelle lotte proletarie e popolari, costretto alla latitanza poiché incriminato in base all’articolo 270 bis, “associazione sovversiva con finalità di terrorismo”. Con lo stesso articolo oggi continuano a venire perseguitati e incarcerati anarchici, comunisti, immigrati islamici e sindacalisti, tutti coloro insomma che pongono in discussione l’attuale ordinamento sociale imperialista e lottano contro la guerra, l’attacco alle condizioni di vita dei lavoratori e la devastazione ambientale. All’epoca la classe dominante, con l’omicidio di Pedro e altri crimini contro il movimento proletario, volle chiudere i conti con il ciclo di lotte degli anni settanta e ottanta, attualmente invece intendere svolgere repressione per im- pedire che il malcontento e la rabbia crescente tra le masse popolari arrivi a sfociare in un percorso rivoluzionario. Rientra nell’ambito di questa strategia di controrivoluzione preventiva il processo che si aprirà a Milano il 27 marzo contro i diciassette comunisti arrestati nell’ambito della cosiddetta “Operazione Tramonto”, sfociata nella retata in stile Gestapo del 12 febbraio 2007, svoltasi anche qui a Trieste. Alcuni di essi, a più di un anno dall’arresto, sono sottoposti alla tortura dell’isolamento carcerario! La memoria dei compagni che hanno pagato con la vita il loro impegno tra le file degli oppressi, come è stato per Pedro, vive oggi nelle lotta di classe e soprattutto nel movimento di solidarietà ai prigionieri politici. ONORE A PEDRO E A TUTTI I COMPAGNI CADUTI PER IL COMUNISMO! CONTRO LA REPRESSIONE, RAFFORZARE LA SOLIDARIETA’! STRINGERSI ATTORNO E MOBILITARSI IN APPOGGIO AI COMUNISTI SOTTO PROCESSO A MILANO! Gruppo Primo Maggio 1945 - Trieste [email protected] Dieci anni fa morivano Baleno e Sole Edoardo Massari, detto Baleno, è stato ritrovato impiccato nella sua cella del carcere delle Vallette, a Torino, il 28 marzo 1998. Maria Soledad Rosas, detta Sole, si è impiccata nella casa in cui era agli arresti domiciliari, l’11 luglio dello stesso anno. Entrambi erano accusati - dai giudici torinesi Laudi e Tatangelo - di far parte di una associazione sovversiva e banda armata che negli anni ’90 avrebbe realizzato diversi sabotaggi in Val di Susa, in particolare contro trivelle e cantieri dell’Alta Velocità (alla fine saranno tutti assolti; soltanto il terzo imputato, Silvano, verrà condannato per un reato minore). Da allora, i tentativi di costruire il TAV in Val di Susa hanno trovato l’opposizione di una popolazione insorta a difesa della propria terra. La combattività dei valsusini e di tutti i ribelli che stanno lottando contro questa e altre nocività è il miglior regalo all’amore per la terra, le montagne e la libertà che ani13 mava Edoardo e Soledad. REPRESSIONE E LOTTE La campagna elettorale non ha abbassato il livello di guardia contro i singoli compagni, i movimenti d’avanguardia e di massa che mettono i bastoni tra le ruote al claudicante sistema di sfruttamento e di guerra. A chi si oppone alla barbarie, la risposta decisa delle istituzione e delle forze della repressione non si fa attendere: cariche contro i presidi anti discariche, sulle manifestanti in difesa della legge sull’aborto, perquisizioni nelle abitazioni dei partecipanti al presidio permanente contro la base Dal Molin, minacce continue e licenziamenti sul posto di lavoro… Se con il termine “sicurezza” i padroni hanno lavorato a pacchetti antiterrorismo, contro i compagni, gli immigrati e la microcriminalità, oggi si impone preponderante il significato che gli operai danno a questa parola: condizioni di lavoro e di vita dignitose per se e per le proprie famiglie. E se è ormai chiaro a tanti che cambiare governo non cambierà la situazione, diventa una necessità la solidarietà per l’unità degli sfruttati. Dal nord al sud del paese, i numerosi processi in corso, le pesanti sentenze di condanna, le denunce e la repressione, non hanno tuttavia fermato le lotte e le manifestazioni di solidarietà che rappresentano una concreta e ferma resistenza. Apriamo spazi di libertà! Sabato 23 febbraio i compagni e le compagne del Gramigna, insieme ad altre decine di persone, hanno occupato per una sera uno stabile abbandonato da anni in cui si è organizzato un concerto e una serata musicale. Il passaparola dell’occupazione ha fatto arrivare all’iniziativa numerose persone. Questa iniziativa ha dimostrato come dopo un anno di criminalizzazione mass-mediatica e di infamie, il Gramigna è riuscito a resistere ai colpi della repressione e a rispondere a testa alta a questi continui attacchi con iniziative, concerti e manifestazioni, grazie anche a tutti coloro che ci hanno sostenuto in questi mesi. La partecipazione a questa azione del Gramigna ha dimostrato come a Padova il centro popolare sia ancora un punto di riferimento politico in cui tanti giovani e proletari si riconoscono. Si è messa in evidenza la necessità di aprire spazi di aggregazione politica, riappropriandosi di quelli vuoti da anni attraverso la pratica dell’occupazione, in cui dare spazio ai giovani per confrontarsi e dibattere, in cui sviluppare un pensiero critico verso questa società malata, la società capitalista, in cui organizzare una socialità fuori dalle logiche di mercificazione e del capitale, spazi collettivi in cui non bisogna spendere un patrimonio per divertirsi. A Padova, come in tante altre città, l’unica socialità che viene proposta è quella della legge del mercato fatta di locali con prezzi esorbitanti ad uso esclusivo di chi ha la tessera. Tutti i compagni, le persone e gli amici che sabato sono arrivati al concerto, sono venuti per affermare che il Gramigna non è un covo di “terroristi”, che la voglia di un cambiamento rivoluzionario della società non si è spenta e per stringersi attorno a questa esperienza popolare che dura da oltre 20 anni. Inoltre il Gramigna in tutti questi mesi ha continuato a promuovere e rilanciare la solidarietà nei confronti dei compagni arrestati il 12 febbraio 2007 e proprio la serata di sabato 23 febbraio è stata dedicata a loro, in particolare agli 8 compagni attivi nella lotta del Gramigna tutt’ora in carcere o agli arresti domiciliari. GIOVEDI’ 27 MARZO TUTTI A MILANO PER LA PRIMA UDIENZA DEL PROCESSO ! OCCUPARE E’ GIUSTO! L’ERBA CATTIVA NON MUORE MAI! [email protected] www.cpogramigna.org Padova, 27 febbraio 2008 1° marzo: per la Resistenza, contro la guerra e la repressione 7 anni di carcere per Resistenza alla Guerra. Questa è la sentenza che il Tribunale di Firenze ha emesso il 28 gennaio 2008 per 13 manifestanti che il 13 maggio 1999, in occasione dello sciopero generale del sindacalismo di base contro la guerra della Nato nella ex Jugoslavia, “resistettero” alle cariche sotto il Consolato Usa. 7 anni per resistenza aggravata. È chiaro che l’unica aggravante in una sentenza così vergognosa è quella politica. La stessa volontà di vendetta presente nella sentenza di Genova per il G8 del 2001 e nelle richieste dell’accusa per il processo di Cosenza contro il Sud Ribelle, come il processo di Milano per gli antifascisti e per altri numerosi casi meno visibili. Queste sentenze vogliono sancire lo slittamento del conflitto sociale all'interno della normativa penale. Una normativa ed un diritto penale, che rimane legato al Codice Rocco del ventennio fascista, e prevede di fatto tali pene (fino a 15 anni) così pesanti per reati connessi all’ordine pubblico, come quello di resistenza a pubblico ufficiale. Per lo stato la conflittualità politica non è ammessa, e l’incompatibilità con il sistema istituzionale si 14 paga a caro prezzo. Declinare e rinchiudere 10 anni di movimento nelle aule giudiziarie, questo crediamo sia il senso di questa come di innumerevoli altre storie giudiziarie. È l’altra faccia del delirio che avvolge le città e che si presenta come tema principale della prossima scadenza elettorale. Sperimentare la tenuta di "nuovi" reati, quali devastazione e saccheggio, mantenendo i "vecchi" resistenza e danneggiamento. Dal 1999 in poi, anno della guerra nei Balcani, innumerevoli sono le inchieste e le condanne per reati che vanno dai danneggiamenti ai blocchi contro le grandi opere, dall’associazione sovversiva alla resistenza, dalle occupazioni di case e spazi sociali. I provvedimenti legislativi servono a qualificare tutte le forme di insorgenza come emergenza e a dettare continui stati di eccezionalità. La vera emergenza riteniamo sia quella dell’agibilità dell’iniziativa politica. E in questo senso questa è una sentenza che parla a tutti. Non c’è più spazio per una critica al sistema. Non si deve manifestare, tanto meno contro la guerra. E poi, se al governo c'è il centrosinistra è ancora più grave, viene meno ogni "giustificazione politica". Quella di Firenze è una sentenza che va oltre ogni misura e rappresenta uno strappo nello stesso tessuto giuridicorepressivo del paese. E’ una sentenza che lancia un messaggio preciso: tutti da punire severamente e simbolicamente, in questo caso con 7 anni di carcere per avere manifestato contro la guerra. Di fronte a quello che sta succedendo a Firenze e non solo, crediamo non si possa e non si debba stare zitti. Crediamo necessaria una mobilitazione forte e continuativa che sappia far vivere questo processo in città e nei movimenti. Una mobilitazione che sappia rispondere al significato politico delle sentenze e nello stesso tempo costruisca e faccia crescere il movimento: per rispondere ai tentativi di criminalizzare con una generalizzazione delle pratiche conflittuali e con la capacità di mettere davanti la solidarietà alle divisioni. Un movimento capace di tenere alta la testa e di rovesciare la sentenza di Firenze e le altre analoghe. Sabato 1 marzo, ad un mese dalle condanne, giornata di mobilitazione. Convegno nazionale del patto contro la guerra e manifestazione dalle ore 15.00 in Piazza San Marco. L'Assemblea Cittadina del 20 febbraio 2008 Cantiere Sociale K100fuegos, Movimento Antagonista Toscano, Cpa Firenze sud, Collettivo Politico di Scienze Politiche, Collettivo FuoriLOGO di Economia, Voci dalla Macchia, Rete dei Collettivi Studenti Medi Fiorentini Solidarietà ai compagni del Cloro rosso di Taranto Da diversi mesi, l’associazione Eskerra sta tentando di ottenere dall’amministrazione comunale di Taranto l’assegnazione di un posto abbandonato da adibire a centro sociale per poter svolgere attività in favore di quella parte della cittadinanza emarginata e oppressa. Il sindaco fino a questo momento ci ha dato una grandissima disponibilità che non si è mai tradotta in fatto concreto. Quindi, dopo aver diverse volte discusso con lui, aver fatto volantinaggi, raccolta firme, un presidio di tre giorni sotto il comune e un primo “abbozzo” di occupazione della piscina abbando- nata, le compagne e i compagni hanno deciso di entrare, nella notte tra sabato 8 marzo e domenica 9, nell’ex scuola media Martellotta, ribattezzata Cloro rosso. Polizia, digos, carabinieri, giornalisti di ogni tipo e razza, non hanno mancato di farci visita. È arrivato a metà mattina un assessore che, da parte del sindaco di Rifondazione, ci ha invitati caldamente ad abbandonare il posto lasciandoci intendere che la nostra presenza in quel luogo non era nei loro programmi: la risposta secca è stata che saremmo rimasti lì e che se il sindaco aveva intenzione di incontrarci ci avrebbe trovati lì. In serata, ci sono giunte voci che il sindaco avrebbe firmato l’ordinanza di sgombero per il giorno successivo, ma altre voci hanno smentito. In ogni caso il giorno successivo il sindaco è venuto, ha parlato con noi ribadendoci le ragioni per cui la nostra permanenza non era possibile, ragioni rispedite al mittente, trattandosi di scuse inutili e visibilmente inverosimili. Il sindaco di Rifondazione è andato via facendoci intendere chiaramente che era “costretto”, suo malgrado, a firmare l’ordinanza di sgombero. La digos ha preso i nominativi di tutti i presenti, mentre venivano fatti allontanare i compagni che mano mano arrivavano, per evitare che venissero prese anche le loro generalità. Dopo l’assemblea, ci siamo immediatamente attivati perché lo sgombero non avvenisse: il sindaco ha dovuto fare marcia indietro e oggi invierà agli organi di informazione un comunicato stampa spiegando le motivazioni del suo gesto e chiedendo alla digos di lasciarci in pace. I compagni più “buoni”, del Cloro rosso, hanno creduto alla buona fede del sindaco e che la voce circolata sull’ordinanza di sgombero fosse falsa, qualche altro compagno più “cattivo” (come la sottoscritta), crede invece che quella voce non fosse assolutamente falsa e che solo la nostra capacità di gestione ha potuto evitare che lo sgombero avesse luogo. Questo anche in risposta a qualche giornalista che, non ricevuto come sperava, ha detto in televisione, senza neanche averci visti in faccia che si trattava di un gruppetto di ragazzini inesperti; la nostra risposta? Dito medio. Oggi, 11 marzo prima assemblea pubblica tarantina, per sabato faremo sapere nei prossimi giorni cosa abbiamo in programma, così come anche per pasquetta. Csoa clororosso Milano: arrestato Mattia comunicato di Senza gabbie All'alba del 26 marzo è stato tratto in arresto il nostro compagno Mattia. Non si hanno molte notizie, si sa solo che è stato fermato da una volante nelle vicinanze di un gazebo elettorale del PD posto in Piazza Argentina a Milano. Nelle ore precedenti erano stati incendiati gazebo elettorali di La Destra in San Babila e del PD in Piazza Cinque Giornate. Gli inquirenti sospettano sia lui l'autore di tali incendi. Dopo una giornata in questura è stato tradotto a san Vittore ed è ora agli arresti domiciliari. MATTIA LIBERO SUBITO! TUTTI/E LIBERI/E! Senza Gabbie 15 Lasciateci dormire: noi dobbiamo sognare. Comunicato del presidio No Dal Molin sulle perquise È stata una lunga giornata per il Presidio Permanente, conclusasi questa sera con l´assemblea straordinaria: centinaia di persone si sono ritrovate a Ponte Marchese. Solidarietà e indignazione. Rabbia e determinazione. Stamattina tre abitazioni sono state perquisite: gli agenti cercavano prove di colpevolezza per l´attentato avvenuto lo scorso 5 luglio all´oleodotto militare La Spezia - Aviano. Quella notte una pentola a pressione era stata fatta esplodere nel pozzetto d´ispezione dell´infrastruttura militare; qualche giorno dopo, l´azione era stata resa nota da un video inviato alla stampa e firmato "Team antimperialista". Nove mesi dopo, arrivano le perquisizioni a carico di attivisti del Presidio Permanente. Le ragioni che motivano l´iniziativa della Magistratura sono definite "molto significative" dal mandato che viene consegnato ai perquisiti: aver visitato un sito internet per la prima persona, aver fatto una chiamata col cellulare all´interno di un raggio di 10 km dal luogo dell´avvenimento per la seconda, essere il compagno della prima persona per la terza. Insomma, se non fosse per la gravità dell´accaduto, le ragioni addotte dal PM sarebbero quanto meno esilaranti. Invece non possiamo riderci sopra, ma di certo possiamo dire che sono ridicole. Chi si batte contro la costruzione della nuova base Usa a Vicenza non ha mai avuto paura di mostrare in pubblico il proprio viso, nelle occupazioni come nei blocchi, nel taglio dei cavidotti e in quello delle reti del Dal Molin. Perchè difendere la nostra terra è una responsabilità che ci assumiamo fino in fondo; ma soprattutto perchè il nostro viso esprime il nostro amore verso Vicenza e la nostra determinazione contro la guerra e l´imposizione. Guardacaso, dopo 270 giorni di silenzio, la pentola a pressione posta nel pozzetto dell´oleodotto ritorna di attualità; lo fa diciotto giorni dopo l´incidente allo stesso oleodotto che ha provocato un disastro ambientale, inzuppando di kerosene il terreno di ricarica della falda acquifera e inquinando i fiumi Astichello e Bacchiglione. In questi diciotto giorni, mentre tutti tentavano di minimizzare, il Presidio denunciava l´avvenuto, mostrando ai vicentini le foto dell´inquinamento e facendo annusare a chiunque l´acqua aromatizzata con il carburante prelevata dai corsi d´acqua di Monticello Conte Otto. Con la paura si governano i popoli: è una vecchia massima che nel contrastare il movimento che si batte per impedire la militarizzazione di Vicenza è sempre stata tenuta in considerazione. Ed ecco che si mette all´indice un movimento che, nonostante tutto, ha mantenuto il suo radicamento nella comunità locale: le perquisizioni di questa mattina dicono ad ognuno di noi che chi si oppone può essere accusato. Chi non accetta l´imposizione può essere svegliato all´alba, perquisito e sbattuto sulle pagine dei giornali. E non importa se l´impianto accusatorio non si regge in piedi; quel che conta è il messaggio: fate una vita normale, anonima, qualunquista. Dedicatevi al vostro mondo privato, ma non metteteci i bastoni tra le ruote. Un ricatto. Ma se pensavate di impaurirci avete sbagliato; perchè questa sera, al Presidio, ci siamo guardati in faccia, e ci siamo visti incazzati. Voi, che vorreste coprire l´imposizione con il sopruso; voi, che vorreste far passare l´ingiustizia con la calunnia; voi, che vorreste una città zitta e accondiscendente; a voi diciamo: il futuro è nelle nostre mani. E vi sorprenderemo ancora una volta: perchè torneremo a far le iniziative di tutti i giorni con la nostra determinazione e il nostro sorriso. Vorreste far scendere la nebbia su Vicenza; ma, come dice Don Gallo, "a Vicenza è primavera": e a primavera il sole è abbastanza forte per dissipare ogni nebbia. Ci chiamiamo Marta, Stefano, Daniele; ci chiamiamo No Dal Molin. Denunciateci pure e copritevi di ridicolo: noi domani saremo ancora qui a difendere la nostra terra dalle basi di guerra. Ma ora, lasciateci dormire in pace: abbiamo dei sogni da fare. Perchè Vicenza sarà diversa: sarà il nostro sogno che diventa realtà. Presidio Permamente No Dal Molin, 27 marzo 2008 Benevento: ennesime denunce per "stampa clandestina" La notte scorsa (giovedì 27 marzo 2008), 4 anarchici sono stati fermati intorno all'1:00 lungo il viale Mellusi da agenti della polizia. I compagni, dopo una birra, si stavano incamminando verso casa. Avevano detto si trattasse di un normale controllo di polizia. Non era così. I quattro sono stati trasferiti in questura e trattenuti per più di 3 ore in quanto indagati di aver affisso lungo la strada in cui sono stati fermati manifesti antielettorali. Al momento del loro fermo i compagni non erano in possesso di alcuno strumento per poter affiggere manifesti, né degli stessi manifesti ritrovati sul posto. La scientifica ha proceduto all'identificazione di due di loro per mezzo di foto segnaletiche e impronte digitali, per una compagna tale trattamento è stato "evitato", mentre il quarto aveva già lasciato la sua foto ricordo qualche anno fa. Durante l'interminabile attesa, gli agenti dopo una ricognizione sul posto, sono ritornati in questura con un secchio di colla liquida ed una pennellessa oltre che con una decina di altri manifesti del tipo ritrovato. In tre sono stati denunciati per "Stampa clandestina", nonostante i manifesti ritrovati fossero provvisti regolarmente delle indicazioni di stampa (cicl. in prop. in 16 via ...), e nonostante, come già detto, al momento del fermo "gli indagati" fossero sprovvisti di qualsivoglia strumento per l'affissione. In una città in cui i manifesti del Pd, del PdL, dell'Udeur, di Gesù Cristo e la Madonna sono affissi "abusivamente" fin dentro alle nostre case, sui muri dei palazzi pubblici e non, ci viene "maliziosamente" da pensare, che le ennesime denunce di questo tipo, non siano semplicemente un caso, dovuto alla sfortuna degli anarchici beneventani che ogni volta che escono di casa devono sbattere il proprio muso contro alcuni brutti grugni, ma una chiara manovra che vuole processare le idee, ed impedire ad ogni modo che esse possano diffondersi per mezzo stampa, alzando di conseguenza inevitabilmente il livello dello scontro e spingendo con inutili provocazioni i rivoluzionari a compiere "mosse false". Gruppo Anarchico "Senza Patria", Benevento, per il momento da nessun luogo Perquisite 3 case questa mattina all'alba a Torino e Cuneo Questa mattina all'alba sono state perquisite 3 case di compagni. Due a Torino e una a Cuneo. Agli sfortunati svegliati nel corso della mattina le accuse fanno riferimento "all'irruzione" alle Nuove nei pressi del Palazzo di Giustizia (corso Vittorio) il 2 dicembre. In quella serata, giorno successivo all'inizio dello sciopero degli ergastolani, alcuni solidali erano entrati nel excarcere. Dopo aver contestato l'infame situazione carceraria le luci si erano spente e gli agitatori erano spariti. Ora a distanza di 4 mesi arrivano le accuse da parte della magistratura torinese, che sostiene di aver un testimone che può riconoscere i solidali, a cui viene contestato il furto di un quadro sparito dalla sala in quei giorni. A loro e a tutti i reclusi nei lager di stato va la nostra solidarietà. Tutti liberi! Da un comunicato di quei giorni. La sera di domenica alcuni solidali con la lotta dei detenuti hanno contestato un' iniziativa artistica all'interno dell'ex-carcere delle Nuove a Torino. Una mostra che, attraverso l'esposizione di opere all'interno delle celle(!!!) banalizza e spettacolarizza un luogo di sofferenza come questo, trasformandolo in un museo dell'orrore per intellettuali radicalchic. Luoghi di tortura e isolamento come erano le Nuove esistono ancora, lontani dai riflettori e dagli sponsor (Banca Intesa, San Paolo e compa- gnia bella). Oltre tutto in questi giorni della gente vi sta lottando dentro, mettendo in gioco la propria vita: questo è stato fatto notare (con un pò di movimento) ai visitatori... Mar, 01/04/2008 – 09:11 http://www.informa-azione.info/ piemonte_perquise_in_3_case_questa_mattina_allalba Ribellarci ai soprusi non è solo un diritto ma un DOVERE! La Fiat con i licenziamenti repressivi, spostamenti punitivi, repressioni, ha voluto dare un segnale chiaro agli operai: o piegate la testa e lavorate senza lamentarvi o fate la stessa fine. La prassi del silenzio-assenso attuata dai sindacati filopadronali è servita alla Fiat ed è stato molto più facile aumentare i ritmi di lavoro attraverso uno strumentale uso del WCM. L’espulsione dallo stabilimento di Pomigliano D’Arco dei 315 lavoratori partecipanti al corso/truffa “centro di logistica”*, è stata usata per mettere in atto un vero e proprio “terrorismo psicologico” nei confronti degli operai. “Se protesti finisci dentro anche tu”. Tant’è che molti lavoratori affermano che da quando i 315 sono usciti dalla fabbrica “nessuno dice niente e il padrone fa quello che vuole”. Gli operai quando hanno paura di perdere il posto di lavoro, pur di non finire sul lastrico accettano di tutto, corrono di più e non si rendono conto che così facendo mettono a repentaglio la propria vita. Sono molti gli infortuni e le morti riconducibili alla fretta e al fatto di dover garantire in ogni modo gli interessi dell’azienda. L’ultimo fatto grave si è registrato il 26 marzo, a Melfi, quando Domenico Monopoli, un operaio di 43 anni, è morto, per le ferite riportate in seguito a una caduta da un soppalco, presso l’Unità Verniciatura. Ha lasciato una moglie e due figli piccoli. I 316 lavoratori devono rientrare in fabbrica e svolgere l’attività di logistica all’interno della Fiat. La decisione di spostare all’esterno dello stabilimento solo il 30% della logistica, evidenzia la vera volontà dell’azienda, ricostruire i reparto confino per espellere i lavoratori che non accettano tali imposizioni, e le O.S. di Base che si battono da sempre per il rispetto e la dignità dei lavoratori. E’ necessario abbassare i ritmi di lavoro, ma se gli operai non alzeranno la testa e protesteranno, si continueranno a contare gli infortuni e i morti sul lavoro e nulla li potrà diminuire. Provvedimenti, “intimidazioni”, licenziamenti. Ribellarci ai soprusi non è solo un diritto ma un DOVERE la FLMUniti CUB, e la CONFEDERAZIONE COBAS indicono in Fiat e terziarizzate 8 ORE SCIOPERO PER OGNI TURNO DI LAVORO per il giorno 17 04/04/2008 *Fiat Group ha inviato a 300 lavoratori dello stabilimento di Pomigliano una lettera con la quale comunica che “sarà costituito un Centro di Logistica avanzata a servizio dello stabilimento per ottimizzare il rifornimento dei componenti alle linee di produzione” e convoca i lavoratori a partire dal 3 marzo sui propri turni, nel piazzale antistante lo stabilimento dove un servizio di trasporto li condurrà presso il Centro Polifunzionale Inail di Napoli per un corso di addestramento della durata di due mesi. Quello che è scandaloso è che Fiat Group ha coinvolto in questa operazione i lavoratori a ridotte capacità lavorative, gli iscritti e militanti di Flmuniti-Cub e delle altre organizzazioni di base. L’obbiettivo di questa operazione è evidente: costituire un reparto confino nel quale concentrare gli Rcl e i lavoratori che potrebbero creare qualche problema al dispiegarsi della Nuova Pomigliano, venduta mediaticamente da Marchionne come un salto in un futuro roseo. Questo fatto la dice lunga sugli effettivi obbiettivi della dirigenza Fiat, il nuovo assomiglia terribilmente al vecchio del 1950 fatto di discriminazioni e di selezione della “razza”. 