11:59 Pagina 1 Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato, privilegiati ed oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri. NEL PROSSIMO NUMERO 2/12 L’arte dei migranti MARZO- APRILE BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE don Lorenzo Milani libertàcivili 31-05-2012 libertàcivili libertàcivili Esec_Copertina02/12.qxd Realizzato con il contributo del Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di Paesi terzi BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE Primo Piano / I colori del welfare In questo numero interventi di: Andrea Riccardi Stefania Aristei Carlo Devillanova Flavio Felice Natale Forlani Oscar Gaspari Marco Omizzolo Lorenzo Prencipe Giuseppe Roma Andrea Stuppini Maurizio Trabuio libertàcivili 2/12 BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE libertàcivili BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE Primo Piano / I colori del welfare In questo numero interventi di: Andrea Riccardi Stefania Aristei Marco Omizzolo Carlo Devillanova Lorenzo Prencipe Flavio Felice Giuseppe Roma Natale Forlani Andrea Stuppini Oscar Gaspari Maurizio Trabuio Rivista bimestrale del dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del ministero dell’Interno Piazza del Viminale 1- 00184 Roma tel. 06 4 6 5 2 5 8 6 9 fax 06 4 8 2 7 2 0 9 [email protected] www.libertacivili.it Comitato scientifico Presidente Enzo Cheli Vice presidente emerito della Corte costituzionale Componenti Vincenzo Cesareo Professore emerito di Sociologia generale - Università cattolica del Sacro Cuore - Milano Mario Giro Responsabile per le relazioni internazionali Comunità di Sant’Egidio Antonio Golini Professore emerito, già ordinario di Demografia - “Sapienza” università di Roma libertàcivili Stampa Tipografia Iprint Srl Via Tiburtina Valeria km 18,300 00012 Guidonia-Montecelio Roma Serenella Ravioli Responsabile ufficio comunicazione istituzionale del ministero dell’Interno Anno III Secondo bimestre 2 012 finito di stampare giugno 2012 Giuseppe Roma Direttore generale CENSIS libertàcivili 2 Riccardo Compagnucci Prefetto - vice capo dipartimento vicario per le Libertà civili e l’Immigrazione Angelo Malandrino Prefetto - Autorità responsabile del “Fondo europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi terzi” 2007- 2013 Mario Morcellini Preside della facoltà di Scienze della comunicazione - “Sapienza” università di Roma 2 0 12 marzo - apr ile Direttore editoriale Angela Pria Prefetto - capo dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione Direttore responsabile Giuseppe Sangiorgi Redazione Alessandro Grilli Claudia Svampa Responsabile organizzativo Stefania Nasso Progetto grafico Studio Francesca Cantarelli Milano Fotografie Copertina © Ansa | Ettore Ferrari; pag.11 © Ansa | Franco Cufari; pag. 25 - 60 - 67 © Ansa | Ciro Fusco; pag. 33 © Ansa | Fabio Campana; pag.49 © Ansa | Uffico Stampa Bioparco; pag.72 © Ansa Archivio | Daniel Dal Zennaro; pag. 80 © www.inmp.it pag. 86 © Ansa | Luca Zennaro; pag. 91 © Ansa | Claudio Porcarelli; pag.121 © Ansa-Epa | Tannen Maury; pag. 141 © Ansa | Alessandro Di Meo Coper tina Studio Francesca Cantarelli Autorizzazione Tribunale di Milano n. 579 del 18.12.2009 Bimestrale - Poste Italiane Spa Sped. in Abb. Post. - D.L.353/2003 (conv. in L. 27.02.2004 n.46) art.1, comma 1 DCB Milano Copyright © 2 011 by Ministero dell’Interno Editoriale Se fosse l’Italia il baluardo contro la crisi del welfare? 5 Indice di Angela Pria L’intervento Insieme istituzioni e corpi sociali, questo il cuore del problema 8 Operatori, beneficiari, contribuenti di Giuseppe Roma 13 Immigrazione e welfare, un rapporto difficile di Flavio Felice e Lorenzo Prencipe 21 I benefici della presenza e i rischi dell’esclusione di Carlo Devillanova 28 Includere gli immigrati nel sistema di welfare è la sfida del futuro di Marco Omizzolo 35 Si scrive welfare state, si legge welfare locale di Oscar Gaspari 44 L’accesso degli stranieri alle prestazioni sociali nel quadro internazionale, comunitario e interno di Stefania Dall’Oglio 52 Per un mercato del lavoro più moderno e trasparente nei servizi alla persona di Natale Forlani 65 Ripensare le politiche migratorie in tempo di crisi di Rodolfo Giorgetti 70 Il ministro Balduzzi: grazie all’INMP l’Italia è capofila nell’UE e nell’OMS per le cure ai migranti di Claudia Svampa 78 La scheda / Sani ma non troppo: lo stato di salute degli stranieri in Italia 82 Un agente al servizio della comprensione reciproca fra culture diverse di Stefania Aristei 88 La mediazione interculturale, una possibilità d’integrazione: l’esempio del Belgio di Mariavittoria Pisani 97 La strada dell’integrazione par te dalla casa di Maurizio Trabuio 105 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Primo Piano Intervista al ministro Andrea Riccardi 3 Le Rubriche Indice La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa di Stefania Nasso 117 Europa Italia vs razzismo, xenofobia e discriminazioni: luci e ombre dal Rapporto RED di Alfredo Alietti e Veronica Riniolo 130 Labor I nuovi (e)migranti europei di Andrea Stuppini 139 Cittadinanza Ius culturae, la via della “generazione 2” al riconoscimento della cittadinanza di Carlo Melegari 14 4 Il buon esempio Per “gettare una rete” tra Turchia e Italia di Laura Cicinelli 147 libertàcivili Documentazione e Statistiche Minimum media 4 2 0 12 marzo - apr ile Comunicare l’immigrazione, guida pratica per gli operatori dell’informazione 151 Emergenza nomadi: sospesa l’esecutività della sentenza 6050 /11 del Consiglio di Stato 156 di Angela Pria Editoriale Se fosse l’Italia il baluardo contro la crisi del welfare? I 1 Colin Crouch, Postdemocrazia, Laterza, 2009 2 Wolfgang Reinhard, Storia dello stato moderno, il Mulino, 2010, pp.111-112 3 Sabino Cassese, L’Italia: una società senza stato?, il Mulino, 2011 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili l sociologo inglese Colin Crouch ha sostenuto che lo Stato occidentale avrebbe, da alcuni decenni, intrapreso una parabola discendente quanto al tasso di democraticità 1, perdendo altresì quelle spiccate caratteristiche “sociali” acquisite a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale: democrazia e welfare state risulterebbero, in questo senso, due facce della stessa medaglia. Capire le ragioni e soprattutto il momento in cui lo Stato liberal-democratico sia entrato in crisi, sempre ammesso che tale teoria sia fondata, è questione tuttora al centro di un articolato dibattito. Lo storico tedesco Wolfgang Reinhard, ad esempio, ha sostenuto che la crisi del modello occidentale di Stato sarebbe coincisa con quella dei regimi del socialismo reale: “La scomparsa del socialismo reale costituisce, in tal senso, un aiuto. Durante la guerra fredda, infatti, lo stato sociale era stato promosso anche per rendere i lavoratori insensibili alle lusinghe provenienti dai paesi dell’est. Nel frattempo, però, i diritti dei lavoratori dipendenti e le garanzie sociali non fanno più parte del sistema di difesa occidentale, ma oramai sono soltanto ostacoli alla massimizzazione dei profitti ” 2. La tematica potrebbe assumere contorni ancor più problematici nel caso italiano laddove alla crisi del modello statuale occidentale si aggiungerebbe, secondo alcuni studiosi, la storica debolezza di uno Stato del quale abbiamo da poco festeggiato i centocinquant’anni dalla formazione 3. Pessimismo aggiunto ad altro pessimismo, si potrebbe dire, soprattutto in un momento delicato come quello attuale in cui l’Italia, anche a seguito delle politiche europee di controllo 5 E se fosse l’Italia il baluardo contro la crisi del welfare? libertàcivili Editoriale dei debiti sovrani, è impegnata in un processo di contenimento della spesa pubblica che, inevitabilmente, pone il problema di come rimodulare la spesa necessaria per il finanziamento del cosiddetto welfare. Eppure ritengo si possa sostenere che proprio in Italia il percorso eventualmente intrapreso dallo Stato sul crinale della parabola teorizzata da Colin Crouch, prima o poi, sia destinato quanto meno ad arrestarsi, se non a invertire la sua direzione. Più di una ragione può essere invocata a sostegno di questo pensiero. Innanzi tutto vi sono ragioni di tipo storico, se si pensa alla sensibilità che da sempre gran parte della classe dirigente italiana ha manifestato per la tutela dei diritti sociali dei cittadini e dei lavoratori. Penso, ad esempio, alle politiche dei governi Crispi e Giolitti, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del XX secolo, contro lo sfruttamento del lavoro minorile o alle politiche in favore del graduale innalzamento dell’obbligo scolastico o volte all’introduzione di un insieme di norme sull’assistenza e la previdenza. Politiche incentivate anche dalle nascenti organizzazioni come il partito socialista di Andrea Costa o di Filippo Turati, l’Opera dei congressi di Filippo Meda e di don Romolo Murri o la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL) nata nel 1906. Un percorso proseguito persino durante i primi anni del regime fascista, seppur nell’ottica dello stato autoritario, soprattutto attraverso l’opera di Giuseppe Bottai che, a partire dal 1927, con la Carta del lavoro, teorizzò il corporativismo economico-sindacale come modello organizzativo dello Stato; progetto che entusiasmò giovani intellettuali del calibro di Ugo Spirito che, finita la guerra, sarebbero poi divenuti punti di riferimento della sinistra repubblicana. Un’idea, quella del corporativismo, recuperata anche durante il dibattito in Assemblea costituente, quando Costantino Mortati cercò di sostenere, a dire il vero senza grandi risultati, che nella nascente Repubblica si sarebbero dovute prevedere forme di rappresentanza democratica del mondo produttivo e dei lavoratori: in questo senso l’art. 99 della Costituzione sul Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è una delle conseguenze di quella che può essere definita la via italiana al corporativismo democratico. Poi l’avvento della Repubblica con l’elaborazione di una avanzata normativa, negli anni Sessanta e Settanta, in tema di sistema 6 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili scolastico, sistema sanitario e tutela dei diritti dei lavoratori. Anche la Chiesa cattolica ha contribuito al percorso di rafforzamento dello stato sociale italiano e ciò sulla scorta di una dottrina sociale che nell’enciclica del 1891 di Leone XIII, denominata “Rerum Novarum”, ebbe uno dei suoi principali punti di riferimento. A presidio del nostro welfare vi è poi, al di là di tutto, la garanzia giuridica costituita dal secondo comma dell’art. 120 della Costituzione secondo cui “Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni … quando lo richiedano... la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, molti dei quali rinvengono in essa una puntuale disciplina. Prestazioni che assumono spesso la forma di tipici servizi erogati dalla pubblica amministrazione ai cittadini e sul cui livello qualitativo proprio i prefetti sono chiamati a vigilare ai sensi dell’art.11 D.Lgs 300 /19 9 9 e 7 del Dpr 180/2006. In definitiva, ritengo che il nostro welfare state, anche se in fase di rimodulazione, non versi in uno stato di crisi. Esso è un patrimonio di valori e di tradizioni storiche tutelato giustamente dal nostro ordinamento a garanzia di tutti, cittadini e stranieri. Editoriale E se fosse l’Italia il baluardo contro la crisi del welfare? 2 0 12 marzo - apr ile 7 L’intervento Insieme istituzioni e corpi sociali, questo il cuore del problema Il ministro per la cooperazione internazionale e l’integrazione Riccardi: “dedicare un dicastero a questi temi è un’operazione culturale, politica e di governo. Vuol dire che la stagione della immigrazione intesa solo come emergenza è finita” libertàcivili Intervista raccolta da Giuseppe Sangiorgi 8 Professor Riccardi, l’aver dato vita a uno specifico ministero per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione ha segnato un punto di svolta istituzionale in tema di politica per l’immigrazione. Ma concretamente che cosa è necessario fare per sottrarre sempre più il complesso dei problemi di questo settore alla sfera della paura e collocarli nella sfera della speranza? C’è una questione culturale prima ancora che politica di comprensione dei diversi aspetti dell’immigrazione? L’istituzione del ministero è stata insieme un’operazione culturale, politica e di governo. Il fatto che ci sia un dicastero dell’integrazione vuol dire una cosa importante: che la stagione dell’immigrazione vissuta L’immigrazione è una grande come emergenza, come provvisorietà è finita. pagina del nostro Paese, O almeno, l’immigrazione non è solo Lampeè l’integrazione di decine dusa, non è solo il provvedimento tampone. di migliaia di uomini L’immigrazione è una grande pagina del e di donne nella società nostro Paese, è l’integrazione di decine di migliaia di uomini e di donne nella società italiana. Perciò è una italiana. È come se una nuova regione si questione bipartisan fosse aggiunta all’Italia, perciò è una questione da affrontare tutti insieme da affrontare tutti insieme, come quando nell’Ottocento e nel Novecento si discutevano le grandi questioni dei confini della patria. Purtroppo il tema dell’immigrazione viene invece affrontato in modo conflittuale, nervoso, polemico. L’integrazione degli immigrati al contrario è un passaggio decisivo per la costruzione della nuova società italiana. 2 0 12 marzo - apr ile 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Paura e speranza indicano la necesdi questo tessuto che si deve rigenerare. sità di passare dall’affanno dell’emerNon è un richiamo moralistisco. Intorno genza a un respiro regolare della politica alla famiglia occorre tornare a sviluppare sui diversi aspetti dell’immigrazione. una cultura della solidarietà, del legame, Intorno a quali priorità condivise questo della comunità: la paura viene perché respiro regolare può diventare l’azione siamo soli e non si spera da soli, bisogna quotidiana del governo centrale e di essere insieme. Tutte le grandi conquiste quelli locali? della società italiana sono nate storicaPer rispondere a questa domanda – mente da speranze condivise. che cosa fare – dobbiamo chiederci perché abbiamo paura. Certamente per Famiglia vuol dire figli, e un aspetto motivi oggettivi, per cause esterne, e particolare delle politiche di integrace ne sono molte intorno a noi. Ma zione riguarda il diritto di cittadinanza abbiamo anche paura perché oggi dei giovani figli di immigrati nati in Italia siamo tutti più soli, le nostre reti sono o arrivati qui nei primi anni di vita, la entrate in crisi e non abbiamo più generazione G2. visione del futuro. Io credo che la madre Fin dall’inizio del Governo ho sollecitato della stessa crisi economica sia di vari esponenti politici perché si approcarattere culturale e vasse una legge sulla morale: la crisi del cittadinanza ai bambini, A monte delle nostre paure tessuto sociale della in proposito c’è anche c’è la crisi del tessuto sociale una proposta interescomunità italiana. La priorità dunque è lavo- della comunità italiana. sante dell’Unicef. I giorare su questo, anche Su questo dobbiamo vani di seconda geneintervenire, a iniziare con riferimento ai prorazione sono cresciuti blemi dell’immigrazio- dalle politiche in favore in Italia e hanno il diritto ne. Dobbiamo interve- delle famiglie, le nostre di integrarsi. nire con forza per e quelle degli immigrati Dobbiamo riconorigenerare il tessuto scere la loro presenza della società italiana. tra noi come italiani. Questo significa agire Ho incontrato tanti di sulla famiglia, sulle politiche nazionali questi ragazzi: si sentono italiani, si e su quelle locali. comportano come i nostri figli, parlano In questi mesi ho toccato con mano la lingua come noi, pensano al loro futuro quanto la famiglia degli immigrati sia in Italia. Eppure una concreta iniziativa decisiva per la loro integrazione. A parlamentare ancora non c’è. Posso Rosarno, mille e cinquecento immigrati comprendere, anche se non le condivido, tutti maschi sono difficilmente integrabili. le motivazioni di chi è contrario, molto Anche per l’immigrato la famiglia è un meno l’inerzia di chi invece è favorevole. vettore di integrazione. Ho visto in un asilo a San Salvario, a Torino, mamme In base al quadro definito fin qui si delle più diverse nazionalità e mamme può parlare di un “modello italiano” italiane parlare insieme dei loro figli, all’integrazione, che abbia una sua diventare amiche. La famiglia è il cuore specificità rispetto per esempio a L’intervento Intervista al ministro Andrea Riccardi 9 quelli degli altri Paesi europei? Multiqueste è quella dell’immigrazione. culturalismo, interculturalismo... Quando noi parliamo di integrazione Paradossalmente dobbiamo parlare di degli immigrati ci riferiamo alla costruzione un modello che non c’è. E questo perché di una nuova società nazionale che darà non c’è una nazionalità prevalente e i frutti negli anni, mentre i politici qualche perché la società itavolta insistono sull’aliana ha caratteristiche spetto immediato delNel modello italiano particolari. In questo l’allarme immigrazione. per l’integrazione “modello” italiano dobPer questo ritengo che biamo valorizzare il una componente essenziale occorra essere bipartiruolo delle donne che è rappresentata dalle donne san su temi così comsono un elemento inte- per il loro ruolo plessi e importanti. La gratore fondamentale: di mediazione. E occorre percezione del probletalvolta sono prigio- puntare sul dialogo: ma è anche diversa nei niere della famiglia, fra le diverse culture vari Paesi europei. ma dobbiamo puntare e fra le religioni I numeri dell’immisul loro ruolo di mediagrazione italiana sono zione. Inoltre dobbiamo diversi da quelli franvalorizzare le diverse comunità religiose. cesi o tedeschi. Mi ha colpito come l’ultimo Per questo ho voluto insediare presso il censimento rilevi che varie centinaia di mio ministero la Conferenza permanente migliaia di immigrati non ci sono più, religioni, cultura e integrazioni. Pensiamo hanno lasciato il nostro Paese in questi anche a chi profetizzava un’Italia musulultimi anni di crisi. Allora è invasione di mana. Possiamo dire, allora, che abbiamo immigrati o fuga di immigrati? un’Italia ortodossa visto che i cittadini provenienti dall’Est-Europa sono più di Come ministro della Cooperazione un milione. internazionale nei suoi viaggi, nella sua attività di governo, quale rilievo Lei ha posto più volte la necessità verifica dell’importanza degli accordi di una politica europea dell’immigrabilaterali con i Paesi di provenienza zione. “Ma la realtà – ha dichiarato – è dell’immigrazione per un lavoro sulle che i governi europei non si vogliono cause del fenomeno? legare le mani su un tema che fa perdere Non credo che con la nostra piccola e guadagnare consensi”. Pensiamo a un cooperazione possiamo cambiare le settore particolare di migranti come i situazioni sociali dei Paesi. Credo che rom, oppure alla difficoltà di una la cooperazione debba portare il sistema regolamentazione unitaria del diritto Italia, quindi le aziende italiane, gli d’asilo. Ha ancora un costo così alto operatori italiani, la cultura italiana, le anche a livello europeo il passaggio da strutture italiane, a contatto con i Paesi una politica dell’opportunismo a una in via di sviluppo. Favorendo lo sviluppo politica della verità? di quei Paesi la gente può trovare magCi sono politiche che danno il loro giormente, in casa propria, occasioni di risultato nel medio periodo e che bruciano occupazione e di crescita. il consenso nel breve periodo. Una di 10 2 0 12 marzo - apr ile L’intervento libertàcivili Intervista al ministro Andrea Riccardi Lei è sempre attento ai temi legati alla comunicazione, per come questa riflette la realtà e la verità di un Paese. In Italia c’è un dato singolare: l’operatore privato della tv a pagamento ha un canale dedicato all’immigrazione mentre la tv pubblica, pur nella moltiplicazione dei canali dovuta al digitale, non ha una eguale attenzione specifica. All’inizio del mio mandato ho parlato con i vertici Rai di questi problemi, poi non ci sono stati seguiti. Credo che la televisione abbia un ruolo decisivo nella rappresentazione dei problemi legati all’immigrazione. Ho cercato di coinvolgere tutti. Democrazia rappresentativa con le sue istituzioni, democrazia partecipativa con i suoi corpi sociali: l’incontro di questi due soggetti fa parte di quel “modello italiano” del quale abbiamo parlato? Credo sia il cuore del problema. Lo Stato e le istituzioni non possono fare tutto, non hanno l’esperienza umana che tante volte serve, non hanno le motivazioni, non hanno i denari per fare tutto ciò che è necessario. Io credo dovremo prepararci a una società sempre più articolata, che valorizzi le iniziative sociali, la buona volontà, la passione e anche l’impegno gratuito di tanti italiani. La nostra è una società nella quale il tessuto umano si va sfilacciando, i luoghi di incontro sono andati in crisi, come ho detto all’inizio siamo tutti più soli. Perciò abbiamo bisogno di quelle esperienze che ricuciono la società italiana; questo è decisivo. In questo senso dobbiamo ridurre la distanza fra tante istituzioni e la gente. Dobbiamo generare comunità, legami e reti. Gli immigrati hanno bisogno del nostro sorriso, della nostra amicizia, ma anche noi abbiamo bisogno del loro sorriso e della loro amicizia. 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili L’intervento Intervista al ministro Andrea Riccardi 11 Primo Piano I colori del welfare “I colori del welfare” è il titolo di questo Primo piano di libertàcivili dedicato al rapporto fra il sistema di sicurezza sociale del Paese e gli immigrati che ne sono al tempo stesso beneficiari, sostenitori e operatori. Da tempo è aperto il dibattito sulla necessità di un adeguamento del welfare. La presenza degli immigrati diventa un cruciale fattore di accelerazione del problema Primo Piano Operatori, beneficiari, contribuenti Le molteplici relazioni tra migranti e sistema di welfare, e i fenomeni che ne derivano, impongono un ripensamento complessivo delle politiche sociali nel segno di una maggiore efficienza ed equità di Giuseppe Roma I migranti, per la loro condizione di nuovi arrivati e la appartenenza alle fasce medio-basse di reddito, hanno bisogno di accedere a un sistema di assistenza sociale pubblico a bassi costi, efficiente e aperto 1. Il sistema di protezione sociale italiano Le politiche sociali sono il principale strumento di rassicurazione collettiva e di riequilibrio delle disparità esistenti nelle società avanzate. Il modello europeo, messo così a dura prova dalla tempesta finanziaria, si caratterizza soprattutto per aver riportato alla sfera dei diritti individuali tutti quei servizi che garantiscono la persona e la famiglia nelle sue funzioni vitali. La presa in carico della salute, della non autosufficienza, della terza età e, più in generale, di tutti quei bisogni fondamentali per rendere effettiva la dignità dell’esistenza, è un portato dei sistemi con più alto livello di qualità sociale. I migranti, per la loro oggettiva condizione di new comers e per la prevalente appartenenza a fasce di reddito medio-basso, mostrano un particolare bisogno di poter accedere a un sistema di garanzia sociale pubblico a bassi costi, efficiente e aperto. Pertanto un primo importante riferimento riguarda il funzionamento e i livelli di copertura esistenti nei Paesi d’arrivo. La situazione italiana, quanto a offerta di welfare, almeno prima della crisi e delle restrizioni di bilancio, presentava una situazione migliore dell’immagine riprodotta dalla comunicazione mediatica. Nell’ambito nel programma Censis-Unipol “Welfare Italia” si sono misurati i livelli di protezione sociale in 135 Paesi del mondo. L’Italia si posiziona al tredicesimo posto dopo l’area scandinava, Francia, Germania e alcune piccole nazioni centro-europee (Olanda, Austria, Svizzera), il Giappone e il Canada. Precede però Regno Unito e Usa dove le politiche sociali sono privatistiche e le forme di esclusione particolarmente rilevanti (fig. 1). 