11:59
Pagina 1
Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani
e stranieri allora vi dirò che io reclamo il diritto
di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato,
privilegiati ed oppressori dall’altro.
Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri.
NEL PROSSIMO NUMERO
2/12
L’arte dei migranti
MARZO- APRILE
BIMESTRALE DI STUDI
E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI
DELL’IMMIGRAZIONE
don Lorenzo Milani
libertàcivili
31-05-2012
libertàcivili
libertàcivili
Esec_Copertina02/12.qxd
Realizzato con il contributo del Fondo Europeo per l’Integrazione
dei cittadini di Paesi terzi
BIMESTRALE
DI STUDI
E DOCUMENTAZIONE
SUI TEMI
DELL’IMMIGRAZIONE
BIMESTRALE
DI STUDI
E DOCUMENTAZIONE
SUI TEMI
DELL’IMMIGRAZIONE
Primo Piano / I colori
del welfare
In questo numero interventi di: Andrea Riccardi
Stefania Aristei
Carlo Devillanova
Flavio Felice
Natale Forlani
Oscar Gaspari
Marco Omizzolo
Lorenzo Prencipe
Giuseppe Roma
Andrea Stuppini
Maurizio Trabuio
libertàcivili
2/12
BIMESTRALE
DI STUDI
E DOCUMENTAZIONE
SUI TEMI
DELL’IMMIGRAZIONE
libertàcivili
BIMESTRALE
DI STUDI
E DOCUMENTAZIONE
SUI TEMI
DELL’IMMIGRAZIONE
Primo Piano / I
colori del welfare
In questo numero interventi di: Andrea Riccardi
Stefania Aristei
Marco Omizzolo
Carlo Devillanova
Lorenzo Prencipe
Flavio Felice
Giuseppe Roma
Natale Forlani
Andrea Stuppini
Oscar Gaspari
Maurizio Trabuio
Rivista bimestrale del dipartimento
per le Libertà civili e l’Immigrazione
del ministero dell’Interno
Piazza del Viminale 1- 00184 Roma
tel. 06 4 6 5 2 5 8 6 9
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emerito della Corte costituzionale
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generale - Università cattolica
del Sacro Cuore - Milano
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Professore emerito, già ordinario
di Demografia - “Sapienza”
università di Roma
libertàcivili
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Via Tiburtina Valeria km 18,300
00012 Guidonia-Montecelio Roma
Serenella Ravioli
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comunicazione istituzionale
del ministero dell’Interno
Anno III
Secondo bimestre 2 012
finito di stampare giugno 2012
Giuseppe Roma
Direttore generale CENSIS
libertàcivili
2
Riccardo Compagnucci
Prefetto - vice capo dipartimento
vicario per le Libertà civili
e l’Immigrazione
Angelo Malandrino
Prefetto - Autorità responsabile
del “Fondo europeo
per l’integrazione di cittadini
di Paesi terzi” 2007- 2013
Mario Morcellini
Preside della facoltà di Scienze
della comunicazione - “Sapienza”
università di Roma
2 0 12 marzo - apr ile
Direttore editoriale
Angela Pria
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per le Libertà civili
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art.1, comma 1 DCB Milano
Copyright © 2 011
by Ministero dell’Interno
Editoriale
Se fosse l’Italia il baluardo contro la crisi del welfare?
5
Indice
di Angela Pria
L’intervento
Insieme istituzioni e corpi sociali,
questo il cuore del problema
8
Operatori, beneficiari, contribuenti
di Giuseppe Roma
13
Immigrazione e welfare, un rapporto difficile
di Flavio Felice e Lorenzo Prencipe
21
I benefici della presenza e i rischi dell’esclusione
di Carlo Devillanova
28
Includere gli immigrati nel sistema di welfare
è la sfida del futuro
di Marco Omizzolo
35
Si scrive welfare state, si legge welfare locale
di Oscar Gaspari
44
L’accesso degli stranieri alle prestazioni sociali
nel quadro internazionale, comunitario e interno
di Stefania Dall’Oglio
52
Per un mercato del lavoro più moderno
e trasparente nei servizi alla persona
di Natale Forlani
65
Ripensare le politiche migratorie in tempo di crisi
di Rodolfo Giorgetti
70
Il ministro Balduzzi: grazie all’INMP l’Italia
è capofila nell’UE e nell’OMS per le cure ai migranti
di Claudia Svampa
78
La scheda / Sani ma non troppo:
lo stato di salute degli stranieri in Italia
82
Un agente al servizio della comprensione reciproca
fra culture diverse
di Stefania Aristei
88
La mediazione interculturale,
una possibilità d’integrazione: l’esempio del Belgio
di Mariavittoria Pisani
97
La strada dell’integrazione par te dalla casa
di Maurizio Trabuio
105
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Primo Piano
Intervista al ministro Andrea Riccardi
3
Le Rubriche
Indice
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale
in Europa
di Stefania Nasso
117
Europa
Italia vs razzismo, xenofobia e discriminazioni:
luci e ombre dal Rapporto RED
di Alfredo Alietti e Veronica Riniolo
130
Labor
I nuovi (e)migranti europei
di Andrea Stuppini
139
Cittadinanza
Ius culturae, la via della “generazione 2”
al riconoscimento della cittadinanza
di Carlo Melegari
14 4
Il buon esempio
Per “gettare una rete” tra Turchia e Italia
di Laura Cicinelli
147
libertàcivili
Documentazione
e Statistiche
Minimum media
4
2 0 12 marzo - apr ile
Comunicare l’immigrazione,
guida pratica per gli operatori dell’informazione
151
Emergenza nomadi: sospesa l’esecutività
della sentenza 6050 /11 del Consiglio di Stato
156
di Angela Pria
Editoriale
Se fosse l’Italia il baluardo
contro la crisi del welfare?
I
1
Colin Crouch, Postdemocrazia, Laterza, 2009
2
Wolfgang Reinhard, Storia dello stato moderno, il Mulino, 2010, pp.111-112
3
Sabino Cassese, L’Italia: una società senza stato?, il Mulino, 2011
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
l sociologo inglese Colin Crouch ha sostenuto che lo Stato
occidentale avrebbe, da alcuni decenni, intrapreso una parabola
discendente quanto al tasso di democraticità 1, perdendo altresì
quelle spiccate caratteristiche “sociali” acquisite a partire dalla fine
del secondo conflitto mondiale: democrazia e welfare state
risulterebbero, in questo senso, due facce della stessa medaglia.
Capire le ragioni e soprattutto il momento in cui lo Stato
liberal-democratico sia entrato in crisi, sempre ammesso che tale
teoria sia fondata, è questione tuttora al centro di un articolato
dibattito.
Lo storico tedesco Wolfgang Reinhard, ad esempio, ha sostenuto
che la crisi del modello occidentale di Stato sarebbe coincisa
con quella dei regimi del socialismo reale: “La scomparsa
del socialismo reale costituisce, in tal senso, un aiuto. Durante
la guerra fredda, infatti, lo stato sociale era stato promosso
anche per rendere i lavoratori insensibili alle lusinghe provenienti
dai paesi dell’est. Nel frattempo, però, i diritti dei lavoratori
dipendenti e le garanzie sociali non fanno più parte del sistema
di difesa occidentale, ma oramai sono soltanto ostacoli
alla massimizzazione dei profitti ” 2.
La tematica potrebbe assumere contorni ancor più problematici
nel caso italiano laddove alla crisi del modello statuale occidentale
si aggiungerebbe, secondo alcuni studiosi, la storica debolezza
di uno Stato del quale abbiamo da poco festeggiato
i centocinquant’anni dalla formazione 3.
Pessimismo aggiunto ad altro pessimismo, si potrebbe dire,
soprattutto in un momento delicato come quello attuale
in cui l’Italia, anche a seguito delle politiche europee di controllo
5
E se fosse l’Italia il baluardo contro la crisi del welfare?
libertàcivili
Editoriale
dei debiti sovrani, è impegnata in un processo di contenimento
della spesa pubblica che, inevitabilmente, pone il problema
di come rimodulare la spesa necessaria per il finanziamento
del cosiddetto welfare.
Eppure ritengo si possa sostenere che proprio in Italia il percorso
eventualmente intrapreso dallo Stato sul crinale della parabola
teorizzata da Colin Crouch, prima o poi, sia destinato quanto meno
ad arrestarsi, se non a invertire la sua direzione.
Più di una ragione può essere invocata a sostegno di questo pensiero.
Innanzi tutto vi sono ragioni di tipo storico, se si pensa alla sensibilità
che da sempre gran parte della classe dirigente italiana ha manifestato
per la tutela dei diritti sociali dei cittadini e dei lavoratori.
Penso, ad esempio, alle politiche dei governi Crispi e Giolitti,
tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del XX secolo, contro lo sfruttamento
del lavoro minorile o alle politiche in favore del graduale
innalzamento dell’obbligo scolastico o volte all’introduzione
di un insieme di norme sull’assistenza e la previdenza. Politiche
incentivate anche dalle nascenti organizzazioni come il partito
socialista di Andrea Costa o di Filippo Turati, l’Opera dei congressi
di Filippo Meda e di don Romolo Murri o la Confederazione
Generale del Lavoro (CGdL) nata nel 1906.
Un percorso proseguito persino durante i primi anni del regime
fascista, seppur nell’ottica dello stato autoritario, soprattutto
attraverso l’opera di Giuseppe Bottai che, a partire dal 1927,
con la Carta del lavoro, teorizzò il corporativismo economico-sindacale
come modello organizzativo dello Stato; progetto che entusiasmò
giovani intellettuali del calibro di Ugo Spirito che, finita la guerra,
sarebbero poi divenuti punti di riferimento della sinistra repubblicana.
Un’idea, quella del corporativismo, recuperata anche durante
il dibattito in Assemblea costituente, quando Costantino Mortati
cercò di sostenere, a dire il vero senza grandi risultati,
che nella nascente Repubblica si sarebbero dovute prevedere forme
di rappresentanza democratica del mondo produttivo
e dei lavoratori: in questo senso l’art. 99 della Costituzione
sul Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è una
delle conseguenze di quella che può essere definita la via italiana
al corporativismo democratico.
Poi l’avvento della Repubblica con l’elaborazione di una avanzata
normativa, negli anni Sessanta e Settanta, in tema di sistema
6
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
scolastico, sistema sanitario e tutela dei diritti dei lavoratori.
Anche la Chiesa cattolica ha contribuito al percorso di rafforzamento
dello stato sociale italiano e ciò sulla scorta di una dottrina sociale
che nell’enciclica del 1891 di Leone XIII, denominata “Rerum
Novarum”, ebbe uno dei suoi principali punti di riferimento.
A presidio del nostro welfare vi è poi, al di là di tutto, la garanzia
giuridica costituita dal secondo comma dell’art. 120
della Costituzione secondo cui “Il Governo può sostituirsi a organi
delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province
e dei Comuni … quando lo richiedano... la tutela dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”,
molti dei quali rinvengono in essa una puntuale disciplina.
Prestazioni che assumono spesso la forma di tipici servizi erogati
dalla pubblica amministrazione ai cittadini e sul cui livello
qualitativo proprio i prefetti sono chiamati a vigilare ai sensi
dell’art.11 D.Lgs 300 /19 9 9 e 7 del Dpr 180/2006.
In definitiva, ritengo che il nostro welfare state, anche se in fase
di rimodulazione, non versi in uno stato di crisi. Esso è un patrimonio
di valori e di tradizioni storiche tutelato giustamente
dal nostro ordinamento a garanzia di tutti, cittadini e stranieri.
Editoriale
E se fosse l’Italia il baluardo contro la crisi del welfare?
2 0 12 marzo - apr ile
7
L’intervento
Insieme istituzioni
e corpi sociali,
questo il cuore del problema
Il ministro per la cooperazione internazionale
e l’integrazione Riccardi: “dedicare un dicastero
a questi temi è un’operazione culturale, politica
e di governo. Vuol dire che la stagione della
immigrazione intesa solo come emergenza è finita”
libertàcivili
Intervista raccolta da Giuseppe Sangiorgi
8
Professor Riccardi, l’aver dato vita a uno specifico ministero
per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione ha segnato
un punto di svolta istituzionale in tema di politica per l’immigrazione. Ma concretamente che cosa è necessario fare per
sottrarre sempre più il complesso dei problemi di questo
settore alla sfera della paura e collocarli nella sfera della
speranza? C’è una questione culturale prima ancora che politica
di comprensione dei diversi aspetti dell’immigrazione?
L’istituzione del ministero è stata insieme un’operazione
culturale, politica e di governo. Il fatto che ci sia un dicastero
dell’integrazione vuol dire una cosa importante:
che la stagione dell’immigrazione vissuta
L’immigrazione è una grande
come emergenza, come provvisorietà è finita.
pagina del nostro Paese,
O almeno, l’immigrazione non è solo Lampeè l’integrazione di decine
dusa, non è solo il provvedimento tampone.
di migliaia di uomini
L’immigrazione è una grande pagina del
e di donne nella società
nostro Paese, è l’integrazione di decine di
migliaia di uomini e di donne nella società
italiana. Perciò è una
italiana. È come se una nuova regione si
questione bipartisan
fosse aggiunta all’Italia, perciò è una questione
da affrontare tutti insieme
da affrontare tutti insieme, come quando
nell’Ottocento e nel Novecento si discutevano
le grandi questioni dei confini della patria.
Purtroppo il tema dell’immigrazione viene invece affrontato in
modo conflittuale, nervoso, polemico. L’integrazione degli
immigrati al contrario è un passaggio decisivo per la costruzione della nuova società italiana.
2 0 12 marzo - apr ile
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Paura e speranza indicano la necesdi questo tessuto che si deve rigenerare.
sità di passare dall’affanno dell’emerNon è un richiamo moralistisco. Intorno
genza a un respiro regolare della politica
alla famiglia occorre tornare a sviluppare
sui diversi aspetti dell’immigrazione.
una cultura della solidarietà, del legame,
Intorno a quali priorità condivise questo
della comunità: la paura viene perché
respiro regolare può diventare l’azione
siamo soli e non si spera da soli, bisogna
quotidiana del governo centrale e di
essere insieme. Tutte le grandi conquiste
quelli locali?
della società italiana sono nate storicaPer rispondere a questa domanda –
mente da speranze condivise.
che cosa fare – dobbiamo chiederci
perché abbiamo paura. Certamente per
Famiglia vuol dire figli, e un aspetto
motivi oggettivi, per cause esterne, e
particolare delle politiche di integrace ne sono molte intorno a noi. Ma
zione riguarda il diritto di cittadinanza
abbiamo anche paura perché oggi
dei giovani figli di immigrati nati in Italia
siamo tutti più soli, le nostre reti sono
o arrivati qui nei primi anni di vita, la
entrate in crisi e non abbiamo più
generazione G2.
visione del futuro. Io credo che la madre
Fin dall’inizio del Governo ho sollecitato
della stessa crisi economica sia di
vari esponenti politici perché si approcarattere culturale e
vasse una legge sulla
morale: la crisi del
cittadinanza ai bambini,
A monte delle nostre paure
tessuto sociale della
in proposito c’è anche
c’è la crisi del tessuto sociale una proposta interescomunità italiana. La
priorità dunque è lavo- della comunità italiana.
sante dell’Unicef. I giorare su questo, anche Su questo dobbiamo
vani di seconda geneintervenire,
a
iniziare
con riferimento ai prorazione sono cresciuti
blemi dell’immigrazio- dalle politiche in favore
in Italia e hanno il diritto
ne. Dobbiamo interve- delle famiglie, le nostre
di integrarsi.
nire con forza per e quelle degli immigrati
Dobbiamo riconorigenerare il tessuto
scere la loro presenza
della società italiana.
tra noi come italiani.
Questo significa agire
Ho incontrato tanti di
sulla famiglia, sulle politiche nazionali
questi ragazzi: si sentono italiani, si
e su quelle locali.
comportano come i nostri figli, parlano
In questi mesi ho toccato con mano
la lingua come noi, pensano al loro futuro
quanto la famiglia degli immigrati sia
in Italia. Eppure una concreta iniziativa
decisiva per la loro integrazione. A
parlamentare ancora non c’è. Posso
Rosarno, mille e cinquecento immigrati
comprendere, anche se non le condivido,
tutti maschi sono difficilmente integrabili.
le motivazioni di chi è contrario, molto
Anche per l’immigrato la famiglia è un
meno l’inerzia di chi invece è favorevole.
vettore di integrazione. Ho visto in un
asilo a San Salvario, a Torino, mamme
In base al quadro definito fin qui si
delle più diverse nazionalità e mamme
può parlare di un “modello italiano”
italiane parlare insieme dei loro figli,
all’integrazione, che abbia una sua
diventare amiche. La famiglia è il cuore
specificità rispetto per esempio a
L’intervento
Intervista al ministro Andrea Riccardi
9
quelli degli altri Paesi europei? Multiqueste è quella dell’immigrazione.
culturalismo, interculturalismo...
Quando noi parliamo di integrazione
Paradossalmente dobbiamo parlare di
degli immigrati ci riferiamo alla costruzione
un modello che non c’è. E questo perché
di una nuova società nazionale che darà
non c’è una nazionalità prevalente e
i frutti negli anni, mentre i politici qualche
perché la società itavolta insistono sull’aliana ha caratteristiche
spetto immediato delNel modello italiano
particolari. In questo
l’allarme immigrazione.
per
l’integrazione
“modello” italiano dobPer questo ritengo che
biamo valorizzare il una componente essenziale
occorra essere bipartiruolo delle donne che è rappresentata dalle donne
san su temi così comsono un elemento inte- per il loro ruolo
plessi e importanti. La
gratore fondamentale: di mediazione. E occorre
percezione del probletalvolta sono prigio- puntare sul dialogo:
ma è anche diversa nei
niere della famiglia, fra le diverse culture
vari Paesi europei.
ma dobbiamo puntare e fra le religioni
I numeri dell’immisul loro ruolo di mediagrazione italiana sono
zione. Inoltre dobbiamo
diversi da quelli franvalorizzare le diverse comunità religiose.
cesi o tedeschi. Mi ha colpito come l’ultimo
Per questo ho voluto insediare presso il
censimento rilevi che varie centinaia di
mio ministero la Conferenza permanente
migliaia di immigrati non ci sono più,
religioni, cultura e integrazioni. Pensiamo
hanno lasciato il nostro Paese in questi
anche a chi profetizzava un’Italia musulultimi anni di crisi. Allora è invasione di
mana. Possiamo dire, allora, che abbiamo
immigrati o fuga di immigrati?
un’Italia ortodossa visto che i cittadini
provenienti dall’Est-Europa sono più di
Come ministro della Cooperazione
un milione.
internazionale nei suoi viaggi, nella
sua attività di governo, quale rilievo
Lei ha posto più volte la necessità
verifica dell’importanza degli accordi
di una politica europea dell’immigrabilaterali con i Paesi di provenienza
zione. “Ma la realtà – ha dichiarato – è
dell’immigrazione per un lavoro sulle
che i governi europei non si vogliono
cause del fenomeno?
legare le mani su un tema che fa perdere
Non credo che con la nostra piccola
e guadagnare consensi”. Pensiamo a un
cooperazione possiamo cambiare le
settore particolare di migranti come i
situazioni sociali dei Paesi. Credo che
rom, oppure alla difficoltà di una
la cooperazione debba portare il sistema
regolamentazione unitaria del diritto
Italia, quindi le aziende italiane, gli
d’asilo. Ha ancora un costo così alto
operatori italiani, la cultura italiana, le
anche a livello europeo il passaggio da
strutture italiane, a contatto con i Paesi
una politica dell’opportunismo a una
in via di sviluppo. Favorendo lo sviluppo
politica della verità?
di quei Paesi la gente può trovare magCi sono politiche che danno il loro
giormente, in casa propria, occasioni di
risultato nel medio periodo e che bruciano
occupazione e di crescita.
il consenso nel breve periodo. Una di
10
2 0 12 marzo - apr ile
L’intervento
libertàcivili
Intervista al ministro Andrea Riccardi
Lei è sempre attento ai temi legati
alla comunicazione, per come questa
riflette la realtà e la verità di un Paese.
In Italia c’è un dato singolare: l’operatore
privato della tv a pagamento ha un
canale dedicato all’immigrazione mentre
la tv pubblica, pur nella moltiplicazione
dei canali dovuta al digitale, non ha una
eguale attenzione specifica.
All’inizio del mio mandato ho parlato
con i vertici Rai di questi problemi, poi
non ci sono stati seguiti. Credo che la
televisione abbia un ruolo decisivo nella
rappresentazione dei problemi legati
all’immigrazione. Ho cercato di coinvolgere
tutti.
Democrazia rappresentativa con le sue
istituzioni, democrazia partecipativa con
i suoi corpi sociali: l’incontro di questi
due soggetti fa parte di quel “modello
italiano” del quale abbiamo parlato?
Credo sia il cuore del problema. Lo
Stato e le istituzioni non possono fare tutto,
non hanno l’esperienza umana che tante
volte serve, non hanno le motivazioni, non
hanno i denari per fare tutto ciò che è
necessario. Io credo dovremo prepararci
a una società sempre più articolata,
che valorizzi le iniziative sociali, la buona
volontà, la passione e anche l’impegno
gratuito di tanti italiani. La nostra è una
società nella quale il tessuto umano si
va sfilacciando, i luoghi di incontro sono
andati in crisi, come ho detto all’inizio
siamo tutti più soli. Perciò abbiamo
bisogno di quelle esperienze che ricuciono
la società italiana; questo è decisivo.
In questo senso dobbiamo ridurre la
distanza fra tante istituzioni e la gente.
Dobbiamo generare comunità, legami
e reti. Gli immigrati hanno bisogno del
nostro sorriso, della nostra amicizia, ma
anche noi abbiamo bisogno del loro
sorriso e della loro amicizia.
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
L’intervento
Intervista al ministro Andrea Riccardi
11
Primo Piano
I colori del welfare
“I colori del welfare” è il titolo di questo
Primo piano di libertàcivili dedicato al rapporto
fra il sistema di sicurezza sociale del Paese
e gli immigrati che ne sono al tempo stesso
beneficiari, sostenitori e operatori.
Da tempo è aperto il dibattito sulla necessità
di un adeguamento del welfare.
La presenza degli immigrati diventa un cruciale
fattore di accelerazione del problema
Primo Piano
Operatori, beneficiari,
contribuenti
Le molteplici relazioni tra migranti e sistema
di welfare, e i fenomeni che ne derivano,
impongono un ripensamento complessivo
delle politiche sociali nel segno
di una maggiore efficienza ed equità
di Giuseppe Roma
I migranti,
per la loro
condizione
di nuovi
arrivati e la
appartenenza
alle fasce
medio-basse
di reddito,
hanno
bisogno
di accedere
a un sistema
di assistenza
sociale
pubblico
a bassi costi,
efficiente
e aperto
1. Il sistema di protezione sociale italiano
Le politiche sociali sono il principale strumento di rassicurazione collettiva e di riequilibrio delle disparità esistenti nelle
società avanzate. Il modello europeo, messo così a dura
prova dalla tempesta finanziaria, si caratterizza soprattutto
per aver riportato alla sfera dei diritti individuali tutti quei servizi
che garantiscono la persona e la famiglia nelle sue funzioni vitali.
La presa in carico della salute, della non autosufficienza, della
terza età e, più in generale, di tutti quei bisogni fondamentali per
rendere effettiva la dignità dell’esistenza, è un portato dei
sistemi con più alto livello di qualità sociale.
I migranti, per la loro oggettiva condizione di new comers e
per la prevalente appartenenza a fasce di reddito medio-basso,
mostrano un particolare bisogno di poter accedere a un sistema
di garanzia sociale pubblico a bassi costi, efficiente e aperto.
Pertanto un primo importante riferimento riguarda il funzionamento e i livelli di copertura esistenti nei Paesi d’arrivo.
La situazione italiana, quanto a offerta di welfare, almeno prima
della crisi e delle restrizioni di bilancio, presentava una situazione
migliore dell’immagine riprodotta dalla comunicazione mediatica.
Nell’ambito nel programma Censis-Unipol “Welfare Italia” si sono
misurati i livelli di protezione sociale in 135 Paesi del mondo.
L’Italia si posiziona al tredicesimo posto dopo l’area scandinava,
Francia, Germania e alcune piccole nazioni centro-europee
(Olanda, Austria, Svizzera), il Giappone e il Canada. Precede però
Regno Unito e Usa dove le politiche sociali sono privatistiche e
le forme di esclusione particolarmente rilevanti (fig. 1).
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Direttore generale del Censis
13
Primo Piano
Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare
Figura 1. Indice sintetico Censis-Unipol del livello di protezione sociale (prime 20 posizioni)
Nota: indice combinato sulla base dei seguenti indicatori: spesa sanitaria pubblica, mortalità infantile, aspettative
di vita, diseguaglianze di reddito, fertilità, disoccupazione, omicidi volontari.
Fonte: elaborazione Censis su dati Undp
libertàcivili
Tuttavia, il welfare italiano è soggetto, in molti comparti, a forti
differenze di tipo geografico (basti pensare al contrasto fra la
sanità centro-settentrionale e quella meridionale) e, soprattutto,
in prospettiva ha bisogno di una continua manutenzione per
adeguarsi alle mutate condizioni strutturali, prima fra tutte
quella demografica. L’invecchiamento della popolazione fa,
infatti, crescere il fabbisogno d’intervento in quasi tutti i comparti
della protezione sociale creando forti tensioni per farvi fronte.
La presenza degli immigrati nell’ultimo decennio, poi, ha fatto
accrescere repentinamente la popolazione, e quindi la domanda
potenziale.
Per altro verso, c’è un fondamentale apporto dei nuovi italiani
su cui si fonda il modello effettivo di welfare, soprattutto nella
componente assistenziale e sanitaria. Le caratteristiche sociodemografiche degli immigrati ne fanno, poi, una quota signi-
14
2 0 12 marzo - apr ile
Per il sistema
di protezione
sociale
italiano,
sbilanciato
verso la
previdenza,
l’apporto
degli immigrati
nell’area
della salute
e della
assistenza è
fondamentale
2. Un welfare basato sulle flessibilità familiari e aiutato
dagli immigrati
Le caratteristiche strutturali del welfare italiano hanno determinato nel tempo una responsabilizzazione crescente delle
famiglie, cui ha dato un grande supporto il flusso di personale
straniero. Da un punto di vista macro la spesa sociale italiana
è in linea con quella dei grandi Paesi europei. In termini d’incidenza sul Pil, gli ultimi dati disponibili indicano il valore italiano
(27,8%) identico a quello tedesco, superiore a quello medio
europeo e britannico, ma inferiore di circa tre punti rispetto a
Francia e Paesi scandinavi.
Le distanze si amplificano se misuriamo le prestazioni
sociali in termini di spesa pubblica per abitante: Italia e Regno
Unito spendono più o meno la stessa cifra, Germania e Francia
fra un quarto e un terzo in più. Si tratta di valori comprensibili,
che riflettono il differenziale di dinamicità economica esistente
nei diversi sistemi nazionali oltre agli indirizzi delle politiche
sociali.
La specificità italiana, tuttavia, riguarda la distribuzione
settoriale della spesa pubblica per la protezione sociale; da noi
è fortemente influenzata dall’invecchiamento della popolazione,
dato a cui si aggiunge la più generosa normativa pensionistica
in vigore fino agli anni Novanta. Trattamenti di quiescenza e
per i superstiti assorbono oltre il sessanta per cento delle
risorse impiegate nel welfare, contro una media europea del
quarantacinque per cento. Con il sistema sanitario, che pesa
per un ulteriore 26,4%, l’intervento pubblico praticamente si
esaurisce. È evidente, pertanto, che tutte le ulteriori componenti della spesa sociale presentano valori piuttosto limitati:
praticamente inesistenti gli interventi per l’edilizia sociale, molto
bassi per disoccupazione e famiglia, ridotte nel confronto
europeo anche assistenza e invalidità, specie se depurate
dall’estesa area di abusi e truffe (tabella 1).
Ed è proprio nell’area della salute e dell’assistenza che si è
rilevato fondamentale l’apporto del lavoro immigrato.
Sono circa quarantamila gli infermieri professionali di origine
straniera impiegati nel sistema sanitario, pari a circa il 10% del
totale. Professionalità che hanno contribuito negli ultimi anni a
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
ficativa di beneficiari, in un range ampio di altri servizi pubblici
come gli asili, la scuola, la casa e il sostegno al reddito.
Infine, la dimensione economica e lo sbilancio esistente nei
conti del welfare devono far valutare come gioca il “dare e avere”
di questa parte di popolazione.
Primo Piano
Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare
15
Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare
Primo Piano
Tabella 1. Spesa pubblica per prestazioni sociali per funzione (2008)
Italia
(%)
Pensioni
Salute
Assistenza invalidità
Famiglia
Disoccupazione
Casa
Altro
Totale
60,7
26,4
5,9
4,7
1,9
0,1
0,2
100,0
Germania
(%)
43,0
30,5
7,8
10,6
5,4
2,2
0,6
100,0
Francia
(%)
Media UE
(%)
45,9
29,8
6,0
8,4
5,8
2,7
1,5
100,0
45,3
29,7
8,1
8,3
5,2
2,1
1,4
100,0
Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat
libertàcivili
Un milione
e centomila
lavoratori
stranieri,
soprattutto
donne,
sono impiegati
nel lavoro
di assistenza
domiciliare
ai non
autosufficienti
16
2 0 12 marzo - apr ile
coprire una carenza che ancora oggi vede l’Italia meno dotata,
in proporzione agli abitanti, rispetto ai maggiori Paesi europei.
Per arrivare entro il 2020 al livello francese si renderebbero
necessari ulteriori novantamila operatori, cui non sembrano
poter dare risposta le sole facoltà di scienze infermieristiche,
dove pure crescono le immatricolazioni.
L’inserimento di personale immigrato in una tale delicata
funzione va valutato nella portata complessiva e non solo come
funzione suppletiva rispetto alle difficoltà di soddisfare i fabbisogni
con il solo personale autoctono. Il ruolo dell’infermiere è, infatti,
ormai decisivo nelle strutture di cura, visto che alle indubbie
competenze tecniche, devono corrispondere anche capacità
di approccio alle persone in sofferenza e indubbie doti relazionali
nei confronti dei pazienti e della stessa struttura medica.
Ma, com’è noto, il personale di cura proveniente da altri
Paesi è decisivo soprattutto per l’assistenza domiciliare e per
il lavoro di cura delle persone non autosufficienti. Basti pensare
che nel nostro Paese la quota di persone in difficoltà assistita
dal supporto domiciliare da parte delle strutture pubbliche è
passato dal 2,7% del 2007 all’1,5% del 2010. Quindi, la quasi
totalità dei non autosufficienti è assistito da familiari e/o da
collaboratori domestici. Dettagliate analisi sulla realtà dei care
giver di origine straniera operanti in Italia sono state svolte in
precedenti numeri di libertàcivili (Cfr. i numeri 2/2010, 5/2010,
4/2011). In questa sede è utile ricordare solo alcuni tratti
caratteristici, primo fra tutti la dimensione di un tale fenomeno:
si tratta di oltre un milione e centomila lavoratori e soprattutto
lavoratrici pari al 48% del numero complessivo di occupati
stranieri, di cui circa trecentomila alloggiano presso la famiglia
presso cui operano.
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
La necessità
di passare
da un welfare
familiare
flessibile
e spontaneo
a un sistema
più organico,
con operatori
qualificati
e un aiuto
di natura
fiscale
a famiglie
e badanti
Si può, a ragione, affermare che il lavoro di cura copre per
ben la metà la motivazione dell’occupazione straniera in Italia.
Da una ricerca Censis per il ministero del Lavoro (2009) è
possibile stimare il costo direttamente pagato dalle famiglie
italiane per l’aiuto domestico che – nei fatti – opera come
integratore delle prestazioni pubbliche non solo per l’assistenza
domiciliare, ma anche per numerose funzioni legate alla vita
della famiglia come ad esempio quelle relative all’infanzia.
Sulla base del costo orario e della media settimanale delle ore
lavorate, la retribuzione media mensile dei care giver stranieri
è pari a 952 euro, che porterebbe la spesa annua familiare in
questo ambito alla ragguardevole somma di oltre 14 miliardi
di euro.
Negli anni della crisi, ci si interroga se questo modello di
welfare familiare flessibile e spontaneo possa rappresentare
una soluzione duratura ed efficiente. Allo stato attuale sembra
altamente improbabile puntare a una protezione sociale che
estenda le sue coperture pubbliche. L’azione diretta degli
utenti resterà, anche nei prossimi anni, punto di riferimento
essenziale, nonostante crescano ottimi esempi di moderne
organizzazioni del terziario sociale (in ambito privato o del no
profit) rivolte alla non autosufficienza e alla cura degli anziani,
come pure iniziative di welfare aziendale sui temi della conciliabilità o dell’infanzia.
Tuttavia, quello che è attualmente un sistema diffuso e
molecolare dovrebbe trovare una sistemazione più organica
(si vedano anche i successivi articoli di Natale Forlani e
Rodolfo Giorgetti ndr). Innanzitutto, sarebbe opportuno offrire
strumenti di professionalizzazione alla gran parte del personale
che effettua le sue prestazioni prevalentemente sulla base
dell’esperienza. Formare e qualificare soprattutto chi presta
assistenza a persone in difficoltà, consentirebbe una maggiore
efficacia delle prestazioni. Si tratterebbe poi di offrire un
supporto informativo e un canale prioritario nelle emergenze,
in modo da costituire un sistema basato su un fitto reticolo di
assistenza domiciliare (a carico delle famiglie) ma collegato
con i centri di diagnosi e cura (pubblici).
Infine, non mancano le proposte per rendere più equilibrato,
dal punto di vista dei costi e del funzionamento economico,
l’impiego di badanti. L’utilizzo di voucher o di buoni fiscali per
la detassazione di queste prestazioni potrebbe portare alla
creazione di un “mercato sociale” dell’assistenza con operatori
specializzati capaci di dare corpo a un sistema più moderno
e solido.
Primo Piano
Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare
17
Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare
Primo Piano
Con la diffusione del “modello badanti” anche famiglie a
reddito moderato hanno potuto accedere a un’assistenza che
altrimenti sarebbe ricaduta interamente sulle spalle dei familiari,
riducendone le possibilità di proseguire a esercitare le proprie
attività lavorative. Le condizioni critiche in cui versa parte del
ceto medio potrebbero rendere problematico il mantenimento
di un tale sistema e diventa così urgente ripensarlo.
libertàcivili
I cinque
milioni
di stranieri
presenti
nel nostro
Paese
sono forti
beneficiari
dei servizi
di welfare:
pesano
per il 2,8%
sulla spesa
sanitaria,
mentre sono
137mila
i percettori
di pensione,
e nel 2025
aumenteranno
di quattro
volte
18
2 0 12 marzo - apr ile
3. Gli immigrati come utenti del welfare
Nel giro di pochi anni, alla domanda di prestazioni sociali
proveniente dalla società italiana sempre più longeva, si è
aggiunta quella degli immigrati che rappresentano certo una
realtà ormai assai numerosa. I cinque milioni di stranieri presenti
in Italia rappresentano una popolazione pari alla Finlandia,
Danimarca o Irlanda. Dare un contorno definito all’utilizzo
effettivo del welfare da parte dei nuovi italiani non è operazione semplice, non essendo a disposizione studi e dati
approfonditi.
Si stima che le prestazioni sanitarie erogate a immigrati
rappresentino circa il 2,8% della spesa sanitaria al 2010. Per
quanto riguarda la copertura di tali costi, come per gli altri
lavoratori dipendenti regolari, vale la quota di Irap gravante
sulle retribuzioni. Tuttavia le componenti di lavoro autonomo e
irregolare sottraggono contributi indispensabili a riequilibrare
i conti.
Per quanto riguarda la previdenza, i pensionati stranieri si
stima siano circa 137mila, pari al 3,3% degli stranieri residenti,
mentre gli italiani ritirati dal lavoro pesano per il 25% sulla
popolazione totale. La nostra immigrazione ha storia recente
ed è costituita da popolazione giovane, tuttavia l’impatto
previdenziale è destinato a crescere: ad esempio il 14% dei
lavoratori domestici stranieri ha già più di cinquant’anni. Una
proiezione al 2025 valuta che per quella data i pensionati di
origine straniera aumenteranno di quattro volte.
Un impatto particolare hanno però, su una gamma piuttosto
ampia di prestazioni, le agevolazioni basate sull’Isee, l’indicatore sulla situazione economica equivalente. Sono compresi
assegni per famiglie con almeno tre minori, l’accesso agli asili
nido pubblici e altri servizi sociali per l’infanzia, per servizi di
pubblica utilità come elettricità o gas, fino alle mense scolastiche,
ai servizi socio-sanitari domiciliari legati all’intervento degli enti
locali ovvero quelli previsti dal diritto allo studio universitario.
Fra le famiglie di migranti prevalgono quelle con la presenza di minori, o con figli dipendenti; inoltre, maggiore è la
Secondo
Caritas /
Migrantes
gli immigrati
pagano
12 miliardi
di tasse
e contributi
e ricevono
10,5 miliardi
di servizi
4. Un bilancio conclusivo
Non ci sono ricerche esaustive in grado di valutare l’apporto
economico degli immigrati al sistema del welfare italiano e i
costi delle prestazioni di cui usufruiscono. Esiste certamente
uno squilibrio per quanto attiene la previdenza, visto che la
popolazione attiva è infinitamente maggiore di quella in pensione.
E qui il bilancio è assolutamente favorevole ai migranti.
Il rapporto si inverte se commisuriamo il gettito fiscale
complessivo con l’insieme delle prestazioni sociali godute. I costi
maggiori riguardano la sanità, le spese scolastiche, i trasferimenti monetari, i servizi sociali, la casa. Nella stima della CaritasMigrantes, a fronte di contributi previdenziali e imposte pagate
per 12 miliardi di euro annui, le prestazioni assommerebbero
a 10,5 miliardi di euro. I nuovi italiani sarebbero così contributori
netti per circa 1,5 miliardi di euro.
Anche l’Ismu stima un saldo negativo (meno prestazioni
rispetto a quanto versato) per i cittadini extra-comunitari ma
nettamente inferiore. Secondo Bankitalia (2009) gli immigrati
contribuivano per circa il 4% alle entrate derivanti da imposte
e contributi e assorbivano circa il 2,5% delle spese per istru2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
presenza di famiglie monogenitoriali e di famiglie numerose.
Soprattutto negli interventi gestiti a livello locale le maggiori
richieste sono quelle per prestazioni economico-assistenziali
quali la carta acquisti, i trasferimenti monetari e, dove esiste,
il reddito minimo. Anche su asili nido e scuole, compresi libri
e borse di studio, la richiesta delle famiglie di migranti è
notevole; minore invece la pressione sui servizi socio-sanitari.
Negli ultimi anni, infine, cresce la domanda per la casa nell’edilizia residenziale pubblica.
Per effetto della diversa struttura demografica, si va delineando
un welfare polarizzato per servizi di tipo familiare più rivolto ai
“nuovi italiani” e quello previdenziale e socio-sanitario per la
longevità, chiaramente orientato agli italiani. Le restrizioni
d’offerta potrebbero portare a una pericolosa competizione
sociale fra diverse componenti della protezione sociale,
soprattutto nell’ambito delle prestazioni per famiglia, minori e
casa, e fra i diversi gruppi sociali a più basso reddito.
In una fase di restrizioni diventa ineludibile procedere a
verifiche credibili sull’effettiva sostenibilità economica e sui
reali bisogni delle famiglie più disagiate, in modo da modulare
l’offerta in maniera appropriata, eliminando le distorsioni presenti
nell’accesso alle prestazioni derivanti da informazioni non
rispondenti a effettive condizioni di marginalità.
Primo Piano
Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare
19
Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare
libertàcivili
Primo Piano
zione, sanitarie, pensionistiche e di sostegno al reddito.
Non è quindi possibile – e alla fine forse neanche molto
utile – effettuare un conto ragionieristico del dare e avere per
una popolazione di nuovi arrivati, il cui contributo dovrebbe
essere riconosciuto più come contributo alla crescita complessiva
del Paese che in termini di sostegno ai conti pubblici. È illusorio
pensare che “gli immigrati ci pagano le pensioni”, anche perché,
data l’ormai prevalente stabilizzazione, il loro apporto è in
pratica una cambiale che avrà scadenza, seppur fra qualche
decennio. Non possiamo, egualmente, pensare che sul nostro
sistema di protezione sociale non debbano gravare i bisogni
di un flusso di popolazione che viene in Italia a giocarsi un
percorso di miglioramento sociale partendo dalle condizioni
reddituali più basse.
È certo che non possiamo più lasciare i diversi fenomeni
riguardanti il welfare alla semplice iniziativa spontanea, agli
adattamenti e al gioco differenziale delle diverse componenti
sociali. Dopo i tagli e la spending review sarà il caso di
ripensare le politiche sociali nel segno di una maggiore
efficienza ed equità.
20
2 0 12 marzo - apr ile
Primo Piano
Immigrazione e welfare,
un rapporto difficile
La presenza immigrata genera una ricaduta
economica positiva che ne compensa il peso
esercitato sul sistema di sicurezza sociale.
Le alternative: piena estensione dei diritti sociali
o limitazione dei benefici ai soli cittadini?
di Flavio Felice e Lorenzo Prencipe 1
Una relazione problematica
Il Mondo, l’Europa e l’Italia sono sempre più segnati dalla
diversità e dal pluralismo, di cui i fenomeni migratori sono il segno
palese. Le migrazioni occupano, così, la scena dell’odierno
dibattito politico e sociale. Se da un lato, infatti, la presenza
dei migranti è elemento strutturale e ineludibile delle nostre
società, dall’altro, le migrazioni denunciano una globalizzazione incapace di raggiungere uno sviluppo duraturo, d’offrire
occupazione, di proteggere l’ambiente, di garantire la sicurezza
e i diritti dei cittadini, autoctoni o immigrati che siano 2 .
In tale contesto, la società si interroga sulla sua effettiva
capacità di perpetuare un sistema sociale, un welfare, su base
di uguaglianza delle opportunità, atto a garantire a tutti i cittadini
la fruizione dei servizi sociali indispensabili, come l’assistenza
sanitaria, l’istruzione pubblica, il sistema pensionistico, i sussidi
alle persone in difficoltà, gli ammortizzatori sociali e quant’altro
permetta una pacifica e civile coabitazione 3 .
1
Flavio Felice - professore ordinario di “Dottrine economiche e politiche” alla
Pontificia università lateranense e presidente del Centro studi Tocqueville-Acton
[email protected]; Lorenzo Prencipe - coordinatore scientifico Museo nazionale dell’emigrazione italiana - [email protected]
2 International Organization for Migration, World Migration Report 2011: Communicating
Effectively about Migration, http://publications.iom.int/bookstore/free/WMR2011_
English.pdf.
3
Pizzuti Felice Roberto (a cura di), Rapporto sullo stato sociale 2010. La “Grande
crisi del 2008” e il Welfare State, Milano, Academia Universa Press 2009; ID. (a cura di),
Rapporto sullo stato sociale 2011. “Questione giovanile, crisi e welfare state”, Napoli,
Edizioni Simone 2011
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
I fenomeni
migratori
sono una sfida
alla tenuta
e alla organizzazione
tradizionale
dei sistemi
di tutela
sociale
21
Primo Piano
La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare
libertàcivili
Il nemico
da combattere
resta
la percezione
degli
immigrati
come
“usurpatori”
di risorse
sociali ed
economiche
già
insufficienti
per i soli
cittadini
autoctoni.
Gli immigrati,
insomma,
visti come
problema
non come
opportunità
22
Le stesse migrazioni spingono a interrogarsi sul tipo di società
che si vuole costruire e chiedono che si progettino società in
cui si allarghino gli spazi d’appartenenza e di partecipazione
e si restringano quelli di discriminazione, d’emarginazione e
d’esclusione. In effetti, elemento fondamentale del processo
di interazione tra immigrato e società di accoglimento è il
riconoscimento di quei diritti che riguardano i beni essenziali
per la vita della persona in società.
Allo stesso tempo, soprattutto in momenti di acute crisi
economiche, la relazione tra immigrazione e welfare si configura, in genere, come problematica e causa di conflitti per
la convivenza, soprattutto nei quartieri metropolitani a forte
concentrazione d’immigrati. Basti pensare, per esempio,
all’incidenza – doppia rispetto agli autoctoni – dell’attuale perdita
di lavoro degli immigrati e ai conseguenti sussidi, pubblici e
privati, per contrastare l’impoverimento e la marginalità,
oppure al sentimento di “discriminazione al contrario” che
pervade visceralmente i cittadini italiani dinanzi alle graduatorie
delle assegnazioni degli alloggi popolari o in seguito al riconoscimento di prestazioni assistenziali agli immigrati, considerati
come consumatori di risorse “usurpate ai legittimi proprietari
dello Stato” e fruitori “abusivi” della protezione sociale statale,
già insufficiente per i soli autoctoni 4 .
In tal modo, i migranti sono facilmente indicati da media,
politici e opinione pubblica come un problema e una minaccia
per la sicurezza da cui le società di accoglienza devono liberarsi,
cavalcando la riduzione del numero dei migranti e una certa
precarizzazione dello status di immigrato, ritenuto un peso
sociale ed economico insopportabile. È quanto evidenziano i
risultati dell’ultima inchiesta d’opinione Transatlantic Trends
Immigration, per la quale l’atteggiamento nei confronti dell’immigrazione negli Stati Uniti e nei cinque Paesi UE esaminati
(Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna) rivela che
la maggioranza degli americani (53%) e degli europei (52%)
continua a non ritenere l’immigrazione un’opportunità ma un
problema. In tutti i Paesi la maggioranza degli intervistati si
dichiara preoccupata dall’immigrazione clandestina, con una
media europea del 67% e picchi in Spagna (74%) e soprattutto
in Italia (80%). Inoltre, come negli anni precedenti, americani
ed europei continuano a sopravvalutare di gran lunga il numero
4
Cfr. Ferrante Vincenzo, Zanfrini Laura, Una parità imperfetta, Roma, Edizioni
Lavoro 2008
2 0 12 marzo - apr ile
di immigrati presenti nei rispettivi Paesi: e se i britannici
affermano che gli immigrati rappresentano il 31,8% della
popolazione totale contro un dato effettivo pari all’11,3%, gli
americani stimano una presenza pari al 37,8% del totale,
rispetto ad appena il 12,5% effettivo, gli italiani stimano una
presenza pari al 25%, rispetto a un effettivo 7% e gli spagnoli
una presenza del 21% rispetto a un effettivo 12,3% 5 .
Costi e benefici della relazione
Diversi studi, consacrati all’impatto dei flussi migratori nelle
società contemporanee, alla misura in cui gli immigrati beneficiano dei sistemi di sicurezza sociale dei Paesi di accoglienza
e di come la generosità di tali sistemi influenzi gli stessi flussi
migratori, evidenziano il difficile rapporto tra welfare e immigrazione 6 ; o, più propriamente, la percezione e la convinzione
dell’opinione pubblica riguardo al ruolo negativo giocato dall’immigrazione sul sistema sociale italiano sono più radicate e
forti degli stessi “dati oggettivi”, che evidenziano più i benefici
che i costi legati all’immigrazione nel nostro Paese.