1 Marzo, 2008 Russolo, con contratto a tempo indeterminato, dal 1 aprile 2008. Una vittoria piena, che ripaga il lavoratore del sopruso subito, e tutti coloro (sindacati autorganizzati, centri sociali, forze politiche, cittadini di S.Giuliano) che hanno affiancato il comitato di lotta, credendo in questa e lotta sostenendola per così tanti mesi e a cui va il nostro più sincero e profondo ringraziamento Adesso si tratta di mettere a frutto questo piccolo ma importante risultato che dimostra innanzitutto, che solo la lotta paga e che la battaglia è alla portata di tutti. Il comitato operaio di Genia rilancia quindi immediatamente la proposta di estendere l’azione contro la precarietà e i licenziamenti, per il controllo diretto di lavoratori e cittadini sulle attività delle aziende pubbliche. La proposta, è quella di giungere, in tempi rapidi, ad un’assemblea territoriale, per fare un bilancio collettivo di questa vicenda e decidere insieme come rilanciare la battaglia. Un primo obiettivo collettivo potrebbe essere la partecipazione alla mayday come occasione per superare la “semplice” rappresentazione pubblica dell’esistenza di una condizione di precarietà dilagante e mostrare piuttosto la possibilità concreta di combatterla in maniera vincente COMITATO OPERAIO GENIA Aderente alla C.U.B. Vittoria a S. Giuliano milanese! riassunto interinale licenziato da Genia ambiente SOLO LA LOTTA PAGA!!! Sono passati 18 mesi da quando, il 7 ottobre 2006, il comitato operaio di Genia Ambiente (Azienda comunale di S.Giuliano M.se), aderente alla CUB, cominciò il presidio permanente in piazza Italia, a sostegno di una vertenza contro il licenziamento di 5 netturbini, lavoratori interinali assunti tramite la Manpower. Speakeraggio in tutti i quartieri popolari della città, assemblee pubbliche, occupazione del consiglio comunale, corteo cittadino. Per nove mesi, la roulotte di piazza Italia è stata base di iniziativa politica dal basso, tenendo testa a tentativi di sgombero, assalti delle guardie giurate, campagne denigratorie sui mass-media, boicottaggio della lotta da parte di CGIL e RSU interne. Il presidio permanente fu sgomberato il 22 giugno 2007, alla vigilia della sentenza del tribunale di Lodi in merito al primo degli interinali licenziati, Paolo Catalano, diventato simbolo della lotta a causa del grave infortunio sul lavoro di cui fu vittima, mostrando a tutti il cinismo dell’azienda preoccupata solo dei propri profitti, con il pieno appoggio del comune di S.Giuliano. In quel primo round legale, l’azienda riuscì a cavarsela con un “risarcimento” di 30.000€, che Catalano fu costretto ad accettare, messo alle strette dall’inevitabile indebitamento dovuto ai 12 mesi di disoccupazione e senza la possibilità di lavorare a causa del grave infortunio. Ma la seconda vertenza in calendario, condotta da Russolo Manuel, ha avuto ben altro risultato. Di fronte alla tenacia del lavoratore che ha rifiutato ogni proposta di denaro, di fronte al giudice che ha respinto i tentativi dell’azienda di sollevare inesistenti vizi procedurali, di fronte al permanere, all’interno di Genia, di un’attività sindacale costante della CUB, Genia, pur di evitare una probabile sconfitta giuridica, si è finalmente piegata decidendo di riassumere Occupata la fabbrica Sirma di Marghera (VE) Oggi 17 aprile e' iniziata l'occupazione della SIRMA. La decisione della proprietà di chiudere la fabbrica in una logica speculativa ha spinto gli operai all'occupazione della fabbrica. Inoltre tutti i lavoratori sono stati raggiunti dall’avviso che li informa di essere inseriti nelle liste della mobilità, anticamera del licenziamento. Da st ano tte la S IRM A E' OC CU P AT A. Esprimiamo concretamente la solidarietà contro questo attacco alla classe operaia ed all'occupazione a Marghera. Tuttinpiedi Mestre, Venezia 18 INCHIESTE E PROCESSI Sulle perquisizioni a Livorno Venerdì 25 gennaio sono state effettuate dai Ros di Firenze ed ordinate dal pm Giuseppina Mione, 8 perquisizioni fra La Spezia, Pisa, Livorno e Roma. Ai/alle perquisiti/e, alcuni ed alcune appartenenti all'area anarchica, il reato contestato é tentato omicidio con aggravanti di terrorismo. Durante le perquisizioni é stato anche prelevato materiale utile a rilevare il DNA delle persone, in linea con il nuovo andazzo delle politiche repressive europee tese a creare una banca dati per schedare i detenuti ed in generale i ribelli sociali. L'accusa é quella di aver compiuto un attentato esplosivo contro la caserma della Folgore di Via Vannucci a Livorno nel settembre 2006. La caserma Vannucci é un covo di assassini in divisa, che ammazzano e trucidano intere popolazioni, che invadono e distruggono territori, che hanno fatto le "missioni di pace" in Somalia, Jugoslavia, Afghanistan e in Iraq, che sono da sempre al soldo del potere per consertirne la riproduzione. Come sempre si cerca di ribaltare le parti, ma tutti/e sappiamo chi sono i terroristi, chi incute terrore per mantenere lo stato delle cose, chi come in questo caso ha portato in carcere una persona del tutto estranea a qualsiasi attività politica, ma comunque refrattaria a questa vile società, e chi invece vuole cambiare tutto questo. Questa inchiesta non solo conferma l'attenzione da parte della magistratura e dei carabinieri verso quell'area che da sempre esprime dissenso, ma fa anche pensare ad una vera e propria crisi di astinenza a cui vanno incontro questi inquisitori se si perdono anche solo un'occasione di far sentire la loro pressione su chiunque si ribella e su chiunque dimostra a loro solidarietà. LIBERTA' PER VALENTINA! LIBERTA' PER COSTA, DANIELE E FRANCESCO! LIBERTA' PER TUTTI E TUTTE! SOLIDARIETA' AGLI INDAGATI e ALLE INDAGATE! Alcuni/e indagati/e e solidali [email protected] Cosenza, Sud Ribelle: chiesti 50 anni 50 anni di pena, questa la richiesta del pm per gli imputati del Sud Ribelle. Siamo giunti alle battute finali del processo che si tiene a Cosenza e che vede coinvolte 13 persone, accusate a vario titolo di associazione sovversiva, ai fini di impedire l’esercizio delle funzioni del Governo italiano durante il Global Forum di Napoli e al G8 a Genova nel luglio 2001 e creare una più vasta associazione composta da migliaia di persone volta a sovvertire violentemente l’ordinamento economico costituito nello Stato. Niente male, come impianto. Un processo che fin dalle sue premesse si farà ricordare come tragicamente farsesco, grottesco, una commedia all'italiana, più 'I Mostri', che non 'I Soliti Ignoti'. I momenti in cui non si ride, corrispondono con la lettura delle richieste del pm Fiordalisi, voglioso di prendersi qualche attimo di gloria. Peccato sia oscurato dalla querelle Prodi si, Prodi no. Le pene vanno dai 2 anni e sei mesi ai sei anni. Per tutti gli imputati sono state richieste anche misure di sicurezza, da tradursi in libertà vigilata per periodi che vanno da un anno a tre anni. Le comiche però non mancano nell'iter processuale: è il 2002 quando alcuni piccoli funzionari di polizia si fanno il giro delle procure d'Italia per trovarne una disponibile a mettere sotto processo la rete di attivisti che organizzò il controvertice di Napoli 2001. Incontrano molte porte in questo peregrinare: gli sbattono tutte in faccia tranne una, quella della procura di Cosenza e del pm Fiordalisi il cui imperituro ricordo si lega a quattro inchieste del CSM su di lui e ad inchieste particolari: fu lui a chiudere l'inchiesta sulla Jolly Rosso, nave facente parte del progetto COMERIO, su cui anche Ilaria Alpi stava seguendo la pista. E' il 15 novembre 2002 le case di decine di attivisti di Napoli, Cosenza, Taranto, Vibo Valentia, Diamante e Montefiscone, vengono nottetempo devastate dalle perquisizioni delle forze dell'ordine: il risultato è venti persone arrestate, ad altri cinque furono notificati gli arresti domiciliari, quarantatre persone finirono indagate nel filone di inchiesta, computer, libri, intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche. Ancora una volta ci tocca dire "Nessun rimorso": come per Genova, così per Napoli non ci può essere alcun rimorso in chi ha tentato di opporsi al potere economico mondiale. Per questo, per dimostrare a questi 13 imputati di non essere soli, saremo in piazza a Cosenza il 2 Febbraio. La Storia siamo noi Supportolegale Un colpo alla botte e uno al cerchio 4 anni Paolo, 4 anni Ivano, 3 anni e 6 mesi Antonella. Per non far crollare il castello del fu scaldapoltrone Pisanu addosso all’inquisitore De Angelis, la corte ha deciso di togliere la libertà a 3 compagni, potesse giustificare il teorema su cui lo stato ha investito (in termini monetari) più di quanto faccia per la sanità, le pensioni, i salari. Qualcuno, doveva rendere plausibile tutta questa “efficienza” sbirresca. Chi, meglio di coloro che, nonostante la persecuzione, ha la fierezza di rivendicare la propria identità a prescindere dai perché e i percome, sia stato imprigionato/ a…… E i perché e i percome sono le deboli intuizioni del formidabile funambolo capo della DDA: il p.m. Paolo De Angelis. Durante il dibattimento, è emersa tutta l’inconsistenza delle intercettazioni, sulla base delle cui “mere frasi” si è giocato l’esito del processo. Paolo, Ivano e Antonella sono stati condannati per partecipazione ad associazione sovversiva e per l’attentato alla sede di AN, scindendo quest’ultimo episodio dalle implicazioni del primo. I 3 compagni, hanno comunque scontato metà della pena. Potranno usufruire, laddove fosse consentito, delle pene alternative, quali gli arresti domiciliari. Ma il messaggio di oggi è chiaro e costituisce un precedente giuridico non di poco conto. Si certifica l’esistenza di un’associazione sovversiva (quale?) intorno la quale far ruotare tutte le indagini e le eventuali condanne. Vuoi per partecipazione, costituzione, ecc. Di fronte alla repressione non si arretra di un passo! Risponderemo con la mobilitazione e la lotta alle angherie poliziesche. Comitato permanente contro la repressione- Nuoro 19 Allo stesso modo, oggi, chi lotta per l’autodeterminazione del proprio popolo e per riappropriarsi della propria terra occupata, sfruttata e violentata dagli eserciti invasori, come il popolo palestinese, iracheno e afgano, viene considerato un pericoloso terrorista da eliminare. E questo solo perché, in realtà, mette i bastoni tra le ruote alle mire espansionistiche dei paesi imperialisti, Usa in primis! Il solo terrorismo è quello dello stato! Liberta’ per i compagni! Oggi 27 marzo, inizia il processo per gli arrestati il 12 febbraio 2007 nell’operazione “Tramonto” che vede sul banco degli imputati 17 compagni comunisti e dall’altra parte, ancora una volta, lo Stato, nella sua veste della Giustizia rappresentata dalle “toghe rosse” Ilda Boccassini e Guido Salvini, che hanno condotto tutta l’inchiesta nelle sue diverse fasi: indagini preliminari, arresti e processo. Questo è un processo politico! Sia per la fase in cui sono scattati gli arresti, ad una sola settimana dalla “pericolosa” manifestazione contro la base USA a Vicenza, il 17 febbraio 2007, che ha fatto vacillare per la prima volta l’ex governo Prodi, ma soprattutto perché colpendo questi compagni si è voluta attaccare la lotta che portano avanti e che rappresentano. Hanno incarcerato giovani studenti universitari, militanti dei centri popolari e del movimento antimperialista, giovani operai e delegati sindacali, avanguardie del movimento rivoluzionario e anche semplici conoscenti. Un ruolo fondamentale è stato svolto dagli organi di propaganda di regime che, nel vano tentativo di sradicarli dal loro tessuto sociale e politico, hanno scritto menzogne, hanno gettato fango sulle loro vite e hanno tentato di avvolgere nell’ombra il loro coraggio, l’esempio di determinazione che essi dimostrano anche da dietro le sbarre. Questa manovra non è un caso isolato. In questi ultimi anni, assistiamo ad un salto autoritario da parte dell’apparato repressivo dello stato. Numerose sono le inchieste e i processi attualmente in corso a danno di compagni anarchici, comunisti, antimperialisti e operai, ma ancora più pesanti sono le condanne delle sentenze. Come dimostrano le dure pene inflitte per i fatti di Genova 2001, di Firenze 1999 e al sud Ribelle, questo clima è determinato dalla necessità della borghesia italiana di arginare le numerose proteste che nascono in difesa della salute, del territorio, del diritto alla casa, del posto di lavoro e contro la guerra imperialista. In quest’ottica, chi tenta di raccogliere il malcontento popolare per trasformarlo in lotta autorganizzata, libera dai legacci istituzionali e dare una prospettiva rivoluzionaria come via d’uscita dal buio della crisi economica del sistema capitalista, viene tacciato di terrorismo e rinchiuso in isolamento nelle carceri. Questi sono gli ultimi colpi di coda di una bestia malata che è destinata a soccombere alla crisi che essa stessa genera. Così, di fronte a chi prova ad organizzarsi per strappare il potere dalle mani della borghesia, o a chi impugna le armi per liberare la propria terra da un’occupazioni militare, lo stato difende se stesso e i propri interessi. Qui, nel centro nevralgico dell’imperialismo, lo fa usando la giustizia borghese che è un’espressione del potere politico e quindi dell’esercizio di potere di una classe sull’altra. I tribunali servono per trasferire al loro interno il conflitto di classe, a trasformare la lotta di classe in mero problema giudiziario. Nel caso dell’operazione “Tramonto”, questo è sotto gli occhi di tutti e la PM stessa, continuando a negare l’uso del termine “politico” in aula, al contrario, conferma la natura del processo. Tutto ciò è in armonia con una tendenza generale dei revisionisti che provano a cancellare la memoria storica e il patrimonio di lotta che la classe operaia italiana ha conquistato con anni di dure battaglie, di attivo protagonismo per la difesa dei propri diritti, contro lo sfruttamento padronale e, in alcuni momenti, sapendo coniugare le rivendicazioni economiche a quelle politiche. È per questo che i compagni sono stati tacciati come “infiltrati” nel sindacato! Vogliono arrivare a negare anche la stessa divisione in classi che sta alla base della società capitalista! Tutto ciò in piena complicità del centro destra, come dimostra chiaramente l’attuale campagna elettorale in cui si colloca l’inizio del processo. Ma oggi non esiste la possibilità di riformare il capitalismo e quindi non c’è alcuno spazio a illusioni seminate da chi a parole dice che il problema è il capitalismo, ma che poi nei fatti è convinto di poterlo riformare. È nostro compito stringerci attorno ai rivoluzionari prigionieri, rilanciando e praticando la solidarietà di classe, per difenderne l’identità politica e per fare luce e chiarezza su chi sono e perché sono rinchiusi nelle galere imperialiste. Così come è nostro compito difendere la prospettiva rivoluzionaria che questi compagni ci stanno indicando! marzo 2008 Compagne e compagni per la Costruzione del Soccorso Rosso in Italia 20 [email protected] pagna del nostro segretariato internazionale a Zurigo (perquisizione e accusa). La nostra presenza oggi a Milano è soltanto un tappa nella mobilitazione internazionale per i compagni arrestati a partire dal 12. febbraio 2007. Questa mobilitazione contiene l’appello ad allargarsi e rafforzarsi ancora e faremo tutto per questo. Amore e forza per i compagni e la compagna incarcerati/e! Costruire la solidarietà! Abbattere il capitalismo! Delegazione internazionale per un SRI-RHI Milano, il 27 marzo 2008 Dichiarazione della delegazione internazionale per un SRI-RHI Care compagne, cari compagni, Siamo arrivati dalla Svizzera, dalla Germania, Francia, Turchia e Belgio come delegazione comune delle forze che lavorano alla costruzione di un Soccorso Rosso Internazionale. Da quattro anni, questa costruzione mobilita quindici organizzazioni di sette paesi. Si riuniscono due volte all’anno e conducono campagne comuni sul fronte della solidarietà e della lotta contro la repressione. Sostenere i compagni e la compagna arrestati/e a partire dal 12 febbraio 2007 era una scelta omogenea come causa comune nel processo di costruzione di un SRI. Le organizzazioni diverse che rappresentiamo hanno già organizzato manifestazioni di fronte alle rappresentanze diplomatiche, economiche e culturali italiane. Abbiamo tenuto meetings e conferenze, affissione di manifesti, eseguito occupazioni e altri azioni militanti. L’ampiezza e il successo di questa mobilitazione si spiegano per quattro ragioni: • Primo: la qualità rivoluzionaria dei militanti e della militante. Offrono una resistenza esemplare alla repressione e continuano a mettere al centro delle loro preoccupazioni la causa proletaria. • Poi la qualità della repressione contro di loro: azioni preventive, spionaggio utilizzando tutte le tecniche moderne, ricatto del pentimento, isolamento carcerario. • Poi il prestigio in Europa della storia del movimento rivoluzionario italiano che ha giocato un ruolo da pioniere nella definizione e sperimentazione di nuove strategie di lotta di classe rivoluzionaria. Finalmente perché, nel suo atteggiamento di controrivoluzione preventiva, la repressione non soltanto toccava vari settori militanti in Italia, ma anche mira a colpire una com- Dichiarazione della GIOVENTÙ RIVOLUZIONARIA di Zurigo (RJZ) Care/i compagne/i Siamo la “gioventù rivoluzionaria di Zurigo” (RJZ, Revolutionäre Jugend Zürich), nel corso di un plenum dell’organizzazione del Revolutionärer Aufbau Schweiz. In quanto giovani rivoluzionari, accordiamo grande importanza all’internazionalismo. Comprendere che il capitalismo non ha problemi (o difetti), ma che è il problema (o il difetto), significa comprendere l’importanza della dimensione internazionale della lotta di classe; significa comprendere l’importanza dell’internazionalismo. Internazionalismo, nel proprio paese, vuol dire lottare contro il capitale, contro il razzismo ed il fascismo; per rafforzare la fraternità di lotta tra lavoratori, fra le donne ed i giovani proletari; contro il sistema, in una comune prospettiva di liberazione. Internazionalismo all’esterno, vuol dire lottare contro l’imperialismo per costruire la fraternità di lotta fra le classi operaie ed i popoli, in una comune prospettiva di liberazione. Internazionalismo vuol dire anche, saper imparare dall’esperienza delle lotte di classe degli altri paesi e dal nostro punto di vista, la storia contemporanea del movimento rivoluzionario italiano è ricca di insegnamenti. Tutto ciò va, dunque, ben al di là della semplice manifestazione di simpatia e solidarietà. Si tratta di autentica fraternità di lotta, che dobbiamo costruire insieme, in occasione di mobilitazioni comuni, come quella di oggi; per avanzare insieme, verso la rivoluzione sociale e la liberazione dei popoli. Saluti ai rivoluzionari incarcerati/a! La lotta non si ferma mai! Viva la solidarietà internazionale! RJZ (Gioventù rivoluzionaria di Zurigo) Milano 27.3.08 21 Per l’Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli Arrestati il 12/2/2007 Bologna: udienza preliminare dell’inchiesta contro i Carc Saluti a tutti e tutte, nel momento in cui si apre il processo di Milano, teniamo particolarmente ad esprimere la nostra solidarietà con i/la prigionieri/a che difendete da più di un anno. Teniamo anche a solidarizzare con la vostra attività. Attraverso le informazioni che ci arrivano e le lettere degli prigionieri, percepiamo l’importanza del vostro lavoro per mantenere il legame con i detenuti, e per migliorare le condizioni di detenzione. L’attacco che ha colpito militanti determinati, mirato anche a colpire i movimenti di lotta e di solidarietà in Italia, è duro. Il compito oggi è immenso e, dal nostro lato, ci dispiace che le nostre forze deboli permettano solo un lavoro di contro-informazione e di traduzione, una mobilitazione troppo ristretta. Non possiamo partecipare con voi all’apertura del processo, saremo a manifestare davanti al consolato d’Italia a Lille (Francia) questo 27 marzo. Ricevete tutti i nostri incoraggiamenti nella vostra attività di solidarietà e nel vostro sostegno ai comunisti prigionieri. Libertà per tutti/e i/le prigionieri/e rivoluzionari/e in Italia e nel mondo ! 26/03/2008 Il 13 maggio 2008 presso il Tribunale di Bologna inizia l’udienza preliminare per l’inchiesta contro i Carc. Saranno sul banco degli imputati molti dirigenti del Partito dei CARC, tra cui il segretario nazionale, dirigenti dell’ASP e del (n)PCI o presunti tali: l’accusa per tutti è “associazione sovversiva con finalità di terrorismo”. L’accusatore è Paolo Giovagnoli tristemente noto per il suo zelante impegno a confezionare inchieste contro i compagni, ma anche per i 5 arresti per “terrorismo” del 2002 a Bologna. Vennero allora incarcerati 4 operai marocchini e un italiano perché filmavano la basilica, incolpati per questo di voler fare degli attentati. Furono in breve rilasciati ma, i mass media, dopo aver riempito le prime pagine con l’allarme terrorismo, quasi non ne diedero notizia. Questi arresti si inserivano allora nel pesante clima costruito per sostenere gli interventi di guerra. Un giudice, quindi, a pieno titolo militante della reazione, maniacale contro i comunisti e gli stranieri. L’udienza che inizia a Bologna contro i Carc fa parte delle numerose inchieste avviate negli ultimi anni e dei numerosi processi che si sono celebrati e si stanno celebrando nel nostro paese con l’uso dei reati associativi contro comunisti, anarchici e antimperialisti. E’ un tentativo di mettere al bando l’idea comunista e fa parte di quello più generale di equiparare terrorismo a comunismo, a rivoluzione, a antimperialismo. La sostituzione dei termini mira a rendere questi ultimi concetti criminali e sanzionare penalmente chi li fa propri. Opporsi a questo tentativo è un terreno di lotta per tutto il movimento di classe. Comitato Libérez-Les, Nord Francia [email protected] (www.liberez-les.info) Comitato Solidarité / Liberté, Bruxelles (www.solidarite-liberte.info ) [email protected] 22 CONTROINFORMAZIONE E SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE Pubblichiamo alcune note sul 129a e 129b, articoli del codice penale tedesco utilizzati alla pari dei reati associativi in Italia. Ci sembrano utili per capire come nell’Europa imperialista le misure repressive siano le stesse anche se sotto diverso nome. Le note sono tratte da “Solidarität mit Oliver, Florian, Axel, Andrej und allen Betroffenen!” (“einstellung.so36.net/ it - 15k”) Germania: 129a e 129b, i molti usi della legislazione anti-terrorismo La legge anti-terrorismo usata in questo caso (si tratta degli arresti di compagni tedeschi avvenuti il 31 luglio 2007 con l'accusa di aver tentato di appiccare il fuoco a veicoli delle forze armate tedesche) è l'articolo 129a del codice penale tedesco, introdotto dal Parlamento nell'agosto 1976 per affrontare il problema della RAF. L'articolo criminalizza la partecipazione, la promozione e l'appoggio a organizzazioni terroristiche, più che gli atti criminali in sé, rendendo quindi fondamentale la costruzione di una organizzazione terroristica come prerequisito per l'uso di questo reato da parte di una pubblica accusa. Dato che si tratta di un "reato associativo", un individuo può essere perseguito e punito per tutti i reati commessi dall'organizzazione della quale è parte, anche se non viene provato che sia coinvolto direttamente in nessuno di essi. Inizialmente per definire terroristica una organizzazione era necessario che essa commettesse o preparasse reati come omicidi, rapimenti o attentati dinamitardi, ma questa lista con l'andare del tempo è stata allungata parecchio. Fino al 2003 la definizione di "terrorismo" era completamente assente dai testi di legge. L'articolo 129a è stato usato tradizionalmente per criminalizzare i movimenti di sinistra. Nel 1870 l'allora Impero feudale usò l'articolo 128 (divieto di organizzazioni clandestine) e l'articolo 129 (divieto di organizzazioni considerate "nemiche dello Stato") per criminalizzare il Partito Social Democratico. Nei primi del Novecento simili misure furono prese contro comunisti e socialisti, criminalizzando la loro promozione mediante volantini come "preparativi di tradimento". Dopo l'era fascista, il Partito Comunista fu vietato grazie a una nuova legge penale, seguita dall'introduzione dell'articolo 129a nel 1976. Il nucleo fondamentale dell'articolo è il suo stato di emergenza che garantisce la possibilità di sospensione dei diritti civili di base protetti sotto la normale legislazione penale e procedurale. La detenzione è un elemento centrale dell'articolo, dato che i sospetti sono tenuti in prigione per mesi o addirittura anni in attesa di giudizio, senza alcuna indicazione di che cosa siano in pericolo di fare. Padri di famiglia con un impiego stabile e perfettamente integrati nella struttura sociale, per esempio, possono essere tenuti in prigione sulla base di prove inesistenti, sicuri dell'accondiscendenza normalmente accordata dai giudici alle pubbliche accuse. I diritti di visita sono praticamente inesistenti: i sospetti sono tenuti in isolamento per 23 ore al giorno, gli è permesso ricevere solo una visita alla settimana, e anche gli avvocati devono parlare ai loro assistiti attraverso un vetro antiproiettile. Spesso i sospetti sono