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Direttore generale del Censis 13 Primo Piano Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare Figura 1. Indice sintetico Censis-Unipol del livello di protezione sociale (prime 20 posizioni) Nota: indice combinato sulla base dei seguenti indicatori: spesa sanitaria pubblica, mortalità infantile, aspettative di vita, diseguaglianze di reddito, fertilità, disoccupazione, omicidi volontari. Fonte: elaborazione Censis su dati Undp libertàcivili Tuttavia, il welfare italiano è soggetto, in molti comparti, a forti differenze di tipo geografico (basti pensare al contrasto fra la sanità centro-settentrionale e quella meridionale) e, soprattutto, in prospettiva ha bisogno di una continua manutenzione per adeguarsi alle mutate condizioni strutturali, prima fra tutte quella demografica. L’invecchiamento della popolazione fa, infatti, crescere il fabbisogno d’intervento in quasi tutti i comparti della protezione sociale creando forti tensioni per farvi fronte. La presenza degli immigrati nell’ultimo decennio, poi, ha fatto accrescere repentinamente la popolazione, e quindi la domanda potenziale. Per altro verso, c’è un fondamentale apporto dei nuovi italiani su cui si fonda il modello effettivo di welfare, soprattutto nella componente assistenziale e sanitaria. Le caratteristiche sociodemografiche degli immigrati ne fanno, poi, una quota signi- 14 2 0 12 marzo - apr ile Per il sistema di protezione sociale italiano, sbilanciato verso la previdenza, l’apporto degli immigrati nell’area della salute e della assistenza è fondamentale 2. Un welfare basato sulle flessibilità familiari e aiutato dagli immigrati Le caratteristiche strutturali del welfare italiano hanno determinato nel tempo una responsabilizzazione crescente delle famiglie, cui ha dato un grande supporto il flusso di personale straniero. Da un punto di vista macro la spesa sociale italiana è in linea con quella dei grandi Paesi europei. In termini d’incidenza sul Pil, gli ultimi dati disponibili indicano il valore italiano (27,8%) identico a quello tedesco, superiore a quello medio europeo e britannico, ma inferiore di circa tre punti rispetto a Francia e Paesi scandinavi. Le distanze si amplificano se misuriamo le prestazioni sociali in termini di spesa pubblica per abitante: Italia e Regno Unito spendono più o meno la stessa cifra, Germania e Francia fra un quarto e un terzo in più. Si tratta di valori comprensibili, che riflettono il differenziale di dinamicità economica esistente nei diversi sistemi nazionali oltre agli indirizzi delle politiche sociali. La specificità italiana, tuttavia, riguarda la distribuzione settoriale della spesa pubblica per la protezione sociale; da noi è fortemente influenzata dall’invecchiamento della popolazione, dato a cui si aggiunge la più generosa normativa pensionistica in vigore fino agli anni Novanta. Trattamenti di quiescenza e per i superstiti assorbono oltre il sessanta per cento delle risorse impiegate nel welfare, contro una media europea del quarantacinque per cento. Con il sistema sanitario, che pesa per un ulteriore 26,4%, l’intervento pubblico praticamente si esaurisce. È evidente, pertanto, che tutte le ulteriori componenti della spesa sociale presentano valori piuttosto limitati: praticamente inesistenti gli interventi per l’edilizia sociale, molto bassi per disoccupazione e famiglia, ridotte nel confronto europeo anche assistenza e invalidità, specie se depurate dall’estesa area di abusi e truffe (tabella 1). Ed è proprio nell’area della salute e dell’assistenza che si è rilevato fondamentale l’apporto del lavoro immigrato. Sono circa quarantamila gli infermieri professionali di origine straniera impiegati nel sistema sanitario, pari a circa il 10% del totale. Professionalità che hanno contribuito negli ultimi anni a 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili ficativa di beneficiari, in un range ampio di altri servizi pubblici come gli asili, la scuola, la casa e il sostegno al reddito. Infine, la dimensione economica e lo sbilancio esistente nei conti del welfare devono far valutare come gioca il “dare e avere” di questa parte di popolazione. Primo Piano Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare 15 Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare Primo Piano Tabella 1. Spesa pubblica per prestazioni sociali per funzione (2008) Italia (%) Pensioni Salute Assistenza invalidità Famiglia Disoccupazione Casa Altro Totale 60,7 26,4 5,9 4,7 1,9 0,1 0,2 100,0 Germania (%) 43,0 30,5 7,8 10,6 5,4 2,2 0,6 100,0 Francia (%) Media UE (%) 45,9 29,8 6,0 8,4 5,8 2,7 1,5 100,0 45,3 29,7 8,1 8,3 5,2 2,1 1,4 100,0 Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat libertàcivili Un milione e centomila lavoratori stranieri, soprattutto donne, sono impiegati nel lavoro di assistenza domiciliare ai non autosufficienti 16 2 0 12 marzo - apr ile coprire una carenza che ancora oggi vede l’Italia meno dotata, in proporzione agli abitanti, rispetto ai maggiori Paesi europei. Per arrivare entro il 2020 al livello francese si renderebbero necessari ulteriori novantamila operatori, cui non sembrano poter dare risposta le sole facoltà di scienze infermieristiche, dove pure crescono le immatricolazioni. L’inserimento di personale immigrato in una tale delicata funzione va valutato nella portata complessiva e non solo come funzione suppletiva rispetto alle difficoltà di soddisfare i fabbisogni con il solo personale autoctono. Il ruolo dell’infermiere è, infatti, ormai decisivo nelle strutture di cura, visto che alle indubbie competenze tecniche, devono corrispondere anche capacità di approccio alle persone in sofferenza e indubbie doti relazionali nei confronti dei pazienti e della stessa struttura medica. Ma, com’è noto, il personale di cura proveniente da altri Paesi è decisivo soprattutto per l’assistenza domiciliare e per il lavoro di cura delle persone non autosufficienti. Basti pensare che nel nostro Paese la quota di persone in difficoltà assistita dal supporto domiciliare da parte delle strutture pubbliche è passato dal 2,7% del 2007 all’1,5% del 2010. Quindi, la quasi totalità dei non autosufficienti è assistito da familiari e/o da collaboratori domestici. Dettagliate analisi sulla realtà dei care giver di origine straniera operanti in Italia sono state svolte in precedenti numeri di libertàcivili (Cfr. i numeri 2/2010, 5/2010, 4/2011). In questa sede è utile ricordare solo alcuni tratti caratteristici, primo fra tutti la dimensione di un tale fenomeno: si tratta di oltre un milione e centomila lavoratori e soprattutto lavoratrici pari al 48% del numero complessivo di occupati stranieri, di cui circa trecentomila alloggiano presso la famiglia presso cui operano. 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili La necessità di passare da un welfare familiare flessibile e spontaneo a un sistema più organico, con operatori qualificati e un aiuto di natura fiscale a famiglie e badanti Si può, a ragione, affermare che il lavoro di cura copre per ben la metà la motivazione dell’occupazione straniera in Italia. Da una ricerca Censis per il ministero del Lavoro (2009) è possibile stimare il costo direttamente pagato dalle famiglie italiane per l’aiuto domestico che – nei fatti – opera come integratore delle prestazioni pubbliche non solo per l’assistenza domiciliare, ma anche per numerose funzioni legate alla vita della famiglia come ad esempio quelle relative all’infanzia. Sulla base del costo orario e della media settimanale delle ore lavorate, la retribuzione media mensile dei care giver stranieri è pari a 952 euro, che porterebbe la spesa annua familiare in questo ambito alla ragguardevole somma di oltre 14 miliardi di euro. Negli anni della crisi, ci si interroga se questo modello di welfare familiare flessibile e spontaneo possa rappresentare una soluzione duratura ed efficiente. Allo stato attuale sembra altamente improbabile puntare a una protezione sociale che estenda le sue coperture pubbliche. L’azione diretta degli utenti resterà, anche nei prossimi anni, punto di riferimento essenziale, nonostante crescano ottimi esempi di moderne organizzazioni del terziario sociale (in ambito privato o del no profit) rivolte alla non autosufficienza e alla cura degli anziani, come pure iniziative di welfare aziendale sui temi della conciliabilità o dell’infanzia. Tuttavia, quello che è attualmente un sistema diffuso e molecolare dovrebbe trovare una sistemazione più organica (si vedano anche i successivi articoli di Natale Forlani e Rodolfo Giorgetti ndr). Innanzitutto, sarebbe opportuno offrire strumenti di professionalizzazione alla gran parte del personale che effettua le sue prestazioni prevalentemente sulla base dell’esperienza. Formare e qualificare soprattutto chi presta assistenza a persone in difficoltà, consentirebbe una maggiore efficacia delle prestazioni. Si tratterebbe poi di offrire un supporto informativo e un canale prioritario nelle emergenze, in modo da costituire un sistema basato su un fitto reticolo di assistenza domiciliare (a carico delle famiglie) ma collegato con i centri di diagnosi e cura (pubblici). Infine, non mancano le proposte per rendere più equilibrato, dal punto di vista dei costi e del funzionamento economico, l’impiego di badanti. L’utilizzo di voucher o di buoni fiscali per la detassazione di queste prestazioni potrebbe portare alla creazione di un “mercato sociale” dell’assistenza con operatori specializzati capaci di dare corpo a un sistema più moderno e solido. Primo Piano Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare 17 Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare Primo Piano Con la diffusione del “modello badanti” anche famiglie a reddito moderato hanno potuto accedere a un’assistenza che altrimenti sarebbe ricaduta interamente sulle spalle dei familiari, riducendone le possibilità di proseguire a esercitare le proprie attività lavorative. Le condizioni critiche in cui versa parte del ceto medio potrebbero rendere problematico il mantenimento di un tale sistema e diventa così urgente ripensarlo. libertàcivili I cinque milioni di stranieri presenti nel nostro Paese sono forti beneficiari dei servizi di welfare: pesano per il 2,8% sulla spesa sanitaria, mentre sono 137mila i percettori di pensione, e nel 2025 aumenteranno di quattro volte 18 2 0 12 marzo - apr ile 3. Gli immigrati come utenti del welfare Nel giro di pochi anni, alla domanda di prestazioni sociali proveniente dalla società italiana sempre più longeva, si è aggiunta quella degli immigrati che rappresentano certo una realtà ormai assai numerosa. I cinque milioni di stranieri presenti in Italia rappresentano una popolazione pari alla Finlandia, Danimarca o Irlanda. Dare un contorno definito all’utilizzo effettivo del welfare da parte dei nuovi italiani non è operazione semplice, non essendo a disposizione studi e dati approfonditi. Si stima che le prestazioni sanitarie erogate a immigrati rappresentino circa il 2,8% della spesa sanitaria al 2010. Per quanto riguarda la copertura di tali costi, come per gli altri lavoratori dipendenti regolari, vale la quota di Irap gravante sulle retribuzioni. Tuttavia le componenti di lavoro autonomo e irregolare sottraggono contributi indispensabili a riequilibrare i conti. Per quanto riguarda la previdenza, i pensionati stranieri si stima siano circa 137mila, pari al 3,3% degli stranieri residenti, mentre gli italiani ritirati dal lavoro pesano per il 25% sulla popolazione totale. La nostra immigrazione ha storia recente ed è costituita da popolazione giovane, tuttavia l’impatto previdenziale è destinato a crescere: ad esempio il 14% dei lavoratori domestici stranieri ha già più di cinquant’anni. Una proiezione al 2025 valuta che per quella data i pensionati di origine straniera aumenteranno di quattro volte. Un impatto particolare hanno però, su una gamma piuttosto ampia di prestazioni, le agevolazioni basate sull’Isee, l’indicatore sulla situazione economica equivalente. Sono compresi assegni per famiglie con almeno tre minori, l’accesso agli asili nido pubblici e altri servizi sociali per l’infanzia, per servizi di pubblica utilità come elettricità o gas, fino alle mense scolastiche, ai servizi socio-sanitari domiciliari legati all’intervento degli enti locali ovvero quelli previsti dal diritto allo studio universitario. Fra le famiglie di migranti prevalgono quelle con la presenza di minori, o con figli dipendenti; inoltre, maggiore è la Secondo Caritas / Migrantes gli immigrati pagano 12 miliardi di tasse e contributi e ricevono 10,5 miliardi di servizi 4. Un bilancio conclusivo Non ci sono ricerche esaustive in grado di valutare l’apporto economico degli immigrati al sistema del welfare italiano e i costi delle prestazioni di cui usufruiscono. Esiste certamente uno squilibrio per quanto attiene la previdenza, visto che la popolazione attiva è infinitamente maggiore di quella in pensione. E qui il bilancio è assolutamente favorevole ai migranti. Il rapporto si inverte se commisuriamo il gettito fiscale complessivo con l’insieme delle prestazioni sociali godute. I costi maggiori riguardano la sanità, le spese scolastiche, i trasferimenti monetari, i servizi sociali, la casa. Nella stima della CaritasMigrantes, a fronte di contributi previdenziali e imposte pagate per 12 miliardi di euro annui, le prestazioni assommerebbero a 10,5 miliardi di euro. I nuovi italiani sarebbero così contributori netti per circa 1,5 miliardi di euro. Anche l’Ismu stima un saldo negativo (meno prestazioni rispetto a quanto versato) per i cittadini extra-comunitari ma nettamente inferiore. Secondo Bankitalia (2009) gli immigrati contribuivano per circa il 4% alle entrate derivanti da imposte e contributi e assorbivano circa il 2,5% delle spese per istru2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili presenza di famiglie monogenitoriali e di famiglie numerose. Soprattutto negli interventi gestiti a livello locale le maggiori richieste sono quelle per prestazioni economico-assistenziali quali la carta acquisti, i trasferimenti monetari e, dove esiste, il reddito minimo. Anche su asili nido e scuole, compresi libri e borse di studio, la richiesta delle famiglie di migranti è notevole; minore invece la pressione sui servizi socio-sanitari. Negli ultimi anni, infine, cresce la domanda per la casa nell’edilizia residenziale pubblica. Per effetto della diversa struttura demografica, si va delineando un welfare polarizzato per servizi di tipo familiare più rivolto ai “nuovi italiani” e quello previdenziale e socio-sanitario per la longevità, chiaramente orientato agli italiani. Le restrizioni d’offerta potrebbero portare a una pericolosa competizione sociale fra diverse componenti della protezione sociale, soprattutto nell’ambito delle prestazioni per famiglia, minori e casa, e fra i diversi gruppi sociali a più basso reddito. In una fase di restrizioni diventa ineludibile procedere a verifiche credibili sull’effettiva sostenibilità economica e sui reali bisogni delle famiglie più disagiate, in modo da modulare l’offerta in maniera appropriata, eliminando le distorsioni presenti nell’accesso alle prestazioni derivanti da informazioni non rispondenti a effettive condizioni di marginalità. Primo Piano Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare 19 Operatori, beneficiari, contribuenti: i migranti e il welfare libertàcivili Primo Piano zione, sanitarie, pensionistiche e di sostegno al reddito. Non è quindi possibile – e alla fine forse neanche molto utile – effettuare un conto ragionieristico del dare e avere per una popolazione di nuovi arrivati, il cui contributo dovrebbe essere riconosciuto più come contributo alla crescita complessiva del Paese che in termini di sostegno ai conti pubblici. È illusorio pensare che “gli immigrati ci pagano le pensioni”, anche perché, data l’ormai prevalente stabilizzazione, il loro apporto è in pratica una cambiale che avrà scadenza, seppur fra qualche decennio. Non possiamo, egualmente, pensare che sul nostro sistema di protezione sociale non debbano gravare i bisogni di un flusso di popolazione che viene in Italia a giocarsi un percorso di miglioramento sociale partendo dalle condizioni reddituali più basse. È certo che non possiamo più lasciare i diversi fenomeni riguardanti il welfare alla semplice iniziativa spontanea, agli adattamenti e al gioco differenziale delle diverse componenti sociali. Dopo i tagli e la spending review sarà il caso di ripensare le politiche sociali nel segno di una maggiore efficienza ed equità. 20 2 0 12 marzo - apr ile Primo Piano Immigrazione e welfare, un rapporto difficile La presenza immigrata genera una ricaduta economica positiva che ne compensa il peso esercitato sul sistema di sicurezza sociale. Le alternative: piena estensione dei diritti sociali o limitazione dei benefici ai soli cittadini? di Flavio Felice e Lorenzo Prencipe 1 Una relazione problematica Il Mondo, l’Europa e l’Italia sono sempre più segnati dalla diversità e dal pluralismo, di cui i fenomeni migratori sono il segno palese. Le migrazioni occupano, così, la scena dell’odierno dibattito politico e sociale. Se da un lato, infatti, la presenza dei migranti è elemento strutturale e ineludibile delle nostre società, dall’altro, le migrazioni denunciano una globalizzazione incapace di raggiungere uno sviluppo duraturo, d’offrire occupazione, di proteggere l’ambiente, di garantire la sicurezza e i diritti dei cittadini, autoctoni o immigrati che siano 2 . In tale contesto, la società si interroga sulla sua effettiva capacità di perpetuare un sistema sociale, un welfare, su base di uguaglianza delle opportunità, atto a garantire a tutti i cittadini la fruizione dei servizi sociali indispensabili, come l’assistenza sanitaria, l’istruzione pubblica, il sistema pensionistico, i sussidi alle persone in difficoltà, gli ammortizzatori sociali e quant’altro permetta una pacifica e civile coabitazione 3 . 1 Flavio Felice - professore ordinario di “Dottrine economiche e politiche” alla Pontificia università lateranense e presidente del Centro studi Tocqueville-Acton [email protected]; Lorenzo Prencipe - coordinatore scientifico Museo nazionale dell’emigrazione italiana - [email protected] 2 International Organization for Migration, World Migration Report 2011: Communicating Effectively about Migration, http://publications.iom.int/bookstore/free/WMR2011_ English.pdf. 3 Pizzuti Felice Roberto (a cura di), Rapporto sullo stato sociale 2010. La “Grande crisi del 2008” e il Welfare State, Milano, Academia Universa Press 2009; ID. (a cura di), Rapporto sullo stato sociale 2011. “Questione giovanile, crisi e welfare state”, Napoli, Edizioni Simone 2011 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili I fenomeni migratori sono una sfida alla tenuta e alla organizzazione tradizionale dei sistemi di tutela sociale 21 Primo Piano La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare libertàcivili Il nemico da combattere resta la percezione degli immigrati come “usurpatori” di risorse sociali ed economiche già insufficienti per i soli cittadini autoctoni. Gli immigrati, insomma, visti come problema non come opportunità 22 Le stesse migrazioni spingono a interrogarsi sul tipo di società che si vuole costruire e chiedono che si progettino società in cui si allarghino gli spazi d’appartenenza e di partecipazione e si restringano quelli di discriminazione, d’emarginazione e d’esclusione. In effetti, elemento fondamentale del processo di interazione tra immigrato e società di accoglimento è il riconoscimento di quei diritti che riguardano i beni essenziali per la vita della persona in società. Allo stesso tempo, soprattutto in momenti di acute crisi economiche, la relazione tra immigrazione e welfare si configura, in genere, come problematica e causa di conflitti per la convivenza, soprattutto nei quartieri metropolitani a forte concentrazione d’immigrati. Basti pensare, per esempio, all’incidenza – doppia rispetto agli autoctoni – dell’attuale perdita di lavoro degli immigrati e ai conseguenti sussidi, pubblici e privati, per contrastare l’impoverimento e la marginalità, oppure al sentimento di “discriminazione al contrario” che pervade visceralmente i cittadini italiani dinanzi alle graduatorie delle assegnazioni degli alloggi popolari o in seguito al riconoscimento di prestazioni assistenziali agli immigrati, considerati come consumatori di risorse “usurpate ai legittimi proprietari dello Stato” e fruitori “abusivi” della protezione sociale statale, già insufficiente per i soli autoctoni 4 . In tal modo, i migranti sono facilmente indicati da media, politici e opinione pubblica come un problema e una minaccia per la sicurezza da cui le società di accoglienza devono liberarsi, cavalcando la riduzione del numero dei migranti e una certa precarizzazione dello status di immigrato, ritenuto un peso sociale ed economico insopportabile. È quanto evidenziano i risultati dell’ultima inchiesta d’opinione Transatlantic Trends Immigration, per la quale l’atteggiamento nei confronti dell’immigrazione negli Stati Uniti e nei cinque Paesi UE esaminati (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna) rivela che la maggioranza degli americani (53%) e degli europei (52%) continua a non ritenere l’immigrazione un’opportunità ma un problema. In tutti i Paesi la maggioranza degli intervistati si dichiara preoccupata dall’immigrazione clandestina, con una media europea del 67% e picchi in Spagna (74%) e soprattutto in Italia (80%). Inoltre, come negli anni precedenti, americani ed europei continuano a sopravvalutare di gran lunga il numero 4 Cfr. Ferrante Vincenzo, Zanfrini Laura, Una parità imperfetta, Roma, Edizioni Lavoro 2008 2 0 12 marzo - apr ile di immigrati presenti nei rispettivi Paesi: e se i britannici affermano che gli immigrati rappresentano il 31,8% della popolazione totale contro un dato effettivo pari all’11,3%, gli americani stimano una presenza pari al 37,8% del totale, rispetto ad appena il 12,5% effettivo, gli italiani stimano una presenza pari al 25%, rispetto a un effettivo 7% e gli spagnoli una presenza del 21% rispetto a un effettivo 12,3% 5 . Costi e benefici della relazione Diversi studi, consacrati all’impatto dei flussi migratori nelle società contemporanee, alla misura in cui gli immigrati beneficiano dei sistemi di sicurezza sociale dei Paesi di accoglienza e di come la generosità di tali sistemi influenzi gli stessi flussi migratori, evidenziano il difficile rapporto tra welfare e immigrazione 6 ; o, più propriamente, la percezione e la convinzione dell’opinione pubblica riguardo al ruolo negativo giocato dall’immigrazione sul sistema sociale italiano sono più radicate e forti degli stessi “dati oggettivi”, che evidenziano più i benefici che i costi legati all’immigrazione nel nostro Paese. È comunque utile sottolineare alcuni aspetti-chiave di comprensione del ruolo delle migrazioni nelle nostre società e sull’impatto che esercitano sulle politiche di welfare. Innanzitutto, anche in tempo di crisi economica, come quello che dal 2007 ai nostri giorni sta condizionando lo sviluppo globale del pianeta, il processo migratorio non si arresta 7 . Ad ogni modo, a livello mondiale ed europeo, insieme a una certa diminuzione dei flussi migratori verso i Paesi sviluppati – tra il 2007 e il 2008, il numero d’immigrati a lungo termine ammessi dai Paesi membri dell’Ocse è diminuito del 6% e la migrazione temporanea di lavoro del 4%; una tendenza verso la diminuzione che prosegue 5 Cfr. Transatlantic Trends: Immigration 2011, http://trends.gmfus.org 6 Cfr. Boeri Tito, McCormick Barry (a cura di), Immigrazione e Stato sociale in Europa, Milano, Università Bocconi 2002; Barrett Alan, McCarthy Yvonne, Immigrants and Welfare Programmes: Exploring the Interactions between Immigrant Characteristics, Immigrant Welfare Dependence and Welfare Policy, “Oxford Review of Economic Policy”, (24) 3, 2008, pp. 542-559 7 Nel 2010, a livello mondiale, sono circa 740 milioni i migranti interni che si muovono all’interno dei propri Paesi e circa 214 milioni i migranti internazionali, per metà donne, che si muovono al di fuori dei propri confini nazionali. A questi migranti, considerati normalmente “volontari”, si aggiungono i “movimenti forzati”, di rifugiati (circa 15 milioni) e di quanti sono costretti a fuggire pur rimanendo entro i confini nazionali (circa 27 milioni di IDPs – internally displaced persons). Cfr. Nations Unies, Assemblée générale, Soixante-cinquième session, Rapport du Secrétaire général, A/65/203, 2.8.2010; UNHCR, 2009 Global Trends: Refugees, Asylum-seekers, Returnees, Internally Displaced and Stateless Persons, www.unhcr.org/4c11f0be9.html 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Anche in tempi di crisi economica, come quella dal 2007 ai nostri giorni, il processo migratorio non si arresta Primo Piano La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare 23 Primo Piano La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare Il “caso Italia” consiste nel fatto che oggi, senza immigrati, alcuni settori strategici della vita economica del Paese rischiano di bloccarsi anche nel 2009 e 2010 8 – e all’aumento dei ritorni dei migranti nei loro Paesi di origine, rileviamo, comunque, che la maggioranza dei migranti rimasti senza lavoro con la crisi scelgono di rimanere nei Paesi di insediamento, sia in forza dei legami familiari e sociali creati nel tempo di permanenza, sia perché il ritorno a casa appare meno conveniente del restare e, soprattutto, perché le misure restrittive adottate dai Paesi di immigrazione per regolare gli ingressi rendono praticamente impossibile un rientro, oltre a contribuire a generare nuove forme di migrazione irregolare 9 e a rendere più vulnerabili le condizioni di vita dei migranti. Per limitarci al solo caso italiano è quanto mai opportuno ricordare che gli immigrati contribuiscono alla produzione del Prodotto interno lordo italiano per l’11,1% e che la stessa Banca d’Italia ha sottolineato la funzione complementare dei lavoratori immigrati. Venendo essi a mancare nei settori produttivi considerati non appetibili dagli italiani (agricoltura, edilizia, industria, settore familiare e altri servizi), il Paese sarebbe impossibilitato ad affrontare il futuro. Inoltre, è utile non sottovalutare il fatto – contrario a una diffusa opinione anti-immigrati – che gli stranieri versano alle casse pubbliche più di quanto prendano come fruitori di prestazioni e servizi sociali. Si tratta di 12 miliardi di euro in contributi sociali e fiscali l’anno contro i 10,5 miliardi di euro che gli immigrati ricevono in servizi sanitari, scolastici, abitativi, pensionistici e altri aiuti pubblici. Gli stessi immigrati dichiarano al fisco oltre 40 miliardi di euro l’anno e, a livello occupazionale, non solo incidono per circa il 10% sul totale dei lavoratori dipendenti, ma sono sempre più attivi nel lavoro autonomo e imprenditoriale: anche in questa fase di crisi economica, sono circa 400mila gli stranieri titolari di impresa, amministratori e soci di aziende 10 . 