È comunque utile sottolineare alcuni aspetti-chiave di comprensione del ruolo delle migrazioni nelle nostre società e
sull’impatto che esercitano sulle politiche di welfare. Innanzitutto,
anche in tempo di crisi economica, come quello che dal 2007 ai
nostri giorni sta condizionando lo sviluppo globale del pianeta,
il processo migratorio non si arresta 7 . Ad ogni modo, a livello
mondiale ed europeo, insieme a una certa diminuzione dei flussi
migratori verso i Paesi sviluppati – tra il 2007 e il 2008, il
numero d’immigrati a lungo termine ammessi dai Paesi membri
dell’Ocse è diminuito del 6% e la migrazione temporanea di
lavoro del 4%; una tendenza verso la diminuzione che prosegue
5
Cfr. Transatlantic Trends: Immigration 2011, http://trends.gmfus.org
6
Cfr. Boeri Tito, McCormick Barry (a cura di), Immigrazione e Stato sociale in
Europa, Milano, Università Bocconi 2002; Barrett Alan, McCarthy Yvonne, Immigrants
and Welfare Programmes: Exploring the Interactions between Immigrant
Characteristics, Immigrant Welfare Dependence and Welfare Policy, “Oxford Review
of Economic Policy”, (24) 3, 2008, pp. 542-559
7
Nel 2010, a livello mondiale, sono circa 740 milioni i migranti interni che si muovono
all’interno dei propri Paesi e circa 214 milioni i migranti internazionali, per metà
donne, che si muovono al di fuori dei propri confini nazionali. A questi migranti,
considerati normalmente “volontari”, si aggiungono i “movimenti forzati”, di rifugiati
(circa 15 milioni) e di quanti sono costretti a fuggire pur rimanendo entro i confini
nazionali (circa 27 milioni di IDPs – internally displaced persons). Cfr. Nations Unies,
Assemblée générale, Soixante-cinquième session, Rapport du Secrétaire général,
A/65/203, 2.8.2010; UNHCR, 2009 Global Trends: Refugees, Asylum-seekers, Returnees,
Internally Displaced and Stateless Persons, www.unhcr.org/4c11f0be9.html
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Anche
in tempi
di crisi
economica,
come quella
dal 2007
ai nostri giorni,
il processo
migratorio
non si arresta
Primo Piano
La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare
23
Primo Piano
La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare
Il “caso Italia”
consiste
nel fatto che
oggi, senza
immigrati,
alcuni settori
strategici
della vita
economica
del Paese
rischiano
di bloccarsi
anche nel 2009 e 2010 8 – e all’aumento dei ritorni dei migranti
nei loro Paesi di origine, rileviamo, comunque, che la maggioranza dei migranti rimasti senza lavoro con la crisi scelgono di
rimanere nei Paesi di insediamento, sia in forza dei legami
familiari e sociali creati nel tempo di permanenza, sia perché
il ritorno a casa appare meno conveniente del restare e,
soprattutto, perché le misure restrittive adottate dai Paesi di
immigrazione per regolare gli ingressi rendono praticamente
impossibile un rientro, oltre a contribuire a generare nuove
forme di migrazione irregolare 9 e a rendere più vulnerabili le
condizioni di vita dei migranti.
Per limitarci al solo caso italiano è quanto mai opportuno
ricordare che gli immigrati contribuiscono alla produzione del
Prodotto interno lordo italiano per l’11,1% e che la stessa Banca
d’Italia ha sottolineato la funzione complementare dei lavoratori
immigrati. Venendo essi a mancare nei settori produttivi
considerati non appetibili dagli italiani (agricoltura, edilizia,
industria, settore familiare e altri servizi), il Paese sarebbe
impossibilitato ad affrontare il futuro. Inoltre, è utile non sottovalutare il fatto – contrario a una diffusa opinione anti-immigrati –
che gli stranieri versano alle casse pubbliche più di quanto
prendano come fruitori di prestazioni e servizi sociali. Si tratta
di 12 miliardi di euro in contributi sociali e fiscali l’anno contro i
10,5 miliardi di euro che gli immigrati ricevono in servizi sanitari,
scolastici, abitativi, pensionistici e altri aiuti pubblici. Gli stessi
immigrati dichiarano al fisco oltre 40 miliardi di euro l’anno e,
a livello occupazionale, non solo incidono per circa il 10% sul
totale dei lavoratori dipendenti, ma sono sempre più attivi nel
lavoro autonomo e imprenditoriale: anche in questa fase di crisi
economica, sono circa 400mila gli stranieri titolari di impresa,
amministratori e soci di aziende 10 .
8
Cfr. Koser Khalid, The impact of the global financial crisis on international migration,
“The Whitehead Journal of Diplomacy and International Relations”, (11) 1, 2010, pp.13-20
9
libertàcivili
In realtà, l’irregolarità migratoria trova origine, soprattutto, nella poca o nulla
disponibilità di canali regolari di migrazione. Tra le forme peggiori di irregolarità
troviamo il traffico e la tratta di migranti, specie donne e bambini. Il numero di
migranti irregolari nell’UE è stimato tra i 3 e i 5 milioni di persone rispetto ai circa
50 milioni di immigrati in situazione irregolare nel mondo. Cfr. Frontex, The impact of
the global economic crisis on illegal migration to the European Union. Risk Analysis
Unit. Frontex, Warsaw August 2009, www.frontex.europa.eu/specific_documents/other;
Passel Jeffrey S., Cohn D’Vera, Mexican immigrants: how many come? how many
leave? Washington, Pew Hispanic Center, 2009, 27 p., http://pewhispanic.org/files/
reports/112.pdf
24
10 Cfr. Albisinni Mario, Pintaldi Federica, I lavoratori stranieri nel biennio della crisi.
In: Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011, Roma, Arti Grafiche
2011, pp. 231-239; Demaio Ginevra, Lavoratori assicurati per territorio e per settore.
2 0 12 marzo - apr ile
Primo Piano
La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare
In: Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011, op. cit., pp. 244-251;
Bea Giuseppe, Murzi Antonio, Immigrati e imprenditoria. In: Caritas/Migrantes,
Dossier statistico immigrazione 2011, op. cit., pp. 276-283; Benvenuti Valeria, L’impatto
fiscale dell’immigrazione nel 2009. In: Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011, op. cit., pp. 302-308
11 Cfr. Nanni Maria Paola, Il lavoro domestico e di cura: il welfare “straniero” all’italiana.
In: Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011, op. cit., pp. 260 - 267
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Un esempio particolare: il lavoro domestico
Una delle caratteristiche del welfare italiano è data dalla
debolezza del sistema nazionale dei servizi che viene, normalmente, compensato dalla realtà familiare, considerata come
luogo privilegiato di cura e protezione della persona. E in tale
realtà familiare, entrata anch’essa in crisi a causa del progressivo
allentarsi dei legami parentali e del necessario ruolo attivo
della donna, gli immigrati sono sempre più indispensabili per
soddisfare le esigenze, vecchie e nuove, delle famiglie italiane,
divenendo creatori ed erogatori di un welfare informale che
assume le forme di lavoro domestico e di assistenza alla persona
capace di colmare le carenze del welfare nazionale e la
ristrutturazione delle reti di sostegno familiari 11 .
Nel 2008, ultimo anno di cui abbiamo i dati, sono stati
25
Il vero
e proprio
esercito
di immigrati
addetti
al lavoro
domestico
configura
una
situazione
di “welfare di
sostituzione”
nei confronti
dello Stato
che non potrà
comunque
durare a lungo,
anche per il
crescente
onere
economico
a carico
delle famiglie
26
651.888 i lavoratori domestici registrati all’Inps, di cui 141.569
italiani e 510.319 nati all’estero, soprattutto donne (86,8%) 12 .
Tale realtà, che mette in evidenza la trasformazione delle
famiglie da prestatrici ad acquirenti di servizi di welfare, è così
diventata imprescindibile nella gestione politica dell’immigrazione,
esplicitata sia dai decreti flussi annuali (nel 2007 e 2008, su
320mila quote di ingressi/assunzioni ne sono state riservate
260mila ai lavoratori domestici immigrati e nel 2010, su 98mila
ingressi/assunzioni 82mila sono stati riservati al settore domestico)
sia dai successivi provvedimenti di regolarizzazione (nel 2002 e
2009 tali misure sono state concepite proprio per far emergere i
migranti addetti al lavoro domestico e di cura).
Ad oggi, la crescente longevità della popolazione e la crescita
della non autosufficienza gestita in famiglia, continuano a trovare
nella collaborazione domestica e familiare, appannaggio quasi
esclusivo dei lavoratori immigrati, il loro sbocco principale,
finendo comunque per pesare quasi interamente sulle spalle
delle famiglie (sono circa 9 miliardi di euro le spese annue)
e facendo risparmiare circa 6 miliardi di euro (stima del ministero del Lavoro nel 2007) allo Stato per mancate prestazioni
socio-sanitarie.
Tale situazione di “welfare di sostituzione” nei confronti
dello Stato non potrà comunque durare a lungo, sia perché la
disponibilità di “badanti” straniere, specie quelle dell’Est
Europa, diminuirà progressivamente, sia per il crescente onere
economico a carico delle famiglie, che non potranno più
permettersi il ricorso all’assistenza privata, con una inevitabile
ricaduta per le casse dello Stato. Diventa perciò necessario
pensare a nuove forme di relazioni tra interventi sociali privati
e pubblici capaci di dar vita a un welfare al passo con i tempi.
In conclusione
Non potendo qui sviluppare propriamente tutti gli ambiti di
relazione tra welfare e immigrazione è comunque essenziale
sottolineare che, in un certo momento, le odierne società, se
vogliono assumere e non subire passivamente il loro pluralismo
multiculturale, non potranno più eludere la sfida fondamentale
del rapporto tra diritti dell’uomo e diritti del cittadino, optando
chiaramente per una delle due possibili vie da percorrere: quella
che allarga il concetto di “cittadinanza”, superando i confini
libertàcivili
Primo Piano
La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare
12 Cfr. Inps-Idos, IV Rapporto sui lavoratori immigrati negli archivi Inps, Roma 2011,
www.inps.it
2 0 12 marzo - apr ile
13 Cfr. Zanfrini Laura, Cittadinanze. Appartenenze e diritti nella società dell’immi-
grazione, Roma, Laterza 2007
14 Cfr. Biondi Dal Monte Francesca, Welfare, immigrazione e non discriminazione.
Quando i diritti costruiscono l’integrazione, Paper for the Espanet Conference “Innovare
il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa”, Milano, 29 settembre
- 1 ottobre 2011, www.espanet-italia.net/conferenza2011/edocs2/sess.16/16-biondi%
20dal%20monte.pdf
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
prettamente giuridici per accogliere nell’ambito degli interventi
di “cittadinanza sociale” anche coloro che cittadini ancora non
sono e quella che, in nome di una rigida identità nazionale,
circoscrive ai soli nazionali l’ambito della cittadinanza e quello
dei beneficiari del welfare 13. Tale scelta è richiesta dalla constatazione che tutelare e garantire in maniera uniforme ed equa
tutti i diritti costa un prezzo economico e sociale che presuppone
la definizione di quali diritti debbano essere garantiti anche a
coloro che, pur vivendo nello stesso territorio, cittadini non sono.
In tale scelta, se il riconoscimento dei diritti fondamentali
della persona è imposto da numerosi trattati internazionali, è
più problematica la posizione verso i cosiddetti diritti sociali che,
pur essendo essenziali per un’efficace politica d’integrazione,
non trovano la medesima considerazione nelle fonti internazionali e in riferimento ai quali l’equilibrio finanziario è il fattore
condizionante più rilevante e più destrutturante. In effetti, proprio
nei settori più nevralgici per l’integrazione degli immigrati
(sanità, istruzione, abitazione, lavoro) si registrano discipline
nazionali, regionali e locali capaci di pregiudicare maggiormente
la condizione giuridica degli stranieri, minando alle radici la
creazione di un più solido legame di comunità basato sulla
partecipazione alla governance delle risorse e dei beni comuni14.
Primo Piano
La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare
27
Primo Piano
I benefici della presenza
e i rischi dell’esclusione
Gli immigrati forniscono un apporto finanziario
importante al welfare italiano, garantendo
un beneficio fiscale netto. Il tentativo, intenzionale
o involontario, di limitarne l’accesso ai servizi
ha anche conseguenze economiche da valutare
di Carlo Devillanova
Dipartimento di Analisi delle politiche e Management pubblico, università Bocconi
di Milano e fondazione Ismu
libertàcivili
Nel 2009 è stato chiesto ai cittadini dei 27 Paesi europei
se fossero d’accordo con l’affermazione secondo la quale gli
immigrati contribuiscono al sistema di welfare più di quanto
non ricevano da esso. Solo il 22% di coloro
I dati Ocse ed Eurostat relativi che hanno risposto si dichiarava d’accordo
con tale affermazione. Anche limitando la
alla nostra spesa sociale
domanda agli immigrati regolarmente resiin rapporto a quella sostenuta denti, il 45% degli intervistati (il 40% in Italia)
dagli altri Paesi europei
esprimeva il proprio disaccordo 1 . Infatti, il
e negli Stati Uniti mostrano
timore che gli immigrati rappresentino un
una situazione sostanzialmente costo per la finanza pubblica continua a
dominare il dibattito politico e accademico
in linea con la media UE
nei Paesi sviluppati. Questo breve intervento
cercherà innanzitutto di chiarire se, per l’Italia,
questo timore sia giustificato.
Preliminarmente, conviene inquadrare il tema richiamando
alcuni dati essenziali sul nostro sistema di protezione sociale.
Il primo elemento è relativo all’entità delle spese sociali. I dati
Ocse 2 , relativi al 2007, dimostrano che la nostra spesa per
protezione sociale, nella sua componente pubblica (includendo
le esenzioni fiscali) e privata, è in linea con quella dei Paesi
28
1
2
European Commission, Eurobarometer 71, gennaio 2010
Adema, W., P. Fron and M. Ladaique (2011), “Is the European Welfare State Really
More Expensive?: Indicators on Social Spending, 1980-2012; and a Manual to the
Oecd Social Expenditure Database (Socx)”, Oecd Social, Employment and Migration
Working Papers, No.124, Oecd Publishing. http://dx.doi.org/10.1787/5kg2d2d4pbf0-en
2 0 12 marzo - apr ile
3
Eurostat, European System of Integrated Social Protection Statistics (Esspros),
http://ec.europa.eu
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
sviluppati: il livello di spesa in rapporto al Pil in Italia (26,4%) è
inferiore di circa un punto percentuale rispetto agli Stati Uniti
(27,5%) e sensibilmente inferiore a quello francese (32,7%)
e tedesco (28,4%). Prevale da noi la componente pubblica di
spesa, un aspetto che caratterizza il modello europeo di Stato
sociale. Limitando a questa l’attenzione, i più recenti dati
Eurostat, relativi al 2009, confermano per l’Italia una spesa
sociale inferiore alla media europea 3 . Il secondo elemento
da richiamare è la maggiore entità della spesa previdenziale
in Italia, documentata dai dati Ocse ed Eurostat. Si noti che
il confronto internazionale in questo caso è effettuati sui
benefici lordi e che in Italia i redditi da pensione vengono
assimilati a quelli da lavoro dipendente ai fini Irpef; inoltre, i dati
non tengono conto della recente riforma previdenziale.
Ciò premesso, occorre riconoscere che l’effetto dell’immigrazione sulla finanza pubblica è ambiguo e dipende fortemente
dalle caratteristiche del sistema di welfare. Da un lato, gli
elementi di progressività dei moderni sistemi
di tassazione e spesa pubblica trasferiscono
Gli immigrati versano
risorse agli individui meno abbienti, fra cui gli
contributi per importi bassi,
immigrati sono maggiormente rappresentati.
ma essendo numerosi questo Dall’altro lato, l’elevato tasso di attività fra
secondo aspetto ha un peso
gli immigrati, spiegato anche da ragioni
maggiore rispetto al primo
demografiche, favorisce la sostenibilità
nel determinare il loro apporto finanziaria dei sistemi di protezione sociale,
aumentandone la base contributiva. Per
al nostro sistema di welfare
l’Italia, tutti gli studi esistenti mostrano che
il secondo effetto prevale sul primo, determinando un significativo apporto degli immigrati al nostro
sistema di welfare.
L’intuizione alla base di questo risultato è nelle caratteristiche
della nostra spesa sociale, richiamate in precedenza: a una
spesa pubblica per pensioni relativamente elevata corrispondono
esborsi particolarmente contenuti negli altri comparti della
spesa sociale, inclusi disabilità, famiglia/figli, disoccupazione,
edilizia sociale, esclusione sociale. In particolare, in Italia è
esigua la spesa di natura assistenziale. In un recente lavoro si
è calcolato il beneficio fiscale netto (la differenza fra i trasferimenti ricevuti dal settore pubblico e quanto pagato al settore
Primo Piano
Gli immigrati come finanziatori del welfare
29
pubblico) per immigrati e italiani 4 . Lo studio è esteso a tutti
i principali elementi di progressività del nostro sistema di
tassazione e spesa pubblica, individuabili quali possibili
cause del drenaggio di risorse a favore degli immigrati, inclusi i
trasferimenti di natura prettamente assistenziale e le spese per
sanità e istruzione. L’analisi porta a concludere che gli istituti di
tassazione e spesa pubblica stanno operando un rilevante
trasferimento netto di risorse dagli immigrati verso gli italiani.
Come già accennato, questo flusso di risorse è in gran parte
dovuto ai benefici legati all’anzianità, che costituiscono la
componente più rilevante della spesa sociale italiana.
La conclusione precedente si riferisce agli immigrati regolarmente residenti in Italia. A conoscenza di chi scrive, non
esistono studi accurati che guardino all’impatto fiscale dell’immigrazione irregolare,
Gli immigrati irregolari sono
anche per evidenti difficoltà di reperimento
esclusi dalla quasi totalità
dei dati. Tuttavia, gli immigrati irregolarmente
dei benefici sociali,
presenti sul territorio sono esclusi dal
a eccezione di quelli sanitari godimento della quasi totalità dei benefici
relativi alle cure urgenti
sociali, con la rilevante eccezione dei servizi
sanitari relativi a cure urgenti ed essenziali
ed essenziali e alla
e alla medicina preventiva. Al tempo stesso,
medicina preventiva
il loro contributo fiscale è certamente positivo,
grazie all’Iva sui consumi e, soprattutto, l’Irap,
sempre che il valore aggiunto generato dagli immigrati irregolari
(i cui tassi di occupazione sono sorprendentemente elevati 5 ),
non venga occultato al fisco da pratiche evasive dei loro datori
di lavoro.
Della complessa relazione fra immigrazione e stato sociale,
quindi, la prima importante conclusione è che l’apporto degli
immigrati alla finanza pubblica italiana è positivo e quantitativamente importante. La seconda questione che si intende
seppur brevemente affrontare concerne l’esclusione degli
immigrati dai programmi di welfare, un tema assai complesso
che richiederebbe un’analisi articolata. Schematicamente, in
molti Paesi l’accesso degli immigrati a specifici programmi
di welfare è condizionato allo status giuridico e al periodo di
libertàcivili
Primo Piano
Gli immigrati come finanziatori del welfare
30
4
Devillanova C. (2011), “Immigrazione e finanza pubblica”, in Ismu (a cura di),
Sedicesimo Rapporto sulle migrazioni 2010, pp.195-209, FrancoAngeli. Si rimanda
allo scritto per ulteriori riferimenti bibliografici
5
Devillanova C., Fasani F. e Frattini T. (2009), “Cittadini senza diritti”. Rapporto
Naga 2009. Ingombranti inesistenze, Naga, Milano
2 0 12 marzo - apr ile
6
Si veda, in questo senso, Sen A. (2000), “Social Exclusion: Concept, Application,
and Scrutiny”, Social Development Papers No.1, Office of Environment and Social
Development Asian Development Bank
7
Si veda, con specifico riferimento ai servizi sanitari, Devillanova C. (2012),
“Exclusion”, in Sana Loue e Martha Sajatovic (a cura di), Encyclopedia of Immigrant
Health, Springer Science+Business Media, LLC, New York, pp.666-668.
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
permanenza nel Paese. È bene notare che l’introduzione di
barriere legali all’accesso ai servizi di welfare ha immediato
riflesso sul beneficio fiscale netto, riducendo a parità di altre
condizioni l’esborso pubblico. È lecito supporre che in periodi
di crisi e di necessità di risanamento dei conti pubblici
sorga la tentazione di ridurre per questa via il numero dei
potenziali beneficiari dei trasferimenti. Se poi agli esclusi
non è dato di esercitare il diritto di voto, il costo in termini di
consenso politico sarà probabilmente risibile 6 .
Vi sono però molte altre forme di barriere all’accesso, non
necessariamente intenzionali o anche solo
previste. Per la popolazione immigrata queste
Le molte barriere d’accesso
includono, ad esempio, la mancanza di inforai servizi, non necessariamente mazione, i problemi di comprensione linguiintenzionali o previste:
stica, la poca familiarità con la complessità
dalla non conoscenza
amministrativa del sistema, ecc. 7 Anche
dei propri diritti alla lingua,
l’esclusione degli immigrati dal godimento dei
diritti loro garantiti rischia di aumentare in
fino alla poca familiarità
periodi di ristrettezze economiche, perché
con la burocrazia italiana
minori sono le possibilità di dedicare risorse
umane e finanziarie all’abbattimento di
dette barriere.
Il problema dell’esclusione degli immigrati sembra sottintendere una prospettiva opposta rispetto a quello del loro
apporto alla finanza pubblica, che privilegia considerazioni
in termini di equità, coesione sociale ed estensione dei diritti
di cittadinanza rispetto al mero calcolo economico. Per competenze professionali, in questa sede non è possibile affrontare
adeguatamente gli aspetti più etici e giuridici della questione,
che tuttavia reputo fondamentali. Ci si limiterà dunque a evidenziare le possibili conseguenze economiche che possono
derivare da pratiche di esclusione, intenzionale o meno che
siano. Il tema è estremamente vasto e richiederebbe analisi
specifiche. Qui sono forniti solo due esempi.
Come evidenziato in precedenza, la struttura demografica
della popolazione immigrata e italiana spiega l’apporto positivo
della prima al nostro sistema di welfare. Un’immediata obiezione,
Primo Piano
Gli immigrati come finanziatori del welfare
31
però, è che l’evoluzione delle caratteristiche socio-economiche
e demografiche della popolazione immigrata, in particolare
l’invecchiamento di coloro che sono già presenti in Italia,
modificherà in futuro il peso relativo delle diverse componenti
che contribuiscono alla formazione del beneficio fiscale netto.
In altri termini, i giovani immigrati che attualmente lavorano e
contribuiscono al finanziamento del sistema pensionistico
saranno futuri beneficiari delle prestazioni pensionistiche. Ciò
è corretto solo in parte. Molti di loro, dopo un periodo di
contribuzione in Italia, torneranno nel Paese di origine (un
fenomeno noto come “effetto salmone”). In
questo caso il diritto alla riscossione dei
La doverosa strada delle
contributi versati è subordinato all’esistenza
convenzioni con i Paesi
di accordi bilaterali di sicurezza sociale fra
di provenienza degli immigrati l’Italia e il Paese di origine del migrante.
affinché questi ultimi,
Come si legge sul sito dell’Inps, “le conventornando nella loro patria,
zioni bilaterali riguardano gli Stati verso i quali
più massiccia è stata l’emigrazione italiana
non perdano quanto versato
ai nostri istituti di previdenza nel tempo (…) e garantiscono parità di diritti
agli italiani all’estero. Negli ultimi anni poi
anche l’Italia è diventata un Paese con un
notevole flusso immigratorio in entrata. (…) Anche in questo
caso la strada da percorrere è quella delle convenzioni”
(corsivo nostro).
Il problema principale che si pone è il gran numero di Paesi
coinvolti nei flussi migratori verso l’Italia e, soprattutto, il fatto
che riconoscere la portabilità dei contributi implica un esborso
per il nostro sistema previdenziale. Anche la ratifica di convenzioni già firmate viene procrastinata per l’onerosità delle
stesse e la difficoltà di trovare copertura finanziaria. In questa
sede deve essere evidenziato che questa disparità di trattamento
fra contribuenti italiani e immigrati rischia di modificare le
scelte di ritorno al Paese di origine, con conseguente futuro
aggravio per altri comparti del nostro sistema di sicurezza
sociale (primo fra tutti la spesa sanitaria) ma soprattutto
crea un evidente disincentivo alla regolarità contributiva.
Certo, l’attuale legislazione in materia di soggiorno regolare
crea un forte incentivo alla regolarità lavorativa; tuttavia,
occorre notare che anche le politiche di contrasto alla presenza
irregolare comportano un costo per le finanze pubbliche che
deve essere attentamente valutato in una corretta analisi
costi/benefici.
Un secondo esempio riguarda l’accesso alle cure sanitarie.
Recenti studi indicano come gli immigrati fronteggino delle
32
2 0 12 marzo - apr ile
Primo Piano
libertàcivili
Gli immigrati come finanziatori del welfare
Primo Piano
Gli immigrati come finanziatori del welfare
8
Per necessità di sintesi, rimando alla bibliografia riportata in Devillanova C.
(2012), Immigrant’s access to health care services: The case of Italy, mimeo,
università Bocconi
9
Si veda http://www.caritasroma.it/wp-content/uploads/2010/09/DIRITTO_ALLA_
SALUTE.pdf
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
barriere nell’accesso ai servizi sanitari in Italia 8 , anche a
causa di politiche locali disomogenee nell’applicazione
delle normative nazionali in ambito di accessibilità dei servizi
sanitari 9 . In particolare, si evidenzia un minor uso delle visite
specialistiche e della medicina preventiva in generale e un
più frequente ricorso ai servizi di pronto soccorso. Questa
situazione si ripercuote sulle condizioni di salute dei cittadini
immigrati e dei loro figli, un fatto particolarmente deprecabile
sotto il profilo etico.
Da un punto di vista strettamente economico risulta anche
inefficiente: la rimozione delle barriere richiederebbe specifiche
politiche di informazione il cui costo, sebbene immediato,
appare risibile rispetto ai possibile benefici, attuali e futuri.
33
Gli immigrati come finanziatori del welfare
libertàcivili
Primo Piano
Nell’immediato, perché consentirebbe di contenere le maggiori
spese causate, ad esempio, dall’uso improprio delle cure in
regime di pronto soccorso, dalla maggiore onerosità di cure
tardive, incluso l’allungamento della degenza 10 ; inoltre, il
mancato accesso alla medicina preventiva accresce i pericoli
legati alla diffusione di patologie contagiose. In una prospettiva
di più lungo periodo, in quanto la salute fisica e mentale
degli individui è un prerequisito fondamentale per il loro pieno
inserimento nella vita economica e sociale del Paese. È questo
un aspetto da non sottovalutare, perché la capacità degli
immigrati, e dei loro discendenti, di contribuire in futuro al sistema
di welfare dipende anche dal successo con cui riusciranno a
integrarsi nel nostro tessuto economico e sociale. Un discorso
analogo vale naturalmente per altre tipologie di spesa pubblica,
quale, ad esempio, quella per programmi di integrazione
scolastica.
In conclusione, è certo che al presente gli immigrati forniscono un importante apporto finanziario al sistema di welfare
italiano. L’attenzione al beneficio fiscale netto non deve però
indurre all’adozione di un’accezione angusta dei costi delle
politiche sociali e a oscurare il fatto che le istituzioni dello
Stato sociale rispondono a bisogni e a vincoli. Questa affermazione è del tutto generale, anche se spesso trascurata nel
dibattito corrente. Con specifico riferimento agli immigrati,
pare opportuno un (parziale) impiego del loro apporto fiscale
in politiche di facilitazione dell’accesso ai principali servizi
di welfare. Politiche di integrazione possono essere economicamente efficienti nell’immediato e, in un’ottica di più lungo
periodo, rappresentano un proficuo investimento per la
sostenibilità del nostro sistema di welfare e il mantenimento
di un adeguato livello di coesione sociale.
34
10 Per evidenza in questo senso si vedano le elaborazioni a cura dell’Osservatorio
diseguaglianze della regione Marche, su dati ministero della Salute/Agenas, 2009
2 0 12 marzo - apr ile
Primo Piano
Includere gli immigrati
nel sistema di welfare
è la sfida del futuro
La crescita esponenziale delle migrazioni
obbliga a riprogrammare l’intero sistema
della assistenza sociale, tenendo conto anche
dei nuovi bisogni e della domanda di servizi
che proviene dalla comunità dei nuovi arrivati
di Marco Omizzolo
Dottorando - Università di Firenze
Il welfare nella storia e nella teoria
Il welfare state nasce come evoluzione delle assicurazioni
sociali ottocentesche 1 quale “modello di organizzazione dei
poteri pubblici finalizzato a compensare i costi sociali ed economici delle dinamiche di competizione mercantile” (Moini,
2001) e ad ammortizzare le ricadute di un modello politico
fondato su competizione e profitto. La sua funzione, in tutti i
Paesi europei, ha contribuito al processo di modernizzazione
attraverso la stabilizzazione dell’economia di mercato e il
consolidamento delle istituzioni democratiche.
La rivoluzione industriale obbligò molti Paesi, a partire da
quelli nordeuropei, a modernizzare, istituzionalizzare e diffondere
sistemi pubblici di protezione sociale, con l'obiettivo comune
di proteggere il lavoratore dai rischi legati alla sua attività
occupazionale, partendo dall'invalidità, dalla malattia, dal decesso
del coniuge e dall'inattività forzata. Le origini del welfare
moderno sono rintracciabili (insieme alle leggi sull’obbligo
scolastico): nel sistema di assicurazione sociale tedesco del
1881 che copriva i rischi di vecchiaia, infortunio, malattia dei
lavoratori dell’industria dietro il pagamento di contributi
sociali a carico dei datori di lavoro e lavoratori; nel sistema
pensionistico a ripartizione statunitense, promosso con il
1
Antecedenti plausibili del moderno welfare state possono essere rintracciati nelle
funzioni assistenziali originariamente svolte dalle istituzioni religiose o nelle poor laws
del periodo elisabettiano
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
I sistemi
di welfare
si sviluppano
in Europa
con
l’affermarsi
delle moderne
democrazie
sociali
35
Primo Piano
L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare
Le tre varianti
del welfare
nei regimi
liberali,
conservatori
e socialdemocratici
in rapporto
alle diverse
concezioni
dei diritti
sociali
nei singoli
Stati
Social Security Act del 1935, in grado di offrire garanzie pensionistiche altrimenti irrealizzabili; e nel sistema sanitario
nazionale inglese del 1946, che garantiva a tutti i cittadini
piena assistenza medica, superando i principi assicurativi
che avevano ispirato la legislazione d’ispirazione bismarckiana.
L’Italia è arrivata tardi alla formazione di un sistema di welfare
maturo, benché l’assicurazione obbligatoria per invalidità e
vecchiaia per i dipendenti privati (ad eccezione degli impiegati
al di sopra di un certo reddito) fosse stata introdotta nel 1919,
dopo aver preso coscienza dell'inadeguatezza delle forme di
previdenza volontaria sperimentate nei decenni precedenti
(tutti gli impiegati civili e militari dello Stato avevano diritto alla
pensione dal 1864) 2 .
Il sociologo danese G. Esping-Andersen (1990) distingue tre
diverse tipologie di welfare individuate a partire dalle diverse
origini dei diritti sociali propri di ogni singolo Stato. Nel regime
liberale, tipico dei Paesi anglosassoni, i diritti sociali deriverebbero dalla dimostrazione dello stato di bisogno del singolo,
per cui la precedenza sarebbe data sempre ai poveri meritevoli
di tutela (teoria della less eligibility). Nel regime conservatore,
tipico degli Stati dell’Europa continentale e meridionale, tra cui
l’Italia, i diritti sociali sarebbero legati alla professione esercitata,
per cui il sistema di welfare diventerebbe accessibile solo a chi
è realmente titolare di certi requisiti, in primis un’occupazione.
Nel regime socialdemocratico, come nei Paesi del Nord Europa,
i diritti sociali deriverebbero dalla cittadinanza, per cui alcuni
servizi verrebbero offerti a tutti i cittadini senza alcuna differenza.
Un’altra distinzione dei sistemi di welfare individua invece
quattro categorie di politiche sociali pubbliche. La prima
riguarda gli strumenti utilizzati, come i trasferimenti in denaro
o l'erogazione di servizi alla persona; poi le regole di accesso
con accertamento, o meno, delle condizioni di bisogno; le
modalità di finanziamento adottate attraverso la fiscalità generale
o tramite contributi sociali; infine, gli assetti organizzativo-
2
libertàcivili
Dopo l’introduzione delle pensioni di reversibilità a favore dei superstiti nel 1939,
il secondo dopoguerra è stato caratterizzato dalla progressiva estensione della
copertura pensionistica alle categorie non coperte (impiegati del settore privato,
coltivatori diretti, artigiani e commercianti) fino all’introduzione delle pensioni sociali
per i cittadini anziani indigenti nel 1969. Nel corso degli anni diverse categorie
professionali hanno poi ottenuto il diritto a costituire forme previdenziali autonome.
Il Sistema sanitario nazionale è stato introdotto nel 1978 al fine di garantire a tutti i
cittadini cure mediche e ospedaliere finanziate con prelievo obbligatorio e gratuite
per l’utente finale, superando le preesistenti strutture assistenziali e mutualistiche
a base professionale
36
2 0 12 marzo - apr ile
gestionali. Da questa categorizzazione derivano alcune linee
comuni di evoluzione dei sistemi di sicurezza sociale e alcune
macro-aree relativamente omogenee, come il modello socialdemocratico (o scandinavo), il modello liberale (o anglosassone),
il modello corporativo (o continentale) e il modello mediterraneo,
frutto dell’estensione dei diritti politici e sociali a fasce sempre
più vaste della popolazione, legata ai processi di industrializzazione e urbanizzazione che investirono l’Occidente a partire
dalla seconda metà del diciannovesimo secolo.
Lo scopo finale del welfare moderno è quello di realizzare
condizioni di well-being sociale per “a more efficient, a more
stable, and a more just society” (Oecd, 1994). Da questo
fecondo nucleo originario sono evolute, con la crescita della
complessità della società industriale, altre forme di sostegno
e assistenza legate all'erogazione diretta di servizi sociali, al
trasferimento di reddito per le famiglie disagiate, alla promozione
di politiche attive per il lavoro e al reddito minimo di cittadinanza.
Il welfare state tradizionale riguarda, oltre al superamento di
disagi e bisogni primari di ampie fasce della popolazione,
anche un altro aspetto, generalmente poco considerato, ossia
il consolidamento degli Stati-nazione, mediante il potenziamento
del senso di appartenenza dei singoli individui agli stessi.
L’impatto delle migrazioni sui sistemi di welfare
L’organizzazione della rete di servizi alla persona e alla
famiglia costituisce il sistema probabilmente più avanzato del
welfare tradizionale entrato, nel corso degli ultimi decenni,
sostanzialmente in crisi. La presenza dei migranti e la loro
stabilizzazione nelle forme della post modernità nelle società
europee, e le conseguenze sociali ed economiche legate al
loro ciclo di vita, hanno aperto un dibattito che ha investito
anche il sistema di welfare. In Italia questo dibattito, rispetto
ad altri Paesi europei, è ancora poco evoluto e spesso condizionato da pregiudizi e stereotipi diffusi, privi di qualunque
giustificazione scientifica, rei della messa in discussione dell’assunto cardine della società moderna 3 .
La rottura delle comunità tradizionali, la messa in discussione
della famiglia quale modello produttivo centrale nelle forme di
3
Il cuore della società moderna sarebbe costituito dalla consapevolezza del
singolo di poter porre in essere rapporti di produzione e scambio regolati pubblicamente, mentre quello della moderna cittadinanza nazionale sarebbe dato dalla
legittima titolarità, da parte del singolo, di diritti sociali garantiti e sicuri
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
L’obiettivo
di raggiungere
“a more
efficient,
a more stable
and a more
just society”
Primo Piano
L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare
37
Primo Piano
L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare
La
atomizzazione
dei nuclei
familiari,
l’ingresso
delle donne
nel mercato
del lavoro,
l’alterità
dei migranti
i nuovi fronti
con i quali
il welfare
deve misurarsi
economia tradizionale e l’intensificarsi e globalizzarsi dei processi
produttivi e di divisione del lavoro ha prodotto un processo di
atomizzazione che ha rotto legami sociali e rapporti di solidarietà
inter- e intra-generazionali 4 . Gli ampi processi di mutamento e
trasformazione storico-sociale hanno interessato le strutture
economiche dominanti a livello globale, a partire dall’invecchiamento demografico della popolazione occidentale 5 , da cui
l’aumento della spesa pubblica pensionistica e la riformulazione
delle sue modalità organizzative, sempre più legate a un’assai
complessa selettività delle erogazioni e prestazioni. La riprogrammazione dei meccanismi di produzione e distribuzione
della ricchezza sociale, le istituzioni politiche delle società post
moderne e l’architettura delle relazioni tra Paesi, sistemi e
culture, sono responsabili della modifica del patrimonio genetico
del sistema di welfare, che fino a circa i primi anni Ottanta
aveva svolto egregiamente la sua funzione.
La crescita esponenziale delle migrazioni, sia in termini
quantitativi sia qualitativi, obbliga a riprogrammare il sistema
di welfare, anche in ragione di sensibilità culturali, bisogni e
percorsi includenti nuovi, che il vecchio sistema non sarebbe
in grado di realizzare, comprendendo l’alterità migrante e la
sua complessità, tipica della post modernità, a patto di resistere
alla tentazione di fare a meno della sua presenza, facendo
venire meno l’architrave sociale e istituzionale sul quale si è
fondata la coesione sociale e l’uguaglianza della società
europea per almeno due secoli.
Nuovi bisogni, necessità e domande di servizi, nati dal
passaggio dalla modernità alla post modernità e da una trasformazione che ha reso il locale globale, in un processo di vertiginosa
crescita e riformulazione delle relazioni, comportano una
nuova questione sociale. Si passa, ad esempio, dal concetto
di povertà a quello di esclusione sociale, intendendo con
4
libertàcivili
L’atomizzazione delle famiglie, con la diminuzione del numero dei figli e la crescita
esponenziale delle separazioni, incentiva la formazione di famiglie mononucleari
con ricadute importanti in termini di impoverimento relazionale e comunitario e
conseguente emarginazione sociale. La femminilizzazione del mercato del lavoro,
superando la famiglia patriarcale tradizionale, partorisce nuove e legittime
domande di servizi sociali, legati ad esempio alla diffusione di asili nido e alla
loro accessibilità, a tutele legislative lente ad arrivare, a politiche di assistenza
alla famiglia ancora non adeguate
38
5
Nei primi anni Sessanta, la popolazione di ultrasessantacinquenni nei Paesi
dell’UE era poco più del 10%. Nel 1990 si è toccata la soglia del 14% con un 3% di
popolazione ultraottantenne. L’evoluzione del sistema migratorio (e la sua complessità)
ha riguardato anche questa dinamica, generando processi che hanno rallentato il
processo di invecchiamento e obbligato il welfare state a una riprogrammazione che
tenesse conto dell’alterità migrante
2 0 12 marzo - apr ile
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Riformare
il welfare
implica
un nuovo patto
di solidarietà
e di sviluppo
non solo
tra le diverse
generazioni
ma anche
tra le diverse
culture
che oggi
convivono
nel nostro
Paese
questo una debolezza culturale e una limitata membership
comunitaria; tali fenomeni comportano una deprivazione relativa
che travalica i confini dello Stato-nazione e comprende popoli
e culture di Paesi diversi. D'altro canto, l’esclusione, come
riconosciuto in sociologia, è una costruzione sociale (Saraceno,
2004) che solo nel sociale può essere affrontata e superata.
L’inclusione dell’alterità nella riprogrammazione del welfare
obbliga all’evoluzione del sistema di garanzie e protezioni
sociali pubbliche, da intendere come propulsore di sviluppo
sociale e economico, foriero di nuove politiche pubbliche
ispirate all’inclusione e alla solidarietà interculturale, oltre che
intergenerazionale. Si propone quindi un patto di solidarietà e
di sviluppo non solo tra le generazioni ma anche tra le culture,
in un'ottica nuova centrata sull'inclusione selettiva (i bisogni
reali dei soggetti) e la solidarietà. La riprogrammazione del
welfare è dunque quanto mai inevitabile, salvo intervenire solo
sulle sue modalità operative, evitando di concentrarsi sulle sue
dimensioni e finalità, per transitare dal welfare del well-being
tradizionale alle politiche per il welfare post moderno. In tale
accezione esso è inteso come tutela e sviluppo di un sistema
istituzionale e di un tessuto sociale capaci di garantire gli assetti
istituzionali presenti e futuri e la tessitura di una trama finissima
di relazioni di solidarietà interculturale, intra- e inter-generazionale
(cosiddetta trama della socialità), e di relazioni di scambio
imposte dalle nuove forme di produzione economica della
ricchezza sociale (trama della produttività).
Secondo questa prospettiva, il welfare diventa il punto di
congiunzione tra crescita economica ed eguaglianza sociale.
Ciò significa che le cause economiche della crisi dello Stato
sociale che ha investito i maggiori Paesi occidentali sono
secondarie rispetto alle dinamiche sociali responsabili della
società del futuro. Il capitale sociale si pone a fondamento di
un’economia delle relazioni che comprende una nuova genetica
sociale e nuove relazioni interetniche, più o meno mature,
inserite nell'originale globalità contemporanea. Questo genere di
relazioni strutturano i diversi individui che ne sono protagonisti,
obbligandoli alla reciprocità e intersoggettività interculturale.
Il capitale sociale diventa dunque il fattore essenziale della
modernizzazione delle società complesse contemporanee. Ciò
significa che il complesso sistema di welfare deve essere trasformato a partire dal patrimonio culturale e sociale di una
popolazione sempre più eterogenea e culturalmente complessa.
L’allarmismo lanciato da alcuni studiosi relativamente alla
minacciosa avanzata dei migranti nel territorio nazionale risulta,
Primo Piano
L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare
39
L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare
Primo Piano
dunque, del tutto fuori contesto e non sostenibile. In tutti i Paesi
avanzati i migranti costituiscono una quota crescente della
popolazione attiva, il cui riconoscimento dei diritti rappresenta
un passaggio fondamentale nel percorso di inclusione sociale
e crescita economica. Tra questi, risultano particolarmente
importanti il diritto alla salute e all’assistenza sociale, il diritto
all’abitazione, all’istruzione e alla cittadinanza, ossia diritti che
attengono ai beni essenziali per la vita degli individui, da cui
derivano legittime aspettative non come singoli, uno indipendente
dall’altro, ma come soggetti che vivono in società con altri
soggetti.
I dati
smentiscono
l’idea che
gli immigrati
usufruiscano
in modo
illegittimo
dei servizi
pubblici
e di protezione
sociale
dei Paesi
di accoglienza
Il contributo dei migranti al sistema di welfare:
da problema a opportunità
Nonostante questa premessa, il rapporto tra migranti e welfare,
soprattutto in Europa e a causa di una crisi economica e
sociale grave e di lungo periodo, si presenta come uno dei
temi più problematici delle società contemporanee 6 . Sono
diverse le ricerche che hanno indagato l’origine di alcuni conflitti
sociali e che hanno evidenziato come essi traggano origine,
in prevalenza, dal diffuso risentimento da parte di diverse classi
di cittadini verso i migranti, rei di usufruire illegittimamente
dei servizi pubblici e di protezione sociale del Paese di accoglienza 7 (su questo punto si veda anche l’intervista a Stefano
Zamagni pubblicata nel numero 6/2011 di libertàcivili ndr).
Eppure i dati raccontano un'altra storia. In Italia, ad esempio,
i migranti contribuiscono al Prodotto interno lordo per circa
l’11%, mentre versano alle casse pubbliche più di quanto
percepiscano come fruitori di prestazioni e servizi sociali. Non
è affatto un dato trascurabile. Studi condotti anche in altri Paesi
europei, come nel Regno Unito, hanno indicato che il contributo
della popolazione nata all’estero all’erario dello Stato è del 10%
maggiore di quanto essi ricevono come beneficiari di spesa
sociale. Risultati analoghi sono emersi in Germania, dove i
migranti contribuiscono all’economia in modo molto maggiore
6
libertàcivili
I maggiori problemi di convivenza sembrano nascere davanti alle graduatorie
delle assegnazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica o in relazione al
riconoscimento di prestazioni assistenziali anche ai migranti
40
7 Un recente studio dell’European Social Survey sulla percezione della popolazione
europea rispetto al contributo dei migranti all’economia dei Paesi di inserimento
(cui l’Italia non ha partecipato) mostra come proprio nel campo delle politiche di
welfare si riscontri la maggiore preoccupazione delle popolazioni nazionali nei
confronti dei migranti, interpretando la loro presenza come un peso per il sistema
sociale ed economico
2 0 12 marzo - apr ile
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
L’assistenza
prestata
dagli
immigrati
alle famiglie
significa
un risparmio
cospicuo
per lo Stato
italiano,
valutato
nell’ordine
di sei miliardi
di euro l’anno
di quanto non ricevano in benefici economici diretti, riuscendo
anche a dimostrare che non ci sono significative differenze tra
la welfare dependency (il livello di dipendenza dai servizi
sociali) della popolazione autoctona e di quella straniera. Più in
generale gli studi svolti nell’Unione Europea mostrano come col
tempo i migranti tendano a inserirsi nel sistema socio-produttivo
del Paese ospitante, pesando in modo sempre minore sul
sistema di welfare, e anzi contribuendo considerevolmente al suo
mantenimento.
A questo riguardo i migranti, anche in Italia, oltre a contribuire
e beneficiare del welfare nazionale vanno considerati anche
come creatori/erogatori di un welfare informale o invisibile che
prende la forma del lavoro domestico e di assistenza alla persona
di cui essi (e in particolare le donne) sono gli addetti quasi
esclusivi. Si tratta di occupazioni e servizi rivolti alla persona
e alla famiglia di grandissima importanza sociale, di cui l’Italia
è storicamente deficitaria, almeno rispetto agli altri Paesi europei
(4,9% contro il 13%), i cui costi si scaricano maggiormente
sulle famiglie, che per pagare addetti al lavoro di cura o il
soggiorno in strutture dedicate spendono mediamente più di
9 miliardi l’anno. Il ruolo dei lavoratori migranti in questo
ambito mira a sostituire servizi che il settore pubblico stenta
a garantire, mentre la forza lavoro italiana semplicemente
continua a svolgere altre occupazioni, all’interno di un mercato
del lavoro la cui elevata segmentarietà interna permette la
coesistenza di svariate tipologie di lavoro e di lavoratori. In altri
termini, il ricorso a manodopera (per lo più femminile) di origine
straniera ha gradualmente assunto un ruolo centrale per la
gestione delle esigenze di cura che attraversano in misura
crescente la società italiana, consentendo alle famiglie di
disporre di servizi di cura personalizzata, a basso costo e a
domicilio e al Governo di limitare la spesa sociale, con un
risparmio pubblico che viene stimato dallo stesso ministero del
Lavoro in circa 6 miliardi di euro annui per mancate prestazioni
socio-assistenziali.
Secondo il Rapporto Oasi 2009 della SDA Bocconi, il Sistema
sanitario nazionale si farebbe carico di un solo anziano su quattro,
mentre nel resto dei casi l’onere della cura ricadrebbe sulle
famiglie, che usufruiscono di circa 40 miliardi di euro versati
dall’Inps per il sostegno. Parallelamente cresce l’aspettativa di
vita, tanto che secondo le stime di Eurostat in Italia nel 2060
questa passerà per le donne dagli attuali 84,5 a 90 anni e per gli
uomini da 78 a 85 anni. Le conseguenze sul sistema di welfare
nazionale saranno indubbiamente rilevanti e da programmare
Primo Piano
L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare
41
Un altro dato
da sottolineare
per i suoi
risvolti
positivi è
il contributo
che i lavoratori
immigrati
assicurano
alla
sostenibilità
del sistema
pensionistico.
Un contributo
tanto maggiore
quanto più
gli immigrati
sono in regola
coi contratti
di lavoro
libertàcivili
Primo Piano
L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare
42
2 0 12 marzo - apr ile
per tempo, a partire dal fatto che, almeno stando alle previsioni
dei rapporti annuali ministeriali, la disponibilità di “badanti”
migranti andrà diminuendo (in particolare con riferimento ai
flussi dall’Europa dell'Est) mentre un'ampia fascia di famiglie
non potrà permettersi il ricorso all’assistenza privata.