tenuti in prigioni lontane dalle proprie case, rendendo quasi impossibile per amici e parenti le visite. Il diritto alla difesa viene pesantemente limitato, dato che gli avvocati non hanno accesso agli atti di indagine, rendendo la preparazione della difesa dei loro assistiti parecchio complessa, come anche il fatto che la corrispondenza dell'arrestato è totalmente sotto il controllo del giudice. Nel 1987 la lista dei reati che potevano essere commessi con finalità terroristiche è stata estesa per includere: interruzione di tratte ferroviarie, navali o aeree al fine di interrompere il trasporto di armi; blocchi stradali durante uno sciopero; "interruzione di pubblico servizio" (es: segare un palo della luce); distruzione di edifici pubblici o di veicoli della polizia o dell'esercito. Nel 2002 è stato introdotto l'articolo 129b che estende le misure anti-terrorismo a organizzazioni che sono attive solo al di fuori della Germania, ma che sono appoggiate o sostenute da residenti sul suolo tedesco. L'articolo è pensato sostanzialmente per agire contro le organizzazioni islamiche, ma può essere applicato a tutti i movimenti di solidarietà che coinvolgano organizzazioni denominate come terroristiche. Nel 2003 la definizione europea di terrorismo è stata introdotta nell'ordinamento tedesco: perché sia applicabile i reati commessi per loro natura devono: poter seriamente danneggiare un paese o una organizzazione internazionale se commessi con il fine di intimidire seriamente un popolo, o di indebitamente condizionare un Governo o una organizzazione internazionale nel fare o non fare un determinato atto, o seriamente destabilizzare o distruggere le strutture di base politiche, sociali, costituzionali o economiche di un paese o di una organizzazione internazionale Nel 1989 è stata introdotta la Crown Witness Regulation che offre la possibilità agli accusati di patteggiare uno sconto di pena con la delazione incriminando altre persone, in pratica introducendo il pentitismo anche in Germania come in Irlanda del Nord. E' evidente che l'opposizione politica continua a essere criminalizzata in Germania grazie all'uso di questa legislazione: negli ultimi 30 anni, tra 5.500 e 6.000 indagini preventive sono state realizzate dalla polizia sulla base dell'articolo 129a, anche contro anonimi. Circa 20.000 persone sono state affette dalle procedure dell'articolo 129a, come sospetti o come parenti e amici di sospetti. Nonostante i dati esatti non siano registrati e possano solo essere dedotti da risposte a varie interrogazioni parlamentari, vari avvocati stimano che tra il 1980 e il 1989 ci siano state oltre 3.000 indagini, e da allora almeno 200 indagini all'anno. La maggior parte di queste operazioni riguarda il sostegno e la promozione di una organizzazione, non la partecipazione diretta. Secondo i dati ufficiali, in media solo il 5% delle indagini avviate grazie all'articolo 129a portano a una incriminazione, anche se quest'anno la cifra è ancora più bassa, attestandosi intorno al 3%. Lo stesso indice nelle normali indagini penali è del 50%. In altre parole, nel 95% dei casi, i processi vengono archiviati per insufficienza di prove. L'esperienza accumulata in 30 anni di uso dell'articolo 129a ha mostrato che le perquisizioni casalinghe portano al sequestro a lungo termine di file, computer, hard disk e rubriche; le intercettazioni telefoniche 23 spiano le relazioni e la vita di intere scene sociali, realizzando profili e mappature di tutti i dintorni dei movimenti; infine gli attivisti sono stati costretti a spendere soldi e anni della loro vita in lavoro gratuito e volontario per fare fronte a questi disegni repressivi e alle necessità di difesa legale. Rolf Gössner, presidente della International Human Rights League, ha riassunto così l'uso dell'articolo 129a: "Per le autorità inquirenti non è determinante se l'indagine effettivamente arriva a giudizio e quindi si trasforma in una condanna. Per loro l'indagine stessa è molto più significativa. Con il complesso di poteri speciali innescati dall'uso dell'articolo 129a, hanno a loro disposizione strumenti pratici per accedere a determinate scene che altrimenti sarebbero per loro inaccessibili, per intercettare le loro strutture comunicative oltre il livello individuale, per raccogliere dati e formulare sociogrammi di resistenza che non verranno usati solo per ragioni repressive, ma principalmente per fini preventivi e operativi. Le conseguenze di questa strategia di criminalizzazione sono l'intimidazione del movimento, la desolidarizzazione e la deterrenza". E' quindi corretto dire che più che uno strumento per apprendere i criminali, la legge anti-terrorismo tedesca è usata non solo come elemento di spionaggio, ma come strumento di danneggiamento e criminalizzazione dei movimenti di opposizione. Come si manipola una notizia Il quotidiano “El Pais” del 5 dicembre, attraverso il suo cronista giudiziario José Yoldi, riferisce circa il processo contro Isabel Llaquet e Manuel Pérez Martínez in modo tale che potrebbe essere incluso nell’antologia delle sciocchezze. (…) Lo stesso titolo della cronaca la dice tutta: “La moglie di Publio Cordón affronta l’avvocato dei grapi”. Ma l’avvocato “dei grapi” era solo il difensore di due militanti del PCE(r). Quindi già dall’inizio le cose non si mettono bene per l’intossicazione mediatica. Inoltre, il modo di riferirsi ai GRAPO come “i grapi”, con le minuscole, fa parte del manuale di disinformazione e della guerra psicologica del Ministero degli Interni. (…) Come riferisce la cronaca, la moglie del finanziere sequestrato era presente come testimone, cioè teoricamente imparziale, mentre in realtà era parte dell’accusa, come lei stessa ha riconosciuto. Quindi, testimone e, contemporaneamente, accusa, come del resto tutti gli altri familiari di Crodón. Senza la minima imparzialità, la moglie dell’imprenditore ha dichiarato che i militanti dei GRAPO erano dei bugiardi quando affermavano di aver rilasciato il sequestrato. Ma quando le è stato richiesto di spiegare su cosa si fondava la sua certezza che il marito non fosse stato rilasciato, non è stata in grado di fornire spiegazione alcuna, cosa logica visto che l’unica certezza che esiste è che l’uomo, una volta liberato, non si è più fatto vivo. Ora, chi afferma di possedere qualcosa deve provarlo, non il contrario. E in un processo, chi deve provare non è colui che si difende bensì colui che accusa. Ma questo è vero solo in teoria: qui i tribunali fascisti e i loro pennivendoli dicono il contrario: sono gli accusati che devono dimostrare la propria innocenza. Ci sono inoltre due cose da tenere in conto: a) a suo tempo, è stata emessa una sentenza che non affermava che il sequestrato non era stato liberato bensì che non era più stato visto: questa frase è stata ripetuta letteralmente dai difensori durante il processo; b) i difensori hanno inoltre fatto riferimento all’articolo 166 del Codice Penale che testualmente afferma che, dal momento in cui il sequestrato viene liberato, il sequestratore non è più responsabile di dove si rechi la persona a suo tempo sequestrata. La cosa è chiara dal punto di vista giudiziario, dove la liberazione o meno del sequestrato è irrilevante e quindi l’avvocato non si è soffermato più del necessario sull’argomento. Conoscere questa circostanza avrà un interesse politico o sociale per sapere chi mente e chi ha detto la verità, nient’altro. Il tempo -ancora una volta- metterà le cose in chiaro. Ma è intanto evidente che un testimone non è in grado di affermare ciò che non sa e non può sostituire la mancata conoscenza dei fatti con speculazioni o parole come “certamente”, “è possibile”, “sembra logico”, ecc. C’è poi un altro particolare importante per determinare chi mente e chi dice la verità. La famiglia del finanziere afferma infatti che sia stata una delle figlie ad andare a pagare il riscatto ai militanti dei GRAPO (…). Questi ultimi invece, sostengono essere stati pagati da due uomini e che in quel momento non c’era nessuna donna presente. Quello che è chiaro, come evidenziato dall’avvocato, è che la figlia del finanziere in quel momento era in gravidanza inoltrata e quindi non era verosimile che fosse presente ad un appuntamento che imponeva un viaggio in macchina da Madrid a Parigi. Evidentemente qualcuno sta mentendo. Inoltre dalla sentenza precedente risulta che il riscatto è stato pagato dai “familiari”, ma non si chiarisce se erano uomini o donne, ovvero non è stato messo in evidenza il sesso delle persone. Di conseguenza, le insinuazioni circa questo falso non sono attribuibili all’avvocato, come afferma El País, ma fanno parte della sentenza del tribunale. L’unica persona che ha letto quella sentenza emessa in precedenza è stato l’avvocato della difesa perché nella stessa veniva evidenziata un’altra questione decisiva: il sequestro del finanziere è stato effettuato dai GRAPO e (in quella sentenza) il nostro partito non veniva assolutamente menzionato. Come ha detto l’avvocato, nei dodici faldoni riguardanti la sentenza in nessun momento si cita il Partito. El País non solo mente, ma inoltre occulta i fatti: questi falsi, chiaramente identificati dall’avvocato difensore sono stati smantellati ad uno ad uno e sono stati ampiamente riconosciuti persino da uno dei poliziotti che hanno assistito al processo. Nel processo c’é stata anche una parte eminentemente politica: si é infatti evidenziato che si stava applicando ai compagni arrestati nel 2000 la “messa al bando” del PCE(r), avvenuta nel 2003. Non è la prima volta che si è cercato di addebitare a Manuel Pérez Martínez azioni armate: nel 1977 é stato accusato di omicidio; la montatura é poi caduta da sola e sono riusciti a condannarlo a “solo” 7 anni di galera per “associazione illecita”. Altro fatto che dobbiamo evidenziare è che le pene si fanno sempre più pesanti: nel 1970 era stato condannato a un anno, nel 1977 a 7 anni e ora ne chiedono 27, sempre per lo stesso “delitto”. Questa è la “democrazia” 24 spagnola”: gli anni passano e si va sempre peggiorando. Durante questo processo è inoltre risultato chiaro che la messa al bando del PCE(r) –partito che non è mai stato “legale” per cui è evidente che non poteva essere bandito!!!- è, di fatto, una sorta di vendetta per il fallimento delle trattative tra prigionieri e governo. La sensazione generale che tutti abbiamo avuto, è che il Tribunale dovrà fare i salti mortali per condannarli. NOTA: Effettivamente il Tribunale non é riuscito a condannare nessuno dei due accusati. Isabel Llaquet è stata rimessa in libertà, mentre Manuel Pérez Martínez, pur assolto per questo caso, resta in carcere a causa di altre accuse (alcune le hanno già dovute ritirare per la loro evidente falsità; altre ancora sono state inventate per avere una scusa per tenerlo in galera). NOTA 2: Questa “cronaca” è stata fatta frettolosamente ed è stata inserita in internet senza essere riletta. Ce ne scusiamo e, traducendo, si è cercato di rendere il testo il più chiaro possibile al lettore. Informazione elaborata dal PCE(r) Conclusione del processo di Thierry Delforge Questo mercoledì 12 dicembre 2007 il processo del militante del Soccorso Rosso Thierry Delforge ha visto la sua conclusione alla 51° camera penale del palazzo di giustizia di Bruxelles. Un’abbondante sessantina di militanti avevano risposto all’appello alla mobilitazione, sugli scalini del palazzo ed all’udienza. Contrariamente alla prima udienza, i simpatizzanti di Thierry si sono visti interdire l’accesso alla sala. Il servizio di sicurezza al palazzo di giustizia non ha lasciato entrare il pubblico nella sala dell’udienza oltre la quota di numeri di posti a sedere disponibili. Quindici simpatizzanti hanno potuto entrare, qualche decina degli altri si sono affollati fuori, la qual cosa ha generato una seria tensione con i poliziotti (un compagno è stato isolato per un’identificazione che si è rivelata una pura manovra di intimidazione). Per terminare al più presto con questo caso fastidioso, il giudice ha cominciato dalla sentenza relativa a Thierry. Per l’accusa A (la scritta sul muro in solidarietà con gli scaricatori incarcerati), c’è stata “sospensione del dispositivo”. Ciò significa che il processo non avrà alcuna conseguenza penale per Thierry, salvo in caso di recidiva, nel qual caso questa accusa sarà unita alla nuova a saranno giudicate assieme. Per l’accusa B (porto e trasporto di armi – ossia i suoi at- trezzi da giardinaggio) Thierry è stato assolto. La città di Bruxelles reclamava 250€ da Thierry per la pulizia del suo muro. Ne riceverà cento, poiché il giudice ha stimato che il saldo dovrà essere regolato anche dal graffittaro che si è attivato sul medesimo muro, qualche tempo prima. Questo graffittaro (che si suppone sia attivamente ricercato), dovrà anche supportare la metà delle spese della giustizia. Le somme riunite attraverso la campagna di solidarietà organizzata dal Soccorso Rosso con Thierry supera largamente ciò che questo processo costerà a Thierry. All’uscita dell’udienza, Thierry ha dichiarato che quel saldo sarà utilizzato per la solidarietà, a cominciare dai quattro militanti e simpatizzanti del DHKC sotto processo in Belgio. Per ricordare, il dispositivo della sentenza di questo processo di estrema importanza avrà luogo alla corte d’appello di Anversa giovedì 20 dicembre 2007. Mobilitiamoci! Bruxelles, 12 dicembre 2007 www.secoursrouge.org 303 prigionieri evadono da un carcere in India Almeno 300 prigionieri, tra i quali 110 militanti maoisti, sono evasi da un carcere dopo aver sopraffatto le guardie nella regione centrale indiana del Chatisgarh, secondo notizie di agenzia. La vittoria avvenne domenica mentre i prigionieri ricevevano il pasto, in un momento in cui un dirigente maoista approfittò per strappare l'arma ad una guardia del carcere. Il compagno sparò e ferì altre 3 guardie, secondo la versione dei secondini della galera, situata nel distretto caldo di Dantewada, una delle zone dove divampa la guerra popolare maoista. Secondo il governo in questo solo anno sarebbero morte in questa zona per la guerra popolare circa 800 persone. L'evasione e' stata rivendicata in un comunicato del Pc maoista dell'India, che afferma che i prigionieri liberati sono 303, che questa e' una grande vittoria della rivoluzione in India e nel mondo. La commissione militare ed i comitati speciali delle aree di Bihar-Jharkhand–Chatisgarh del nord considerano che questa audace azione sarà un motivo di mobilitazione per le masse oppresse levando alta la bandiera rossa ad un nuovo livello di prestigio tra le masse, e di paura tra i reazionari. 16 dicembre 2007 25 Azione preventiva della polizia contro un’iniziativa del Soccorso Rosso per Georges Ibrahim Abdallah Questo martedì 18 dicembre, il Soccorso Rosso/APAPC aveva programmato di investire il palazzo di giustizia di Lille con dei militanti dell’Unione dei Giovani Progressisti Arabi di Parigi. Si trattava di rivendicare la liberazione di Georges Ibrahim Abdallah, militante comunista libanese detenuto in Francia da 24 anni a causa di un comportamento da lacchè dei magistrati francesi verso il governo americano. Le autorità US erano parte civile al processo di Georges Ibrahim Abdallah e fanno pressione per impedire del tutto la liberazione condizionale. Alle 8.30, due vetture in borghese della polizia belga hanno bloccato la macchina del nostro compagno “Ramon”, che doveva portare il gruppo di partecipanti belgi a Lille. È stato condotto all’interno di un’auto in borghese mentre un poliziotto si metteva al volante della sua vettura. I poliziotti hanno sequestrato il testo dell’operazione e il telefono privato del compagno, che è stato subito portato in rue du Noyer 211, dove si trova il servizio di identificazione giudiziaria ed il servizio specializzato nel trattamento delle registrazioni (filtraggi, identificazioni di voci ecc.). Senza un interrogatorio, senza una domanda, i poliziotti hanno bloccato il nostro compagno in questi locali. Stavano solo attenti alle chiamate telefoniche che gli venivano fatte. È stato in seguito trasferito alla Torre della polizia (exTorre botanica), in piazza Victoria Regina. Alle 17.30, dopo nove ore di detenzione, il nostro compagno ha riavuto la sua libertà, il suo telefono e le chiavi della macchina, senza altra spiegazione dal fatto che la domanda provenisse “da Parigi”. Ben inteso, questo intervento ha impedito che l’azione programmata a Lille fosse gestita bene, la qual cosa era molto probabilmente lo scopo della manovra. so e dell’UJPA perturbassero il tran-tran della giustizia borghese nel momento in cui questa si radicalizza contro i movimenti popolari e sociali. Le autorità francesi volevano evitare del tutto il clamore attorno alla situazione di Georges Ibrahim Abdallah. Ci hanno fatto l’onore di considerare che siamo un disturbo per i loro piccoli traffici. Questo è un potente incoraggiamento per continuare ed amplificare le nostre attività, e per concepirle in modo tale che un siffatto intervento preventivo della polizia non possa bloccarle in futuro. La solidarietà è un’arma! Libertà per Georges Ibrahim Abdallah! Secours Rouge /APAPC Bruxelles, martedì 18 dicembre 2007 http:/ /www.secoursrouge.org Arrrestati in Spagna cinque membri del Soccorso Rosso Internazionale Questa mattina all´alba la Guardia Civile, con un´operazione diretta dalla Sala 6 della Audiencia Nacional di Madrid, ha arrestato cinque compagni appartenenti al Soccorso Rosso Internazionale. Due in Galizia: Luis Fernandez e Carlos Cela; altri due nel Paese Basco: Erlantz Cantabrana e Fernando Rodriguez e uno a Madrid, Juan Manuel Olarieta, tutti membri del SRI e l´ultimo, inoltre, noto avvocato di molti prigionieri comunisti e antifascisti. La stampa borghese, come El País e El Mundo, mettono in relazione gli arresti di oggi con quelli avvenuti nel giugno 2007 a Barcellona, che hanno visto l´arresto di membri del Qualche riflessione: 1° E’ evidente che all’origine di questa operazione preventiva della polizia ci sia stata una mancanza di discrezione. Il fatto che la domanda di intervento sia venuta dalla Francia (ed è più il genere della polizia francese che quello della sezione politica della polizia belga) non implica che le fuoriuscite siano state fatte in Francia. Possono aver avuto luogo qui, essere state comunicate dalla polizia belga alla polizia francese, ed in seguito aver provocato la decisione politica che costituisce la domanda di intervento. 2° Si può supporre che la polizia non avesse l’informazione completa, senza la quale la polizia francese avrebbe potuto essa stessa intervenire preventivamente alla frontiera o a Lille. È allo stesso modo probabile che le autorità francesi avessero sovrastimato l’ampiezza dell’azione progettata. Ancora una volta bisogna ricavarne una lezione di prudenza: le conversazioni “per sottintesi” possono non completamente informare la polizia, ma bastano a metterle la pulce nell’orecchio. E poi più informazioni parziali possono costituire un’informazione sufficientemente completa. 3° Questo intervento preventivo mostra che le autorità francesi volevano evitare che i militanti del Soccorso Ros- 26 PCE(r) e di guerriglieri dei GRAPO. Il fatto che tutti coloro che sono stati arrestati questa mattina facciano parte del SRI ci fa supporre che si voglia tarpare le ali al movimento di solidarietà con le prigioniere e i prigionieri politici. Cosí come mettono nella illegalità i partiti, chiudono i mezzi di comunicazione che in qualche modo contestano il sistema, criminalizzano le lotte popolari, ora perseguitano la solidarietà, la denuncia delle torture e il terrorismo di Stato che dal SRI stiamo denunciando da anni, alla luce del sole. E´ decisamente strano il fatto che tutti gli arrestati di oggi negli ultimi mesi siano stati oggetto di minacce dirette o indirette (lettere anonime, scritte intimidatorie sui muri, criminalizzazione attraverso i mezzi di disinformazione). In questo momento, quando la repressione colpisce la nostra organizzazione, dobbiamo alzare la nostra voce in modo chiaro e inequivocabile, denunciando senza indugio tutte queste turpi operazioni che hanno il chiaro obiettivo di far tacere le voci che sono solidali con la resistenza, che raccontano ció che accade nelle carceri dello Stato spagnolo. Senza timore, dobbiamo continuare la nostra opera di denuncia di questo preteso "stato di diritto" e contro il terrorismo di stato. Esigiamo la libertà immediata per tutti i nostri compagni arrestati di cui in questo momento non sappiamo nulla. Contestualmente, denunciamo la Guerdia Civile, l’Audiencia Nacional e il Ministero degli Interni che hanno lanciato questa campagna contro la nostra organizzazione. Chiediamo la solidarietà di tutti/e i compagni/e dei movimenti sociali e popolari. LIBERTA´ PER TUTTI I PRIGIONIERI POLITICI! Comitati per un SRI Comunicato arrivato il 23/1/2008 SRI informa: FINA GARCÍA ARANBURU E’ IN LIBERTA’!!! Questa è una vittoria del movimento popolare, del sostegno della solidarietà e del movimento antifascista! Cari compagni e care compagne, So che vi sto scrivendo in ritardo, cosi come sono cosciente che state desiderando ricevere mie notizie direttamente da me, ma da quando sono uscita di galera, praticamente non ho avuto il tempo per fermarmi con un po’ di tranquillità. Intanto, mi sono dovuta preoccupare di questioni burocratiche (cassa mutua, disoccupazione, ecc.) e di visite mediche. Ancora un volta, mi hanno trasportata d’urgenza in ospedale, dove mi hanno tenuta in osservazione per un giorno e una notte. Come potete notare, la mia situazione non è molto cambiata anche se, è giusto dirlo, nei pochi giorni in cui mi trovo fuori, ho già recuperato una parte del peso che avevo perso negli ultimi due mesi e il mio organismo sta cominciando a reagire molto bene al cibo. E, come sapete, da queste parti (*) si mangia che é una meraviglia, persino per chi deve seguire una dieta fer- rea, senza sale e senza grassi come la mia. Questo, il paesaggio, l’abbraccio delle persone conosciute, le telefonate dei compagni prigionieri, di amici e di persone solidali non mi sono davvero mancati. E se in carcere ho sentito il calore di tutta la vostra solidarietà, ora lo sento ancor più vicino, ancor più caldo e diretto. Mi sento orgogliosa. Orgogliosa per ciascuno di voi che durante tutto il tempo del mio sequestro illegale, siete stati all’erta, esigendo la mia libertà. Orgogliosa perché questa campagna si è sviluppata in un momento particolarmente difficile e di forte repressione –e non solo in Spagna e nei Paesi Baschi-; nonostante queste condizioni non vi siete fermati: avete diffuso notizie, bollettini, manifesti, avete fatto riunioni e manifestazioni, spedito cartoline in carcere e all’Audiencia Nacional esigendo, tra l’altro, la mia libertà e quella di tutti i prigionieri politici. Già stando in carcere ero cosciente dell’ampiezza di questa campagna, dell’eco che ha avuto in tutto lo Stato spagnolo e a livello internazionale, ma uscendo ho potuto constatare QUANTO vi siete dati da fare: IMPRESSIONANTE!!! non trovo un’altra parola per descrivere il significato politico della campagna di solidarietà che avete portato avanti. Come già ho detto uscendo dal carcere, questa è una vittoria. Ed è una vittoria che appartiene a tutti voi. Certo, una piccola vittoria, ma questo è il cammino che dobbiamo continuare, apportando, ciascuno, il nostro granello di sabbia per raggiungere gli obiettivi democratici che ci siamo dati, tra cui la deroga della Legge sui Partiti e la libertà per i prigionieri politici. Per ora, non mi resta che farvi giungere il mio grazie più sentito e incoraggiarvi a continuare. Solo cosí riusciremo a bloccare il regime e a conquistare le rivendicazioni democratiche per le quali stiamo lottando. Un forte abbraccio a ciascuno e ciascuna di voi, con tutto il mio amore e la mia forza. Vigo, 7 febbraio 2008 Fina *Fina si trova a Vigo, in Galizia e i compagni che la ospitano sono famosi non solo per i loro anni di carcere, ma anche per… come cucinano!!! 27 Tratto da Indymedia Svizzera Azione contro l’ufficio del turismo italiano a Zurigo. Questa notte abbiamo attaccato con un razzo l’agenzia statale italiana del turismo nella Uraniastrasse 32 a Zurigo. Il 12/2/2008 i prigionieri comunisti e militanti del PC p-m in Italia hanno iniziato lo sciopero della fame: contro l’isolamento, nel quale un compagno si trova dal suo arresto il 12.12.2007. Il 12.2.07 l’apparato repressivo italiano colpiva, sostenuto dai “colleghi” svizzeri (Zurigo) e con il massiccio impiego di mezzi di polizia e militari, delle compagne e dei compagni comuniste/i e attive/i. Volevano colpire il partito comunista politico-militare in fase di costruzione in Italia. La risposta è una forte ondata di solidarietà internazionale, alla quale vogliamo partecipare con questa azione. 