8 Cfr. Koser Khalid, The impact of the global financial crisis on international migration, “The Whitehead Journal of Diplomacy and International Relations”, (11) 1, 2010, pp.13-20 9 libertàcivili In realtà, l’irregolarità migratoria trova origine, soprattutto, nella poca o nulla disponibilità di canali regolari di migrazione. Tra le forme peggiori di irregolarità troviamo il traffico e la tratta di migranti, specie donne e bambini. Il numero di migranti irregolari nell’UE è stimato tra i 3 e i 5 milioni di persone rispetto ai circa 50 milioni di immigrati in situazione irregolare nel mondo. Cfr. Frontex, The impact of the global economic crisis on illegal migration to the European Union. Risk Analysis Unit. Frontex, Warsaw August 2009, www.frontex.europa.eu/specific_documents/other; Passel Jeffrey S., Cohn D’Vera, Mexican immigrants: how many come? how many leave? Washington, Pew Hispanic Center, 2009, 27 p., http://pewhispanic.org/files/ reports/112.pdf 24 10 Cfr. Albisinni Mario, Pintaldi Federica, I lavoratori stranieri nel biennio della crisi. In: Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011, Roma, Arti Grafiche 2011, pp. 231-239; Demaio Ginevra, Lavoratori assicurati per territorio e per settore. 2 0 12 marzo - apr ile Primo Piano La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare In: Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011, op. cit., pp. 244-251; Bea Giuseppe, Murzi Antonio, Immigrati e imprenditoria. In: Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011, op. cit., pp. 276-283; Benvenuti Valeria, L’impatto fiscale dell’immigrazione nel 2009. In: Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011, op. cit., pp. 302-308 11 Cfr. Nanni Maria Paola, Il lavoro domestico e di cura: il welfare “straniero” all’italiana. In: Caritas/Migrantes, Dossier statistico immigrazione 2011, op. cit., pp. 260 - 267 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Un esempio particolare: il lavoro domestico Una delle caratteristiche del welfare italiano è data dalla debolezza del sistema nazionale dei servizi che viene, normalmente, compensato dalla realtà familiare, considerata come luogo privilegiato di cura e protezione della persona. E in tale realtà familiare, entrata anch’essa in crisi a causa del progressivo allentarsi dei legami parentali e del necessario ruolo attivo della donna, gli immigrati sono sempre più indispensabili per soddisfare le esigenze, vecchie e nuove, delle famiglie italiane, divenendo creatori ed erogatori di un welfare informale che assume le forme di lavoro domestico e di assistenza alla persona capace di colmare le carenze del welfare nazionale e la ristrutturazione delle reti di sostegno familiari 11 . Nel 2008, ultimo anno di cui abbiamo i dati, sono stati 25 Il vero e proprio esercito di immigrati addetti al lavoro domestico configura una situazione di “welfare di sostituzione” nei confronti dello Stato che non potrà comunque durare a lungo, anche per il crescente onere economico a carico delle famiglie 26 651.888 i lavoratori domestici registrati all’Inps, di cui 141.569 italiani e 510.319 nati all’estero, soprattutto donne (86,8%) 12 . Tale realtà, che mette in evidenza la trasformazione delle famiglie da prestatrici ad acquirenti di servizi di welfare, è così diventata imprescindibile nella gestione politica dell’immigrazione, esplicitata sia dai decreti flussi annuali (nel 2007 e 2008, su 320mila quote di ingressi/assunzioni ne sono state riservate 260mila ai lavoratori domestici immigrati e nel 2010, su 98mila ingressi/assunzioni 82mila sono stati riservati al settore domestico) sia dai successivi provvedimenti di regolarizzazione (nel 2002 e 2009 tali misure sono state concepite proprio per far emergere i migranti addetti al lavoro domestico e di cura). Ad oggi, la crescente longevità della popolazione e la crescita della non autosufficienza gestita in famiglia, continuano a trovare nella collaborazione domestica e familiare, appannaggio quasi esclusivo dei lavoratori immigrati, il loro sbocco principale, finendo comunque per pesare quasi interamente sulle spalle delle famiglie (sono circa 9 miliardi di euro le spese annue) e facendo risparmiare circa 6 miliardi di euro (stima del ministero del Lavoro nel 2007) allo Stato per mancate prestazioni socio-sanitarie. Tale situazione di “welfare di sostituzione” nei confronti dello Stato non potrà comunque durare a lungo, sia perché la disponibilità di “badanti” straniere, specie quelle dell’Est Europa, diminuirà progressivamente, sia per il crescente onere economico a carico delle famiglie, che non potranno più permettersi il ricorso all’assistenza privata, con una inevitabile ricaduta per le casse dello Stato. Diventa perciò necessario pensare a nuove forme di relazioni tra interventi sociali privati e pubblici capaci di dar vita a un welfare al passo con i tempi. In conclusione Non potendo qui sviluppare propriamente tutti gli ambiti di relazione tra welfare e immigrazione è comunque essenziale sottolineare che, in un certo momento, le odierne società, se vogliono assumere e non subire passivamente il loro pluralismo multiculturale, non potranno più eludere la sfida fondamentale del rapporto tra diritti dell’uomo e diritti del cittadino, optando chiaramente per una delle due possibili vie da percorrere: quella che allarga il concetto di “cittadinanza”, superando i confini libertàcivili Primo Piano La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare 12 Cfr. Inps-Idos, IV Rapporto sui lavoratori immigrati negli archivi Inps, Roma 2011, www.inps.it 2 0 12 marzo - apr ile 13 Cfr. Zanfrini Laura, Cittadinanze. Appartenenze e diritti nella società dell’immi- grazione, Roma, Laterza 2007 14 Cfr. Biondi Dal Monte Francesca, Welfare, immigrazione e non discriminazione. Quando i diritti costruiscono l’integrazione, Paper for the Espanet Conference “Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa”, Milano, 29 settembre - 1 ottobre 2011, www.espanet-italia.net/conferenza2011/edocs2/sess.16/16-biondi% 20dal%20monte.pdf 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili prettamente giuridici per accogliere nell’ambito degli interventi di “cittadinanza sociale” anche coloro che cittadini ancora non sono e quella che, in nome di una rigida identità nazionale, circoscrive ai soli nazionali l’ambito della cittadinanza e quello dei beneficiari del welfare 13. Tale scelta è richiesta dalla constatazione che tutelare e garantire in maniera uniforme ed equa tutti i diritti costa un prezzo economico e sociale che presuppone la definizione di quali diritti debbano essere garantiti anche a coloro che, pur vivendo nello stesso territorio, cittadini non sono. In tale scelta, se il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona è imposto da numerosi trattati internazionali, è più problematica la posizione verso i cosiddetti diritti sociali che, pur essendo essenziali per un’efficace politica d’integrazione, non trovano la medesima considerazione nelle fonti internazionali e in riferimento ai quali l’equilibrio finanziario è il fattore condizionante più rilevante e più destrutturante. In effetti, proprio nei settori più nevralgici per l’integrazione degli immigrati (sanità, istruzione, abitazione, lavoro) si registrano discipline nazionali, regionali e locali capaci di pregiudicare maggiormente la condizione giuridica degli stranieri, minando alle radici la creazione di un più solido legame di comunità basato sulla partecipazione alla governance delle risorse e dei beni comuni14. Primo Piano La presenza immigrata e il suo influsso sui sistemi di welfare 27 Primo Piano I benefici della presenza e i rischi dell’esclusione Gli immigrati forniscono un apporto finanziario importante al welfare italiano, garantendo un beneficio fiscale netto. Il tentativo, intenzionale o involontario, di limitarne l’accesso ai servizi ha anche conseguenze economiche da valutare di Carlo Devillanova Dipartimento di Analisi delle politiche e Management pubblico, università Bocconi di Milano e fondazione Ismu libertàcivili Nel 2009 è stato chiesto ai cittadini dei 27 Paesi europei se fossero d’accordo con l’affermazione secondo la quale gli immigrati contribuiscono al sistema di welfare più di quanto non ricevano da esso. Solo il 22% di coloro I dati Ocse ed Eurostat relativi che hanno risposto si dichiarava d’accordo con tale affermazione. Anche limitando la alla nostra spesa sociale domanda agli immigrati regolarmente resiin rapporto a quella sostenuta denti, il 45% degli intervistati (il 40% in Italia) dagli altri Paesi europei esprimeva il proprio disaccordo 1 . Infatti, il e negli Stati Uniti mostrano timore che gli immigrati rappresentino un una situazione sostanzialmente costo per la finanza pubblica continua a dominare il dibattito politico e accademico in linea con la media UE nei Paesi sviluppati. Questo breve intervento cercherà innanzitutto di chiarire se, per l’Italia, questo timore sia giustificato. Preliminarmente, conviene inquadrare il tema richiamando alcuni dati essenziali sul nostro sistema di protezione sociale. Il primo elemento è relativo all’entità delle spese sociali. I dati Ocse 2 , relativi al 2007, dimostrano che la nostra spesa per protezione sociale, nella sua componente pubblica (includendo le esenzioni fiscali) e privata, è in linea con quella dei Paesi 28 1 2 European Commission, Eurobarometer 71, gennaio 2010 Adema, W., P. Fron and M. Ladaique (2011), “Is the European Welfare State Really More Expensive?: Indicators on Social Spending, 1980-2012; and a Manual to the Oecd Social Expenditure Database (Socx)”, Oecd Social, Employment and Migration Working Papers, No.124, Oecd Publishing. http://dx.doi.org/10.1787/5kg2d2d4pbf0-en 2 0 12 marzo - apr ile 3 Eurostat, European System of Integrated Social Protection Statistics (Esspros), http://ec.europa.eu 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili sviluppati: il livello di spesa in rapporto al Pil in Italia (26,4%) è inferiore di circa un punto percentuale rispetto agli Stati Uniti (27,5%) e sensibilmente inferiore a quello francese (32,7%) e tedesco (28,4%). Prevale da noi la componente pubblica di spesa, un aspetto che caratterizza il modello europeo di Stato sociale. Limitando a questa l’attenzione, i più recenti dati Eurostat, relativi al 2009, confermano per l’Italia una spesa sociale inferiore alla media europea 3 . Il secondo elemento da richiamare è la maggiore entità della spesa previdenziale in Italia, documentata dai dati Ocse ed Eurostat. Si noti che il confronto internazionale in questo caso è effettuati sui benefici lordi e che in Italia i redditi da pensione vengono assimilati a quelli da lavoro dipendente ai fini Irpef; inoltre, i dati non tengono conto della recente riforma previdenziale. Ciò premesso, occorre riconoscere che l’effetto dell’immigrazione sulla finanza pubblica è ambiguo e dipende fortemente dalle caratteristiche del sistema di welfare. Da un lato, gli elementi di progressività dei moderni sistemi di tassazione e spesa pubblica trasferiscono Gli immigrati versano risorse agli individui meno abbienti, fra cui gli contributi per importi bassi, immigrati sono maggiormente rappresentati. ma essendo numerosi questo Dall’altro lato, l’elevato tasso di attività fra secondo aspetto ha un peso gli immigrati, spiegato anche da ragioni maggiore rispetto al primo demografiche, favorisce la sostenibilità nel determinare il loro apporto finanziaria dei sistemi di protezione sociale, aumentandone la base contributiva. Per al nostro sistema di welfare l’Italia, tutti gli studi esistenti mostrano che il secondo effetto prevale sul primo, determinando un significativo apporto degli immigrati al nostro sistema di welfare. L’intuizione alla base di questo risultato è nelle caratteristiche della nostra spesa sociale, richiamate in precedenza: a una spesa pubblica per pensioni relativamente elevata corrispondono esborsi particolarmente contenuti negli altri comparti della spesa sociale, inclusi disabilità, famiglia/figli, disoccupazione, edilizia sociale, esclusione sociale. In particolare, in Italia è esigua la spesa di natura assistenziale. In un recente lavoro si è calcolato il beneficio fiscale netto (la differenza fra i trasferimenti ricevuti dal settore pubblico e quanto pagato al settore Primo Piano Gli immigrati come finanziatori del welfare 29 pubblico) per immigrati e italiani 4 . Lo studio è esteso a tutti i principali elementi di progressività del nostro sistema di tassazione e spesa pubblica, individuabili quali possibili cause del drenaggio di risorse a favore degli immigrati, inclusi i trasferimenti di natura prettamente assistenziale e le spese per sanità e istruzione. L’analisi porta a concludere che gli istituti di tassazione e spesa pubblica stanno operando un rilevante trasferimento netto di risorse dagli immigrati verso gli italiani. Come già accennato, questo flusso di risorse è in gran parte dovuto ai benefici legati all’anzianità, che costituiscono la componente più rilevante della spesa sociale italiana. La conclusione precedente si riferisce agli immigrati regolarmente residenti in Italia. A conoscenza di chi scrive, non esistono studi accurati che guardino all’impatto fiscale dell’immigrazione irregolare, Gli immigrati irregolari sono anche per evidenti difficoltà di reperimento esclusi dalla quasi totalità dei dati. Tuttavia, gli immigrati irregolarmente dei benefici sociali, presenti sul territorio sono esclusi dal a eccezione di quelli sanitari godimento della quasi totalità dei benefici relativi alle cure urgenti sociali, con la rilevante eccezione dei servizi sanitari relativi a cure urgenti ed essenziali ed essenziali e alla e alla medicina preventiva. Al tempo stesso, medicina preventiva il loro contributo fiscale è certamente positivo, grazie all’Iva sui consumi e, soprattutto, l’Irap, sempre che il valore aggiunto generato dagli immigrati irregolari (i cui tassi di occupazione sono sorprendentemente elevati 5 ), non venga occultato al fisco da pratiche evasive dei loro datori di lavoro. Della complessa relazione fra immigrazione e stato sociale, quindi, la prima importante conclusione è che l’apporto degli immigrati alla finanza pubblica italiana è positivo e quantitativamente importante. La seconda questione che si intende seppur brevemente affrontare concerne l’esclusione degli immigrati dai programmi di welfare, un tema assai complesso che richiederebbe un’analisi articolata. Schematicamente, in molti Paesi l’accesso degli immigrati a specifici programmi di welfare è condizionato allo status giuridico e al periodo di libertàcivili Primo Piano Gli immigrati come finanziatori del welfare 30 4 Devillanova C. (2011), “Immigrazione e finanza pubblica”, in Ismu (a cura di), Sedicesimo Rapporto sulle migrazioni 2010, pp.195-209, FrancoAngeli. Si rimanda allo scritto per ulteriori riferimenti bibliografici 5 Devillanova C., Fasani F. e Frattini T. (2009), “Cittadini senza diritti”. Rapporto Naga 2009. Ingombranti inesistenze, Naga, Milano 2 0 12 marzo - apr ile 6 Si veda, in questo senso, Sen A. (2000), “Social Exclusion: Concept, Application, and Scrutiny”, Social Development Papers No.1, Office of Environment and Social Development Asian Development Bank 7 Si veda, con specifico riferimento ai servizi sanitari, Devillanova C. (2012), “Exclusion”, in Sana Loue e Martha Sajatovic (a cura di), Encyclopedia of Immigrant Health, Springer Science+Business Media, LLC, New York, pp.666-668. 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili permanenza nel Paese. È bene notare che l’introduzione di barriere legali all’accesso ai servizi di welfare ha immediato riflesso sul beneficio fiscale netto, riducendo a parità di altre condizioni l’esborso pubblico. È lecito supporre che in periodi di crisi e di necessità di risanamento dei conti pubblici sorga la tentazione di ridurre per questa via il numero dei potenziali beneficiari dei trasferimenti. Se poi agli esclusi non è dato di esercitare il diritto di voto, il costo in termini di consenso politico sarà probabilmente risibile 6 . Vi sono però molte altre forme di barriere all’accesso, non necessariamente intenzionali o anche solo previste. Per la popolazione immigrata queste Le molte barriere d’accesso includono, ad esempio, la mancanza di inforai servizi, non necessariamente mazione, i problemi di comprensione linguiintenzionali o previste: stica, la poca familiarità con la complessità dalla non conoscenza amministrativa del sistema, ecc. 7 Anche dei propri diritti alla lingua, l’esclusione degli immigrati dal godimento dei diritti loro garantiti rischia di aumentare in fino alla poca familiarità periodi di ristrettezze economiche, perché con la burocrazia italiana minori sono le possibilità di dedicare risorse umane e finanziarie all’abbattimento di dette barriere. Il problema dell’esclusione degli immigrati sembra sottintendere una prospettiva opposta rispetto a quello del loro apporto alla finanza pubblica, che privilegia considerazioni in termini di equità, coesione sociale ed estensione dei diritti di cittadinanza rispetto al mero calcolo economico. Per competenze professionali, in questa sede non è possibile affrontare adeguatamente gli aspetti più etici e giuridici della questione, che tuttavia reputo fondamentali. Ci si limiterà dunque a evidenziare le possibili conseguenze economiche che possono derivare da pratiche di esclusione, intenzionale o meno che siano. Il tema è estremamente vasto e richiederebbe analisi specifiche. Qui sono forniti solo due esempi. Come evidenziato in precedenza, la struttura demografica della popolazione immigrata e italiana spiega l’apporto positivo della prima al nostro sistema di welfare. Un’immediata obiezione, Primo Piano Gli immigrati come finanziatori del welfare 31 però, è che l’evoluzione delle caratteristiche socio-economiche e demografiche della popolazione immigrata, in particolare l’invecchiamento di coloro che sono già presenti in Italia, modificherà in futuro il peso relativo delle diverse componenti che contribuiscono alla formazione del beneficio fiscale netto. In altri termini, i giovani immigrati che attualmente lavorano e contribuiscono al finanziamento del sistema pensionistico saranno futuri beneficiari delle prestazioni pensionistiche. Ciò è corretto solo in parte. Molti di loro, dopo un periodo di contribuzione in Italia, torneranno nel Paese di origine (un fenomeno noto come “effetto salmone”). In questo caso il diritto alla riscossione dei La doverosa strada delle contributi versati è subordinato all’esistenza convenzioni con i Paesi di accordi bilaterali di sicurezza sociale fra di provenienza degli immigrati l’Italia e il Paese di origine del migrante. affinché questi ultimi, Come si legge sul sito dell’Inps, “le conventornando nella loro patria, zioni bilaterali riguardano gli Stati verso i quali più massiccia è stata l’emigrazione italiana non perdano quanto versato ai nostri istituti di previdenza nel tempo (…) e garantiscono parità di diritti agli italiani all’estero. Negli ultimi anni poi anche l’Italia è diventata un Paese con un notevole flusso immigratorio in entrata. (…) Anche in questo caso la strada da percorrere è quella delle convenzioni” (corsivo nostro). Il problema principale che si pone è il gran numero di Paesi coinvolti nei flussi migratori verso l’Italia e, soprattutto, il fatto che riconoscere la portabilità dei contributi implica un esborso per il nostro sistema previdenziale. Anche la ratifica di convenzioni già firmate viene procrastinata per l’onerosità delle stesse e la difficoltà di trovare copertura finanziaria. In questa sede deve essere evidenziato che questa disparità di trattamento fra contribuenti italiani e immigrati rischia di modificare le scelte di ritorno al Paese di origine, con conseguente futuro aggravio per altri comparti del nostro sistema di sicurezza sociale (primo fra tutti la spesa sanitaria) ma soprattutto crea un evidente disincentivo alla regolarità contributiva. Certo, l’attuale legislazione in materia di soggiorno regolare crea un forte incentivo alla regolarità lavorativa; tuttavia, occorre notare che anche le politiche di contrasto alla presenza irregolare comportano un costo per le finanze pubbliche che deve essere attentamente valutato in una corretta analisi costi/benefici. Un secondo esempio riguarda l’accesso alle cure sanitarie. Recenti studi indicano come gli immigrati fronteggino delle 32 2 0 12 marzo - apr ile Primo Piano libertàcivili Gli immigrati come finanziatori del welfare Primo Piano Gli immigrati come finanziatori del welfare 8 Per necessità di sintesi, rimando alla bibliografia riportata in Devillanova C. (2012), Immigrant’s access to health care services: The case of Italy, mimeo, università Bocconi 9 Si veda http://www.caritasroma.it/wp-content/uploads/2010/09/DIRITTO_ALLA_ SALUTE.pdf 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili barriere nell’accesso ai servizi sanitari in Italia 8 , anche a causa di politiche locali disomogenee nell’applicazione delle normative nazionali in ambito di accessibilità dei servizi sanitari 9 . In particolare, si evidenzia un minor uso delle visite specialistiche e della medicina preventiva in generale e un più frequente ricorso ai servizi di pronto soccorso. Questa situazione si ripercuote sulle condizioni di salute dei cittadini immigrati e dei loro figli, un fatto particolarmente deprecabile sotto il profilo etico. Da un punto di vista strettamente economico risulta anche inefficiente: la rimozione delle barriere richiederebbe specifiche politiche di informazione il cui costo, sebbene immediato, appare risibile rispetto ai possibile benefici, attuali e futuri. 