Rispetto al processo ora descritto, legato alle dinamiche
di invecchiamento della popolazione autoctona e all’evoluzione
sociale e occupazionale del flusso migratorio, è bene ricordare
che in Italia la popolazione migrante risulta assai giovane,
tanto che in circa il 70% dei casi ha meno di 40 anni mentre nel
40% dei casi ha un’età compresa tra i 25 e i 40 anni, ovvero
rientra nella fascia più importante sul piano del potenziale
economico-contributivo, a fronte di una quota che tra gli italiani
non arriva a un quarto del totale. Si tratta di dati che rovesciano
considerazioni allarmistiche e che dovrebbero spingere in favore
di politiche pubbliche molto più centrate sulla presenza dei
lavoratori migranti e sulla loro capacità di generare economie
virtuose.
L’importanza del contributo che i lavoratori migranti assicurano
alla sostenibilità del sistema pensionistico italiano potrebbe
essere assai maggiore qualora si promuovesse il loro inserimento regolare tanto nel mondo del lavoro che, di riflesso,
nelle strutture sociali e giuridiche del Paese. A dimostrazione
dell'importanza che un universo di migranti valorizzati e ben
occupati per le economie e soprattutto per il mantenimento dei
servizi di welfare genererebbe, si ricordano i dati campionari di
una ricerca IT-EU (Survey of Income and Living Conditions)
del 2007, integrati con una stima dei trasferimenti pubblici
per istruzione e sanità, pur non considerando le prestazioni
pensionistiche; essi tendenzialmente verserebbero nelle
casse statali tra imposte e contributi più di quanto ricevano
in termini di sussidi sociali, a differenza degli italiani che
mediamente godono di un beneficio fiscale netto superiore
di circa 3mila euro a quello dei migranti. La stessa regolarizzazione avviata nel settembre del 2009 per gli addetti al settore
domestico e di cura alla persona, per esempio, ha portato
nelle casse statali circa 154 milioni di euro di contributi arretrati,
mentre nel periodo 2010-2012 si stimano almeno 1,3 miliardi
supplementari a vantaggio delle casse della previdenza statale
italiana.
La diffusa concezione per cui la presenza di culture diverse
nel territorio nazionale eroderebbe la fiducia e il senso di
comunità tra i cittadini creando un rapporto inverso fra la
gestione delle diversità etniche e le politiche redistributive
è, dunque, evidentemente smentita dai dati e dai risultati di
numerose e qualificate ricerche. Tutto questo per riconoscere
l’importanza sociale ed economica dei migranti anche in relazione
al welfare, seppure ancora prevalentemente e strumentalmente
utilizzati per forme di welfare informale – pure estremamente
utile – superando pregiudizi diffusi ma privi di senso e riscontro
empirico.
Includere i migranti nel processo di riprogrammazione del
welfare italiano a partire dal ruolo sociale ed economico che
essi ricoprono, fondamentale per l'economia italiana così come
anche per il mantenimento di standard qualitativi di vita elevati,
è la sfida del futuro. Questo percorso agevolerebbe un processo
di inclusione che eviterebbe tensioni sociali e aiuterebbe il
dialogo interculturale, a partire proprio da un rinnovato sistema
di welfare. Si tratta di una delle sfide più complesse delle
democrazie contemporanee, soprattutto di quella italiana,
rappresentata dalla necessità di conciliare i crescenti livelli
di diversità culturale con il senso di una comune identità da
porre alla base dei moderni sistemi di welfare.
Primo Piano
L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare
Bibliografia
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Policy, Paris
Saraceno C., 2004, Le dinamiche assistenziali in Europa. Sistemi nazionali e
locali di contrasto alla povertà, Bologna,
Il Mulino
Triglia C., 1999, “Capitale sociale e sviluppo locale”, in Stato e Mercato, n.57
libertàcivili
Baumann Z., 2000, Dentro la globalizzazione, Roma-Bari, Laterza
Esping Andersen G., 1990, The Three
World of Welfare Capitalism, Princeton,
Princeton University Press
Moini G., 20 01, Welfare e salute - Verso
nuove forme di regolazione pubblica,
Roma, SEAM
2 0 12 marzo - apr ile
43
Primo Piano
Si scrive welfare state,
si legge welfare locale
Il sistema di assistenza sociale sta ritornando
verso una dimensione territoriale basata
sul forte ruolo del Terzo settore, sulla scia
di un principio di sussidiarietà ormai divenuto
necessario in un contesto di risorse scarse
di Oscar Gaspari
Saggista
libertàcivili
Il moderno
welfare
italiano
è nato
nei comuni
del primo '900
che offrivano
servizi come
case popolari,
forni
per il pane,
centrali
del latte
e farmacie
44
2 0 12 marzo - apr ile
L’assistenza: dai comuni allo Stato…
Molti sono convinti a tal punto che il sistema di welfare sia
di competenza dello Stato (welfare state) che anche quando
questo è promosso dai comuni lo definiscono “welfare state
comunale” invece di “welfare comunale”. È infatti profonda la
convinzione che tutto – o quasi – sia iniziato con il famoso
Rapporto Beveridge del dicembre del 1942, dal nome dello
studio fatto dal direttore della London School of Economics
and Political Science per il governo britannico, che avviò poi il
“welfare state”.
Eppure il welfare italiano è nato nei comuni. Forse confraternite
e scuole di misericordia di epoca medioevale appartengono
a un passato troppo lontano, anche se sono in carne e ossa le
donne e gli uomini con quelle antiche insegne che vediamo
soccorrere malati e anziani nei loro paesi e nelle loro città,
ma anche popolazioni disastrate, molto distanti dai campanili
cui sono legati. Sono un po’ meno lontani i comuni – specie
quelli amministrati da socialisti e cattolici – che nel primo
Novecento costruivano case popolari, gestivano forni per il
pane e centrali del latte, aprivano farmacie, bagni e lavanderie
municipali. Garantire migliori condizioni abitative e igieniche,
come una migliore alimentazione, erano compiti di cui il comune
si faceva carico in nome della modernità, oltre che della giustizia
sociale. Ecco, quindi, i “negozi del pane” del sindaco socialista
di Bologna Francesco Zanardi, o il Comitato per il consumo
delle carni congelate dell’Associazione dei comuni di don Luigi
Sturzo, nel periodo della Grande guerra.
Dopo
lo statalismo
corporativo
fascista,
e quello
egualitario
repubblicano,
l’Europa
della
sussidiarietà
chiede
il welfare
comunale
… e ritorno: la legge 328/2000
C’è voluta l’Europa per ricordarci, con la sussidiarietà verticale
e orizzontale, che le nostre leggi dovevano dar spazio ai comuni
e al Terzo settore, moderna e oggi molto spesso anche laica
versione delle nostre misericordie. È infatti il principio di sussidiarietà richiamato dalla Carta europea delle autonomie locali,
varata dal Consiglio d’Europa nel 1985, uno dei pilastri della
legge 8 novembre 2000, n. 328, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali ” nel quale
il comune viene riconosciuto come protagonista degli interventi
previsti. Assistenza ai singoli e all’interno della famiglia, sostegno
alla qualità della vita, prevenzione, riduzione e rimozione di
disabilità e disagio, diritto alle prestazioni assistenziali: questi
gli obiettivi.
Ed è in questo quadro che lo Stato assume il ruolo che gli è
proprio, quello di equilibratore delle differenze tra i territori
attraverso il finanziamento del Fondo nazionale per le politiche
e gli interventi sociali e la programmazione di regioni e istituzioni
locali, previsto originariamente dalla legge 449/1997.
I comuni, in base alla legge 328/2000, “sono titolari delle
funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a
livello locale e concorrono alla programmazione regionale” (art. 6).
Un ruolo fondamentale per rispondere alla crisi di oggi che,
come afferma Marco Revelli, “non ha attraversato il Paese
come uno ‘tsunami’, in forma indifferenziata e livellata. Ha invece
colpito in modo differenziato, per aree territoriali, a seconda
delle diverse specializzazioni produttive, del grado di coesione
sociale, dell’infrastrutturazione e della qualità dei servizi
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Appena più vicini sono gli anni della “cortina di ferro” e della
Guerra fredda, quando comuni della sinistra e parrocchie
gareggiavano nel portare in vacanza i bambini al mare o in
montagna, magari per poi ricordare ai genitori di votare “nel
modo giusto” alle elezioni successive.
Il modello statalista sviluppato dal fascismo, che tutto faceva
fare allo Stato dei grandi enti nazionali, come l’Inps, ripreso
nella Repubblica dai piani quinquennali e dalla programmazione
economica, ha fatto presto a velare il nostro passato con termini
e concetti propri della letteratura anglosassone. L’obiettivo
ultimo del progetto statalista repubblicano era però ambizioso:
passare dalle iniziative meritorie ma frammentarie dei comuni e
dal welfare corporativo fascista – dove si pensava alla tutela
per categorie -– all’assistenza universale che, in Italia, voleva
dire soprattutto armonizzare Nord e Sud.
Primo Piano
Dal welfare comunale al welfare locale
45
Dal welfare comunale al welfare locale
Primo Piano
disponibili; e, all’interno di ogni area, per caratteristiche dei
nuclei familiari, per collocazione lavorativa dei loro membri, per
caratteristiche generazionali, per disponibilità di risorse culturali
e per dimensioni del rispettivo ‘capitale sociale’… Un mosaico
ad ampio spettro, visibile nella sua articolazione solo con uno
sguardo ‘dall’interno’ ” 1 .
E lo sguardo “dall’interno” che possono offrire i comuni –
migliore di quello di qualsiasi altra istituzione – può fare la
differenza nella realtà di oggi nella quale è soprattutto nelle
città che anziani, bambini, poveri, bisognosi, immigrati hanno
maggiori necessità; quindi i comuni sono i soggetti più indicati a
trovare le soluzioni migliori. Ma è proprio a partire dai comuni che
si ripropone la sfida del divario tra Nord e Sud, cui tentò di
rispondere l’originario progetto repubblicano con il nuovo
istituto delle regioni e con comuni di cui veniva riconosciuta
e promossa l’autonomia.
libertàcivili
La diversità
tra Nord e Sud
ha fatto sì
che le stesse
misure
abbiano avuto
impatti distinti,
specialmente
per il tessuto
sociale diverso:
una sfida
da giocare
46
Nord e Sud
Uno studioso del settore come Ugo Ascoli è recentemente
arrivato a chiedersi “se mai ci sia stato un sistema italiano di
welfare” 2 , perché le profonde diversità tra Nord e Sud hanno
fatto e fanno sì che le stesse misure abbiano avuto impatti
molto distinti. Il tessuto sociale diverso, spesso alterato da
quelle organizzazioni criminali che distorcono anche le attività
economiche, il mancato decollo di quei servizi che costituiscono
la base minima del welfare moderno, quali sono scuola e
sanità, caratterizzati da costi altissimi e prestazioni mediocri,
sono la causa prima del consistente divario tra Centro-Nord e
Sud – Lazio compreso – che, nonostante gli interventi dello
Stato, si è andato aggravando in modo significativo dal 1992
al 2008, a livelli sconosciuti nel resto d’Europa.
È solo al Nord che, in modo simile a quanto è accaduto nei
Paesi europei, le burocrazie pubbliche, insieme alle istituzioni
locali, sono state in grado di sviluppare negli ultimi trent’anni
una maggiore qualità dei servizi classici (scuola e sanità) e
stanno rispondendo con nuovi servizi socioassistenziali alle
sfide poste da disabili e anziani, anche grazie al peso crescente
del Terzo settore.
Nel Sud, invece, alla povertà dei servizi di istruzione e sanità
1
M. Revelli, Presentazione, in Giovanni B. Sgritta (a cura di), Dentro la crisi. Povertà
e processi di impoverimento in tre aree metropolitane, FrancoAngeli, Milano 2012, p.11
2
2 0 12 marzo - apr ile
U. Ascoli, Il welfare del nord e il welfare del sud, in “nelMerito.com”, 14 ottobre 2011
si accompagna una burocrazia pubblica e un’amministrazione
locale inefficiente pervasa dal clientelismo anche malavitoso
che, scrive Ascoli, è stata “prodotta dai processi di decentramento”. Accade così che al divario tra sviluppo economico
disuguale si sommi, nelle regioni meridionali, quello tra le politiche
di welfare, che in Europa sono invece in grado di alleviare il
divario esistente tra aree diverse. Una situazione, questa, rimasta
sostanzialmente intatta nonostante la presenza di processi di
mobilitazione di una parte dell'opinione pubblica locale e la
crescita dell'associazionismo.
La proposta di Ascoli è pesante: “differenziare le politiche di
decentramento e di devoluzione di funzioni verso i territori
regionali” attraverso un gradualismo dei processi “accompagnato da efficaci modalità di controllo, monitoraggio e tutoraggio”
esterni alla realtà locale.
Intanto la crisi economica sta riducendo sempre più le risorse.
Crisi economica e scarsità di risorse
La forte crisi economica mondiale iniziata nel 2007 ha avuto
e sempre più avrà pesanti conseguenze sul welfare comunale,
aggravando la scarsità di risorse che avevano iniziato a ridursi
anche prima dello scoppio della crisi. Gli stanziamenti per i fondi
statali di carattere sociale sono stati fortemente ridimensionati
quando non azzerati, in particolare dalla Legge di stabilità per
il 2012, in vista del raggiungimento del pareggio di bilancio
dello Stato per il 2013, nel rispetto degli accordi raggiunti
nell’ambito dell’Unione Europea.
Considerate le forte riduzioni di risorse destinate alle istituzioni
locali ben difficilmente queste riusciranno, come erano talvolta
riuscite nel passato, a compensare i tagli con propri interventi.
Nei calcoli fatti dal deputato Antonio Misiani in base a quanto
previsto nella Legge di stabilità del 2012, portato a 10 0
l’ammontare dei 2.526,7 milioni di euro che sommavano complessivamente i diversi fondi di carattere sociale previsti dal
bilancio dello Stato 3 per il 2008, nel 2012 quel numero indice
dovrebbe abbassarsi a 9,1, per un ammontare di 229,4 milioni 4.
3
Fondi per le politiche della famiglia, pari opportunità, politiche giovanili, infanzia
e adolescenza, politiche sociali, non autosufficienza, affitto, inclusione immigrati,
servizi infanzia, servizio civile
4 A. Misiani Fondi statali per le politiche sociali: nuovi tagli con la Legge di stabilità
2012, http://www.astrid.eu/Amministra/Contributi/Misiani_A_Fondi-politiche-sociali2012_21_11_11.pdf
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
La forte crisi
economica
mondiale
impone
allo Stato
nazionale
la riduzione
delle risorse
destinate
al welfare;
oggi non è
più possibile
contare
sullo sviluppo
Primo Piano
Dal welfare comunale al welfare locale
47
Dal welfare comunale al welfare locale
Primo Piano
Le proteste, come quella a Pordenone dello scorso 4 maggio 5,
potrebbero intensificarsi.
La consapevolezza delle difficoltà della situazione ha portato
il Governo alla decisione di progettare agli inizi di maggio uno
specifico piano di welfare di circa un miliardo di euro per il
Mezzogiorno destinato a giovani, anziani e asili nido, attraverso
una riprogrammazione delle risorse comunitarie 6 .
L’Italia, insieme a tutti i suoi comuni, non è certo la sola in
difficoltà nel panorama europeo e mondiale, ma fronteggiare
la situazione è davvero faticoso. Secondo i dati dell’Istat, nel 2009
il tasso della povertà relativa era del 5,2% nelle regioni settentrionali e del 22,7% in quelle meridionali, con una media
nazionale del 10,9%. Non è più possibile oggi, a differenza di
quanto è avvenuto fino ad ora, contare sullo sviluppo economico
complessivo del Paese per trovare risorse per i più bisognosi
e per le regioni più disagiate.
Si impone
oggi un nuovo
modello
di welfare
anche
nei comuni;
più che “fare”
questi devono
“promuovere
e organizzare”
5 “Domani sit-in degli immigrati contro il welfare comunale”, http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2012/05/04/news/domani-sit-in-degli-immigrati-contro-il-welfarecomunale-1.4461242
libertàcivili
48
Dal welfare comunale a quello locale
Le badanti: dall’immigrazione incontrollata all’agenzia comunale? Tra le lavoratrici – e in minor misura tra i lavoratori – che
più frequentemente entrano nel nostro Paese il mestiere di
badante è senza dubbio uno dei più diffusi. È con il loro lavoro
altamente flessibile per orari e mansioni che le famiglie italiane
hanno potuto rispondere al processo di invecchiamento della
popolazione e all’indebolimento delle reti familiari intergenerazionali. Secondo i dati dell’Inps erano più di un milione e mezzo
i rapporti di lavoro attivi a fine 2008 e circa 600mila i lavoratori
domestici registrati, in gran parte donne straniere (ma la stima
ufficiosa ne calcola fino al doppio), il 20% dalla sola Romania 7 .
Si tratta di un fenomeno di portata tale da imporre al Governo
un intervento, avvenuto con la legge 102/2009 diretta a far
emergere e a sanare i rapporti di lavoro irregolari.
Ma i comuni non sono rimasti inerti. È del marzo scorso un
articolo apparso nella cronaca milanese di un grande quotidiano
che annuncia Agenzia per badanti e baby-sitter. Nuovo corso
6
Il dossier. Le misure del gover no, “La Repubblica”, 12 maggio 2012, p.2
http://download.repubblica.it/pdf/2012/economia/dossier_12052012.pdf.
7 “Welfare: colf e badanti, una su due lavora in nero”; http://www.filcams.cgil.it/home.nsf/
IFrameCorpo1l?OpenPage&http://www.filcams.cgil.it/stampa.nsf/57623518e73aab358
02567e40054adc9/d80549b5f71d9a72c12575be00365fa9!OpenDocument&Click=
2 0 12 marzo - apr ile
Primo Piano
Dal welfare comunale al welfare locale
8
“La Repubblica Milano”, 24 marzo 2012; http://milano.repubblica.it/cronaca/
2012/03/24/news/agenzia_per_badanti_e_baby_sitter_nuovo_corso_del_welfare_co
munale-32107867/
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
del welfare comunale nel quale veniva annunciato il ruolo di
garanzia del comune di Milano rispetto alla competenza e alla
sicurezza di baby-sitter e badanti nella prospettiva di unificare
i servizi già oggi offerti da alcune strutture locali e competere
con le strutture private. La strategia è chiara. Se il comune non
è più in grado di offrire direttamente i servizi non può però
disinteressarsi delle necessità dei propri cittadini, siano famiglie
che hanno bisogno di baby-sitter e badanti, siano lavoratori
che offrono il proprio impegno nell’ambito familiare.
A fronte dei 14 milioni in meno stanziati dalla regione, solo
negli ultimi mesi, il competente assessore milanese prospetta
la creazione di “reti di autogestione” per i senzatetto e per gli
anziani, e una maggiore diffusione dell’affido familiare come
alternativa alla comunità per i minori in difficoltà. L’assessore
assicura che questo “non vuol dire in alcun modo che Palazzo
Marino abdicherà al ruolo di guida, ma che metterà in rete le
realtà esistenti sul territorio”, specie per scongiurare sprechi e
distorsioni resi possibili dalla mancanza di controlli 8 .
49
Primo Piano
Dal welfare comunale al welfare locale
libertàcivili
Diminuiscono
i servizi
comunali,
crescono le
convenzioni
con il
volontariato;
non è
un ripiego,
deve essere
una scelta
strategica.
Servono
norme
per regolare
il Terzo
settore,
anche per
rispondere
a richieste
di nuovi
servizi
50
2 0 12 marzo - apr ile
Il Terzo settore: dal welfare comunale a quello locale.
Considerata la riduzione di risorse, proprie e trasferite, e del
personale, l’unica possibilità per i comuni è quella di passare
da una gestione diretta del welfare a una gestione di garanzia,
di controllo, alla messa in rete delle iniziative, nei casi migliori,
oppure alla sollecitazione di iniziative, nell’eventualità queste
mancassero. Anche nell’ambito del welfare, come da tempo sta
avvenendo nel settore dei servizi pubblici locali, il comune
deve passare dalla gestione diretta al controllo e alla organizzazione oppure, per dirlo nei termini anglosassoni oggi di
moda, deve essere in grado di passare dal government alla
governance, dallo storico “welfare comunale” a quello “locale”.
Secondo i dati del V Rapporto su enti locali e terzo settore
dell’aprile 2012 il complesso dei servizi sociali gestiti direttamente dai comuni in Italia scende complessivamente al 42%,
con un minimo del 24,2% nel Nord-Ovest e un massimo del 54%
al Sud, e cresce il ricorso alle convenzioni con il volontariato. Il
problema è che, in molti casi, la dismissione dei servizi in
gestione diretta a favore dell’affidamento a soggetti terzi viene
vissuto da molte amministrazioni comunali come un ripiego
imposto dalle circostanze, dalla necessità di abbattere i costi,
non come una scelta strategica. Una visione che sembrerebbe
supporre il carattere temporaneo del ricorso al Terzo settore,
favorita anche dalla mancanza di norme che fanno apparire
quel settore come provvisorio e improvvisato.
Oggi le prestazioni sociali offerte dalle associazioni vengono
erogate in gran parte attraverso contratti atipici e la partecipazione delle organizzazioni di volontariato alla programmazione
sociale è poco qualificata; tutto questo mentre il rapporto tra
operatori e utenti è destinato ad aumentare, specie per quanto
riguarda i servizi per l’infanzia e l’assistenza domiciliare per gli
anziani. A fronte dei forti limiti imposti alle assunzioni pubbliche,
inoltre, il ricorso alle selezioni finalizzate alla ricerca di personale
per lo svolgimento di prestazioni occasionali, da retribuire
anche mediante buoni lavoro (voucher), nella forma del lavoro
accessorio (legge 191/2009), nasconde l’uso sostitutivo e non
integrativo delle persone selezionate.
Intanto cresce una domanda sociale variegata, collegata
alla povertà, ai bisogni socio-sanitari dovuti alle condizioni di
salute, ma anche a bisogni di socialità, a necessità di spostamento nel territorio per raggiungere uffici pubblici, ospedali
e ambulatori, o per svolgere attività sociali. Richieste che
richiedono una risposta delle istituzioni locali in termini di
potenziamento del sistema dei servizi reali e di creazione di nuove
9
Auser, Francesco Montemurro (a cura di, con la collaborazione di Giulio
Mancini), V Rapporto su enti locali e terzo settore. Sintesi, Coordinamento Michele
Mangano, IRES Lucia Morosini, Roma aprile 2012; http://images.auser.it/f/v_entilocali/
vr/vrapportoentilocali.pdf
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Il nuovo
welfare locale
sarà sempre
più complesso,
serviranno
dirigenti,
amministratori
e politici
preparati
e responsabili
occasioni di integrazione sociale e promozione del benessere.
Le organizzazioni di volontariato possono essere investite
non solo di compiti di “assistenza” o di gestione di servizi e
interventi sociali “per conto” delle istituzioni locali ma anche di
un ruolo di sollecitazione e ausilio nella promozione e nella
realizzazione sul territorio di spazi di auto-organizzazione in
grado di rispondere ai nuovi bisogni della popolazione anziana.
Tra i principali punti critici segnalati vi è la forte sollecitazione
che gli enti territoriali esercitano nei confronti delle associazioni per la gestione di “pezzi” di servizi sociali. Ma a una tale
complessità dell’intervento richiesto spesso non corrisponde
né un’adeguata regolazione, né l’attivazione di un processo di
programmazione sociale condivisa.
Il paradosso rilevato nel V Rapporto – non nuovo a dire il
vero nella nostra Italia – è che “a fronte del rilevante apporto
che associazioni e imprese sociali forniscono alla gestione dei
servizi sociali, le amministrazioni pubbliche locali sono ancora
inadempienti nella creazione di regole davvero efficienti e
trasparenti per consentire al Terzo settore di erogare servizi di
qualità alla cittadinanza, e di giocare un ruolo importante
nella programmazione sociale e in termini di sussidiarietà
orizzontale” 9 . Un richiamo alle responsabilità di politici e
amministratori locali – ma anche regionali e nazionali – che
non dovrebbe rimanere inascoltato.
Primo Piano
Dal welfare comunale al welfare locale
51
Primo Piano
L’accesso degli stranieri
alle prestazioni sociali
nel quadro internazionale,
comunitario e interno
Il diritto alla sicurezza sociale, fissato
dalle norme e dalla giurisprudenza internazionali
ed europee, va garantito anche agli stranieri.
Lo “stop” delle Corti italiane alle leggi statali
e regionali tese a limitare la parità di accesso
di Stefania Dall’Oglio
Esperta in diritti umani
Base di ogni
discorso
sui diritti
fondamentali
degli stranieri
è la
Dichiarazione
universale
dei diritti
dell’uomo
del 1948
1. Il quadro internazionale
Non si può parlare di diritti fondamentali degli stranieri senza
fare riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
del 1948. I diritti e le libertà ivi proclamati spettano, per espressa
disposizione dell’articolo 2, ad ogni individuo, come essere
umano a prescindere dal suo status di cittadino, “senza distinzione
alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di
religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale
o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.”.
La Dichiarazione, come noto, al tempo della sua proclamazione
non aveva valore giuridicamente vincolante e i diritti in essa
tutelati (civili, politici, economici, sociali e culturali) poterono
confluire in convenzioni vincolanti per gli Stati soltanto nel 1966,
libertàcivili
52
Premessa
Il diritto di accesso alle prestazioni assistenziali da parte
degli stranieri è oggetto di un vasto panorama legislativo, la cui
analisi necessita di una bussola essenziale per la lettura e l’interpretazione delle norme: la giurisprudenza (interna, internazionale
e comunitaria), che permette di definirne i contorni e i contenuti.
Poiché i diversi livelli normativi illustrati – internazionale, comunitario e nazionale – non costituiscono “compartimenti stagni”,
ma si integrano e completano a vicenda, la maggiore o minore
forza di una disposizione che conferisca diritti agli stranieri
consisterà, sotto il profilo giuridico, nel livello di tutela giurisdizionale di cui essa gode e, sotto il profilo culturale, nel substrato
ove è destinata ad applicarsi.
2 0 12 marzo - apr ile
1
In particolare l’art. 27 della Convenzione garantisce ai lavoratori migranti lo
stesso trattamento dei cittadini dello Stato di impiego in materia di sicurezza
sociale, nella misura in cui soddisfino i requisiti previsti dalla legislazione in vigore
in tale Stato, anche in base agli eventuali accordi con lo Stato di origine dei lavoratori.
Inoltre, nel caso in cui la legislazione in vigore non conceda loro di usufruire di una
determinata prestazione, il medesimo articolo prevede che gli Stati di accoglienza
esaminino la possibilità di rimborsare agli interessati l’ammontare dei contributi
versati per tale prestazione, sulla base dell’analogo trattamento riservato ai cittadini
in circostanze simili
2
L’Italia non ha firmato né ratificato la Convenzione, proprio in quanto non effettua
distinzione tra migranti regolari e irregolari. Cfr. in proposito, da ultimo, tra le osservazioni del Governo italiano allegate al rapporto dell’ECRI sull’Italia pubblicato il
21/2/2012, la risposta alla raccomandazione n.7 dell’ECRI che invita l’Italia alla ratifica
della Convenzione Onu sui diritti dei lavoratori migranti
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Due
convenzioni
dell’OIL e una
dell’Onu
proteggono
i diritti
dei lavoratori
migranti
e stabiliscono
la parità di
trattamento
con i lavoratori
nazionali
in materia
di sicurezza
sociale
per mezzo del Patto Onu sui diritti civili e politici e di quello sui
diritti economici sociali e culturali, entrati in vigore nel 1977. In
particolare, con riguardo alle prestazioni di assistenza sociale,
gli articoli 22 e 25 della Dichiarazione universale e gli articoli da 9
a 11 del Patto sui diritti economici sociali e culturali riconoscono
il diritto di ogni individuo alla sicurezza sociale, ivi comprese le
assicurazioni sociali.
Per quanto concerne i lavoratori, il principio della parità di
trattamento in materia di sicurezza sociale tra lavoratori
migranti e lavoratori nazionali è previsto da due Convenzioni
dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL): la n. 97/1949,
il cui articolo 6 garantisce un trattamento in materia di sicurezza
sociale non meno favorevole di quello applicato dagli Stati ai
propri cittadini, e la convenzione n.143/1975 il cui articolo 10
garantisce ai lavoratori stranieri e ai loro familiari, che si trovino
regolarmente sul territorio di uno Stato membro, il principio di
parità di opportunità e di trattamento senza discriminazioni di
reddito o basate sull’anzianità o sul consolidamento del loro
soggiorno, anche in materia di sicurezza sociale. Inoltre, un’ampia
tutela dei diritti dei lavoratori migranti si rinviene nella
Convenzione Onu sulla protezione dei diritti dei lavoratori
migranti e dei membri dello loro famiglie del 1990, entrata in
vigore soltanto nel 2003, a causa del basso numero di ratifiche
raggiunte1. Tale Convenzione ha, infatti, un contenuto decisamente
innovativo e garantista rispetto agli altri trattati internazionali in
materia, in quanto proclama i diritti di tutti i lavoratori migranti,
senza specificare o entrare nel merito della posizione di
migrante regolare o irregolare (Articolo 2, comma 1). Questo
il motivo per cui è stata ratificata principalmente da Stati di
emigrazione piuttosto che di immigrazione 2 .
Alcune categorie di persone sono, poi, destinatarie di particolare tutela da parte di specifiche convenzioni delle Nazioni
Primo Piano
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
53
Primo Piano
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
libertàcivili
La
Convenzione
europea
dei diritti
dell’uomo,
attraverso
le sentenze
della Cedu,
vieta ogni
discriminazione
nel godimento
dei diritti
e delle libertà
riconosciuti
nella
Convenzione,
tra cui quello
alla protezione
sociale
54
Unite, tra le quali i rifugiati e gli apolidi, a cui la Convenzione
Onu sullo status dei rifugiati del 1951 e la Convenzione Onu sullo
status degli apolidi del 1954 conferiscono parità di trattamento
con i cittadini nell’accesso a tutte le prestazioni di assistenza
sociale 3. Per quanto concerne, inoltre, le persone con disabilità,
la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità del
2006 garantisce loro la protezione giuridica contro ogni
discriminazione e prevede il diritto di raggiungere adeguati
livelli di vita e di protezione sociale (articoli 5 e 28).
Su questo contesto normativo internazionale si innesta trasversalmente la Convenzione Onu sull’eliminazione di ogni forma di
discriminazione razziale del 1965, che sancisce l’obbligo degli
Stati di eliminare e vietare ogni forma di distinzione, restrizione
o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine
nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere
o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e in particolare,
tra i diritti economici, sociali e culturali, il diritto alla previdenza
e ai servizi sociali (articoli 1 e 5, lett e), n. IV). Lo stesso divieto
di discriminazione, anche per motivi di origine nazionale, è
presente all’art. 2, comma 2, del Patto Onu sui diritti economici,
sociali e culturali con riferimento ai diritti ivi enunciati.
Nell’ambito del Consiglio d’Europa, particolarmente importante
è la tutela offerta dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo
del 1950. Il rispetto da parte degli Stati membri dei diritti e
delle libertà fondamentali riconosciuti dalla Convenzione viene
garantito, infatti, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che
ha dato vita a una ricchissima giurisprudenza interpretativa
della Convenzione medesima, basata sul precedente.
In particolare, i diritti che in questa sede interessano, godono
di tutela grazie all’articolo 14 della Convenzione europea e
all’articolo 1 del Primo protocollo alla Convenzione medesima.
L’articolo 14 vieta ogni discriminazione, inclusa quella fondata
sull’origine nazionale, nel godimento dei diritti e delle libertà
riconosciuti nella Convenzione: ha dunque una valenza trasversale che, per quanto di interesse, va correlata alla tutela
della proprietà prevista dall’art.1 del Protocollo n.1, interpretato
dalla Corte come comprensivo di tutti i diritti patrimoniali,
compreso il diritto alle prestazioni sociali. Ai fini dell’applicazione
dell’articolo 1 del Protocollo n.1, secondo la Corte è ingiustificata
3
Cfr. art. 23 Convenzione Onu sullo status dei rifugiati del 1951 e art. 23
Convenzione Onu sullo status degli apolidi del 1954
2 0 12 marzo - apr ile
4
Decisione sulla ricevibilità Stec ed altri c/Regno Unito del 6/7/2005, ric. 65731/01.
parr. 53-55, sent.Andrejeva c. Lettonia del 18/2/2009, ric. 55707/00, par. 77
5
Sent. Van Raalte c/Olanda del 21/2/1997, par.39, sent. Larkos c/Cipro del 18/2/1999,
ric. 29515/95, par. 29; sent. Gaygusuz c/Austria del 16/9/1996, ric. 35/95, par. 42;
sent. Stec e Altri c/ Regno Unito del 12/4/2006, ric. 65731/01, par. 51; sent. Luczak c/
Polonia, del 27/11/07, ric. 77782/01, par. 47; sent. Sampanis ed Altri c/Grecia, del
5/6/2008, ric. 32526, par. 67 e par. 84
6
Sent. Petrovic c/Austria, 16/9/1996 par. 42; sent. Luczak c/ Polonia, del 27/11/07,
ric. 77782/01, par. 48
7
Sent. James ed Altri c/ Regno Unito, del 21/2/1986, ric.8793/79, par. 46; sent.
National and Provincial Building Society e Altri c/ Regno Unito, del 23/10/1997,
ric.117/1996, par.80
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Non è
giustificata
la differenza
di trattamento
fra persone
che si trovano
in situazioni
analoghe,
a meno che
ciò non abbia
una
motivazione
oggettiva
e ragionevole,
la cui
valutazione
è rimessa
alla
discrezionalità
degli Stati
la distinzione tra prestazioni contributive e non contributive e,
sebbene l’articolo 1 medesimo non comporti un diritto assoluto
a percepire le prestazioni sociali quale che sia la loro natura,
quando uno Stato adotta una legislazione che prevede l’erogazione automatica di una prestazione, indipendentemente dal
previo versamento o meno di contributi, tale legislazione è da
ritenersi suscettibile di generare un interesse patrimoniale
rientrante nel campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo
n.1 e, conseguentemente, non potrà sottrarsi al giudizio di
compatibilità con l’art.14 della Convenzione 4 .
Secondo la Corte europea sussiste violazione dell’art.14
quando una differenza di trattamento tra persone che si trovano
in situazioni analoghe o prevalentemente simili non abbia una
oggettiva e ragionevole giustificazione, ossia, in altre parole,
quando la differenza di trattamento non persegue uno scopo
legittimo o non esiste un ragionevole legame di proporzionalità
tra i mezzi impiegati e il fine che si intende realizzare. Gli Stati
contraenti usufruiscono di un margine di apprezzamento nello
stabilire se, e fino a che punto, differenze in situazioni simili
sotto altri aspetti giustifichino differenze di trattamento 5 .
La portata di tale margine di apprezzamento può variare
secondo le circostanze, la materia e il contesto 6. Un ampio
margine è di solito concesso allo Stato parte della Convenzione
quando esso adotta misure di carattere generale inerenti strategie
economiche o sociali 7. Se, in linea generale, solo ragioni molto
importanti possono giustificare agli occhi della Corte una
differenza di trattamento basata esclusivamente sulla nazionalità,
d’altro canto, a causa della diretta conoscenza della società e
dei suoi bisogni, le autorità nazionali sono in via di principio
prioritariamente competenti, rispetto al giudice internazionale,
a valutare cosa corrisponda al pubblico interesse sul piano
sociale o economico, e la Corte generalmente rispetta le scelte
Primo Piano
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
55
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
Primo Piano
politiche del legislatore, a meno che esse non siano “manifestamente prive di ragionevole fondamento” 8. È doveroso, infine,
ricordare che gli Stati membri della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo sono tenuti a riconoscere a ogni persona
soggetta alla loro giurisdizione e, dunque, a prescindere dal
possesso o meno dello status di cittadino, i diritti e le libertà
enunciati nella Convenzione medesima e nei suoi protocolli 9 .
Per la Carta
di Nizza ogni
individuo
residente
o che si sposti
legalmente
nell’UE
ha diritto alle
prestazioni
di sicurezza
sociale in base
al diritto UE
e alle
legislazioni
nazionali
2. Il quadro comunitario
In base all’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea del 2000 (c.d. “Carta di Nizza”), ogni individuo che
risieda o si sposti legalmente all'interno dell’Unione ha diritto
alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali
conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi
nazionali. La Carta di Nizza, che con il Trattato di Lisbona ha
assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati (ai sensi dell’art. 6,
par.1, del TUE), si applica alle istituzioni e agli organi dell’Unione
nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati
membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell’Unione 10 .
Sino all’entrata in vigore della direttiva 2011/98/UE del
13/12/201111, relativa al rilascio del permesso di soggiorno
unico ai lavoratori stranieri, in linea generale la normativa
comunitaria prevedeva la parità di trattamento con i cittadini
comunitari in materia di prestazioni di assistenza sociale solo
per alcune categorie di stranieri: i familiari extracomunitari di
cittadini comunitari 12; i titolari di permesso di soggiorno CE per
soggiornanti di lungo periodo e i loro familiari 13; i lavoratori
8
Sent. Luczak c/ Polonia, del 27/11/07, ric.77782/01, par. 48; sent. Stec e Altri c/
Regno Unito del 12/4/2006, ric. 65731/01, par. 52; sentenze Amer c/Francia del 29
ottobre 2009, ric. 29137/2006, Carson ed altri c/Regno Unito (Grande Camera) del
16/3/2010, ric. 42184/2005
9
Art.1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
10 Art. 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
11 Direttiva 2011/98/UE del 13/12/2011 relativa a una procedura unica di domanda
libertàcivili
per il rilascio di un per messo unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di
soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di
diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato
membro
56
12 Cfr. Direttiva n. 2004/38/CE del 24/4/2004 sulla libera circolazione dei cittadini
comunitari e dei loro familiari, art. 24
13 Cfr. Direttiva n. 2003/109/CE, modificata dalla direttiva 2011/51/UE, art .11, par.1,
lett. d). Tuttavia, ai sensi del medesimo art.11, par. 4, gli Stati membri possono
limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale
alle prestazioni essenziali
2 0 12 marzo - apr ile
14 Cfr. Direttiva 2009/50/CE del 25/5/2009 sulle condizioni di ingresso e soggiorno di
cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, art.14, lett. e)
15 Cfr. Direttiva n. 2004/83/CE, rifusa nella direttiva 2011/95/UE, art. 29 par.1. Il
paragrafo 2 del medesimo articolo stabilisce, tuttavia, che in via di eccezione gli Stati
membri possono limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale alle
prestazioni essenziali
16 Cfr. Regolamento (UE) n.1231/2010 del Parlamento e del Consiglio del 24/11/2010,
par.12 dei considerando ed articolo 1
17 Cfr. Accordo euromediterraneo con l’Algeria firmato il 22/4/2002, con il Marocco
firmato il 26/2/1996 e con la Tunisia firmato il 17/7/1995
18 Cfr. art. 3, co.2, del Regolamento (CE) n. 883/2004 e sentenze Corte di Giustizia
del 9/10/1974, causa C-24/74 Biason, del 13/11/1974, causa C-39/74 Costa, del
5/5/1983, causa C-139/82 Piscitello, del 24/2/1987, cause riunite C-379-381/85 e
C-93/86 Gukettum del 20/6/1991, causa C-356/89, Stanton-Newton
19 In caso di mancato recepimento entro il termine, gli Stati membri saranno
comunque obbligati ad applicare le disposizioni “self executing” della direttiva. La
Corte di Giustizia ha, infatti, stabilito che la direttiva può avere comunque efficacia
diretta se lo Stato membro non la recepisce nei ter mini, oppure la recepisce in
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
La direttiva
2011/98/UE
ha esteso
il diritto alle
prestazioni
sociali a tutti
gli stranieri
titolari di un
permesso
di soggiorno
per lavoro
altamente qualificati 14; i titolari di protezione internazionale 15;
gli stranieri che, risiedendo legalmente in uno Stato membro, si
trovino in una situazione che non sia confinata, in tutti i suoi
aspetti, all’interno di un solo Stato membro, ossia quegli stranieri
che, trasferitisi da uno Stato membro a un altro, si trovino in
situazioni transfrontaliere 16. A tali categorie si aggiungono, poi,
i cittadini migranti di Stati terzi con i quali l’Unione ha stipulato
accordi di associazione euro-mediterranei che contengano
espressamente una clausola di parità di trattamento nella materia
della sicurezza sociale, quali Algeria, Tunisia e Marocco 17.
La citata direttiva 2011/98, entrata in vigore il 24 dicembre
2011, ha attribuito ai cittadini stranieri titolari di un permesso di
soggiorno unico per motivi di lavoro un insieme comune di diritti,
sulla base della parità di trattamento rispetto ai cittadini dello
Stato membro in cui soggiornano. In particolare, l’articolo 12,
paragrafo 1, lettera e) ha esteso – sebbene con alcune eccezioni
(art.12, par. 2, lett. b) – la parità di trattamento con i cittadini
comunitari ai settori della sicurezza sociale, quali definiti nel
regolamento (CE) n. 883/2004. Tali settori comprendono sia le
prestazioni contributive che le prestazioni assistenziali, la cui
distinzione non è tuttavia rilevante ai fini dell’applicazione
del diritto comunitario, come asserito dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia 18 .
Questa direttiva, che rappresenta, a parere di chi scrive, un
passo fondamentale nel diritto dell’Unione verso il riconoscimento dei diritti economici e sociali dei lavoratori migranti non
comunitari, dovrà essere recepita nell’ordinamento degli Stati
membri entro il 25 dicembre 2013 19 .
Primo Piano
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
57
Primo Piano
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
Specifiche
disposizioni
antidiscriminazioni
nel settore
del lavoro
e del welfare
sono
contenute
anche
nella direttiva
2000/43/CE
Infine, per completare il quadro normativo comunitario, è
necessario fare riferimento alla disciplina antidiscriminatoria
in vigore nell’Unione, che trae origine dall’articolo 19 TFUE,
contenente il principio generale del divieto di discriminazione
per motivi di sesso, razza, origine etnica, religione convinzioni
personali, handicap, età o tendenze sessuali. A tal proposito
l’adozione della direttiva 2000/43/CE ha segnato uno spartiacque
nello sviluppo della tutela discriminatoria negli Stati membri.
Tale direttiva prevede, infatti, il principio della parità di trattamento tra le persone, indipendentemente dalla razza e dall’origine
etnica, nei settori del lavoro e del welfare, compresa la sicurezza
sociale. Tuttavia, pur definendo la discriminazione con un
contenuto più ampio possibile e offrendo un rimedio giurisdizionale ad hoc per la sua rimozione e per il ristoro del danno
subito, la direttiva in questione non riguarda le differenze di
trattamento basate sulla nazionalità e non pregiudica le
disposizioni e le condizioni relative all’ingresso, nonché alla
residenza, dei cittadini di Paesi terzi e degli apolidi nel territorio
degli Stati membri 20 .
3. Il quadro nazionale
L’Italia ha ratificato tutte le convenzioni internazionali sopra
illustrate, (eccezion fatta per la Convenzione Onu sui lavoratori
migranti del 1990), entrate a far parte del nostro ordinamento
giuridico tramite l’articolo 117 della Costituzione, in qualità di
“norme interposte” tra la Costituzione e la legge ordinaria 21. Le
norme internazionali convenzionali, tuttavia, non godono di
diretta applicabilità da parte dell’autorità giudiziaria, contrariamente a quanto accade per le norme comunitarie, in quanto, in
caso di contrasto insanabile con la normativa interna, il giudice
non può disapplicare la norma nazionale configgente con quella
internazionale, ma è tenuto, in base a quanto asserito dalla Corte
libertàcivili
forme non corrette o non sufficienti a raggiungerne lo scopo. L’efficacia diretta della
direttiva implica che il giudice deve disapplicare la norma interna confliggente con
la norma comunitaria quando si verifichino le seguenti condizioni: le disposizioni
pertinenti devono essere, dal punto di vista sostanziale, sufficientemente precise
e incondizionate; l’efficacia diretta opera solo dopo la scadenza del termine per
l’attuazione; l’efficacia diretta può essere invocata solo dal singolo nei confronti di
un’autorità pubblica (c.d. efficacia diretta verticale). Cfr. sentenza Van Duyn, causa
41/74, del 4/12/1974; sentenza Ratti, causa 148/78, del 5/4/1979, sentenza Marshall,
causa 152/84, del 26/2/1984
58
20 Cfr. art.3, par. 2, della direttiva e, recentemente, quanto ribadito dalla sentenza
della Cor te di Giustizia (Grande Sezione) del 24/4/2012 nella causa C-571/10
Kamberaj, par.49
21 Cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 348 e 349 del 2007
2 0 12 marzo - apr ile
22 Ibidem
23 Cfr., per tutte, le sentenze della Corte costituzionale n.120/1967 e 120/1969
24 In attuazione dell’art. 24 della Direttiva n. 2004/38/CE
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
La distinzione
fra prestazioni
previdenziali
e assistenziali
nell’articolo 38
della nostra
Costituzione
e le ricadute
sulla normativa
interna
costituzionale, a sollevare un eventuale questione di legittimità
costituzionale per contrasto con l’art.117 della Costituzione 22 .
La disposizione costituzionale che costituisce, per quanto
di interesse, il cardine su cui si fonda l’impianto del quadro
normativo interno è rappresentata dall’articolo 3, che proclama
l’uguaglianza formale e sostanziale tra i cittadini, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali. Come noto, la portata
di tale articolo è stata estesa a tutti gli individui, cittadini e non,
dalla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale 23 ,
la quale ha affermato come esso vada letto in connessione con
l’articolo 2, che riconosce a ogni persona il godimento dei diritti
inviolabili dell’uomo – tra cui i diritti sociali fondamentali – e con
l’articolo 10, secondo comma, secondo il quale la condizione
giuridica dello straniero è disciplinata dalla legge in conformità
con le norme e i trattati internazionali.
L’art. 38 della Costituzione costituisce, inoltre, il fondamento
del riconoscimento della tutela previdenziale e assistenziale,
prevedendo quale destinatario della tutela previdenziale il
lavoratore e come beneficiario del diritto all’assistenza sociale
il cittadino, sebbene secondo l’interpretazione della Corte
costituzionale, di cui si dirà tra breve, l’applicabilità delle
garanzie ivi contenute vada assicurata anche agli stranieri.
Tale bipartizione tra previdenza e assistenza ha consentito
al legislatore nazionale di differenziare tra prestazioni previdenziali con carattere contributivo, riconosciute anche agli
stranieri su un piano di tendenziale parità, e prestazioni
assistenziali a carattere non contributivo, per la cui fruizione da
parte degli immigrati la normativa interna ha progressivamente
aumentato i limiti e le preclusioni, contestualmente all’avanzare
di periodi di crisi economica.
Le categorie di stranieri che nel diritto interno godono, in
linea generale, di una tutela assistenziale più estesa sono quelle
tutelate dal diritto comunitario, quali sopra illustrate. In particolare, per quanto concerne i familiari non comunitari di cittadini
comunitari, la parità di trattamento in materia di assistenza
sociale è prevista dall’art.19 del D.Lgs 30/2007 24 . La stessa
Primo Piano
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
59
Primo Piano
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
libertàcivili
parità è assicurata dall’art. 9 del D.Lgs 286/1998 2 5 (Testo
unico sull’immigrazione) agli stranieri titolari del permesso di
soggiorno CE per lungo soggiornanti e dall’art. 27 del D.Lgs
251/2007 26 ai titolari di protezione internazionale, mentre per i
lavoratori transfrontalieri la normativa comunitaria è immediatamente e direttamente applicabile, trattandosi di regolamento 27 .