16.02.2008 Per Georges, per Joelle, per Nathalie, per Jean Marc, per Regis, per Georges I. per la libertà: 23 febbraio ore 15, prigione di Ensisheim presidio in sostegno a Georges Cipriani. Nathalie Menigon e Jean-Marc Rouillan, in prigione dal 1987, scarcerabili dal 2005, sono, da agosto e dicembre 2007, in semi libertà condizionale, certo restrittiva, ma un primo passo verso la libertà completa. Regis Schleicher, in prigione dal 1984 ha deposto la sua domanda di libertà condizionale da qualche giorno. Georges Ibrahim Abdallah, in prigione dal 1984, scarcerabile dal 1999, ha ancora dovuto affrontare la giustizia che non ha deciso ancora dopo 7 domande di liberazione. Conoscerà la “sua sorte” dopo una nuova procedura nell’aprile 2008. Joelle Aubron è morta nel 2006, conseguenza di anni di torture, di isolamento e di cattive condizioni di salute. E Georges Cipriani, incarcerato dal 1987, scarcerabile dal 2005, che ha posto nel dicembre 2007 la sua domanda di liberazione. Georges ha oggi 58 anni, deve uscire subito. Sicuramente, il comitato “Liberez-les!” sostiene tutti i compagni, i combattenti, i resistenti, i prigionieri della lotta anti-capitalista, anti-imperialista, anti-colonialista, antifascista qui e ovunque: Baschi, Palestinesi, Spagnoli, Italiani, Corsi, Tedeschi, Irlandesi, Curdi, marocchini, Turchi, i 5 cubani… con un pensiero particolare per Mumia Abu Jamal, Maurizio Ferrari, Ahmad Sa’adat e Leonard Peltier… e i sans-papiers. La solidarietà è un’arma! Sosteniamo la solidarietà e lo spostamento! Stato e repressione contro i militanti politici italiani Il 12 febbraio 2007 la polizia italiana arresta dei militanti impegnati nella costruzione di un Partito Comunista Politico-militare, con il pretesto che stessero per intraprendere delle azioni politico-militari. Sono dunque degli arresti preventivi e dispotici che lo stato italiano ha ordinato per non confrontarsi con una realtà: quella della lotta di classe. La democrazia “formale” borghese può tollerare delle tensioni e delle crisi sociali forti, ma sicuramente non il fatto che degli oppressi e dei proletari potrebbero prendere le armi. Anche se non è questo il caso degli “Arrestati del 12 febbraio”, uno spettro è stato risvegliato per i dominanti, ma una speranza per gli oppressi. L’isolamento carcerario è un’arma della lotta “senza fine” nel suo aspetto di guerra specificamente interiore, è un’arma vile di distruzione di massa. Perché se gli stati, tra cui l’Italia, utilizzano certe pratiche di isolamento in modo mirato contro i militanti rivoluzionari o i ribelli è solo per mostrare alle masse che dotarsi di strumenti necessari al processo della loro liberazione dallo sfruttamento, comporta dei rischi. Quindi, lo spiegamento dell’armamento repressivo “mondializzato” (prigioni segrete, isolamento, deportazione, torture) richiama da parte nostra a degli sforzi massimi per la costruzione di un fronte per denunciare forte e chiaro queste pratiche feudali. In Italia, l’isolamento è l’applicazione dell’articolo 41 bis del codice penale. Questo articolo 41 Bis è come nel film “Papillon”: nessun contatto con l’esterno, nessuna persona con cui parlare, una cella di 9 m2 senza finestre, un libro alla settimana, perdita della nozione del tempo con un’illuminazione sfalsata e modulata (da molto forte a molto debole), ispezione (inutile) in qualsiasi momento, una o due docce al mese, nessuna biancheria di ricambio, la passeggiata si fa in un corso triangolare, il letto è in calcestruzzo, il tavolo è fisso e la sedia, anch’essa fissa, è sfalsata per mettere il prigioniero in una posizione scomoda (per leggere o mangiare)… Il 41 bis è stato applicato in maniera tutt’altro che arbitraria contro due compagni, Andrea Scantamburlo e Alfredo Davanzo, militanti del Pc-p-m. è solo da qualche settimana, dopo uno sciopero della fame, che sono in celle “normali”. Il regime imposto agli altri compagni è l’”Elevato indice di vigilanza” (EIV) che comporta un gran numero di restrizioni e di censure, ma anche l’assegnazione alla residenza… sì coloro che danno lezioni di democrazia e di diritto dell’uomo agiscono essi stessi come i torturatori di Guantanamo, di Abu Grahib o di Ankara… Ma la mobilitazione dei Parenti e Amici, ritrasmessa 28 internazionalmente dai comitati e collettivi di sostegno ai prigionieri politici, ha permesso di rompere il silenzio e di far uscire la verità dalla figura dello stato italiano. L’apertura di questo processo senza prove, senza ragioni oltre alla vendetta preventiva, si terrà a partire dal 27 marzo 2008, davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Milano. La mobilitazione per portare la nostra solidarietà ai compagni italiani del processo si sviluppa in Italia e in Europa: si deve esprimere con forza e determinazione. (…) Gli avvocati dei compagni hanno messo come principali l’avvicinamento dei compagni e l’uscita dal’isolamento perchè le condizioni della difesa possano rispettare il diritto ad essere difesi… è ciò che hanno ottenuto parzialmente fino ad ora ! Il 27 marzo a Lille numerosi davanti al consolato italiano Comitati « Libérez-les ! » Alliance Rouge et Noire CSB Lille Comitato Solidarité / Liberté http://www.liberez-les.info/ http://www.solidarite-liberte.info/ Contro l’ergastolo, per la liberazione di Mumia, proseguire nella mobilitazione internazionale! Il compagno afroamericano Mumia Abu Jamal, militante delle Black Panter e conosciuto come “la voce dei senza voce” per la sua attività di giornalismo militante antirazzista e antimperialista, fu condannato da un tribunale americano alla pena capitale nel 1982 con l’accusa di avere ammazzato un poliziotto. Mumia, da allora, ha lottato per 26 anni nel braccio della morte di un carcere della Pennsylvania, contro un vero e proprio processofarsa. Al suo fianco si è stretta una potente solidarietà internazionale che è riuscita a fermare la mano del boia per diverse volte, fino all’annullamento della pena capitale, a opera della corte federale d'appello di Philadelphia il 27 marzo 2008. Mumia, però, rimane condannato all’ergastolo e la mobilitazione deve continuare poderosa fino alla sua liberazione. Giornata Internazionale del Prigioniero Politico a Parigi il 17 aprile Giornata internazionale di sostegno ai prigionieri politici. Siamo nel 2007, e dei prigionieri politici continuano ad esistere nel mondo. Palestina, Paesi Baschi, Colombia, la Fortezza Europa, Stati Uniti, i prigionieri rinchiusi illegalmente a Guantánamo-Cuba, parte di Cuba non restituita, etc. I prigionieri politici continuano dalle loro prigioni il cammino della lotta e dell´impegno, cammino che noi abbiamo preso prima per combattere l´oppressione, l´ingiustizia... Dei conflitti sociali, politici, delle nazioni oppresse, la logica dominante del soldo e dell'accumulazione, la speculazione, l'asservimento, la distruzione, si trovano all'origine della lotta di milioni di esseri umani attraverso tutto il mondo. Combattere per un mondo dove la logica del capitalismo non sia quella che dirige la società. Combattere per un mondo dove la diversità di migliaia di popoli che lo formano possa esistere. In occasione della giornata internazionale di solidarietà con i prigionieri politici ci sarà una riunione pubblica giovedì 17 aprile 2008, a partire dalle 19, al C.I.C.P., 21 ter, rue Voltaire, 75011 Paris Repressione, accanimento, resistenza la situazione dei prigionieri politici in Europa: Baschi, Corsi, militanti anti-imperialisti in Francia, Italia, Spagna, Germania ,Turchia, ... La lotta dei prigionieri politici nel mondo: Palestina, Perù, popolo Mapuche, ... Entrata libera e gratuita - tavoli di stampa e d´informazione Su iniziativa di: A.G.E.N. (Association Générale des Etudiants de Nanterre), Campagne « Palestine 60 ans de résistance », C.A.R. Paris(Comité Anti-Répression - Peuple Corse), Collectif pour la libération de Georges Ibrahim Abdallah, Comité Pérou, Comité de solidarité avec le peuple basque - Paris, Comité Tayad, Ka Kiñe, Ne Laissons Pas Faire (sostegno ai prigionieri d'Action directe), Secours Rouge de France, ... Informazione ricevuta per far conoscere: la solidarietà è la nostra arma! www.rhi-sri.org Visitate http://www.liberez-les.info/ Informazione ricevuta dal Collettivo per la liberazione di Georges Ibrahim Abdallah liberonsgeorges.over-blog.com 29 Kalera: 17 aprile come Giornata Internazionale di Solidarietà con i Prigionieri Politici Sono trascorsi quattro anni dalla Conferenza di Solidarietà Internazionale con i Prigionieri Politici svoltasi a Donostia; lì, come organizzazioni e singoli impegnati nella solidarietà con le vittime della repressione, prendemmo l'impegno di promuovere meccanismi volti a migliorare la nostra comunicazione e di avviare iniziative comuni di denuncia e di lotta. La designazione del 17 aprile come Giornata Internazionale di Solidarietà con i Prigionieri Politici, è stata una delle misure adottate e che, oggi, mantiene tutta la sua potenzialità ed importanza. Oggi, in diversi punti del pianeta, continuiamo ad affrontare un consolidamento, da parte degli stati, di misure repressive che limitano sempre più diritti e libertà, un'estensione e la giustificazione di pratiche quali la tortura, l'isolamento e persino l'eliminazione fisica del dissidente politico. Si percepisce con chiarezza un grave peggioramento delle condizioni di vita delle persone colpite dalla repressione in diversi regimi di detenzione o penitenziari; ciò ha comportato, inoltre, il diffondersi della criminalizzazione, sempre più acuta, dei movimenti che, come noi, sviluppano la denuncia della repressione e la solidarietà con le sue vittime. Le condizioni di vita dei prigionieri politici in Turchia, le misure di criminalizzazione delle proteste portate avanti dai Mapuches, l'utilizzo di meccanismi di guerra contro Paesi terzi da parte del narcogoverno della Colombia, l'estensione della lotta "antiterrorista" all'associazionismo legittimo ed alla dissidenza politica in Catalogna, a Madrid ed in Italia, l'adozione di misure radicalmente contrarie alla legislazione internazionale fondamentale ed al rispetto della sovranità di stati terzi da parte degli Stati Uniti d'America e la creazione di nuovi spazi privi di legge come a Guantanamo o i voli segreti che trasportano arrestati privi di qualsiasi diritto, l'adozione di nuove misure carcerarie ed il prolungamento sine die di pene negli stati spagnolo e francese, la repressione scatenata nel Sahara o l'aggressione militare a movimenti politici ed alla popolazione civile in Palestina, la criminalizzazione della solidarietà con le vittime della repressione nel conteso basco, sono tutti elementi che ci riempiono di preoccupazione e che ci obbligano ad alzare la voce ed a scontrarci con essi con strumenti rinnovati. Che il 17 aprile serva a far veicolare queste richieste e rivendicazioni, serva a creare uno spazio di lotta comune, un muro di contenimento di queste misure che limitano i diritti e le libertà, uno spazio d'incontro nella resistenza antirepressiva. Di nuovo lanciamo un appello per lavorare su queste coordinate e per, ancora una volta, incontrarci in piazza, innalzando la bandiera della solidarietà con le prigioniere e con i prigionieri politici. Loro globalizzano la repressione: globalizziamo noi la lotta e la speranza. Iniciativa Internacional por los Presos y Presas Polítcas KALERA [email protected] http://www.kalera.org/ TURCHIA Processi ai compagni turchi: rafforziamo la solidarietà internazionale! I processi contro i compagni turchi che si stanno svolgendo sia in Turchia, ma anche in diverse parti d’Europa, sono un esempio concreto dell’attacco internazionale contro i comunisti e le loro organizzazioni. Un attacco che si è accentuato e ha trovato nuovo accanimento dopo la stesura delle famigerate liste nere frutto della politica di guerra dell’imperialismo diretta dagli Usa. Ma, questi processi, sono anche esempio della solidarietà internazionale che si manifesta in ogni parte d’Europa attraverso mobilitazioni e iniziative, una solidarietà che riesce a riportare delle vittorie come nel caso del rigetto dell’estradizione di Avni Er. La Corte d’Appello di Sassari ha infatti rigettato la richiesta di estradizione avanzata dalla Turchia. Pubblichiamo di seguito materiali relativi ai processi sia in Europa che in Turchia. Il 28 e 29 febbraio si è svolta la seconda udienza per i prigionieri comunisti I 23 rivoluzionari e comunisti che sono stati imprigionati dopo i raids della polizia in 8 città tra l’8 e il 12 settembre 2006, sono stati portati, il 28 febbraio 2008, in tribunale per la seconda delle udienze. Tra di essi Ibrahim Cicek, direttore del quotidiano Atilim, Sedat Senoglu redattore dello stesso giornale, lo scrittore Ziya Ulusoy e Bayram Namaz capo-redattore di Ozgur Radyo. L’accusa, sostenendo che i prigionieri sono membri e capi del Partito Comunista Marxista Leninista (MLKP), ha chiesto per 13 di essi pene a più ergastoli, e per i restanti 10, condanne tra i 10 e i 45 anni di detenzione. Il 18 febbraio, i prigionieri sono entrati nel tribunale di Instanbul-Besiktas, alle h. 11, gridando gli slogan “Lunga vita alla resistenza di Tuzla”, “Libertà per il Kurdistan” e “Lunga vita alla fratellanza tra i popoli”, in segno di protesta contro l’occupazione turca del Kurdistan del Sud e in sostegno allo sciopero degli operai dei cantieri navali di Tuzla, che ha avuto luogo il 27 e 28 febbraio. Non avendo ricevuto i loro fascicoli processuali, i prigionieri non hanno potuto preparare una difesa, ma hanno esposto le loro valutazioni. Arzu Torum, tra i prigionieri, ha denunciato di aver subito violenze sessuali da un poliziotto nei corridoi del Heavy Pealty Court il 26 ottobre. In tribunale gli imputati hanno pronunciato discorsi di condanna del fascismo e dello sciovinismo, e salutato la “classe operaia, i lavoratori e la resistenza del popolo Kurdo oppresso”. Ibrahim Cicek, direttore del quotidiano Atilim: “Questo è una cospirazione, i cui fili sono tenuti dalla Dogan Media Holding e dall’organizzazione dei padroni dei cantieri navali GISBIR. False prove sono state costruite dalla polizia e dall’unità anti-terrorismo a Vatan e Yenimahalle. Dogan Media distribuisce il nostro quotidiano, ma lo censura cercando di zittirci. GISBIR tenta di ostacolare l’organizzazione dei lavoratori lottando contro LimterIs. Questo caso, questa cospirazione, che si estende da 30 Dogan Media a GISBIR, ha l’obiettivo di soffocare la voce dei socialisti in questi giorni bui. Questa montatura giudiziaria è un attacco alla libertà di organizzazione e opinione.” Ali Hidir Polat: “L’esercito della borghesia turca mira ad annientare i militanti del partito guerriglia che sta portando avanti la lotta armata. Il partito guerriglia ha affermato che la questione può risolversi con il riconoscimento dell’esistenza del popolo Kurdo, con il quale abbiamo convissuto per migliaia di anni e l’accettazione della richiesta di ricevere l’istruzione nella lingua madre. Ma lo stato mostra il suo completo disinteresse verso tali richieste.” Fusun Erdogan, capo-redattore di Radyo Ozgur: “Sono madre, e sono fiera di appartenere al popolo turco. Ho un figlio di 22 anni e non voglio che entri nell’esercito. Potete anche condannarmi. Condivido la posizione di Bulent Ersoy e come madre lo sostengo.” Arif Chelebi: “...questo è un attacco sporco e ingiusto, è un’occupazione di stampo coloniale: gli USA e Israele la sostengono. Non è una coincidenza che questa occupazione e la questione del velo, come pure la vendita di Tekel, siano all’ordine del giorno nello stesso momento. I Kurdi, i lavoratori, gli Alevi, le donne, tutti i gruppi sociali dicono che è ora di farla finita.” Bayram Namaz: “Mentre i cadaveri dei nostri ragazzi in uniforme sono stati riportati nelle tende dei migranti e nelle case dei lavoratori, nessun cadavere è stato riportato nelle case di lusso”. Seyfi Polat: “Questo sistema è macchiato di sangue. Il sangue dei lavoratori scorre come l’acqua a beneficio del processo di accumulazione del capitale a Tuzla”. “Noi, come il MLCP, sosteniamo che la lotta di liberazione del popolo Kurdo nel Nord, Sud, Est e Ovest, in ogni parte del Kurdistan, è giusta e legittima. E’ terrorismo negare l’esistenza di un così grande popolo, tentando di assimilarlo e di annientarlo. Chiamiamo il popolo turco a stringere la mano del popolo Kurdo, tesa per fraternizzare e lottare per la pace. La libertà dei lavoratori turchi e di tutti i lavoratori può esistere soltanto se c’è libertà per il popolo Kurdo.” Arzu Torum: Arzu Torum si è concentrata sulle bande laddove si è saputo che esse erano in relazione con lo Stato: ha detto che tutte le forze della contro-guerriglia accusate delle vicende di Sauna e Semdinli sono state rilasciate nonostante le prove, ma che sono state dietro le sbarre per più di 18 mesi. Soner Cicek: Cicek ha parlato dell’isolamento nelle prigioni di tipo-F e ha dichiarato che i prigionieri chiedono l’applicazione del decreto del Ministero della Giustizia, che permette l’incontro di 10 prigionieri per 10 ore alla settimana.” L’azione dell’ESP per la liberazione dei prigionieri comunisti La Piattaforma Socialista per gli Oppressi (ESP) ha organizzato un’azione a Besiktas Parc, presso il tribunale dove sono stati condotti i 23 prigionieri. Nella relativa dichiarazione è scritto: “Libertà per i prigionieri del 10 settembre. Vogliamo giustizia”. Le famiglie dei prigionieri e i rappresentanti delle diverse organizzazioni democratiche hanno appoggiato l’azione. Ersin Sedefoglu, portavoce dell’ESP, ha dichiarato: “I rivoluzionari che sono stati arrestati e imprigionati l’8 settembre 2006, tra cui anche dei giornalisti, non hanno ancora potuto fare valere i loro diritti e difendersi, poiché i fascicoli processuali sono rimasti a lungo secretati. Come in molti altri casi, anche in questo si dimostra una volta di più come l’accusa non sia indipendente”. Sedefoglu ha inoltre dichiarato che la lotta contro un sistema iniquo, in un paese dove la disoccupazione, la fame e la povertà hanno raggiunto livelli altissimi, è legittima e giusta. Necati Abay, portavoce della “Piattaforma Solidale con i Giornalisti Imprigionati”, ha parlato dei 5 giornalisti e scrittori che sono dietro le sbarre per essere coinvolti in questo caso. Dursun Yildiz, portavoce provvisorio della “Piattaforma delle filiali KESK”, ha dichiarato: “Oggigiorno il popoli del Medio Oriente sono minacciati di annientamento da guerre e occupazioni. Ma verrà il giorno in cui essi chiederanno il conto agli imperialisti e ai colonialisti.” Hanife Yildiz, madre di un militante fatto scomparire, ha chiesto giustizia come segue: “Si vuole la condanna dei nostri figli, che stanno per essere giudicati in questa corte oggi, perché essi stanno dalla parte del popolo e difendono i diritti degli oppressi. Mio figlio è stato rapito e fatto sparire, io chiedo giustizia. I tiranni responsabili delle sofferenze del popolo dovranno essere condannati, io voglio giustizia. Dovrebbero pagare per questi dolori, io chiedo giustizia! Ora basta!” We Want Freedom Campaign [email protected] http://www.wewantfreedom.org/ A proposito del processo DHKC 1. Il Soccorso Rosso/APAPC si rallegra senza riserve che i militanti e simpatizzanti del DHKC siano usciti liberi dal tribunale di Anversa. Noi abbiamo contribuito con i mezzi a nostra disposizione alla campagna contro questo processo, e non accade spesso (tanto deboli sono le forze della solidarietà di classe) che un impegno termini in un modo così felice. Oltre alla libertà per i compagni, noi ci rallegriamo perché l’interpretazione molto restrittiva, fatta dal tribunale, della lotta anti-terrorista, ostacolerà un po’ la politica di controrivoluzione preventiva sul piano giuridico. Non ci facciamo molte illusioni sulla perennità di questa giurisprudenza (e c’è ancora la possibilità della cassazione), ma a livello del tutto ipotetico, va meglio così che al contrario… 2. Uno dei pochi modi di azione per le forze della solidarietà di classe, in questo genere di casi, consiste nello sfruttare le contraddizioni del nemico. In testa, la contraddizione tra la realtà della sua dittatura di classe ed i dispositivi ”democratici” attraverso i quali la borghesia gestisce le contraddizioni sociali e attraverso le quali giustifica il suo regime di sfruttamento e di ingiustizia. Sfruttare le sue contraddizioni, può significare mostrare, all’occasione di manifestazione repressiva del regime, il carattere artificiale della sua democrazia. L’utilità per il regime 31 della sua facciata democratica può allora condurlo a fare marcia indietro considerando che ha più da perdere vedendo la sua facciata democratica intaccata che a “levare il piede” sul fronte della repressione. Sfruttare le sue contraddizioni, può significare approfittare delle lotte tra le fazioni borghesi, tra gli apparati gelosi dei loro poteri e delle loro prerogative, tra le cricche che si disputano le prebende, ecc. 3. Noi non conosciamo (e poche persone conoscono) tutti gli intrallazzi giuridico-politici borghesi che stanno dietro la sentenza di Anversa. Non sappiamo se i magistrati hanno voluto manifestare la loro indipendenza per preservare i loro ruoli ed i loro privilegi. Non sappiamo se la destra fiamminga ha fatto pressione per rompere le palle a Onkelinx (non si romperanno mai abbastanza le palle a Onkelinx). Noi ignoriamo tutti i calcoli ed i regolamenti di conti che stanno sotto a questa sentenza. 4. Ma noi non ci facciamo alcuna illusione quanto alla sua portata. Quando, alla lettura del verdetto, un babbeo ha esclamato “ Viva la separazione dei poteri! “, un compagno ha anch’egli messo le cose a punto per un secondo “E perché non Viva il re! , imbecille! “. Non c’è “ separazione dei poteri “. La magistratura, gli uomini di affari, i direttori dei giornali ed i politici formano una sola e medesima classe. Questa classe è fradicia di contraddizioni tra fazioni concorrenti, e può essere divisa sul metodo migliore per assicurare la perennità del suo potere (dalle linee più “democratiche” alle linee più “repressive“), ma ritrova la sua unità quando sente il suo potere realmente minacciato. La liberazione dei nostri compagni non è una “ vittoria della democrazia“: è la dimostrazione che certi settori della borghesia sono ancora angustiati dalla facciata democratica che permette loro di consolidare molto economicamente il loro potere. Questo, in confronto alla grande potenza del potere borghese e delle collaborazioni di cui beneficia all’interno della piccola borghesia nel momento in cui si presenta sotto la sua affettazione “democratica“, non è un calcolo così malvagio. 