33 Gli immigrati come finanziatori del welfare libertàcivili Primo Piano Nell’immediato, perché consentirebbe di contenere le maggiori spese causate, ad esempio, dall’uso improprio delle cure in regime di pronto soccorso, dalla maggiore onerosità di cure tardive, incluso l’allungamento della degenza 10 ; inoltre, il mancato accesso alla medicina preventiva accresce i pericoli legati alla diffusione di patologie contagiose. In una prospettiva di più lungo periodo, in quanto la salute fisica e mentale degli individui è un prerequisito fondamentale per il loro pieno inserimento nella vita economica e sociale del Paese. È questo un aspetto da non sottovalutare, perché la capacità degli immigrati, e dei loro discendenti, di contribuire in futuro al sistema di welfare dipende anche dal successo con cui riusciranno a integrarsi nel nostro tessuto economico e sociale. Un discorso analogo vale naturalmente per altre tipologie di spesa pubblica, quale, ad esempio, quella per programmi di integrazione scolastica. In conclusione, è certo che al presente gli immigrati forniscono un importante apporto finanziario al sistema di welfare italiano. L’attenzione al beneficio fiscale netto non deve però indurre all’adozione di un’accezione angusta dei costi delle politiche sociali e a oscurare il fatto che le istituzioni dello Stato sociale rispondono a bisogni e a vincoli. Questa affermazione è del tutto generale, anche se spesso trascurata nel dibattito corrente. Con specifico riferimento agli immigrati, pare opportuno un (parziale) impiego del loro apporto fiscale in politiche di facilitazione dell’accesso ai principali servizi di welfare. Politiche di integrazione possono essere economicamente efficienti nell’immediato e, in un’ottica di più lungo periodo, rappresentano un proficuo investimento per la sostenibilità del nostro sistema di welfare e il mantenimento di un adeguato livello di coesione sociale. 34 10 Per evidenza in questo senso si vedano le elaborazioni a cura dell’Osservatorio diseguaglianze della regione Marche, su dati ministero della Salute/Agenas, 2009 2 0 12 marzo - apr ile Primo Piano Includere gli immigrati nel sistema di welfare è la sfida del futuro La crescita esponenziale delle migrazioni obbliga a riprogrammare l’intero sistema della assistenza sociale, tenendo conto anche dei nuovi bisogni e della domanda di servizi che proviene dalla comunità dei nuovi arrivati di Marco Omizzolo Dottorando - Università di Firenze Il welfare nella storia e nella teoria Il welfare state nasce come evoluzione delle assicurazioni sociali ottocentesche 1 quale “modello di organizzazione dei poteri pubblici finalizzato a compensare i costi sociali ed economici delle dinamiche di competizione mercantile” (Moini, 2001) e ad ammortizzare le ricadute di un modello politico fondato su competizione e profitto. La sua funzione, in tutti i Paesi europei, ha contribuito al processo di modernizzazione attraverso la stabilizzazione dell’economia di mercato e il consolidamento delle istituzioni democratiche. La rivoluzione industriale obbligò molti Paesi, a partire da quelli nordeuropei, a modernizzare, istituzionalizzare e diffondere sistemi pubblici di protezione sociale, con l'obiettivo comune di proteggere il lavoratore dai rischi legati alla sua attività occupazionale, partendo dall'invalidità, dalla malattia, dal decesso del coniuge e dall'inattività forzata. Le origini del welfare moderno sono rintracciabili (insieme alle leggi sull’obbligo scolastico): nel sistema di assicurazione sociale tedesco del 1881 che copriva i rischi di vecchiaia, infortunio, malattia dei lavoratori dell’industria dietro il pagamento di contributi sociali a carico dei datori di lavoro e lavoratori; nel sistema pensionistico a ripartizione statunitense, promosso con il 1 Antecedenti plausibili del moderno welfare state possono essere rintracciati nelle funzioni assistenziali originariamente svolte dalle istituzioni religiose o nelle poor laws del periodo elisabettiano 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili I sistemi di welfare si sviluppano in Europa con l’affermarsi delle moderne democrazie sociali 35 Primo Piano L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare Le tre varianti del welfare nei regimi liberali, conservatori e socialdemocratici in rapporto alle diverse concezioni dei diritti sociali nei singoli Stati Social Security Act del 1935, in grado di offrire garanzie pensionistiche altrimenti irrealizzabili; e nel sistema sanitario nazionale inglese del 1946, che garantiva a tutti i cittadini piena assistenza medica, superando i principi assicurativi che avevano ispirato la legislazione d’ispirazione bismarckiana. L’Italia è arrivata tardi alla formazione di un sistema di welfare maturo, benché l’assicurazione obbligatoria per invalidità e vecchiaia per i dipendenti privati (ad eccezione degli impiegati al di sopra di un certo reddito) fosse stata introdotta nel 1919, dopo aver preso coscienza dell'inadeguatezza delle forme di previdenza volontaria sperimentate nei decenni precedenti (tutti gli impiegati civili e militari dello Stato avevano diritto alla pensione dal 1864) 2 . Il sociologo danese G. Esping-Andersen (1990) distingue tre diverse tipologie di welfare individuate a partire dalle diverse origini dei diritti sociali propri di ogni singolo Stato. Nel regime liberale, tipico dei Paesi anglosassoni, i diritti sociali deriverebbero dalla dimostrazione dello stato di bisogno del singolo, per cui la precedenza sarebbe data sempre ai poveri meritevoli di tutela (teoria della less eligibility). Nel regime conservatore, tipico degli Stati dell’Europa continentale e meridionale, tra cui l’Italia, i diritti sociali sarebbero legati alla professione esercitata, per cui il sistema di welfare diventerebbe accessibile solo a chi è realmente titolare di certi requisiti, in primis un’occupazione. Nel regime socialdemocratico, come nei Paesi del Nord Europa, i diritti sociali deriverebbero dalla cittadinanza, per cui alcuni servizi verrebbero offerti a tutti i cittadini senza alcuna differenza. Un’altra distinzione dei sistemi di welfare individua invece quattro categorie di politiche sociali pubbliche. La prima riguarda gli strumenti utilizzati, come i trasferimenti in denaro o l'erogazione di servizi alla persona; poi le regole di accesso con accertamento, o meno, delle condizioni di bisogno; le modalità di finanziamento adottate attraverso la fiscalità generale o tramite contributi sociali; infine, gli assetti organizzativo- 2 libertàcivili Dopo l’introduzione delle pensioni di reversibilità a favore dei superstiti nel 1939, il secondo dopoguerra è stato caratterizzato dalla progressiva estensione della copertura pensionistica alle categorie non coperte (impiegati del settore privato, coltivatori diretti, artigiani e commercianti) fino all’introduzione delle pensioni sociali per i cittadini anziani indigenti nel 1969. Nel corso degli anni diverse categorie professionali hanno poi ottenuto il diritto a costituire forme previdenziali autonome. Il Sistema sanitario nazionale è stato introdotto nel 1978 al fine di garantire a tutti i cittadini cure mediche e ospedaliere finanziate con prelievo obbligatorio e gratuite per l’utente finale, superando le preesistenti strutture assistenziali e mutualistiche a base professionale 36 2 0 12 marzo - apr ile gestionali. Da questa categorizzazione derivano alcune linee comuni di evoluzione dei sistemi di sicurezza sociale e alcune macro-aree relativamente omogenee, come il modello socialdemocratico (o scandinavo), il modello liberale (o anglosassone), il modello corporativo (o continentale) e il modello mediterraneo, frutto dell’estensione dei diritti politici e sociali a fasce sempre più vaste della popolazione, legata ai processi di industrializzazione e urbanizzazione che investirono l’Occidente a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo. Lo scopo finale del welfare moderno è quello di realizzare condizioni di well-being sociale per “a more efficient, a more stable, and a more just society” (Oecd, 1994). Da questo fecondo nucleo originario sono evolute, con la crescita della complessità della società industriale, altre forme di sostegno e assistenza legate all'erogazione diretta di servizi sociali, al trasferimento di reddito per le famiglie disagiate, alla promozione di politiche attive per il lavoro e al reddito minimo di cittadinanza. Il welfare state tradizionale riguarda, oltre al superamento di disagi e bisogni primari di ampie fasce della popolazione, anche un altro aspetto, generalmente poco considerato, ossia il consolidamento degli Stati-nazione, mediante il potenziamento del senso di appartenenza dei singoli individui agli stessi. L’impatto delle migrazioni sui sistemi di welfare L’organizzazione della rete di servizi alla persona e alla famiglia costituisce il sistema probabilmente più avanzato del welfare tradizionale entrato, nel corso degli ultimi decenni, sostanzialmente in crisi. La presenza dei migranti e la loro stabilizzazione nelle forme della post modernità nelle società europee, e le conseguenze sociali ed economiche legate al loro ciclo di vita, hanno aperto un dibattito che ha investito anche il sistema di welfare. In Italia questo dibattito, rispetto ad altri Paesi europei, è ancora poco evoluto e spesso condizionato da pregiudizi e stereotipi diffusi, privi di qualunque giustificazione scientifica, rei della messa in discussione dell’assunto cardine della società moderna 3 . La rottura delle comunità tradizionali, la messa in discussione della famiglia quale modello produttivo centrale nelle forme di 3 Il cuore della società moderna sarebbe costituito dalla consapevolezza del singolo di poter porre in essere rapporti di produzione e scambio regolati pubblicamente, mentre quello della moderna cittadinanza nazionale sarebbe dato dalla legittima titolarità, da parte del singolo, di diritti sociali garantiti e sicuri 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili L’obiettivo di raggiungere “a more efficient, a more stable and a more just society” Primo Piano L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare 37 Primo Piano L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare La atomizzazione dei nuclei familiari, l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, l’alterità dei migranti i nuovi fronti con i quali il welfare deve misurarsi economia tradizionale e l’intensificarsi e globalizzarsi dei processi produttivi e di divisione del lavoro ha prodotto un processo di atomizzazione che ha rotto legami sociali e rapporti di solidarietà inter- e intra-generazionali 4 . Gli ampi processi di mutamento e trasformazione storico-sociale hanno interessato le strutture economiche dominanti a livello globale, a partire dall’invecchiamento demografico della popolazione occidentale 5 , da cui l’aumento della spesa pubblica pensionistica e la riformulazione delle sue modalità organizzative, sempre più legate a un’assai complessa selettività delle erogazioni e prestazioni. La riprogrammazione dei meccanismi di produzione e distribuzione della ricchezza sociale, le istituzioni politiche delle società post moderne e l’architettura delle relazioni tra Paesi, sistemi e culture, sono responsabili della modifica del patrimonio genetico del sistema di welfare, che fino a circa i primi anni Ottanta aveva svolto egregiamente la sua funzione. La crescita esponenziale delle migrazioni, sia in termini quantitativi sia qualitativi, obbliga a riprogrammare il sistema di welfare, anche in ragione di sensibilità culturali, bisogni e percorsi includenti nuovi, che il vecchio sistema non sarebbe in grado di realizzare, comprendendo l’alterità migrante e la sua complessità, tipica della post modernità, a patto di resistere alla tentazione di fare a meno della sua presenza, facendo venire meno l’architrave sociale e istituzionale sul quale si è fondata la coesione sociale e l’uguaglianza della società europea per almeno due secoli. Nuovi bisogni, necessità e domande di servizi, nati dal passaggio dalla modernità alla post modernità e da una trasformazione che ha reso il locale globale, in un processo di vertiginosa crescita e riformulazione delle relazioni, comportano una nuova questione sociale. Si passa, ad esempio, dal concetto di povertà a quello di esclusione sociale, intendendo con 4 libertàcivili L’atomizzazione delle famiglie, con la diminuzione del numero dei figli e la crescita esponenziale delle separazioni, incentiva la formazione di famiglie mononucleari con ricadute importanti in termini di impoverimento relazionale e comunitario e conseguente emarginazione sociale. La femminilizzazione del mercato del lavoro, superando la famiglia patriarcale tradizionale, partorisce nuove e legittime domande di servizi sociali, legati ad esempio alla diffusione di asili nido e alla loro accessibilità, a tutele legislative lente ad arrivare, a politiche di assistenza alla famiglia ancora non adeguate 38 5 Nei primi anni Sessanta, la popolazione di ultrasessantacinquenni nei Paesi dell’UE era poco più del 10%. Nel 1990 si è toccata la soglia del 14% con un 3% di popolazione ultraottantenne. L’evoluzione del sistema migratorio (e la sua complessità) ha riguardato anche questa dinamica, generando processi che hanno rallentato il processo di invecchiamento e obbligato il welfare state a una riprogrammazione che tenesse conto dell’alterità migrante 2 0 12 marzo - apr ile 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Riformare il welfare implica un nuovo patto di solidarietà e di sviluppo non solo tra le diverse generazioni ma anche tra le diverse culture che oggi convivono nel nostro Paese questo una debolezza culturale e una limitata membership comunitaria; tali fenomeni comportano una deprivazione relativa che travalica i confini dello Stato-nazione e comprende popoli e culture di Paesi diversi. D'altro canto, l’esclusione, come riconosciuto in sociologia, è una costruzione sociale (Saraceno, 2004) che solo nel sociale può essere affrontata e superata. L’inclusione dell’alterità nella riprogrammazione del welfare obbliga all’evoluzione del sistema di garanzie e protezioni sociali pubbliche, da intendere come propulsore di sviluppo sociale e economico, foriero di nuove politiche pubbliche ispirate all’inclusione e alla solidarietà interculturale, oltre che intergenerazionale. Si propone quindi un patto di solidarietà e di sviluppo non solo tra le generazioni ma anche tra le culture, in un'ottica nuova centrata sull'inclusione selettiva (i bisogni reali dei soggetti) e la solidarietà. La riprogrammazione del welfare è dunque quanto mai inevitabile, salvo intervenire solo sulle sue modalità operative, evitando di concentrarsi sulle sue dimensioni e finalità, per transitare dal welfare del well-being tradizionale alle politiche per il welfare post moderno. In tale accezione esso è inteso come tutela e sviluppo di un sistema istituzionale e di un tessuto sociale capaci di garantire gli assetti istituzionali presenti e futuri e la tessitura di una trama finissima di relazioni di solidarietà interculturale, intra- e inter-generazionale (cosiddetta trama della socialità), e di relazioni di scambio imposte dalle nuove forme di produzione economica della ricchezza sociale (trama della produttività). Secondo questa prospettiva, il welfare diventa il punto di congiunzione tra crescita economica ed eguaglianza sociale. Ciò significa che le cause economiche della crisi dello Stato sociale che ha investito i maggiori Paesi occidentali sono secondarie rispetto alle dinamiche sociali responsabili della società del futuro. Il capitale sociale si pone a fondamento di un’economia delle relazioni che comprende una nuova genetica sociale e nuove relazioni interetniche, più o meno mature, inserite nell'originale globalità contemporanea. Questo genere di relazioni strutturano i diversi individui che ne sono protagonisti, obbligandoli alla reciprocità e intersoggettività interculturale. Il capitale sociale diventa dunque il fattore essenziale della modernizzazione delle società complesse contemporanee. Ciò significa che il complesso sistema di welfare deve essere trasformato a partire dal patrimonio culturale e sociale di una popolazione sempre più eterogenea e culturalmente complessa. L’allarmismo lanciato da alcuni studiosi relativamente alla minacciosa avanzata dei migranti nel territorio nazionale risulta, Primo Piano L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare 39 L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare Primo Piano dunque, del tutto fuori contesto e non sostenibile. In tutti i Paesi avanzati i migranti costituiscono una quota crescente della popolazione attiva, il cui riconoscimento dei diritti rappresenta un passaggio fondamentale nel percorso di inclusione sociale e crescita economica. Tra questi, risultano particolarmente importanti il diritto alla salute e all’assistenza sociale, il diritto all’abitazione, all’istruzione e alla cittadinanza, ossia diritti che attengono ai beni essenziali per la vita degli individui, da cui derivano legittime aspettative non come singoli, uno indipendente dall’altro, ma come soggetti che vivono in società con altri soggetti. I dati smentiscono l’idea che gli immigrati usufruiscano in modo illegittimo dei servizi pubblici e di protezione sociale dei Paesi di accoglienza Il contributo dei migranti al sistema di welfare: da problema a opportunità Nonostante questa premessa, il rapporto tra migranti e welfare, soprattutto in Europa e a causa di una crisi economica e sociale grave e di lungo periodo, si presenta come uno dei temi più problematici delle società contemporanee 6 . Sono diverse le ricerche che hanno indagato l’origine di alcuni conflitti sociali e che hanno evidenziato come essi traggano origine, in prevalenza, dal diffuso risentimento da parte di diverse classi di cittadini verso i migranti, rei di usufruire illegittimamente dei servizi pubblici e di protezione sociale del Paese di accoglienza 7 (su questo punto si veda anche l’intervista a Stefano Zamagni pubblicata nel numero 6/2011 di libertàcivili ndr). Eppure i dati raccontano un'altra storia. In Italia, ad esempio, i migranti contribuiscono al Prodotto interno lordo per circa l’11%, mentre versano alle casse pubbliche più di quanto percepiscano come fruitori di prestazioni e servizi sociali. Non è affatto un dato trascurabile. Studi condotti anche in altri Paesi europei, come nel Regno Unito, hanno indicato che il contributo della popolazione nata all’estero all’erario dello Stato è del 10% maggiore di quanto essi ricevono come beneficiari di spesa sociale. Risultati analoghi sono emersi in Germania, dove i migranti contribuiscono all’economia in modo molto maggiore 6 libertàcivili I maggiori problemi di convivenza sembrano nascere davanti alle graduatorie delle assegnazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica o in relazione al riconoscimento di prestazioni assistenziali anche ai migranti 40 7 Un recente studio dell’European Social Survey sulla percezione della popolazione europea rispetto al contributo dei migranti all’economia dei Paesi di inserimento (cui l’Italia non ha partecipato) mostra come proprio nel campo delle politiche di welfare si riscontri la maggiore preoccupazione delle popolazioni nazionali nei confronti dei migranti, interpretando la loro presenza come un peso per il sistema sociale ed economico 2 0 12 marzo - apr ile 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili L’assistenza prestata dagli immigrati alle famiglie significa un risparmio cospicuo per lo Stato italiano, valutato nell’ordine di sei miliardi di euro l’anno di quanto non ricevano in benefici economici diretti, riuscendo anche a dimostrare che non ci sono significative differenze tra la welfare dependency (il livello di dipendenza dai servizi sociali) della popolazione autoctona e di quella straniera. Più in generale gli studi svolti nell’Unione Europea mostrano come col tempo i migranti tendano a inserirsi nel sistema socio-produttivo del Paese ospitante, pesando in modo sempre minore sul sistema di welfare, e anzi contribuendo considerevolmente al suo mantenimento. A questo riguardo i migranti, anche in Italia, oltre a contribuire e beneficiare del welfare nazionale vanno considerati anche come creatori/erogatori di un welfare informale o invisibile che prende la forma del lavoro domestico e di assistenza alla persona di cui essi (e in particolare le donne) sono gli addetti quasi esclusivi. Si tratta di occupazioni e servizi rivolti alla persona e alla famiglia di grandissima importanza sociale, di cui l’Italia è storicamente deficitaria, almeno rispetto agli altri Paesi europei (4,9% contro il 13%), i cui costi si scaricano maggiormente sulle famiglie, che per pagare addetti al lavoro di cura o il soggiorno in strutture dedicate spendono mediamente più di 9 miliardi l’anno. Il ruolo dei lavoratori migranti in questo ambito mira a sostituire servizi che il settore pubblico stenta a garantire, mentre la forza lavoro italiana semplicemente continua a svolgere altre occupazioni, all’interno di un mercato del lavoro la cui elevata segmentarietà interna permette la coesistenza di svariate tipologie di lavoro e di lavoratori. In altri termini, il ricorso a manodopera (per lo più femminile) di origine straniera ha gradualmente assunto un ruolo centrale per la gestione delle esigenze di cura che attraversano in misura crescente la società italiana, consentendo alle famiglie di disporre di servizi di cura personalizzata, a basso costo e a domicilio e al Governo di limitare la spesa sociale, con un risparmio pubblico che viene stimato dallo stesso ministero del Lavoro in circa 6 miliardi di euro annui per mancate prestazioni socio-assistenziali. Secondo il Rapporto Oasi 2009 della SDA Bocconi, il Sistema sanitario nazionale si farebbe carico di un solo anziano su quattro, mentre nel resto dei casi l’onere della cura ricadrebbe sulle famiglie, che usufruiscono di circa 40 miliardi di euro versati dall’Inps per il sostegno. Parallelamente cresce l’aspettativa di vita, tanto che secondo le stime di Eurostat in Italia nel 2060 questa passerà per le donne dagli attuali 84,5 a 90 anni e per gli uomini da 78 a 85 anni. Le conseguenze sul sistema di welfare nazionale saranno indubbiamente rilevanti e da programmare Primo Piano L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare 41 Un altro dato da sottolineare per i suoi risvolti positivi è il contributo che i lavoratori immigrati assicurano alla sostenibilità del sistema pensionistico. Un contributo tanto maggiore quanto più gli immigrati sono in regola coi contratti di lavoro libertàcivili Primo Piano L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare 42 2 0 12 marzo - apr ile per tempo, a partire dal fatto che, almeno stando alle previsioni dei rapporti annuali ministeriali, la disponibilità di “badanti” migranti andrà diminuendo (in particolare con riferimento ai flussi dall’Europa dell'Est) mentre un'ampia fascia di famiglie non potrà permettersi il ricorso all’assistenza privata. Rispetto al processo ora descritto, legato alle dinamiche di invecchiamento della popolazione autoctona e all’evoluzione sociale e occupazionale del flusso migratorio, è bene ricordare che in Italia la popolazione migrante risulta assai giovane, tanto che in circa il 70% dei casi ha meno di 40 anni mentre nel 40% dei casi ha un’età compresa tra i 25 e i 40 anni, ovvero rientra nella fascia più importante sul piano del potenziale economico-contributivo, a fronte di una quota che tra gli italiani non arriva a un quarto del totale. Si tratta di dati che rovesciano considerazioni allarmistiche e che dovrebbero spingere in favore di politiche pubbliche molto più centrate sulla presenza dei lavoratori migranti e sulla loro capacità di generare economie virtuose. L’importanza del contributo che i lavoratori migranti assicurano alla sostenibilità del sistema pensionistico italiano potrebbe essere assai maggiore qualora si promuovesse il loro inserimento regolare tanto nel mondo del lavoro che, di riflesso, nelle strutture sociali e giuridiche del Paese. A dimostrazione dell'importanza che un universo di migranti valorizzati e ben occupati per le economie e soprattutto per il mantenimento dei servizi di welfare genererebbe, si ricordano i dati campionari di una ricerca IT-EU (Survey of Income and Living Conditions) del 2007, integrati con una stima dei trasferimenti pubblici per istruzione e sanità, pur non considerando le prestazioni pensionistiche; essi tendenzialmente verserebbero nelle casse statali tra imposte e contributi più di quanto ricevano in termini di sussidi