Per tutte le altre categorie di stranieri l’art. 41 del TU immigrazione rappresenta la disposizione generale di riferimento,
attuativa dell’articolo 10 della Costituzione, ai sensi del quale
la disciplina della condizione giuridica dello straniero è coperta
da una riserva di legge “rinforzata”, ossia conforme agli standard
minimi di tutela previsti dalla normativa internazionale generale
o pattizia. L’articolo 41 equipara ai cittadini italiani i titolari di
carta di soggiorno (poi divenuta permesso di soggiorno CE per
lungo soggiornanti) 28 e i titolari di permesso di soggiorno non
inferiore a un anno, ai fini della fruizione delle provvidenze e
60
25 In attuazione dell’art.11 della Direttiva 2003/109/CE
26 In attuazione dell’art. 29 della Direttiva 2011/95/UE
27 Regolamento (UE) n.1231/2010 del Parlamento e del Consiglio del 24/11/2010
28 Il requisito di residenza legale per l’ottenimento del permesso di soggiorno CE per
lungo soggiornanti è di cinque anni, conformemente alla normativa comunitaria
2 0 12 marzo - apr ile
29
Cfr. art. 2 della legge n. 328/2000
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Nell’ultimo
decennio,
numerosi
interventi
normativi
hanno portato
a una
progressiva
restrizione
della parità
di trattamento
sociale
ad alcune
categorie
di stranieri
delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale,
incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo
di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi, per gli
invalidi civili e per gli indigenti.
Il diritto degli stranieri individuati a usufruire del sistema
integrato di interventi e servizi sociali, con le modalità e nei limiti
definiti dalle leggi regionali, è ribadito anche dalla legge 328/2000
(Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali) 29 .
Gli interventi normativi successivi, tuttavia, hanno segnato una
inversione di rotta del legislatore che, in base a considerazioni
volte a contenere la spesa pubblica, ha progressivamente ristretto
ad alcune categorie di stranieri la parità di trattamento in materia
sociale, sino a che, con la legge 388/2000 (Finanziaria 2001),
ha previsto una generale restrizione alla equiparazione prevista
dall’art. 41 del TU. L’art. 80, comma 19, di tale legge subordina,
infatti, al possesso del permesso di soggiorno CE per lungo
soggiornanti l’accesso all’assegno sociale e alle altre provvidenze
economiche costituenti diritti soggettivi in base alla legislazione
vigente, conservando per i titolari di permesso di soggiorno di
almeno un anno l’equiparazione con gli italiani solo per le altre
prestazioni e servizi sociali. La legge 133/2008 è poi intervenuta
in senso ulteriormente restrittivo, elevando a dieci anni il periodo
di permanenza legale continuativa sul territorio nazionale ai fini
della fruizione dell’assegno sociale, oltre a escludere espressamente i non cittadini dall’accesso alla c.d. social card. Infine
la legge 2/2009, di conversione del c.d. “decreto-anticrisi”, ha
stanziato per il 2009 risorse per il c.d. bonus bebè, riservandolo
ai soli neonati di cittadinanza italiana.
Sulla normativa statale (ma anche sulla legislazione regionale
e sulla normativa e/o condotta degli enti locali) limitativa, in
modo diretto o indiretto, della parità di accesso alle prestazioni
sociali in base alla cittadinanza, è intervenuta una vasta e
articolata giurisprudenza, che ha avviato una importante opera
di sensibilizzazione in senso antidiscriminatorio.
Va in proposito chiarito che, accanto alla legislazione di settore
in materia di provvidenze sociali, nel nostro ordinamento è
presente una solida e ampia tutela normativa contro le discriminazioni (sia civile che penale), che comprende il recepimento
tanto delle direttive comunitarie quanto della Convenzione Onu
Primo Piano
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
61
Primo Piano
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
La tutela
offerta dalla
giurisprudenza
civile, che ha
condannato
spesso i
provvedimenti
presi a livello
locale
suscettibili
di praticare
forme di discriminazione
“indiretta”
basate sulla
nazionalità
contro la discriminazione razziale del 1965 30 . La c.d. “Direttiva
razza” (2000/43/CE) e la Direttiva quadro in materia di discriminazione sul lavoro (2000/78/CE) sono state, infatti, recepite
rispettivamente per mezzo dei decreti legislativi n. 215 e 216
del 2003.
La “Direttiva razza” non offre tutela antidiscriminatoria per
motivi di origine nazionale. Tuttavia, la normativa di recepimento
ha esteso la garanzia giurisdizionale prevista dalla direttiva
medesima anche alla discriminazione per motivi di nazionalità,
diretta o indiretta. La nozione di discriminazione fornita dall’art. 2
del D.Lgs 215/2003 include, infatti, anche i motivi di origine
nazionale, facendo espressamente salva la definizione di
discriminazione a sua volta presente nell’art. 43, commi 1 e 2,
del TU immigrazione. Nel contempo l’art. 4 dello stesso decreto
legislativo prevede che la tutela giurisdizionale avverso gli atti
e i comportanti discriminatori si svolga nelle forme previste
dall’articolo 44 del TU, che disciplina appunto le modalità
dell’azione civile contro la discriminazione.
È proprio in tale sede che la giurisprudenza di merito ha
svolto una capillare azione di “smantellamento” dei paletti apposti
dalle amministrazioni locali, con l’emanazione di sentenze di
condanna alla cessazione delle condotte discriminatorie 31 ,
fondate in particolare su forme di discriminazione indiretta,
assai più estese e facilmente dissimulabili dietro a limitazioni di
diversa natura. Si ha, infatti, una discriminazione indiretta quando
una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto, o
comportamento apparentemente neutri possono mettere in una
situazione di particolare svantaggio determinate persone
rispetto ad altre, sulla base di motivazioni che riguardano, nel
nostro caso, la nazionalità 32 .
Riguardo alla normativa statale e regionale limitativa delle
prestazioni assistenziali a favore degli stranieri, è la Corte
costituzionale che, pronunciatasi a più riprese, ha sviluppato un
orientamento volto a riequilibrare in senso antidiscriminatorio le
scelte operate dal legislatore. La giurisprudenza costituzionale,
30 Ratificata con legge n. 654/1975
libertàcivili
31 Si veda, da ultimo, tribunale di Firenze, pronuncia del 19/3/2010, con cui è stato
62
riconosciuto a uno straniero titolare di solo permesso di soggiorno l’assegno di invalidità
e tribunale di Padova, sez. lavoro, pronuncia del 5/12/2011 con la quale è stato riconosciuto a un cittadino straniero lungo soggiornante l’assegno per nuclei familiari con
almeno tre figli minori, negatogli dal comune su parere negativo dell’Inps
32 Cfr. Dlgs n. 215/2003 art. 2, co.1, lett. b) in combinato disposto con l’art. 43 TU
immigrazione
2 0 12 marzo - apr ile
33 Cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 432/2005, n. 306/2008 e 11/2009,
187/2010, 40/2011
34 Ex art.1 legge n.18/1980
35 Ex art.13 della legge 30 marzo 1971, n.118
36 Cfr. rispettivamente, le sentenze della Corte costituzionale n. 306/2008 e n.187/2010,
sulla cui scia si è pronunciata recentemente anche la Corte di cassazione, sezione VI
civile, con sentenza n. 4110 del 14/3/2012
37 Cfr. sentenza n. 40/2011
38 L’Unar, istituito con D.Lgs 215/2003 presso la Presidenza del Consiglio dei
ministri, dipartimento per le Pari opportunità, è attualmente sotto la competenza
del ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Le sentenze
della Corte
costituzionale
in materia
di accesso
alle
prestazioni
sociali
dei migranti
sono
imperniate
su due
principi:
quello della
ragionevolezza
e quello
della parità
di trattamento
a questo riguardo, si è imperniata essenzialmente su due principi
concorrenti: il principio di ragionevolezza, in base al quale
sono ammessi regimi di trattamento differenziato per italiani e
stranieri solo in presenza di una causa normativa non palesemente
irrazionale o arbitraria; il principio della parità di trattamento
riguardo al godimento dei diritti essenziali e inviolabili dell’uomo,
in base al quale non è possibile alcun trattamento differenziato
tra cittadini e stranieri. Secondo la Corte costituzionale, dunque,
è ammesso il trattamento differenziato per prestazioni non
afferenti a diritti fondamentali e sempre che si rispetti il principio
di ragionevolezza, in piena conformità con la sopra richiamata
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 33 .
In base a tali principi la Corte costituzionale è intervenuta a
dichiarare l’illegittimità costituzionale del menzionato articolo 80,
comma 19, della legge Finanziaria 2001 per due volte e a
distanza di due anni. Dapprima nella parte in cui, a seguito del
combinato disposto con l’art. 9, co.1, TU immigrazione, esclude
la corresponsione dell’indennità di accompagnamento 34 agli
stranieri non in possesso dei requisiti di reddito stabiliti per
l’ottenimento del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti e, successivamente, nella parte in cui subordina la
concessione dell’assegno mensile di invalidità 35 alla titolarità
del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti 36. La Corte
ha, altresì, recentemente ritenuto illegittime alcune disposizioni
della legge 6/2006 della regione Friuli-Venezia Giulia nella
parte in cui introducono preclusioni volte a escludere i cittadini
extracomunitari e comunitari non residenti da almeno trentasei
mesi dalle previdenze sociali fornite dalla medesima regione
nell’ambito del sistema integrato di servizi 37.
Infine, il 29 novembre 2011 l’Ufficio per la promozione della
parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate
sulla razza o sull’origine etnica (Unar) 38 ha formulato una
Primo Piano
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
63
Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri
Primo Piano
importante raccomandazione, avente tra i destinatari gli enti
e uffici pubblici 39 . Tale raccomandazione contiene l’invito a
evitare condotte discriminatorie, conformandosi alla normativa
interna e sovranazionale di riferimento e all’interpretazione che
di essa dà la giurisprudenza della Corte europea e della Corte
costituzionale, secondo cui “quando una determinata prestazione di assistenza sociale è prevista dalla legge statale o
regionale e da altri provvedimenti statali, regionali o locali ad essa
automaticamente accedono, oltre che i cittadini italiani e i cittadini comunitari, anche gli stranieri extracomunitari regolarmente soggiornanti quali indicati dall’art. 41 TUI”.
Ciò premesso, anche il legislatore sta muovendo i primi timidi
passi verso l’adozione di norme ampliative dei diritti sociali
fondamentali per gli stranieri. Il recentissimo Dl 5/2012 (c.d.
“decreto semplificazioni”), convertito nella legge 35/2012,
destina la sperimentazione della c.d.”nuova social card” per le
famiglie in difficoltà anche ai titolari di permesso di soggiorno
CE per lungo soggiornanti e ai cittadini comunitari. Tale nuova
“carta acquisti” non sostituirà la vecchia, di cui alla legge
133/2008 – che continuerà ad essere fornita solo ai cittadini
italiani – ma la affiancherà in via sperimentale e nei soli comuni
con popolazione superiore ai 250mila abitanti 40 .
Significativa, inoltre, la decisione con cui il Consiglio dei
ministri lo scorso 14 febbraio 2012 ha deciso l’impugnazione
innanzi alla Corte costituzionale della legge 44/2011 della
regione Calabria, per l’esclusione indebita dagli interventi per la
tutela e il sostegno delle persone non autosufficienti dei cittadini
extracomunitari regolarmente soggiornanti, ma non in possesso
del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti.
libertàcivili
In conclusione non si può che prendere atto, trascorsi 64 anni
dalla proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo e dalla entrata in vigore della nostra Carta costituzionale, di quanto complesso e tortuoso sia il percorso per il
riconoscimento agli stranieri delle provvidenze di natura socioassistenziale che costituiscono diritti soggettivi fondamentali,
in quanto volti al soddisfacimento dei bisogni primari della persona
umana.
64
40
2 0 12 marzo - apr ile
Cfr. art. 60 del Dl 5/2012 come modificato dalla legge di conversione
Primo Piano
Per un mercato del lavoro
più moderno e trasparente
nei servizi alla persona
Il 75% degli addetti al welfare familiare sono
immigrati. I progetti del ministero del Lavoro
per una migliore formazione dei lavoratori
e per la creazione di una rete di servizi mirati
a facilitare l’incontro fra domanda e offerta
di Natale Forlani
La domanda
di servizi
alla persona
è in crescita
nei Paesi
sviluppati
perché cresce
il peso della
popolazione
anziana
e aumenta
il lavoro extradomestico
delle donne
Il settore dei servizi alle persone, inteso come aggregazione
delle prestazioni socio-assistenziali, sanitarie nell’ambito
domestico, è ormai una componente importante del prodotto
interno lordo dei Paesi sviluppati. La qualità delle prestazioni
erogate influenza fortemente il welfare di queste nazioni. La
spinta alla crescita di tali servizi è prodotta da alcuni fattori:
l’invecchiamento della popolazione, l’incremento dell’acquisto
dei servizi di cura per bambini, anziani, e per l’igiene della casa,
collegato all’aumento del lavoro extradomestico della donna.
In tempi recenti la compressione dei costi degli ospedali,
contribuisce in modo rilevante alla formazione di una nuova
domanda di servizi su base territoriale e domiciliare.
È un fatto noto che la crescita di questa domanda in Italia è
stata, in particolare negli anni Duemila, soddisfatta dall’offerta
delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati, e in particolare dalle
cosiddette “colf” o “badanti”, in modo più intenso rispetto a
quanto già accaduto in altri Paesi sviluppati.
Le peculiarità italiane sono rappresentate dalla elevata
percentuale della domanda di servizi alle persone soddisfatta
dalle lavoratrici/lavoratori immigrati e dalla rilevante presenza
di lavoro sommerso. Contribuiscono alla formazione di queste
tendenze, sia sul lato della domanda che dell’offerta, le difficoltà
delle famiglie nel sostenere i costi delle prestazioni.
La crescita della domanda di cura degli anziani e di conciliazione tra lavoro e famiglia per le donne è relativamente rigida,
in particolare quella rivolta ad assicurare l’assistenza dei cittadini
non autosufficienti. Questo comporta per le famiglie, soprattutto
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Direttore generale per l’Immigrazione del ministero del Lavoro
65
Welfare familiare: per un mercato del lavoro più moderno e trasparente
Primo Piano
quelle a reddito medio-basso, notevoli difficoltà nel sostenere
i costi contrattuali delle assunzioni. Per molte donne italiane,
entrare nel mondo del lavoro comporta l’acquisto di servizi di
cura a costi superiori del potenziale reddito da lavoro reperibile.
Il lavoro immigrato, sovente mal pagato e non di rado irregolare,
fornisce una cassa di compensazione verso queste criticità,
incrementate dalle difficoltà delle famiglie di reperire una
manodopera in tempo utile, dato che l’ingresso di nuovi immigrati è subordinato all’adozione di decreti governativi. Il lavoro
malpagato, disagiato e irregolare consolida l’immagine professionale negativa della colf-badante, allontana una potenziale
offerta di lavoro indigena, comprime la produttività e la quantità
delle prestazioni, accentua la mobilità del lavoro.
Per certi aspetti è incomprensibile la sottovalutazione italiana
dell’importanza di avere un’economia civile, trasparente, e di
qualità, legata ai servizi alla persona, quasi fosse normale
assicurare livelli di cura inadeguati alla popolazione più anziana.
In queste condizioni dobbiamo dare per scontato un ulteriore
degrado del nostro welfare e la compressione del tasso di
crescita del lavoro delle donne italiane.
La domanda dei servizi verso le persone è anticiclica, destinata
a incrementarsi in relazione all’aumento dei non autosufficienti,
per almeno 100mila unità annue. La qualità dell’offerta di lavoro
dipenderà fortemente da quella delle politiche di sostegno –
soprattutto fiscale – alle famiglie e dalla capacità di ricostruire
un mercato del lavoro ufficiale, trasparente, qualificato.
Principali indicatori demografici della popolazione residente
anno 2010/2050 (valori percentuali)
Anno
libertàcivili
2010
2020
2030
2040
2050
66
Numero
medio
di figli
per
donna
1,42
1,52
1,57
1,59
1,58
Età
media
della
popolazione
Popolazione
65 anni
epiù
Popolazione
80 anni
epiù
Indice
di dipendenza
strutturale
Indice
di dipendenza
degli
anziani
43,4
45,3
47,0
48,4
49,2
20,3
22,8
26,5
31,3
33,0
5,8
7,4
8,8
10,4
13,5
52,2
57,5
64,9
78,6
84,7
30,9
35,9
43,6
55,8
60,9
Indice
di
vecchiaia
144,8
166,7
205,3
245,0
256,3
Fonte: Demo Istat 2010
Nota: Secondo le previsioni Demo Istat, da qui al 2060 gli italiani con più di 65 anni aumenteranno di circa 13
punti percentuali (dal 20,3 al 33%). In questo quadro, l’indice di dipendenza degli anziani (il rapporto tra la
popolazione con oltre 65 anni e la popolazione in età 15-64), è pari al 30,9% per il 2010, ma si stima giungere
al 60,9 al 2050. Questo indice si differenzia da quello di dipendenza strutturale (il rapporto tra la popolazione
non autonoma, fino a 14 anni e con più di 65, e la popolazione in età 15-64) e l’indice di vecchiaia (il rapporto
tra la popolazione anziana con più di 65 anni e la popolazione più giovane, fino a 14 anni).
2 0 12 marzo - apr ile
Tali obiettivi sono intrinsecamente connessi fra loro. La possibilità di detrarre fiscalmente i costi dell’assistenza familiare è
fondamentale per rendere sostenibile l’acquisto di questi servizi
nel mercato ufficiale. Un mercato del lavoro trasparente, e
dignitosamente retribuito, è condizione per riqualificare l’offerta
dei servizi e delle risorse umane impegnate.
Le restrizioni della spesa pubblica, ormai strutturali, impongono
alcune scelte nella politica fiscale e sull’utilizzo dei fondi strutturali
europei, evitando dispersioni e finanziamenti a pioggia in progetti
locali di breve respiro, assolutamente inadeguati a riorientare
le scelte delle famiglie e degli operatori di mercato.
Sostenere le famiglie nell’acquisto dei servizi di cura, così
come per la crescita dei figli, è un vero affare per ogni nazione
che lo fa. L’emersione del lavoro nero favorisce un recupero
significativo (il 70-80%) degli importi di spesa pubblica destinati
allo scopo, stimola la crescita della produttività, depotenzia la
domanda di interventi sul sistema socio-assistenziale sanitario
pubblico. Inoltre, la qualificazione delle assistenti familiari migliora
le prestazioni del welfare.
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Primo Piano
Welfare familiare: per un mercato del lavoro più moderno e trasparente
67
Primo Piano
Welfare familiare: per un mercato del lavoro più moderno e trasparente
Numero dei lavoratori domestici, 2001-2009 stime Censis (val. ass. in migliaia)
Fonte: elaborazione Censis 2010 su dati Istat
libertàcivili
Lavoratori domestici Inps per nazionalità (2003-2008)
Fonte: Inps, Osservatorio sui lavoratori domestici, dati annuali, 2011
68
2 0 12 marzo - apr ile
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Vanno
affrontati
i problemi
connessi
alla specificità
della famiglia
come datore
di lavoro:
facilitare
l’incontro
tra domanda
e offerta,
supportare
la gestione
dei rapporti
di lavoro,
qualificare
le risorse
umane
Si può comprendere facilmente, per la natura dei nostri
problemi economico-sociali, quanto sia importante compiere
scelte in questa direzione per il nostro Paese. Le deleghe al
Governo per il riordino della spesa sociale, in particolare quella
legata all’assistenza, e degli interventi fiscali, sono occasioni
importanti per fare delle scelte in questa direzione.
Nel mercato del lavoro vanno affrontati problemi connessi
alla specificità del “datore di lavoro famiglia”: facilitare l’incontro
domanda-offerta, supportare la gestione dei rapporti di lavoro,
qualificare le risorse umane. In questa direzione assume un
grande rilievo il programma promosso dal ministero del Lavoro
e delle Politiche sociali, d’intesa con tutte le regioni italiane,
per diffondere una rete capillare di servizi per l’incontro fra
domanda e offerta, ivi compresa la gestione amministrativa dei
rapporti di lavoro, per il tramite di operatori privati e privatosociali (in particolare i patronati di assistenza) che unitamente
ai servizi pubblici per l’impiego possono favorire le famiglie nel
reperire e gestire i nuovi rapporti di lavoro.
In parallelo sarà promossa una rilevante azione formativa
rivolta a qualificare i diversi profili professionali socio-assistenziali
e sanitari dell’assistenza familiare. La qualificazione del mercato
del lavoro specifico è intrinsecamente connessa con quella del
lavoro degli immigrati, che rappresentano il 75% della forza
lavoro in questo settore e assolvono a oltre il 90% della domanda
incrementale di prestazioni.
In questo senso diventano decisive le iniziative complementari
in corso di attuazione: la qualificazione nei Paesi di origine
come condizione di nuovi ingressi per motivi di lavoro, la valorizzazione delle risorse umane disoccupate nella fase di transizione
verso un nuovo posto di lavoro. Sul primo versante assume un
notevole rilievo la decisione di autorizzare quote di nuovi
ingressi di lavoratori formati, anche per l’apprendimento della
lingua italiana, nei Paesi di origine, disponibili anche in assenza
dell’adozione del decreto flussi annuale per gli ingressi di lavoro
subordinato. Sul versante delle politiche attive interne, sarà
possibile per le lavoratrici e i lavoratori disoccupati usufruire
di voucher da utilizzare per la frequenza di specifici corsi di
formazione.
Un insieme di programmi, in corso di attuazione, del valore
complessivo di oltre 40 milioni di euro che si stanno incrementando attraverso i cofinanziamenti regionali e che può
avvicinare il nostro mercato dei servizi alla persona agli standard
già raggiunti in altri Paesi europei.
Primo Piano
Welfare familiare: per un mercato del lavoro più moderno e trasparente
69
Primo Piano
Ripensare
le politiche migratorie
in tempo di crisi
Per applicare le politiche di welfare to work
ai lavoratori stranieri – particolarmente esposti
a fenomeni quali disoccupazione, sottoccupazione
e perdita di capitale umano – occorre superare
alcune criticità che ne ostacolano l’attuazione
Rodolfo Giorgetti
Responsabile area immigrazione - Italia Lavoro
libertàcivili
I lavoratori
immigrati
hanno
prodotto
nel 2010
il 12% del Pil
a fronte
di un peso
demografico
del 7,5%
70
2 0 12 marzo - apr ile
1. Immigrazione e mercato del lavoro
I cittadini stranieri in Italia sono oltre 4.500.000 e di questi
circa 2.600.000 sono lavoratori, pari a oltre l’11% della popolazione lavorativa italiana. Una cifra significativa che è cresciuta
negli ultimi anni senza soluzione di continuità. La crisi del mercato
del lavoro ha tuttavia avuto effetti rilevanti anche rispetto al tasso
di disoccupazione dei lavoratori migranti: in questi anni gli uomini
hanno raddoppiato la loro percentuale di disoccupazione
passando tra il 2008 e il 2010 dal 7 al 14% e anche le donne
hanno seguito una dinamica analoga passando dal 9 al 16%.
Tali dati evidenziano come la crisi abbia fortemente inciso
sulla componente immigrata della forza lavoro rispetto a quella
autoctona. Tra i migranti, la crisi economica ha generato
mediamente circa 300mila esuberi all’anno, sebbene con esiti
in parte contraddittori e peculiari, dovuti prevalentemente agli
specifici settori di impiego, tra cui non solo quello della manifattura e delle costruzioni – notoriamente maggiormente in crisi
– ma anche quello dei servizi alla persona. Come evidenziato
nel XVII Rapporto sulle migrazioni dell’Ismu, l’occupazione di
cittadini stranieri, però, ha continuato a crescere anche nel
periodo di crisi: tra il 2007 e il 2010 è aumentata di 579mila
unità, di cui la metà circa nel biennio critico 2008-2010.
Inoltre, i lavoratori migranti hanno continuato, anche in questa
fase recessiva, a contribuire al Pil nazionale in misura nettamente
superiore alla loro incidenza demografica: hanno prodotto
infatti il 12% del Pil nazionale a fronte di un peso demografico
del 7,5% (dati 2010).
La
convenzione
OIL garantisce
ai lavoratori
stranieri
e alle loro
famiglie
regolarmente
soggiornanti
nel territorio
parità di
trattamento
e uguaglianza
di diritti
rispetto
ai lavoratori
italiani
2. Le politiche di ricollocazione dei lavoratori stranieri
Per ripensare le politiche del lavoro destinate alla popolazione
immigrata, è necessario valutare e analizzare le caratteristiche
peculiari del mercato del lavoro straniero. In particolare, devono
essere prese in considerazione l’alta mobilità geografica, la
forte adattabilità sul lavoro e la spiccata propensione al rischio
di impresa. Sulla base di tali elementi dovrebbero essere conseguentemente calibrate le politiche attive del lavoro rivolte ai
cittadini stranieri, nella consapevolezza che la Repubblica
italiana, in attuazione della convenzione dell’OIL n.143 del
24 giugno 1975 (ratificata con la legge 158/1981) garantisce
a tutti i lavoratori stranieri e alle loro famiglie regolarmente
soggiornanti nel territorio parità di trattamento e piena uguaglianza
di diritti rispetto ai lavoratori italiani (art. 2, comma 3, del D.Lgs
286/1998, TU sull’immigrazione).
L’attuale crisi occupazionale ha determinato una spinta decisiva
nell’evoluzione del sistema delle politiche attive, attraverso il
passaggio da un welfare di tipo risarcitorio e assistenziale a un
welfare di tipo promozionale e proattivo. Le misure anticrisi sugli
ammortizzatori sociali in deroga e le politiche attive, adottate con
l’Accordo Stato-regioni del febbraio 2009 (rinnovato nell’aprile
2011), sono state rivolte fondamentalmente ai seguenti ambiti:
un ampliamento della platea dei lavoratori beneficiari di
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Nel corso della crisi si è accentuato il carattere duale del
mercato del lavoro, che ha visto la popolazione immigrata
inserirsi soprattutto nei settori meno qualificati, remunerati e
tutelati, al fine di soddisfare la domanda di lavoro di basso profilo
espressa dal sistema produttivo e sociale italiano. I lavoratori
stranieri hanno inoltre risentito del deterioramento delle condizioni
di lavoro, in misura superiore ai lavoratori italiani: il fenomeno
del brain waste, cioè il sottoutilizzo del capitale umano, ha
caratterizzato in modo prevalente la popolazione immigrata
rispetto a quella italiana.
La portata della crisi globale, che inevitabilmente avrà riverberi
anche nei prossimi anni, è tale da necessitare una ridefinizione
degli assetti economici politici e finanziari. È necessario un
ripensamento complessivo del mercato del lavoro, che prenda
in considerazione la popolazione lavorativa straniera quale fattore
di crescita e sviluppo dell’economia dei Paesi europei. Occorre
affiancare alla riforma del mercato del lavoro attualmente all’esame
delle Camere politiche specifiche di welfare to work. A tal fine
assumono un ruolo estremamente rilevante le politiche di ricollocazione dei lavoratori stranieri.
Primo Piano
Il welfare to work e il lavoro immigrato
71
Primo Piano
Il welfare to work e il lavoro immigrato
ammortizzatori sociali, attraverso l’estensione delle coperture
degli ammortizzatori in deroga a categorie di lavoratori non
coperte da alcuna forma di sostegno al reddito in caso di
sospensione o di perdita del posto di lavoro
una maggiore integrazione tra politiche attive e politiche
passive del lavoro, rendendo più stringente per i destinatari
di forme di sostegno al reddito la partecipazione a misure di
politiche attive (es. obbligo di partecipazione a processi di riqualificazione professionale)
una maggiore cooperazione interistituzionale fra Stato e
regioni, alla luce delle competenze in materia di ammortizzatori
sociali e politiche attive del lavoro.
libertàcivili
In tal modo si sono progressivamente create le condizioni
normative e di contesto al fine di attuare una adeguata strategia
di welfare to work basata sui seguenti principi:
la tracciabilità dei percorsi lavorativi degli immigrati da parte
delle amministrazioni pubbliche al fine di orientare coerenti
politiche di sostegno
l’adozione di un modello negoziato di politiche attive e passive
la conoscenza da parte degli operatori del mercato del lavoro
72
2 0 12 marzo - apr ile
dei bacini di riferimento al fine della ricollocazione degli immigrati
nel mercato del lavoro
l’obiettivo di creare un mercato del lavoro trasparente ed efficiente, fondato su un sistema efficace di servizi per il lavoro, in
grado di aumentare le occasioni di lavoro e la presa in carico
di soggetti con peculiari caratteristiche e bisogni
la necessità che gli operatori pubblici e privati agiscano
congiuntamente e in sussidiarietà, nell’ambito di una rete aperta
e pluralistica
la definizione di standard minimi di servizi personalizzati da
erogare ai cittadini.
Primo Piano
Il welfare to work e il lavoro immigrato
È giusto
allungare
dagli attuali
sei mesi
a un anno
il periodo
di tempo
per il
ricollocamento
sul mercato
del lavoro
in caso
di perdita
della
occupazione
3. Il permesso per attesa occupazione e la tracciabilità
dei percorsi lavorativi
Al fine di poter applicare le politiche di welfare to work alla
popolazione straniera, occorre superare alcune criticità che ne
ostacolano la loro attuazione.
In primo luogo è necessario informare il migrante in modo
adeguato sia con riferimento ai suoi diritti in materia di mercato
del lavoro e sia in materia di integrazione e diritti sociali; ciò al
fine di facilitare i percorsi attivi di reinserimento e l’accesso alle
misure di politica attiva in condizione di parità con i cittadini
italiani.
In secondo luogo occorre superare il ristretto termine temporale
previsto dal Testo unico dell’immigrazione con riferimento alla
durata del permesso di soggiorno per attesa occupazione.
L’art. 22, comma 11 prevede che tale tipologia di permesso
possa avere la durata massima di sei mesi: un periodo significativamente troppo limitato per il ricollocamento nel mercato
del lavoro, soprattutto nell’attuale momento di crisi. In questo
senso deve essere salutata con favore la proposta, contenuta
nel disegno di legge di riforma del mercato del lavoro all’esame
delle Camere, di allungare tale periodo a un anno, come già
contemplato nella previgente disciplina.
Un altro aspetto molto rilevante riguarda la necessità di
disporre di un patrimonio informativo condiviso che consenta
di conoscere lo status giuridico e lavorativo dei singoli migranti.
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Tali azioni potrebbero costituire il volano del futuro sviluppo
del mercato del lavoro nazionale, correggendone e superandone
gli attuali limiti. Si tratta di misure che potrebbero agire sui fattori
di crisi, calibrando le proprie specificità a seconda dei settori
lavorativi e delle caratteristiche della popolazione lavorativa,
inclusa quella straniera.
73
La
“tracciabilità"
degli
immigrati
che perdono
il posto
di lavoro
è importante
per avere
in tempo reale
i dati relativi
alla condizione
sociolavorativa
dei cittadini
stranieri
sul nostro
territorio
74
Di qui il bisogno di costruire i bacini e la “tracciabilità” dei
migranti che perdono il posto di lavoro attraverso un sistema
informativo che consenta di avere in tempo reale i dati relativi
alla condizione socio-lavorativa di ciascun cittadino straniero
presente sul nostro territorio. I dati in possesso delle pubbliche
amministrazioni non sono oggi condivisi in modo organico
rispetto alle finalità di politiche di welfare to work. La loro
frammentazione non consente di conoscere la distribuzione
della popolazione immigrata in relazione alla condizione lavorativa (numero disoccupati, occupati, inoccupati, imprenditori),
al territorio in cui risiedono, alla distribuzione effettiva rispetto
ai settori produttivi in cui lavorano e alla posizione professionale
occupata. In assenza di queste conoscenze, risulta estremamente difficile programmare efficaci politiche di reinserimento.
Più in generale, devono inoltre essere superate quelle distorsioni, strozzature e squilibri che tuttora condizionano il mercato
del lavoro e il sistema di welfare e inibiscono le dinamiche
necessarie all’evoluzione del percorso avviato verso le politiche
attive. Tali distorsioni sono legate principalmente ai seguenti
fattori: scarsa omogeneità delle tutele; scarsa capacità di
incrociare domanda e offerta da parte dei servizi per il lavoro,
sia pubblici sia privati; persistente tendenza alla autoreferenzialità dei sistemi formativi, che producono un’offerta non sempre
adeguata al fabbisogno di competenze delle imprese e del
mercato del lavoro; indisponibilità di un sistema incentivante
mirato e organico a supporto del re-inserimento nel mercato
del lavoro; debole integrazione fra politiche del lavoro e politiche
dello sviluppo.
Infine, è da sottolineare positivamente un’altra novità contemplata nel disegno di riforma attualmente in discussione alle
Camere. Il testo prevede, infatti, che i compensi percepiti dal
lavoratore migrante per lavoro accessorio possano essere
computati ai fini della determinazione del reddito necessario
per il rinnovo del permesso di soggiorno.
4. Rilievi conclusivi e prospettive future
L’attuale momento di crisi impone una riflessione sulle politiche
lavorative da attivare nei confronti dei lavoratori stranieri, i quali,
come già detto, si trovano particolarmente esposti ai fenomeni
della sottoccupazione, della disoccupazione e della perdita di
capitale umano, con evidenti rischi di vulnerabilità anche per le
loro famiglie. Per tale ragione, è necessario ripensare le politiche
attuali da un duplice punto di vista.
Sotto un primo e più generale profilo è opportuno program-
libertàcivili
Primo Piano
Il welfare to work e il lavoro immigrato
2 0 12 marzo - apr ile
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Ragioni
insieme
di equità
e di efficienza
del welfare
richiedono
che tutte
le categorie
dei lavoratori
abbiano
accesso
alle tutele
sociali
mare i nuovi ingressi favorendo la connessione tra ingresso
e lavoro e quindi, più in generale, tra le politiche del lavoro e
quelle migratorie. Ciò significa pensare politiche migratorie
fondate su una base di conoscenza solida e aggiornata del
fabbisogno nazionale del mercato del lavoro, in modo da fornire
maggiore coerenza alle politiche, soprattutto con riferimento
all’ingresso e al soggiorno dei lavoratori migranti. In questa
direzione potrebbero essere favoriti gli ingressi in determinati
settori lavorativi o per determinate categorie di lavoratori,
valorizzando proprio grazie ai flussi migratori certi settori del
mercato del lavoro nazionale, attraverso un’immigrazione selettiva
e qualificata.
Sotto un secondo profilo, devono essere pianificate adeguate
politiche volte a ricollocare nel mercato del lavoro i lavoratori
stranieri disoccupati o in mobilità già presenti sul territorio
nazionale. Al riguardo, un ripensamento delle politiche del lavoro
deve fondarsi su un coordinamento costante tra amministrazione
centrale e amministrazioni regionali e provinciali, che risponda
alla necessità di intervenire sulle priorità nazionali in tutto il
territorio, tutelando in modo univoco i diritti di tutti i percettori
di sostegno al reddito in deroga. Come è stato già evidenziato,
l’Accordo Stato-regioni sugli ammortizzatori sociali in deroga ha
infatti rappresentato un importante spartiacque nello sviluppo
delle politiche per il lavoro, ponendo al centro delle misure
concordate due principi: il forte collegamento tra politiche
attive e passive del lavoro e l’integrazione degli strumenti
finanziari. Di fatto, attraverso l’estensione delle tutele è stata
realizzata una protezione pressoché universalistica e omogenea
dei lavoratori.
Ragioni di equità sociale, ma al contempo di efficienza del
nostro sistema di welfare, richiedono dunque che sia reso
sistematico l’accesso alle tutele da parte di tutte le categorie di
lavoratori, sulla base dell’estensione del principio assicurativo.
Inoltre, il meccanismo di connessione fra le politiche attive e
passive del lavoro deve riguardare tutti i lavoratori percettori di
ammortizzatori sociali. Infine, la possibilità di accedere a misure
di sostegno al reddito a fronte della partecipazione a misure di
politica attiva deve essere estesa anche ai lavoratori autonomi
e ai collaboratori a progetto.
Il modello di intervento deve essere costruito in maniera tale
che a ogni ammortizzatore sociale o misura di sostegno al reddito
corrisponda una politica attiva del lavoro; in tal modo si limitano
i costi economici e sociali dell’intero sistema, si finalizza meglio
la spesa pubblica, e si recuperano in modo trasparente le
Primo Piano
Il welfare to work e il lavoro immigrato
75
I collegamenti
necessari
per un sistema
di tutele
in equilibrio
passano
per il
coordinamento
tra istituzioni
nazionali
e locali
e tra politiche
attive
e passive
di sicurezza
sociale
76
professionalità e le potenzialità delle persone a favore dello
sviluppo, animando gli interessi di tutti i soggetti che ruotano
intorno al mercato del lavoro.
La necessità di bilanciare la tensione fra equità ed efficienza
passa, dunque, soprattutto attraverso un efficace e virtuoso
coordinamento fra politiche attive e passive; al contempo, la
possibilità di successo è subordinata al superamento di modalità
di operare che distorcono il comune sistema di convenienze
rispetto al mondo del lavoro, laddove il sussidio assume il ruolo
di potente disincentivo nei confronti dell’occupazione.
Tali considerazioni si collocano nel più ampio confronto relativo
alla costruzione di un modello di welfare to work di stampo
italiano che includa anche i lavoratori stranieri, del quale la
riforma degli ammortizzatori sociali e la creazione di un modello
funzionale di gestione degli stessi sono parte integrante e
necessario presupposto, nella misura in cui un sistema di welfare
to work – come suggerito dalle più significative esperienze
europee – non può prescindere da un nuovo sistema di tutele
diffuse e generalizzate, rivolte anche ai lavoratori stranieri.
È necessario, quindi, che la ridefinizione e il riequilibrio degli
strumenti di tutela, finalizzati a reperire risorse adeguate per
programmi trasparenti e generalizzati a favore di chi perde il
posto di lavoro e a ridurre la povertà, siano accompagnati da un
nuovo modello organizzativo di gestione degli ammortizzatori
sociali, che preveda, tra le altre cose:
la presenza di una rete efficace e decentrata di servizi per il
lavoro, in grado di garantire servizi a tutti i lavoratori, compresi
gli immigrati
la predisposizione e la realizzazione di programmi individuali
per l’occupazione e l’occupabilità, volti a ridurre al minimo i
tempi di permanenza fuori dal mercato del lavoro
la conoscenza immediata della condizione del lavoratore
migrante percettore di sussidio da parte di chi deve programmare le politiche e deve erogare i servizi di supporto al reinserimento
la subordinazione dell’accesso a misure di sostegno al reddito
alla effettiva partecipazione a programmi di reinserimento e la
previsione della perdita dell’indennità in caso di rifiuto del lavoro.
Un modello come quello sopra descritto chiama in causa
numerosi soggetti (pubblico/privato) e diverse tipologie di attori,
nel rispetto del principio di sussidiarietà e in coerenza con
l’avvenuto decentramento istituzionale. In questo rinnovato
quadro di riferimento il Governo centrale deve disporre di un
libertàcivili
Primo Piano
Il welfare to work e il lavoro immigrato
2 0 12 marzo - apr ile
Si tratta, evidentemente, solo di un primo e sperimentale inizio,
per il cui successo sarà fondamentale riuscire a realizzare una
solida e reale collaborazione tra i diversi soggetti istituzionali
che sia a livello nazionale sia sul territorio sono chiamati a dare
risposte a problemi specifici legati all’integrazione dei lavoratori
stranieri e alla promozione di interventi di politica attiva. Con la
speranza che questa azione sia il punto di partenza verso una
modifica di carattere strutturale.
libertàcivili
Il ruolo
del Portale
della
integrazione
nelle politiche
di welfare
per gli
immigrati
presidio strutturato e permanente dei processi, capace di
garantire standard di qualità diffusi e omogenei e di mitigare
le discrasie prodotte dalla frammentazione del sistema di
competenze che caratterizza le politiche del lavoro.
In un’ottica coerente con l’analisi sopra esposta, il ministero
del Lavoro e delle Politiche sociali – direzione generale
dell’Immigrazione e delle Politiche di integrazione – ha finanziato
un progetto denominato “Programmazione e gestione delle
politiche migratorie” che si propone le seguenti finalità:
fornire un supporto alla costruzione di un dialogo strutturato
tra le diverse amministrazioni pubbliche che hanno, ex-lege,
competenze in materia di immigrazione
sviluppare una governance regionale e provinciale delle
politiche migratorie, che si focalizzi sulla creazione di uno
strumento informativo che “tracci” la presenza e la situazione
lavorativa e sociale di ciascun migrante presente sul territorio
nazionale, diffonda un modello previsionale di fabbisogno di
manodopera straniera coerente con le richieste del mercato
del lavoro, incentivi i flussi di ingresso di manodopera qualificata,
contribuisca alla creazione di reti locali per la gestione delle
politiche migratorie e alla semplificazione amministrativa delle
procedure burocratiche
supportare le regioni per una più efficace programmazione
dell’utilizzo delle risorse economiche in riferimento ai lavoratori
migranti
aggiornare e formare gli operatori delle reti pubbliche e private, anche attraverso l’utilizzo di strumenti quali il Portale
dell’integrazione
monitorare l’utilizzo delle risorse e valutare la ricaduta delle
diverse politiche messe in campo a livello centrale.
Primo Piano
Il welfare to work e il lavoro immigrato
2 0 12 marzo - apr ile
77
Primo Piano
Il ministro Balduzzi:
grazie all’INMP l’Italia
è capofila nell’UE e nell’OMS
per le cure ai migranti
Cettina Mirisola direttore generale dell’Istituto:
la nostra presa in carico delle categorie più
vulnerabili e degli immigrati è a 360 gradi,
con un’accoglienza ad ampio spettro, perché
prima di curare ci si prende cura delle persone
di Claudia Svampa
libertàcivili
All’INMP
operano
95 persone
tra medici,
infermieri,
psicologi,
antropologi,
un team
di mediatori
transculturali
e personale
amministrativo
e dirigente
78
2 0 12 marzo - apr ile
Potrebbe sembrare un set cinematografico allestito per uno di
quei medical drama, le fortunate serie televisive ambientate fra
ambulatori, corsie d’ospedale e camici bianchi, dove le vicende
dello staff medico e le cartelle cliniche dei pazienti si intrecciano
ripetutamente in trame fitte di suspense e alleggerite dall’happy
ending.
Potrebbe essere una location adatta a E.R. - Medici in prima
linea, o Grey’s Anatomy, o Dr. House, se non fosse che qui non
siamo a Chicago, a Seattle o nel New Jersey, ma nel cuore di
Roma, nella vecchia e affascinante Trastevere, all’interno delle
mura dell’antico ospedale Santa Maria e San Gallicano, fondato
nell’anno giubilare 1725 da Papa Benedetto XIII, per offrire cura
ai pellegrini e ai romani.
E così l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle
popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della
povertà, l’INMP, che ha sede in questo edificio di tre secoli fa,
non è né fiction né medical drama, è pura realtà nel cuore della
Capitale. È un luogo dove 95 persone tra personale socio
sanitario e tecnico (medici, infermieri, psicologi, antropologi e
un team di mediatori transculturali) e personale amministrativo
e dirigente, accolgono confortano e curano nel poliambulatorio,
tutti i giorni inclusi sabato e domenica, gratuitamente senza
appuntamento e senza liste d’attesa, sia i migranti stranieri,
regolari e irregolari, sia gli italiani, i pensionati a basso reddito
o le fila, sempre più ingrossate, dei senza fissa dimora.
Questa eccellenza della sanità pubblica, che da anni offre
assistenza medica alle categorie più deboli della popolazione,
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Balduzzi
promuove
l’attività
dell’istituto
descritto
come
“un modello
socioassistenziale
integrato
e un punto
di riferimento
solido
per migranti
regolari
e irregolari”
ci accoglie in un tour d’eccezione, accompagnati dal ministro
della Salute, Renato Balduzzi, in visita all’istituto, e dal direttore
generale dell’INMP Concetta Mirisola.
“Entrare qui dentro è una storia che continua in forme diverse
– ha detto Balduzzi, alla sua seconda visita, da ministro, presso
l’INMP – è una storia di trecento anni, e questo evidentemente
colpisce. È un istituto strategico. Nelle peregrinazioni di questi
giorni mi è capitato di parlare dell’istituto in più occasioni e in
diversi luoghi d’Europa. Noi come ministero in Italia abbiamo una
partecipazione a un programma dell’OMS sulla salute connessa
ai problemi dell’immigrazione e naturalmente abbiamo questa
possibilità di partecipare in modo non formale ma, una volta
tanto, da capofila grazie al fatto che c’è l’istituto. Lo stesso – ha
aggiunto il ministro – vale all’interno del più ristretto ambito
dell’Unione Europea dove, ugualmente, noi abbiamo rappresentato l’esperienza dell’Italia in modo significativo e questo
è stato possibile, evidentemente, anche grazie alla presenza
dell’istituto. Quindi parlerei di una strategicità dell’istituto, e
se è strategico evidentemente questo può essere già una
prognosi in ordine a che cosa succederà al termine della
sperimentazione gestionale”.
Dunque Balduzzi promuove a pieni voti l’attività dell’INMP
che il direttore Mirisola ha mostrato e descritto come “un
modello socio assistenziale integrato e un punto di riferimento
solido per migranti regolari e irregolari”.
L’impegno dell’INMP, che trae ispirazione dall’art. 32 della
Costituzione (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale
diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce
cure gratuite agli indigenti”) si estende fino ai porti di sbarco
degli stessi migranti, sulle coste dell’isola di Lampedusa, dove è
presente dal 2008.
Lo scorso marzo, inoltre, lo stesso ministero della Salute, insieme
all’INMP e all’assessorato alla Salute della regione Siciliana, ha
attivato una task force costituita da medici infermieri e mediatori
culturali pronti a recarsi a Lampedusa per fronteggiare, insieme
ad altri attori istituzionali, eventuali emergenze degli sbarchi
sulle coste.
“Il nostro Istituto – ha aggiunto Cettina Mirisola – è stato
impegnato nelle problematiche legate alle emergenze a
Lampedusa sia nel 2008 che nel 2011, da aprile a settembre.
Quest’anno, non appena sono arrivate sull’isola le prime imbarcazioni con i migranti a bordo, il ministro ha voluto che si istituisse
questa task force, ed esiste un tavolo tecnico al ministero per
prepararci a eventuali problematiche legate all’emergenza”.
Primo Piano
L’INMP, un’esperienza all’avanguardia nelle cure ai migranti
79
Primo Piano
L’INMP, un’esperienza all’avanguardia nelle cure ai migranti
libertàcivili
Ed è proprio lo stesso modello di accoglienza adottato dall’istituto che è stato proposto anche a Lampedusa nelle situazioni
di emergenza a seguito degli sbarchi. Non soltanto quindi
un’assistenza medico sanitaria ma anche socio-psicologica.
“Un’accoglienza ad ampio spettro – l’ha descritta il direttore
dell’istituto – grazie anche alla presenza del mediatore culturale,
figura importantissima e che fa la differenza rispetto all’assistenza
presente nel servizio sanitario nazionale”.
Dall’esperienza maturata nel tempo dall’INMP emerge, inoltre,
un luogo comune da sfatare: molto spesso l’arrivo di immigrati
da Paesi lontani porta con sé l’errata convinzione che costoro
possano essere portatori di malattie. “Volevo soffermarmi su
questo – ha sottolineato Cettina Mirisola – perché non è così: il
migrante che arriva è un migrante sano, e infatti non è stato
riscontrato nessun problema di salute nella stragrande maggioranza dei casi, mentre i problemi sanitari segnalati erano
legati soltanto alla traversata in mare o alla sfera riproduttiva, ad
esempio le minacce d’aborto. Le problematiche sanitarie che
abbiamo avuto modo di riscontrare fra gli immigrati sono state
ipotermia, traumatismi, disidratazione grave, ustioni da miscela
gasolio-acqua di mare. Bisogna quindi segnalare che il migrante
è un migrante sano e semmai può ammalarsi venendo in Italia
per le condizioni di difficoltà e di assistenza”.