5. Noi speriamo che la solidarietà di classe si sviluppi perché infine questa possa agire attraverso il rapporto di forza proletariato/borghesia anziché lavorare saltuariamente all’interno dello sfruttamento delle contraddizioni tra cricche di sfruttatori. Il Soccorso Rosso/APAPC, ad ogni modo, lavorerà in questo senso. Soccorso Rosso/APAPC Comunicato di solidarietà di “Secours Rouge France” Il 28 e 29 febbraio 2008, a Istambul, si apre, davanti al Tribunale speciale, la seconda udienza del processo politico contro i 23 militanti del MLKP arrestati il 10 settembre 2006. Fin dalla precedente udienza, il 26 ottobre 2007, i compagni hanno dimostrato tutta la loro determinazione rivoluzionaria a battersi contro il sistema repressivo e l’isolamento; alcuni di loro sono rinchiusi nelle celle di tipo F dove è praticata la “tortura bianca”. Una tecnica car- ceraria che mira a distruggere ogni capacità di resistenza dei prigionieri. Centinaia di militanti politici, di associazioni, giornalisti, scrittori, sindacalisti subiscono arresti di massa da oltre un anno. Il potere militare conservatore turco persegue il suo obiettivo di criminalizzazione dei movimenti sociali visti come una minaccia per il sistema borghese; un mezzo anche per difendere i privilegi di classe e la corruzione generalizzata dell’oligarchia militare. Inoltre, l’esercito turco, alleato dell’imperialismo americano, europeo e al sionismo che appoggia in Iraq, Libano e Palestina, non esita a intervenire in massa nei territori Kurdi con bombardamenti e massacri contro la popolazione civile. La guerriglia kurda lotta eroicamente contro questi attacchi selvaggi e terroristici che puntano ad annientare la loro resistenza militare, ma anche a seminare odio etnico contro i kurdi della Turchia. Bisogna ricordare che anche in Iran sono perseguitati e scacciati dal regime sciita che li accusa di “terrorismo”. Ma nonostante ciò la resistenza popolare è vivace. I militanti rivoluzionari del MLKP rischiano più di 3000 anni di carcere, la mobilitazione internazionale non deve cessare e sono più che mai necessarie azioni di solidarietà affinché la solidarietà tra i popoli sia una realtà. No alla repressione contro i militanti rivoluzionari! Basta con la dittatura militare in Turchia! Viva la resistenza armata del popolo Kurdo e Turco! Parigi, 27/2/2008 Il 23/1/2008 si è svolto a Perugia il processo d’Appello ai due prigionieri politici Avni Er e Zeynep Kiliç che ha visto confermate le condanne comminate in primo grado a 7 anni di reclusione per Avni e 5 per Zeynep e l’espulsione a fine pena di entrambi dal territorio italiano. Sono stati rifiutati anche gli arresti domiciliari a Zeynep. Questa è una sentenza politica comminata da una Corte d'Appello che ha accettato i dettami e le prove degli aguzzini dello Stato fascista turco. Avni ha reso noto che il 28-01-2008 inizierà lo sciopero della fame contro l’estradizione. Su questa vicenda si è sviluppata una vasta mobilitazione SOLIDARIETA’ AI COMPAGNI PRIGIONIERI! Il 28 Gennaio 2008 Avni Er, un compagno turco, detenuto a Badù e Carros, ha iniziato lo sciopero della fame a oltranza: “…. estradando me l’autorità italiana si assocerà al regime fascista turco, divenendo responsabile delle torture, dei trattamenti disumani e degradanti ai quali verrò sottoposto. Per cui sappia l’autorità italiana, che se proverà a portarmi contro la mia volontà, riuscirà solo ad inviare il mio corpo senza vita”. Comunista e attivo sostenitore delle lotte dei prigionieri politici turchi, contro le disumane condizioni e dei massacri nelle prigioni, Avni ha sempre svolto apertamente il suo lavoro di denuncia in Europa; è accusato di aver “protestato” contro il ministro estero della Turchia, nel parlamento europeo in Bruxelles, mostrando alcuni cartelli riportanti fotografie dei corpi bruciati dei prigionieri durante uno dei tanti attacchi militari nelle 32 l’indifferenza disarmante di chi non vede, non sente, non parla, non partecipa….; i maltrattamenti subiti dai compagni oramai anche in tribunale; l’isolamento continuo per cercare di annientare i compagni…. ecc.,ecc.,ecc., ecc.,ecc.,ecc., ecc.,ecc.,ecc., ecc.,ecc.,ecc., ecc.,ecc.,ecc., ecc.,ecc.,ecc., ecc.,ecc.,ecc. Grazie a tutto questo la nostra lotta sarà più determinata! Grazie a tutti i compagni essa finirà solo con la vittoria! La solidarietà è la nostra arma! Solidarietà a tutti i compagni prigionieri! I COMPAGNI UNITI NELLA LOTTA 1 FEBBRAIO, NUORO. MANIFESTAZIONE NAZIONALE CONTRO LA REPRESSIONE ORE 18.00 PARTENZA DAL TRIBUNALE 7 FEBBRAIO, SASSARI TRIBUNALE CORTE D’APPELLO, PRESIDIO IN SOLIDARIETA’ CON AVNI ER, DALLE ORE 9.00 Appello alla mobilitazione carceri turche. Nella fattispecie erano fotografie del massacro avvenuto nel 1999 in Ankara, ordinato dal governo che il ministro rappresentava. Sebbene Avni non fosse materialmente presente, si dichiarava totalmente solidale: “è un dovere per tutti coloro che difendono i diritti umani e la democrazia, protestare contro i massacri dello stato fascista turco”. Il 23 Gennaio, al secondo grado di giudizio, gli è stata confermata la condanna a 7 anni di carcere e all’espulsione dal territorio italiano. Il 7 febbraio, a Sassari ci sarà l’udienza, in corte d’appello, per decidere sulla sua estradizione. Solidarietà ai compagni Antonella, Ivano e Paolo In questi giorni sta per concludersi il processo farsa nei loro confronti, con la richiesta del p.m. De Angelis, di quasi 50 anni di carcere, che conferma l’accanimento contro chiunque abbia una visione del mondo diversa da quella imposta dal modello di sviluppo capitalistico. Nel nome di una falsa democrazia e/o del posto vacante a sostituto procuratore si manifesta l’assurdità di un processo indiziario che mira ad annientare qualsiasi tipo di opposizione o istanza antagonista. Questa è l’ennesima dimostrazione del teorema pisanu che descrive la Sardegna come un laboratorio eversivo nel quale si sarebbero uniti comunisti, indipendentisti e anarchici in una più ampia organizzazione terroristica. E poi: la stampa connivente e asservita a questo sistema continua a riportare rigorosamente le “veline” della questura e a fare dis-informazione e confusione; la massiccia onnipresenza di forze dell’ordine “garantisce” l’ordine costituito; contro la tortura dell’isolamento difendiamo le vite dei compagni Avni e Zeynep! difendiamo tutti i compagni sotto processo politico! Esprimiamo incondizionata solidarietà al compagno Avni Er e alla compagna Zeynep Kiliç, prigionieri turchi rinchiusi da quasi 4 anni nelle carceri italiane in Sardegna. Il loro arresto è avvenuto in Italia nell’aprile 2004 sotto i dettami dello stato fascista turco, accusati di terrorismo per la loro attività di solidarietà svolta nel nostro paese in sostegno ai rivoluzionari rinchiusi nelle carceri turche. Il loro, quindi, è l’ennesimo processo politico che vediamo svolgersi nel nostro “democratico” paese. Durante questi anni è stato negato loro qualsiasi diritto alla difesa e sono state effettuate varie violazioni procedurali quali la mancata traduzione degli atti di imputazione in lingua comprensibile agli imputati e l’ammissione di un teste d’accusa a cui è stato permesso di deporre con il volto celato da un cappuccio e la cui identità è rimasta segreta. Il processo d’appello tenutosi a Perugia il 24-1-08 ha visto riconfermate le condanne, 7 anni per Avni e 5 per Zeynep, e l’espulsione dall’Italia a fine pena. Da quel momento i due compagni hanno incominciato lo sciopero della fame come forma di lotta estrema per non essere estradati in Turchia. “La Turchia non rispetterà i miei diritti umani e farà scempio delle mie carni. Per evitare la mia estradizione verso la Turchia ho iniziato uno sciopero della fame dal 28/01/2008 illimitato. Forse morirò in carcere, però morirò con la mia dignità e non consentirò ai carnefici fascisti in Turchia di sottopormi a violenze atroci…preferisco morire in Italia, piuttosto che essere ucciso sotto tortu33 ra, come già è accaduto a centinaia di compagni nel mio paese”, scrive Avni per rendere nota la sua decisione. Il 7 febbraio il rinvio dell’udienza definitiva ha portato Avni e Zeynep a sospendere momentaneamente lo sciopero per riprenderlo fino alla morte in occasione della riapertura del processo fissato il prossimo 10 aprile. Lo stato turco è tristemente noto per gli assassini, i trattamenti disumani e le torture a cui sottopone i prigionieri politici. Contro queste violenze, solo nel duemila 118 persone si sono lasciate morire intraprendendo lo sciopero della fame. Quell’anno il governo turco, schiacciato dalla pressione internazionale che gli imponeva di trovare una soluzione e porre fine al susseguirsi delle morti per deperimento, il 19 dicembre diede ordine a 10.000 tra poliziotti e militari di assaltare le 21 prigioni nelle quali i detenuti politici svolgevano quella forma di protesta. Durante quell’aggressione si svolse una strage senza confronti: 32 uomini e donne furono seviziati e bruciati vivi mentre altri vennero deportati in celle d’isolamento, le terribili “celle di tipo F”. Le celle F prevedono un totale isolamento del prigioniero per impedirgli la comunicazione con gli altri detenuti e mira a piegarlo per farlo rinunciare alla difesa della sua identità e ad annullarne la resistenza. Questo lascia alle guardie il potere di continuare con le torture indisturbate. Anche nelle carceri italiane la tortura dell’isolamento viene usata costantemente per “punire” e “rieducare” il prigioniero. Dal comune 14bis, adottato ad ogni occasione, all’E.I.V (elevato indice di vigilanza) e all’A.S. (alta sorveglianza) fino al 41bis (il cosiddetto carcere duro). Molte carceri si stanno dotando di strutture per la reclusione in isolamento. Il carcere di Siano, vicino Catanzaro, è stato attrezzato in una sua sezione per l’isolamento di alcune decine di soli prigionieri politici per reati associativi, dagli islamici antimperialisti a comunisti e anarchici. Con sempre più frequenza, infatti, moltissimi compagni vengono sottoposti a questi regimi di tortura bianca. In particolare vogliamo denunciare le condizioni del compagno Alfredo Davanzo che da oltre un anno è detenuto illegalmente in totale isolamento nel carcere di Cremona: con lui alcuni compagni hanno iniziato uno sciopero della fame di protesta. Alfredo è uno degli arrestati il 12 febbraio 2007 in un’operazione che fino alla fine dell’anno, con l’uso smodato della carcerazione preventiva, ha recluso ben 17 militanti comunisti, tra cui molti operai, delegati sindacali e giovani studenti, tutt’oggi in attesa che inizi il processo e 11 di loro ancora in galera sotto regime E.I.V. Anche questo è un processo politico perché vuole impedire ogni idea di cambiamento rivoluzionario della società per affermare il potere dei padroni sul proletariato sfruttato, costretto a vivere di precariato o a morire di lavoro. Per i compagni del 12 febbraio la prima udienza si terrà a Milano il 27 marzo e anche in quell’occasione la grande solidarietà che continuano a raccogliere sarà l’ennesima prova della loro giusta lotta. La violenza del carcere duro, le pesantissime condanne emesse in questi ultimi anni, gli attacchi repressivi a carico di comunisti, anarchici, contro avanguardie del movimento di classe e antimperialiste, e oggi contro chi esprime solidarietà ai prigionieri, sono la risposta di guerra interna a chi si oppone alla politiche di morte di questo sistema di barbarie. Sono politiche asservite agli interessi delle borghesie imperialistiche per far fronte a una crisi che produce guerra e devastazione sia sul fronte esterno sia su quello interno. Per questi motivi invitiamo tutti a partecipare al PRESIDIO A FOGGIA IN C.SO VITTORIO EMANUELE – ZONA PEDONALE IN SOLIDARIETÀ AI COMPAGNI AVNI E ZEYNEP E CONTRO LA TORTURA DELL’ISOLAMENTO SABATO 23 FEBBRAIO - DALLE ORE 17 ALLE 22 Verrà esposta una mostra fotografica itinerante con le immagini della strage del 2000 in Turchia e le più belle foto delle ultime mobilitazioni contro l’isolamento e in sostegno ai compagni prigionieri. Ulteriori informazioni sulla campagna internazionale per Avni e Zeynep: www.avni-zeynep.net sulla solidarietà internazionale: www.rhi-sri.org Centro di documentazione “Filorosso” Per contatti: aperto tutti i giorni tranne il martedì, dalle 20 alle 23.30 via miracoli, 11 (III parallela a c.so Cairoli) - Foggia e-mail: [email protected] (visitate il nostro blog!!! filorossofoggia.spaces.live.com) Udienza del 10 aprile per Avni Er Il 10 aprile si terrà presso il tribunale di Sassari la seconda udienza sull’estradizione in Turchia del compagno Avni Er. Arrestato e condannato in Italia grazie alle varie riforme del codice penale che permettono il perseguimento di qualunque pensiero che contrasti con il capitalismo e la sua ideologia, Avni attende di sapere se il nostro democratico paese deciderà di consegnarlo ai suoi carnefici come gesto di buona volontà e ringraziamento per i lucrosi affari che gli italici capitalisti vanno facendo nella sempre più martoriata Turchia, oppressa da quasi un secolo di feroce dittatura militare. Mascherando la loro natura fascista i governanti Turchi hanno chiesto e ottenuto che l’Italia, con un processo farsa, arrestasse due compagni, Avni e Nazan, esclusivamente sulla base della loro appartenenza ideologica. Al di là di questo, comunque, rimane di una gravità estrema che si possa procedere all’estradizione o all’espulsione di un qualunque individuo verso un paese che immancabilmente lo sottoporrà a tortura e lo ucciderà. Invitiamo dunque tutti a partecipare alle iniziative di solidarietà che saranno portate avanti e a vigilare affinché i persecutori del proletariato non rimangano impuniti in sa Sardinna, in s’Italia e in tottu su mundu. sigo semper gai, e mai mi rendo. E cando bat bisonzu, mi difendo. Comitato permanente contro la repressione Nuoro Informiamo che l’udienza si è conclusa con il rifiuto dell’estradizione per Avni ER, attualmente trasferito al carcere di Rebibbia, Roma 34 RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO Questa rubrica è dedicata a lettere, documenti e dichiarazioni dei/delle compagni/e prigionieri/e, con il fine di far conoscere le loro idee e rivendicazioni, per difendere la loro identità e contrastare così sia l’isolamento politico e umano cui sono sottoposti sia la denigrazione portata avanti da padroni, magistratura e mass media. Alcuni compagni arrestati il 12/02/07 12 dicembre 2007: Lo STATO delle STRAGI Contro la RIVOLUZIONE PROLETARIA Ma che bella coincidenza questa data. Così qui si dovrebbe processare dei presunti terroristi, proprio nella data simbolo di quello che è vero terrorismo: quello di stato! Sì, perché c’è qualcosa di veramente malsano nell’isterismo anti-terrorista istituzionale: questo epiteto è imposto sempre e solo alla violenza delle classi subalterne, sfruttate, e delle nazioni oppresse. Eppure il semplice buon senso dovrebbe riconoscere che chi si ribella, come classe o come nazione, lo fa per conquistare le masse alla lotta. E lo fa in base ad obiettivi e ideali di liberazione e trasformazione sociale. Colpire indiscriminatamente tra le masse popolari è un semplice controsenso. Infatti (e questo nessuno ce lo può negare), il movimento rivoluzionario in Italia (e dappertutto nel mondo) ha sempre rivendicato e spiegato la propria lotta e le proprie azioni. Che sono sempre state indirizzate al sistema di dominio e sfruttamento: padroni, imperialisti, casta politica, forze repressive. Lo stesso buon senso vuole, invece, che chi vive dello sfruttamento e dell’inganno delle masse, vede in queste anche un oscuro pericolo. Cominciamo a resistere, a non farsi più trattare da pecore e poi, non si sa mai, possono arrivare a pensare ad un mondo nuovo, senza servi né padroni … oddio, suprema bestemmia? Ecco allora che i padroni ed il loro Stato sono capacissimi di colpire le masse e le loro organizzazioni: le bombe stragiste si spiegano perfettamente. Ma quali misteri ?! Ma quali verità da ricercare?! (I moti… agitati dall’apparato mediatico di Goebbels). Le prove sono schiaccianti: generali, servizi segreti, eminenze grigie di Stato, CIA, NATO-Gladio, truppa fascista ecc. E la più grande prova è nell’inconcludenza delle inchieste, dei processi, e nell’impunità. Forse che dal lato nostro della barricata si può dire lo stesso? Circa 50000 (!) anni di carcere scontati (e si continua), per circa 6000 militanti o semplici proletari coinvolti! E mentre il movimento rivoluzionario ha rivendicato la morte di circa 130 persone (errori compresi), lo Stato solo con le stragi ne ha ammazzate più di 140; più altre decine ad opera delle forze di repressione nelle piazze o negli agguati ai militanti; più altre decine ad opera degli sgherri fascisti, agenti all’ombra dello Stato. Mai lo Stato ha avuto la dignità della rivendicazione, sempre la viltà del depistaggio, fin verso l’avversario politico (come per Piazza Fontana)! Infine, ricordiamo che quest’uso malsano dell’epiteto “terrorista” ha un promotore: il nazismo. Questo affiggeva i manifesti, chiamando i Partigiani “BanditenTerroristen”! Noi non ce ne stupiamo: nazifascismo e democrazia formale borghese sono appunto figliati dallo stesso padre, l’imperialismo (i fili che li legano sono innumerevoli, e soprattutto i soldi). Con il processo ai comunisti arrestati il 12.2.2007, ancora una volta si contrappongono nei tribunali borghesi due classi: borghesia e proletariato. L’una, la borghesia, che detiene il potere (cioè che nel tempo ha costruito in sua funzione un apparato repressivo e giuridico) accusa l’altra, il proletariato che, nella figura di alcuni militanti comunisti, cerca di costruire la propria autonomia politica di classe, cioè rivoluzionario, cioè il Partito Comunista della classe Operaia. Proprio questa tendenza è il grande spauracchio per la classe dominante, ancor più oggi quando si trova impegnata nella grande competizione per la nuova spartizione del mondo, battezzata “guerra infinita”, e fatta di sedicenti “missioni di pace”. È un cammino di morte e distruzione, gravido di contraddizioni, che si acuiscono fin dentro le formazioni sociali imperialiste. Un cammino che mostra agli occhi delle grandi masse, la crisi del sistema e mette drasticamente in luce la necessità del suo radicale superamento. Il capitalismo ha una logica interna mostruosa, l’aggressività concorrenziale porta inevitabilmente a guerre. E quando, per di più, si trova in crisi cronica di sovrapproduzione di capitale (ciò che ha determinato l’esplosione del fenomeno creditizio e di un consumismo drogato) non c’è altra soluzione che il grande scontro inter-imperialistico. Sul campo di macerie altrui ..i gruppi imperialisti e gli stati vincenti potranno ripartire con l’accumulazione. Le evidenti ragioni economiche e di dominio mondiale della “guerra infinita” la configurano come fase di guerra mondiale strisciante. Perché da questo genere di crisi-generale e storica – il capitalismo non esce con mezzi ordinari. Non vi riesce nonostante trent’anni di attacchi alle conquiste della classe operaia e del proletariato, nonostante un aumento dello sfruttamento ed un arretramento delle condizioni di vita e lavoro epocale. E anche qui, lo Stato delle Stragi, operaie: a migliaia ammazzati nei Petrolchimici alla Eternit, nei cantieri edili (e magari buttati via per strada come rottami...). Quanti padroni sono finiti in carcere?! Eppure la morte di un operaio per cancro è spesso lenta ed orribile, ma i vostri pornografi del dolore (sempre stipendiati da Goebbels) sono troppo occupati con i padroni di ville e con i missionari di guerra imperialista. Anche se i lavoratori sono diventati la merce che costa di meno, tutto ciò non basta. Il capitalismo in crisi è una belva feroce, mai paga, e la crisi si ripresenta 35 sempre più acuta ad ogni curva della spirale. Il vero limite alla barbarie che contraddistingue quest’epoca storica di putrefazione delle formazioni sociali imperialiste, è ancora la Rivoluzione Proletaria. “O la Rivoluzione impedisce la guerra, o la guerra scatena la Rivoluzione” Mao Tse-Tung La Rivoluzione Proletaria non si processa! Essa stessa è un processo storico, l’unica via possibile per l’emancipazione dell’umanità dalla barbarie capitalistica. La via democratica per la trasformazione sociale non è mai esistita, le classi hanno il potere non lo cedono mai democraticamente, ma sempre in seguito a lotte rivoluzionarie. A noi comunisti resta il compito di indicare, tracciare oggi questa via, la via della Rivoluzione Proletaria. Possiamo farlo solo costruendo il Partito Comunista della Classe Operaia, che diriga, sviluppando la sua pratica rivoluzionaria, la lotta per il potere. Noi ai proletari non facciamo promesse, non diciamo “vi daremo...”, ma “Questa è la via. Combatti! Libertà e felicità si conquistano solo con la lotta e nella lotta, dentro un lungo processo rivoluzionario”. I limiti e gli errori del passato, dei precedenti tentativi rivoluzionari non sono un motivo per buttarli via (come la canea borghese urla in continuazione, invocando la morte del comunismo). Limiti, errori, contraddizioni sono la linea di frontiera da cui ripartire; sono da risolvere nei nuovi tentativi e facendo forza sulle grandi acquisizioni compiute. Come la pratica e la teoria della Guerra Popolare Prolungata, che tanti successi ha conseguito nel secolo scorso. Una politica rivoluzionaria si può fare solo con l’unità del politico-militare, in un partito che raccolga le migliori forze della classe operaia e del proletariato, che unisca le rivendicazioni particolari, economiche e sociali, alla necessità dell’abbattimento dell’ordinamento capitalistico in una giusta dialettica partito/masse. Per questo bisogna affrontare i diversi piani dello scontro, nel senso dello sviluppo dell’autonomia politica della classe: promuovere la crescita di organismi di massa dentro alle lotte, e costruire il Partito Comunista PoliticoMilitare per dirigere la lotta per il potere. Il che vuol dire, naturalmente, rompere il cordone ombelicale opportunista, con il gioco politico istituzionale, sviluppando le lotte nel senso dell’accumulazione di forze entro una precisa strategia di lotta rivoluzionaria: la strategia della Guerra Popolare Prolungata universalmente valida per le classi ed i popoli oppressi dell’epoca imperialista. L’UNICA GIUSTIZIA È QUELLA PROLETARIA COSTRUIRE IL PARTITO COMUNISAT POLITICOMILITARE DELLA CLASSE OPERAIA UTILIZZARE LA DIFESA PER ORGANIZZARE L’ATTACCO COSTRUIRE IL FRONTE POPOLARE CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA MORTE ALL’IMPERIALISMO, LIBERTÀ AI POPOLI Bortolato, Davanzo, Latino, Sisi militanti per la costituzione del PC P-M BORTOLATO DAVIDE LATINO CLAUDIO STRADA DELLE NOVATE 65, 29100 - PIACENZA (PC) SISI VINCENZO ARGINONE 327 44100 - FERRARA (FE) VIA VIA DAVANZO ALFREDO GRAVELLONA 240 FRAZIONE PICCOLINI, 27029 - VIGEVANO (PV) Nazan Ercan Lettera di Nazan Ercan dal carcere di Roma Cari compagni e compagne, prima di tutto vorrei ringraziarvi per la vostra solidarietà. La solidarietà ci unisce e così sappiamo che non siamo mai soli! Particolarmente oggi questa solidarietà è più importante che mai per impedire l'estradizione di Avni Er. Come sapete adesso siamo in attesa dell'udienza per l'estradizione che è stata fissata il 7 Febbraio. Lo stato italiano e la giustizia italiana, dal giorno del nostro arresto, ha mostrato la sua grande collaborazione con la Turchia. La condanna che abbiamo avuto a Perugia era frutto dell'accordo che è stato fatto fra i due paesi. Però, per lo Stato italiano, non dovrebbe essere così facile estradare un comunista per una manifestazione che è stata fatta 7 anni fa e alla quale, personalmente, Avni non ha partecipato. Non dovrebbe essere cosi facile estradarlo in un paese come la Turchia che proprio in questi giorni sta facendo una vasta operazione contro il mio popolo, il popolo Kurdo. Un paese dove fino a un anno fa, per sette anni, è stato portato avanti uno sciopero della fame che ha causato la morte di 122 persone nelle carceri di tipo F ed ancora i prigionieri politici sono sotto un regime d'isolamento totale e della repressione. Un paese dove la tortura è istituzionale. Un paese dove il vero potere è nelle mani dei militari e quelli, applicando la regola universale dei sovrani "dividi e governa", stanno creando un ambiente sciovinista contro le etnie dell'Anatolia che oggi è diventato una vera "caccia alle streghe" contro i kurdi, gli armeni, i cristiani, gli alevi ecc., cioè tutte le etnie, le religioni e le diversità che noi consideriamo la ricchezza della Anatolia. Noi amiamo il nostro paese, lo amiamo più di tutto e ad ogni costo però il nostro ritorno in Anatolia sarà una nostra libera scelta, non con le manette italiane! Cari compagni/e ora vorrei salutarvi però un'altra cosa vi volevo chiedere; voi sapete che Zeynep Kilic è solo il nome che stava nel documento che usavo quando sono stata arrestata? Il mio vero nome è Nazan Ercan. Però tutte le comunicazioni continuano ad arrivarmi con il nome Kilic e anche in carcere non lo hanno cambiato, volevo solo essere sicura che voi lo sapeste, ma non c'è problema se nelle vostre comunicazioni usate Zeynep. Non c'è bisogno di cambiare. Tanti saluti. Un abbraccio forte a tutti voi. Ciao! Roma, 20/01/2008 Nazan 36 Cari compagni e compagne, la vicenda dell’operazione del 1° Aprile si è conclusa con la conferma in Appello della sentenza di1° grado: per me 5 e per Avni 7 anni. Quindi lo Stato italiano e la sua “giustizia” un’altra volta hanno evidenziato la sua collaborazione con lo Stato turco in nome dei reciproci e crescenti interessi economici dei due paesi. Però questa dimostrazione non è finita con la condanna inflitta, adesso rischiamo di essere estradati o espulsi. Per Avni Er c’è la richiesta di estradizione verso la Turchia e per me in Germania e, certamente, c’è la decisione dell’espulsione. Come sapete, Avni sarà processato per l’estradizione il 7 febbraio a Sassari. Tale richiesta viene motivata a seguito di una presunta partecipazione ad una manifestazione alla quale, in realtà, lui non ha partecipato personalmente. Adesso Avni, a causa di questa assurda accusa, rischia di essere deportato in Turchia, rinchiuso nei carceri d’isolamento e torturato subendo tutto quello che ha provocato, ad oggi, la morte di 122 prigionieri politici detenuti in quelle galere. Avni, il 28 gennaio, ha incominciato lo sciopero della fame contro la sua estradizione. Cari compagni e compagne, per impedire che tutto questo accada anche io inizierò uno sciopero della fame che durerà una settimana, dal 1 sino al 7 Febbraio. Un abbraccio forte a tutti. Saluti Roma 29.01.08 Nazan Ercan (Zeynep Kilic) NAZAN ERCAN CARCRE DI REBIBBIA VIA B. LONGO, 92 00156 ROMA Marco Camenisch COMUNICATO DI MARCO CAMENISCH DAL LAGER DI REGENSDORF Dal 18 al 29 febbraio 2008 alcune individualità anarchiche rivoluzionarie come prigionieri dispersi a livello internazionale e come prigionieri rivoluzionari in lotta permanente contro ogni galera e repressione, l’isolamento, la tortura, l’ergastolo, per la liberazione delle individualità prigioniere, malate, ecc… conduciamo questa iniziativa collettiva ed aperta di lotta che personalmente porterò avanti come sciopero della fame per la durata dell’iniziativa. Dai lager di Stato di Germania il compagno Thomas Meyer-Falk mi ha fatto pervenire adesione solidale non digiunando perché non condivide il metodo dello sciopero della fame. L’iniziativa comune tra prigionieri è stata ed è discussa sempre più diffusamente, in particolare tra Gabriel e José in Germania e Rafa nel nuovo “Stammheim” di Spagna (P.to III, Puerto de Santa Maria) che hanno scioperato per l’abolizione dell’ergastolo in Italia 1, 2 e 3/12/07 e poi dal 14 al 17/12/07 (Simposio contro l'isolamento a Bruxelles), Joaquin Garcés dei “sei di Barcellona” (accusati del vaso di fiori sulla testa dello sbirro), che partecipò pure all’iniziativa dal 14 al 17/12/07, Diego, compagno prigioniero ad Avellaneda, Argentina, membro dell’ateneo Jacinta Fortunata e collaboratore della rivista Libertad, condannato a 13 anni per assalto a mano armata con arma da guerra ad una villa di un oligarca noto in Spagna ed Argentina, e il sottoscritto. Info definitive sulle partecipazioni ci sono e ci saranno in seguito. Purtroppo per il periodo di sovrapposizione di difficoltà tecniche e di salute riesco a diffondere solo questo breve testo e solo poco prima dell’inizio dell’agitazione. Ribadisco la solidarietà con la lotta contro l’ergastolo in Italia, momento di forte autonomia ed impegno solidale di tanta gente dentro e fuori ed esperienza che oltre ogni contraddizione e diversità ha dato e saprà dare ancora frutti di continuità e spinte alla lotta contro il carcere e l’esistente che lo rende necessario. Sempre più lotta comune, dentro e fuori, sempre meglio organizzate/i! In continuità alla nostra lotta collettiva dal 16 al 29/9/07 contro il regime d’isolamento e di annientamento a cui sono tuttora sottoposti i compagni Gabriel e José da parte dello Stato di Germania, ricordo anche che la loro situazione non è cambiata. Faccio appello al movimento rivoluzionario in Germania ed internazionale in generale di sospendere il diffuso e complice, con lo Stato, silenzio. Negare la solidarietà (per carità, sempre critica) alle compagne ed ai compagni colpite/i dalla repressione borghese è legittimazione della loro tortura e del tentativo di annientarli. Ancora solidarietà con la gente e con i prigionieri politici e le prigioniere politiche Mapuche in lotta per la loro sopravvivenza come popolo, per la terra e la libertà. Tra cui Patricia Troncoso con 110 gg di sciopero della fame appena terminato con successo grazie alla sua determinazione e conseguente massiccia mobilitazione internazionale! Patricia Troncoso, i suoi fratelli e le sue sorelle in lotta, come anche le compagne ed i compagni di Turchia contro il F-Typ e tante altre situazioni, ci insegnano quanta forza il metodo di lotta dello sciopero della fame determinato, con gli obiettivi e le modalità ben calibrate tra loro e/o prolungato, può sviluppare per la mobilitazione dentro e fuori fino ad infrangere i muri del silenzio e a conseguire degli obiettivi in una lotta che, nel suo quadro generale come lotta di liberazione, è comunque di vita o di morte, come anche l’omicidio, il 3 gennaio da parte delle truppe fasciste (carabinieri) dello Stato Cileno, del giovane militante Mapuche Matias Catrileo, ucciso durante un’occupazione di terreni, ci ricorda. Lo ricorda la sempre più diffusa e massiccia tortura contro compagne e compagni militanti ed interi settori popolari/politici in Spagna, dove ai “vecchi” metodi aggiungono i nuovi tipo Guantanamo, lo ricordano tutti i FIES, E-Typ, art. 41bis, gli articoli associativi, le politiche di asilo con le carcerazioni ed estradizioni, il megaolocausto tecnologico quotidiano perpetrato dalla civiltà del progresso… Solidarietà con le compagne ed i compagni del “Fuori Luogo” di Bologna, confrontate/i con una delle neofasciste persecuzioni repressive più sproporzionate contro il movimento anarchico e in generale di dissenso radicale in Italia. Solidarietà con i compagni rivoluzionari comunisti arrestati il 12/02/07 in Italia che il 12/02/08 iniziano lo sciopero della fame contro l’isolamento comminato solo per motivi di persecuzione politica. Un saluto solidale alla manifestazione che avrà luogo ad Enzisheim, Francia, in solidarietà e per la liberazione del compagno di AD Georges Cipriani e per la liberazione di tutte/i le/i prigioniere/i per motivi politici. 