sociali, a differenza degli italiani che mediamente godono di un beneficio fiscale netto superiore di circa 3mila euro a quello dei migranti. La stessa regolarizzazione avviata nel settembre del 2009 per gli addetti al settore domestico e di cura alla persona, per esempio, ha portato nelle casse statali circa 154 milioni di euro di contributi arretrati, mentre nel periodo 2010-2012 si stimano almeno 1,3 miliardi supplementari a vantaggio delle casse della previdenza statale italiana. La diffusa concezione per cui la presenza di culture diverse nel territorio nazionale eroderebbe la fiducia e il senso di comunità tra i cittadini creando un rapporto inverso fra la gestione delle diversità etniche e le politiche redistributive è, dunque, evidentemente smentita dai dati e dai risultati di numerose e qualificate ricerche. Tutto questo per riconoscere l’importanza sociale ed economica dei migranti anche in relazione al welfare, seppure ancora prevalentemente e strumentalmente utilizzati per forme di welfare informale – pure estremamente utile – superando pregiudizi diffusi ma privi di senso e riscontro empirico. Includere i migranti nel processo di riprogrammazione del welfare italiano a partire dal ruolo sociale ed economico che essi ricoprono, fondamentale per l'economia italiana così come anche per il mantenimento di standard qualitativi di vita elevati, è la sfida del futuro. Questo percorso agevolerebbe un processo di inclusione che eviterebbe tensioni sociali e aiuterebbe il dialogo interculturale, a partire proprio da un rinnovato sistema di welfare. Si tratta di una delle sfide più complesse delle democrazie contemporanee, soprattutto di quella italiana, rappresentata dalla necessità di conciliare i crescenti livelli di diversità culturale con il senso di una comune identità da porre alla base dei moderni sistemi di welfare. Primo Piano L’inclusione degli immigrati nel sistema del welfare Bibliografia OECD, 1994, New Orientalism for Social Policy, Paris Saraceno C., 2004, Le dinamiche assistenziali in Europa. Sistemi nazionali e locali di contrasto alla povertà, Bologna, Il Mulino Triglia C., 1999, “Capitale sociale e sviluppo locale”, in Stato e Mercato, n.57 libertàcivili Baumann Z., 2000, Dentro la globalizzazione, Roma-Bari, Laterza Esping Andersen G., 1990, The Three World of Welfare Capitalism, Princeton, Princeton University Press Moini G., 20 01, Welfare e salute - Verso nuove forme di regolazione pubblica, Roma, SEAM 2 0 12 marzo - apr ile 43 Primo Piano Si scrive welfare state, si legge welfare locale Il sistema di assistenza sociale sta ritornando verso una dimensione territoriale basata sul forte ruolo del Terzo settore, sulla scia di un principio di sussidiarietà ormai divenuto necessario in un contesto di risorse scarse di Oscar Gaspari Saggista libertàcivili Il moderno welfare italiano è nato nei comuni del primo '900 che offrivano servizi come case popolari, forni per il pane, centrali del latte e farmacie 44 2 0 12 marzo - apr ile L’assistenza: dai comuni allo Stato… Molti sono convinti a tal punto che il sistema di welfare sia di competenza dello Stato (welfare state) che anche quando questo è promosso dai comuni lo definiscono “welfare state comunale” invece di “welfare comunale”. È infatti profonda la convinzione che tutto – o quasi – sia iniziato con il famoso Rapporto Beveridge del dicembre del 1942, dal nome dello studio fatto dal direttore della London School of Economics and Political Science per il governo britannico, che avviò poi il “welfare state”. Eppure il welfare italiano è nato nei comuni. Forse confraternite e scuole di misericordia di epoca medioevale appartengono a un passato troppo lontano, anche se sono in carne e ossa le donne e gli uomini con quelle antiche insegne che vediamo soccorrere malati e anziani nei loro paesi e nelle loro città, ma anche popolazioni disastrate, molto distanti dai campanili cui sono legati. Sono un po’ meno lontani i comuni – specie quelli amministrati da socialisti e cattolici – che nel primo Novecento costruivano case popolari, gestivano forni per il pane e centrali del latte, aprivano farmacie, bagni e lavanderie municipali. Garantire migliori condizioni abitative e igieniche, come una migliore alimentazione, erano compiti di cui il comune si faceva carico in nome della modernità, oltre che della giustizia sociale. Ecco, quindi, i “negozi del pane” del sindaco socialista di Bologna Francesco Zanardi, o il Comitato per il consumo delle carni congelate dell’Associazione dei comuni di don Luigi Sturzo, nel periodo della Grande guerra. Dopo lo statalismo corporativo fascista, e quello egualitario repubblicano, l’Europa della sussidiarietà chiede il welfare comunale … e ritorno: la legge 328/2000 C’è voluta l’Europa per ricordarci, con la sussidiarietà verticale e orizzontale, che le nostre leggi dovevano dar spazio ai comuni e al Terzo settore, moderna e oggi molto spesso anche laica versione delle nostre misericordie. È infatti il principio di sussidiarietà richiamato dalla Carta europea delle autonomie locali, varata dal Consiglio d’Europa nel 1985, uno dei pilastri della legge 8 novembre 2000, n. 328, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali ” nel quale il comune viene riconosciuto come protagonista degli interventi previsti. Assistenza ai singoli e all’interno della famiglia, sostegno alla qualità della vita, prevenzione, riduzione e rimozione di disabilità e disagio, diritto alle prestazioni assistenziali: questi gli obiettivi. Ed è in questo quadro che lo Stato assume il ruolo che gli è proprio, quello di equilibratore delle differenze tra i territori attraverso il finanziamento del Fondo nazionale per le politiche e gli interventi sociali e la programmazione di regioni e istituzioni locali, previsto originariamente dalla legge 449/1997. I comuni, in base alla legge 328/2000, “sono titolari delle funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale e concorrono alla programmazione regionale” (art. 6). Un ruolo fondamentale per rispondere alla crisi di oggi che, come afferma Marco Revelli, “non ha attraversato il Paese come uno ‘tsunami’, in forma indifferenziata e livellata. Ha invece colpito in modo differenziato, per aree territoriali, a seconda delle diverse specializzazioni produttive, del grado di coesione sociale, dell’infrastrutturazione e della qualità dei servizi 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Appena più vicini sono gli anni della “cortina di ferro” e della Guerra fredda, quando comuni della sinistra e parrocchie gareggiavano nel portare in vacanza i bambini al mare o in montagna, magari per poi ricordare ai genitori di votare “nel modo giusto” alle elezioni successive. Il modello statalista sviluppato dal fascismo, che tutto faceva fare allo Stato dei grandi enti nazionali, come l’Inps, ripreso nella Repubblica dai piani quinquennali e dalla programmazione economica, ha fatto presto a velare il nostro passato con termini e concetti propri della letteratura anglosassone. L’obiettivo ultimo del progetto statalista repubblicano era però ambizioso: passare dalle iniziative meritorie ma frammentarie dei comuni e dal welfare corporativo fascista – dove si pensava alla tutela per categorie -– all’assistenza universale che, in Italia, voleva dire soprattutto armonizzare Nord e Sud. Primo Piano Dal welfare comunale al welfare locale 45 Dal welfare comunale al welfare locale Primo Piano disponibili; e, all’interno di ogni area, per caratteristiche dei nuclei familiari, per collocazione lavorativa dei loro membri, per caratteristiche generazionali, per disponibilità di risorse culturali e per dimensioni del rispettivo ‘capitale sociale’… Un mosaico ad ampio spettro, visibile nella sua articolazione solo con uno sguardo ‘dall’interno’ ” 1 . E lo sguardo “dall’interno” che possono offrire i comuni – migliore di quello di qualsiasi altra istituzione – può fare la differenza nella realtà di oggi nella quale è soprattutto nelle città che anziani, bambini, poveri, bisognosi, immigrati hanno maggiori necessità; quindi i comuni sono i soggetti più indicati a trovare le soluzioni migliori. Ma è proprio a partire dai comuni che si ripropone la sfida del divario tra Nord e Sud, cui tentò di rispondere l’originario progetto repubblicano con il nuovo istituto delle regioni e con comuni di cui veniva riconosciuta e promossa l’autonomia. libertàcivili La diversità tra Nord e Sud ha fatto sì che le stesse misure abbiano avuto impatti distinti, specialmente per il tessuto sociale diverso: una sfida da giocare 46 Nord e Sud Uno studioso del settore come Ugo Ascoli è recentemente arrivato a chiedersi “se mai ci sia stato un sistema italiano di welfare” 2 , perché le profonde diversità tra Nord e Sud hanno fatto e fanno sì che le stesse misure abbiano avuto impatti molto distinti. Il tessuto sociale diverso, spesso alterato da quelle organizzazioni criminali che distorcono anche le attività economiche, il mancato decollo di quei servizi che costituiscono la base minima del welfare moderno, quali sono scuola e sanità, caratterizzati da costi altissimi e prestazioni mediocri, sono la causa prima del consistente divario tra Centro-Nord e Sud – Lazio compreso – che, nonostante gli interventi dello Stato, si è andato aggravando in modo significativo dal 1992 al 2008, a livelli sconosciuti nel resto d’Europa. È solo al Nord che, in modo simile a quanto è accaduto nei Paesi europei, le burocrazie pubbliche, insieme alle istituzioni locali, sono state in grado di sviluppare negli ultimi trent’anni una maggiore qualità dei servizi classici (scuola e sanità) e stanno rispondendo con nuovi servizi socioassistenziali alle sfide poste da disabili e anziani, anche grazie al peso crescente del Terzo settore. Nel Sud, invece, alla povertà dei servizi di istruzione e sanità 1 M. Revelli, Presentazione, in Giovanni B. Sgritta (a cura di), Dentro la crisi. Povertà e processi di impoverimento in tre aree metropolitane, FrancoAngeli, Milano 2012, p.11 2 2 0 12 marzo - apr ile U. Ascoli, Il welfare del nord e il welfare del sud, in “nelMerito.com”, 14 ottobre 2011 si accompagna una burocrazia pubblica e un’amministrazione locale inefficiente pervasa dal clientelismo anche malavitoso che, scrive Ascoli, è stata “prodotta dai processi di decentramento”. Accade così che al divario tra sviluppo economico disuguale si sommi, nelle regioni meridionali, quello tra le politiche di welfare, che in Europa sono invece in grado di alleviare il divario esistente tra aree diverse. Una situazione, questa, rimasta sostanzialmente intatta nonostante la presenza di processi di mobilitazione di una parte dell'opinione pubblica locale e la crescita dell'associazionismo. La proposta di Ascoli è pesante: “differenziare le politiche di decentramento e di devoluzione di funzioni verso i territori regionali” attraverso un gradualismo dei processi “accompagnato da efficaci modalità di controllo, monitoraggio e tutoraggio” esterni alla realtà locale. Intanto la crisi economica sta riducendo sempre più le risorse. Crisi economica e scarsità di risorse La forte crisi economica mondiale iniziata nel 2007 ha avuto e sempre più avrà pesanti conseguenze sul welfare comunale, aggravando la scarsità di risorse che avevano iniziato a ridursi anche prima dello scoppio della crisi. Gli stanziamenti per i fondi statali di carattere sociale sono stati fortemente ridimensionati quando non azzerati, in particolare dalla Legge di stabilità per il 2012, in vista del raggiungimento del pareggio di bilancio dello Stato per il 2013, nel rispetto degli accordi raggiunti nell’ambito dell’Unione Europea. Considerate le forte riduzioni di risorse destinate alle istituzioni locali ben difficilmente queste riusciranno, come erano talvolta riuscite nel passato, a compensare i tagli con propri interventi. Nei calcoli fatti dal deputato Antonio Misiani in base a quanto previsto nella Legge di stabilità del 2012, portato a 10 0 l’ammontare dei 2.526,7 milioni di euro che sommavano complessivamente i diversi fondi di carattere sociale previsti dal bilancio dello Stato 3 per il 2008, nel 2012 quel numero indice dovrebbe abbassarsi a 9,1, per un ammontare di 229,4 milioni 4. 3 Fondi per le politiche della famiglia, pari opportunità, politiche giovanili, infanzia e adolescenza, politiche sociali, non autosufficienza, affitto, inclusione immigrati, servizi infanzia, servizio civile 4 A. Misiani Fondi statali per le politiche sociali: nuovi tagli con la Legge di stabilità 2012, http://www.astrid.eu/Amministra/Contributi/Misiani_A_Fondi-politiche-sociali2012_21_11_11.pdf 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili La forte crisi economica mondiale impone allo Stato nazionale la riduzione delle risorse destinate al welfare; oggi non è più possibile contare sullo sviluppo Primo Piano Dal welfare comunale al welfare locale 47 Dal welfare comunale al welfare locale Primo Piano Le proteste, come quella a Pordenone dello scorso 4 maggio 5, potrebbero intensificarsi. La consapevolezza delle difficoltà della situazione ha portato il Governo alla decisione di progettare agli inizi di maggio uno specifico piano di welfare di circa un miliardo di euro per il Mezzogiorno destinato a giovani, anziani e asili nido, attraverso una riprogrammazione delle risorse comunitarie 6 . L’Italia, insieme a tutti i suoi comuni, non è certo la sola in difficoltà nel panorama europeo e mondiale, ma fronteggiare la situazione è davvero faticoso. Secondo i dati dell’Istat, nel 2009 il tasso della povertà relativa era del 5,2% nelle regioni settentrionali e del 22,7% in quelle meridionali, con una media nazionale del 10,9%. Non è più possibile oggi, a differenza di quanto è avvenuto fino ad ora, contare sullo sviluppo economico complessivo del Paese per trovare risorse per i più bisognosi e per le regioni più disagiate. Si impone oggi un nuovo modello di welfare anche nei comuni; più che “fare” questi devono “promuovere e organizzare” 5 “Domani sit-in degli immigrati contro il welfare comunale”, http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2012/05/04/news/domani-sit-in-degli-immigrati-contro-il-welfarecomunale-1.4461242 libertàcivili 48 Dal welfare comunale a quello locale Le badanti: dall’immigrazione incontrollata all’agenzia comunale? Tra le lavoratrici – e in minor misura tra i lavoratori – che più frequentemente entrano nel nostro Paese il mestiere di badante è senza dubbio uno dei più diffusi. È con il loro lavoro altamente flessibile per orari e mansioni che le famiglie italiane hanno potuto rispondere al processo di invecchiamento della popolazione e all’indebolimento delle reti familiari intergenerazionali. Secondo i dati dell’Inps erano più di un milione e mezzo i rapporti di lavoro attivi a fine 2008 e circa 600mila i lavoratori domestici registrati, in gran parte donne straniere (ma la stima ufficiosa ne calcola fino al doppio), il 20% dalla sola Romania 7 . Si tratta di un fenomeno di portata tale da imporre al Governo un intervento, avvenuto con la legge 102/2009 diretta a far emergere e a sanare i rapporti di lavoro irregolari. Ma i comuni non sono rimasti inerti. È del marzo scorso un articolo apparso nella cronaca milanese di un grande quotidiano che annuncia Agenzia per badanti e baby-sitter. Nuovo corso 6 Il dossier. Le misure del gover no, “La Repubblica”, 12 maggio 2012, p.2 http://download.repubblica.it/pdf/2012/economia/dossier_12052012.pdf. 7 “Welfare: colf e badanti, una su due lavora in nero”; http://www.filcams.cgil.it/home.nsf/ IFrameCorpo1l?OpenPage&http://www.filcams.cgil.it/stampa.nsf/57623518e73aab358 02567e40054adc9/d80549b5f71d9a72c12575be00365fa9!OpenDocument&Click= 2 0 12 marzo - apr ile Primo Piano Dal welfare comunale al welfare locale 8 “La Repubblica Milano”, 24 marzo 2012; http://milano.repubblica.it/cronaca/ 2012/03/24/news/agenzia_per_badanti_e_baby_sitter_nuovo_corso_del_welfare_co munale-32107867/ 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili del welfare comunale nel quale veniva annunciato il ruolo di garanzia del comune di Milano rispetto alla competenza e alla sicurezza di baby-sitter e badanti nella prospettiva di unificare i servizi già oggi offerti da alcune strutture locali e competere con le strutture private. La strategia è chiara. Se il comune non è più in grado di offrire direttamente i servizi non può però disinteressarsi delle necessità dei propri cittadini, siano famiglie che hanno bisogno di baby-sitter e badanti, siano lavoratori che offrono il proprio impegno nell’ambito familiare. A fronte dei 14 milioni in meno stanziati dalla regione, solo negli ultimi mesi, il competente assessore milanese prospetta la creazione di “reti di autogestione” per i senzatetto e per gli anziani, e una maggiore diffusione dell’affido familiare come alternativa alla comunità per i minori in difficoltà. L’assessore assicura che questo “non vuol dire in alcun modo che Palazzo Marino abdicherà al ruolo di guida, ma che metterà in rete le realtà esistenti sul territorio”, specie per scongiurare sprechi e distorsioni resi possibili dalla mancanza di controlli 8 . 49 Primo Piano Dal welfare comunale al welfare locale libertàcivili Diminuiscono i servizi comunali, crescono le convenzioni con il volontariato; non è un ripiego, deve essere una scelta strategica. Servono norme per regolare il Terzo settore, anche per rispondere a richieste di nuovi servizi 50 2 0 12 marzo - apr ile Il Terzo settore: dal welfare comunale a quello locale. Considerata la riduzione di risorse, proprie e trasferite, e del personale, l’unica possibilità per i comuni è quella di passare da una gestione diretta del welfare a una gestione di garanzia, di controllo, alla messa in rete delle iniziative, nei casi migliori, oppure alla sollecitazione di iniziative, nell’eventualità queste mancassero. Anche nell’ambito del welfare, come da tempo sta avvenendo nel settore dei servizi pubblici locali, il comune deve passare dalla gestione diretta al controllo e alla organizzazione oppure, per dirlo nei termini anglosassoni oggi di moda, deve essere in grado di passare dal government alla governance, dallo storico “welfare comunale” a quello “locale”. Secondo i dati del V Rapporto su enti locali e terzo settore dell’aprile 2012 il complesso dei servizi sociali gestiti direttamente dai comuni in Italia scende complessivamente al 42%, con un minimo del 24,2% nel Nord-Ovest e un massimo del 54% al Sud, e cresce il ricorso alle convenzioni con il volontariato. Il problema è che, in molti casi, la dismissione dei servizi in gestione diretta a favore dell’affidamento a soggetti terzi viene vissuto da molte amministrazioni comunali come un ripiego imposto dalle circostanze, dalla necessità di abbattere i costi, non come una scelta strategica. Una visione che sembrerebbe supporre il carattere temporaneo del ricorso al Terzo settore, favorita anche dalla mancanza di norme che fanno apparire quel settore come provvisorio e improvvisato. Oggi le prestazioni sociali offerte dalle associazioni vengono erogate in gran parte attraverso contratti atipici e la partecipazione delle organizzazioni di volontariato alla programmazione sociale è poco qualificata; tutto questo mentre il rapporto tra operatori e utenti è destinato ad aumentare, specie per quanto riguarda i servizi per l’infanzia e l’assistenza domiciliare per gli anziani. A fronte dei forti limiti imposti alle assunzioni pubbliche, inoltre, il ricorso alle selezioni finalizzate alla ricerca di personale per lo svolgimento di prestazioni occasionali, da retribuire anche mediante buoni lavoro (voucher), nella forma del lavoro accessorio (legge 191/2009), nasconde l’uso sostitutivo e non integrativo delle persone selezionate. Intanto cresce una domanda sociale variegata, collegata alla povertà, ai bisogni socio-sanitari dovuti alle condizioni di salute, ma anche a bisogni di socialità, a necessità di spostamento nel territorio per raggiungere uffici pubblici, ospedali e ambulatori, o per svolgere attività sociali. Richieste che richiedono una risposta delle istituzioni locali in termini di potenziamento del sistema dei servizi reali e di creazione di nuove 9 Auser, Francesco Montemurro (a cura di, con la collaborazione di Giulio Mancini), V Rapporto su enti locali e terzo settore. Sintesi, Coordinamento Michele Mangano, IRES Lucia Morosini, Roma aprile 2012; http://images.auser.it/f/v_entilocali/ vr/vrapportoentilocali.pdf 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Il nuovo welfare locale sarà sempre più complesso, serviranno dirigenti, amministratori e politici preparati e responsabili occasioni di integrazione sociale e promozione del benessere. Le organizzazioni di volontariato possono essere investite non solo di compiti di “assistenza” o di gestione di servizi e interventi sociali “per conto” delle istituzioni locali ma anche di un ruolo di sollecitazione e ausilio nella promozione e nella realizzazione sul territorio di spazi di auto-organizzazione in grado di rispondere ai nuovi bisogni della popolazione anziana. Tra i principali punti critici segnalati vi è la forte sollecitazione che gli enti territoriali esercitano nei confronti delle associazioni per la gestione di “pezzi” di servizi sociali. Ma a una tale complessità dell’intervento richiesto spesso non corrisponde né un’adeguata regolazione, né l’attivazione di un processo di programmazione sociale condivisa. Il paradosso rilevato nel V Rapporto – non nuovo a dire il vero nella nostra Italia – è che “a fronte del rilevante apporto che associazioni e imprese sociali forniscono alla gestione dei servizi sociali, le amministrazioni pubbliche locali sono ancora inadempienti nella creazione di regole davvero efficienti e trasparenti per consentire al Terzo settore di erogare servizi di qualità alla cittadinanza, e di giocare un ruolo importante nella programmazione sociale e in termini di sussidiarietà orizzontale” 9 . Un richiamo alle responsabilità di politici e amministratori locali – ma anche regionali e nazionali – che non dovrebbe rimanere inascoltato. Primo Piano Dal welfare comunale al welfare locale 51 Primo Piano L’accesso degli stranieri alle prestazioni sociali nel quadro internazionale, comunitario e interno Il diritto alla sicurezza sociale, fissato dalle norme e dalla giurisprudenza internazionali ed europee, va garantito anche agli stranieri. Lo “stop” delle Corti italiane alle leggi statali e regionali tese a limitare la parità di accesso di Stefania Dall’Oglio Esperta in diritti umani Base di ogni discorso sui diritti fondamentali degli stranieri è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 1. Il quadro internazionale Non si può parlare di diritti fondamentali degli stranieri senza fare riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. I diritti e le libertà ivi proclamati spettano, per espressa disposizione dell’articolo 2, ad ogni individuo, come essere umano a prescindere dal suo status di cittadino, “senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.”. La Dichiarazione, come noto, al tempo della sua proclamazione non aveva valore giuridicamente vincolante e i diritti in essa tutelati (civili, politici, economici, sociali e culturali) poterono confluire in convenzioni vincolanti per gli Stati soltanto nel 1966, libertàcivili 52 Premessa Il diritto di accesso alle prestazioni assistenziali da parte degli stranieri è oggetto di un vasto panorama legislativo, la cui analisi necessita di una bussola essenziale per la lettura e l’interpretazione delle norme: la giurisprudenza (interna, internazionale e comunitaria), che permette di definirne i contorni e i contenuti. Poiché i diversi livelli normativi illustrati – internazionale, comunitario e nazionale – non costituiscono “compartimenti stagni”, ma si integrano e completano a vicenda, la maggiore o minore forza di una disposizione che conferisca diritti agli stranieri consisterà, sotto il profilo giuridico, nel livello di tutela giurisdizionale di cui essa gode e, sotto il profilo culturale, nel substrato ove è destinata ad applicarsi. 