80
2 0 12 marzo - apr ile
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
La mission
dell’istituto
è quella
di fronteggiare,
all’interno
del Sistema
sanitario
nazionale, le
problematiche
sanitarie
relative
alle popolazioni
più vulnerabili,
inclusi
i migranti
Del resto la sfida e la mission dell’istituto è proprio quella di
fronteggiare, all’interno del sistema sanitario nazionale, le
problematiche sanitarie relative alle popolazioni più vulnerabili,
inclusi i migranti. Con un approccio transculturale orientato
alla persona, e attraverso un modello integrato perché, oltre
alle discipline medico-cliniche, l’assistenza fornita passa
attraverso antropologi, psicologi, mediatori culturali, senza
tralasciare la consulenza giuridica gratuita fornita attraverso
lo sportello “Avvocato di strada” che accoglie, individua le
specifiche esigenze e orienta da un punto di vista legislativo
le persone verso gli avvocati che lavorano nella struttura e
prestano gratuitamente la loro opera.
“Direi che è una presa in carico del paziente a 360 gradi – ha
sintetizzato il direttore Mirisola – perché prima di curare ci si
prende cura delle persone, con la capacità di ascoltare, perché
è necessario saper ascoltare, e questa è la cosa in più che
diamo al paziente: lo ascoltiamo”.
Fra le attività svolte dall’istituto c’è un servizio per richiedenti
protezione internazionale, rifugiati e vittime di tortura, un’attività
che vede coinvolta, ancora una volta, non soltanto la componente
medica ma anche gli antropologi, gli psicologi, gli psicoterapeuti
e i mediatori.
“L’attenzione per questo istituto non ha bisogno di essere
commentata – ha affermato Balduzzi – è la Costituzione che vive,
le norme astratte della Carta che diventano esperienza di vita
professionale, di volontariato e di servizi. Soprattutto nei momenti
più difficili di crisi economica i criteri devono essere chiari, e il
criterio da seguire è l’attenzione verso chi è più fragile e più
vulnerabile, perché chi è meno fragile ce la fa stringendo la
cinghia, mentre chi è più vulnerabile non ce la fa da solo se
non ha una qualche rete di protezione. I tempi che viviamo
sono tempi di difesa e resistenza e non sono favorevoli per
grandi progetti – ha concluso il ministro – ma l’importante è
riuscire a non perdere quelle caratteristiche del nostro sistema
che aiutano poi a far funzionare tutto il restante sistema”. Un
chiaro riferimento all’operato dell’INMP e in ottemperanza alla
legge 40/98 (confluita nel D.Lgs. 286/98 e DPR 394/99) che
stabilisce che “l’utente straniero ha diritto alle prestazioni sanitarie
a parità di trattamento e a piena uguaglianza di diritti e doveri
rispetto ai cittadini italiani”.
Primo Piano
L’INMP, un’esperienza all’avanguardia nelle cure ai migranti
81
Primo Piano
La scheda/
Sani, ma non troppo:
lo stato di salute
degli stranieri in Italia
Quali sono le condizioni di salute degli immigrati in Italia e
qual è il loro rapporto con il Servizio sanitario nazionale? Una
serie di dati preziosi sono contenuti nella Relazione sullo stato
sanitario del Paese pubblicata ogni anno dal ministero della
Salute, che contiene uno specifico capitolo dedicato a questo
tema. Altre informazioni preziose arrivano, sempre dal ministero, attraverso le statistiche sulle “schede di dimissioni
ospedaliere” – che consentono di fare un quadro della presenza
straniera negli ospedali e negli istituti di ricovero pubblici
della penisola – e dai “certificati di assistenza al parto” – che
permettono un’analisi specifica sul settore delle gravidanze.
Infine, analisi utili si ritrovano anche nei documenti della Società
italiana di medicina delle migrazioni (Simm) e in quelli dell’Istituto
superiore di sanità (Iss).
libertàcivili
Un quadro d’insieme
Dalla lettura delle statistiche emerge un primo quadro di
sintesi. In generale gli immigrati stanno meglio degli italiani,
anche perché rappresentano una popolazione con una distribuzione per fasce di età diversa rispetto ai nostri connazionali.
Tuttavia ci sono fattori di rischio a cui gli immigrati sono più
esposti e che possono far evolvere negativamente lo stato di
salute; fra questi, la condizione lavorativa e quella abitativa,
caratterizzata spesso da sovraffollamento e promiscuità.
Non a caso le patologie più diffuse tra gli stranieri sono quelle
infettive (22%, soprattutto TBC, AIDS ed epatite B), dermatologiche (18%), dell’apparato respiratorio (17%) e digerente (16%).
Sono in crescita, anche se ancora statisticamente non troppo
rilevanti, le patologie legate al disagio psichico, specialmente per
alcune categorie (si veda ad esempio l’articolo “Il disagio della
cura” in libertàcivili n.5/2011, pag. 96). Tra gli uomini prevalgono
i traumi e le malattie dell’apparato respiratorio, tra le donne
quelle legate alla gravidanza e al parto e le infezioni. Un aspetto
specifico della presenza immigrata femminile riguarda gli aborti,
82
2 0 12 marzo - apr ile
La normativa sul diritto alla salute per gli stranieri
Può essere utile, a questo proposito, riepilogare brevemente
quali sono le norme che regolano il rapporto fra stranieri e
Servizio sanitario nazionale (Ssn). Hanno l’obbligo di iscriversi
al Ssn gli stranieri regolarmente soggiornanti che abbiano in corso
regolari attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, o
siano iscritti nelle liste di collocamento, o abbiano chiesto il rinnovo
del permesso di soggiorno (per lavoro, per motivi familiari, per
asilo, per attesa adozione, per affidamento, per acquisto della
cittadinanza). L’iscrizione, che cessa con lo scadere del permesso
di soggiorno, garantisce, in modo del tutto paritario, l’assistenza
per il cittadino straniero e per i suoi familiari a carico.
Gli stranieri in Italia che, invece, non hanno l’obbligo dell’iscrizione al Ssn (turisti, studenti, altre categorie) devono assicurarsi
contro il rischio di malattie e infortunio e per la tutela della
maternità, con una polizza assicurativa valida in Italia o con
l’iscrizione volontaria al Ssn (possibile anche per gli stranieri
titolari di un permesso per motivi di studio e per gli stranieri
collocati alla pari).
L’assistenza sanitaria di urgenza (cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o essenziali) e gli interventi di medicina preventiva
(vaccinazioni, profilassi) sono comunque garantiti anche ai
cittadini stranieri irregolari e illegali. Tale assistenza è, come per
tutti gli altri, gratuita salvo il pagamento del ticket, se previsto.
Nel caso di cittadini irregolari o illegali, l’accesso alle strutture
sanitarie non può comportare segnalazioni alla polizia. Solo nei
casi in cui ci siano elementi che fanno ipotizzare un reato i medici
sono tenuti a trasmettere una relazione scritta (referto), ma
questo avviene anche per i cittadini italiani.
Infine, gli stranieri possono anche ottenere un visto di ingresso
e un permesso di soggiorno per cure mediche di durata pari
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
i cui tassi fra le straniere sono tre volte superiori a quelli delle
italiane.
Gli stranieri hanno in genere tassi di ospedalizzazione
(numero di ricoveri in rapporto alla popolazione residente) più
bassi rispetto agli italiani, almeno per la componente maschile,
mentre per la componente femminile va fatto un distinguo; se in
generale anche le donne straniere si rivolgono ai servizi sanitari
meno delle italiane, per quanto riguarda la gravidanza l’ospedalizzazione delle immigrate è più alta di quella delle nostre
connazionali. Quando si rivolgono alle strutture sanitarie, in
genere, gli stranieri prediligono quelle pubbliche, dove è loro
garantito il diritto all’assistenza.
Primo Piano
La salute degli immigrati in Italia
83
La salute degli immigrati in Italia
Primo Piano
a quella della terapia, rinnovabile finché le cure sono necessarie.
La salute degli stranieri in Italia
Come già accennato in sintesi, dalle numerose ricerche svolte
negli ultimi anni sulla salute degli immigrati emerge, in generale,
come gli stranieri giungono in Italia in buone condizioni di salute
ed è poi il nuovo contesto socio-ambientale a causare la maggior
parte delle patologie. Il Rapporto sulla situazione sanitaria del
Paese del ministero della Salute sottolinea come essi si ammalino
di meno perché hanno scelto di emigrare dal proprio Paese
coloro che possedevano un buon capitale di salute da scambiare
con la forza di lavoro (anche se le persone che stanno immigrando
nel nostro Paese in forza di processi di ricongiungimento non
presentano più questa protezione) ed esprimano minori bisogni
di salute anche a causa di difficoltà culturali e materiali nell’accesso ai servizi.
Tuttavia, su alcune patologie questo gruppo di popolazione
incomincia a manifestare problemi che sono conseguenza di
condizioni di vita o di lavoro poco sicure (traumi), o di fattori
di rischio propri dell’area di provenienza (malattie cosiddette
di importazione, come quelle endemiche o quelle ereditarie
tipiche del Paese di origine) o di errori nel percorso assistenziale,
particolarmente evidenti nel periodo della nascita. Anche tra
gli stranieri, poi, si riscontrano condizioni di salute meno favorevoli
nelle persone di status sociale più basso.
libertàcivili
Gli ultimi dati, relativi al 2010, desunti dalle Schede di dimissioni
ospedaliere, forniscono qualche indicatore di sintesi:
Le dimissioni totali di pazienti “acuti” stranieri (cioè escluse
riabilitazioni, lungodegenze e neonati) ricoverati nell’anno sono
stati 627.327, di cui il 76,5% in regime ordinario, con un peso
del 6% sul totale dei ricoveri
Sempre nell’anno le dimissioni di cittadini stranieri degenti
nel solo regime ordinario sono state 480.221 (308mila donne,
172.221 uomini). Il 48% ha riguardato pazienti europei, il 24%
africani, il 14% asiatici, l’8,8% americani. Rispetto al totale dei
ricoveri di questa categoria il peso è del 6,5%
Le dimissioni di cittadini stranieri degenti in regime day hospital
sono state 147.106 (102.661 donne, 44.445 uomini). Il 50% ha
riguardato pazienti europei, il 20% africani, il 12% asiatici, l’11,7%
americani). Il peso totale su questa categoria è del 4,8%.
84
Negli ultimi dieci anni questi dati sono in costante crescita.
Rispetto al 2000 le degenze in regime ordinario sono raddop2 0 12 marzo - apr ile
La salute della donna e del bambino
Il Rapporto del ministero della Salute ha un focus specifico su
una delle problematiche principali per la salute degli immigrati,
che è quella della condizione della donna e dei problemi legati
alla gravidanze.
Analizzando gli ultimi dati disponibili, quelli del 2008 (rilevati
su un totale di 551 punti nascita), relativi ai certificati di assistenza
al par to (Ce-DAP) si evidenzia che il 16,9% dei parti nelle
strutture pubbliche italiane è relativo a madri di cittadinanza
non italiana. Tale fenomeno è più diffuso al Centro-Nord, dove
quasi il 20% dei parti avviene da madri straniere. Le aree
geografiche di provenienza delle mamme sono principalmente
quella africana (27,2%) e UE (25,6%).
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
piate e i day-hospital sono triplicati. Un fenomeno legato certamente all’incremento demografico, ma anche a una maggiore
capacità di pianificare l’accesso alle cure. Come si vede dai
dati, due ricoverati su tre sono donne (tra gli italiani invece
la percentuale è paritaria), uno su cinque è minorenne.
In genere i tassi di ospedalizzazione degli immigrati maggiorenni maschi sono risultati più bassi rispetto a quelli degli italiani,
circa 20% in meno in regime ordinario e 57% in meno in regime
di day hospital, dato che tiene conto anche delle differenze
nella struttura per classi di età delle due popolazioni. Il dato si
inverte invece per le donne, per cui le straniere hanno un tasso
di ospedalizzazione superiore del 13% rispetto alle italiane nel
regime ordinario, e di poco inferiore (9%) per il day hospital; in
questo caso incide molto il numero di ricoveri per motivi legati
alla gravidanza (parti e interruzioni volontarie).
Negli uomini la causa principale di ricovero ordinario – 22%
dei casi – è legato a traumi, presumibilmente in larga parte per
infortuni sul lavoro, visto che secondo uno studio dell’Isfol il
rischio per gli stranieri è doppio rispetto agli italiani. Seguono
le malattie dell’apparato digerente (14%), circolatorio (11%, mentre
questa è la prima causa di ricovero per gli italiani, con il 24%),
respiratorio (9%). In day hospital prevalgono le malattie dell’apparato digerente, seguite dalle chemioterapie, dalle patologie
del sistema osteomuscolare e da quelle infettive.
Tra le donne i ricoveri ordinari riguardano per una larghissima
fetta il parto (58%), seguito dall’infezione all’apparato genetourinario (7%) e le malattie dell’apparato digerente (6%). I motivi
legati alla gravidanza pesano per oltre la metà degli accessi
anche in day hospital (la quasi totalità per interruzione della
gravidanza); a seguire affezioni genito-urinarie e chemioterapie.
Primo Piano
La salute degli immigrati in Italia
85
La salute degli immigrati in Italia
libertàcivili
Primo Piano
L’età media della madre e di 32,4 anni per le italiane, mentre
scende a 28,9 anni per le cittadine straniere. L’età media al
primo figlio è per le donne italiane quasi in tutte le regioni
superiore a 31 anni, con variazioni sensibili tra le regioni del
Nord e quelle del Sud, mentre le donne straniere partoriscono
il primo figlio in media a 27 anni. Rispetto alle italiane queste
ultime hanno in genere più figli e un livello di istruzione più
basso; questo dato può influenzare sia l’accesso ai servizi sia le
strategie di assistenza verso il feto e il neonato.
La condizione professionale delle straniere che hanno partorito
nel 2008 è per il 56,6% quella di casalinga, mentre il 65,8%
delle donne italiane partorienti hanno un’occupazione.
Il livello di istruzione della madre può influenzare sia l’accesso
ai servizi sia le strategie di assistenza verso il feto e il neonato.
La percentuale di gravidanze in cui viene effettuata la prima
visita oltre la 12esima settimana di gestazione evidenzia alcune
correlazioni significative con le caratteristiche sociodemografiche
delle madri rappresentate da: cittadinanza, titolo di studio ed età;
per le donne italiane si ha un dato pari al 4,4%, che sale al 16,2%
per le donne straniere.
Altro indicatore è quello del numero di ecografie effettuate
86
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
che risulta, per le straniere, inferiore rispetto alle italiane (4,6
vs 6,5). Il dato è spiegato soprattutto dalla tipologia di assistenza ricevuta: il 34,3% delle straniere si rivolge a un consultorio
familiare, contro il 6,3% delle italiane, che preferiscono
ginecologi privati (76,8%), mentre le straniere si rivolgono a
questa categoria di medici solo in un caso su cinque (23,6%).
Per quanto riguarda la natalità, negli ultimi 10 anni l’incidenza
delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati della
popolazione residente in Italia ha fatto registrare un fortissimo
incremento. Sono le regioni del Centro-Nord quelle che registrano valori percentuali di gran lunga superiori alla media
nazionale, ovvero le aree del Paese con una tradizione migratoria
più forte e con una presenza straniera più stabile e radicata.
Il parto cesareo è più frequente nelle donne con cittadinanza
italiana (39,3% dei casi) rispetto alle donne straniere (27,8%).
Per quanto riguarda il tema delle interruzioni di gravidanza,
queste ultime sono cresciute esponenzialmente negli ultimi
15 anni, anche in conseguenza dell’aumento della popolazione
immigrata. Tuttavia è cresciuto notevolmente anche il peso
delle interruzioni di gravidanza di cittadine immigrate: erano
una su dieci nel 1998, hanno raggiunto il 33% nel 2008, con
un dato complessivo di 38.843 (di cui 5.730 interventi effettuati
da donne residenti all’estero).
Come sottolinea il Rapporto del ministero della Salute, la sempre
maggiore incidenza dell’interruzione volontaria di gravidanza
tra le donne con cittadinanza estera impone una particolare
attenzione rispetto all’analisi del fenomeno, in quanto le cittadine
straniere, oltre a presentare un tasso di abortività stimato 3-4 volte
maggiore di quanto attualmente risulta tra le italiane, hanno
una diversa composizione sociodemografica, che muta nel
tempo a seconda del peso delle diverse nazionalità, delle culture
di provenienza e dei diversi approcci alla contraccezione e
all’aborto nei Paesi di origine. Verso questa popolazione sono
quindi necessari specifici interventi di prevenzione che tengano
conto anche delle loro diverse condizioni di vita, di cultura e di
costumi.
Primo Piano
La salute degli immigrati in Italia
2 0 12 marzo - apr ile
87
Primo Piano
Un agente al servizio
della comprensione reciproca
fra culture diverse
Dalla sanità alla giustizia, agli altri servizi
del welfare, la figura del mediatore interculturale
svolge un compito fondamentale nel facilitare
la comunicazione con le comunità immigrate,
ma necessita un riconoscimento professionale
di Stefania Aristei 1
libertàcivili
Lo scenario
L’origine delle pratiche di mediazione deve essere datata
intorno agli anni Sessanta e trova il suo bacino primario di
sviluppo nei Paesi caratterizzati da un regime giuridico di
common law, in particolar modo nel contesto
nordamericano (Stati Uniti e Canada). Esse
Il mediatore, figura
prendono avvio in primo luogo in tale ambito –
che si è rapidamente estesa
con particolare riferimento al diritto familiare,
dall’ambito giuridico
commerciale e di proprietà – per poi svilupa quello sociale e culturale,
parsi velocemente su altri fronti come quello
con un ventaglio
di comunità, aziendale, amministrativo,
culturale, ecc. Le pratiche di mediazione si
di specializzazioni
sono quindi specializzate sul fronte interin continua crescita
culturale con l’intensificarsi dei processi di
migrazione e ibridazione sempre più diffusi
nelle società postmoderne, prendendo nomi e modalità di tipo
più specifico.
Anche la formazione dei mediatori si è andata specializzando:
da un generico e quasi esclusivo training di tipo giuridico,
si è passati a competenze più complesse di tipo linguistico,
psicologico, socio-antropologico, comunicativo, mediatico.
Fa parte di questo perfezionamento delle pratiche di risoluzione
88
1
Docente di Metodologia e tecniche per la risoluzione dei conflitti nel Master
transculturale e multietnico, nel campo della Salute, del Sociale e del Welfare università di Modena e Reggio
2 0 12 marzo - apr ile
Le teorie di sfondo della mediazione
Donald Kraybill parte dall’esempio dell’ideogramma cinese
che indica proprio la nozione di conflitto e mette in luce come
esso sia, a sua volta, la risultante di due ideogrammi che fanno
riferimento alle nozioni di ‘dolore’ da un lato e di ‘opportunità’
dall’altro. Su un altro fronte, quello della riflessione teorico2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
alternativa delle tensioni a carattere culturale anche un
ripensamento della categoria stessa di ‘conflitto’, inquadrata
oggi in una logica non esclusivamente negativa, ma anche
come chance di mediare gli scambi fra culture, combinando
le informazioni sulla diversità “in entrata” (quella dello straniero)
con quelle sulla “diversità presente” (quella della società di
accesso), ricercando possibilità e modalità se non di accordo,
almeno di comunicazione e conoscenza fra esse.
A tutt’oggi in Europa dominano almeno due modelli di
integrazione: quello assimilazionista di tipo francese che mette
al centro l’unità statale e richiede ai cittadini
immigrati un adeguamento di massima, sul
L’istituzione delle agenzie
piano pubblico, ai comportamenti e alle
di primo contatto
forme di vita del Paese accogliente (lingua
per adeguare le pubbliche
francese obbligatoria in pubblico, servizio
amministrazioni
militare, pratica assolutamente privata delle
nello svolgere i servizi
proprie espressioni culturali d’origine: religione, usanze, lingua, ecc.) e quello pluralista,
di orientamento
di tipo anglosassone, che invece riconosce
e sostegno agli immigrati
un certo grado di legittimità alla rivendicazione proveniente dalle diverse componenti
etniche presenti nel territorio nazionale e ne riconosce il diritto di
rappresentanza anche all’interno dello spazio pubblico.
Per ciò che concerne l’Italia in particolar modo, a parte lo
sforzo profuso anche in questo Paese sull’educazione interculturale e sulla formazione permanente ai fini di una efficace
prevenzione e risoluzione dei conflitti di tipo interetnico, si
deve anche notare il recente impegno nell’adeguamento del
sistema giuridico – svolgimento e sostegno processuale – e di
quello penitenziario, anche se solo in alcune aree. Assai più
omogenei a livello nazionale sembrano gli sforzi per adeguare
le pubbliche amministrazioni sul piano dell’offerta di servizi di
orientamento e sostegno dei cittadini stranieri, con l’istituzione
di vere e proprie agenzie di primo contatto con la realtà
nazionale per questi ultimi, che devono essere gestite da
personale competente e preparato sul fronte della mediazione
e delle tecniche di dialogo e relazione con la diversità.
Primo Piano
La mediazione culturale: percorsi e prospettive
89
filosofica più recente, si è fatta largo negli ultimi anni un’idea
del conflitto come dato ineliminabile dei rapporti sociali e
politici, ma che necessita oggi di una profonda riconsiderazione.
Stuart Hampshire, ad esempio, parla in modo piuttosto radicale
di “giustizia come conflitto”, nel suo libro intitolato appunto
Justice is conflict. Hampshire propone una idea della conflittualità sociale e politica come elemento da non demonizzare,
ma anzi da intendere come meccanismo dinamico che può
dare origine a processi positivi, capaci di individuare nuove
risorse per una società necessariamente sempre più esposta,
a causa dei processi di globalizzazione, al rischio di scontri a
carattere giuridico, sociale, politico, culturale ed etnico.
Altri ancora parlano esplicitamente di una teoria della
“negoziazione tra diritti” come uno degli elementi cruciali
per un futuro di convivenze plurime e di connessioni culturali
sempre più stratificate, all’interno di contesti nazionali sempre
più parcellizzati e attraversati da confronti tra diversità e
identità plurime.
Jurgen Habermas, di fronte alla sostanziale globalizzazione
degli scambi sia di merci che di persone e di culture, ipotizza
che si approdi a nuove forme di convivenza
tra minoranze culturali ed etniche, distinte
La conflittualità sociale
nel rispetto democratico dei diritti fondae politica intesa come
mentali di ciascuno. È così che Habermas
elemento da non
finisce per porre questioni centrali per le
demonizzare e da intendere
moderne democrazie, quali la possibilità di
invece come meccanismo
un consenso “per sovrapposizione” di diverse
istanze o ancora un concetto di persona
dinamico di relazioni
alla base delle stesse istituzioni sufficieninterpersonali e tra gruppi
temente neutrale da poter rientrare nelle
diverse concezioni del mondo, che oggi si
trovano a dover convivere all’interno di uno stesso spazio
pubblico in conseguenza dei fenomeni di migrazione e ibridazione da cui sono caratterizzate le società postmoderne.
Arjun Appadurai si è occupato dei molti attori diversi presenti
nelle moderne politiche e culture transnazionali: stati-nazioni,
multinazionali, comunità della diaspora, così come gruppi e
movimenti subnazionali (religiosi, politici o economici). La
globalizzazione, nell’ottica di Appadurai, è l’incrocio di più
mondi “immaginati”, di costruzioni cioè che possono avere
un senso solo a partire dai contesti specifici degli attori che
li hanno prodotti. Appadurai parla di ethnoscape, una prospettiva costituita da persone che impongono il mondo sfuggente
nel quale viviamo: turisti, migranti, rifugiati, esiliati, lavoratori
90
2 0 12 marzo - apr ile
Primo Piano
libertàcivili
La mediazione culturale: percorsi e prospettive
ospiti e altri gruppi o persone in movimento. Essi sono un
tratto essenziale del mondo e determinano la politica e i
rapporti tra le nazioni come non era mai successo prima.
Creare spazi di dialogo significa superare sia il concetto di
“confronto tra diversi = conflitto” e sia il conflitto nell’accezione
negativa del termine. Un modello d’integrazione non deve
tendere ad annullare le varie culture nel modello sociale del
Paese ospitante, ma deve promuovere un progetto dialettico
fra sistemi valoriali diversi.
Nella realtà non si scontrano culture ma, quotidianamente,
individui portatori di cultura; per questo occorrono figure di
facilitatori della conciliazione che sappiano mediare il conflitto,
inquadrando progressivamente i comportamenti nel processo
di mediazione, nei significati e nei sensi rinvenibili nelle culture
di appartenenza: i mediatori culturali.
La mediazione è un complesso sistema di strategie linguistiche, prossemiche, culturali capace di trasformare il ‘dolore’
in ‘opportunità’ – per restare alla metafora dell’ideogramma
cinese impiegata da Kraybill – ovvero di convertire la negatività
dello scontro in processi dinamici destinati a migliorare le
condizioni di convivenza e risoluzione tra le parti. Margarit
Cohen Emerique distingue tre tipi di significati del termine
mediazione culturale. Il primo significato corrisponde all’azione
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Primo Piano
La mediazione culturale: percorsi e prospettive
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La mediazione culturale: percorsi e prospettive
libertàcivili
Primo Piano
di “intermediario” in situazioni dove non c’è conflitto, bensì
difficoltà nella comunicazione. Il tipo di mediazione che si svolge
in questa situazione consiste nel facilitare la comunicazione
e la comprensione tra persone di culture diverse, nel dissipare
i malintesi tra l’immigrato e gli altri attori del sociale, malintesi
dovuti in primo luogo a un diverso sistema di codici e valori
culturali. Queste azioni di intermediazione possono essere
considerate come prevenzione di conflitto.
Il secondo significato fa riferimento all’area della risoluzione
dei conflitti di valori tra la famiglia immigrata e la società di
accoglienza o all’interno della famiglia.
Il terzo significato fa riferimento al processo di creazione,
implica l’idea di trasformazione sociale, di trasformazione e
costruzione di nuove norme basate su azioni agite in collaborazione tra le parti in causa e finalizzate alla risoluzione
dei problemi, ed è un processo dinamico attivo.
Il contesto normativo del mediatore culturale in Italia
La definizione di mediatore culturale formulata dal Cnel
tramite l’Organismo di coordinamento per le politiche di
integrazione sociale degli stranieri è quella di un “agente attivo
nel processo di integrazione”, che si pone “fra gli stranieri
e le istituzioni, i servizi pubblici e le strutture private, senza
sostituirsi né agli uni né alle altre, per favorire invece il raccordo
fra soggetti di culture diverse”. Il primo riferimento normativo alla figura professionale
La definizione di mediatore
del mediatore culturale si trova nella legge
formulata dal Cnel:
6 marzo 1998 n.40 (Disciplina dell’immigraun “agente attivo”
zione e norme sulla condizione dello straniero),
nel processo di integrazione. la cosiddetta legge Turco-Napolitano. Tale
riferimento è stato in seguito inserito all’interno
Il contesto normativo
del Testo unico (TU) del 1998 (Dlgs 286/98)
a partire dalla legge
che comprende l’intero quadro legislativo in
Turco Napolitano
materia di immigrazione. Dal momento che
la nuova legge sull’immigrazione, “Modifica
alla normativa in materia di immigrazione e asilo”, approvata il
30 luglio del 2002, la cosiddetta Bossi-Fini, non ha cambiato gli
articoli che si riferiscono alla mediazione culturale, in questa
sede si farà riferimento al solo TU, e in particolare agli articoli
38 e 42 che si occupano specificatamente della figura del
mediatore culturale. Il D.Lgs 286/98 indica l’utilizzo della figura
del mediatore culturale in due diversi ambiti: l’ambito scolastico/
educativo e quello delle pubbliche amministrazioni.
Nell’ambito delle disposizioni e circolari ministeriali il tema
92
2 0 12 marzo - apr ile
L’ambito sanitario
Pochi sono i documenti legislativi a livello nazionale che
si riferiscono, anche se in maniera indiretta, all’impiego del
mediatore culturale in ambito sanitario:
il Testo unico 286/98 riconosce il diritto all’accesso al Servizio
sanitario nazionale da parte di tutti gli stranieri presenti in Italia,
tanto regolari che irregolari
il D. Lgs 230/99, promosso dal ministero della Sanità in collaborazione con il ministero della Giustizia.
È stato realizzato nel 2008-2009 un importante progetto
formativo che ha visto la formazione di circa cento mediatori
transculturali diffusi in tutto il territorio nazionale. I corsi per
mediatori sono stati gli obiettivi specifici di
Pass, un progetto finalizzato a promuovere
A partire dal 2008-2009
l'accesso delle persone migranti ai servizi
un progetto formativo
sociosanitari e a sviluppare attività di
dei ministeri della Sanità,
informazione e orientamento nelle aziende
del Lavoro e delle Pari
sanitarie locali (Asl) e nelle aziende ospedaopportunità ha esteso
liere (Ao) italiane. Il progetto è stato sostenuto
dal ministero del Lavoro, della Salute e delle
la mediazione interculturale
Politiche sociali, realizzato dall’Istituto nazioal settore sanitario
nale salute migranti e povertà – INMP –
ospedale San Gallicano e attuato a livello
territoriale con la collaborazione di 48 strutture sanitarie
locali. Tale iniziativa è stata finalizzata a formare mediatori
transculturali, selezionati su tutto il territorio italiano dalle
strutture partner, in base a criteri condivisi e omogenei, tra
i quali l’origine straniera con esperienza personale di immigrazione, la conoscenza della lingua italiana e dell’organizzazione del sistema socio-sanitario, la presenza sul territorio
da almeno quattro anni. Delle 48 strutture sanitarie divenute
partner del progetto, 10 sono state individuate come centri
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
della mediazione interculturale è stato ampiamente trattato
dalla normativa scolastica; importanti riferimenti sono altresì
reperibili sia nella normativa sanitaria, sia in quella giudiziaria.
Comunque, a partire dal ‘98, tanto nei documenti programmatici triennali dello Stato, che nei piani annuali o pluriennali
degli enti locali, è possibile rintracciare cenni alla figura del
mediatore culturale. Ciò è stato facilitato anche dalla costituzione di due organismi specifici: l’Organismo nazionale di
coordinamento per le politiche di integrazione sociale dei
cittadini stranieri a livello locale (Onc) e la Consulta nazionale
per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie.
Primo Piano
La mediazione culturale: percorsi e prospettive
93
La mediazione culturale: percorsi e prospettive
Primo Piano
di coordinamento territoriale sulla base di criteri geografici
e di servizio, ovvero in base alla presenza di servizi e sportelli
dedicati all’assistenza sociosanitaria di persone immigrate.
Il gruppo dei mediatori formato, nella visione dei coordinatori
del progetto, deve divenire propulsore di attività di sviluppo
di competenze culturali negli operatori, ma soprattutto di
interventi formativi destinati o alla creazione o alla riqualificazione di mediatori culturali, uniformando così in tutte le regioni
(che in questi anni hanno già realizzato percorsi formativi
tutti diversi tra loro) la formazione per queste figure con modalità
e contenuti omogenei.
Gli approcci regionali
Osservando le deliberazioni delle Giunte regionali in senso
diacronico, si rileva che l’approvazione del Testo unico
286/98 ha dato un notevole impulso all’attività normativa
degli enti locali. L’articolo 3 del Testo unico stabilisce infatti
che, in concorrenza con la predisposizione dei Piani triennali
del governo sull’immigrazione, “le regioni, le province, i comuni
e gli altri enti locali” adottino i provvedimenti necessari per
“rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e
Il quadro della normativa
degli interessi riconosciuti agli stranieri
regionale in materia
nel territorio dello Stato, con particolare
di mediazione culturale riflette riguardo a quelle inerenti all’alloggio, alla
ancora la mancanza
lingua, all’integrazione sociale, nel rispetto
di indirizzi chiari
dei diritti fondamentali della persona umana”.
sulle caratteristiche di fondo Il quadro della normativa regionale in materia
di mediazione culturale, però, riflette la
di questa figura
mancanza di indirizzi chiari a livello nazionale
su alcuni aspetti imprescindibili della funzione
del mediatore culturale. L’assenza di una normativa chiara
sui requisiti, sul suo background formativo e sul percorso
formativo che deve intraprendere in Italia – spesso finanziato
proprio dalle regioni – comporta una notevole difformità
negli interventi a livello locale, ma anche variegati tentativi
di proporre una soluzione.
libertàcivili
Prospettive
Oggi la mediazione interculturale impone una necessaria
evoluzione professionale, dettata non soltanto dal bisogno
di operare una sintesi fra specializzazioni già conosciute.
L’aggiunta del suffisso ‘inter’ all’aggettivo “culturale” fa riferimento alla posizione o condizione intermedia fra due culture
94
2 0 12 marzo - apr ile
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
poste sullo stesso piano ed esprime, nel contempo, collegamento, comunanza, reciprocità, indicando la volontà di rafforzare
non tanto le azioni di mediazione, quanto quelle volte a stabile
costruzione di rapporti fra culture diverse. Più che semplice
mediazione fra culture o scambio tra esse, “inter-culturale” vuole
denotare qualcosa di più complesso, posto alla base di relazioni
sostanziali che investono la totalità della società di ingresso
nelle sue diverse componenti.
Tra i nodi problematici fondamentali che caratterizzano
attualmente lo stato del dibattito sulla mediazione si possono
indicare:
1) il problema della neutralità del mediatore
2) la definizione di uno standard di operatore professionale
nell’ambito della mediazione
3) la questione della formazione dei mediatori
4) la previsione di un profilo professionale nelle dotazioni
organiche di amministrazioni pubbliche e private.
In tutte le normative la mediazione è spesso citata come
esperienza positiva nella gestione del fenomeno migratorio
sul territorio, e di conseguenza si afferma l’importanza di
implementarne l’uso. Tale uso, però, come
viene esplicitamente riconosciuto anche nel
La Conferenza delle regioni
Dpr 30 marzo 2001 è ancora tutto da regolare
e delle province autonome
e uniformare. La necessità di procedere al
ha posto dal 2009
riconoscimento della figura professionale
del mediatore interculturale è stata affrontata
la necessità di un formale
dalla seduta della Conferenza delle regioni
riconoscimento
e delle provincie autonome del 8 aprile 2009
professionale della figura
(09/030/CR/C9), che ha approvato un docudel mediatore culturale
mento per “il riconoscimento della figura
professionale del mediatore/della mediatrice
interculturale, prevedendo, di intesa tra le regioni, una regolamentazione omogenea di tale figura”.
Vi sono ora studi, esperienze, sperimentazioni: tutto ciò che
necessita per emanare norme che prevedano l’adeguato utilizzo
di tale figure professionali. Uno sviluppo utile alla P.A. di questa
professione sarebbe quello di formare e/o riqualificare i mediatori
culturali già attivi nel territorio, come mediatori civili ai sensi
del D.Lgs 28/2010. Con l’iscrizione alle Camere di conciliazione e agli elenchi del ministero della Giustizia diverrebbero
a tutti gli effetti dei professionisti e potrebbero contribuire con
lo smaltimento di contenziosi decennali e risoluzioni celeri di
controversie semplici al ritorno della fiducia nel sistema
giudiziario.
Primo Piano
La mediazione culturale: percorsi e prospettive
95
Bibliografia
J. L. Amselle, Connessioni, Torino, Bollati
Boringhieri, 20 0 0
A. Appadurai, Ethnoscape and globalization in M. Featherstone (a cura di),
Culture Globali, Roma, SEAM Edizioni,
19 9 0, p. 296
Conferenza delle regioni e delle
province autonome - 0 9/ 0 3 0 / C R /C 9 Riconoscimento della figura professionale
del Mediatore interculturale
J. Habermas, L’inclusione dell’altro.
Studi di teoria politica, Milano, Feltrinelli,
19 9 8
S. Hampshire, Non c’è giustizia senza
conflitto. Democrazia come confronto di
idee, Milano, Feltrinelli, 2 0 01
M. Nussbaum, Coltivare l’umanità, Roma,
Carocci, 19 9 9
libertàcivili
Primo Piano
La mediazione culturale: percorsi e prospettive
96
2 0 12 marzo - apr ile
G. Teubner, Diritto policontesturale:
prospettive giuridiche della pluralizzazione dei mondi sociali, a cura di Anna
Maria Rufino, Città del Sole Edizioni,
Napoli, 19 9 9
Indagine nazionale commissionata
dalla direzione generale per l’Immigrazione del ministero del Lavoro e delle
Politiche sociali al Cisp (Comitato
Internazionale per lo sviluppo dei popoli)
e a Unimed (Unione delle università del
Mediterraneo)
http://www.didaweb.net/mediatori/dw40
http://www.inmp.it
http://www.rai.it/educational/intercultura
Primo Piano
La mediazione interculturale,
una possibilità d’integrazione:
l’esempio del Belgio
Nel campo dell’assistenza sanitaria, il mediatore
assume la funzione di “ponte” tra immigrato
e medico, consentendo di superare il divario
culturale-comunicativo che può compromettere
il successo di una diagnosi o di una terapia
di Mariavittoria Pisani
Il “caso
di studio”
rappresentato
da questo
Paese
per le iniziative
assunte negli
anni Novanta
in seguito
alla
pubblicazione
di un rapporto
del
Commissariat
Royal sulla
politica della
immigrazione
L’approccio interculturale si fa strada progressivamente e
inesorabilmente nelle società contemporanee con forte connotazione plurietnica come quella belga intorno agli anni Novanta,
coinvolgendo settori quali la scuola, l’assistenza medica e la
formazione continua. Tuttavia è nel campo delle cure mediche che la figura del mediatore interculturale s’impone rapidamente, la sua funzione essendo in breve tempo garantita
dalle autorità istituzionali locali.
All'inizio degli anni Novanta, il Rapporto del Commissariat
Royal sulla politica dell’immigrazione mette in risalto la difficoltà
d’accesso alle cure mediche delle persone immigrate. Da questa
constatazione scaturirà tutta una serie d’iniziative:
1996: il “Centre pour l’égalité de chances” costituisce un
gruppo di lavoro chiamato a riflettere sulla mediazione interculturale nel campo dell’assistenza sanitaria
1997: un progetto pilota a livello federale pone in essere una
cellula in seno al ministero per gli Affari sociali e per la Salute
pubblica
1998: conclusasi positivamente l’esperienza pilota, numerosi
ospedali in tutto il Belgio faranno appello al mediatore interculturale per assistere i pazienti immigrati
1999: il ministero della Salute pubblica stanzia un budget
per la mediazione interculturale a profitto degli ospedali per
ridurre le ineguaglianze tra pazienti belgi e non-belgi 1 .
1
“Mediation interculturelle” from Belgium Wiki
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Dottorando di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate
97
Primo Piano
La mediazione interculturale in Belgio
La profonda
differenza
tra la
immigrazione
in Belgio
degli anni
Cinquanta
e quella
dei nostri
giorni
La mediazione interculturale, invero, non aveva per se stessa
atteso il via delle istituzioni del Regno per farsi largo nella
realtà sociale belga in ambito ospedaliero. Alcuni centri come
il CHR della Citadelle di Liegi la sperimentavano, già sul finire
degli anni Ottanta, a livello privato e in collaborazione con
associazioni senza scopo di lucro, come l’ASBL “Résonances” 2.
Ciò non di meno, la presa in carico da parte delle autorità
federali dell’adozione di detto approccio presso le strutture
ospedaliere locali determina il decollo e la diffusione dei
mediatori interculturali presso i centri sanitari aventi fra i
pazienti una forte concentrazione di popolazione immigrata.
Ma perché ricorrere a un mediatore interculturale e non a un
semplice traduttore per relazionarsi con questo tipo di pazienti?
E soprattutto, in cosa un mediatore interculturale differisce da
un semplice traduttore?
Per rispondere a queste legittime domande, occorre qualificare meglio il flusso migratorio di questi ultimi venti anni,
profondamente diverso da quello del periodo CinquantaSessanta. Questo ultimo era caratterizzato, essenzialmente,
da popolazioni d’origine europea che, per penuria di lavoro,
migravano verso i Paesi a più alto reddito e con maggiore
sviluppo economico. Il problema dell’inserimento di questi
migranti era eminentemente linguistico. Con la progressiva
costruzione dell’Europa comunitaria e la piena realizzazione
delle quattro libertà del mercato interno, questi flussi hanno
preso progressivamente un’altra connotazione per diventare,
per lo più, assimilabili a una manifestazione lampante della
mobilità interna dei lavoratori dell’Unione 3 .
I flussi migratori dei nostri giorni sono d’origine essenzialmente extracomunitaria e/o appartenenti a culture profondamente diverse da quella occidentale (es. comunità gitane,
rom, ecc.). Parliamo non solo di religioni diverse, ma anche e
soprattutto di rappresentazioni mentali della realtà ance-
2
“Le Service de médiation interculturelle du CHR de la Cittadelle à Liège. Les
‘passeuses’ de culture”, Cahier nº 65, Laboratoire des Innovations Sociales Labisio
libertàcivili
3 L’obiettivo principale del Trattato di Roma del 1958 istituente la Comunità
Economica Europea era la realizzazione di un Mercato unico ove non ci fossero
barriere commerciali tra gli Stati membri. L’Atto unico entrato in vigore nel 1987
integra nel Trattato la nozione di mercato interno come uno spazio senza frontiere
interne, nel quale vengono assicurate le quattro libertà: quella di libera circolazione
delle merci, dei sevizi, dei capitali e delle persone, ivi compresa la liber tà di
stabilimento e prestazione dei servizi. L’Atto unico rilancerà la realizzazione di detto
mercato inter no per il 31 dicembre 1992 che a tale data sarà diventato per più
del 90% una realtà
98
2 0 12 marzo - apr ile
4
“Mediation interculturelle” from Wikipedia
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
L’essenzialità
della
mediazione
interculturale
in un settore
come quello
sanitario
che tocca
la sfera
più intima
e identitaria
degli immigrati
a contatto
con medici
e infermieri
di cultura
completamente
diversa
stralmente lontane, di concezioni e visioni dei ruoli sociali e
familiari dell’uomo e della donna, abitati e informati da altri
valori, che nulla hanno in comune con quelli propri della nostra
società occidentale. Sono flussi che diventano sempre più
stanziali: mentre in passato si avevano molti casi d’emigranti
che dopo aver “fatto fortuna all’estero” tornavano al Paese
d’origine, oggi il capofamiglia lascia il suolo natio alla ricerca
di un lavoro ma, dopo poco, chiama a sé i suoi rimasti in patria
per il trasferimento definitivo del restante nucleo familiare.
Quest’ultimo, nella quasi totalità dei casi, emigra senza
conoscere né la lingua del Paese d’accoglienza né i suoi usi
e costumi. Tali famiglie sono presto prese nella morsa del
dilemma di preservare i propri riferimenti e valori culturali
d’origine e la necessità d’adattarsi alla cultura del Paese d’arrivo.
Comunicare con queste persone, soprattutto in settori molto
personali e privati quali l’assistenza sanitaria, che tocca la
sfera più intima e identitaria dell’Io, non è solo una questione
di linguaggio ma anche e soprattutto d’acculturazione; del
paziente, ma anche del medico. Infatti, se per un immigrato
il nostro sistema di valori può non essere di facile comprensione, lo stesso accade per il medico che lo deve auscultare
e decifrarne i sintomi.
Ora, sovente, le traduzioni trascurano e/o sopprimono tutta
una serie di segni/sintomi, quali i lapsus, le inversioni verbali,
le difficoltà d’espressione, elementi che sono rivelatori del
funzionamento psichico dell’individuo. Come tradurre un sintomo
senza tener conto del contesto culturale in cui nasce e da cui
trae il suo significante?
Inoltre, ogni cultura ha i suoi referenziali cognitivi che
sono propri a ciascuna di essa e investono e caratterizzano
le relazioni di ciascuno dei suoi membri con l’Altro:
differenza nella percezione delle cose: gli Zulu, ad esempio,
conoscono 39 espressioni diverse per il colore “verde”; in Cina
e in Giappone la percezione del tempo è più orientata verso il
passato, mentre le società occidentali guardano più al futuro
differenza di significato di uno stesso comportamento: a titolo
d’esempio, per altro non esaustivo, il pollice in alto in America
significa “tutto ok”, in Europa centrale equivale al numero
uno, mentre in Iran si apparenta a un gestaccio volgare
d’impazienza 4 .
Primo Piano
La mediazione interculturale in Belgio
99
Primo Piano
La mediazione interculturale in Belgio
libertàcivili
Le nove
regole
fondamentali
del mediatore
culturale
come sono
state elaborate
nel tempo
dalle autorità
belghe,
in particolare
nei confronti
di pazienti che
potrebbero
diventare
vittime di
discriminazioni
100
Non tener conto di queste differenze nella comunicazione
con persone appartenenti ad altre culture significa compromettere la possibilità di un vero autentico dialogo con l’altro,
farlo rinchiudere in un silenzio che sa, senza veramente esserlo,
di rifiuto delle strutture sociali in cui è venuto a stabilirsi e nelle
quali lo si è pertanto accolto, senza comprenderlo né farsi capire.
Nel campo dell’assistenza sanitaria questo iato culturalecomunicativo può assumere rilievi ben inquietanti e compromettere il successo di una terapia, se non addirittura portare
a sbagliare una diagnosi. Il mediatore interculturale nasce e
interviene proprio per superare questo divario e assumere,
nel trinomio paziente-mediatore-medico, la funzione di “ponte”
interculturale tra immigrato e dispensatore di cure.
Estremamente illuminante è, a tal proposito, il caso di una
paziente algerina recatasi presso un servizio ospedaliero di
reumatologia in seguito a dei dolori articolari. “(...) La paziente
spiega in arabo di accusare dolori alle articolazioni (mafasel)
e la mediatrice esplicita a sua volta che la parola usata evoca
in arabo ugualmente il concetto di separazione (fasala).
L’associazione rinvia a una rappresentazione dell’articolazione
diversa dal francese che suggerisce piuttosto un legame.
Questa “discussione” sulla traduzione della parola usata e
riferita alla paziente conduce a un discorso sulla separazione
dalla sua famiglia ancora in Algeria e provoca un miglioramento
considerevole dei suoi dolori articolari” 5 .
Siamo ben lontani da una mera attività di traduzione.
Il “Service Public Fédéral - Santé Publique, Sécurité de la
Chaîne Alimentaire et Environnement” belga ha sintetizzato
mirabilmente la missione del mediatore interculturale. Secondo
il “Service Public Fédéral”, questi è chiamato a:
1. assicurare un servizio d’interpretariato di collegamento, ossia
la traduzione precisa e completa dei messaggi (non solo le
parole) dei diversi interlocutori
2. operare una decodificazione culturale, nel senso di spiegare
la cultura dell’ospedale e del medico al paziente e l’universo
culturale del paziente al medico, interpretando e/o evocando
il significato che certe espressioni o certi atti possono veicolare
presso il paziente
3. accompagnare il paziente e la sua famiglia nelle procedure
amministrative nei confronti dell’ospedale
5
“Mediation interculturelle”, Association Géza Rohéim, des Mots et des Gens,
d’Ici et d’Ailleurs. Traduzione dal francese dell’autrice
2 0 12 marzo - apr ile
4. fornire ascolto e sostegno al paziente durante le viste mediche
5. mediare l’insorgere di conflitti, eminentemente di valori, nella
misura in cui la non conoscenza dei codici di valori rispettivi
può condurre a incomprensioni; nel qual caso veglierà a
verificare che l’origine del conflitto risieda nell’incomprensione
e si attiverà perché si arrivi a chiarire il malinteso
6. difendere i diritti e gli interessi del paziente, qualora si constati
che questi sono vittime di comportamenti razzisti e discriminatori
7. ricercare in maniera indipendente e proattiva i problemi che
possono essere insorti in occasione delle visite mediche dei
pazienti
8. segnalare le difficoltà che riscontra in occasione della presa
in carico di un paziente immigrato o dei pazienti immigrati in
generale
9. comunicare informazioni ai pazienti in collaborazione con il
personale sanitario 6 .