37 Contro il terrorismo di Stato e del capitale, solidarietà rivoluzionaria (per carità, sempre critica-autocritica…), oltre ogni differenza di tendenza, contro la repressione! Contro ogni Stato e guerra imperialista, sfruttamento, oppressione, repressione, per la libertà, Lotta Permanente! 10 febbraio 2008 Marco Camenisch lager di morte Regensdorf, Zurigo, Svizzera MARCO CAMENISCH PF 3142 CH - 8105 REGENSDORF ZURIGO, SVIZZERA Andrea Scantamburlo Care compagne, oggi è l' 8 marzo, anche se questa mia vi arriverà in ritardo ci tenevo a mandarvi un saluto per la festa della donna. Festa che, confesso, non ho mai tenuto in debita considerazione, per me si risolveva nel dover regalare due rametti di mimose alla mia compagna e ad Alice... e se non lo facevo ci pensava Sara a ricordarmelo... Ma quest'anno per me assume un valore nuovo. In questi mesi ho potuto osservarvi da fuori - anzi da dentro - ed ammirare con quanta determinazione e coraggio avete reagito alla repressione. Siete incredibili. In mezzo a tante difficoltà siete sempre in prima fila a trascinare con la vostra energia nelle iniziative di solidarietà e nelle lotte. Insomma, come si dice, tanto di cappello. Se un giorno dovessi tornare in fabbrica ho deciso che toglierò i calendari di donne nude dalla mia isola in segno di rispetto, sempre che i colleghi non mi picchino. Spero che abbiate passato un buon 8 marzo e che l'iniziativa sia andata bene. Se qualcuna di voi ha la possibilità porti il mio saluto e la mia solidarietà anche ad Amarilli, ho saputo che le è stata rifiutata la richiesta di recarsi dall'avvocato, negandole di fatto il diritto a difendersi. Ennesimo sopruso che non fa altro che aumentare la sua, la vostra e la nostra rabbia. Un abbraccio a tutte le compagne e le donne di parenti e amici. Solidarietà alla vostra lotta la 194 non si tocca! Monza, 8 marzo 2008 Andrea SCANTAMBURLO ANDREA VIA SAN QUIRICO 9, 20052 - MONZA (MI) militanti comunisti prigionieri 27 Marzo 2008: prima udienza del processo ai compagni arrestati il 12-02-07 CORRISPONDENZA DALLE GABBIE Il processo ai compagni arrestati il 12 febbraio 2007 si apre davanti alla prima sezione della Corte d'Assise di Milano il 27 Marzo 2008 con tutte le questioni che sono rimaste aperte nella udienza preliminare di fine dicembre. La costituzione delle parti civili rivela il carattere politico del processo più di quanto possono fare le dichiarazioni fin qui impedite agli imputati e a dispetto della risoluta e reiterata negazione dello stesso carattere da parte della pubblica accusa. Tra le numerose parti lese individuate da quest'ultima solo tre hanno formalizzato la costituzione a parte civile. L'organizzazione Forza Nuova, la cui istanza era stata già accolta dal Gup nell'ambito dell'udienza preliminare, il giornale Libero e il giuslavorista prof. Ichino. La prima è un'organizzazione dichiaratamente nazifascista nota per le sue posizioni ultrareazionarie e razziste oltre che per l'uso sistematico della violenza contro gli immigrati e le aggressioni ai movimenti di sinistra. Questi teorici del superuomo lamentano una sede danneggiata da una azione antifascista a Padova. Il giornale Libero, fogliaccio della più bassa propaganda reazionaria, antiproletaria e antioperaia, il cui vicedirettore è stato condannato per aver prestato, sotto lauto pagamento, la sua opera per le oscure trame dei servizi segreti nostrani e della CIA, si lamenta del danno di un potenziale attentato di fatto mai subito. Infame il prof. Ichino, noto capofila dei peggiori attacchi ai lavoratori, ideologo della "liberalizzazione" dei rapporti di sfruttamento e della precarizzazione del lavoro, distintosi in particolare per le sue prese di posizione contro gli operai metalmeccanici in lotta per il rinnovo del CCNL e per la sua veemenza contro i presunti fannulloni del pubblico impiego e, ora, promotore del cosiddetto contratto unico che, se approvato, getterebbe nella precarietà dell'assenza dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori l'interra classe lavoratrice, lamenta anche lui il danno di un attentato mai subito. E, cosa ancora più incredibile, lamenta il danno psico-fisico dovuto al servizio di scorta che, come datazione, è stata da lui stesso richiesta ben prima dell'inizio delle indagini contro gli imputati. D'altronde viviamo in un'epoca in cui c'è poco da stupirsi di questi paradossi. Lo stesso liberalismo, le cosiddette leggi di mercato, ad esempio, valgono di fatto solo per i lavoratori che possono essere licenziati, per i popoli oppressi che possono essere affamati o per i titolari di mutui che possono essere strozzati e costretti all'insolvenza e quindi privati della casa. Non certo per le grandi banche d'affari come la Bears Stern di Wall Street che quando subisce un crollo e per le leggi di mercato dovrebbe essere liquidata, invece viene "salvata" foraggiandola con linee di credito a fondo perduto fino a 30 mld di dollari di denaro pubblico. Chissà come mai il prof. Ichino non trova il tempo di esprimersi con la sua nota veemenza liberista anche contro questa operazione da "conservatori" che qualche suo collega di intellettualità borghese ha già definito 38 come "socialismo dei ricchi". Tornando al processo, Libero e Ichino devono attendere cosa ne pensa la Corte che si è riservata di rispondere in seguito con un'ordinanza mentre i fascisti di Forza Nuova possono fin da ora affiancare la dott.ssa Bocassini nell'accusa contro gli imputati a perfetta dimostrazione che fascismo e revisionismo vanno a braccetto. D'altronde è pur vero che i nostri "bravi ragazzi" della missione di pace e umanitaria in Afghanistan sponsorizzata dai revisionisti cantano "faccetta nera" e dipingono le effigi dell'Africa Corps di Rommel sui loro carri armati. Il capitolo "condizioni di trattamento degli imputati" riserva altri interessanti paradossi. Imputati agli arresti domiciliari che, quando sono usciti dal carcere hanno potuto raggiungere il loro domicilio da soli, ora devono essere accompagnati al processo da scorte della polizia penitenziaria con il conseguente notevole spreco di denaro pubblico sull'altare della scenografia emergenziale. Imputati detenuti sparsi in tutto il nord Italia da Asti a Vicenza che, ad ogni udienza, devono essere tradotti a Milano tra cui c’è il caso particolare di un compagno trasferito da Cuneo, per “avvicinamento al processo”, niente popò di meno che al carcere di Ferrara. Naturalmente non si tratta di una questione di ignoranza geografica da parte dei funzionari del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria ma di una nuova strategia della vessazione basata su torture a bassa intensità, levatacce nel cuore della notte e su ore di sballottamento ammanettati e chiusi dentro sarcofagi di metallo di 70x70x170 centimetri, cosa da far venire i capelli dritti ai benpensanti della protezione animali. Ma il problema non si pone perchè in definitiva si tratta solo di nemici dello Stato. A parte le teste frastornate e gli stomaci rovesciati la cosa assume toni drammatici quando un compagno sofferente di discopatia lombare viene costretto a 4-5 ore di questo supplizio, da Ferrara a Milano e ritorno, su furgoni di cui l'efficienza degli ammortizzatori è un lontano ricordo. Il capitolo "possibilità di espressione degli imputati" la dice lunga sul grado di fascistizzazione raggiunta. La debolezza dell'impianto processuale si riscontra nell'inevitabile carattere politico del processo definito dallo stesso reato contestato (associazione sovversiva) e dalla contestuale necessità di negare tale carattere. Il processo è politico ma nello stesso tempo non può esserlo. E' politico per l'impianto dell'accusa ma non può esserlo per quello della difesa. Non può esserlo perchè il sistema è troppo carico di contraddizioni e l'espressione politica dei militanti comunisti imputati è foriera di un costo politico troppo alto per la borghesia. Il risultato è la negazione del diritto di parola sia scritta che orale. Un bavaglio che inizia con le perquisizioni prima di salire in furgone per essere tradotti al tribunale dove viene sequestrato qualsiasi testo scritto e continua con le interruzioni degli interventi degli imputati e il divieto di espressione degli stessi in aula e si conclude con le espulsioni collettive dall'aula quando questo divieto non viene rispettato. Un copione che si è irrimediabilmente ripetuto oltre che nelle udienze preliminari anche in questa prima udienza in Corte d'Assise. Ma i fatti hanno la testa dura e, che il processo sia politico, è un fatto che neppure la stampa borghese è riuscita a negare facendo notare come il divieto del PM Bocassini a far divenire il processo un "agone politico" risulti alquanto vano ed inefficace. Un fatto che trova il suo riscontro oltre che nell'impostazione politica dell'accusa, anche nella figura sociale degli imputati per la maggior parte reali avanguardie operaie e proletarie. Militanti comunisti che considerano la via rivoluzionaria l'unica strada per difendere realmente gli interessi della loro classe. Un fatto che si è manifestato anche nella splendida e massiccia partecipazione tra il pubblico di operai e operaie, proletari e proletarie e compagni e compagne di movimento che ci ha fatto sentire anche dentro alle gabbie il calore della solidarietà di classe. RESISTIR ES VENCER Alla prossima militanti comunisti prigionieri Avni Er LETTERA-DOCUMENTO DI AVNI ER Cari compagni, come sapete noi siamo comunisti e veniamo dalla Turchia, 4 anni fa sono stato arrestato con la mia compagna Zeynep. Nostro “crimine” è di aver denunciato i maltrattamenti e le torture nelle carceri turche, di aver denunciato le violazioni dei diritti umani e di aver espresso l’idea di indipendenza, uguaglianza, e giustizia nel mio paese. Abbiamo denunciato questi fatti a tutti nel mondo e siamo stati “condannati”. In più lo stato italiano ci vuole estradare nelle mani dei carnefici fascisti in Turchia. Cari compagni, il nostro “crimine” è di aver difeso la dignità dell’umanità. Noi commetteremo questo reato anche in futuro con lo spirito internazionalista! Cari compagni, da dove veniamo? Che tipo di terra è la Turchia? Perché i popoli si ribellano da anni e anni? Non vi voglio raccontare tutta la sua storia, vorrei raccontare solo quella recente. La Turchia è un mosaico di popoli. Da anni e anni i popoli turchi, curdi, arabi,..,armeni hanno cercato di vivere insieme. Però i governi sciovinisti, razzisti e l’esercito hanno sempre diviso i popoli. Forse vi ricordate il genocidio degli Armeni nel 1915, dei curdi nel 1920-1923, 1938 fino a oggi. Questi sono solo qualche esempio. Come abbiamo sempre denunciato, la Turchia è un paese, dove il potere è nelle mani dei militari che applicano la regola “universale” dei sovrani “dividi e governa” e stanno creando un ambiente sciovinista contro le etnie dell’Anatolia, tant’è che oggi è diventata una vera “caccia alle streghe” contro i curdi, gli armeni, i cristiani, gli alevì ecc., cioè tutte le etnie, le religioni e le diversità che noi consideriamo la ricchezza dell’Anatolia. Cari compagni, oggi c’è una lotta contro il comunismo, il fondamento della repubblica turca è basato su questo. Facciamo un flashback nella storia. Il 10 settembre 1920 viene fondato a Baku il partito comunista turco (TKP); appena fondato 39 fu il nemico numero 1 dello “stato”turco, specialmente Ataturk (il fondatore della repubblica turca) ha cercato di eliminarlo subito. Nel 1921 i dirigenti del TKP come Mustafa Suphi e altri 14 compagni furono invitati da Ataturk in Turchia e furono massacrati. Ataturk era “preoccupato”; faceva terra bruciata contro i comunisti, anche se i comunisti avevano lottato insieme contro gli occupanti. Comunque nel fondamento della repubblica c’è il pensiero “anti-comunista”. I comunisti erano e sono ancora “soggetti” da eliminare ovunque. Infatti specialmente nelle carceri turche erano nel mirino. Nel 19801984, 1994, 1995, 1996, 1999 e 2000 sono stati massacrati decine di prigionieri politici. Solo nella carneficina del 19 dicembre 2000 sono stati massacrati 28 prigionieri politici. I militari con un azione violenta denominata “ritorno alla vita” hanno bruciato 28 prigionieri nelle loro celle. Quell’azione era avvenuta contemporaneamente in 21 carceri, soffocati da 20.000 bombe lacrimogene o bruciati vivi con il fosforo bianco. Il fosforo bianco è un’arma chimica, se colpisce una persona le crea ustioni gravi e continua a bruciare fino all’esaurimento totale dell’ossigeno che si trova nell’aria e nella carne!! È un’arma vietata dall’ONU! I sopravvissuti dopo questo attacco venivano trasferiti a forza in celle d’isolamento e sottoposti ad ogni tipo di vessazione. Dopo essere passati per le mani della polizia 600 prigionieri si sono ammalati della sindrome di Vernicke- Korsakoff, perché incoscenti e legati ad un letto d’ospedale dopo mesi di digiuno furono sottoposti all’alimentazione forzata dai medici “MENGELE”. Dopo 7 anni di resistenza sono morti 122 prigionieri. Abbiamo denunciato tutto questo. Nessuno ci ha ascoltato. Ultimamente un colonnello dell’esercito Zeki Bingõl ha scritto un libro, dove spiega tutto l’attacco alle carceri, spiega come hanno fatto il massacro!! Cari compagni, anche fuori dal carcere i rivoluzionari, patrioti e comunisti, chi non è d’accordo con lo stato fascista turco è nel mirino. Centinaia di pubblicazioni ispirate da ideali di uguaglianza, giustizia e indipendenza vengono confiscati e censurati, centinaia di rivoluzionari e democratici sono uccisi nelle strade, imprigionati, sequestrati e torturati. La realtà del nostro paese è quella di essere governata dalla forza armata fascista che usa il “parlamento” e la “democrazia”come una maschera, costringendo tutti a credere alle loro favole. Si, c’è terrore in Turchia, questo però è il terrore dello stato. I “cacciatori di teste” fascisti cercano di intimidire la popolazione con il linciaggio. Ultimamente varie associazioni democratiche come Tayyad, HOC, Temel Hakkar sono state attaccate e le persone che erano dentro sono state linciate!! Le persone democratiche, patrioti che vendono riviste e giornali oppositori al governo vengono sparati sulla strada. Infatti un ragazzo di 15 anni, Ferhat Gercek mentre vendeva la rivista “Yürüyüs” è stato sparato dalla polizia, oggi questo ragazzino sta sulla sedia a rotelle, paralizzato!! Forse l’avete sentito: l’esercito turco è entrato nel Nord Irak. Anche loro, come i loro padroni U.S.A., hanno usato la parola magica “combattere il terrorismo”. Stiamo parlando del popolo curdo, un popolo con più di 20 milioni di abitanti senza “terra”, un popolo a cui è stato proibito parlare la propria madre lingua, un popolo chiamato “turchi di montagna”. Pensate un popolo che non può praticare la sua cultura, le sue usanze e non può parlare la sua lingua e in più umiliato! Da anni e anni lo stato fascista turco ha cercato di assimilare, “turchizzare”un popolo. Questa operazione dell’esercito turco doveva “finire” la resistenza del popolo curdo. L’esercito turco non poteva fare da solo un’operazione del genere. Lo stato turco ha avuto “via libera” dagli U.S.A. e dall’U.E.! Poi senza vergogna i signori hanno “avvertito” la Turchia di non “esagerare”. Che significa “esagerazione”? Uccidere anche solo una persona non è violenza? Chi stabilisce la dose della violenza? Va bene, l’esercito turco cammina con una bilancia in mano e misura la dose della “violenza”??!! Sono stati uccisi centinaia di curdi. Se vi ricordate dopo l’attacco alle carceri, quando sono stati massacrati 28 prigionieri, i “signori” dell’U.E. avevano dichiarato che avevano “un po’ esagerato”. Prima danno “via libera”per massacrare, poi dopo fanno queste dichiarazioni. Anche oggi l’operazione contro il popolo del Nord Irak è stato organizzato con l’appoggio degli U.S.A. e dell’U.E. La Turchia senza il permesso degli U.S.A. non si muove, non sono capaci di farlo. La Turchia dipende economicamente e militarmente dagi U.S.A. Cari compagni, questo è lo stato che ha richiesto la mia estradizione. La democratizzazione della Turchia è solo una bassa demagogia. La stessa corte europea ha condannato varie volte la Turchia per le sue politiche discriminanti e per le ripetute violazioni dei diritti umani. Vi ringrazio di nuovo per la solidarietà e prima di chiudere vorrei scrivere una poesia di N.Hikmet: “No, non sono un disertore. Del resto, il mio secolo non mi fa paura, il mio secolo pieno di miserie e di scandali, il mio secolo coraggioso grande ed eroico. Non ho mai rimpianto d’esser venuto al mondo troppo presto sono del ventesimo secolo e ne son fiero. Mi basta esser là dove sono, tra i nostri, e battermi per un mondo nuovo...” […] Nuoro 1/04/2008 Avni Er AVNI ER CARCERE DI REBIBBIA VIA RAFFAELE MAJETTI 70, 00156 ROMA Riportiamo di seguito un corrispondenza che si è sviluppata tra la redazione di Solidarietà e il compagno prigioniero Claudio Latino sulla controrivoluzione, segue da Solidarietà n°2 pag.37 La redazione di Solidarietà Carissimo compagno Claudio, ti scriviamo in merito alle critiche che ha rivolto all’articolo di redazionale del numero uno di “Solidarietà”. Le osservazioni che hai formulato sono state utili per formulare un dibattito interno alla redazione, dal quale sono emerse posizioni contrastanti. Alcuni compagni sono d’accordo con te e sostengono 40 dunque che la controrivoluzione preventiva non può essere considerata una politica strategica messa in atto dalla borghesia, ma l’essenza stessa dello stato borghese dopo l’apparizione sulla scena della storia, nell’epoca dell’imperialismo, della rivoluzione proletaria (Ottobre 1917). Altri compagni invece ti danno ragione sul nesso causale storico tra il concretizzarsi della rivoluzione proletaria e la controrivoluzione preventiva, ma individuano in quest’ultima una strategia messa in atto dalla borghesia a più livelli (sociale, politico, poliziesco…) per schiacciare il sorgere della prospettiva rivoluzionaria. Per tali compagni l’essenza dello stato borghese rimane, come ogni altro stato secondo la definizione di Marx e Lenin, l’organizzazione dell’oppressione di una classe sulle altre. La controrivoluzione preventiva ha appunto il compito, in quanto strategia politica complessiva di mantenimento del potere, di impedire il sorgere della prospettiva rivoluzionaria (da qui la definizione di preventiva), ma essa appartiene a una precisa fase dello scontro di classe: quello in cui i rapporti di forza e l’egemonia sociale è ancora saldamente nelle mani degli sfruttatori e dei loro apparati. Questa strategia e la sua attuazione nelle singole circostanza storiche influenzano poi il carattere esteriore e la forma dello stato: democrazia borghese, fascismo, corporativismo socialdemocratico… La storia ha dimostrato infatti che lo stato muta carattere e strategia mentre non muta mai essenza. Allo strategia della controrivoluzione preventiva segue, nella fase della guerra civile, la messa in campo della controrivoluzione in forma dispiegata. Essa non segna la fine dello stato borghese, ma il suo nudo dispiegarsi come violenza di classe e il suo porre le basi, nel caso di vittoria delle forze reazionarie, per una rifondazione del sistema di potere. Così è avvenuto, nella fase dell’imperialismo, in tutti i paesi in cui si è originata una frattura rivoluzionaria e in cui emergevano due classi in lotta per il potere: la borghesia e il proletariato. A questi compagni sembra dunque che la tua lettura sia troppo meccanicistica, non capace di tener conto dell’evolversi concreto delle strategie e delle forme del politico nel corso del conflitto di classe, tenendo ferma l’essenza dei rapporti. Con affetto e stima, attendendo una tua risposta, la redazione di Solidarietà ti saluta a pugno chiuso Claudio Latino Alla redazione di solidarietà Cari compagni, rispondo con un po’ di ritardo alla vostra comunicazione di febbraio a causa del trambusto dell’inizio del processo e del mio trasferimento. Adesso che mi sono risistemato qui riprendo dicendo innanzitutto che considero questo dibattito molto stimolante. Il metodo migliore è partire dai punti in comune. In primo luogo è chiaro che l’ essenza generale dello stato è quella di essere lo strumento necessario all’imposizione della dittatura di una classe sulle altre. E’ chiaro anche che questa essenza generale si definisce nel concreto in strut- ture storicamente determinate. Ogni classe dominante fonda un proprio tipo di stato con caratteristiche diverse. Ad esempio l’impero schiavista dell’età classica è diverso dall’impero feudale. Ma anche nell’ambito dell’evoluzione storica delle formazioni economico-sociali che hanno la stessa classe dominante lo stato subisce profonde modificazioni. Ad esempio l’impero feudale partorisce gli stati assoluti pur nella permanenza della stessa classe dominante: l’aristocrazia. La stessa borghesia all’inizio ha a che fare con la trasformazione, o di rottura rivoluzionaria, o di recupero nella continuità della forma stato precedente. E due casi sono quelli della repubblica che esce dalla rivoluzione francese e dello stato prussiano. Il processo storico di sostituzione di una classe dominante con un’altra è infatti una questione resa complessa dal concentrarsi delle tendenze e controtendenze, rivoluzione e restaurazioni, nuove definizioni, trasformazioni e recuperi. Ma anche la forma stato che la borghesia costruisce sulla propria base, come ad esempio lo stato USA, subisce una profonda trasformazione dai suoi inizi democratico-rivoluzionari ai suoi esiti imperiali. Da uno stato “leggero” funzionale a favorire la colonizzazione di un territorio “selvaggio” a uno stato “pesante” che sviluppa un imponente apparato burocratico e un settore militarindustriale necessari al governo delle metropoli e all’espansione imperialista. In realtà quindi non abbiamo a che fare con un tipo di stato unico per tutta la fase del dominio storico della borghesia. Anche lo stato della borghesia è un prodotto storico e fa i conti con la lotta di classe e in particolare con la storia della lotta di classe delle formazioni