2 0 12 marzo - apr ile 1 In particolare l’art. 27 della Convenzione garantisce ai lavoratori migranti lo stesso trattamento dei cittadini dello Stato di impiego in materia di sicurezza sociale, nella misura in cui soddisfino i requisiti previsti dalla legislazione in vigore in tale Stato, anche in base agli eventuali accordi con lo Stato di origine dei lavoratori. Inoltre, nel caso in cui la legislazione in vigore non conceda loro di usufruire di una determinata prestazione, il medesimo articolo prevede che gli Stati di accoglienza esaminino la possibilità di rimborsare agli interessati l’ammontare dei contributi versati per tale prestazione, sulla base dell’analogo trattamento riservato ai cittadini in circostanze simili 2 L’Italia non ha firmato né ratificato la Convenzione, proprio in quanto non effettua distinzione tra migranti regolari e irregolari. Cfr. in proposito, da ultimo, tra le osservazioni del Governo italiano allegate al rapporto dell’ECRI sull’Italia pubblicato il 21/2/2012, la risposta alla raccomandazione n.7 dell’ECRI che invita l’Italia alla ratifica della Convenzione Onu sui diritti dei lavoratori migranti 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Due convenzioni dell’OIL e una dell’Onu proteggono i diritti dei lavoratori migranti e stabiliscono la parità di trattamento con i lavoratori nazionali in materia di sicurezza sociale per mezzo del Patto Onu sui diritti civili e politici e di quello sui diritti economici sociali e culturali, entrati in vigore nel 1977. In particolare, con riguardo alle prestazioni di assistenza sociale, gli articoli 22 e 25 della Dichiarazione universale e gli articoli da 9 a 11 del Patto sui diritti economici sociali e culturali riconoscono il diritto di ogni individuo alla sicurezza sociale, ivi comprese le assicurazioni sociali. Per quanto concerne i lavoratori, il principio della parità di trattamento in materia di sicurezza sociale tra lavoratori migranti e lavoratori nazionali è previsto da due Convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL): la n. 97/1949, il cui articolo 6 garantisce un trattamento in materia di sicurezza sociale non meno favorevole di quello applicato dagli Stati ai propri cittadini, e la convenzione n.143/1975 il cui articolo 10 garantisce ai lavoratori stranieri e ai loro familiari, che si trovino regolarmente sul territorio di uno Stato membro, il principio di parità di opportunità e di trattamento senza discriminazioni di reddito o basate sull’anzianità o sul consolidamento del loro soggiorno, anche in materia di sicurezza sociale. Inoltre, un’ampia tutela dei diritti dei lavoratori migranti si rinviene nella Convenzione Onu sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri dello loro famiglie del 1990, entrata in vigore soltanto nel 2003, a causa del basso numero di ratifiche raggiunte1. Tale Convenzione ha, infatti, un contenuto decisamente innovativo e garantista rispetto agli altri trattati internazionali in materia, in quanto proclama i diritti di tutti i lavoratori migranti, senza specificare o entrare nel merito della posizione di migrante regolare o irregolare (Articolo 2, comma 1). Questo il motivo per cui è stata ratificata principalmente da Stati di emigrazione piuttosto che di immigrazione 2 . Alcune categorie di persone sono, poi, destinatarie di particolare tutela da parte di specifiche convenzioni delle Nazioni Primo Piano Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri 53 Primo Piano Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri libertàcivili La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, attraverso le sentenze della Cedu, vieta ogni discriminazione nel godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione, tra cui quello alla protezione sociale 54 Unite, tra le quali i rifugiati e gli apolidi, a cui la Convenzione Onu sullo status dei rifugiati del 1951 e la Convenzione Onu sullo status degli apolidi del 1954 conferiscono parità di trattamento con i cittadini nell’accesso a tutte le prestazioni di assistenza sociale 3. Per quanto concerne, inoltre, le persone con disabilità, la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità del 2006 garantisce loro la protezione giuridica contro ogni discriminazione e prevede il diritto di raggiungere adeguati livelli di vita e di protezione sociale (articoli 5 e 28). Su questo contesto normativo internazionale si innesta trasversalmente la Convenzione Onu sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1965, che sancisce l’obbligo degli Stati di eliminare e vietare ogni forma di distinzione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e in particolare, tra i diritti economici, sociali e culturali, il diritto alla previdenza e ai servizi sociali (articoli 1 e 5, lett e), n. IV). Lo stesso divieto di discriminazione, anche per motivi di origine nazionale, è presente all’art. 2, comma 2, del Patto Onu sui diritti economici, sociali e culturali con riferimento ai diritti ivi enunciati. Nell’ambito del Consiglio d’Europa, particolarmente importante è la tutela offerta dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950. Il rispetto da parte degli Stati membri dei diritti e delle libertà fondamentali riconosciuti dalla Convenzione viene garantito, infatti, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha dato vita a una ricchissima giurisprudenza interpretativa della Convenzione medesima, basata sul precedente. In particolare, i diritti che in questa sede interessano, godono di tutela grazie all’articolo 14 della Convenzione europea e all’articolo 1 del Primo protocollo alla Convenzione medesima. L’articolo 14 vieta ogni discriminazione, inclusa quella fondata sull’origine nazionale, nel godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione: ha dunque una valenza trasversale che, per quanto di interesse, va correlata alla tutela della proprietà prevista dall’art.1 del Protocollo n.1, interpretato dalla Corte come comprensivo di tutti i diritti patrimoniali, compreso il diritto alle prestazioni sociali. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 1 del Protocollo n.1, secondo la Corte è ingiustificata 3 Cfr. art. 23 Convenzione Onu sullo status dei rifugiati del 1951 e art. 23 Convenzione Onu sullo status degli apolidi del 1954 2 0 12 marzo - apr ile 4 Decisione sulla ricevibilità Stec ed altri c/Regno Unito del 6/7/2005, ric. 65731/01. parr. 53-55, sent.Andrejeva c. Lettonia del 18/2/2009, ric. 55707/00, par. 77 5 Sent. Van Raalte c/Olanda del 21/2/1997, par.39, sent. Larkos c/Cipro del 18/2/1999, ric. 29515/95, par. 29; sent. Gaygusuz c/Austria del 16/9/1996, ric. 35/95, par. 42; sent. Stec e Altri c/ Regno Unito del 12/4/2006, ric. 65731/01, par. 51; sent. Luczak c/ Polonia, del 27/11/07, ric. 77782/01, par. 47; sent. Sampanis ed Altri c/Grecia, del 5/6/2008, ric. 32526, par. 67 e par. 84 6 Sent. Petrovic c/Austria, 16/9/1996 par. 42; sent. Luczak c/ Polonia, del 27/11/07, ric. 77782/01, par. 48 7 Sent. James ed Altri c/ Regno Unito, del 21/2/1986, ric.8793/79, par. 46; sent. National and Provincial Building Society e Altri c/ Regno Unito, del 23/10/1997, ric.117/1996, par.80 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Non è giustificata la differenza di trattamento fra persone che si trovano in situazioni analoghe, a meno che ciò non abbia una motivazione oggettiva e ragionevole, la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità degli Stati la distinzione tra prestazioni contributive e non contributive e, sebbene l’articolo 1 medesimo non comporti un diritto assoluto a percepire le prestazioni sociali quale che sia la loro natura, quando uno Stato adotta una legislazione che prevede l’erogazione automatica di una prestazione, indipendentemente dal previo versamento o meno di contributi, tale legislazione è da ritenersi suscettibile di generare un interesse patrimoniale rientrante nel campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo n.1 e, conseguentemente, non potrà sottrarsi al giudizio di compatibilità con l’art.14 della Convenzione 4 . Secondo la Corte europea sussiste violazione dell’art.14 quando una differenza di trattamento tra persone che si trovano in situazioni analoghe o prevalentemente simili non abbia una oggettiva e ragionevole giustificazione, ossia, in altre parole, quando la differenza di trattamento non persegue uno scopo legittimo o non esiste un ragionevole legame di proporzionalità tra i mezzi impiegati e il fine che si intende realizzare. Gli Stati contraenti usufruiscono di un margine di apprezzamento nello stabilire se, e fino a che punto, differenze in situazioni simili sotto altri aspetti giustifichino differenze di trattamento 5 . La portata di tale margine di apprezzamento può variare secondo le circostanze, la materia e il contesto 6. Un ampio margine è di solito concesso allo Stato parte della Convenzione quando esso adotta misure di carattere generale inerenti strategie economiche o sociali 7. Se, in linea generale, solo ragioni molto importanti possono giustificare agli occhi della Corte una differenza di trattamento basata esclusivamente sulla nazionalità, d’altro canto, a causa della diretta conoscenza della società e dei suoi bisogni, le autorità nazionali sono in via di principio prioritariamente competenti, rispetto al giudice internazionale, a valutare cosa corrisponda al pubblico interesse sul piano sociale o economico, e la Corte generalmente rispetta le scelte Primo Piano Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri 55 Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri Primo Piano politiche del legislatore, a meno che esse non siano “manifestamente prive di ragionevole fondamento” 8. È doveroso, infine, ricordare che gli Stati membri della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sono tenuti a riconoscere a ogni persona soggetta alla loro giurisdizione e, dunque, a prescindere dal possesso o meno dello status di cittadino, i diritti e le libertà enunciati nella Convenzione medesima e nei suoi protocolli 9 . Per la Carta di Nizza ogni individuo residente o che si sposti legalmente nell’UE ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale in base al diritto UE e alle legislazioni nazionali 2. Il quadro comunitario In base all’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000 (c.d. “Carta di Nizza”), ogni individuo che risieda o si sposti legalmente all'interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali. La Carta di Nizza, che con il Trattato di Lisbona ha assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati (ai sensi dell’art. 6, par.1, del TUE), si applica alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell’Unione 10 . Sino all’entrata in vigore della direttiva 2011/98/UE del 13/12/201111, relativa al rilascio del permesso di soggiorno unico ai lavoratori stranieri, in linea generale la normativa comunitaria prevedeva la parità di trattamento con i cittadini comunitari in materia di prestazioni di assistenza sociale solo per alcune categorie di stranieri: i familiari extracomunitari di cittadini comunitari 12; i titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e i loro familiari 13; i lavoratori 8 Sent. Luczak c/ Polonia, del 27/11/07, ric.77782/01, par. 48; sent. Stec e Altri c/ Regno Unito del 12/4/2006, ric. 65731/01, par. 52; sentenze Amer c/Francia del 29 ottobre 2009, ric. 29137/2006, Carson ed altri c/Regno Unito (Grande Camera) del 16/3/2010, ric. 42184/2005 9 Art.1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo 10 Art. 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea 11 Direttiva 2011/98/UE del 13/12/2011 relativa a una procedura unica di domanda libertàcivili per il rilascio di un per messo unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro 56 12 Cfr. Direttiva n. 2004/38/CE del 24/4/2004 sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e dei loro familiari, art. 24 13 Cfr. Direttiva n. 2003/109/CE, modificata dalla direttiva 2011/51/UE, art .11, par.1, lett. d). Tuttavia, ai sensi del medesimo art.11, par. 4, gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale e protezione sociale alle prestazioni essenziali 2 0 12 marzo - apr ile 14 Cfr. Direttiva 2009/50/CE del 25/5/2009 sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, art.14, lett. e) 15 Cfr. Direttiva n. 2004/83/CE, rifusa nella direttiva 2011/95/UE, art. 29 par.1. Il paragrafo 2 del medesimo articolo stabilisce, tuttavia, che in via di eccezione gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento in materia di assistenza sociale alle prestazioni essenziali 16 Cfr. Regolamento (UE) n.1231/2010 del Parlamento e del Consiglio del 24/11/2010, par.12 dei considerando ed articolo 1 17 Cfr. Accordo euromediterraneo con l’Algeria firmato il 22/4/2002, con il Marocco firmato il 26/2/1996 e con la Tunisia firmato il 17/7/1995 18 Cfr. art. 3, co.2, del Regolamento (CE) n. 883/2004 e sentenze Corte di Giustizia del 9/10/1974, causa C-24/74 Biason, del 13/11/1974, causa C-39/74 Costa, del 5/5/1983, causa C-139/82 Piscitello, del 24/2/1987, cause riunite C-379-381/85 e C-93/86 Gukettum del 20/6/1991, causa C-356/89, Stanton-Newton 19 In caso di mancato recepimento entro il termine, gli Stati membri saranno comunque obbligati ad applicare le disposizioni “self executing” della direttiva. La Corte di Giustizia ha, infatti, stabilito che la direttiva può avere comunque efficacia diretta se lo Stato membro non la recepisce nei ter mini, oppure la recepisce in 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili La direttiva 2011/98/UE ha esteso il diritto alle prestazioni sociali a tutti gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno per lavoro altamente qualificati 14; i titolari di protezione internazionale 15; gli stranieri che, risiedendo legalmente in uno Stato membro, si trovino in una situazione che non sia confinata, in tutti i suoi aspetti, all’interno di un solo Stato membro, ossia quegli stranieri che, trasferitisi da uno Stato membro a un altro, si trovino in situazioni transfrontaliere 16. A tali categorie si aggiungono, poi, i cittadini migranti di Stati terzi con i quali l’Unione ha stipulato accordi di associazione euro-mediterranei che contengano espressamente una clausola di parità di trattamento nella materia della sicurezza sociale, quali Algeria, Tunisia e Marocco 17. La citata direttiva 2011/98, entrata in vigore il 24 dicembre 2011, ha attribuito ai cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno unico per motivi di lavoro un insieme comune di diritti, sulla base della parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano. In particolare, l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e) ha esteso – sebbene con alcune eccezioni (art.12, par. 2, lett. b) – la parità di trattamento con i cittadini comunitari ai settori della sicurezza sociale, quali definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004. Tali settori comprendono sia le prestazioni contributive che le prestazioni assistenziali, la cui distinzione non è tuttavia rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario, come asserito dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia 18 . Questa direttiva, che rappresenta, a parere di chi scrive, un passo fondamentale nel diritto dell’Unione verso il riconoscimento dei diritti economici e sociali dei lavoratori migranti non comunitari, dovrà essere recepita nell’ordinamento degli Stati membri entro il 25 dicembre 2013 19 . Primo Piano Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri 57 Primo Piano Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri Specifiche disposizioni antidiscriminazioni nel settore del lavoro e del welfare sono contenute anche nella direttiva 2000/43/CE Infine, per completare il quadro normativo comunitario, è necessario fare riferimento alla disciplina antidiscriminatoria in vigore nell’Unione, che trae origine dall’articolo 19 TFUE, contenente il principio generale del divieto di discriminazione per motivi di sesso, razza, origine etnica, religione convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali. A tal proposito l’adozione della direttiva 2000/43/CE ha segnato uno spartiacque nello sviluppo della tutela discriminatoria negli Stati membri. Tale direttiva prevede, infatti, il principio della parità di trattamento tra le persone, indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, nei settori del lavoro e del welfare, compresa la sicurezza sociale. Tuttavia, pur definendo la discriminazione con un contenuto più ampio possibile e offrendo un rimedio giurisdizionale ad hoc per la sua rimozione e per il ristoro del danno subito, la direttiva in questione non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e non pregiudica le disposizioni e le condizioni relative all’ingresso, nonché alla residenza, dei cittadini di Paesi terzi e degli apolidi nel territorio degli Stati membri 20 . 3. Il quadro nazionale L’Italia ha ratificato tutte le convenzioni internazionali sopra illustrate, (eccezion fatta per la Convenzione Onu sui lavoratori migranti del 1990), entrate a far parte del nostro ordinamento giuridico tramite l’articolo 117 della Costituzione, in qualità di “norme interposte” tra la Costituzione e la legge ordinaria 21. Le norme internazionali convenzionali, tuttavia, non godono di diretta applicabilità da parte dell’autorità giudiziaria, contrariamente a quanto accade per le norme comunitarie, in quanto, in caso di contrasto insanabile con la normativa interna, il giudice non può disapplicare la norma nazionale configgente con quella internazionale, ma è tenuto, in base a quanto asserito dalla Corte libertàcivili forme non corrette o non sufficienti a raggiungerne lo scopo. L’efficacia diretta della direttiva implica che il giudice deve disapplicare la norma interna confliggente con la norma comunitaria quando si verifichino le seguenti condizioni: le disposizioni pertinenti devono essere, dal punto di vista sostanziale, sufficientemente precise e incondizionate; l’efficacia diretta opera solo dopo la scadenza del termine per l’attuazione; l’efficacia diretta può essere invocata solo dal singolo nei confronti di un’autorità pubblica (c.d. efficacia diretta verticale). Cfr. sentenza Van Duyn, causa 41/74, del 4/12/1974; sentenza Ratti, causa 148/78, del 5/4/1979, sentenza Marshall, causa 152/84, del 26/2/1984 58 20 Cfr. art.3, par. 2, della direttiva e, recentemente, quanto ribadito dalla sentenza della Cor te di Giustizia (Grande Sezione) del 24/4/2012 nella causa C-571/10 Kamberaj, par.49 21 Cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 348 e 349 del 2007 2 0 12 marzo - apr ile 22 Ibidem 23 Cfr., per tutte, le sentenze della Corte costituzionale n.120/1967 e 120/1969 24 In attuazione dell’art. 24 della Direttiva n. 2004/38/CE 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili La distinzione fra prestazioni previdenziali e assistenziali nell’articolo 38 della nostra Costituzione e le ricadute sulla normativa interna costituzionale, a sollevare un eventuale questione di legittimità costituzionale per contrasto con l’art.117 della Costituzione 22 . La disposizione costituzionale che costituisce, per quanto di interesse, il cardine su cui si fonda l’impianto del quadro normativo interno è rappresentata dall’articolo 3, che proclama l’uguaglianza formale e sostanziale tra i cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Come noto, la portata di tale articolo è stata estesa a tutti gli individui, cittadini e non, dalla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale 23 , la quale ha affermato come esso vada letto in connessione con l’articolo 2, che riconosce a ogni persona il godimento dei diritti inviolabili dell’uomo – tra cui i diritti sociali fondamentali – e con l’articolo 10, secondo comma, secondo il quale la condizione giuridica dello straniero è disciplinata dalla legge in conformità con le norme e i trattati internazionali. L’art. 38 della Costituzione costituisce, inoltre, il fondamento del riconoscimento della tutela previdenziale e assistenziale, prevedendo quale destinatario della tutela previdenziale il lavoratore e come beneficiario del diritto all’assistenza sociale il cittadino, sebbene secondo l’interpretazione della Corte costituzionale, di cui si dirà tra breve, l’applicabilità delle garanzie ivi contenute vada assicurata anche agli stranieri. Tale bipartizione tra previdenza e assistenza ha consentito al legislatore nazionale di differenziare tra prestazioni previdenziali con carattere contributivo, riconosciute anche agli stranieri su un piano di tendenziale parità, e prestazioni assistenziali a carattere non contributivo, per la cui fruizione da parte degli immigrati la normativa interna ha progressivamente aumentato i limiti e le preclusioni, contestualmente all’avanzare di periodi di crisi economica. Le categorie di stranieri che nel diritto interno godono, in linea generale, di una tutela assistenziale più estesa sono quelle tutelate dal diritto comunitario, quali sopra illustrate. In particolare, per quanto concerne i familiari non comunitari di cittadini comunitari, la parità di trattamento in materia di assistenza sociale è prevista dall’art.19 del D.Lgs 30/2007 24 . La stessa Primo Piano Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri 59 Primo Piano Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri libertàcivili parità è assicurata dall’art. 9 del D.Lgs 286/1998 2 5 (Testo unico sull’immigrazione) agli stranieri titolari del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti e dall’art. 27 del D.Lgs 251/2007 26 ai titolari di protezione internazionale, mentre per i lavoratori transfrontalieri la normativa comunitaria è immediatamente e direttamente applicabile, trattandosi di regolamento 27 . Per tutte le altre categorie di stranieri l’art. 41 del TU immigrazione rappresenta la disposizione generale di riferimento, attuativa dell’articolo 10 della Costituzione, ai sensi del quale la disciplina della condizione giuridica dello straniero è coperta da una riserva di legge “rinforzata”, ossia conforme agli standard minimi di tutela previsti dalla normativa internazionale generale o pattizia. L’articolo 41 equipara ai cittadini italiani i titolari di carta di soggiorno (poi divenuta permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti) 28 e i titolari di permesso di soggiorno non inferiore a un anno, ai fini della fruizione delle provvidenze e 60 25 In attuazione dell’art.11 della Direttiva 2003/109/CE 26 In attuazione dell’art. 29 della Direttiva 2011/95/UE 27 Regolamento (UE) n.1231/2010 del Parlamento e del Consiglio del 24/11/2010 28 Il requisito di residenza legale per l’ottenimento del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti è di cinque anni, conformemente alla normativa comunitaria 2 0 12 marzo - apr ile 29 Cfr. art. 2 della legge n. 328/2000 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Nell’ultimo decennio, numerosi interventi normativi hanno portato a una progressiva restrizione della parità di trattamento sociale ad alcune categorie di stranieri delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi, per gli invalidi civili e per gli indigenti. Il diritto degli stranieri individuati a usufruire del sistema integrato di interventi e servizi sociali, con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi regionali, è ribadito anche dalla legge 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) 29 . Gli interventi normativi successivi, tuttavia, hanno segnato una inversione di rotta del legislatore che, in base a considerazioni volte a contenere la spesa pubblica, ha progressivamente ristretto ad alcune categorie di stranieri la parità di trattamento in materia sociale, sino a che, con la legge 388/2000 (Finanziaria 2001), ha previsto una generale restrizione alla equiparazione prevista dall’art. 41 del TU. L’art. 80, comma 19, di tale legge subordina, infatti, al possesso del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti l’accesso all’assegno sociale e alle altre provvidenze economiche costituenti diritti soggettivi in base alla legislazione vigente, conservando per i titolari di permesso di soggiorno di almeno un anno l’equiparazione con gli italiani solo per le altre prestazioni e servizi sociali. La legge 133/2008 è poi intervenuta in senso ulteriormente restrittivo, elevando a dieci anni il periodo di permanenza legale continuativa sul territorio nazionale ai fini della fruizione dell’assegno sociale, oltre a escludere espressamente i non cittadini dall’accesso alla c.d. social card. Infine la legge 2/2009, di conversione del c.d. “decreto-anticrisi”, ha stanziato per il 2009 risorse per il c.d. bonus bebè, riservandolo ai soli neonati di cittadinanza italiana. Sulla normativa statale (ma