Da quanto precede, si deduce che il mediatore interculturale,
per poter realizzare pienamente ed efficacemente la sua missione, deve detenere competenze precise, che vanno ben
oltre la sola conoscenza della lingua del migrante e del suo
mondo culturale d’appartenenza. Trattasi di competenze
interculturali, intendendo con ciò l’attitudine a comunicare con
successo con persone d’altre culture. Queste competenze
presuppongono sensibilità, fiducia in se stessi, comprensione
dei comportamenti e modi di pensare altrui, come la capacita
di comunicare il proprio punto di vista per essere compreso
e rispettato, mostrarsi flessibile, quando è possibile, e fermo
e chiaro, quando è necessario.
Il mediatore interculturale, quindi, oltre a conoscere i riferimenti
culturali del paziente, deve far prova d’autentica empatia
nei confronti di quest'ultimo (percezione dei sentimenti e dei
bisogni dell’altro) senza far sue le problematiche in questione.
Ciò è vero per qualsiasi mediatore interculturale, non solo per
colui che opera nel settore dell’assistenza sanitaria alle persone
immigrate.
Invero, la mediazione interculturale, se nasce e si sviluppa
a passi da gigante eminentemente in ambito sanitario, si presta
bene alla risoluzione di qualsiasi problema scaturente da un
confronto di culture. Si pensi al settore scolastico, ove si
“Mission du Médiateur interculturel”, Service Public Féderal Sécurité de la
chaîne alimentaire et Environnement
libertàcivili
Il mediatore
culturale
è molto più
di un semplice
traduttore,
egli deve
conoscere
i valori
del mondo
culturale di
appartenenza
dell’immigrato
Primo Piano
La mediazione interculturale in Belgio
2 0 12 marzo - apr ile
101
6
Primo Piano
La mediazione interculturale in Belgio
Al contrario
della
assimilazione,
l’integrazione
implica
la possibilità
per gli
immigrati
di conservare
la propria
identità
culturale,
pur adottando
anche
la cultura
del Paese
di nuova
residenza
registrano innumerevoli problemi comportamentali da parte
degli alunni (non solo d’origine immigrata, peraltro), alle relazioni
di coppia e familiari dei nuclei d’origine alloctona, ai problemi
di vicinato, ecc. tutti ambiti in cui la corretta comprensione
dei parametri culturali di riferimento di ciascuna delle parti in
causa può ben fare la differenza.
In tal senso, la mediazione interculturale può essere considerata l’approccio adeguato ed efficace per arrivare alla
corretta e completa integrazione di queste popolazioni
migrate nel tessuto connettivo delle società d’accoglienza.
Contrariamente all’assimilazione, l’integrazione implica la
possibilità per le genti migranti di conservare la propria
identità culturale, pur adottando anche la cultura del Paese
di nuova residenza. Per essere reale, l’integrazione sottintende
l’apertura e lo sviluppo di un dialogo tra culture, quella originaria
del migrante e quella della società di nuovo stabilimento 7 .
Lo sforzo d’integrazione non può, né deve, riposare sulle sole
spalle dell’immigrato, pena l’isolamento e la marginalizzazione
di quest’ultimo con il conseguente deterioramento delle relazioni sociali. In un mondo globalizzato e globalizzante come
quello contemporaneo votato al multiculturalismo e alla plurietnia,
il concetto di cultura dominante, detentrice di un corretto vivere
sociale e che assimila fagocitandole le culture “inferiori”, non
è più d’alcuna attualità. Qualsiasi cultura basa se stessa su di
un insieme di valori e rappresentazioni della realtà che informano
e determinano le relazioni sociali tra i membri della società di
appartenenza. Intesa in tal senso, ogni cultura si pone su un
piano paritetico con tutte le altre, in un necessario scambievole
confronto dei rispettivi valori etici e morali 8 .
Altra cosa, evidentemente, sono gli estremismi e gli integralismi cui alcuni sistemi sociali possono giungere quali, ad
esempio, l’imposizione del burqa alle donne in alcuni Paesi
del mondo arabo oppure l’obbligo in Cina di fare un solo figlio
e, sino a pochi anni or sono, il massiccio ricorso all’aborto nei
7
Per una distinzione tra “assimilazione” e “integrazione” cfr. “Acculturation”
Association Géza Rohéim, des Mots et des Gens, d’Ici et d’Ailleurs
8
libertàcivili
La definazione del ter mine cultura non è univoca ed è evoluta nel tempo,
diventando alquanto complessa con la nascita e lo sviluppo della sociologia e
dell’antropologia. Personalmente, sposiamo quella di E.B.Taylor, secondo il
quale essa consiste in “quel complesso insieme, quella totalità che comprende
la conoscenza, le credenze , l’ar te, la morale, il diritto, il costume, e qualsiasi
altra capacità e abitudine, acquisita dall’uomo in quanto membro di una
società” cfr. Raffaella Fagella “Il ter mine cultura, un’improbabile definizione”.
Tracciati. Rivista alla ricerca della scuola, novembre 2011
102
2 0 12 marzo - apr ile
casi in cui le gravidanze rivelavano il sesso femminile del feto.
In questi contesti siamo di fronte a derive inammissibili, che
non hanno niente in comune con i valori di cui qui si tratta e che
non costituiscono assolutamente parametri etici accettabili
per qualsiasi sistema culturale.
Fatta questa doverosa precisazione, va detto che la società
contemporanea è ormai, obtorto collo, costretta a fare i conti
con “l’altro”, “il diverso” che per tanti versi ci assomiglia. Ciò
può avvenire solo attraverso la comprensione della diversità e
l’apertura di un dialogo costruttivo con essa. La mediazione
interculturale che, come abbiamo visto, si nutre di questo, rende
tale dialogo possibile e proficuo. Pertanto essa costituisce, a
nostro avviso, la carta vincente di qualsiasi processo d’integrazione e d’evoluzione delle società contemporanee.
Primo Piano
La mediazione interculturale in Belgio
Bibliografia
Articoli non firmati
“Acculturation”, Association Géza Rohéim, des Mots et des Gens,
d’Ici et d’Ailleurs
http://geza.roheim.pagesperso-orange.fr/html/accultur.htm
“Analyses et Etudes. L’Interculturel: une démarche”, Siréas
asbl Service de Recherche, d’Education et d’Action Sociale,
Doc n°4. Année 2004
http://www.sireas.be/publications/analyse04-2004.pdf
“La médiation interculturelle dans les hôpitaux”, CEPAG Centre
d’Education Populaire André Genot, 11/09/2006
http://www.cepag.be/sites/default/files/publications/mediation_inter
culturelle.pdf
“Médiation interculturelle” from Belgium Wiki
http://mighealth.net/be/index.php/M%C3%A9diation_interculturelle
“Médiation Interculturelle” – Wikipedia
http://fr.wikipedia.org/wiki/Médiation_interculturelle
“Médiation interculturelle”, Association Géza Rohéim, des Mots
et des Gens, d’Ici et d’Ailleurs
http://geza.roheim.pagesperso-orange.fr/index.htm
“Médiation Interculturelle”
http://www.techno-science.net/?onglet=glossaire&definition=10649
“Médiation Interculturelle dans les hôpitaux”
http://www.stomie.be/cancer/soins.html?art=531
Zohra Chbaral et Hans Verrept. “La médiation interculturelle
en milieu hospitalier”, Médiations & Sociétés, n° 8, agosto 2004,
pp. 24-27
Latifa ES-SAFI “La médiation culturelle dans les hôpitaux ou
Comment rétablir la communication entre les patients d’origine
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Articoli firmati
103
Primo Piano
La mediazione interculturale in Belgio
étrangère et le personnel soignant”, Pensée plurielle 1/2001
(no 3), p. 27-34.
htpp:// www.cairn.info/revue-pensee-plurielle-2001-1-page-27.htm.
Raffaella Fagella “Il termine cultura, un'improbabile definizione”,
Tracciati. Rivista alla ricerca della scuola, novembre 2011
http://www.graffinrete.it/tracciati/articolo.php?id_vol=319
Fermi Patrick, “La médiation interculturelle”, Portail Santé
Mentale et Culture
http://www.minkowska.com/article.php3?id_article=217
Alain Ruffion, “La Médiation Interculturelle”
http://www.irenees.net/fr/fiches/analyse/fiche-analyse-759.html
Portali istituzionali
La Cellule de coordination du SPF Santé publique
https://portal.health.fgov.be/portal/page?_pageid=56,704702&_
dad=portal&_schema=PORTAL
“Mission du Médiateur interculturel” Service Public Fédéral Santé Publique, Sécurité de la chaîne alimentaire et Environnement.
http://www.health.belgium.be/eportal/Myhealth/Patientrights
andInterculturalm/Interculturalmediation/Mediatortasks/index.
htm?fodnlang=fr
Riviste
libertàcivili
“Médiation et nouvelles régulations sociales. Les métiers de la
médiation.” La Vigilante - n° 23 - Novembre 2006, Association
paritaire pour l’emploi et la formation.
“Le Service de médiation interculturelle du CHR de la Citadelle
à Liège. Les “passeuse” de culture”. Cahier n° 65, Laboratoire
des Innovations Sociales Labisio
http://www.labiso.be/?page=VisualiserContenuOuvrage&Id=970
104
2 0 12 marzo - apr ile
Primo Piano
La strada dell’integrazione
parte dalla casa
L’esperienza della fondazione La Casa onlus
come paradigma dei problemi e degli strumenti
necessari nel settore dell’housing sociale,
che sconta carenze nella programmazione
e nelle risorse a disposizione per gli interventi
di Maurizio Trabuio
Direttore della fondazione La Casa onlus
La centralità del tema casa per il successo di ogni politica di
integrazione è del tutto evidente, nel bene e nel male 1 , ma la
definizione degli strumenti adeguati per dare forza e sostanza
a questa centralità è ben lungi dall’essere chiara. A livello
generale, il tema dell’housing sociale per gli immigrati, infatti,
sconta una serie di deficit quali la mancanza di conoscenza del
fenomeno, l’assenza di omogeneità delle definizioni, la carenza
di strategie e tecniche per la fissazione degli obiettivi e la
programmazione delle azioni e lo stanziamento delle risorse
adeguate al loro raggiungimento.
La gestione del problema è, per lo più, lasciata a singole
esperienze locali che, con tutti i loro limiti, svolgono un’importante funzione di supplenza nei confronti di politiche più
strutturate. Il caso della fondazione La Casa onlus può essere
esemplificativo di questa realtà.
La fondazione La Casa onlus e il suo modello di intervento
La fondazione La Casa onlus è stata costituita nel 2001 a
Padova 2 per promuovere iniziative e progetti che contribuiscano
1
Da una recente ricerca condotta su un campione di immigrati dalla Camera di
commercio di Padova emerge che “avere una casa” è al terzo posto (dopo il lavoro
e il per messo di soggior no) fra i fattori che fanno sentire “sicuri” gli immigrati e
che “sentirsi a casa” è una delle cinque definizioni più ricorrenti del ter mine
“integrazione”. Dalla stessa ricerca emerge come un intervistato su dieci è stato
vittima di richieste di denaro per ottenere un alloggio
Nasce come fondazione di partecipazione – ossia con elementi caratteristici
quali la costituzione di un patrimonio di destinazione a struttura aper ta, che
libertàcivili
Lavoro,
permesso
di soggiorno,
casa: le tre
priorità che
definiscono
la sicurezza
di un
immigrato
e il suo
percorso di
integrazione
2 0 12 marzo - apr ile
105
2
Primo Piano
L’housing sociale per i migranti
L’esperienza
veneta partita
da Padova
nel 2001
che sta
permettendo
di affrontare
in modo nuovo
il problema
di un alloggio
dignitoso
per le famiglie
degli immigrati
può accrescersi nel tempo attraverso l’ingresso di nuovi fondatori e la presenza
di diverse categorie di soci partecipanti – per volontà della Camera di commercio
di Padova, delle Acli provinciali di Padova, della cooperativa Nuovo Villaggio e di
Banca popolare etica, con il sostegno della diocesi di Padova e della fondazione
Cariparo. Successivamente si sono aggiunti come soci fondatori anche le province
di Padova, Venezia e Rovigo, la provincia veneta di Sant’Antonio dell’Ordine dei
frati minori, la regione Veneto e i comuni di: Vigonza (PD), Galliera Veneta (PD),
Padova e Ponte San Nicolò (PD). Sono poi soci aderenti e sostenitori diversi altri
comuni, imprese e cooperative sociali
libertàcivili
106
a risolvere il disagio abitativo delle famiglie italiane e straniere
residenti nel territorio, favorendone l’accesso a un alloggio
dignitoso, attraverso il percorso di accompagnamento sociale
che permette l’inserimento delle persone nel tessuto economicoproduttivo del Veneto, e la conseguente crescita umana e
integrazione sociale.
Si tratta di attività che rientrano a – nostro avviso pienamente –
nell’ambito dell’housing sociale, definito, a livello europeo, come
“l’insieme delle attività atte a fornire alloggi adeguati, attraverso
regole certe di assegnazione, a famiglie che hanno difficoltà
nel trovare un alloggio alle condizioni di mercato perché
incapaci di ottenere credito o perché colpite da problematiche
particolari” 3 .
La fondazione La Casa onlus ha individuato nella gestione
e sviluppo di un patrimonio immobiliare lo strumento più efficace
per sperimentare un’articolazione di risposte differenti alle diverse
esigenze alloggiative delle persone in disagio abitativo, e perciò
a rischio di esclusione sociale. In particolar modo, quando alla
mancanza di un alloggio adeguato si sommano la mancanza
o assottigliamento di adeguate reti familiari e amicali, debolezza
e incertezza di reddito, precarietà di percorso migratorio, percezione negativa in alcuni strati della popolazione autoctona, la
certezza di un alloggio diventa pre-requisito per l’integrazione
e la piena cittadinanza.
Immobili diversi per forma e utilizzo (dedicati alla accoglienza
di breve, medio e lungo periodo), integrati da un sistema di
servizi (quali ad esempio i microprestiti, le assicurazioni sui
rischi connessi alla conduzione degli alloggi, gli indennizzi per
morosità, le garanzie per l'accesso ai mutui, il servizio di
accompagnamento sociale, etc.), promuovono l’autonomia
economico-sociale degli abitanti con l’obiettivo di favorire l’inserimento nel territorio, per rafforzare l’appartenenza alla
comunità grazie alla stabilità abitativa.
Qui di seguito viene rappresentato, in sintesi, il modello di
3
2 0 12 marzo - apr ile
CECODHAS, www.cecodhas.org
intervento della fondazione nel campo del contrasto al disagio
abitativo.
Fondazione
La Casa
interviene investendo
nelle strutturein cui ospitare
i soggetti in disagio
Primo Piano
L’housing sociale per i migranti
Persone in disagio abitativo/Fasce deboli
▼
▼
▼
▼
Ospedale
Accoglienza
di breve
periodo
Accoglienza
di medio
periodo
Accoglienza
di lungo
periodo
Mercato privato
▼
...
Casa
a colori
▼
Centro
di accoglienza
Edilizia
Residenziale
Pubblica
▼
Centro
di assistenza
▼
▼
▼
Tempo
Accompagnamento sociale all’abitazione
Autonomia
AISA
Agenzia di intermediazione
sociale sull’abitare
Le cooperative del consorzio,
attraverso il marchio
registrato AISA, si occupano
della fornitura dei servizi
di accompagnamento sociale
all’abitare
Nella figura è possibile avere evidenza del ruolo della
fondazione La Casa quale soggetto investitore che acquisisce
immobili, aree edificabili e diritti edificatori, affidando a soggetti
specializzati la gestione socio-immobiliare degli stessi. La
gestione delle strutture pensate per il contrasto al disagio
abitativo richiede specifiche competenze e conoscenze, in quanto
prevede l’offerta di un’articolata combinazione di servizi
libertàcivili
Assistenza/Cura
2 0 12 marzo - apr ile
107
Primo Piano
L’housing sociale per i migranti
“Villaggio
solidale”,
“casa a colori”:
slogan
dietro ai quali
si sta
realizzando
un effettivo
servizio
sociale
in favore
delle fasce
più deboli
della
popolazione
socio-amministrativi, che promuovono l’autonomia delle persone
in disagio abitativo, che da un mercato assistenzialista possono
tendere verso il libero mercato passando per appositi servizi di
mediazione sociale all’abitare. Essi sono offerti tramite attività di
sportello definite dal marchio Aisa (Agenzia di intermediazione
sociale all’abitare 4). Attraverso alcune cooperative sociali partner,
aderenti al consorzio Villaggio solidale 5 sono stati aperti sportelli
in tutte le province venete.
L’offerta immobiliare della fondazione La Casa onlus è
costituita da unità abitative destinate a diverse esigenze: dal
modello operativo possiamo notare come ai comuni alloggi si
affianchino strutture ricettive di tipo alberghiero che uniscono
all’accoglienza di breve periodo, in risposta all’emergenza
abitativa, l’accoglienza turistica del cosiddetto “turismo
sociale ” 6 .
Gli alloggi che la fondazione realizza e gestisce sono
caratterizzati, quando possibile, da un’idea di casa come uno
degli elementi della domiciliarità e dei servizi, che agevola
la qualità della vita anche fuori dal perimetro dell’appartamento,
nei rapporti di vicinato del quartiere.
Le unità abitative sono funzionali a due ordini di esigenze:
dare stabilità a famiglie e cittadini che non sono in grado di
sostenere i costi ordinari del mercato immobiliare; offrire
accoglienza a tipologie di famiglie e persone con bisogni ed
esigenze diversificate per cui spesso gli alloggi sono costruiti
con possibilità di frazionare e modulare gli spazi, senza sacrificare il comfort e la dignità dell'abitare.
Gli elementi di contesto
L’esperienza della fondazione La Casa onlus, nasce in un
contesto economico e territoriale molto specifico che così
4
www.agenziaisa.org
5
www.villaggiosolidale.org
6
libertàcivili
La Casa a colori è il luogo dell’accoglienza: nasce per dare ospitalità di buona
qualità a prezzi contenuti; permette al turista di conoscere e scoprire il territorio
visitato, comprenderlo in tutte le sue forme e dimensioni, tramite un servizio di
“accoglienza ospitale” orientato a dare le informazioni necessarie. Permette di
venire a stretto contatto con alcune realtà locali e organizzazioni del territorio con
cui è collegata (associazioni, cooperative, progetti ecc…) e, tramite esse, crea
supporti e infrastrutture logistici a portata dell’utente (organizzazione di escursioni,
uscite, visite, serate ed eventi). La Casa a colori è inserita nel territorio e ne
promuove lo sviluppo attraverso la propria vocazione; il suo obiettivo, infatti, è
quello di diffondere un nuovo modello di gestione dell’accoglienza, che dia la
possibilità di usufruire di un alloggio di qualità secondo le diverse esigenze,
integrando tra loro diverse fasce di utenza. Attualmente le strutture riconosciute
sono tre: a Padova, Dolo (VE), Modena
108
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7
Rapporto statistico 2011 - regione Veneto
http://statistica.regione.veneto.it/Pubblicazioni/RapportoStatistico2011/index.html
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Il Veneto
è la terza
regione d’Italia
per attrazione
di immigrati.
Gli stranieri
residenti
nella regione
sono oltre
480mila.
Secondo l’Istat
nel 2030
potrebbero
superare
il milione,
diventando
il 19 per cento
della
popolazione
veneta
viene descritto dalla direzione Sistema statistico regionale
della regione Veneto nell’ultimo annuario statistico pubblicato
“In Veneto l’immigrazione è un fenomeno decisamente consistente, anche più che a livello nazionale: ben l’11,3% degli
immigrati nel nostro Paese ha scelto, infatti, il Veneto per stabilire
la propria dimora, tanto da risultare la terza regione per attrazione
dall’estero. Gli ultimi quattro anni sono stati eccezionali per il
fenomeno migratorio e si contano tra il 2006 e il 2009 oltre
120mila stranieri in più, anche se nell’ultimo anno si registra un
aumento meno consistente rispetto agli anni precedenti. Oggi
gli stranieri residenti in Veneto sono 480.616 e rappresentano il
9,8% della popolazione, quota sensibilmente più rilevante
rispetto all’intero territorio nazionale (7%) e secondo le previsioni
Istat nel 2030 supereranno il milione, ossia oltre il 19% della
popolazione complessiva. Il 49,2% sono donne e il fenomeno si
contraddistingue anche per un’alta presenza di minori: quasi
un quarto degli stranieri sono infatti minorenni (24,3%) a fronte
del 22% in Italia. Gli ingressi dall’estero rappresentano un’insostituibile risorsa per il mercato del lavoro e per la crescita
demografica totale, contribuendo positivamente allo svecchiamento della popolazione e al recupero della natalità” 7 .
Alla fine degli anni Novanta la presenza degli immigrati in
Veneto non aveva ancora raggiunto i livelli attuali, ma la crescita
era impetuosa in termini percentuali e assoluti, alimentata dalla
forte richiesta di manodopera del capillare tessuto industriale e
produttivo. La legislazione nazionale di riferimento cominciava
a imporre l’obbligo ai datori di lavoro di procurare un alloggio
ai loro dipendenti stranieri. I comuni sempre più spesso erano
alle prese con graduatorie per l’accesso alle case pubbliche
lunghissime e occupate generalmente per oltre il 50% da
stranieri con punteggi altissimi per l’elevato numero di componenti del nucleo familiare e per le condizioni abitative
disagiate. Il mercato immobiliare era caratterizzato da scarsità
di alloggi in affitto, da canoni alti, e una offerta quasi esclusiva
di alloggi per la proprietà, agevolata da grande disponibilità
di credito a condizioni vantaggiose.
I poveri, i nuovi arrivati, quelli in situazione nuova (separati,
giovani, anziani) nel loro percorso di ricerca abitativa avevano
davanti i monoliti inaccessibili: l’edilizia pubblica scarsa,
lenta, mono-tipica (solo appartamenti pensati per famiglie e
Primo Piano
L’housing sociale per i migranti
109
L’housing sociale per i migranti
Primo Piano
per sempre) e l’edilizia privata costosa, solo in proprietà e
tendenzialmente prevenuta verso le categorie fragili portatrici
di domanda.
Anno
Veneto
Italia
Popolazione (migliaia)
2008
4.886
60.045
Stranieri (% sul totale della popolazione)
Numero di abitazioni al censimento (migliaia)
Variazione % 2007/01 abitazioni (stima)
Famiglie che vivono in case uni o plurifamiliari
(valori %)
Famiglie con casa di proprietà (valori %)
Numero medio di persone per abitazione
Indice di affollamento medio (mq per persona)
Famiglie in arretrato nel pagare spese
per l’abitazione (valori %)
Indicatore sintetico finale sulla qualità
delle caratteristiche strutturali dell’abitazione (a)
Indice sintetico complessivo di sostenibilità
(percepita ed economica) (b)
Indice sintetico di percezione della qualità
della zona di residenza (c)
Indice sintetico di accessibilità dichiarata
ai servizi della zona di residenza (d)
Famiglie che si dichiarano soddisfatte
o molto soddisfatte dell'abitazione in cui vivono
(valori %)
2008
2001
2007/01
9,3
2.016
9,7
6,5
27.269
5,5
2007
2007
2007
2007
55,9
73,5
2,4
53,5
40,9
68,4
2,4
49,3
2007
6,3
9,9
2007
82,6
79,9
2007
75,9
76,1
2007
63,6
59,2
2007
62,8
60,1
2007
85,9
84,5
(a) L’indicatore varia tra 0 e 10 0, dove 0 indica bassa qualità e 10 0 qualità elevata. Per una descrizione
più approfondita dell'indicatore si veda la Tab.1.2.4 del capitolo
(b) L’indicatore varia tra 0 e 10 0, dove 10 0 rappresenta la situazione più favorevole. Per una descrizione
più approfondita dell'indicatore si veda la Tab.1.2.8 del capitolo.
(c) L’indicatore varia tra 0 e 10 0, dove 0 rappresenta la qualità peggiore e 10 0 quella migliore. Per una
descrizione più approfondita dell’indicatore si veda la Fig.1.2.8 del capitolo
(d) L’indicatore varia tra 0 e 10 0, dove 0 rappresenta la qualità peggiore e 10 0 quella migliore. Per una
descrizione più approfondita dell’indicatore si veda la Fig.1.2.9 del capitolo
Fonte: elaborazioni regione Veneto - direzione Sistema statistico regionale su dati Istat
libertàcivili
L’introduzione di un soggetto nuovo, non profit, plurale, misto
pubblico-privato, non specialista di edilizia, ma più portato alla
relazione con gli abitanti – quale la fondazione La Casa onlus
– voleva rappresentare l’apertura di una nuova possibilità,
uno strumento di welfare aggiuntivo nella dotazione territoriale.
Questo esperimento pratico è arrivato a essere oggetto di uno
studio, comprensivo di un’analisi di fattibilità e della redazione
di un progetto di legge regionale, presentato per iniziativa della
110
2 0 12 marzo - apr ile
Il sistema integrato dei fondi
Di fronte all’insufficienza delle politiche abitative in genere
e in particolare per le fasce più esposte al rischio di esclusione
sociale come lo sono gli stranieri, i governi hanno messo in moto
la realizzazione del sistema integrato dei fondi, convocando
all’investimento in edilizia sociale i maggiori gruppi finanziari
italiani sotto la regia di Cassa depositi e prestiti 11 .
Il Piano casa per l'housing sociale si pone l'obiettivo di
realizzare, entro il 2015, 100mila nuovi alloggi di edilizia “non
di mercato”. Destinatari dei nuovi alloggi i nuclei familiari e
giovani coppie a basso reddito, anziani in condizioni sociali
8
Pdl 414 Sportelli per l’alloggio sociale temporaneo - VIII legislatura regione Veneto
9
Ibidem
10 h t t p : / / w w w. p o r t a l e c n e l . i t / P o r t a l e / d o c u m e n t i . n s f / v w A re a Te m a t i c a ? O p e n v i e w
& R e s t r i c t To C a t e g o r y = I M M I G R A Z I O N E & S t a r t = 1 & C o u n t = 3 0 & A r e a Te m a t i c a =
IMMIGRAZIONE&AreaTematicaPadre=IMMIGRAZIONE http://www.cnel.it/comunicazione/popupcomunicato.asp?id=61
11 Dpcm del 16 luglio 2009
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
L’esperienza
della Casa
onlus ricalca
in diversi
aspetti
una proposta
di legge
che il Cnel
aveva
presentato
al Governo
la scorsa
legislatura
provincia di Venezia, avente a oggetto il riconoscimento istituzionale e il sostegno finanziario della regione Veneto a soggetti
di diritto privato, in grado di porsi come innovativi strumenti di
mitigazione del disagio abitativo di migranti e di altre fasce
sociali deboli non considerate dal sistema regionale dell’edilizia
residenziale pubblica 8 .
Nella relazione al progetto di legge si riconosceva infatti
che “le istituzioni non sono idonee a farsi carico della sistemazione abitativa temporanea di migranti e di altri neo-poveri
e spesso questa funzione viene surrogata sul territorio da
risposte private di tipo umanitario, sia di matrice confessionale
che laica. Si riteneva importante riconoscere l’utilità generale
dell’opera di management specializzato nella captazione di fasce
di marginalità abitativa e nella loro sistemazione temporanea,
con un sostegno finanziario al fine di promuoverne una maggiore
diffusione in ambito regionale, sulla base di regole d’impiego
trasparenti e omologate” 9 .
Molti dei temi e delle soluzioni individuate ricalcavano la
proposta di legge che il Cnel aveva presentato al Governo
nella scorsa legislatura 10 ; tali soluzioni sarebbero ancora
attuali per essere riproposte e consentire a tutti gli amministratori locali e agli attori di sviluppo del territorio di avere
strumenti per rispondere ai bisogni delle persone.
Primo Piano
L’housing sociale per i migranti
111
Primo Piano
L’housing sociale per i migranti
libertàcivili
Come
si estende
in Veneto
la figura
del “gestore
socioimmobiliare”
che affianca
alla
tradizionale
attività
immobiliare
quella di
partecipazione
e di responsabilizzazione
degli inquilini
112
o economiche svantaggiate, studenti fuori sede, sfrattati,
immigrati regolari a basso reddito residenti in Italia da almeno
10 anni o almeno cinque nella medesima regione. Il ministero
delle Infrastrutture ha investito 150 milioni di euro in un fondo
immobiliare dotato di circa due miliardi di euro. Il fondo nazionale
può contribuire al finanziamento di iniziative locali per la
valorizzazione di aree urbane con la realizzazione di una quota
di alloggi da concedere a canone calmierato, eventualmente
riscattabili.
Il trasferimento delle competenze abitative dallo Stato alle
regioni aveva visto, di fatto, la fine nei bilanci pubblici della
previsione di entrate alla voce “casa” e il sistema integrato
dei fondi all’interno del Piano nazionale per l’edilizia sociale
ha prevalentemente il compito di supplire a questa mancanza.
Dovrebbe anche aiutare a riequilibrare il patrimonio immobiliare
italiano, in senso più aderente alle esigenze di mobilità e di
flessibilità della vita moderna, favorendo l’incremento delle
case in affitto a discapito della quota di case in proprietà.
“Edilizia sociale”, secondo la declinazione che ne diamo,
significa soprattutto una gestione socio-immobiliare degli
alloggi che si andranno a realizzare, cioè una speciale
attenzione alle persone. In Veneto è già partito il fondo
“Veneto Casa”, fondo immobiliare etico gestito da Beni stabili
gestioni SGR. Il fondo ha come obiettivo quello di sviluppare
iniziative immobiliari che abbiano come target persone che
presentano un disagio socio-economico temporaneo e che
non riescono ad accedere a un alloggio adeguato alle proprie
necessità alle condizioni di libero mercato. Il fine del fondo,
quindi, è quello di promuovere la coesione di vicinato e la
valorizzazione degli inquilini come risorsa per l’area sociale
nella quale si inseriscono gli alloggi, realizzati e offerti come
soluzioni abitative su misura delle necessità delle persone e
delle famiglie.
Al “gestore socio-immobiliare” saranno demandate, accanto
alle tradizionali attività di gestione immobiliare, attività di
partecipazione e di responsabilizzazione degli inquilini e funzioni
di mediazione sociale e culturale finalizzate a prevenire conflitti
e tensioni all’interno della comunità insediata. Il gestore risulterà
infatti l’interlocutore primario nei confronti degli inquilini” 12 .
Allo stesso tempo al gestore competono, ad esempio, “tutte le
12 Vademecum all’edilizia sociale, Cdpi-SGR
2 0 12 marzo - apr ile
13 Ibidem
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Le specifiche
attività svolte
dal gestore
socioimmobiliare
sono calibrate
intorno
alle esigenze
della società
multietnica
e plurale
che sta
sempre più
abitando
le nostre città
attività e azioni utili per minimizzare i costi di gestione e morosità,
per informare gli inquilini sull’utilizzo corretto degli alloggi, per
monitorare la conservazione del patrimonio immobiliare e la
qualità della convivenza tra gli inquilini” 13 .
Nella descrizione delle attività specifiche del gestore socioimmobiliare possiamo riconoscere in filigrana la specifica
attenzione alla società multietnica e plurale che sta sempre
più abitando le nostre città. Queste attività prevedono:
Inserimento abitativo, ossia l’individuazione di soluzioni
abitative adeguate alle necessità (numero di componenti del
nucleo familiare, distanza dal luogo di lavoro e dai servizi principali) e alle possibilità della persona derivanti dalla condizione
economica.
Il processo di accompagnamento a migliorare la disponibilità
economica degli utenti ai fini di continuare a garantire i pagamenti
dei canoni di locazione, di poter accantonare un risparmio per
le spese urgenti impreviste e per passare successivamente a
soluzioni abitative autonome.
L’educazione alla condivisione degli spazi e alla cogestione
dei servizi al fine di consolidare dei rapporti di “vicinato attivo”
tali da supportare, anche solo come modello, i casi che più
necessitano di supporto.
Gestione della permanenza, con la promozione di rapporti
sociali e di vicinato tra inquilini, in particolare nel caso di
soggetti eventualmente appartenenti a nazionalità con abitudini
diverse. L'inesistenza di relazioni precedenti è infatti spesso
fonte di situazioni di conflitto. Nello specifico le attività prevedono;
la promozione della conoscenza e del rispetto dei reciproci
diritti e doveri derivanti da un rapporto di locazione; la conoscenza e il rispetto delle regole contrattuali, delle regole
condominiali e delle buone prassi di vicinato; l’istruzione alla
corretta conduzione degli alloggi, alla regolarità nella manutenzione ordinaria e alla gestione ecologica della casa.
Inclusione sociale, con la promozione di una rete sociale
intorno al soggetto in un'ottica di inclusione, favorendo processi
di aggregazione autonoma e mettendolo in contatto con le
realtà associative presenti nel territorio in cui vive. Il tutto teso
ad agevolare tanto la convivenza all’interno delle strutture,
quanto la facilitazione al passaggio verso successive soluzioni
abitative autonome.
Primo Piano
L’housing sociale per i migranti
113
Primo Piano
L’housing sociale per i migranti
Si chiama
“community
management”
il complesso
di elementi
innovativi che
caratterizzano
l’esperienza
del nuovo
“abitare
sociale” per
gli immigrati
I veri elementi innovativi della gestione socio-immobiliare
degli alloggi che il sistema integrato dei fondi prevede sono:
la prevenzione e la gestione dei potenziali conflitti derivanti dai
nuovi inserimenti abitativi nel territorio, attraverso l’intervento di
mediazione fornito ad hoc per i singoli casi; la prevenzione
del degrado abitativo attraverso interventi educativi rivolti alla
persona e al presidio costante dell’immobile stesso; la prevenzione del disagio degli inquilini e del vicinato favorendo la
permanenza pacifica dell’inquilino nell’alloggio fino ai termini
contrattuali stabiliti, attenendosi alla regolare gestione e
manutenzione dell’alloggio, al rispetto del regolamento di
condominio e al rispetto delle buone prassi nei rapporti di
vicinato; il coinvolgimento degli inquilini nel tessuto sociale
del territorio ove risiedono; il consolidarsi di un rapporto di
fiducia con gli operatori del “gestore sociale” che deve essere
il primo riferimento in caso di problemi (degli inquilini stessi o di
relazione con il vicinato) per permettere un intervento, risolutivo o
di mediazione, immediato; l’accompagnamento al risparmio
finalizzato a passare successivamente verso soluzioni abitative
autonome migliori ovvero al riscatto dell’alloggio; l’attivazione
di una rete, locale e associativa di supporto per la persona.
Questi elementi innovativi, definiti in letteratura come
“community management” sono, a nostro avviso, il patrimonio
di innovazione di processo che la presenza degli stranieri
nelle nostre città ci obbliga a introdurre, con l’intuitivo ed
evidente beneficio per tutta la città.
libertàcivili
Casa dolce casa:
alcuni dati sulla condizione abitativa degli immigrati in Italia
114
Gli immigrati rappresentano oggi una
quota sempre più alta del mercato
immobiliare in Italia, sia per quello
che riguarda gli affitti sia per le compravendite. Al tempo stesso essi incidono
pesantemente su quell’area di soggetti
che si trovano in condizione di disagio
abitativo; oltre un terzo è in questa
condizione, un dato tre volte e mezzo
superiore a quello degli italiani. Tale
fenomeno, che prima riguardava soprattutto gli irregolari, con la crisi economica
dell’ultimo triennio si è esteso anche ai
2 0 12 marzo - apr ile
migranti regolarmente residenti, che ora
si trovano in condizioni di difficoltà
lavorative. Peraltro, per gli stranieri
sussiste una doppia discriminazione:
da un lato, i bassi redditi percepiti
rispetto agli italiani rendono loro più
difficile l’accesso al mercato della
compravendita, dall’altro essi sono
spesso discriminati nelle locazioni e
alimentano il circuito degli affitti in nero,
delle coabitazioni o del subaffitto.
Secondo i dati dell’Istat (Le famiglie
con stranieri. Indicatori di disagio
in Germania o Francia circa la metà
delle abitazioni sono in locazione; il
secondo è la carenza nell’offerta di
edilizia sociale, pari ad appena il
4,5% del totale delle case. Su questo
secondo punto, nonostante interventi
legislativi e le norme del “Piano casa”
(legge 133/2008), la situazione resta
ancora fluida, soprattutto perché la
competenza su queste materie è per
gran parte regionale. Da questo punto
di vista si registra una diversificazione
geografica notevole nelle misure di
garanzia del diritto alla casa con
regioni (tipo Marche, Toscana, Umbria,
Emilia-Romagna e Liguria) dove non
esistono differenze tra stranieri e italiani
nell’accesso all’offerta abitativa pubblica
– e dove probabilmente gli immigrati
sono addirittura avvantaggiati dal
fatto di appartenere in gran numero
alle categorie disagiate che accedono
a tali misure – mentre altre regioni –
tipo la Lombardia – impongono il
requisito dei cinque anni di residenza
(previsto dal “Piano casa”) e altre
ancora inseriscono meccanismi progressivi di punteggio nelle graduatorie
favorendo chi è residente da più anni
(e quindi ovviamente gli italiani).
D’altra parte, come sottolineato dal
Dossier statistico immigrazione Caritas/
Migrantes, oggi la casa per l’immigrato
“non è più soltanto l’oggetto di un
diritto, ma anche di un onere”. Infatti,
l’alloggio idoneo insieme al lavoro
regolare costituiscono i due requisiti
fondamentali per ottenere il permesso
di soggiorno.
(a.g.)
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
economico, 2011) le famiglie con stranieri sono sistemate per il 58,7% in
affitto e il 23% in proprietà (contro il
71,6% delle famiglie italiane), mentre la
restante parte o è ospite o soggiorna
direttamente sul luogo di lavoro. Per una
limitata parte delle famiglie immigrate
(circa una su cinque, il 23%) la facilità
di accesso al mutuo degli anni scorsi ha
consentito di rivolgersi al mercato della
compravendita, anche perché le rate
del mutuo sono risultate per lungo
tempo addirittura più convenienti dei
canoni d’affitto. Tuttavia la crisi economica ha portato con sé una forte
stretta creditizia e una crescita delle
incertezze in campo lavorativo, riducendo drasticamente il dato sulle
compravendite degli stranieri: secondo
Banca d’Italia erano il 16,7% del totale
nel 2007 (circa 135mila acquisti),
sono scese all’8,7% nel 2010 (con un
totale di 53mila case acquistate su
oltre 611mila). Mancano ancora dati
ufficiali sul numero di immigrati che si
sono trovati a non poter più far fronte
ai mutui contratti, ma certamente una
percentuale significativa di coloro che
hanno avuto difficoltà appartiene a
questa categoria.
Le famiglie di stranieri che vivono
in condizioni di sovraffollamento (cioè
che non dispongono di un numero di
stanze adeguato alla loro composizione)
sono il 37,2%, contro il 14,6% degli
italiani. Una famiglia straniera su due
dispone al massimo di due stanze,
una su cinque vive in una sola stanza.
Rispetto ad altri Paesi europei l’Italia
sconta due fattori che aggravano la
situazione: il primo è la ridotta quota
di case in affitto, una su cinque, mentre
Primo Piano
L’housing sociale per i migranti
115
Le Rubriche
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione
alla coesione sociale in Europa
Una ricerca di Didier Reudin e Gianni D’Amato
analizza i molteplici fattori che influenzano
le politiche di coesione e integrazione
nel Vecchio Continente, anche attraverso
una comparazione con il caso degli Stati Uniti
di Stefania Nasso
“Gli ultimi decenni hanno visto crescere grandemente l’immigrazione verso i Paesi europei. Ciò ha portato ad avere una
popolazione maggiormente diversificata e spesso questa
crescente diversità è vista come una minaccia alla coesione
sociale. Dall’inizio del ventunesimo secolo la retorica politica
si è inasprita citando spesso tutto d’un fiato le parole immigrazione, Islam, sicurezza. Le pressioni economiche dovute
alla recessione, che interessano in modo analogo molti Paesi
europei, riducono il livello di integrazione economica e incidono
così sulla coesione sociale”.
Queste frasi d’apertura della ricerca Social Cohesion
Challenges in Europe di Didier Ruedin e Gianni D’Amato per
il progetto Improving US and EU Immigration Systems 1 in
poche righe fotografano i tratti più evidenti dell’attuale contesto
sociale ed economico dei Paesi europei. Il moto migratorio, la
retorica politica, la percezione di pericolosità della diversità
culturale e religiosa, la recessione sono le tessere con cui
comporre il multidimensionale disegno dell’integrazione e della
coesione sociale.
Coesione sociale, capitale sociale e immigrazione
La coesione sociale, come risultato dello sforzo per realizzare
1 Vedi liber tàcivili n.3/2011 pg.58 e http://www.eui.eu/Projects/Transatlantic
Project/Home.aspx
libertàcivili
Il moto
migratorio,
la retorica
politica,
la percezione
di pericolosità
delle diversità
culturali
e religiose,
la recessione:
queste
le tessere
del mosaico
della
integrazione
sociale
in Europa
2 0 12 marzo - apr ile
117
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
Coesione,
capitale
sociale e
cooperazione
fra gruppi
differenti
sono fattori
fondamentali
per risolvere
problemi
collettivi
come quelli
derivanti
dalla
immigrazione
una crescita economica sostenibile 2, è definita dal Consiglio
d’Europa “la capacità di una società di assicurare il benessere
di tutti i suoi membri, riducendo le differenze ed evitando le
polarizzazioni. Una società basata sulla coesione è una comunità
di sostegno reciproco di individui liberi che perseguono obiettivi
comuni dai significati democratici”. È un tema centrale e strategico,
richiamato dalle più alte istituzioni nazionali e comunitarie come
caratteristica ed elemento fondamentale di sviluppo 3.
Un concetto che negli ultimi anni ha assunto rilevanza
nell’analisi di come si modella la coesione sociale è quello di
“capitale sociale”, individuato nel 1993 dal sociologo americano
Robert Putnam in uno studio sull’Italia e sulle sue tradizioni
civiche. Putnam lo definisce come “l’insieme di quegli elementi
dell’organizzazione sociale – come la fiducia, le norme condivise,
le reti sociali – che possono migliorare l’efficienza della
società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l’azione
coordinata degli individui”.
Coesione e capitale sociale, e quindi cooperazione tra gruppi
differenti, sono fattori fondamentali per risolvere problemi
collettivi, che non possono essere affrontati a livello individuale,
come appunto le sfide derivanti dall’immigrazione 4. La reazione
politica delle società alla natura e alla misura dell’immigrazione
è diretta a gestire il fenomeno 5 , con politiche che sappiano
anticipare problemi e bisogni futuri proprio per preservare la
coesione sociale. Una immigrazione non regolata è considerata
una minaccia per l’ordine sociale, in particolare per il sistema
di welfare e per l’economia: per evitare le ripercussioni negative
dovute a un crescente numero di immigrati e delle relative
diversità di cui sono portatori si ritiene necessario integrarli
nella società che li accoglie.
La gestione dei flussi migratori è un problema comune per
gli Stati occidentali ma non si è tradotto in una politica globale
delle migrazioni sebbene si registrino sforzi di coordinamento
a livello mondiale come l’Iniziativa di Berna 6, da cui è scaturita
2 Vedi strategia di Lisbona http://www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/
docs/pressData/it/ec/00100-r1.i0.htm
3
libertàcivili
Si vedano in proposito anche le molte pubblicazioni del Censis. Il Rapporto annuale
2007 sulla situazione sociale del Paese identificava il più grave problema dell’Italia
proprio nella mancanza di coesione sociale
118
4
Vedi l'intervista a Zygmunt Bauman in libertàcivili n.1/2011
5
Vedi libertàcivili n.6/2010
6
http://www.iom.int/jahia/Jahia/policy-research/migration-policy/berne-initiative
/devt-of-iamm
2 0 12 marzo - apr ile
Uno sguardo al passato
Alla fine del diciannovesimo secolo si riteneva che gli
immigrati sarebbero stati assimilati nella società divenendo
velocemente parte della stessa, senza differenze. Spesso
l’assimilazione era la sola opzione possibile, a causa del loro
numero limitato, e l’integrazione era un processo che riguardava
solo le prime generazioni. Avere un background di immigrazione
non era rilevante e le seconde generazioni non erano considerate
straniere essendo pienamente integrate e accettate. Dopo la
Prima Guerra Mondiale la percezione delle società ospitanti
ha subito un profondo cambiamento e l’immigrazione non è più
7
Nell’ambito dell’attuazione del Programma di Stoccolma si sono registrate
novità riguardo il traffico di esseri umani, la definizione di una nuova agenda per
l’integrazione, la liberalizzazione dei visti in collaborazione con i Paesi terzi, ma
non ancora per i settori dell’immigrazione legale e dell’asilo
8 Vedi lo studio di Rey Koslowski “The Evolution of Borders Control as a Mechanism
to Prevent Illegal Immigration” svolto nell'ambito del medesimo progetto di ricerca,
in libertàcivili n. 3/2011 pg. 58 e http://www.eui.eu/Projects/TransatlanticProject/
Home.aspx
libertàcivili
Sia in Europa
che negli Usa
si è cercato
di spostare
le frontiere
verso l’esterno
per controllare
i flussi
migratori
il più vicino
possibile alla
loro origine
The International Agenda for Migration Management e, nell’ambito
UE, gli accordi Schengen e Dublino. La selezione degli immigrati
è stato un aspetto chiave delle politiche statunitensi e canadesi
e in questo senso sono aumentati gli sforzi anche in Europa,
dove si è facilitata la circolazione di merci e persone all’interno
dell’area rafforzando però le frontiere esterne 7. Tale sviluppo si
riflette anche nella scelta delle parole utilizzate: mobilità per
definire i movimenti all’interno dell’area europea e immigrazione
per gli altri. Incoraggiare un certo tipo di movimento migratorio
cercando al contempo di limitarne e controllarne altri suggerisce
una certa convergenza di approccio tra Europa e Stati Uniti.
L’elemento centrale è il concetto di spostamento della frontiera
verso l’esterno per controllare i flussi migratori più vicino possibile
alla loro origine, direttamente se si può nel porto di partenza 8,
ed è l’aspetto su cui più si è concentrata la cooperazione tra
gli Stati.
Ma la difficoltà di chiudere le frontiere a un certo tipo di
immigrazione e di incoraggiare i movimenti interni, la volontà
di radicamento dei migranti economici, i ricongiungimenti,
l’aumento del numero dei rifugiati e richiedenti asilo hanno fatto
crescere l’attenzione per le politiche di integrazione degli immigrati già presenti sul territorio, aspetto lasciato principalmente alla
responsabilità del singolo Stato.
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
2 0 12 marzo - apr ile
119
I problemi
della
integrazione
e i differenti
approcci sulle
due sponde
dell’Atlantico
nel periodo
che va dalla
fine del XIX
secolo fino
ai giorni nostri
120
stata vista come un fenomeno prevalentemente positivo anche
se, per un breve periodo, l’Europa usò la naturalizzazione come
tentativo per integrare e incoraggiare l’integrazione.
Differente fu la situazione negli Stati Uniti a causa del grande
numero di immigrati, molti dei quali provenienti dallo stesso
Paese. Nonostante l’assimilazione fosse sempre l’obiettivo
ultimo, fu possibile continuare a tener vive le differenze culturali,
come dimostra il caso di Little Italy a New York, facilitato da
un contesto sociale dove quasi tutti erano consapevoli delle
proprie origini immigrate e quindi inclini a essere tolleranti
verso le differenze culturali almeno fino a quando non interferivano con il vivere comune. Per catturare tale varietà venne
usata la nozione di melting pot, trasformazione creativa in
nuove forme culturali. In molte aree della vita sociale, tuttavia,
le differenze erano considerate un’interferenza negativa e
l’assimilazione alla maggioranza fu attivamente incoraggiata.