economico-sociali di cui la borghesia è la classe dominante. In pratica lo stato borghese assolve alla finalità di imporre e riprodurre la dittatura della borghesia sviluppandosi come struttura adeguata ad affrontare le contraddizioni che nella società capitalistica si sono storicamente poste. In definitiva lo stesso modo in cui la forma stato non è eterna così non è fatta “una volta per tutte”. E’ soggetta invece a trasformazioni che rispondono alla dialettica dei rapporti e delle contraddizioni sociali. Da questo punto di vista la controrivoluzione preventiva non è una semplice politica dello stato borghese e concordo quindi sulla definizione di strategia della controrivoluzione preventiva. Va però considerato che il rapporto tra la struttura e la sua strategia è un rapporto intimo in cui la struttura serve alla strategia e in definitiva si costruisce o si trasforma sulla base della strategia. Basta pensare al caso dell’esercito di leva funzionale alla strategia di difesa nazionale da invasioni straniere e invece all’esercito professionale funzionale alla strategia delle guerre di occupazione e dominazione di territori altrui. Per cui possiamo dire che allo snodo prima guerra mondiale-rivoluzione d’ottobre si completa la trasformazione dello stato borghese in stato imperialista. Un processo che si è sviluppato lungo tutta la fase coloniale e che in seguito appunto al manifestarsi della possibilità storica della presa del potere della classe operaia ha posto la controrivoluzione preventiva al centro della costituzione materiale dello stato imperialista. L’essenza generale di questo tipo di stato è sempre quella di essere l’organizzatore dell’oppressione di classe, ma questa essenza nel suo concretizzarsi in forma e sostanza è passata al vaglio della storia. Lo stato bor- 41 ghese acquisisce nuovi caratteri per continuare a svolgere la sua funzione. E quello della controrivoluzione preventiva non è un carattere meramente esteriore e formale, una politica che potrebbe essere sostituita da un’altra, ma un carattere costitutivo e strutturale dello stato imperialista, un suo necessario e imprescindibile modo di essere (essenza). Diversamente astraendo fino a non riconoscere che il processo storico ha portato fino allo stato della controrivoluzione preventiva, dal punto di vista della concezione si rischia il dogmatismo. Fin qui per ora. Saluti comunisti e buon lavoro Piacenza, 2 aprile 2008 Claudio CLAUDIO LATINO STRADA DELLE NOVATE 65, 29100 - PIACENZA (PC) Marco Camenisch lettera inviata da Marco Camenisch ai compagni prigionieri del 12.02 per l’udienza del 27.03 Oltre alcune idee forse anche molto diverse, per il 27 marzo 2008, vi saluto di cuore dal carcere svizzero con il rispetto e la solidarietà rivoluzionaria naturale dovuta tra chi come noi lotta con umile sincerità e coraggio,ma con determinazione,contro la tortura bianca dell’isolamento,contro il carcere,lo Stato borghese del capitale imperialista e le sue guerre,i suoi deliri repressivi,sfruttatrici e devastatrici degli individui,delle società,dei popoli e dell’ambiente,per un fine che nelle libere diversità comunque ci accomuna,come non possono che unirsi molti passaggi e sforzi nella difficile via da percorrere e costruire convergendo verso questo fine comune! Con amore e rabbia Marco Camenisch, Regensdorf, Svizzera, 16 marzo 2008 Claudio Lavazza Comunicato di Claudio Lavazza sulla mobilitazione dal 7 al 14 aprile in Italia Cari compagni, mi hanno informato che dal 7 al 14 aprile 2008 si terranno delle giornate solidali per gli anarchici italiani detenuti, per denunciare l'isolamento, l'applicazione del regime EIV, la limitazione/sequestro della corrispondenza sofferta dai compagni. Per solidarizzare con essi ed anche per denunciare la situazione delle carceri spagnole, parteciperò a questa mobilitazione con uno sciopero dell'aria di 7 giorni. Il pericolo dell'isolamento vale per tutti i detenuti, sia politici che sociali, e può toccare a tutti la possibilità di essere condannati all'ergastolo ("dottrina Parot" del Tribunal Supremo español…). Approfitto dell'occasione per esprimere la mia solidarietà verso coloro che lottano nel mio paese per l'abolizione del carcere a vita. Anni fa in Spagna abbiamo lottato per l'abolizione del regime d'isolamento FIES. Ci sono stati momenti difficili, come in tutte le lotte. Certamente ve ne saranno altri più difficili nel futuro... ma credo che se riusciamo ad unire le forze dimenticandoci i settarismi ideologici avremo anche dei momenti esultanti. La miglior maniera di riuscirci è quella di dare la nostra solidarietà a tutti i prigionieri che lottano per la libertà e la vita. Che ognuno utilizzi i mezzi più idonei che ha alla sua portata. Tutto è valido se serve per fermare il meccanismo di distruzione fisica e mentale che il carcere utilizza contro di noi. Qui, in Spagna, abbiamo presentato al movimento alcune proposte di lotta per la libertà di tutti i detenuti che hanno scontato 20 o più anni di carcere; consideriamo che 20 anni sono il massimo di condanna che un detenuto può sopportare nelle carceri attuali. Questa dei 20 anni non è una nostra idea... ma del Consiglio europeo, se non erro del 1992, risoluzione 92/17: "che sono pene degradanti e che non rendono materialmente possibile il reinserimento quelle pene che abbiano una durata superiore ai 20 anni". Ciò riguarda anche paesi come l'Italia e la Germania, che costituzionalmente o nell'ordinamento giuridico contemplano l'ergastolo. Con le riforme del codice penale del 2003, in Spagna sono aumentate le pene senza possibilità di redenzione fino ai 40 anni (un ergastolo mascherato). Altri obiettivi per i quali è necessario lottare sono la libertà per tutti i detenuti gravemente malati, l'abolizione delle riforme del codice penale spagnolo del 2003, la fine della dispersione, la proibizione dell'alimentazione forzata e l'immobilizzazione meccanica di chi effettua lo sciopero della fame... e molte altre proposte con obiettivi secondari. Durante i 7 giorni di sciopero dell'aria aggiungerò qualcosa che dà fastidio all'amministrazione dell'economia del carcere, come il non sprecare denaro nel suo economato. Per un mondo nuovo e senza galere, un forte abbraccio a tutti quelli che lottano per giungere a questo risultato! Claudio Lavazza Teixeiro, A Coruña 3 aprile 2008 CLAUDIO LAVAZZA CARRETERA PARADELA S/N, 15319 TEIXEIRO-CURTIS (A CORUÑA) SPAGNA DOCUMENTO ALLEGATO AGLI ATTI DELL’UDIENZA DEL 15.04.2008: ALLA CORTE DI ASSISE DI MILANO SULLA QUESTIONE DEL PROCESSO POLITICO Fin dall’udienza preliminare la pubblica accusa,rappresentata dalla D.ssa Bocassini, ha dichiarato che il processo iniziato il 27 marzo non potrà in nessun modo essere definito un processo politico perché ella lo impedirà a chiunque, imputati o avvocati. Un bell’esempio di arroganza repressiva che si giustifica solo o con l’ignoranza o con la malafede. Ad attestare che il nostro non è un processo politico c’è solo il fat- 42 to che la D.ssa Bocassini stessa ne è garante. Insomma è come l’oste che dichiara che il vino è buono. Un chiaro segno di debolezza politica della controrivoluzione in chiave socialdemocratica. Di fronte alla crisi di un sistema di sfruttamento ed oppressione che scivola inesorabilmente verso la catastrofe della guerra, la pubblica accusa non sa far di meglio che negare la contraddizione rappresentata dall’opzione della rivoluzione proletaria, riducendo un percorso politico volto alla distruzione e al superamento radicale dello sfruttamento e dell’oppressione in una serie di “episodi e sodalizi criminosi”. Fa questo per cercare inutilmente di impedire che dal mare di sofferenza e di assenza di prospettive a cui il sistema capitalista sta sempre di più condannando la stragrande maggioranza dei lavoratori ,dei proletari e dell’umanità affiori la soggettività che spazzerà via la borghesia in quanto classe di sfruttatori ed oppressori. Per questo, prima che la condanna, la pubblica accusa persegue la distruzione dell’identità rivoluzionaria degli imputati. Nega il processo politico per negare l’identità politica dei processati. Ma tutto ciò non è semplice e presenta molteplici contraddizioni. In primo luogo naturalmente c’è l’identità collettiva rivoluzionaria che gli imputati rappresentano fondata sull’inequivocabile identità sociale e politica, per la maggior parte operai e lavoratori impegnati nella difesa degli interessi materiali della loro classe. Un osso duro da digerire nel processo di spoliazione dell’identità politica. Nella stessa sfera giuridica la contraddizione si ripresenta chiaramente nel contenuto delle fattispecie di reato utilizzate come ad esempio quella del reato tipicamente “politico” dell’associazione sovversiva definita dall’art.270 e seguenti che, da buoni derivati del codice fascista Rocco, da cui traggono origine, perseguono esplicitamente chiunque sulla base della lotta di classe voglia sovvertire l’ordine costituito. Questo naturalmente al fine non dichiarato di salvaguardare la dittatura borghese vestita da democrazia formale. Ma a parte queste considerazioni di sostanza che, nella dimensione del conflitto che oppone la borghesia al proletariato,si possono definire di parte, ne esistono altre che potremmo definire di forma. Infatti nella stessa formalità della dottrina della giurisprudenza borghese si determina la politicità del processo anche dal carattere speciale, d’eccezione, del giudice. E’ il caso del tribunale speciale fascista o quelli più recenti dei vari tribunali internazionali come quello dell’Aja o ancora quello delle Corti USA che giudicano i prigionieri di guerra detenuti a Guantanamo. Nel nostro processo a dire il vero non c’è un giudice speciale, ma quello di turno rappresentato dalla prima sezione della Corte di Assise di Milano. Però questo fatto, come tutti i fatti della vita, e soprattutto della macchina della giustizia borghese, può essere aggirato. Vediamo come nel caso specifico ciò è stato fatto. Nei mesi successivi all’arresto praticamente tutti gli imputati sono stati arbitrariamente allontanati di centinaia fino anche ad un migliaio di chilometri dalla sede del tribunale dove si svolge il processo e conseguentemente anche dalla sede della maggior parte dei difensori di fiducia. Imputati arrestati a Padova per un’inchiesta di Milano sono stati mandati, benché in attesa di giudizio, all’Ucciardone di Palermo o a Catanzaro; altri, arrestati a Milano, sono finiti a Poggioreale di Napoli e questo sicuramente non per mancanza di posto in sedi più vicine. Tutti gli imputati sono stati sottoposti a periodi di isolamento di parecchi mesi. Uno di essi è stato in isolamento dall’arresto per più di un anno. L’artificio utilizzato è un vero e proprio sotterfugio amministrativo: pur essendo classificati EIV (Elevato Indice di Vigilanza) vengono sistematicamente collocati in carceri sprovvisti di Sezioni EIV cosicché la Direzione Penitenziaria locale si vede in obbligo di detenerli in condizioni di assoluto isolamento. Altri imputati sono sottoposti a regime di censura della corrispondenza non legittimato da esigenze investigative formalmente eccepite dalla pubblica accusa, ma stranamente richiesto dall’autorità penitenziaria. Stranamente perché si tratta sempre di detenuti in attesa di giudizio e quindi essenzialmente sottoposti all’autorità giudiziaria. Queste situazioni si perpetuano anche con l’inizio del processo di primo grado. Un imputato è stato assurdamente “avvicinato”alla sede processuale di Milano con un trasferimento da Cuneo a Ferrara. Un altro da Palermo a Vicenza ed entrambi si trovano in regime di isolamento. Inoltre l’imputato attualmente detenuto a Ferrara soffre di discopatia lombare cosicché le lunghe traduzioni a Milano risultano alquanto dolorose e potrebbero aggravare la sua patologia e compromettere la sua presenza futura alle udienze. Di fatto queste sono tutte misure intraprese da un’ autorità amministrativa che ha la caratteristica di celarsi tra le pieghe del sistema penitenziario e che è formalmente estranea al processo in questione. In aggiunta, nella situazione in cui si trovano, gli imputati possono interloquire con i loro difensori di fiducia, oltre che tramite la corrispondenza censurata, direttamente solo tramite il telefono, a meno di non impegnare gli avvocati stessi in estenuanti trasferte che sottraggono in ogni caso tempo e denaro alle esigue risorse difensive. In specifico la legge da facoltà di telefonare agli avvocati, ma ecco nuovamente l’interferire dell’autorità amministrativa estranea, che sotto la copertura di un normale regolamento (regolamento penitenziario del 2000) considera equiparabile il difensore di fiducia ad un semplice conoscente dell’imputato e come tale lo tratta pretendendo di conoscere le motivazioni alla base della richiesta di colloquio telefonico e riservandosi arbitrariamente di concedere o non concedere la conversazione telefonica con questo “conoscente di fiducia”. In definitiva questa autorità amministrativa estranea al processo di fatto si erge a deus ex machina della vicenda processuale. Nello specifico delle telefonate al difensore di fiducia autorizza o non autorizza senza giustificazione anche a fronte di autorizzazioni già concesse dall’autorità giudiziaria. In alcuni casi considera addirittura che le telefonate al difensore vadano a sottrarsi a quelle mensilmente consentite ai familiari. Tutto ciò comporta che gli imputati siano posti in gravi difficoltà per quanto riguarda la pianificazione del loro discorso difensivo. In pratica questo deus ex machina utilizza l’amministrazione penitenziaria centrale e le sue articolazioni nelle direzioni dei vari penitenziari in cui gli imputati sono detenuti per interferire direttamente 43 sulle capacità di difesa. In questo modo aggira le stesse disposizioni di legge, che tutelano formalmente il diritto alla difesa, coprendo i suoi arbitrii in merito alla collocazione degli imputati con imperscrutabili decisioni del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) o quelli in merito alle telefonate ai difensori con sue circolari interne che qualificano gli avvocati come individui poco raccomandabili quando sono al telefono mentre diventano rispettabili quando possono fisicamente presentarsi alle porte del carcere. Qualche giurista particolarmente formalista potrà contestare la necessità del contatto con l’avvocato sostenendo che quest’ultimo, una volta nominato, sa cosa è meglio per il suo assistito. Ma questo non corrisponde al vero per la stessa giurisprudenza borghese che, nel rapporto che lega l’imputato all’avvocato, vede l’imputato come parte dominante. E’cioè lui che determina quale sia il suo interesse da tutelare nel processo e questo interesse può non essere la semplice assoluzione, o la riduzione del danno di tipo penale. Infatti il diritto alla difesa, sancito dalla costituzione borghese, non riguarda un fatto meramente tecnico. Riepilogando, nel merito della questione della specialità del giudice come condizione per la classificazione di un processo come politico da parte del diritto borghese italiano, cosa c’è di più speciale dell’intervento amministrativo reiterato di un organo amministrativo estraneo al processo che allontana gli imputati di centinaia di chilometri dalla sede del processo, che li confina con artifici burocratici, che ne limita la comunicazione con i difensori di fiducia con tattiche ostruzionistiche? La successiva questione che si pone è se l’intervento di questa entità amministrativa estranea al processo è unicamente frutto della solerzia di alcuni burocrati, oppure se questa solerzia è stata sollecitata direttamente dalla pubblica accusa rappresentata dalla D.ssa Bocassini che si è fatta garante della non politicità del processo. In entrambi i casi, come si è visto dallo stesso punto di vista della forma, della giurisprudenza borghese, il processo è già politico. Come lo è d’altra parte nella sostanza: nei suoi soggetti, nelle sue finalità, e nella sua parte giuridica, visto che l’art. 270 è di contenuto espressamente politico. E questo nessuna arroganza repressiva lo può negare!!! Cogliamo l’occasione per chiedere alla corte oltre che l’autocomposizione delle gabbie durante le udienze, anche la fine di qualsiasi forma di isolamento illegittimo degli imputati in carcere e il raggruppamento di tutti gli imputati in un unico carcere vicino a Milano nel periodo del processo. INTERVENTO DI CLAUDIO LATINO ALL’UDIENZA DEL 15-04-2008 ALLEGATO AGLI ATTI Premesso che voi siete qui a difendere uno stato che noi vogliamo abbattere perché lo consideriamo una dittatura della borghesia sul proletariato e sulle masse popolari e che quindi c’è una radicale opposizione di interessi tra voi magistratura inquirente e giudicante e noi militanti comunisti rivoluzionari. Premesso questo si tratta di stabilire se qui intendete rispettare quello che nella forma è un diritto fondamentale per la stessa giurisprudenza borghese cioè il diritto di parola e di espressione. Nel nostro caso il diritto di esprimerci liberamente a nostra difesa. In particolare se possiamo utilizzare le nostre parole e i nostri concetti o se invece dobbiamo attendere istruzioni e delucidazioni dalla pubblica accusa e attenerci di fatto alle sue decisioni in merito a come noi possiamo difenderci. Noi di fronte a questa corte siamo accusati oltre che di alcuni fatti cosiddetti specifici anche e principalmente di reati cosiddetti associativi. In particolare di quello che è descritto nell’art. 270 bis, cioè ”Associazione sovversiva con finalità di eversione dell’ordinamento democratico”. Questo articolo, nella sua stessa formulazione, sanziona un comportamento,o meglio un progetto di tipo politico. In particolare è riferito, citando il testo, a “chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige e finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico”. E’ chiaro quindi che l’impianto dell’accusa è politico e perciò respingiamo la pretesa dell’accusa di impedire la nostra difesa politica. Questa pretesa è determinata dalla debolezza politica dell’accusa che poi è un riflesso della debolezza politica della borghesia e in particolare della sinistra borghese di fronte alla crisi del sistema capitalista e alle lotte operaie e proletarie. E’ la stessa debolezza che impone di chiamare ”missioni umanitarie” o “operazioni di pace” la guerra di conquista e la devastazione di territori altrui ,di chiamare “riforma del mercato del lavoro” l’indiscriminato aumento dello sfruttamento e la precarizzazione dei rapporti di lavoro. Una debolezza che nel nostro caso ha come conseguenza la necessità della accusa di ridurre il tutto ad una mera questione di soggetti e d episodi di criminalità senza identità e motivazioni politiche. Schizofrenia vuole che dovremmo essere accusati, cioè attaccati come associazione politica, che per come la pensiamo noi ha una finalità rivoluzionaria, difenderci invece come individui portatori di comportamenti criminali, o forse meglio ancora non difenderci affatto. Noi qui non abbiamo la pretesa di convincervi della giustezza delle nostre idee e dei nostri progetti perché siamo su due fronti opposti del conflitto di classe che spacca in due questa società: tra sfruttatori e sfruttati, tra borghesi e proletari, tra padroni e operai. Ma non rinunceremo al compito, anche in quest’aula, di fornire a tutti quelli che vogliono capire la nostra spiegazione del perché siamo qui in questa condizione di imputati. La nostra difesa politica sarà quella di chiarire le ragioni della rivoluzione proletaria, le motivazioni del nostro operare in questa prospettiva. Cioè quelli che il vostro codice definisce “eversione dell’ordine democratico”, che noi consideriamo l’ordine della classe degli sfruttatori che si copre con la parola “democratico”. Un ordine che come tutte le cose di questo mondo è destinato a perire e a essere sostituito con un ordine superiore in cui saranno superate le distinzioni di classe, in cui gli sfruttati si libereranno dagli sfruttatori. La nostra piccola vicenda si colloca in questo processo storico. 44 DOCUMENTO ALLEGATO AGLI ATTI NELL'UDIENZA DEL 15/4/08 RIVOLUZIONE o CONTRORIVOLUZIONE Ai comunisti, alle avanguardie operaie, ai proletari che lottano, alle donne oppresse e ribelli Con il processo ai comunisti/e arrestati/e il 12.2.07, ancora una volta, si contrappongono nei tribunali borghesi due classi: borghesia e proletariato. L’una, la borghesia, che detiene il potere (cioè che nel tempo ha costruito in sua funzione un apparato repressivo e giuridico), accusa l’altra, il proletariato che, nella figura di alcuni/e militanti comunisti/e, cerca di costruire la propria autonomia politica di classe, cioè rivoluzionaria. L’obiettivo è sempre lo stesso: far sì che il capitalismo sopravviva alle sue crisi, alla sua barbarie e che possa, indisturbato, continuare a distribuire lussi e privilegi ad un’esigua minoranza sulle spalle e sulla pelle della maggioranza. Per questo, dove non arriva l’inganno della loro falsa democrazia, arrivano la repressione e la giustizia borghesi. L’attacco repressivo mostra la faccia del revisionismo 1 che, per servire i padroni, si è fatto Stato e che oggi trova la sua espressione nell’asse D’Alema-NapolitanoBertinotti, principale supporto alla politica anti-proletaria del governo Prodi e che ha in una componente della magistratura uno dei suoi principali centri di potere. La Procura di Milano ne è la migliore rappresentazione. È un processo politico! Un processo in cui la pubblica accusa e gli imputati sono soggetti politici, il principale reato contestato – “associazione sovversiva” – è politico, e gli obiettivi di tutte le parti sono politici. L’obiettivo principale che la borghesia persegue con questo processo è di togliere legittimità alla lotta rivoluzionaria del proletariato, riducendola ad episodi criminali. Operazione necessaria per propagandare la legittimità della repressione ed incutere timore nei confronti delle aree proletarie sensibili alle istanze rivoluzionarie. Soddisfacendo così l’esigenza primaria di contenere la tendenza all’autonomia politica della classe. Questo sul piano strategico. Sul piano tattico, invece, l’inchiesta prima ed il processo poi, puntano a rafforzare il traballante governo di “centro sinistra”, espresso dall’attuale equilibrio di interessi interni alla borghesia imperialista italiana. Il perseguimento di questi obiettivi è oggi necessità vitale per i nostri padroni. La loro classe, infatti, si trova sempre più nella condizione di vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro negli scontri che la crisi generale del modo di produzione capitalistico determina. La strategia della “guerra infinita” promossa dagli imperialisti USA ha aperto una nuova fase di destabilizzazione globale e rilanciato la lotta per la nuova spartizione del mondo tra le potenze imperialiste. Ora principalmente ai danni delle nazioni oppresse del Tricontinentale (Asia, Africa, America Latina) iniziando dai popoli i cui regimi hanno cercato uno sviluppo auto-centrato, svincolato dalla tutela e dal rapporto semicoloniale che gli imperialisti impongono. Questa è una ….. che già si configura come terza guerra mondiale strisciante. La borghesia imperialista italiana è impegnata in prima persona in questo sistema di guerre come mostrano chiaramente le sedicenti missioni “umanitarie” prima in Iraq, poi in Afghanistan e in Libano. È un cammino di distruzio- ne e morte, gravido di contraddizioni che si acuiscono fin dentro le formazioni sociali imperialiste. Un cammino che mostra agli occhi delle grandi masse la crisi del sistema, e mette drasticamente in luce la necessità del suo radicale superamento. Per crisi del sistema non intendiamo solo crisi economica, nel suo senso corrente del termine. Intendiamo quel fenomeno complessivo, economico-sociale-politico, originato dalle leggi di funzionamento del modo di produzione capitalistico (come “la legge del plusvalore”, cioè la legge dello sfruttamento del lavoro e che, guarda caso, “non risulta” alla “scienza economica” ufficiale, cioè all’ideologia dominante). Parliamo della “crisi da sovrapproduzione di capitale” che su scala mondiale è cronica: ci sono troppi capitali che cercano profitti, le occasioni di investimento non bastano, la concorrenza è sempre più feroce e degenera spesso in conflitto armato. Questa sovrapproduzione di capitale determina quel fenomeno, pazzesco e criminale, per cui “si sta male, perché si produce troppo!” La sovracapacità produttiva, invece di essere utilizzata socialmente, porta alle continue ristrutturazioni e miseria per il proletariato. E ancora, è essa la causa più vera ed implacabile delle guerre imperialiste: non solo per l’aggressività concorrenziale che scatena ma anche perché, a termine, non c’è altra soluzione (per questo demenziale modo di produzione) che la distruzione di eccedenti. Sul campo di macerie altrui … i gruppi imperialisti e gli Stati vincenti possono ripartire con l’accumulazione. È la storia degli USA in Europa e Asia dopo il ’45, ed è l’attuale storia con Iraq, Afghanistan, … Da questo genere di crisi – generale e storica – il capitalismo non esce con mezzi economici ordinari. E, infatti, non vi riesce nonostante trent’anni di attacchi alle conquiste della classe