anche sulla legislazione regionale e sulla normativa e/o condotta degli enti locali) limitativa, in modo diretto o indiretto, della parità di accesso alle prestazioni sociali in base alla cittadinanza, è intervenuta una vasta e articolata giurisprudenza, che ha avviato una importante opera di sensibilizzazione in senso antidiscriminatorio. Va in proposito chiarito che, accanto alla legislazione di settore in materia di provvidenze sociali, nel nostro ordinamento è presente una solida e ampia tutela normativa contro le discriminazioni (sia civile che penale), che comprende il recepimento tanto delle direttive comunitarie quanto della Convenzione Onu Primo Piano Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri 61 Primo Piano Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri La tutela offerta dalla giurisprudenza civile, che ha condannato spesso i provvedimenti presi a livello locale suscettibili di praticare forme di discriminazione “indiretta” basate sulla nazionalità contro la discriminazione razziale del 1965 30 . La c.d. “Direttiva razza” (2000/43/CE) e la Direttiva quadro in materia di discriminazione sul lavoro (2000/78/CE) sono state, infatti, recepite rispettivamente per mezzo dei decreti legislativi n. 215 e 216 del 2003. La “Direttiva razza” non offre tutela antidiscriminatoria per motivi di origine nazionale. Tuttavia, la normativa di recepimento ha esteso la garanzia giurisdizionale prevista dalla direttiva medesima anche alla discriminazione per motivi di nazionalità, diretta o indiretta. La nozione di discriminazione fornita dall’art. 2 del D.Lgs 215/2003 include, infatti, anche i motivi di origine nazionale, facendo espressamente salva la definizione di discriminazione a sua volta presente nell’art. 43, commi 1 e 2, del TU immigrazione. Nel contempo l’art. 4 dello stesso decreto legislativo prevede che la tutela giurisdizionale avverso gli atti e i comportanti discriminatori si svolga nelle forme previste dall’articolo 44 del TU, che disciplina appunto le modalità dell’azione civile contro la discriminazione. È proprio in tale sede che la giurisprudenza di merito ha svolto una capillare azione di “smantellamento” dei paletti apposti dalle amministrazioni locali, con l’emanazione di sentenze di condanna alla cessazione delle condotte discriminatorie 31 , fondate in particolare su forme di discriminazione indiretta, assai più estese e facilmente dissimulabili dietro a limitazioni di diversa natura. Si ha, infatti, una discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto, o comportamento apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio determinate persone rispetto ad altre, sulla base di motivazioni che riguardano, nel nostro caso, la nazionalità 32 . Riguardo alla normativa statale e regionale limitativa delle prestazioni assistenziali a favore degli stranieri, è la Corte costituzionale che, pronunciatasi a più riprese, ha sviluppato un orientamento volto a riequilibrare in senso antidiscriminatorio le scelte operate dal legislatore. La giurisprudenza costituzionale, 30 Ratificata con legge n. 654/1975 libertàcivili 31 Si veda, da ultimo, tribunale di Firenze, pronuncia del 19/3/2010, con cui è stato 62 riconosciuto a uno straniero titolare di solo permesso di soggiorno l’assegno di invalidità e tribunale di Padova, sez. lavoro, pronuncia del 5/12/2011 con la quale è stato riconosciuto a un cittadino straniero lungo soggiornante l’assegno per nuclei familiari con almeno tre figli minori, negatogli dal comune su parere negativo dell’Inps 32 Cfr. Dlgs n. 215/2003 art. 2, co.1, lett. b) in combinato disposto con l’art. 43 TU immigrazione 2 0 12 marzo - apr ile 33 Cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 432/2005, n. 306/2008 e 11/2009, 187/2010, 40/2011 34 Ex art.1 legge n.18/1980 35 Ex art.13 della legge 30 marzo 1971, n.118 36 Cfr. rispettivamente, le sentenze della Corte costituzionale n. 306/2008 e n.187/2010, sulla cui scia si è pronunciata recentemente anche la Corte di cassazione, sezione VI civile, con sentenza n. 4110 del 14/3/2012 37 Cfr. sentenza n. 40/2011 38 L’Unar, istituito con D.Lgs 215/2003 presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento per le Pari opportunità, è attualmente sotto la competenza del ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Le sentenze della Corte costituzionale in materia di accesso alle prestazioni sociali dei migranti sono imperniate su due principi: quello della ragionevolezza e quello della parità di trattamento a questo riguardo, si è imperniata essenzialmente su due principi concorrenti: il principio di ragionevolezza, in base al quale sono ammessi regimi di trattamento differenziato per italiani e stranieri solo in presenza di una causa normativa non palesemente irrazionale o arbitraria; il principio della parità di trattamento riguardo al godimento dei diritti essenziali e inviolabili dell’uomo, in base al quale non è possibile alcun trattamento differenziato tra cittadini e stranieri. Secondo la Corte costituzionale, dunque, è ammesso il trattamento differenziato per prestazioni non afferenti a diritti fondamentali e sempre che si rispetti il principio di ragionevolezza, in piena conformità con la sopra richiamata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 33 . In base a tali principi la Corte costituzionale è intervenuta a dichiarare l’illegittimità costituzionale del menzionato articolo 80, comma 19, della legge Finanziaria 2001 per due volte e a distanza di due anni. Dapprima nella parte in cui, a seguito del combinato disposto con l’art. 9, co.1, TU immigrazione, esclude la corresponsione dell’indennità di accompagnamento 34 agli stranieri non in possesso dei requisiti di reddito stabiliti per l’ottenimento del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti e, successivamente, nella parte in cui subordina la concessione dell’assegno mensile di invalidità 35 alla titolarità del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti 36. La Corte ha, altresì, recentemente ritenuto illegittime alcune disposizioni della legge 6/2006 della regione Friuli-Venezia Giulia nella parte in cui introducono preclusioni volte a escludere i cittadini extracomunitari e comunitari non residenti da almeno trentasei mesi dalle previdenze sociali fornite dalla medesima regione nell’ambito del sistema integrato di servizi 37. Infine, il 29 novembre 2011 l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica (Unar) 38 ha formulato una Primo Piano Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri 63 Il quadro normativo internazionale, comunitario e italiano sui diritti sociali degli stranieri Primo Piano importante raccomandazione, avente tra i destinatari gli enti e uffici pubblici 39 . Tale raccomandazione contiene l’invito a evitare condotte discriminatorie, conformandosi alla normativa interna e sovranazionale di riferimento e all’interpretazione che di essa dà la giurisprudenza della Corte europea e della Corte costituzionale, secondo cui “quando una determinata prestazione di assistenza sociale è prevista dalla legge statale o regionale e da altri provvedimenti statali, regionali o locali ad essa automaticamente accedono, oltre che i cittadini italiani e i cittadini comunitari, anche gli stranieri extracomunitari regolarmente soggiornanti quali indicati dall’art. 41 TUI”. Ciò premesso, anche il legislatore sta muovendo i primi timidi passi verso l’adozione di norme ampliative dei diritti sociali fondamentali per gli stranieri. Il recentissimo Dl 5/2012 (c.d. “decreto semplificazioni”), convertito nella legge 35/2012, destina la sperimentazione della c.d.”nuova social card” per le famiglie in difficoltà anche ai titolari di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti e ai cittadini comunitari. Tale nuova “carta acquisti” non sostituirà la vecchia, di cui alla legge 133/2008 – che continuerà ad essere fornita solo ai cittadini italiani – ma la affiancherà in via sperimentale e nei soli comuni con popolazione superiore ai 250mila abitanti 40 . Significativa, inoltre, la decisione con cui il Consiglio dei ministri lo scorso 14 febbraio 2012 ha deciso l’impugnazione innanzi alla Corte costituzionale della legge 44/2011 della regione Calabria, per l’esclusione indebita dagli interventi per la tutela e il sostegno delle persone non autosufficienti dei cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti, ma non in possesso del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti. libertàcivili In conclusione non si può che prendere atto, trascorsi 64 anni dalla proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla entrata in vigore della nostra Carta costituzionale, di quanto complesso e tortuoso sia il percorso per il riconoscimento agli stranieri delle provvidenze di natura socioassistenziale che costituiscono diritti soggettivi fondamentali, in quanto volti al soddisfacimento dei bisogni primari della persona umana. 64 40 2 0 12 marzo - apr ile Cfr. art. 60 del Dl 5/2012 come modificato dalla legge di conversione Primo Piano Per un mercato del lavoro più moderno e trasparente nei servizi alla persona Il 75% degli addetti al welfare familiare sono immigrati. I progetti del ministero del Lavoro per una migliore formazione dei lavoratori e per la creazione di una rete di servizi mirati a facilitare l’incontro fra domanda e offerta di Natale Forlani La domanda di servizi alla persona è in crescita nei Paesi sviluppati perché cresce il peso della popolazione anziana e aumenta il lavoro extradomestico delle donne Il settore dei servizi alle persone, inteso come aggregazione delle prestazioni socio-assistenziali, sanitarie nell’ambito domestico, è ormai una componente importante del prodotto interno lordo dei Paesi sviluppati. La qualità delle prestazioni erogate influenza fortemente il welfare di queste nazioni. La spinta alla crescita di tali servizi è prodotta da alcuni fattori: l’invecchiamento della popolazione, l’incremento dell’acquisto dei servizi di cura per bambini, anziani, e per l’igiene della casa, collegato all’aumento del lavoro extradomestico della donna. In tempi recenti la compressione dei costi degli ospedali, contribuisce in modo rilevante alla formazione di una nuova domanda di servizi su base territoriale e domiciliare. È un fatto noto che la crescita di questa domanda in Italia è stata, in particolare negli anni Duemila, soddisfatta dall’offerta delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati, e in particolare dalle cosiddette “colf” o “badanti”, in modo più intenso rispetto a quanto già accaduto in altri Paesi sviluppati. Le peculiarità italiane sono rappresentate dalla elevata percentuale della domanda di servizi alle persone soddisfatta dalle lavoratrici/lavoratori immigrati e dalla rilevante presenza di lavoro sommerso. Contribuiscono alla formazione di queste tendenze, sia sul lato della domanda che dell’offerta, le difficoltà delle famiglie nel sostenere i costi delle prestazioni. La crescita della domanda di cura degli anziani e di conciliazione tra lavoro e famiglia per le donne è relativamente rigida, in particolare quella rivolta ad assicurare l’assistenza dei cittadini non autosufficienti. Questo comporta per le famiglie, soprattutto 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Direttore generale per l’Immigrazione del ministero del Lavoro 65 Welfare familiare: per un mercato del lavoro più moderno e trasparente Primo Piano quelle a reddito medio-basso, notevoli difficoltà nel sostenere i costi contrattuali delle assunzioni. Per molte donne italiane, entrare nel mondo del lavoro comporta l’acquisto di servizi di cura a costi superiori del potenziale reddito da lavoro reperibile. Il lavoro immigrato, sovente mal pagato e non di rado irregolare, fornisce una cassa di compensazione verso queste criticità, incrementate dalle difficoltà delle famiglie di reperire una manodopera in tempo utile, dato che l’ingresso di nuovi immigrati è subordinato all’adozione di decreti governativi. Il lavoro malpagato, disagiato e irregolare consolida l’immagine professionale negativa della colf-badante, allontana una potenziale offerta di lavoro indigena, comprime la produttività e la quantità delle prestazioni, accentua la mobilità del lavoro. Per certi aspetti è incomprensibile la sottovalutazione italiana dell’importanza di avere un’economia civile, trasparente, e di qualità, legata ai servizi alla persona, quasi fosse normale assicurare livelli di cura inadeguati alla popolazione più anziana. In queste condizioni dobbiamo dare per scontato un ulteriore degrado del nostro welfare e la compressione del tasso di crescita del lavoro delle donne italiane. La domanda dei servizi verso le persone è anticiclica, destinata a incrementarsi in relazione all’aumento dei non autosufficienti, per almeno 100mila unità annue. La qualità dell’offerta di lavoro dipenderà fortemente da quella delle politiche di sostegno – soprattutto fiscale – alle famiglie e dalla capacità di ricostruire un mercato del lavoro ufficiale, trasparente, qualificato. Principali indicatori demografici della popolazione residente anno 2010/2050 (valori percentuali) Anno libertàcivili 2010 2020 2030 2040 2050 66 Numero medio di figli per donna 1,42 1,52 1,57 1,59 1,58 Età media della popolazione Popolazione 65 anni epiù Popolazione 80 anni epiù Indice di dipendenza strutturale Indice di dipendenza degli anziani 43,4 45,3 47,0 48,4 49,2 20,3 22,8 26,5 31,3 33,0 5,8 7,4 8,8 10,4 13,5 52,2 57,5 64,9 78,6 84,7 30,9 35,9 43,6 55,8 60,9 Indice di vecchiaia 144,8 166,7 205,3 245,0 256,3 Fonte: Demo Istat 2010 Nota: Secondo le previsioni Demo Istat, da qui al 2060 gli italiani con più di 65 anni aumenteranno di circa 13 punti percentuali (dal 20,3 al 33%). In questo quadro, l’indice di dipendenza degli anziani (il rapporto tra la popolazione con oltre 65 anni e la popolazione in età 15-64), è pari al 30,9% per il 2010, ma si stima giungere al 60,9 al 2050. Questo indice si differenzia da quello di dipendenza strutturale (il rapporto tra la popolazione non autonoma, fino a 14 anni e con più di 65, e la popolazione in età 15-64) e l’indice di vecchiaia (il rapporto tra la popolazione anziana con più di 65 anni e la popolazione più giovane, fino a 14 anni). 2 0 12 marzo - apr ile Tali obiettivi sono intrinsecamente connessi fra loro. La possibilità di detrarre fiscalmente i costi dell’assistenza familiare è fondamentale per rendere sostenibile l’acquisto di questi servizi nel mercato ufficiale. Un mercato del lavoro trasparente, e dignitosamente retribuito, è condizione per riqualificare l’offerta dei servizi e delle risorse umane impegnate. Le restrizioni della spesa pubblica, ormai strutturali, impongono alcune scelte nella politica fiscale e sull’utilizzo dei fondi strutturali europei, evitando dispersioni e finanziamenti a pioggia in progetti locali di breve respiro, assolutamente inadeguati a riorientare le scelte delle famiglie e degli operatori di mercato. Sostenere le famiglie nell’acquisto dei servizi di cura, così come per la crescita dei figli, è un vero affare per ogni nazione che lo fa. L’emersione del lavoro nero favorisce un recupero significativo (il 70-80%) degli importi di spesa pubblica destinati allo scopo, stimola la crescita della produttività, depotenzia la domanda di interventi sul sistema socio-assistenziale sanitario pubblico. Inoltre, la qualificazione delle assistenti familiari migliora le prestazioni del welfare. 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Primo Piano Welfare familiare: per un mercato del lavoro più moderno e trasparente 67 Primo Piano Welfare familiare: per un mercato del lavoro più moderno e trasparente Numero dei lavoratori domestici, 2001-2009 stime Censis (val. ass. in migliaia) Fonte: elaborazione Censis 2010 su dati Istat libertàcivili Lavoratori domestici Inps per nazionalità (2003-2008) Fonte: Inps, Osservatorio sui lavoratori domestici, dati annuali, 2011 68 2 0 12 marzo - apr ile 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Vanno affrontati i problemi connessi alla specificità della famiglia come datore di lavoro: facilitare l’incontro tra domanda e offerta, supportare la gestione dei rapporti di lavoro, qualificare le risorse umane Si può comprendere facilmente, per la natura dei nostri problemi economico-sociali, quanto sia importante compiere scelte in questa direzione per il nostro Paese. Le deleghe al Governo per il riordino della spesa sociale, in particolare quella legata all’assistenza, e degli interventi fiscali, sono occasioni importanti per fare delle scelte in questa direzione. Nel mercato del lavoro vanno affrontati problemi connessi alla specificità del “datore di lavoro famiglia”: facilitare l’incontro domanda-offerta, supportare la gestione dei rapporti di lavoro, qualificare le risorse umane. In questa direzione assume un grande rilievo il programma promosso dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, d’intesa con tutte le regioni italiane, per diffondere una rete capillare di servizi per l’incontro fra domanda e offerta, ivi compresa la gestione amministrativa dei rapporti di lavoro, per il tramite di operatori privati e privatosociali (in particolare i patronati di assistenza) che unitamente ai servizi pubblici per l’impiego possono favorire le famiglie nel reperire e gestire i nuovi rapporti di lavoro. In parallelo sarà promossa una rilevante azione formativa rivolta a qualificare i diversi profili professionali socio-assistenziali e sanitari dell’assistenza familiare. La qualificazione del mercato del lavoro specifico è intrinsecamente connessa con quella del lavoro degli immigrati, che rappresentano il 75% della forza lavoro in questo settore e assolvono a oltre il 90% della domanda incrementale di prestazioni. In questo senso diventano decisive le iniziative complementari in corso di attuazione: la qualificazione nei Paesi di origine come condizione di nuovi ingressi per motivi di lavoro, la valorizzazione delle risorse umane disoccupate nella fase di transizione verso un nuovo posto di lavoro. Sul primo versante assume un notevole rilievo la decisione di autorizzare quote di nuovi ingressi di lavoratori formati, anche per l’apprendimento della lingua italiana, nei Paesi di origine, disponibili anche in assenza dell’adozione del decreto flussi annuale per gli ingressi di lavoro subordinato. Sul versante delle politiche attive interne, sarà possibile per le lavoratrici e i lavoratori disoccupati usufruire di voucher da utilizzare per la frequenza di specifici corsi di formazione. Un insieme di programmi, in corso di attuazione, del valore complessivo di oltre 40 milioni di euro che si stanno incrementando attraverso i cofinanziamenti regionali e che può avvicinare il nostro mercato dei servizi alla persona agli standard già raggiunti in altri Paesi europei. Primo Piano Welfare familiare: per un mercato del lavoro più moderno e trasparente 69 Primo Piano Ripensare le politiche migratorie in tempo di crisi Per applicare le politiche di welfare to work ai lavoratori stranieri – particolarmente esposti a fenomeni quali disoccupazione, sottoccupazione e perdita di capitale umano – occorre superare alcune criticità che ne ostacolano l’attuazione Rodolfo Giorgetti Responsabile area immigrazione - Italia Lavoro libertàcivili I lavoratori immigrati hanno prodotto nel 2010 il 12% del Pil a fronte di un peso demografico del 7,5% 70 2 0 12 marzo - apr ile 1. Immigrazione e mercato del lavoro I cittadini stranieri in Italia sono oltre 4.500.000 e di questi circa 2.600.000 sono lavoratori, pari a oltre l’11% della popolazione lavorativa italiana. Una cifra significativa che è cresciuta negli ultimi anni senza soluzione di continuità. La crisi del mercato del lavoro ha tuttavia avuto effetti rilevanti anche rispetto al tasso di disoccupazione dei lavoratori migranti: in questi anni gli uomini hanno raddoppiato la loro percentuale di disoccupazione passando tra il 2008 e il 2010 dal 7 al 14% e anche le donne hanno seguito una dinamica analoga passando dal 9 al 16%. Tali dati evidenziano come la crisi abbia fortemente inciso sulla componente immigrata della forza lavoro rispetto a quella autoctona. Tra i migranti, la crisi economica ha generato mediamente circa 300mila esuberi all’anno, sebbene con esiti in parte contraddittori e peculiari, dovuti prevalentemente agli specifici settori di impiego, tra cui non solo quello della manifattura e delle costruzioni – notoriamente maggiormente in crisi – ma anche quello dei servizi alla persona. Come evidenziato nel XVII Rapporto sulle migrazioni dell’Ismu, l’occupazione di cittadini stranieri, però, ha continuato a crescere anche nel periodo di crisi: tra il 2007 e il 2010 è aumentata di 579mila unità, di cui la metà circa nel biennio critico 2008-2010. Inoltre, i lavoratori migranti hanno continuato, anche in questa fase recessiva, a contribuire al Pil nazionale in misura nettamente superiore alla loro incidenza demografica: hanno prodotto infatti il 12% del Pil nazionale a fronte di un peso demografico del 7,5% (dati 2010). La convenzione OIL garantisce ai lavoratori stranieri e alle loro famiglie regolarmente soggiornanti nel territorio parità di trattamento e uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani 2. Le politiche di ricollocazione dei lavoratori stranieri Per ripensare le politiche del lavoro destinate alla popolazione immigrata, è necessario valutare e analizzare le caratteristiche peculiari del mercato del lavoro straniero. In particolare, devono essere prese in considerazione l’alta mobilità geografica, la forte adattabilità sul lavoro e la spiccata propensione al rischio di impresa. Sulla base di tali elementi dovrebbero essere conseguentemente calibrate le politiche attive del lavoro rivolte ai cittadini stranieri, nella consapevolezza che la Repubblica italiana, in attuazione della convenzione dell’OIL n.143 del 24 giugno 1975 (ratificata con la legge 158/1981) garantisce a tutti i lavoratori stranieri e alle loro famiglie regolarmente soggiornanti nel territorio parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani (art. 2, comma 3, del D.Lgs 286/1998, TU sull’immigrazione). L’attuale crisi occupazionale ha determinato una spinta decisiva nell’evoluzione del sistema delle politiche attive, attraverso il passaggio da un welfare di tipo risarcitorio e assistenziale a un welfare di tipo promozionale e proattivo. Le misure anticrisi sugli ammortizzatori sociali in deroga e le politiche attive, adottate con l’Accordo Stato-regioni del febbraio 2009 (rinnovato nell’aprile 2011), sono state rivolte fondamentalmente ai seguenti ambiti: un ampliamento della platea dei lavoratori beneficiari di 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Nel corso della crisi si è accentuato il carattere duale del mercato del lavoro, che ha visto la popolazione immigrata inserirsi soprattutto nei settori meno qualificati, remunerati e tutelati, al fine di soddisfare la domanda di lavoro di basso profilo espressa dal sistema produttivo e sociale italiano. I lavoratori stranieri hanno inoltre risentito del deterioramento delle condizioni di lavoro, in misura superiore ai lavoratori italiani: il fenomeno del brain waste, cioè il sottoutilizzo del capitale umano, ha caratterizzato in modo prevalente la popolazione immigrata rispetto a quella italiana. La portata della crisi globale, che inevitabilmente avrà riverberi anche nei prossimi anni, è tale da necessitare una ridefinizione degli assetti economici politici e finanziari. È necessario un ripensamento complessivo del mercato del lavoro, che prenda in considerazione la popolazione lavorativa straniera quale fattore di crescita e sviluppo dell’economia dei Paesi europei. Occorre affiancare alla riforma del mercato del lavoro attualmente all’esame delle Camere politiche specifiche di welfare to work. A tal fine assumono un ruolo estremamente rilevante le politiche di ricollocazione dei lavoratori stranieri. Primo Piano Il welfare to work e il lavoro immigrato 71 Primo Piano Il welfare to work e il lavoro immigrato ammortizzatori sociali, attraverso l’estensione delle coperture degli ammortizzatori in deroga a categorie di lavoratori non coperte da alcuna forma di sostegno al reddito in caso di sospensione o di perdita del posto di lavoro una maggiore integrazione tra politiche attive e politiche passive del lavoro, rendendo più stringente per i destinatari di forme di sostegno al reddito la partecipazione a misure di politiche attive (es. obbligo di partecipazione a processi di riqualificazione professionale) una maggiore cooperazione interistituzionale fra Stato e regioni, alla luce delle competenze in materia di ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro. libertàcivili In tal modo si sono progressivamente create le condizioni normative e di contesto al fine di attuare una adeguata strategia di welfare to work basata sui seguenti principi: la tracciabilità dei percorsi lavorativi degli immigrati da parte delle amministrazioni pubbliche al fine di orientare coerenti politiche di sostegno l’adozione di un modello negoziato di politiche attive e passive la conoscenza da parte degli operatori del mercato del lavoro 72 2 0 12 marzo - apr ile dei bacini di riferimento al fine della ricollocazione degli immigrati nel mercato del lavoro l’obiettivo di creare un mercato del lavoro trasparente ed efficiente, fondato su un sistema efficace di servizi per il lavoro, in grado di aumentare le occasioni di lavoro e la presa in carico di soggetti con peculiari caratteristiche e bisogni la necessità che gli operatori pubblici e privati agiscano congiuntamente e in sussidiarietà, nell’ambito di una rete aperta e pluralistica la definizione di standard minimi di servizi personalizzati da erogare ai cittadini. Primo Piano Il welfare to work e il lavoro immigrato È giusto allungare dagli attuali sei mesi a un anno il periodo di tempo per il ricollocamento sul mercato del lavoro in caso di perdita della occupazione 3. Il permesso per attesa occupazione e la tracciabilità dei percorsi lavorativi Al fine di poter applicare le politiche di welfare to work alla popolazione straniera, occorre superare alcune criticità che ne ostacolano la loro attuazione. In primo luogo è necessario informare il migrante in modo adeguato sia con riferimento ai suoi diritti in materia di mercato del lavoro e sia in materia di integrazione e diritti sociali; ciò al fine di facilitare i percorsi attivi di reinserimento e l’accesso alle misure di politica attiva in condizione di parità con i cittadini italiani. In secondo luogo occorre superare il ristretto termine temporale previsto dal Testo unico dell’immigrazione con riferimento alla durata del permesso di soggiorno per attesa occupazione. L’art. 22, comma 11 prevede che tale tipologia di permesso possa avere la durata massima di sei mesi: un periodo significativamente troppo limitato per il ricollocamento nel mercato del lavoro, soprattutto nell’attuale momento di crisi. In questo senso deve essere salutata con favore la proposta, contenuta nel disegno di legge di riforma del mercato del lavoro all’esame delle Camere, di allungare tale periodo a un anno, come già contemplato nella previgente disciplina. Un altro aspetto molto rilevante riguarda la necessità di disporre di un patrimonio informativo condiviso che consenta di conoscere lo status giuridico e lavorativo dei singoli migranti. 