Così, in sostanza, su entrambe le sponde dell’Atlantico la
mancanza di integrazione, la persistenza delle differenze e una
netta separazione dalla comunità di accoglienza erano viste
come un problema, che fu politicizzato in relazione ai differenti
gruppi immigrati. Per esempio l’immigrazione italiana in Germania
e Svizzera era considerata molto poco integrata, e c’era chi
dubitava addirittura che un’integrazione fosse possibile, a causa
delle marcate differenze culturali. Oggi la comunità italiana è
considerata un modello di integrazione di successo e i
discendenti di seconda e terza generazione sono riconoscibili
solo dal cognome.
Immigrazione e religione
L’immigrazione come questione politica è attualmente
diventata centrale in molti Paesi, come in Inghilterra, Olanda,
Austria mentre ad esempio in Irlanda e Spagna la questione è
molto meno rilevante nell’agenda politica. Una delle aree
dove il discorso pubblico ha fatto registrare un cambiamento
veramente significativo è quella riguardante il rapporto immigrazione-religione, in particolare riguardo all’Islam e alla sua
differenza, che si presume talmente profonda da comportare
l’incapacità di integrare e integrarsi.
La tendenza a semplificare e generalizzare genera la percezione che tutti i musulmani siano parte di un gruppo omogeneo
fortemente religioso, senza considerare che la maggioranza è
invece composta da moderati, specialmente tra gli immigrati
negli Stati Uniti e in Europa. La religione è assunta come
elemento centrale di definizione dell’individuo, ignorando
libertàcivili
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
altri aspetti come l’identità nazionale o i comportamenti. Su questi
elementi specifici si rileva come sia molto diminuita la differenza
di orientamento e percezione tra i governi e i cittadini, e sempre
più i governi parlino la stessa lingua dei cittadini.
Come visto sopra, l’uso di stereotipi non ha risparmiato altri
gruppi, come ad esempio gli italiani, che venivano considerati
culturalmente troppo distanti. Il loro positivo esempio di integrazione suggerisce che l’Islam e le differenze religiose siano
attualmente solo il modo principale in cui si veicola il dibattito
sull’immigrazione, in passato dominato da temi prettamente
economici che giravano intorno alla necessità di lavoro immigrato
per supportare un’economia in espansione. Insieme alla combinazione immigrazione-Islam anche l’associazione immigrazionesicurezza è sempre più evidenziata nella retorica pubblica,
specialmente dall’attacco terroristico alle due torri di New York.
La politicizzazione dell’immigrazione e delle differenze indica
come la mancanza di integrazione sia considerata un problema
che deve essere risolto, spesso perchè descritto come una
minaccia alla coesione sociale.
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
2 0 12 marzo - apr ile
121
Il multiculturalismo,
che è stato
l’opzione
dominante
in Europa,
ha varie forme:
in molti Paesi
è stato
portato avanti
senza una
visione chiara
sul tipo di
organizzazione
e di integrazione che si
voleva
realizzare
libertàcivili
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
122
2 0 12 marzo - apr ile
Ascesa e crisi del multiculturalismo
A differenza degli Stati Uniti, dove l’intervento statale non
è visto di buon occhio e il processo di integrazione è in gran parte
frutto dello sforzo individuale, nei Paesi europei il ruolo dello
Stato è un elemento essenziale per facilitare l’integrazione e
mantenere la coesione sociale e non solo per quanto riguarda
l’immigrazione ma in generale, attraverso i programmi di
welfare, che organizzano molti aspetti della vita quotidiana.
Nonostante tale fondamento comune, i Paesi europei hanno
adottato approcci di gestione differenziati. Quello che ha avuto
maggior diffusione negli anni Sessanta e Settanta è stato il
multiculturalismo, prodotto dall’attitudine liberale verso le
differenze e dal crescente riconoscimento dei diritti delle
minoranze. Ad esempio nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e in
Svezia sono state adottate politiche per sostenere l’uso della
lingua di origine nelle scuole, come pure per la traduzione di
documenti governativi nelle diverse lingue.
Tale approccio può assumere varie forme, che vanno dalla
separazione in quartieri autonomi al cosmopolitismo, che combina
le differenze in un nuovo, vibrante contesto. Ad esempio le
politiche nei Paesi Bassi sono state più simili alla variante
“segregazionista”, basate su elementi di fondo differenziati per
i vari gruppi. D’altro canto, a parte qualche soluzione adottata
dalla Svezia, un reale multiculturalismo cosmopolita non si è
mai visto in Europa e, sebbene la retorica possa essere stata in
certa misura cosmopolita, la questione è sempre l’integrazione
degli immigrati nella maggioranza.
In molti Paesi si rileva la mancanza di visioni chiaramente
formulate che informino i programmi di integrazione e coesione
sociale. In altre parole, nonostante il multiculturalismo sia
stato l’opzione dominante in Europa, i governi non hanno
investito abbastanza per specificare il tipo di organizzazione
multiculturale che si voleva realizzare, con la conseguenza
che risulta difficile se non impossibile coordinare le politiche
per realizzare un determinato tipo di società.
Di contro si sono levate alcune voci critiche, che hanno
messo in guardia dall’incoraggiare la formazione di comunità
sociali parallele e marginalizzare gruppi nel nome delle differenze
valutate fini a se stesse. Nell’ultimo decennio questa visione,
che tende a ignorare le differenti gradazioni del multiculturalismo,
si è affermata, trasformandosi rapidamente in una forte reazione
negativa contro quest’ultimo che, come concetto, è divenuto
fuori moda, mentre è emerso un pubblico consenso sul fatto
che abbia fallito come approccio alla gestione dell’integrazione.
La stessa parola è quasi scomparsa nell’uso ufficiale, sostituita
da una retorica politica sempre più aspra, ma non ci sono
chiare evidenze che tale evoluzione abbia comportato l’applicazione di soluzioni differenti, soprattutto perchè è ancora
meno chiaro quali politiche potrebbero portare alla forma di
integrazione desiderata. Ad esempio, nel Mipex 9 , indice di
politiche di integrazione degli immigrati, non emerge nessuna
chiara tendenza verso l’adozione di misure più restrittive.
In ambito europeo è la UE che sempre più assume il ruolo
di coordinamento delle politiche migratorie: i Paesi dell’Europa
dell’Est hanno dovuto istituire precise politiche, spesso ricalcate
da quelle dei Paesi europei con una maggiore tradizione in
materia. Allo stesso tempo però, quando si tratta di integrazione, l’adozione e la diffusione delle relative politiche è meno
formalizzata; le direttive comunitarie danno riferimenti generali
e incoraggiano una certa convergenza, ma la loro applicazione
avviene in tempi differenti e in modi piuttosto incompleti, data
anche la relativa novità del tema nei Paesi dell’Est Europa.
Inoltre le nazioni di vecchia immigrazione sono ancora alla
ricerca di modelli che portino alla rapida integrazione, pur nel
rispetto dei diritti umani, non potendo così offrire esempi certi
da riprodurre.
La definizione di integrazione e i suoi indicatori
Un problema comune a livello europeo è capire cosa esattamente intendano i politici quando parlano di integrazione
degli immigrati. Nella pratica molti Paesi si focalizzano su
corsi di lingua (Olanda e Danimarca) e test per la cittadinanza (Regno Unito e Germania), anche se al momento non ci
sono grandi segnali che tali sforzi siano realmente efficaci per
l’integrazione e in definitiva per la coesione sociale. Questi
programmi sembrerebbero essere stati adottati più per la loro
fattibilità e, in ultima analisi, rimanendo nella responsabilità
del singolo Stato il modo in cui i criteri di selezione vengono
formalizzati, non c’è omogeneità nell’applicazione.
Vari sono gli indicatori di integrazione sociale, per esempio
la segregazione geografica, che può essere intesa come
mancanza di integrazione. Dappertutto in Europa gli immigrati
tendono a concentrarsi nelle aree urbane, una situazione che
T. Huddleston and J. Niessen, Migrant Integration Policy Index (Brussels: British
Council and Migration Policy Group, 2011), http://www.integrationindex.eu.
anche in libertàcivili n.2/2011 pg.126
libertàcivili
Un problema
comune
a livello
europeo
è capire
cosa intenda
la politica
con il termine
“integrazione”
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
2 0 12 marzo - apr ile
123
9
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
Vari sono
i fattori della
integrazione,
ma per la
coesione
sociale è
fondamentale
la partecipazione
e l’interazione
con la società
ospitante,
che deve
accettare
i nuovi gruppi
Coesione sociale e andamento dell’economia
Una delle questioni di rilievo riguarda il rapporto tra coesione
sociale e performance dell’economia poiché gli aspetti economici
che ruotano attorno all’occupazione e alla crescita economica
rimangono molto influenti, sebbene meno politicizzati rispetto
alle differenze culturali e religiose. Attraverso attività di
lobbying viene garantito che gli aspetti economici rimangano
all’ordine del giorno nell’agenda politica su entrambi i lati
dell’Atlantico, anche se vengono meno discussi in pubblico.
libertàcivili
124
non ha avuto grandi cambiamenti nel corso degli anni.
Differente è la situazione riguardante la conoscenza della lingua. Nonostante tale requisito sia sempre più richiesto non ci
sono dati adeguati ad effettuare una comparazione con gli
anni passati. L’interazione con la società ospitante è un
aspetto significativo e i matrimoni misti ne sono un indicatore.
In molti Paesi europei ci sono prove che i matrimoni misti e
l’assimilazione vanno di pari passo e possono essere osservate
percentuali crescenti di matrimoni misti sia tra i vari gruppi di
immigrati che con la popolazione locale. Tali livelli tendono a
essere più elevati per le seconde generazioni, ma le differenze
persistono e i membri di uno stesso gruppo etnico sono
comunque maggiormente orientati a sposarsi tra loro.
Differenze significative si osservano per quanto riguarda la
partecipazione politica, dove gli immigrati hanno meno possibilità
di impegnarsi. In termini di risultati scolastici gli svantaggi
per i bambini immigrati si osservano in tutti i Paesi dell’Europa
occidentale.
Va osservato che in tutte le aree di integrazione sociale ci
sono differenze significative correlate alle aree di provenienza
degli immigrati. Le differenze culturali possono essere una
chiave di spiegazione ma al momento è difficile da valutare
empiricamente.
Richiamando gli altri fattori, meno tangibili, che influenzano
la coesione sociale quali il rispetto della legge, delle norme,
gli atteggiamenti condivisi, e nonostante alcuni aspetti rilevanti
per la coesione sociale siano difficili da cogliere, in generale
l’integrazione degli immigrati può essere raggiunta attraverso
la partecipazione, con un lavoro remunerato o nella vita sociale,
in un processo di interazione con la società ospitante che, allo
stesso tempo, deve accettare i nuovi gruppi. Il mantenimento
della coesione sociale è qualcosa che non può essere
conquistato guardando solo agli immigrati o incoraggiando
solo gli immigrati a cambiare.
2 0 12 marzo - apr ile
http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/2011/12/57-l%E2%80%99aumentodegli-imprenditori-stranieri-nell%E2%80%99ultimo-anno/
libertàcivili
Nell’ipotesi
della ricerca,
lo stato della
economia
è causa
sottostante
ai cambiamenti
sociali e
l’integrazione
economica
è il meccanismo che
influenza
la coesione
sociale
Il presunto legame diretto tra stato dell’economia, impatto
sulla coesione sociale e relative politiche viene analizzato in
questo lavoro secondo uno schema semplicistico per riflettere
il modo in cui in genere la situazione è rappresentata nel
dibattito politico e dai media: cattivo stato dell’economia >
basso livello di integrazione economica > bassa coesione
sociale > xenofobia.
L’ipotesi generale individua la performance economica
come causa di fondo dei cambiamenti. Se l’economia va bene
si avranno bassi livelli di disoccupazione, è probabile che gli
immigrati siano impiegati in lavori regolarmente retribuiti e si
determini un alto livello di integrazione economica. Al contrario,
se l’economia va male aumenta il livello di disoccupazione, i
lavoratori immigrati hanno maggiori probabilità di perdere il
lavoro rispetto agli autoctoni e diminuisce il livello di integrazione
economica considerata un aspetto essenziale della vita sociale
(tenendo fermo questo principio è importante considerare che
l’economia è segmentata e che i diversi settori possono avere
risultati positivi o negativi in misura relativamente indipendente).
In quest’ottica quindi, considerando lo stato dell’economia
come la causa sottostante ai cambiamenti sociali, l’integrazione
economica è il meccanismo che influenza la coesione sociale:
il crescente livello di disoccupazione spinge ad accettare
lavori non regolari, in nero, senza garanzie e con bassi salari.
Spesso lo status di lavoratore immigrato implica proprio la
partecipazione all’economia sommersa, che indebolisce la
coesione sociale contrastando il sistema di garanzie del lavoro
e tale partecipazione è più visibile e pubblicizzata di quanto
lo sia per il lavoratore nazionale. Dal punto di vista dei datori
di lavoro tali condizioni sono spesso convenienti, traducendosi
in forte domanda di lavoro immigrato.
Questo tratto, per quanto riguarda l’Italia, emerge non solo
in relazione al lavoro dipendente immigrato, con le continue
regolarizzazioni ed emersioni, ma anche riguardo alle imprese
gestite da stranieri. Un’indagine condotta dalla Fondazione
Leone Moressa su 600 imprenditori italiani 10 evidenzia l’impressione che le imprese gestite da immigrati non rispettino appieno
le normative e che ci sia bisogno di maggiori controlli da
parte degli organi preposti. È interessante notare come il 60%
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
2 0 12 marzo - apr ile
125
10
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
libertàcivili
L’indebolimento
della coesione
sociale
porta con sé
fenomeni
di xenofobia
spesso sfruttati
a fini politici
126
2 0 12 marzo - apr ile
degli intervistati ritenga che comunque le attività abusive e in
nero siano molto più dannose rispetto alla concorrenza degli
stranieri sempre più presenti nel tessuto imprenditoriale italiano.
Tornando all’ipotesi discussa nel lavoro di Ruedin e D’Amato,
il passaggio successivo all’indebolimento della coesione
sociale è l’emersione di fenomeni di xenofobia, dovuti alla
percezione della minaccia rappresentata dall’insuccesso del
processo di integrazione, percezione spesso sfruttata a fini
politici. D’altra parte anche l’integrazione di successo viene
sfruttata a fini politici, ad esempio osteggiando l’accesso
degli immigrati in stato di necessità al sistema di welfare, che
si ritiene dovrebbe essere riservato ai propri cittadini.
Se le minacce alla coesione sociale vengono considerate
come riflesso delle difficoltà di integrazione, le politiche che
affrontano l’integrazione economica potrebbero essere un
approccio alternativo politicamente praticabile. Ci sono tre
passaggi connessi a questa catena che collega le prestazioni
dell’economia e la coesione sociale. In primo luogo, la natura
dell’immigrazione coinvolta influenza la misura in cui performance economica e integrazione sono collegate. In base alle
motivazioni che li hanno spinti a emigrare i soggetti reagiscono
diversamente alle pressioni economiche: possono scegliere
di rimanere e volgersi all’economia sommersa, che significa
scegliere una condizione più precaria, possono scegliere la
disoccupazione in base al sistema di welfare applicato, possono
scegliere di tornare al Paese d’origine o emigrare in un altro
Paese. In secondo luogo, è importante ricordare che la coesione
sociale è influenzata da fattori che vanno al di là di integrazione
economica, come l’integrazione culturale e sociale. In terzo
luogo, il populismo e la politicizzazione di argomenti xenofobi
sono moderati da altri fattori.
È di particolare interesse capire cosa accade nei periodi in
cui l’economia va male. Gli effetti della recessione non vengono
sentiti in ugual modo dai componenti della società, ma colpiscono
maggiormente i lavoratori non qualificati e i nuovi entrati nel
mercato del lavoro. Ciò significa che i lavoratori non qualificati
immigrati sono doppiamente colpiti, unitamente al fatto che
tendono ad essere concentrati in settori particolarmente
vulnerabili alle crisi economiche (edilizia, turismo, servizi alla
persona).
Un’altra possibile conseguenza è la riduzione del tasso di
immigrazione, che può dipendere da due fattori. Da un lato
i potenziali nuovi migranti possono decidere di non partire o
rimandare la partenza e, dall’altro, alcuni possono decidere
Le due logiche
che guidano
le politiche
migratorie
in Europa:
l’integrazione
formale
come volano
o come
atto finale
del processo
d’integrazione
sociale
Le politiche di coesione sociale verso gli immigrati
D’altra parte ci sono politiche di coesione sociale dedicate
esclusivamente agli immigrati, come l’amnistia per il reato di
immigrazione clandestina o irregolare, le leggi sull’immigrazione, le modifiche dei requisiti per i permessi di soggiorno
e la cittadinanza, o le politiche relative ai ricongiungimenti
familiari. Queste politiche rivelano due logiche differenti che
le guidano e che riflettono il differente orientamento tra i Paesi
europei. Una garantisce l’integrazione formale, nella forma
della concessione del permesso di soggiorno di lungo periodo
o permanente e della cittadinanza, anche nello stadio iniziale,
per incoraggiare e facilitare l’integrazione sociale. L’altra
considera l’integrazione formale come l’atto finale del processo
di integrazione sociale.
È intrinsecamente difficile giudicare l’impatto delle politiche
dedicate all’integrazione formale poiché è l’integrazione sociale
che rileva per la coesione della società; inoltre, il giudizio è
libertàcivili
di ritornare al Paese d’origine. La mobilità è stata attivamente
incoraggiata in passato con l’idea che il lavoro immigrato potesse
agire come cuscinetto per gli shock ciclici, ma l’esperienza
ha dimostrato che la maggior parte sceglie di rimanere e di
compensare con lavori extra, anche irregolari, la diminuzione
di reddito. Anche perchè in tempi di recessione globale
potrebbe non avere senso tornare al Paese di origine.
Il fatto che gli immigrati decidano di rimanere anche in tempi
di crisi suggerisce uno scenario più articolato. Gli immigrati si
ritagliano una loro nicchia economica offrendo lavoro a prezzi
inferiori rispetto ai locali (generalmente questo ci si aspetta
da loro) e ci sono sempre datori di lavoro disposti a beneficiarne
assumendoli illegalmente. A ciò si aggiunga che dopo un
soggiorno all’estero prolungato i legami con il Paese di origine
non sono più così forti, specialmente se si ha con sé la famiglia
e ci si è formati un gruppo di amici. Così, se si considerano
gli aspetti sociali coinvolti, la scelta di rimanere in una situazione
economica precaria assume un’altra valenza.
Proprio in periodi di crisi economica il welfare state può
giocare un ruolo fondamentale per mantenere la coesione
sociale, essendo disegnato sulla logica dei bisogni individuali,
specialmente in Europa. Gli immigrati sono compresi nei
programmi di welfare semplicemente perchè tali programmi
sono pensati per tutti. Ad esempio in Europa normalmente a
nessuno è negata l’assistenza medica per mancanza di status
giuridico o assicurazione sanitaria.
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
2 0 12 marzo - apr ile
127
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
libertàcivili
La reazione
a volte ostile
agli immigrati
nella società
e nella politica
è una delle
ragioni per cui
ci sono
crescenti
pressioni,
anche da parte
della opinione
pubblica,
per rendere
più esclusivo
il sistema
di welfare
128
2 0 12 marzo - apr ile
legato al punto di vista della logica assunta, rendendo difficile
fornire valutazioni indipendenti. D’altronde le modifiche
avvengono in maniera graduale e i tanti aspetti che incidono
sulla coesione sociale rendono difficile capire l’impatto della
variazione di una singola misura, come ad esempio l’aumento
degli anni di residenza richiesti per un permesso permanente.
Riguardo alle prestazioni sociali, si rileva come alcuni
Paesi europei, con l’intento di evitare trasferimenti di risorse
dalla popolazione locale agli immigrati, stanno cercando di
rendere più difficile l’accesso ai benefici previsti. Un effetto
collaterale di questi sforzi è che la redistribuzione delle risorse
in generale viene ridotta, colpendo anche la popolazione
autoctona in una situazione precaria, con effetti indesiderati
sulla coesione sociale.
Dove le competenze sono decentrate ci può essere una
mediazione nell’interpretazione delle politiche restrittive da
parte delle istituzioni locali, che hanno un ruolo importante
per attutirne l’impatto sulla vita quotidiana. Tale spazio di
mediazione è comunque limitato se il Paese è dominato da un
unico partito politico o da una forte coalizione di partiti.
Le voci critiche contro l’immigrazione e la diversità culturale
sono oggi preminenti e l’opinione pubblica sembra preferire
politiche più restrittive nonostante l’attitudine alla relativa
tolleranza degli immigrati già presenti sul territorio. La reazione
a volte ostile agli immigrati nella società e nella politica è una
delle ragioni per cui ci sono crescenti pressioni per rendere
più esclusivo il sistema di welfare. C’è un crescente retorica
del “noi contro loro” anche se è importante tenere a mente che
in Europa gli atteggiamenti verso gli immigrati stanno diventando
sempre più liberali e accoglienti, indipendentemente dalla
situazione economica. È importante, quindi, non confondere
la retorica politica o l’appoggio ai marginali partiti di estrema
destra con l’atteggiamento dominante nella società. Molte
cose alimentano un’ostilità che non è dovuta a una semplice
connessione meccanica con lo stato dell’economia o con il
grado di integrazione degli immigrati ma sembra essere legata
alla mancanza di contatto, di esperienze positive, ai cambiamenti
nei flussi migratori, alla distanza culturale e soprattutto all’identità
della società.
Non è chiaro in che modo e in che misura le crisi economiche
stanno influenzando le tendenze attuali. L’esame dell’ipotesi
del collegamento diretto tra prestazione economica, integrazione
e coesione sociale evidenzia che in realtà il rapporto è più
sfumato; in particolare il ruolo dell’integrazione culturale e
libertàcivili
Gli sforzi
per ridurre
la spesa
sociale
in periodi
di crisi hanno
implicazioni
dirette per la
coesione
sociale,
per cui è
un errore
sostenere
che la
principale
minaccia
sia
l’immigrazione
sociale può essere un motivo per cui la coesione e l’integrazione
economica non sono direttamente collegati. Nei Paesi europei,
il welfare state sembra giocare un ruolo centrale nel mediare
questo rapporto tra performance economica e coesione sociale,
contrastando in qualche misura le tendenze puramente economiche. Anche l’impatto sulla società e le reazioni ostili sono
state presentate come risultati possibili, ma non necessariamente
presenti. Il sistema politico e le differenze storiche possono
giocare un ruolo cruciale nel modo in cui le questioni di immigrazione sono politicizzate in tempi di crisi economica.
È importante fare attenzione e non cadere nella retorica
semplicistica comunemente utilizzata sui media e nei dibattiti
politici. Gli sforzi per ridurre la spesa sociale conseguenti alle
difficoltà dell’economia hanno implicazioni dirette per la coesione
sociale e quindi sarebbe sbagliato sostenere che la minaccia
viene principalmente dall’immigrazione. Così come è importante
considerare le conseguenze derivanti dalla sfida alla nozione
di “Stato”, sia dall’alto, in ragione dell’appartenenza a organismi
internazionali (UE, Nafta), sia dal basso, attraverso gruppi di
interesse o movimenti sociali che chiedono il riconoscimento dei
diritti di minoranza, in quanto lo Stato svolge un ruolo cruciale
nel plasmare leggi e norme che favoriscono la coesione
sociale nelle società moderne caratterizzate da solidarietà
organica.
In sintesi, ci sono molti fattori che sembrano influenzare le
politiche di coesione e integrazione sociale, alcune delle
quali appaiono resistenti ai cambiamenti economici a breve
termine, proprio come l’atteggiamento nei confronti degli
immigrati che non sembra fluttuare in linea con la crescita
economica. Le sfide del ventunesimo secolo investono quindi
l’architettura della politica sociale sviluppata in Europa e si
avverte l’esigenza di interpretare la realtà non limitandosi
all’immediato ma scorgendo nei fenomeni il moto evolutivo
che li muove.
La finestra sul mondo
La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa
2 0 12 marzo - apr ile
129
Europa
Italia vs razzismo,
xenofobia e discriminazioni:
luci e ombre
dal Rapporto RED
Un network costituito da più di 50 ricercatori
di 17 Paesi monitora gli episodi di razzismo
e discriminazione e le condizioni di uguaglianza
di migranti e minoranze in alcuni Paesi europei.
Similitudini e peculiarità del caso italiano
di Alfredo Alietti e Veronica Riniolo 1
libertàcivili
Abbattere le mura, non quelle che ci proteggono, ma quelle
che ci dividono
(E. Jabès, 1991, p. 37)
130
Società multiculturali, democrazia e razzismo
Nel periodo di crisi sociale, politica ed economica senza
precedenti che stiamo vivendo, l’acutizzarsi di fenomeni di
razzismo e di atteggiamenti xenofobi in Europa costituisce una
tra le maggiori minacce alla coesione sociale
e alle prospettive democratiche. I dati prodotti
La crisi sociale, politica
dalle istituzioni europee, quali per esempio
ed economica sta accentuando la Commissione europea, e dal variegato
i fenomeni di razzismo
mondo accademico e delle organizzazioni
e gli atteggiamenti xenofobi
no profit mostrano con evidenza la diffusione
in Europa, mettendo a rischio
del pregiudizio etnico-razziale e i suoi effetti
perversi sui processi di convivenza interetnica
la coesione sociale
(European Commission, 2008; Zick A., Küpper
e le prospettive democratiche
B., Hövermann A., 2011).
I profondi mutamenti occorsi negli ultimi
vent’anni all’interno delle società democratiche europee –
conseguenti all’interazione tra le dinamiche collegate alla
globalizzazione economica, al progressivo indebolimento del
1
Alfredo Alietti (Università di Ferrara - fondazione Ismu), Veronica Riniolo
(fondazione Ismu e Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità)
2 0 12 marzo - apr ile
2 0 12 marzo - apr ile
131
Europa
sistema di welfare, alla riduzione dei meccanismi d’inclusione
societaria – sono risultati particolarmente problematici in
relazione ai processi di integrazione dei migranti. Nel corso
degli anni Novanta, anche i Paesi europei fino ad allora terra
d’emigrazione, quali l’Italia, hanno visto mutare la loro geografia
demografica e sociale con l’arrivo di significativi flussi migratori.
A fronte di tale configurazione multietnica della gran parte
delle società europee avanzate, si è assistito all’emergere di un
discorso pubblico centrato sulla rappresentazione in negativo
della figura dello straniero, considerato quale illegittimo sottrattore di risorse pubbliche, potenziale pericolo per l’identità
nazionale e per l’ordine sociale.
Taluni soggetti politici hanno visto crescere il proprio consenso
elettorale mediante il ricorso a una retorica
anti-immigrazione, soprattutto in quelle fasce
Cresce il consenso elettorale
di popolazione autoctona più deprivate e,
di soggetti politici che hanno
quindi, maggiormente esposte al rischio di
fatto ricorso alla retorica
esclusione e di entrare in competizione con
anti-immigrazione
i newcomers (Castel, 2007). Il clima di insiper catturare il consenso,
curezza sociale ed economica, l’erodersi
dei diritti di cittadinanza acquisiti durante i
specialmente della parte più
cosiddetti trent’anni gloriosi è stato, quindi,
povera della popolazione
funzionale alla diffusione di un sentimento
di avversione in una parte consistente dell’opinione pubblica europea.
Tale sentimento è, altresì, sostenuto dalle “buone ragioni”
sottese al rifiuto della presenza degli immigrati, sovente costruito
sulla base della preferenza nazionale nell’accesso ai beni e ai
servizi pubblici sempre più scarsi. Inoltre, le classiche forme di
razzismo, come l’antisemitismo, riappaiono nelle solite vesti
e al contempo acquisiscono connotati nuovi e imprevisti (Alietti,
Padovan, 2010). Se analizziamo alcune ricerche sul tema
svolte in quest’ultimo decennio nei diversi Paesi europei, le
evidenze empiriche confermano la persistenza di un radicato
pregiudizio contro le comunità ebraiche a cui si associa la
continuità delle violenze simboliche (danneggiamenti ai luoghi
di culto) e fisiche (Anti-Defamation League, 2007; Francia,
2009).
In seguito all’attentato alle Twin Towers, si è rafforzato il
pregiudizio anti-islamico divenuto un elemento decisivo nella
retorica dello scontro di civiltà a livello globale e, a livello
nazionale, dell’inconciliabilità tra le comunità islamiche immigrate e il resto dei cittadini europei (Alietti, Padovan, 2010).
Numerosi rapporti di ricerca internazionali hanno registrato
libertàcivili
Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza
una sostenuta crescita di aggressioni nei confronti di cittadini
arabi e delle comunità musulmane dopo l’11 settembre 2001
(Eumc, 2001; IHF, 2005; PEW, 2008). Vi è da ricordare in questa
sintetica rassegna anche l’accentuazione dei pregiudizi verso
le minoranze rom 2 , altrettanto vittime di episodi di violenza e
repressione.
Come accennato, l’attuale grave crisi economico-finanziaria
e il collasso del modello sociale europeo minacciano di rendere
ampia e comunemente accettabile l’intolleranza contro immigrati
e minoranze. Le conseguenze sulla tenuta della convivenza
pacifica tra le diversità etniche e delle dinamiche d’integrazione,
a prescindere dal contesto nazionale a cui facciamo riferimento,
possono essere assai critiche e alimentare conflitti difficilmente
risolvibili.
Sin dalla sua fondazione l’Unione Europea, attraverso i suoi
organismi legislativi e di controllo sui rispettivi governi, ha sempre
mantenuto saldi i principi di tolleranza e anti-discriminatori.
Un passaggio decisivo nel dare sostanza a questi principi è
senza dubbio il Trattato di Amsterdam del
1997, nel quale si richiamano i Paesi membri
L’UE ha sempre cercato
a unire gli sforzi per combattere il pregiudizio
di contrastare i fenomeni di
e la discriminazione subiti da gruppi e da
intolleranza e discriminazione, singoli individui sulla base dei loro caratteri
con un percorso normativo che etnici, culturali, religiosi, di genere, di orienparte dal Trattato di Amsterdam tamento sessuale e di disabilità. Sulla base
di questa volontà generale si è definita nel
e arriva alla Direttiva
2000 la Direttiva sull’uguaglianza razziale
sull’uguaglianza razziale
(2000/43/EC) con norme specifiche contro il
razzismo e le discriminazioni a cui ciascun
Paese si è dovuto adeguare.
L’Italia ha ratificato nella sua legislazione questa direttiva
nel 2003, integrandola con le precedenti leggi di contrasto ai
fenomeni di razzismo, in particolare la legge Mancino del 1997
e alcuni articoli presenti nel Testo unico sull’immigrazione.
Questi indirizzi normativi promossi e implementati, pur nella loro
importanza, non sono sufficienti ad attutire la forza e la presunta
ragionevolezza del discorso razzista e xenofobo, il quale trova
linfa vitale nell’arretramento delle condizioni di sviluppo sociale
libertàcivili
Europa
Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza
132
2
Tale termine è utilizzato nel presente articolo, e in altri documenti di istituzioni
e organismi inter nazionali, come ter mine “ombrello” per comprendere tutti quei
gruppi quali rom, sinti, travellers, ashkali, kalè ecc., che condividono caratteristiche
culturali più o meno simili e una storia di esclusione socio-culturale nel contesto
europeo
2 0 12 marzo - apr ile
ed economico. Da qui la necessità di attivare strumenti di
monitoraggio e di rilevazione degli episodi di razzismo nei
diversi ambiti della vita sociale, delle risposte istituzionali e
delle politiche attivate per eliminare i fattori discriminanti, al fine
di individuare possibili strategie. Sono numerosi gli esempi di
rapporti, pubblicazioni, statistiche, valutazione delle politiche
pubbliche e della legislazione riferite ai singoli Paesi membri
dell’UE realizzati in ottica comparativa e con continuità sia
dalle agenzie istituzionalmente legate alla Commissione europea
sia dalle Ong internazionali con l’apporto dei finanziamenti
europei.
In linea con tale tendenza appena richiamata, nel corso
del 2011 si è costituito un network di istituti di ricerca attivi in
17 Paesi europei promosso dal Greek Institute
for Rights Equality & Diversity (i-RED) con
Il lavoro del network i-RED
l’obiettivo di sviluppare e implementare il
ha portato alla realizzazione
portale Atlante del Razzismo, Eguaglianza e
del Rapporto annuale sugli
Discriminazione 3 . Il progetto – cofinanziato
episodi di discriminazione
dall’Unione Europea – si basa, da un lato,
e sulle condizioni
sull’individuazione e sulla registrazione degli
episodi di razzismo e di discriminazione,
di uguaglianza di migranti
dall’altro, sulla rilevazione delle condizioni
e minoranze in Europa
di uguaglianza dei migranti e delle minoranze
mediante l’articolazione di una serie di
indicatori collegati alla dimensione sociale, economica, culturale
e legale in ciascuno dei Paesi coinvolti. A conclusione di questo
consistente lavoro, realizzato con il contributo di più di 50
ricercatori, è stato pubblicato il RED Annual Report 2011 4. Anche
sulla base dei dati raccolti in questa ricerca, nel successivo
paragrafo saranno tracciati alcuni caratteri emergenti in tema
di discriminazione e razzismo relativi all’Italia.
Europa
Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza
3
La fondazione Ismu è il par tner italiano della rete RED
4
Il report è scaricabile gratuitamente sul sito http://www.red-network.eu/.
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Il caso italiano: similitudini e differenze
con gli altri Paesi europei
L’Italia si allinea alla tendenza delle società europee, dove
sono sempre più diffusi fenomeni di razzismo, intolleranza e
discriminazione, presentando caratteristiche e problematiche
simili ad altri Paesi: per esempio, come avviene anche a livello
europeo, tra i gruppi più colpiti da episodi di razzismo troviamo
133
libertàcivili
Europa
Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza
134
le popolazioni rom e le comunità musulmane (Ecri Report on
Italy, 2012; Red Annual Report, 2011; Marcaletti et alii, 2011).
È tuttavia significativo mettere in rilievo alcune peculiarità che
caratterizzano il nostro Paese, così come emerge dai più
recenti studi che hanno riguardato anche l’Italia.
Nel corso degli ultimi anni si sono registrati progressi nel
contrasto al razzismo e alla discriminazione: da un lato ha avuto
luogo un rafforzamento della legislazione in
materia di discriminazione e, dall’altro, è
Pur allineata alle tendenze
andato delineandosi un crescente impegno
europee, l’Italia negli ultimi
da parte dell’Ufficio nazionale antidiscrimianni ha fatto registrare
nazioni razziali (Unar) nelle azioni di contrasto
progressi nella legislazione
al razzismo (vedi libertàcivili n. 6/2010). Tale
anti-discriminazione,
organismo, infatti, ha affiancato all’attività
condotta a livello centrale un’azione locale
grazie anche all’impegno
e capillare sul territorio mediante il coinvolsul territorio dell’Unar
gimento sia delle amministrazioni regionali,
provinciali e comunali sia delle organizzazioni
della società civile che da tempo sono impegnate in materia
di antidiscriminazione. C’è al tempo stesso da segnalare che
l’Unar non è un organo indipendente, operando nell’ambito
del dipartimento delle Pari opportunità della Presidenza del
Consiglio dei ministri (Ecri Report on Italy, 2012).
Tra i progressi e le azioni positive, si annoverano anche una
serie di iniziative, istituzionali e non, volte a facilitare l’integrazione dei gruppi più marginali: a tale riguardo il ministero
dell’Istruzione, Università e Ricerca ha promosso corsi di
formazione per gli insegnanti e il personale scolastico al fine
di favorire l’inclusione dei rom nelle scuole (Red Annual
Report, 2011).
Tuttavia, nonostante alcuni avanzamenti e l’esistenza di un
quadro normativo in grado di rispondere alle diverse forme di
discriminazione, permangono difficoltà nell’implementazione
della normativa e nel contrasto ai fenomeni di razzismo. Ciò è
testimoniato, per esempio, dall’aumento dei crimini d’odio e di
razzismo. Nello specifico, secondo le cifre dell’Unar, nel corso
del 2011, sono stati 540 i casi rilevanti di discriminazione su
base etnica (Unar, 2011). Tali difficoltà sono testimoniate anche
dal mancato accesso paritario alla giustizia da parte degli
immigrati e delle minoranze, a causa di diversi fattori, quali
per esempio l’assenza di informazione, la scarsa conoscenza
della lingua o le implicazioni legate allo status giuridico (Red
Annual Report, 2011).
Si segnala nel nostro Paese un’ulteriore tendenza: l’aumento
2 0 12 marzo - apr ile
5
Norme in materia di tutela delle minoranze linguistico storiche legge n. 482/1999
libertàcivili
di discorsi xenofobi nella propaganda politica, che ha come
target rom, neri, musulmani e, in genere, immigrati (Ecri
Report on Italy, 2012). Alcuni discorsi di incitamento all’odio
hanno portato alla condanna di membri di partiti politici per la
propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio etnico
razziale. A ciò si affiancano, di frequente, campagne di allarme
promosse dai media che conducono a un accrescimento del
livello di paura e di insicurezza tra gli autoctoni, ma anche tra
i migranti stessi. In particolare, la percezione degli immigrati
come pericolo per il nostro Paese sembra aver ripreso vigore
nel 2010 e nel 2011. Secondo Eurispes, circa i due terzi degli
italiani pensano che la presenza degli stranieri – soprattutto
provenienti dall’Est Europa – aumenti la criminalità (Eurispes,
2011).
Alla luce dei più recenti studi, come già richiamato, in Italia
la situazione delle popolazioni rom – non riconosciute nel
nostro Paese come minoranze ufficiali su un
piano di parità con le minoranze storicoNel nostro Paese è
linguistiche protette dalla legge n. 482/1999 5 –
particolarmente preoccupante
appare preoccupante. I ripetuti sgomberi
la situazione delle popolazioni dei campi nomadi sono una delle azioni,
rom, oggetto di osservazioni
rivolte esclusivamente alle popolazioni rom,
critiche anche da parte
che sono fonte di grande preoccupazione
dell’alto Commissariato
anche a livello europeo. Nel corso della visita
nel 2010 dell’alta Commissaria per i diritti
dell’Onu per i diritti umani
umani, Navi Pillay, sono state espresse
numerose osservazioni critiche rispetto alle
condizioni di vita nei campi e ai ripetuti sgomberi che impediscono l’avvio di processi di integrazione scolastica, abitativa e
lavorativa. Numerose altre iniziative sono state adottate a livello
comunale – cartelli stradali o ordinanze – indirizzate esclusivamente ai rom come segnalato con preoccupazione anche
dal Cerd (Riniolo, 2010).
I criteri di acquisizione della cittadinanza italiana e la
normativa al riguardo sono inoltre un’ulteriore questione, che
torna spesso al centro del dibattito e che si collega strettamente
al riconoscimento dei diritti dei migranti e al loro processo di
integrazione. Su un immaginario continuum i termini del dibattito
possono essere riassunti come di seguito: a un estremo si
trova l’introduzione dello ius soli nella sua forma “pura”, per
Europa
Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza
2 0 12 marzo - apr ile
135
cui la concessione della cittadinanza avviene automaticamente
alla nascita in Italia; all’altro estremo lo ius sanguinis, cioè la
normativa attualmente vigente in Italia; nella parte intermedia
di tale continuum si incontrano invece soluzioni e modalità che
prevedono ipotesi di acquisizione di cittadinanza per i nati nel
nostro Paese anche prima del compimento del diciottesimo
anno di età in relazione, per esempio, alla loro frequenza
scolastica o agli anni di residenza di almeno un genitore.
Rimandare tale discussione significa anche
continuare a escludere una percentuale
Il dibattito sulla cittadinanza
rilevante dei residenti – pensiamo per esempio
in Italia oscilla fra gli estremi
alla Lombardia dove sono oltre un milione gli
opposti dei sostenitori dello
stranieri residenti (Blangiardo, 2012) – dai
ius sanguinis e dello ius soli;
fondamentali diritti di cittadinanza e dalla
nel mezzo l’ipotesi di
possibilità di eleggere rappresentanti.
I dati mostrano come, nell’a.s. 2009/2010,
concedere lo status anche ai
minori stranieri nati nel Paese il numero di alunni con cittadinanza non
italiana nati in Italia è aumentato di oltre
30mila unità, con un valore pari a circa
265mila, pari cioè a oltre il 39% del totale degli alunni stranieri
che frequentano le scuole italiane (fondazione Ismu, 2012).
Anche per questa ragione è necessaria una riflessione sul loro
status giuridico. A differenza di quanto avvenuto in altri Paesi di
nuova immigrazione, con il passaggio da Paese di emigrazione
a Paese di immigrazione l’Italia non ha ancora riformato le leggi
sulla cittadinanza, mantenendo criteri di idoneità di gran lunga
più restrittivi che in quasi tutti i principali Paesi di immigrazione
(Mipex III, 2011). Anche nei campi dell’educazione, del lavoro,
dell’abitazione e della salute, nonostante molteplici progressi,
permangono differenti problematiche, come evidenziato dagli
esiti del Report 2011 di RED.
Contrastare il senso comune razzista e consolidare
i processi d’integrazione: alcune considerazioni
A livello europeo, nello specifico dalla Strategia Europa 2020,
dal Programma di Stoccolma e dall’Agenda europea per l’integrazione 6 , si evince con chiarezza che il rafforzamento dei
meccanismi di inclusione dei cittadini provenienti dai Paesi terzi
è considerata un requisito essenziale per lo sviluppo economico
e la coesione sociale dell’Europa. Il termine “coesione sociale”
libertàcivili
Europa
Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza
136
6 Pubblicata nel luglio del 2011 dalla direzione generale degli Affari interni della
Commissione europea
2 0 12 marzo - apr ile
2 0 12 marzo - apr ile
137
Europa
è oramai molto utilizzato, talvolta troppo spesso e anche in
maniera retorica, svuotandolo di contenuto (Alietti, 2009).
Nell’ultimo decennio gran parte dei documenti pubblicati in
sede europea fanno riferimento a tale concetto, anche se non
esiste per esempio una definizione sulla quale tutti concordano.
Tuttavia, con queste dovute premesse, è necessario sottolineare
che la tenuta delle nostre società può aver luogo solo laddove
siano risolte anche le questioni più impegnative, quali appunto
l’integrazione di cittadini provenienti da altri Paesi, il rispetto dei
loro diritti fondamentali e il contrasto a forme di discriminazione
e razzismo ancora estremamente diffuse, le quali strutturano
un senso comune xenofobo e razzista.
L’approccio a un fenomeno globale quale le migrazioni,
non può che essere globale: tale affermazione significa, nella
pratica, assumere prospettive e strategie comuni tra i diversi
Paesi membri dell’UE e che sappiano guardare al futuro,
soprattutto di fronte a processi di indebolimento delle condizioni
socio-economiche.
Inevitabilmente, il problema tocca questioni sensibili, in
particolare quelle relative alla sovranità
nazionale e alla ricerca di un consenso politico
La risposta a un fenomeno
ed elettorale. La risposta a un fenomeno di
globale come l’immigrazione
vasta portata tuttavia non può essere affidata
non può essere affidata
esclusivamente a soluzioni nazionali. Ciò non
a soluzioni solo nazionali,
significa dimenticare che l’integrazione
anche se poi
effettiva avviene poi a livello locale, con un
ruolo decisivo delle amministrazioni regionali
l’integrazione effettiva
e comunali. Ma è opportuno ribadire l’imporavviene a livello locale
tanza di configurare strumenti di policy
condivise nell’ambito delle istituzioni sopranazionali, per poter sostenere dinamiche di convivenza interetnica
solide, neutralizzando i potenziali fattori di conflitto.
Il lavoro svolto in tema di discriminazione e razzismo nei
diversi ambiti – istituzionali e non – è fondamentale; nondimeno,
proprio a ragione della situazione attuale, è necessario
aumentare gli sforzi e gli impegni. Dal Rapporto annuale di
Red, così come da altre riflessioni riportate nel presente testo,
è ipotizzabile raffigurare taluni interventi che possano aiutare
a progettare politiche più incisive, tra cui:
effettivo riconoscimento dei diritti fondamentali, anche delle
minoranze, come primo passo verso l’integrazione, in linea con
il Programma di Stoccolma e sulla base della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea e della Convenzione europea
di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
libertàcivili
Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza
Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza
Europa
monitoraggio degli effetti della crisi sull’integrazione, in
relazione alla riduzione delle risorse per le politiche pubbliche
e per le iniziative a favore degli immigrati
analisi dell’impatto della situazione socio-economica sulla
diffusione dei fenomeni di razzismo e xenofobia nei rispettivi Paesi
elaborazione di strumenti, quali indicatori che permettano
di monitorare, valutare e confrontare gli esiti delle politiche di
integrazione, rendendo fruibili e pubblici gli esiti di queste
analisi per aprire un confronto e un dibattito collettivo che
segnali la necessità di combattere razzismo e xenofobia quali
ostacoli per il raggiungimento di società coese e in grado
promuovere sviluppo e benessere.
libertàcivili
Bibliografia
138
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Labor
I nuovi (e)migranti europei
L’i-pad al posto della valigia di cartone e i voli
“low cost” al posto delle traversate oceaniche;
cresce l’emigrazione di giovani europei
dai Paesi mediterranei colpiti dalla crisi verso
le altre nazioni UE e le economie emergenti
di Andrea Stuppini
Il fenomeno
anche italiano
della “fuga
dei cervelli”:
un problema
o una
opportunità?
Il termine “fuga dei cervelli” fu coniato in India negli anni
Cinquanta, quando ci si accorse di un aumento graduale di
emigrazione di indiani con istruzione universitaria (in un primo
momento soprattutto verso il Regno Unito). Negli anni Sessanta
il fenomeno crebbe verso gli Stati Uniti a causa di modifiche
normative e negli anni Settanta riguardò anche Australia e
Canada, dal momento che questi Paesi rettificarono la loro
legislazione discriminatoria verso i non europei e iniziarono ad
incoraggiare la migrazione dei talenti.
Per molto tempo si è citata la “fuga dei cervelli” come grande
fonte di preoccupazione per i Paesi di provenienza, soprattutto
nel settore del personale medico. Come esempio estremo negli
ultimi anni si cita di solito il Malawi, alle prese con una grave
epidemia di Aids, mentre molti medici e infermieri sono attirati
da paghe e condizioni migliori nel Regno Unito. Si dice che
lavorino più medici del Malawi nell’area della Grande Manchester
che nell’intero Paese africano.
Per tutte queste ragioni, la fuga dei cervelli è diventata una
questione politica di rilievo. Ciononostante, i governi dei Paesi
che ricevono immigrazione e le agenzie internazionali sostengono
che la migrazione dei talenti può rappresentare un guadagno sia
per le nazioni di destinazione, sia per quelle di origine.
Lowell e Findlay, due ricercatori dell’OIL (Organizzazione
internazionale del lavoro) di Ginevra nel 2002 hanno usato per
la prima volta il termine di “circolazione dei talenti” al posto di
“fuga dei cervelli”; hanno messo in risalto che sebbene Taiwan
avesse subìto perdite sostanziali di persone qualificate negli
libertàcivili
Dirigente Regione Emilia-Romagna - Rappresentante delle regioni nel Comitato
tecnico nazionale sull’immigrazione
2 0 12 marzo - apr ile
139
I nuovi (e)migranti europei
Labor
anni Sessanta e Settanta, più tardi, quando il settore dell’alta
tecnologia decollò, il governo fu in grado di attrarre i migliori
ingegneri taiwanesi dagli Stati Uniti.
Negli ultimi anni lo sviluppo dei Paesi emergenti e la crisi
dell’area dell’euro sembrano accelerare un curioso capovolgimento.
libertàcivili
Decine
di migliaia
di giovani
europei
sono emigrati
negli ultimi
anni
alla ricerca
di un lavoro,
che non
riescono
più a trovare
nel loro Paese.