operaia e del proletariato: aumento dello sfruttamento, arretramento delle condizioni di vita e lavoro. Nonostante i salti tecnologici, ed il crollo dei regimi revisionisti che avevano preso il sopravvento nei paesi socialisti e spianato la strada alla restaurazione capitalistica. Nel campo delle contraddizioni di classe, infatti, gli attacchi si sono ripetuti senza soluzione di continuità soprattutto dall’abolizione della scala mobile in poi: attacco al posto di lavoro fisso, ripetute “riforme” delle pensioni e tagli ai servizi sociali, limitazioni al diritto di sciopero, flessibilità e precarizzazione, furto del TFR a profitto del capitale finanziario, così come le privatizzazioni del patrimonio pubblico (costruito con i soldi dei lavoratori). Anche se i lavoratori sono diventati la merce che costa di meno, tutto ciò non basta. Il capitalismo in crisi è una belva feroce, mai paga, e la crisi si ripresenta sempre più acuta ad ogni curva della spirale; come nel recente caso della crisi finanziaria sui mutui immobiliari negli USA. L’elemento di novità è, in questo caso, nell’incapacità dell’imperialismo dominante a scaricare la crisi sulle formazioni sociali dipendenti come è successo nel recente passato nei casi delle crisi finanziarie scaricate sulle economie di Messico, sud-est asiatico, Russia o Argentina. Questa incapacità testimonia la gravità della crisi e dà nuovo impulso alla politica dei cannoni, non tanto per il carattere soggettivamente criminale della borghesia imperialista ma, anche perché, nell’ambito di questo sistema, la guerra è l’unico mezzo che gli imperialisti 45 hanno per registrare i nuovi rapporti di forza, contendersi e spartirsi le sfere d’influenza ed i super-profitti derivati dalla dominazione coloniale e semi-coloniale. Il vero limite alla barbarie che contraddistingue quest’epoca storica di putrefazione delle formazioni sociali imperialiste è ancora la Rivoluzione Proletaria. “O la Rivoluzione impedisce la guerra, o la guerra scatena la Rivoluzione” – Mao Tse Tung. Questo dato è acquisito storicamente nell’essenza stessa degli stati imperialisti che dalla Rivoluzione d’Ottobre in poi, si sono strutturati come stati della controrivoluzione preventiva 2. Una costruzione statale che è rafforzata dalla cooptazione, a ondate successive, dei vari ceti politici revisionisti (post-socialisti, post-comunisti, postextraparlamentari, pentiti e dissociati di vario genere). Questi bubboni opportunisti, alimentati dai padroni all’interno della classe, incarnano l’assunto ideologico per cui l’epoca imperialista sarebbe “la fine della storia” e di conseguenza non ci sarebbe alternativa all’imperialismo. Si cimentano nell’arduo compito assegnato loro di nascondere la realtà che la storia procede in base a contraddizioni e alla lotta di classe e che “finirà” solo nella società senza classi. Ne consegue l’altro loro compito di illudere le masse sull’utilità della partecipazione alle istituzioni borghesi ed a compagini governative che non possono essere che di chiara marca capital-imperialista. Questi traditori della classe operaia ripetono come pappagalli il verbo dei loro padroni: sul dio-mercato, sulla mondializzazione del capitale che darebbe pace e progresso ai popoli. Cercano maldestramente di nascondere le feroci lotte tra i diversi gruppi imperialisti ed il loro reale contenuto, cioè la nuova spartizione del mondo; accodandosi alle peggiori ipocrisie anti-proletarie e colonialiste, come la mistificazione delle “missioni di pace” e delle “guerre umanitarie”. Ma il procedere stesso delle contraddizioni li smaschera, come mostra la vicenda del governo Prodi. Qui i “pacifisti” siedono con i guerrafondai, votano crediti di guerra e partecipano alle manifestazioni contro la guerra. Approvano la costruzione di basi strategiche dell’imperialismo USA o investimenti prettamente capitalistici, come la TAV, e vogliono partecipare alle lotte che in conseguenza si sviluppano. Accondiscendono al proseguimento dell’attacco alle condizioni di lavoro, alla precarizzazione (ratifica legge Biagi), e poi cercano di cavalcare la protesta che questa politica padronale suscita. Questa vera e propria schizofrenia ha come unica spiegazione la debolezza della prospettiva imperialista e, quindi, la necessità di svolgere un lavoro di recupero, demoralizzazione, sfiancamento dall’interno dei movimenti di massa. Per compensare questa debolezza di prospettiva, serve la semina di disillusione e sfiducia, servono i “sinistri radicali” ed il loro bagaglio di imbecillità ideologiche, quali il “pacifismo”. 1 In stretta dialettica con queste attività demolitrici delle dinamiche di massa c’è l’attacco repressivo all’opzione rivoluzionaria, perché la mistificazione ha qualche possibilità di reggere fintanto che nessuno dica, con teoria e pratica rivoluzionaria, che “il Re è nudo!”. Cioè che il capitalismo è prigioniero delle proprie leggi e contraddizioni, sprofondando la società nel baratro di miserie, violenze, guerre. Ma è anche gravido della Rivoluzione Prole- taria e, solo questa, può affrontarlo e vincerlo. La stessa debolezza li spinge a portare a fondo quest’attacco mobilitando tutte le loro risorse ideologiche, politiche, militari, giudiziarie. Tutto ciò per impedire la costituzione del proletariato in forza ideologico-politicomilitare indipendente. L’azione di controrivoluzione, che ha espresso questo processo, risponde essenzialmente a questa esigenza. Come il processo mediatico, orchestrato dopo il blitz del 12 febbraio risponde all’esigenza di denigrare la possibilità della Rivoluzione Proletaria e di qualificare come provocatori infiltrati le avanguardie reali della classe operaia che lotta. Non siamo qui per dichiararci colpevoli o innocenti. Queste sono categorie vostre. Noi non possiamo che dichiarare che la nostra giustizia non è la vostra giustizia. La vostra è quella che assicura l’impunità ai padroni massacratori di operai, come alla Eternit (3.000 operai uccisi, solo quelli accertati!), nei petrolchimici, nei cantieri edili e navali o tra le fiamme delle acciaierie; l’impunità agli stragisti di Stato, alla violenza poliziesche e repressive; nonché, e soprattutto, base legale alla sistematica rapina capitalistica sul lavoro operaio e sociale. La nostra giustizia considera: la fine dello sfruttamento e l’uguaglianza sociale ed economica; l’eliminazione definitiva della logica del profitto e delle sue conseguenze come le guerre di rapina e le distruzioni ambientali; la fine dell’oppressione imperialista e la solidarietà fra i popoli; la dittatura del proletariato come unica forma istituzionale con cui sia possibile imporre tutto ciò alla classe degli sfruttatori, e costruire una società socialista. L’unica soluzione giuridica che lo Stato pone è la rinnegazione dell’antagonismo di classe. È il punto più alto dell’ipocrisia della giustizia borghese dal momento che questo processo e la sua sentenza sono chiaramente atti della guerra di classe. La Rivoluzione Proletaria non si processa! Essa stessa è un processo storico, l’unica via possibile per l’emancipazione dell’umanità dallo sfruttamento feroce e dalle guerre devastanti a cui la putrefazione dell’epoca imperialista del capitalismo la sta costringendo. La via democratica per la trasformazione sociale non è mai esistita, le classi che hanno il potere non la cedono mai democraticamente, ma sempre in seguito a lotte rivoluzionarie. A noi comunisti resta il compito di indicare e tracciare oggi questa via, la via della Rivoluzione Proletaria. Possiamo farlo solo costruendo il Partito Comunista della classe operaia che diriga, sviluppando la sua politica rivoluzionaria, la lotta per il potere. Noi ai proletari non facciamo promesse, non diciamo “vi daremo…”, ma “questa è la via, combatti! Libertà e felicità si conquistano solo con la lotta e nella lotta, dentro un lungo processo rivoluzionario”. I limiti e gli errori del passato dei precedenti tentativi rivoluzionari non sono un motivo per buttarli via (come la canea borghese urla in continuazione, invocando la morte del comunismo). Limiti, errori, contraddizioni sono la linea di frontiera da cui partire; sono da risolvere nei nuovi tentativi e facendo forza sulle grandi acquisizioni compiute. 1 Come la pratica e la teoria della Guerra Popolare Prolungata che tanti successi ha consentito nel secolo 46 scorso. Una politica rivoluzionaria si può fare solo con l’unità del politico-militare in un partito che raccoglie le migliori forze della classe operaia e del proletariato, che unisce le rivendicazioni particolari, economiche e sociali alla necessità dell’abbattimento dell’ordinamento capitalistico in una giusta dialettica partito/masse. Per questo bisogna affrontare i diversi piani dello scontro, nel senso dello sviluppo dell’autonomia politica della classe: promuovere la crescita di organismi di massa dentro alle lotte, e costruire il Partito Comunista PoliticoMilitare per dirigere la lotta per il potere. Il che vuol dire, naturalmente, rompere il cordone ombelicale opportunista con il gioco politico istituzionale sviluppando le lotte nel senso dell’accumulazione di forze entro una precisa strategia di lotta rivoluzionaria: la strategia della Guerra Popolare Prolungata, universalmente valida per le classi ed i popoli oppressi nell’epoca imperialista. delle classi, delle leggi mercantili, della proprietà privata, infine pure dello Stato. L’UNICA GIUSTIZIA è QUELLA PROLETARIA COSTRUIRE IL PARTITO COMUNISTA DELLA CLASSE OPERAIA NELL’UNITÀ DEL POLITICO-MILITARE UTILIZZARE LA DIFESA PER ORGANIZZARE L’ATTACCO COSTRUIRE IL FRONTE POPOLARE CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA MORTE ALL’IMPERIALISMO – LIBERTÀ AI POPOLI 4 A questa deviazione, ed all’incapacità dei comunisti di farvi fronte, è da imputare principalmente la sconfitta del socialismo. E ai ritardi del proletariato dei paesi imperialisti nell’esprimere una propria rappresentanza politica autonoma dagli interessi della borghesia. I MILITANTI PER LA COSTITUZIONE DEL PARTITO COMUNISTA POLITICO-MILITARE PC P-M 12/12/07 Note 1 Revisionismo: indichiamo con questo termine la revisione in senso negativo del patrimonio teorico e pratico del movimento comunista internazionale. Esso consiste nella revisione dei principi marxisti fondamentali: alla Rivoluzione armata, come passaggio obbligato per la trasformazione sociale, sostituisce la “via pacifica e parlamentare al socialismo”; alla teoria dello Stato, macchina di classe per l’oppressione di classe, sostituisce l’imposture dello “Stato di tutti i cittadini, al servizio dei cittadini”. A queste falsità e tradimenti nel campo politico corrisponde l’abbandono degli obiettivi finali del Comunismo: abolizione di capitale e lavoro salariato, estinzione 2 A questi obiettivi programmatici, il revisionismo sostituisce il compromesso con il sistema capitalistico. Sempre più al ribasso (come la recente, squallida storia degli exPCI insegna), fino a diventare tutt’uno con il sistema. 3 Questa deviazione si affermò agli inizi del 1900, e portò la Socialdemocrazia europea a giustificare e schierarsi con la Grande Guerra imperialista, distruggendo così la Seconda Internazionale. Si affermò ancora con Krusciov ed il 20° Congresso del PCUS (’56), aprendo la strada alla restaurazione del capitalismo, e facendo degenerare gran parte del M.C.I (come il PCI, appunto). Furono principalmente Mao e la Rivoluzione Culturale in Cina a guidare il rilancio del MCI. 5 La lotta al revisionismo ed al riformismo (come sua appendice pratica) è dunque una condizione essenziale per la ripresa del movimento rivoluzionario. Controrivoluzione preventiva: indichiamo con questa categoria l’essenza cui è giunto lo Stato nell’epoca dell’imperialismo. Sin dalla sua nascita, il capitalismo ha usato lo Stato come sovrastruttura finalizzata a mantenere la sottomissione della classe lavoratrice e proletaria, a sancire la proprietà privata dei mezzi di produzione. Con l’avvento dell’imperialismo ma anche delle vittoriose Rivoluzioni Proletarie in molti paesi, lo Stato si è sviluppato essenzialmente in funzione controrivoluzionari. Utilizzando riformismo e fascismo come due facce di una stessa medaglia, per ingannare e reprimere il proletariato nella sua strada verso l’emancipazione, per scongiurare preventivamente l’insorgenza rivoluzionaria. 47 ELENCO DI ALCUNI PRIGIONIERI POLITICI E ALTRI CON CUI SIAMO IN CORRISPONDENZA, AGGIORNATO AD APRILE 2008 Casa di Reclusione, strada statale 31, 15100 Alessandria San Michele (AL) Faro Antonio Toschi Massimiliano Casa di Reclusione, via Nuova Poggioreale 177, 80143 - Napoli Poggioreale (NA) Sorroche Fernandez Juan Antonio Rossetti Busa Mauro Casa Circondariale via G. Testa, 101 localita' Quarto Inferiore, 14030 - Asti (AT) Gaeta Massimiliano Casa Circondariale, via Roma verso Scampia 350, 80144 Napoli Secondigliano (NA) Catgiu Francesco Casa Circondariale Via Ermete Novelle 1 82100 Benevento Khaled Hussein Casa di Reclusione, via Badu e Carros 1, 08100 Nuoro Badu e Carros (NU) Coccone Pietro Casa Circondariale, viale dei Tigli 14, 13900 Biella (BI) Di Lenardo Cesare Minguzzi Stefano Colla Giorgio Alè Carlo Casa di Reclusione, via Burla 59, 43100 - Parma (PR) Mezzasalma Marco Casalini Daniele Casa Circondariale + Casa di Reclusione La Dozza Via del Gomito 2, 40127 Bologna (BO) Pontolillo Michele Casa Circondariale + Casa di Reclusione, via San Biagio 6, 81030 - Carinola (CE) Porcu Francesco Mazzei Michele Casa Circondariale Via Arginane 327, 44100 Ferrara (FE) Sisi Vincenzo Casa Circondariale + Casa di Reclusione Via Girolamo Minervini 2/R 50142Firenze Solliciano (FI) Gioia Francesco Casa Circondariale, via Amiternina 3 località Costarelle di Preturo, 67100 - L'Aquila (AQ) Lioce Nadia Desdemona Casa Circondariale, via Aspromonte 100, 04100 Latina (LT) Cappello Maria Lupo Rossella Vaccaro Vincenza Argano Gloria Berardi Susanna Fabrizi Barbara Casa Circndariale via San Quirico 9, 20052 - Monza (MI) Scantamburlo Andrea Casa Circondariale Strada delle Novate 65, 29100 Piacenza (Pc) Bortolato Davide Latino Claudio Casa Circondariale “Nuovo Compleso”, via Raffaele Majetti 70, 00156 - Roma Rebibbia (RM) Garagin Gregorian Avni Er Casa Circondariale femminile + Casa di Reclusione femminile, via Bartolo Longo 92, 00156 - Roma Rebibbia (RM) Algranti Rita Blefari Melazzi Diana Zeynep Kilic Casa Circondariale + Casa di Reclusione, via Maiano 10, 06049 - Spoleto (PG) Musumeci Carmelo Casa Circondariale + Casa di Reclusione Via Lamaccio 2, 67039 Sulmona (Aq) Ravalli Fabio Donati Franco Fosso Nino Fabiani Michele Di Cecco Giuseppe Garavaglia Carlo Grilli Franco Casa Circondariale Via delle Campore 32, 05100 Terni (Tr) Morandi Roberto Scarabello Stefano Casa Circondariale Via del Rollone 19, 13100 Vercelli (Vc) Ghirardi Bruno 48 Casa Circondariale + Casa di Reclusione Via Prati Nuovi 7, 27058 Voghera (Pv) Greco Matteo Casa Circondariale Via Tre Fontane 28, 88100 Siano (Cz) De Maria Nicola Broccatelli Paolo Boccaccini Simone Fuccini Luigi Galloni Franco Casa Cirondariale via Gravellona 240 frazione Piccolini, 27029 - Vigevano (PV) Davanzo Alfredo Prigione Carretera Paradela s/n, 15319 Teixeiro-Curtis (A CORUÑA) SPAGNA Lavazza Claudio PRIGIONIERI IN FRANCIA A 1680 MC de Lannemezan Rue des Saligues, BP 166 65307 Lannemezan France Georges Ibrahim Abdallah Jean-Marc Rouillan 49, Rue de la 1ère armée F 68190 Ensisheim France Georges Cipriani Centre de detention Chemin des Anzacs F 62451 Bapaume Cedex France Fernando Hierro Chomón quartier femmes Nathalie Ménigon 9484 QI 129 Centre pénitentiaire de Clairveaux 10310 Ville sous la ferté France Régis Schleicher Nathalie Menigon e Jean Marc Rouillan sono attualmente in semi libertà PRIGIONIERI IN GRECIA dikastikes filakes korydallou 181 22 athens-piraeos greece Alexandros Giotopoulos Christodoulos Xiros Dimitris Koufodinas Iraklis Kostaris Kostas Karatsolis Nikos Papanastasiou Patroklos Tselentis Savvas Xiros Sotiris Kondylis Thomas Serifis Vassilis Tzortzatos Vassilis Xiros PRIGIONIERI IN SPAGNA prigionieri vicini al Partito Comunista Spagnolo Ricostituito e ai Gruppi Antifascisti Primo Ottobre: Prision de Madrid I (Meco) 28880 Alcalá de Henares (Madrid) Gemma Rodríguez Miguel Victoria Gómez Méndez Prision de Madrid II (Meco) 28880, Alcalá de Henares (Madrid) Manuel Pérez Martínez 49 Prision de Madried VI - Aranjuez Carretera Nacional 400, Kilómetro 28 Apartado de Correos 210 28300 Aranjuez (Madrid) Marcos Regueira Fernández Manuel Ramón Arango Riego Prision de Valencia II Apartado de Correos 1002 46225 Picassent (Valencia) Encarnación León Lara Lucio García Blanco Prision de Jaén II Carret. Bailén-Motril kmt.28 23009 Jaén Mónica Refojos Pérez Santiago Rodríguez Muñoz Prision de la Moraleja Carret. Local P-120 34210 DUEÑAS (Palencia) Maria José Baños Andújar David Garaboa Bonillo Prision de Villanubla 47071 Valladolid Francisco Cela Seoane Prision de A Lama 36830 A Lama (Pontevedra) Javier García Victoria Juan Carlos Matas Arroyo Prisión de Herrera de la Mancha Ciudad Real Jorge García Vidal Prisión de Botafuegos (Algeciras) Ctra. del Cobre, kmt. 4.5 11207 Algeciras (Cádiz) Israel Clemente López Prision Ocaña I c/ Mártires de Ocaña 4 45300 OCAÑA Toledo Marcos Martín Ponce Centro Penitenciario de Teixeiro-Curtis Estrada de Paradelas s/n 15310 Curtis (A Coruña) Carmen López Anguita Jesús Merino del Viejo Prision de Granada Apartado de Correos 2062 18220 Albolote (Granada) Olga Oliveira Alonso Prision de Badajoz Carretera Olivenza, km. 5 06008 Badajoz Jesús Cela Seoane Prision de Fontcalent Apartado de Correos 5050 03071 Alicante Concepción González Rodríguez José Ortín Martínez Prision de Topas 37799 Salamanca Manuel Carmona Tejedor Prision de Puerto de Santa Maria I Apartado de Correos 555 11500 Puerto de Santa María (Cádiz) Laureano Ortega Juan García Martín Miguel Angel Bergado Martínez Prision de Sevilla 2 Carretera Torreblanca Mairena del Alcor, km.3 41071 Sevilla Apartado 7113/23 41080 Sevilla Jaime Simón Quintela Enrique Cuadra Etxeandia Prision de Brieva Apartado de Correos 206 05194 Ávila Isabel Aparicio Sánchez Arantza Díaz Villar Maria Jesús Romero Vega Prision de Villabona Finca Tabladillo Alto 33271 Villabona (Asturies) Carmen Cayetano Navarro Prision de Zaragoza Carretera Nacional 338, kmt.539 50298 Zuera (Zaragoza) Yolanda Fernández Caparrós Joaquín Garrido González Centro penitenciario Alacant-II Carretera Nacional 330, kmt.66 03400 Villena (Alacant) Aurora Cayetano Navarro María Ángeles Ruiz Villa Israel Torralba Blanco Prision de Mansilla Finca de Villahierro 24210 Mansilla de las Mulas (León) Ignacio Varela Gómez Jose Luis Elipe López Prision de Cordoba Autovía Madrid - Cádiz, km. 391 14015 Córdoba Carmen Muñoz Martínez 50 PRIGIONIERI IN SVIZZERA Leoncio Calcerrada Fornielles PF 3143 - CH-8105 Regensdorf (Zurigo) SVIZZERA Camenisch Marco Aachener Str. 47 53359 Rheinbach Germany Jose Fernandenz Delgado PRIGIONIERI IN GERMANIA Marliring 41 23566 Lübeck Germany Rainer Dittrich JVA Rottenburg Außenstelle Tübingen Doblerstr. 18 72074 Tübingen Germany A.Düzgün Yüksel Bnr: 746/07/2 Justizvollzugsanstalt für Frauen in Berlin Arkonastr.56 13189 Berlin Germany Andrea Neff Obere Kreuzäckerstr. 4 60435 Frankfurt Germany Birgit Hogefeld Bnr: 441/08/5 JVA Plötzensee Lehrter Str. 61 10557 Berlin Germany Christian Sümmermann JVA Schwäbisch Hall Kolpingstr.1 74528 Schwäbisch Hall Germany Devrim Güler Simonshöfchen 26 42327 Wuppertal Germany Faruk Ereren Krefelder Str. 251 52070 Aachen Germany Gabriel Pombo da Silva JVA Stuttgart Stammheim Asperger Str. 60 70439 Stuttgart Germany Hasan Subaşı Ilhan Demirtaş Mustafa Atalay JVA Fuhlsbüttel Haus 2 Suhrenkamp 92 22335 Hamburg Germany Ilhan Yelkuvan Schönbornstraße 32 76646 Bruchsal Germany Christian Klar Thomas Meyer-Falk Schnedbruch 8 31319 Sehnde Germany Werner Braeuner PRIGIONIERI IN USA #58741-004 U.S.P. Florence P.O. Box 7500 Florence CO 81226 United States Antonio Guerrero envelope addressed to Ruben Campa #58733-004 F.C.I. Oxford P.O. Box 1000 Oxford WI 53952-0505 United States Fernando González #58739-004 U.S.P. Victorville P.O. Box 5500 Adelanto, CA 93203 United States Gerardo Hernandez #89637-132 PO Box 1000 Leavenworth, KS 66048 United States Leonard Peltier # AM-8335 SCI Greene 175 Progress Drive Waynesburg, PA 15370 United States Mumia Abu-Jamal envelope addressed to Luis Medina #58734-004 51 U.S.P. Beaumont P.O. Box 26030 Beaumont TX 77720-6035 United States Ramón Labañino Reg. #58738-004 P.O. Box 725 F.C.I. Edgefield Edgefield, SC 29824 United States René González Ci sono più di 160 detenuti baschi e qualche decina di prigionieri delle colonie d'oltre mare, corsi e bretoni. per avere informazioni e gli indirizzi di questi prigionieri scrivere a: PER I BASCHI: askatasuna-uztaritze.org PER I CORSI: liberta.unita-naziunale.org PER LE COLONIE D’OLTRE MARE: ugtg.org INDIRIZZI E CONTATTI DEI VARI ORGANISMI DI SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALI Soccorso Rosso Internazionale Secretariat International Postfach 1121 CH - 8026 Zurich [email protected] [email protected] Secours Rouge [email protected] Www.secoursrouge.free.it SFR—21 Ter Rue Voltaire - 75011 Paris Collectif pour la liberation De Georges Ibrahim Abdallah [email protected] http://liberonsgeorges.over-blog.com Tayad Associazione dei familiari dei prigionieri politici turchi: [email protected] Tayad Berlino [email protected] Netzwerk für die Freiheit politischer Gefangener: [email protected] Addameer Associazione per i diritti umani E di supporto ai prigionieri palestinesi: [email protected] Gruppe internationale Solidarität: [email protected] Icad [email protected] Partito Comunista Marxista Leninista (Turchia e Kurdistan del Nord) [email protected] [email protected] Libertad [email protected] gefangenen info [email protected] Comitato Solidarité Liberté solidarité-liberté.info Secours Rouge/APAPC BP 6 Saint - Gilles 1 1060 Bruxelles [email protected] Comitato per un SRI (Spagna) www.presos.org Rote Hilfe / Revolutionarer Aufbau Schweiz [email protected] Rote Hilfe Deutschland: [email protected] Soccorso Rosso Internazionale burgos [email protected] 52 MATERIALI IN DIFFUSIONE Per chi fosse interessato ad avere informazione sui materiali o ordinarli può scrivere all’indirizzo email: [email protected] oppure può scrivere direttamente a “SOLIDARIETA’” via Falk, 44 20099 Sesto San Giovanni (MI) SUL SOCCORSO ROSSO INTERNAZIONALE Pubblichiamo questo opuscolo per contribuire al dibattito e all’iniziativa per la costruzione del Soccorso Rosso anche in Italia REATI ASSOCIATIVI: IMPARARE A DIFENDERSI Pubblichiamo questo opuscolo, nella forma di piccolo manuale, per dare indicazioni concrete su cosa sono i reati associativi e su come ci si può difendere LA SOLIDARIETA’ CON GLI ARRESTATI DEL 12 FEBBRAIO 2007 Raccolta di alcuni dei numerosissimi comunicati di solidarietà verso i compagni arrestati il 12 febbraio 2007 GUERRA SUL FRONTE INTERNO: LEGGE PISANU E SVILUPPO DELLE MISURE REPRESSIVE La pubblicazione di questo materiale vuole essere uno strumento per l’analisi sulle ultime manovre repressive della borghesia in Italia e in Europa, con l’obiettivo di contribuire al dibattito sulla necessità di far fronte alla repressione per rilanciare la solidarietà con chi ne viene colpito LIBERTA’ PER GEORGES IBRAHIM ABDALLAH Materiali per il dibattito e la Controinformazione COME AFFRONTARE UN PROCESSO POLITICO Questo opuscolo nasce dal confronto tra i compagni e le compagne per la Costruzione del Soccorso Rosso in Italia, allargato all’Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli arrestati il 12 febbraio 07 e ad alcuni compagni arrestati nell’Operazione Tramonto. Questo vuole essere solo un punto di partenza, per essere poi ampliato anche con altre esperienze. L’Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli arrestati il 12/02/07 produce l’opuscolo di controinformazione “Lettere”. Questo è una raccolta di materiali, riflessioni e spunti per il dibattito scritti e inviati dai compagni prigionieri. L’intento è quello di diffondere il più possibile la voce e le idee di questi compagni rinchiusi nelle galere imperialiste. Per chi fosse interessato può richiedere delle copie all’indirizzo [email protected] Conto Corrente dell’Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli arrestati il 12 febbraio: intestazione: ASSOCIAZIONE SOLIDARIETA' PARENTI E AMICI Versamenti postali: c/c 80152077 Bonifici bancari nazionali: BBAN-i-07601-12100000080152077 Bonifici bancari internazionali IBAN it-94-i-07601-12100000080152077 Le prossime udienze saranno: 23 aprile - 5, 12, 21, 26, 28 maggio - 17, 25 giugno - 2, 16, 18 luglio SOLIDARIETA’ - PER LA COSTRUZIONE DEL SOCCORSO ROSSO IN ITALIA A cura di Compagne e Compagni per la costruzione del Soccorso Rosso in Italia (andato in stampa il 22 aprile 2008) Rivista in supplemento a Anarkiviu reg. tribunale di cagliari n° 18/1989 Direttore responsabile: Costantino Cavalleri. Ringraziamo il compagno Costantino che ci permette di uscire legalmente, viste le liberticide leggi sulla stampa vigenti in italia. Per chi vuole inviarci del materiale per contribuire alla pubblicazione della rivista può scrivere a [email protected] oppure spedire a “SOLIDARIETA’” c/o Associazione Arcobaleno Via Falck, 44 20099, Sesto San Giovanni (MI)