La maggior
parte di loro
si sposta
nell’UE
ma qualcuno
segue anche
le rotte
di un secolo fa
140
2 0 12 marzo - apr ile
Quando l’Istat ha segnalato, nel mese di aprile, la perdita
di un milione di posti di lavoro in tre anni per quel che riguarda
i giovani tra i 15 e i 34 anni del nostro Paese, ha indicato una
situazione di malessere sociale ormai così ragguardevole e
che dura da tanto tempo, nella quale la tradizionale funzione
di ammortizzatore della famiglia italiana (che avrebbe riassorbito
circa la metà di questi nuovi disoccupati) non è più sufficiente
e lascia intravedere scenari imprevedibili.
Ad esempio nel dicembre scorso uno dei più autorevoli
quotidiani del mondo, il britannico “The Guardian”, ha dedicato
due servizi al nuovo fenomeno dell’emigrazione di giovani
europei dei Paesi mediterranei più colpiti dalla crisi, verso le
economie emergenti dell’emisfero meridionale.
Ne è uscito un quadro abbastanza impressionante. Decine
di migliaia di giovani europei sono emigrati negli ultimi anni
alla ricerca di un lavoro, che non riescono più a trovare nel
loro Paese. La maggioranza degli spostamenti è avvenuta
indubbiamente all’interno dell’Unione Europea, come nel
passato, ma la vera novità è costituita da una emigrazione
che sembra ripercorrere le rotte di un secolo fa.
Il Paese europeo più colpito dalla crisi, cioè la Grecia,
aveva raggiunto 1,2 milioni di immigrati nel 2011, ma ora a
questi si affiancano altrettanti emigrati (cresciuti con rapidità
negli ultimi tre anni) e l’Ufficio statistico ellenico ne indica le
mete in ordine di importanza: Germania, Australia, Canada,
Albania, Turchia.
Si stima che circa cinquantamila giovani abbiano lasciato
l’Irlanda (che negli anni Novanta era stata soprannominata
“la tigre celtica”) nel 2011, ma nel 2012 si prevede che
saranno settantacinquemila.
Il Portogallo dirige i suoi flussi migratori verso le ex-colonie
e il computo appare piuttosto preciso: l’Angola (con una economia in espansione grazie al petrolio) contava cinquantamila
residenti portoghesi nel 2005 e nel 2011 sono raddoppiati, con
diecimila in più solo nell’ultimo anno. La presenza portoghese
in Mozambico è cresciuta del 30% negli ultimi due anni. Ma
naturalmente è soprattutto verso il Brasile che si dirigono la
libertàcivili
aspettative maggiori: cinquantamila portoghesi in più solo
nell’ultimo anno, circa il 10% dei nuovi immigrati nel 2011.
Per quanto riguarda la Spagna, nella recente campagna
elettorale il candidato del partito popolare Rajoy, che poi è
divenuto primo ministro, aveva denunciato l’esodo di circa
1.200 spagnoli ogni mese verso l’Argentina, uno dei Paesi che
oggi sta praticando una politica di maggiore apertura verso la
nuova emigrazione europea.
Sul fatto che il fenomeno in questione riguardi anche l’Italia,
non ci sono dubbi: negli ultimi anni Sergio Nava (“La fuga dei
talenti”) e Aldo Mencaraglia (“Italians in fuga”) solo per citare
i due più noti, hanno dedicato ad esso gli omonimi libri e siti
internet, che forniscono uno spaccato interessante delle aspettative di coloro che meditano la partenza e delle esperienze
dei giovani italiani che sono già all’estero.
Il sistema delle piccole imprese italiane riesce a creare solo
un piccolo numero di posti di lavoro qualificati, mentre importiamo
badanti e muratori. Questa non è una novità.
Qualche dubbio sulle cifre: l’Aire (Anagrafe italiani residenti
all’estero, registro gestito dal ministero dell’Interno) rappresenta la base dati ufficiale, che parte dalle anagrafi comunali
Labor
I nuovi (e)migranti europei
2 0 12 marzo - apr ile
141
Labor
I nuovi (e)migranti europei
libertàcivili
Dei circa
330mila
giovani
italiani
che hanno
perso il lavoro
nel 2011,
circa il 15%
ne ha trovato
uno all’estero.
I dati
dell’Anagrafe
italiana
residenti
all’estero
segnalano
una crescita
della
emigrazione
soprattutto
dalle regioni
del Nord Italia
142
2 0 12 marzo - apr ile
e censisce coloro che prendono la residenza all’estero per più
di dodici mesi. Si stima tuttavia che almeno la metà non si
registri, mantenendo la residenza in patria, soprattutto quando
lo spostamento avviene all’interno dell’Unione Europea. La
cifra di circa trentamila nuovi emigrati l’anno, negli ultimi anni
andrebbe quindi raddoppiata.
Occorre tener conto che nella maggioranza dei casi, gli
spostamenti sopra descritti avvengono senza avere la certezza
del nuovo posto di lavoro nel Paese di destinazione. Si utilizza
quasi sempre il metodo del visto turistico di tre mesi per cercare
lavoro, contando anche sulla permissività del Paese ospitante
e ove possibile lavorando in nero, esattamente come fanno gli
immigrati in Italia.
Nella filosofia dei nuovi “overstayers”, l’I-pad ha sostituito
la valigia di cartone e i voli “low cost” le traversate oceaniche,
nel senso che in tutta Europa esistono ormai dei flussi continui
basati sul ‘passaparola’ fornito da parenti, amici e conoscenti
che sono già all’estero e sulla ricerca del lavoro direttamente
sul posto. Un ruolo importante lo svolgono anche i progetti
Erasmus. Né si deve pensare che il fenomeno riguardi solo il
lavoro qualificato: ad esempio la crisi del settore edile ha prodotto
un esodo di lavoro manuale dall’Europa mediterranea.
Nel 2011 i dati dell’Aire hanno comunque segnalato una
crescita dell’emigrazione dalle regioni settentrionali italiane,
che denoterebbe un ulteriore salto di qualità. Il magnete del
mercato del lavoro europeo risulta essere sempre più la
Germania, se è vero che nel 2011 i nuovi immigrati residenti
sono risultati quasi 170mila, mentre nel 2010 si erano fermati
a meno di 60mila. Oltre alla Polonia, Grecia, Spagna, Portogallo
e Italia: i Paesi di provenienza confermano i dati precedenti.
Per effetto del calo demografico degli anni Novanta si stima
che la Germania dopo il 2015, avrà bisogno di circa 500mila
nuovi lavoratori ogni anno per rimpiazzare il turn-over e sostenere
il suo sistema produttivo.
Quando si parla di riforma del mercato del lavoro, occorre
sempre più considerare i parametri europei, dove il “modello
tedesco” riesce a garantire salari di ingresso per i diplomati di
quasi 35mila euro l’anno e di oltre 43mila euro per i laureati,
contro i 20.500 euro e i 23.500 euro rispettivamente dell’Italia,
mentre Francia e Gran Bretagna si collocano su valori intermedi.
Se allora dei 330mila giovani Italiani che hanno perso il
lavoro in patria nel 2011, circa il 15% ne ha trovato uno all’estero,
occorrerà riflettere che tra le virtù del cosiddetto modello
tedesco non c’è solo la flessibilità esterna, ma anche quella
libertàcivili
L’ascesa
delle
economie
emergenti
è uno degli
aspetti
della globalizzazione,
ma non
annullerà
i flussi
migratori:
aggiungerà
delle
componenti
circolari
in un mondo
nel quale
le distanze
sono sempre
meno
un problema
interna alle imprese, con organizzazione del lavoro e orari
flessibili, garantite da un sistema tripartito di concertazione e
di relazioni industriali che ha sempre consentito una crescita
della produttività.
Nel corso degli ultimi dieci anni ci sono stati Paesi che sono
stati contemporaneamente fonte di emigrazione e di immigrazione, per il sommarsi di fattori economici e geografici. In
Europa si può citare il caso della Polonia, dalle cui province
occidentali molte persone sono emigrate verso la Germania
mentre contemporaneamente, le più povere province orientali
sono state una meta per chi proviene dall’Ucraina o dalla
Bielorussia.
In America si può citare il Messico: fonte di emigrazione
verso gli Usa e di immigrazione dal Guatemala, dall’Honduras
e da altre repubbliche centroamericane.
Il Pew Research Center di Washington ha calcolato recentemente che tra il 1995 e il 2000, 2.940.000 messicani sono
emigrati negli Usa e 670mila hanno fatto il percorso inverso.
Mentre tra il 2005 e il 2010 i due valori sono quasi equivalenti:
1.390.000 messicani sono tornati in patria, ma 1.370.000 si
sono diretti ancora verso nord.
Questi movimenti di lavoratori possono sembrare contraddittori, ma occorre sottolineare che il mercato del lavoro mondiale
sarà sempre meno diviso tra un nord ricco e un sud povero. La
storia degli ultimi anni è stata quella di un imponente trasferimento di ricchezza verso l’Asia, l’America Latina e ormai
anche l’Africa.
D’altronde nella storia delle migrazioni la famiglia conta
quanto l’economia. Se nuclei familiari si sono formati e figli
sono nati in un Paese ospitante, questi legami ostacolano il
ritorno in patria dei più anziani, anche quando le condizioni
economiche che stavano alla base della migrazione sono
venute meno.
L’ascesa delle economie emergenti è uno degli aspetti della
globalizzazione, ma non annullerà i flussi migratori: aggiungerà
delle componenti circolari in un mondo nel quale le distanze
sono sempre meno un problema.
Labor
I nuovi (e)migranti europei
2 0 12 marzo - apr ile
143
Cittadinanza
Ius culturae,
la via della “generazione 2”
al riconoscimento
della cittadinanza
Il 24 marzo scorso a Verona un nutrito gruppo
di studenti “italiani di fatto”, sostenuti dai loro
compagni di scuola e di università, ha incontrato
politici e cittadini per testimoniare il loro disagio
e reclamare quello che sentono come un diritto
di Carlo Melegari
libertàcivili
Direttore del Cestim
144
Il dibattito politico e giuridico sulla cittadinanza ai figli degli
immigrati stranieri si è arricchito negli ultimi mesi di un nuovo
riferimento di principio, che va ad aggiungersi a quelli classici
dello ius sanguinis (diritto che viene dall’essere figli di un
cittadino) e dello ius soli (diritto che viene dall’essere nati sul
territorio). E a quello più recente dello ius loci
(diritto che viene dall’abitare nel territorio).
Lo ius culturae fa derivare
L’ha introdotto il ministro Riccardi, parlando
il diritto alla cittadinanza
di ius culturae (diritto che viene da una serie
da una serie di indicatori
di indicatori di opzione culturale primaria
culturali, quale ad esempio
tra cui l’aver frequentato, come minore che
l’aver frequentato
risiede sul territorio, le scuole dello stesso) e
le scuole del territorio
suscitando subito reazioni di convinta
adesione, ma anche di perplessità 1 . Perfino
di rifiuto, se la discussione avviene nei salotti televisivi dove
non c’è tempo per l’argomentazione, ma solo per la battuta
demagogica ad effetto.
Nell’equivoco, conoscendo soltanto per sentito dire il
contenuto delle cinquanta e più proposte di legge giacenti in
Parlamento per la riforma del diritto di cittadinanza, è facile
polemizzare sparando nel mucchio. Qualcuno, prendendo alla
lettera lo ius soli e non coniugandolo con lo ius loci e lo ius
culturae come fanno opportunamente i proponenti, ha ipotizzato
1
2 0 12 marzo - apr ile
Vedi Marco Aime su La Stampa del 15/03/2012: “Ius culturae. Ma cosa vuol dire?”
2 Su www.italiasonoanchio.it, si possono trovare tutte le informazioni della
campagna (promotori, obiettivi, svolgimento, risultati, testo della proposta di legge
di iniziativa popolare presentata alla Camera dei deputati con le firme raccolte). Per
informazioni cfr anche libertàcivili n.4/2011, pag.39
3
Per una cronaca dell’evento cfr il quotidiano L’Arena di Verona 25 marzo 2012
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
addirittura Lampedusa come “l’isola dei concepimenti e delle
gravidanze di massa per migranti di comodo provenienti da ogni
parte del mondo”. Bastava e basta un po’ di onestà intellettuale
e un minimo di attenzione nella lettura dell’ultima proposta di
legge sulla cittadinanza, quella della Campagna “l’Italia sono
anch’io” 2, per rendersi conto della ragionevolezza che sta invece
sotto un articolato di legge di riforma semplicemente fondato
sul buon senso.
Buon senso vuol dire che, se a un milione di “italiani di fatto”
viene impedito da una normativa obsoleta di essere anche
“italiani di diritto”, questa normativa va cambiata. Perché in Italia
la situazione vera, non fantasticamente
immaginata, è quella di centinaia di migliaia di
La realtà italiana è fatta
da circa un milione di “italiani bambini nati nel Paese da genitori immigrati
stranieri regolarmente residenti in Italia da
di fatto” che non possono
anni e di centinaia di migliaia di ragazzi e
esserlo anche “di diritto”
giovani sotto i vent’anni che non sono nati
a causa di una normativa
sul nostro territorio, ma vi sono cresciuti freobsoleta che va cambiata
quentando le nostre scuole di ogni ordine e
grado. Per cui conoscono l’italiano meglio
della lingua materna, si riconoscono nella cultura nazionale,
regionale, locale, di classe sociale, di appartenenze plurime
degli italiani (con cui vivono e sentono di dover vivere in futuro
la loro quotidianità) piuttosto che nella cultura di riferimento
primario dei loro genitori. Quando questi bambini, questi ragazzi,
questi giovani, vanno in vacanza (se ci vanno) nel Paese dei
nonni, è là che si sentono stranieri, balbettando una lingua
che hanno imparato solo superficialmente; è là che si sentono
estranei a usi e costumi che loro stessi trovano, nella migliore
delle ipotesi, interessanti per folklore, ma ininfluenti se non
di danno per la loro vita.
È proprio per sostenere questa proposta di buon senso che
una folta rappresentanza provinciale, tutta veronese, di studenti
delle superiori e dell’università, “italiani di fatto, ma non di diritto”,
si è data appuntamento il 24 marzo scorso, a conclusione
della settimana europea contro il razzismo e ogni forma di
discriminazione, al teatro Stimate di Verona 3 . Erano più di
Cittadinanza
Lo ius culturae, la via alla cittadinanza per la “generazione 2”
145
Lo ius culturae, la via alla cittadinanza per la “generazione 2”
libertàcivili
Cittadinanza
trecento. Li hanno raggiunti anche parecchie decine di coetanei,
“italiani di diritto”, solidali con loro, amici d’infanzia e compagni
di scuola ancora “stranieri” soltanto in forza di un riferimento
discriminatorio allo ius sanguinis.
Sostenuti dal Cestim 4 e dalle associazioni del cartello
“Nella mia città nessuno è straniero” 5 hanno invitato autorità
cittadine, esponenti dei partiti, deputati e senatori di Verona
ad assistere alla proiezione del film-documentario “18 ius soli”
del regista Fred Kuwornu, presente in sala, perché si rendessero
conto dell’assurdità e anche della crudeltà dell’attuale normativa
in vigore per l’ottenimento della cittadinanza. Alla proiezione del
film hanno fatto seguire le loro stesse testimonianze – alcune
veramente commoventi – sul disagio del sentirsi discriminati,
appunto, a causa di un preteso ius sanguinis e di un mal
compreso ius soli, quando a rendere il cittadino consapevole
della propria appartenenza a una comunità per doveri, diritti,
dignità e pari opportunità, è semmai lo ius loci che viene dal
rapporto genuino con il territorio (“qui ci abito e qui ci vivo
volentieri”, eco del romano “hic manebimus optime!”) e ancora
di più lo ius culturae che viene dalla lingua parlata (ritenuta
la propria e la più appropriata nelle normali relazioni della
quotidianità) e dal patrimonio di valori, di conoscenze e di
riferimenti identitari interiorizzati frequentando le scuole del
Paese in cui si risiede.
La reazione dei politici presenti (di tutti i partiti, tranne la
Lega che non c’era) è stata di sostanziale adesione all’istanza
di riforma dell’attuale legge. Nel senso di dare finalmente l’importanza dovuta allo ius loci e allo ius culturae. Staremo a vedere.
Ogni anno che dovesse passare invano vorrebbe dire
accrescere di non meno di 100mila unità il numero dei cittadini
discriminati in nome di un principio, quello dello ius sanguinis,
che a volte è stato e continua a essere foriero di razzismo nel
mondo. Facendo soffrire senza ragione un sacco di gente. E
dimenticando la nostra Costituzione e tutte le convenzioni sui
diritti umani che l’Italia ha sottoscritto.
146
2 0 12 marzo - apr ile
4
Per le attività del Cestim cfr. www.cestim.it
5
Per le attività del Cartello cfr. nellamiacittanessunoestraniero.it
Il buon esempio
Per “gettare una rete”
fra Turchia e Italia
Il progetto della Ong Ricerca e Cooperazione
nel settore della pesca punta sulla valorizzazione
delle risorse locali e sull’integrazione culturale
fra comunità omologhe: una via alternativa
all’integrazione nei Paesi di immigrazione
di Laura Cicinelli
L’immigrazione costituisce una sfida enorme per i Paesi di
destinazione, che accolgono uomini e donne provenienti da
nazioni non sempre in grado di far fronte alle esigenze di
emancipazione dalla insicurezza economica
e sociale dei propri cittadini. Si tratta di un
Un approccio alternativo
ai problemi dell’immigrazione fenomeno ormai planetario, il cui rovescio
della medaglia è il fatto che i Paesi di proveè quello che punta sullo
nienza dei migranti si trovano spesso privati
sviluppo locale, per evitare
degli elementi più validi e determinati a
l’impoverimento di risorse
migliorare la loro condizione di vita.
che l’emigrazione comporta
Le sfide che questo fenomeno pone sono
complesse. Molto spesso i problemi legati
all’immigrazione sono affrontati dal punto di vista di chi accoglie
e con riferimento all’integrazione dei migranti nella comunità in
cui arrivano; molto meno considerato, ma ugualmente fecondo
di sviluppi positivi, è l’approccio opposto, che tende a privilegiare iniziative di sviluppo locale promosse o supportate da
comunità omologhe dei Paesi potenzialmente ospiti. Tali iniziative
possono davvero costituire una buona pratica per creare
opportunità di sviluppo da un lato, e un ottimo elemento per
superare barriere culturali indotte dalla mancata opportunità
di un reale scambio di conoscenze.
Un esempio è il progetto “Pesca: costruire reti sostenibili
fra la Turchia e l’Italia”, cofinanziato dalla Unione Europea e
coordinato dalla Ong (organizzazione non governativa) romana
Ricerca e Cooperazione – nell’ambito del programma
“Dialogo della società civile” promosso dal ministero turco
libertàcivili
Ricerca e Cooperazione - project manager
2 0 12 marzo - apr ile
147
per gli Affari con l’Unione Europea. Non è un progetto che
abbia come obiettivo diretto la gestione dei flussi migratori,
o l’integrazione, ma l’iniziativa ambisce ad armonizzare le
pratiche locali della piccola pesca con quelle europee, e a
fornire ai beneficiari (circa 100 pescatori) strumenti utili ad
affrontare il cambiamento che dovrebbe derivare dall’adeguamento, da parte della Turchia, agli standard normativi europei
sulla piccola pesca.
Il progetto si svolge a Seferihisar 1 , un comune a circa 50 km
da Izmir, la città più importante della costa egea della Turchia.
Perché Seferihisar? Perché, sebbene si tratti di uno dei
distretti a reddito più basso delle Regione di
Izmir, può contare su una amministrazione
L’amministrazione locale
lungimirante e propensa a fare leva sulla
di Seferihisar, sede del
valorizzazione delle risorse locali, per miglioprogetto, è attenta nel
rare lo status socio-economico degli abitanti
valorizzare le risorse locali,
dell’area, che conta circa 30mila residenti.
per migliorare le condizioni
Seferihisar è nota in Turchia e all’estero
socio-economiche dei cittadini non solo per le buone pratiche promosse
dalle politiche locali, ma anche per essere
una porta verso l’Europa per le rotte migratorie che provengono
dall’Est, oltre la Turchia. Tristemente famoso e ancora impresso
nella memoria di molti è l’incidente 2 in cui persero la vita
molti migranti, quando la barca che doveva portarli all’isola di
Chios – in Grecia – è affondata, trascinando con sé molti degli
occupanti.
Importanti sono le dinamiche virtuose che il progetto è
stato in grado di innescare in termini di relazioni fra istituzioni
e organizzazioni omologhe di Italia e Turchia (municipalità,
università, Ong e soprattutto cooperative di produttori). Se è
vero infatti che una delle chiavi per promuovere lo sviluppo
sostenibile di comunità a rischio di marginalizzazione è agire
a livello locale per massimizzare il valore economico e sociale
delle risorse endogene alla comunità stessa, è anche fondamentale, soprattutto nel caso di comunità vicine (geograficamente,
storicamente e culturalmente), promuovere la conoscenza
reciproca e lo scambio di idee, conoscenze e risorse.
Le attività del progetto che si svolgono in Turchia si concentrano soprattutto sulla formazione dei produttori in merito
libertàcivili
Il buon esempio
Turchia - Italia: un progetto di cooperazione nel settore della pesca
148
1
2
http://www.seferihisar.bel.tr
http://en.wikipedia.org/wiki/December_2007_Seferihisar,_Turkey_migrant_boat_
disaster
2 0 12 marzo - apr ile
Che cos’è Ricerca e Cooperazione
Ricerca e Cooperazione (RC) è una
Ong italiana senza fini di lucro, impegnata nel settore della cooperazione
internazionale a favore dei Paesi del Sud
del Mondo. In Italia, e più in generale in
Europa, promuove azioni di educazione allo sviluppo. Indipendente, di
ispirazione laica, opera dal 1985 e si
fonda sui valori della solidarietà e
della dignità umana. Gli aspetti chiave
dell’attività di RC sono la salvaguardia
e valor izzazione delle diversità a
rischio di scomparsa, ovvero della
biodiversità, culture indigene e patrimoni culturali, e la promozione dei
diritti fondamentali delle persone, quali
il diritto all’alimentazione, all’istruzione,
alla salute, al lavoro, alla libertà di
movimento e di espressione, alla good
governance. Il leit-motiv della Ong, “più
diversità, meno differenze”, riflette
l’orientamento verso tali filoni di attività,
che guidano l’ideazione e lo sviluppo
di ognuno dei progetti.
Per saperne di più www.ongrc.org
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
alle nuove norme europee sulla piccola pesca – che in gran
parte sono già state adottate dalla Turchia (in molti casi con
connotazioni ancora più restrittive rispetto ai regolamenti
europei, senza peraltro prevedere alcun incentivo economico
per i produttori, come invece avviene ampiamente in Europa)
– e sulla dotazione di strutture adeguate per la commercializzazione sia all’ingrosso che al dettaglio. Il progetto prevede
inoltre visite in Italia e dall’Italia delle cooperative di produttori
e una tavola rotonda finale a cui parteciperanno tutti gli attori
del progetto, italiani e turchi, per scambiarsi opinioni e idee
sulle rispettive realtà locali e sulla capacità del settore di
sopravvivere e prosperare anche in seguito ai cambiamenti
che inevitabilmente stanno investendo il settore della piccola
pesca.
Gli aspetti più interessanti che sono emersi durante lo
svolgimento delle attività del progetto sono stati sicuramente
quelli legati ai momenti di scambio e di reciproca conoscenza
di comunità omologhe delle diverse aree del Mediterraneo.
Per molti di noi, infatti, la Turchia costituisce un elemento
sconosciuto, sia dal punto di vista sociale, sia culturale e tecnico.
D’altra parte, anche i rappresentanti della comunità ospite non
sono privi di pregiudizi, positivi e negativi, sui loro omologhi
europei. Ebbene, la reciproca conoscenza ha sicuramente
aiutato tutti a recuperare una percezione realistica delle
opportunità e dei limiti che comunità analoghe in Europa e nei
Paesi vicini si trovano a fronteggiare; ha aiutato molto i nostri amici
turchi ad acquistare fiducia nelle loro capacità professionali e
Il buon esempio
Turchia - Italia: un progetto di cooperazione nel settore della pesca
149
Il buon esempio
Turchia - Italia: un progetto di cooperazione nel settore della pesca
libertàcivili
ad acquisire una prospettiva più imprenditoriale e dinamica
rispetto alle attività di pesca. D’altro canto, i colleghi italiani
hanno potuto constatare che le barriere culturali che temevano
di incontrare nell’affrontare le attività di progetto erano per lo
più frutto di pregiudizi e disinformazione e che i colleghi turchi,
se adeguatamente supportati a livello istituzionale e tecnico,
non hanno nulla da invidiare ai nostri professionisti della piccola pesca.
In sintesi, la migliore lezione che questo intervento ci ha
ricordato è che il dialogo della società civile può effettivamente essere un motore per lo sviluppo e che le comunità a
rischio di marginalizzazione possono trarre enormi benefici e
vantaggi da iniziative promosse a livello locale che incentivino
la valorizzazione delle risorse autoctone, che facciamo leva
sul capitale umano esistente, sulla sua riqualificazione e sul
supporto tecnico fornito da comunità omologhe. Inoltre, iniziative
del tipo di quella che il progetto ha intrapreso possono davvero
costituire una buona pratica di integrazione culturale. È questo
l’elemento che lega la prospettiva offerta dal progetto alla
tematica quanto mai attuale dell’immigrazione.
150
2 0 12 marzo - apr ile
Minimum media
Comunicare l’immigrazione,
guida pratica per gli operatori
dell’informazione
Promosso dal ministero del Lavoro
e delle Politiche sociali il manuale vuole essere
un sussidio a disposizione dei giornalisti
per conoscere meglio il fenomeno migratorio
e raccontarlo in maniera corretta e imparziale
di Raffaele Miele
Direttore responsabile della rivista “Gli stranieri”
Comodo, facilmente consultabile, il manuale “Comunicare
l’immigrazione”, promosso dal ministero del Lavoro e delle
Politiche sociali e realizzato dalla cooperativa Lai-momo (editrice
della rivista Africa e Mediterraneo) e dal centro studi e ricerche
Idos, vuole essere un sussidio a disposizione dei giornalisti
per conoscere meglio questo fenomeno e raccontarlo in maniera
corretta 1 . È però anche un valido e veloce aiuto per chi non è
specializzato sul tema o semplicemente per chi vuole informarsi.
Il volume è parte del più ampio progetto “Co-In. Comunicare
l’Integrazione”, che prevede sei seminari territoriali rivolti ai
giornalisti (il primo si è tenuto il 6 marzo all’Università per
stranieri di Perugia) e una Spring School, in collaborazione
con gli Ordini professionali regionali, per gli allievi delle scuole
di giornalismo.
Il ruolo fondamentale dei media nella rappresentazione del
fenomeno migratorio impone una riflessione sulla necessità
di garantire la precisione, l’imparzialità e la neutralità dell’informazione giornalistica e una maggiore e più obiettiva copertura
del processo di integrazione. In Italia la comunicazione è
carente sul tema sia per la scelta degli argomenti, con un facile
appiattimento sulla cronaca nera, funzionale ad alimentare
tensioni e messaggi negativi, sia nel dettaglio del linguaggio
La versione pdf del manuale è consultabile sul por tale dell’integrazione del
Gover no http://www.integrazionemigranti.gov.it,e sui siti www.laimomo.it e
www.dossierimmigrazione.it
libertàcivili
I media hanno
un ruolo
fondamentale
nel
rappresentare
il fenomeno
migratorio
e dunque
è necessario
che
l’informazione
da essi
veicolata
sia precisa,
imparziale
e neutra
2 0 12 marzo - apr ile
151
1
Il manuale
fornisce
un ampio
quadro di
riferimento
sulla
immigrazione,
dati e
informazioni.
I primi due
capitoli sono
dedicati
alla storia
del fenomeno
migratorio
e della
legislazione
in Italia
libertàcivili
Minimum media
Una guida pratica per gli operatori dell’informazione
152
utilizzato 2 . Con questo progetto il ministero del Lavoro e delle
Politiche sociali fa un investimento sulla conoscenza, che si
rivela spesso carente, e sulle azioni per favorirla, perché il
comunicatore che non sa cade nel facile stereotipo.
Il manuale tratta l’immigrazione fornendo un ampio quadro
di riferimento, dati e informazioni che potranno successivamente
essere aggiornati consultando direttamente le fonti, riportate
in un elenco di siti ragionato: siti istituzionali, fonti europee,
siti giuridici, statistici, della società civile.
Il primo capitolo delinea lo scenario migratorio attraverso la
storia della trasformazione dell’Italia da Paese di emigrazione
in Paese di immigrazione, con l’anno 1975 a fare da spartiacque,
toccando, tra gli altri, i temi dell’integrazione sociale e culturale,
della cittadinanza e delle diverse fedi religiose.
Il secondo capitolo traccia un quadro legislativo e delle
competenze delle diverse istituzioni. Interessante la cronologia
della legislazione sull’immigrazione in Italia, importante perché
descrive la storia del rapporto tra lo Stato italiano e l’immigrazione, fenomeno poco conosciuto e all’inizio regolato con
circolari. Il primo intervento legislativo è del 1986 con la legge
943, cosiddetta “legge Foschi”, approvata a larghissima
maggioranza. I principi generali garantivano piena parità di
trattamento dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie
rispetto agli italiani, assicurando condizioni di vita idonee
all’inserimento nella società. Venivano istituiti una consulta e
un servizio per i problemi dei lavoratori immigrati e delle loro
famiglie (è degno di nota il fatto che i lavoratori siano sempre
considerati “con le loro famiglie”) e disciplinate la programmazione e le procedure per l’accesso all’occupazione; all’Inps
veniva istituito un fondo per il rimpatrio dello straniero senza
mezzi economici. Non era prevista, peraltro, una disciplina
specifica dell’espulsione.
La legge Foschi inaugura la serie delle regolarizzazioni “a
sanatoria”, escludendo la punibilità di illeciti pregressi per
consentire l’emersione dell’immigrazione clandestina. I
successivi interventi legislativi, la cui approvazione fu via
via più contrastata, datano 1990, 1995, 1998 (il Testo unico
sull’immigrazione), 2002 (la cosiddetta “Bossi-Fini”) e 2009,
anni nei quali sono sempre state varate anche delle regolarizzazioni, a causa dell’insufficienza delle quote per assorbire
2
2 0 12 marzo - apr ile
vedi libertàcivili n. 3/2010 e n. 2/2011
tutti quelli che di fatto entravano nel mercato del lavoro.
Il terzo capitolo delinea la situazione europea. Una sintesi
comparata utile a fare un confronto con la situazione degli
altri Stati membri per quanto riguarda la quantificazione delle
presenze, l’integrazione, i requisiti per l’ingresso e il soggiorno.
Il quarto capitolo è riservato al rapporto tra i media italiani
e l’immigrazione che, nonostante le carenze sopra descritte,
evidenzia la riflessione che il mondo del giornalismo ha portato
avanti sul tema, dalla trasmissione Rai Nonsolonero alla Carta
Minimum media
Una guida pratica per gli operatori dell’informazione
1. Elaborazione di un handbook da
distribuire nelle redazioni stampa, radio
tv e web di rilievo nazionale e locale,
relativo al tema dell’immigrazione e al
rapporto tra mass media e integrazione
volto a veicolare buone pratiche e
storie positive aventi per protagonisti
cittadini immigrati. L’handbook fornirà
anche una disamina del quadro di
riferimento relativo al riparto di competenze istituzionali in materia di
immigrazione, dati quantitativi e indicatori territoriali che mettano in luce i
benefici del fenomeno migratorio per la
società ospitante; proporrà una sintesi
comparativa a livello europeo delle
principali norme che regolano l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e
dei principali indici di integrazione e
offrirà, infine, esempi di buone prassi
comunicative tratte da differenti contesti
mediatici e racconti di storie di migrazione di successo.
2. Organizzazione, in cooperazione con
gli Ordini dei giornalisti regionali, di sei
seminari di aggiornamento tenuti da
personalità di spicco del mondo dell’informazione attive nel settore immigrazione, disseminati tra i capoluoghi
regionali più rilevanti per quanto con-
cerne la presenza migratoria e rivolti
a giornalisti (stampa, radio, tv e web) di
testate e emittenti con copertura regionale. Ognuno dei seminari affronterà
l’analisi generale dello scenario migratorio in Italia, proponendo fatti di cronaca
specifici aventi a oggetto il rapporto
immigrazione/integrazione, raccontati
tramite supporti documentali video di
breve durata. Nella trattazione delle
tematiche sarà utilizzato e diffuso
l’handbook.
3. Organizzazione di una Spring School,
rivolta a 50 giovani giornalisti, allievi
delle Scuole di giornalismo riconosciute
dall’Ordine, selezionati a seguito di
un concorso volto a vagliare, tramite
una commissione coordinata dalla
direzione generale dell’Immigrazione
e delle Politiche di integrazione del
ministero del Lavoro e delle Politiche
sociali, i migliori articoli, inchieste e
reportage inerenti all’integrazione e
all’immigrazione. Alla Spring School
parteciperanno come relatori esperti sul
tema dell’immigrazione e dell’integrazione provenienti dal mondo accademico, dal giornalismo e dalle pubbliche
amministrazioni.
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Le attività previste dal progetto Co. In. Comunicare l’Integrazione:
153
Minimum media
Una guida pratica per gli operatori dell’informazione
libertàcivili
Un capitolo
è dedicato
alle storie
positive
nel campo
delle
professioni,
della
letteratura,
dell’arte,
dello sport
e della
vita sociale
154
2 0 12 marzo - apr ile
di Roma della Federazione nazionale della stampa e dell’Ordine
dei giornalisti, con una sintesi delle linee guida per una corretta
informazione sulla migrazione e sull’importanza del parlare
corretto, che trova un utile contributo nel glossario in fondo al
manuale, con 44 voci, definizioni e rimandi. Viene proposta
una carrellata di buone pratiche, evidenziata la valenza degli
osservatori, dei media multiculturali e delle “scritture migranti”
che hanno “arricchito il panorama culturale italiano ma anche
positivamente contaminato la nostra lingua”.
Il quinto capitolo è una raccolta di storie positive nel campo
delle professioni, della letteratura, dell’arte, dello sport, della
vita sociale. L’artista iracheno Ali Assaf, naturalizzato italiano,
che si ispira a Caravaggio e ha curato il padiglione Iraq alla
biennale di Venezia 2011, l’attivista e poetessa brasiliana in lizza
per il premio Nobel Márcia Theóphilo, il farmacista palestinese
Jabarin Fakher, che a Napoli ha rilevato una farmacia, sono
solo alcuni dei protagonisti di queste storie, che testimoniano
dell’arricchimento culturale dell’intera società.
Accompagnano la lettura, a margine dei capitoli, con un
espediente grafico accattivante, alcune citazioni e riflessioni
sul tema, come quella dello storico burkinabè Joseph Ki-Zerbo:
“quando si è profondamente radicati, si è pronti a tutte le
aperture, porosi a tutti i soffi del mondo”.
L’informazione corretta è un obiettivo perseguibile, parlare
in positivo è la raccomandazione dell’Unione Europea e di altre
organizzazioni internazionali. Ed è lo spirito che anima questa
pubblicazione perché, come auspica Natale Forlani, direttore
generale dell’Immigrazione e delle Politiche di integrazione
del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, “il fenomeno
migratorio è un fenomeno complesso, dalle molteplici sfaccettature e che in tale sua ricchezza deve essere raccontato
e percepito”.
(s.n.)
Documentazione
e Statistiche
a cura di Stefania Nasso
Documentazione e Statistiche
Emergenza nomadi:
sospesa l’esecutività
della sentenza 6050 /11
del Consiglio di Stato
di Vincenzo Cesareo
Segretario generale della fondazione Ismu
libertàcivili
Il 9 maggio scorso il Consiglio di Stato ha sospeso l’efficacia
della propria sentenza 6 0 5 0/2011 con la quale dichiarava
l’illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza per
la presenza dei nomadi nei territori di Roma, Milano e Napoli,
stato di emergenza dichiarato nel maggio 2008 e prorogato fino
al 31 dicembre 2011 (Dpcm del 21 maggio 2008 e successivi).
Tale decisione accoglie l'istanza cautelare con cui l’Amministrazione ha rappresentato le gravi conseguenze, anche
patrimoniali, che deriverebbero da un’interruzione delle attività
avviate in esecuzione degli atti oggetto di impugnazione e annullamento. Nel concedere la misura cautelare, però, il Consiglio di
Stato ribadisce la motivazione della sentenza per ora sospesa
chiarendo che “i rapporti civilistici instaurati con terzi sulla
base degli atti censurati, ancorché non automaticamente travolti
per effetto della sentenza gravata, risultano comunque fondati su
procedure amministrative (appalti o espropri) in relazione alle quali
è venuto meno il potere a monte nel cui esercizio erano state
indette, in modo da esporre l’Amministrazione ai rischi – anche
di tipo risarcitorio e contabile – connessi all’eventuale scelta di
proseguire un’attività ormai qualificabile in carenza di potere”.
La sospensiva segue il ricorso per l’annullamento della stessa
sentenza, presentato il 15 febbraio alla Corte di cassazione
dalla Presidenza del Consiglio, dal dipartimento della Protezione
civile, dal ministero dell’Interno e dalle prefetture di Roma, Milano
e Napoli, secondo cui, essendo la dichiarazione dello stato di
emergenza (strumento di gestione di eventi straordinari previsto
dalla legge istitutiva del servizio di Protezione civile) un atto di
“alta amministrazione” e come tale caratterizzato da elevata
discrezionalità, il Consiglio di Stato è andato oltre il limite del
proprio potere giurisdizionale, estendendo il sindacato di legittimità
alle valutazioni di merito riservate all’autorità amministrativa
(contro le decisioni del Consiglio di Stato, giudice di ultima istanza
le cui sentenze non sono impugnabili, il ricorso in Cassazione è
ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione).
156
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
La vicenda prende il via dalla richiesta di annullamento
della dichiarazione dello stato di emergenza per la presenza
dei nomadi in Campania, Lazio e Lombardia, presentata al Tar
del Lazio da due appartenenti alla comunità rom e dalla
European Roma Rights Foundation Centre. Il Tar, con sentenza
6352/2009, aveva parzialmente accolto il ricorso annullando la
norma sui rilievi segnaletici e alcune disposizioni regolamentari
lesive delle libertà personali e del diritto al lavoro, ma riconoscendo la necessità dello stato di emergenza. Contro la sentenza
del Tar entrambe le parti (per motivi opposti) sono ricorse al
Consiglio di Stato che, con la sentenza 6050/2011, ha affermato
invece l’illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza
per difetto dei presupposti. Di conseguenza anche tutti gli atti
dei Commissari delegati per l’emergenza risultano adottati in
carenza di potere e quindi illegittimi, salva la facoltà dell’Amministrazione di sanare il vizio di incompetenza attraverso una
riedizione o convalida dei singoli atti (vedi libertàcivili n. 6/2011
pg 153-154).
Secondo il ministro Riccardi il ricorso per Cassazione è di
“natura tecnica” e non cambia la linea governativa di considerare
superata la fase emergenziale. Anche per il ministro Cancellieri
non si rilevano più le ragioni per rinnovare lo stato di emergenza
(durato altri tre anni) e prova ne è la presentazione alla
Commissione Europea, il 28 febbraio scorso, della Strategia
nazionale di inclusione dei rom, sinti e caminanti finalizzata a
favorire specifiche politiche di integrazione.
In materia interviene anche il D.l 15 maggio 2012, n. 59
“Disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile”,
attualmente in fase di conversione, che innova la disciplina
dello stato di emergenza e del potere di ordinanza, stabilendo
poi che lo stato di emergenza non potrà “superare i sessanta
giorni” e potrà essere rinnovato di regola “per non più di quaranta
giorni”. In particolare dispone la riassegnazione al ministero
dell’Interno delle somme non ancora impegnate dai Commissari
delegati per l’emergenza nomadi per il necessario completamento
funzionale degli interventi già programmati.
Documentazione e Statistiche
Emergenza nomadi sospesa l’esecutività della sentenza del Consiglio di Stato
2 0 12 marzo - apr ile
157
Hanno collaborato a libertàcivili
Francesca Locatelli
Cristiano Marini
Enrico Melis
Mario Morcone
Marco Omizzolo
Luca Pacini
Giuseppe Roma
Stefano Sampaolo
Augusto Venanzetti
Mario Morcone
Maria Assunta Rosa
Alfonso Rosolia
Peter Schatzer
Le interviste
Isabella Bertolini
Alberto Bombassei
Gianclaudio Bressa
Michel Camdessus
Domenico Lucano
Morena Piccinini
Consuelo Rumi
Maurizio Sacconi
Fouad Twal
libertàcivili 1/10
libertàcivili 4 /10
Gian Carlo Blangiardo
Enzo Cheli
Luigi De Andreis
Guerino Di Tora
Renato Franceschelli
Daniela Ghio
Mario Giro
Antonio Golini
Nunzia Marciano
Mario Morcone
Vinicio Ongini
Nadan Petrovic
Stefano Rolando
Giulio M. Salerno
Volker Türk
Antonio Maria Vegliò
Foad Aodi
Carlo Cardia
Anna Di Bartolomeo
Ester Dini
Antonio Golini
Pina Lalli
Agostino Marchetto
Bruno Mazzara
Enrico Melis
Mario Morcone
Carlo Nicolais
Maruan Oussaifi
Anna Prouse
Francesca Rinaldo
Maria Virginia Rizzo
Maria Assunta Rosa
libertàcivili
libertàcivili 2/10
Carlo Borgomeo
Vincenzo Cesareo
Federico Cingano
Giuseppe De Rita
Renato Franceschelli
Antonio Golini
Cristiano Marini
Alessio Menonna
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili 3/10
Rita Bichi
Arianna Caporali
Enrico Cesarini
Antonella Dinacci
Andrea Fama
Paolo Garimberti
Daniela Ghio
Chiara Giaccardi
Giovanna Gianturco
Guia Gilardoni
Giampiero Gramaglia
Roberto Natale
Viorica Nechifor
Mario Morcelini
Mario Morcone
Angela Oriti
Nando Pagnocelli
Antonello Petrillo
Lorenzo Prencipe
Maria Vittoria Pontieri
Serenella Ravioli
Alessandra M.Straniero
Le interviste
Fedele Confalonieri
Sergio Zavoli
Le interviste
Elisabetta Belloni
Carolina Lussana
Cecilia Malmström
libertàcivili 6/10
Alberto Bordi
Piero Alberto Capotosti
Klodiana C¸ uka
Andrea De Martino
Antonio Golini
Marco Lombardi
Manuela Lo Prejato
Antonio Marzano
Massimiliano Monnanni
Mario Morcone
Gabriele Natalizia
Piero Raimondi
Giovanni Giulio Valtolina
Marco Villani
Le interviste
Marou Amadou
Howard Duncan
Franco Frattini
Demetrios
Papademetriou
libertàcivili 5 /10
Alfredo Alietti
Alfredo Agustoni
Alberto Bordi
Vasco Errani
Andrea Fama
Giovanna Gianturco
Antonio Golini
Maurizio Guaitoli
Anna Italia
Valeria Lai
2010
Le interviste
Gianni Amelio
Zygmunt Bauman
Maria Stella Gelmini
Roberto Maroni
158
Le interviste
Sergio Chiamparino
Flavio Tosi
Hanno collaborato a libertàcivili
Laura Zanfrini
Le interviste
Luca Artesi
Antonello Folco Biagini
Carmelo M. Bonnici
Natale Forlani
Andrea Segre
libertàcivili 1/11
libertàcivili 4 /11
Maurizio Ambrosini
Elena Besozzi
Gian Carlo Blangiardo
Guia Gilardoni
Graziella Giovannini
Antonio Golini
Gaia Peruzzi
Angela Pria
Stefania Rimoldi
Maria Virginia Rizzo
Maria Assunta Rosa
Mariagrazia Santagati
Milena Santerini
Mohamed A.Tailmoun
Giovanni Giulio Valtolina
Attilio Balestrieri
Corrado Beguinot
Alberto Bordi
Raffaele Bracalenti
Alessia Damonte
Andrea Fama
Massimiliano Fiorucci
Chiara Giaccardi
Mario Giro
Alfonso Molina
Roberto Mongardini
Ban Ki Moon
Maria Paola Nanni
Marco Omizzolo
Franco Pittau
Angela Pria
Enzo Rossi
Vincenzo Scotti
Francesco Vecchio
Luca Vitali
Berna Yilmaz
Le interviste
Graziano Delrio
Valeria Benvenuti
Vincenzo Cesareo
Ennio Codini
Giuseppe Del Ninno
Andrea Fama
Antonio Golini
Roberto Leone
Maria Paola Nanni
Stefano Pelaggi
Franco Pittau
Maria Vittoria Pontieri
Angela Pria
Enrico Quintavalle
Giuseppe Roma
Francesca Serva
Laura Zanfrini
Le interviste
Sonia Viale
libertàcivili 2/11
Paula Baudet Vivanco
Marinella Belluati
Alberto Bordi
Emanuela Casti
Andrea Fama
Guia Gilardoni
Anna Italia
Marcello Maneri
Anna Meli
Mario Morcellini
Angela Pria
Enrico Pugliese
Serenella Ravioli
libertàcivili 6/11
libertàcivili 5 /11
Miguel Angel Ayuso
Guixot
Valeria Benvenuti
Maria Bombardieri
Alberto Bordi
Marco Bruno
Paolo Cavana
Le interviste
Gregorio Arena
Otto Bitjoka
Stefano Zamagni
2 0 12 marzo - apr ile
libertàcivili
Vincenzo Cesareo
Enrico Cesarini
Enzo Cheli
Ennio Codini
Andrea Fama
Monia Gangarossa
Antonio Golini
Nelly Ippolito Macrina
Angelo Malandrino
Massimo Montanari
Lara Olivetti
Marco Omizzolo
Nadan Petrovic
Mariavittoria Pisani
Angela Pria
Gianfranco Ravasi
Giuseppe Roma
Le interviste
Riccardo Di Segni
Adnane Mokrani
2011
Le interviste
Erri De Luca
libertàcivili 3/11
Andrea Fama
Alessandro Ferrari
Silvio Ferrari
Stefania Fragapane
Antonio Golini
Alessandro Iovino
Giovanni la Manna
Roberto Mazzola
Enrico Melis
Cesare Mirabelli
Mario Morcellini
Vincenzo Paglia
Angela Pria
Veronica Riniolo
Annavittoria Sarli
Sandra Sarti
Claudio Siniscalchi
159
Hanno collaborato a libertàcivili
libertàcivili 1/12
Gianluca Bascherini
Alberto Bordi
Antonello Ciervo
Andrea Fama
Natascia Marchei
Raffaele Miele
Paolo Morozzo
della Rocca
Stefano Pelaggi
Daniele Pellegrino
Paolo Pomponio
Angela Pria
Luisa Prodi
Andrea Romano
160
2012
libertàcivili
Le interviste
Franco Ferrarotti
2 0 12 marzo - apr ile
11:59
Pagina 1
Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani
e stranieri allora vi dirò che io reclamo il diritto
di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato,
privilegiati ed oppressori dall’altro.
Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri.
NEL PROSSIMO NUMERO
2/12
L’arte dei migranti
MARZO- APRILE
BIMESTRALE DI STUDI
E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI
DELL’IMMIGRAZIONE
don Lorenzo Milani
libertàcivili
31-05-2012
libertàcivili
libertàcivili
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Realizzato con il contributo del Fondo Europeo per l’Integrazione
dei cittadini di Paesi terzi
BIMESTRALE
DI STUDI
E DOCUMENTAZIONE
SUI TEMI
DELL’IMMIGRAZIONE
BIMESTRALE
DI STUDI
E DOCUMENTAZIONE
SUI TEMI
DELL’IMMIGRAZIONE
Primo Piano / I colori
del welfare
In questo numero interventi di: Andrea Riccardi
Stefania Aristei
Carlo Devillanova
Flavio Felice
Natale Forlani
Oscar Gaspari
Marco Omizzolo
Lorenzo Prencipe
Giuseppe Roma
Andrea Stuppini
Maurizio Trabuio
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I colori del welfare