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Tali azioni potrebbero costituire il volano del futuro sviluppo del mercato del lavoro nazionale, correggendone e superandone gli attuali limiti. Si tratta di misure che potrebbero agire sui fattori di crisi, calibrando le proprie specificità a seconda dei settori lavorativi e delle caratteristiche della popolazione lavorativa, inclusa quella straniera. 73 La “tracciabilità" degli immigrati che perdono il posto di lavoro è importante per avere in tempo reale i dati relativi alla condizione sociolavorativa dei cittadini stranieri sul nostro territorio 74 Di qui il bisogno di costruire i bacini e la “tracciabilità” dei migranti che perdono il posto di lavoro attraverso un sistema informativo che consenta di avere in tempo reale i dati relativi alla condizione socio-lavorativa di ciascun cittadino straniero presente sul nostro territorio. I dati in possesso delle pubbliche amministrazioni non sono oggi condivisi in modo organico rispetto alle finalità di politiche di welfare to work. La loro frammentazione non consente di conoscere la distribuzione della popolazione immigrata in relazione alla condizione lavorativa (numero disoccupati, occupati, inoccupati, imprenditori), al territorio in cui risiedono, alla distribuzione effettiva rispetto ai settori produttivi in cui lavorano e alla posizione professionale occupata. In assenza di queste conoscenze, risulta estremamente difficile programmare efficaci politiche di reinserimento. Più in generale, devono inoltre essere superate quelle distorsioni, strozzature e squilibri che tuttora condizionano il mercato del lavoro e il sistema di welfare e inibiscono le dinamiche necessarie all’evoluzione del percorso avviato verso le politiche attive. Tali distorsioni sono legate principalmente ai seguenti fattori: scarsa omogeneità delle tutele; scarsa capacità di incrociare domanda e offerta da parte dei servizi per il lavoro, sia pubblici sia privati; persistente tendenza alla autoreferenzialità dei sistemi formativi, che producono un’offerta non sempre adeguata al fabbisogno di competenze delle imprese e del mercato del lavoro; indisponibilità di un sistema incentivante mirato e organico a supporto del re-inserimento nel mercato del lavoro; debole integrazione fra politiche del lavoro e politiche dello sviluppo. Infine, è da sottolineare positivamente un’altra novità contemplata nel disegno di riforma attualmente in discussione alle Camere. Il testo prevede, infatti, che i compensi percepiti dal lavoratore migrante per lavoro accessorio possano essere computati ai fini della determinazione del reddito necessario per il rinnovo del permesso di soggiorno. 4. Rilievi conclusivi e prospettive future L’attuale momento di crisi impone una riflessione sulle politiche lavorative da attivare nei confronti dei lavoratori stranieri, i quali, come già detto, si trovano particolarmente esposti ai fenomeni della sottoccupazione, della disoccupazione e della perdita di capitale umano, con evidenti rischi di vulnerabilità anche per le loro famiglie. Per tale ragione, è necessario ripensare le politiche attuali da un duplice punto di vista. Sotto un primo e più generale profilo è opportuno program- libertàcivili Primo Piano Il welfare to work e il lavoro immigrato 2 0 12 marzo - apr ile 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Ragioni insieme di equità e di efficienza del welfare richiedono che tutte le categorie dei lavoratori abbiano accesso alle tutele sociali mare i nuovi ingressi favorendo la connessione tra ingresso e lavoro e quindi, più in generale, tra le politiche del lavoro e quelle migratorie. Ciò significa pensare politiche migratorie fondate su una base di conoscenza solida e aggiornata del fabbisogno nazionale del mercato del lavoro, in modo da fornire maggiore coerenza alle politiche, soprattutto con riferimento all’ingresso e al soggiorno dei lavoratori migranti. In questa direzione potrebbero essere favoriti gli ingressi in determinati settori lavorativi o per determinate categorie di lavoratori, valorizzando proprio grazie ai flussi migratori certi settori del mercato del lavoro nazionale, attraverso un’immigrazione selettiva e qualificata. Sotto un secondo profilo, devono essere pianificate adeguate politiche volte a ricollocare nel mercato del lavoro i lavoratori stranieri disoccupati o in mobilità già presenti sul territorio nazionale. Al riguardo, un ripensamento delle politiche del lavoro deve fondarsi su un coordinamento costante tra amministrazione centrale e amministrazioni regionali e provinciali, che risponda alla necessità di intervenire sulle priorità nazionali in tutto il territorio, tutelando in modo univoco i diritti di tutti i percettori di sostegno al reddito in deroga. Come è stato già evidenziato, l’Accordo Stato-regioni sugli ammortizzatori sociali in deroga ha infatti rappresentato un importante spartiacque nello sviluppo delle politiche per il lavoro, ponendo al centro delle misure concordate due principi: il forte collegamento tra politiche attive e passive del lavoro e l’integrazione degli strumenti finanziari. Di fatto, attraverso l’estensione delle tutele è stata realizzata una protezione pressoché universalistica e omogenea dei lavoratori. Ragioni di equità sociale, ma al contempo di efficienza del nostro sistema di welfare, richiedono dunque che sia reso sistematico l’accesso alle tutele da parte di tutte le categorie di lavoratori, sulla base dell’estensione del principio assicurativo. Inoltre, il meccanismo di connessione fra le politiche attive e passive del lavoro deve riguardare tutti i lavoratori percettori di ammortizzatori sociali. Infine, la possibilità di accedere a misure di sostegno al reddito a fronte della partecipazione a misure di politica attiva deve essere estesa anche ai lavoratori autonomi e ai collaboratori a progetto. Il modello di intervento deve essere costruito in maniera tale che a ogni ammortizzatore sociale o misura di sostegno al reddito corrisponda una politica attiva del lavoro; in tal modo si limitano i costi economici e sociali dell’intero sistema, si finalizza meglio la spesa pubblica, e si recuperano in modo trasparente le Primo Piano Il welfare to work e il lavoro immigrato 75 I collegamenti necessari per un sistema di tutele in equilibrio passano per il coordinamento tra istituzioni nazionali e locali e tra politiche attive e passive di sicurezza sociale 76 professionalità e le potenzialità delle persone a favore dello sviluppo, animando gli interessi di tutti i soggetti che ruotano intorno al mercato del lavoro. La necessità di bilanciare la tensione fra equità ed efficienza passa, dunque, soprattutto attraverso un efficace e virtuoso coordinamento fra politiche attive e passive; al contempo, la possibilità di successo è subordinata al superamento di modalità di operare che distorcono il comune sistema di convenienze rispetto al mondo del lavoro, laddove il sussidio assume il ruolo di potente disincentivo nei confronti dell’occupazione. Tali considerazioni si collocano nel più ampio confronto relativo alla costruzione di un modello di welfare to work di stampo italiano che includa anche i lavoratori stranieri, del quale la riforma degli ammortizzatori sociali e la creazione di un modello funzionale di gestione degli stessi sono parte integrante e necessario presupposto, nella misura in cui un sistema di welfare to work – come suggerito dalle più significative esperienze europee – non può prescindere da un nuovo sistema di tutele diffuse e generalizzate, rivolte anche ai lavoratori stranieri. È necessario, quindi, che la ridefinizione e il riequilibrio degli strumenti di tutela, finalizzati a reperire risorse adeguate per programmi trasparenti e generalizzati a favore di chi perde il posto di lavoro e a ridurre la povertà, siano accompagnati da un nuovo modello organizzativo di gestione degli ammortizzatori sociali, che preveda, tra le altre cose: la presenza di una rete efficace e decentrata di servizi per il lavoro, in grado di garantire servizi a tutti i lavoratori, compresi gli immigrati la predisposizione e la realizzazione di programmi individuali per l’occupazione e l’occupabilità, volti a ridurre al minimo i tempi di permanenza fuori dal mercato del lavoro la conoscenza immediata della condizione del lavoratore migrante percettore di sussidio da parte di chi deve programmare le politiche e deve erogare i servizi di supporto al reinserimento la subordinazione dell’accesso a misure di sostegno al reddito alla effettiva partecipazione a programmi di reinserimento e la previsione della perdita dell’indennità in caso di rifiuto del lavoro. Un modello come quello sopra descritto chiama in causa numerosi soggetti (pubblico/privato) e diverse tipologie di attori, nel rispetto del principio di sussidiarietà e in coerenza con l’avvenuto decentramento istituzionale. In questo rinnovato quadro di riferimento il Governo centrale deve disporre di un libertàcivili Primo Piano Il welfare to work e il lavoro immigrato 2 0 12 marzo - apr ile Si tratta, evidentemente, solo di un primo e sperimentale inizio, per il cui successo sarà fondamentale riuscire a realizzare una solida e reale collaborazione tra i diversi soggetti istituzionali che sia a livello nazionale sia sul territorio sono chiamati a dare risposte a problemi specifici legati all’integrazione dei lavoratori stranieri e alla promozione di interventi di politica attiva. Con la speranza che questa azione sia il punto di partenza verso una modifica di carattere strutturale. libertàcivili Il ruolo del Portale della integrazione nelle politiche di welfare per gli immigrati presidio strutturato e permanente dei processi, capace di garantire standard di qualità diffusi e omogenei e di mitigare le discrasie prodotte dalla frammentazione del sistema di competenze che caratterizza le politiche del lavoro. In un’ottica coerente con l’analisi sopra esposta, il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali – direzione generale dell’Immigrazione e delle Politiche di integrazione – ha finanziato un progetto denominato “Programmazione e gestione delle politiche migratorie” che si propone le seguenti finalità: fornire un supporto alla costruzione di un dialogo strutturato tra le diverse amministrazioni pubbliche che hanno, ex-lege, competenze in materia di immigrazione sviluppare una governance regionale e provinciale delle politiche migratorie, che si focalizzi sulla creazione di uno strumento informativo che “tracci” la presenza e la situazione lavorativa e sociale di ciascun migrante presente sul territorio nazionale, diffonda un modello previsionale di fabbisogno di manodopera straniera coerente con le richieste del mercato del lavoro, incentivi i flussi di ingresso di manodopera qualificata, contribuisca alla creazione di reti locali per la gestione delle politiche migratorie e alla semplificazione amministrativa delle procedure burocratiche supportare le regioni per una più efficace programmazione dell’utilizzo delle risorse economiche in riferimento ai lavoratori migranti aggiornare e formare gli operatori delle reti pubbliche e private, anche attraverso l’utilizzo di strumenti quali il Portale dell’integrazione monitorare l’utilizzo delle risorse e valutare la ricaduta delle diverse politiche messe in campo a livello centrale. Primo Piano Il welfare to work e il lavoro immigrato 2 0 12 marzo - apr ile 77 Primo Piano Il ministro Balduzzi: grazie all’INMP l’Italia è capofila nell’UE e nell’OMS per le cure ai migranti Cettina Mirisola direttore generale dell’Istituto: la nostra presa in carico delle categorie più vulnerabili e degli immigrati è a 360 gradi, con un’accoglienza ad ampio spettro, perché prima di curare ci si prende cura delle persone di Claudia Svampa libertàcivili All’INMP operano 95 persone tra medici, infermieri, psicologi, antropologi, un team di mediatori transculturali e personale amministrativo e dirigente 78 2 0 12 marzo - apr ile Potrebbe sembrare un set cinematografico allestito per uno di quei medical drama, le fortunate serie televisive ambientate fra ambulatori, corsie d’ospedale e camici bianchi, dove le vicende dello staff medico e le cartelle cliniche dei pazienti si intrecciano ripetutamente in trame fitte di suspense e alleggerite dall’happy ending. Potrebbe essere una location adatta a E.R. - Medici in prima linea, o Grey’s Anatomy, o Dr. House, se non fosse che qui non siamo a Chicago, a Seattle o nel New Jersey, ma nel cuore di Roma, nella vecchia e affascinante Trastevere, all’interno delle mura dell’antico ospedale Santa Maria e San Gallicano, fondato nell’anno giubilare 1725 da Papa Benedetto XIII, per offrire cura ai pellegrini e ai romani. E così l’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà, l’INMP, che ha sede in questo edificio di tre secoli fa, non è né fiction né medical drama, è pura realtà nel cuore della Capitale. È un luogo dove 95 persone tra personale socio sanitario e tecnico (medici, infermieri, psicologi, antropologi e un team di mediatori transculturali) e personale amministrativo e dirigente, accolgono confortano e curano nel poliambulatorio, tutti i giorni inclusi sabato e domenica, gratuitamente senza appuntamento e senza liste d’attesa, sia i migranti stranieri, regolari e irregolari, sia gli italiani, i pensionati a basso reddito o le fila, sempre più ingrossate, dei senza fissa dimora. Questa eccellenza della sanità pubblica, che da anni offre assistenza medica alle categorie più deboli della popolazione, 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Balduzzi promuove l’attività dell’istituto descritto come “un modello socioassistenziale integrato e un punto di riferimento solido per migranti regolari e irregolari” ci accoglie in un tour d’eccezione, accompagnati dal ministro della Salute, Renato Balduzzi, in visita all’istituto, e dal direttore generale dell’INMP Concetta Mirisola. “Entrare qui dentro è una storia che continua in forme diverse – ha detto Balduzzi, alla sua seconda visita, da ministro, presso l’INMP – è una storia di trecento anni, e questo evidentemente colpisce. È un istituto strategico. Nelle peregrinazioni di questi giorni mi è capitato di parlare dell’istituto in più occasioni e in diversi luoghi d’Europa. Noi come ministero in Italia abbiamo una partecipazione a un programma dell’OMS sulla salute connessa ai problemi dell’immigrazione e naturalmente abbiamo questa possibilità di partecipare in modo non formale ma, una volta tanto, da capofila grazie al fatto che c’è l’istituto. Lo stesso – ha aggiunto il ministro – vale all’interno del più ristretto ambito dell’Unione Europea dove, ugualmente, noi abbiamo rappresentato l’esperienza dell’Italia in modo significativo e questo è stato possibile, evidentemente, anche grazie alla presenza dell’istituto. Quindi parlerei di una strategicità dell’istituto, e se è strategico evidentemente questo può essere già una prognosi in ordine a che cosa succederà al termine della sperimentazione gestionale”. Dunque Balduzzi promuove a pieni voti l’attività dell’INMP che il direttore Mirisola ha mostrato e descritto come “un modello socio assistenziale integrato e un punto di riferimento solido per migranti regolari e irregolari”. L’impegno dell’INMP, che trae ispirazione dall’art. 32 della Costituzione (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”) si estende fino ai porti di sbarco degli stessi migranti, sulle coste dell’isola di Lampedusa, dove è presente dal 2008. Lo scorso marzo, inoltre, lo stesso ministero della Salute, insieme all’INMP e all’assessorato alla Salute della regione Siciliana, ha attivato una task force costituita da medici infermieri e mediatori culturali pronti a recarsi a Lampedusa per fronteggiare, insieme ad altri attori istituzionali, eventuali emergenze degli sbarchi sulle coste. “Il nostro Istituto – ha aggiunto Cettina Mirisola – è stato impegnato nelle problematiche legate alle emergenze a Lampedusa sia nel 2008 che nel 2011, da aprile a settembre. Quest’anno, non appena sono arrivate sull’isola le prime imbarcazioni con i migranti a bordo, il ministro ha voluto che si istituisse questa task force, ed esiste un tavolo tecnico al ministero per prepararci a eventuali problematiche legate all’emergenza”. Primo Piano L’INMP, un’esperienza all’avanguardia nelle cure ai migranti 79 Primo Piano L’INMP, un’esperienza all’avanguardia nelle cure ai migranti libertàcivili Ed è proprio lo stesso modello di accoglienza adottato dall’istituto che è stato proposto anche a Lampedusa nelle situazioni di emergenza a seguito degli sbarchi. Non soltanto quindi un’assistenza medico sanitaria ma anche socio-psicologica. “Un’accoglienza ad ampio spettro – l’ha descritta il direttore dell’istituto – grazie anche alla presenza del mediatore culturale, figura importantissima e che fa la differenza rispetto all’assistenza presente nel servizio sanitario nazionale”. Dall’esperienza maturata nel tempo dall’INMP emerge, inoltre, un luogo comune da sfatare: molto spesso l’arrivo di immigrati da Paesi lontani porta con sé l’errata convinzione che costoro possano essere portatori di malattie. “Volevo soffermarmi su questo – ha sottolineato Cettina Mirisola – perché non è così: il migrante che arriva è un migrante sano, e infatti non è stato riscontrato nessun problema di salute nella stragrande maggioranza dei casi, mentre i problemi sanitari segnalati erano legati soltanto alla traversata in mare o alla sfera riproduttiva, ad esempio le minacce d’aborto. Le problematiche sanitarie che abbiamo avuto modo di riscontrare fra gli immigrati sono state ipotermia, traumatismi, disidratazione grave, ustioni da miscela gasolio-acqua di mare. Bisogna quindi segnalare che il migrante è un migrante sano e semmai può ammalarsi venendo in Italia per le condizioni di difficoltà e di assistenza”. 80 2 0 12 marzo - apr ile 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili La mission dell’istituto è quella di fronteggiare, all’interno del Sistema sanitario nazionale, le problematiche sanitarie relative alle popolazioni più vulnerabili, inclusi i migranti Del resto la sfida e la mission dell’istituto è proprio quella di fronteggiare, all’interno del sistema sanitario nazionale, le problematiche sanitarie relative alle popolazioni più vulnerabili, inclusi i migranti. Con un approccio transculturale orientato alla persona, e attraverso un modello integrato perché, oltre alle discipline medico-cliniche, l’assistenza fornita passa attraverso antropologi, psicologi, mediatori culturali, senza tralasciare la consulenza giuridica gratuita fornita attraverso lo sportello “Avvocato di strada” che accoglie, individua le specifiche esigenze e orienta da un punto di vista legislativo le persone verso gli avvocati che lavorano nella struttura e prestano gratuitamente la loro opera. “Direi che è una presa in carico del paziente a 360 gradi – ha sintetizzato il direttore Mirisola – perché prima di curare ci si prende cura delle persone, con la capacità di ascoltare, perché è necessario saper ascoltare, e questa è la cosa in più che diamo al paziente: lo ascoltiamo”. Fra le attività svolte dall’istituto c’è un servizio per richiedenti protezione internazionale, rifugiati e vittime di tortura, un’attività che vede coinvolta, ancora una volta, non soltanto la componente medica ma anche gli antropologi, gli psicologi, gli psicoterapeuti e i mediatori. “L’attenzione per questo istituto non ha bisogno di essere commentata – ha affermato Balduzzi – è la Costituzione che vive, le norme astratte della Carta che diventano esperienza di vita professionale, di volontariato e di servizi. Soprattutto nei momenti più difficili di crisi economica i criteri devono essere chiari, e il criterio da seguire è l’attenzione verso chi è più fragile e più vulnerabile, perché chi è meno fragile ce la fa stringendo la cinghia, mentre chi è più vulnerabile non ce la fa da solo se non ha una qualche rete di protezione. I tempi che viviamo sono tempi di difesa e resistenza e non sono favorevoli per grandi progetti – ha concluso il ministro – ma l’importante è riuscire a non perdere quelle caratteristiche del nostro sistema che aiutano poi a far funzionare tutto il restante sistema”. Un chiaro riferimento all’operato dell’INMP e in ottemperanza alla legge 40/98 (confluita nel D.Lgs. 286/98 e DPR 394/99) che stabilisce che “l’utente straniero ha diritto alle prestazioni sanitarie a parità di trattamento e a piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani”. Primo Piano L’INMP, un’esperienza all’avanguardia nelle cure ai migranti 81 Primo Piano La scheda/ Sani, ma non troppo: lo stato di salute degli stranieri in Italia Quali sono le condizioni di salute degli immigrati in Italia e qual è il loro rapporto con il Servizio sanitario nazionale? Una serie di dati preziosi sono contenuti nella Relazione sullo stato sanitario del Paese pubblicata ogni anno dal ministero della Salute, che contiene uno specifico capitolo dedicato a questo tema. Altre informazioni preziose arrivano, sempre dal ministero, attraverso le statistiche sulle “schede di dimissioni ospedaliere” – che consentono di fare un quadro della presenza straniera negli ospedali e negli istituti di ricovero pubblici della penisola – e dai “certificati di assistenza al parto” – che permettono un’analisi specifica sul settore delle gravidanze. Infine, analisi utili si ritrovano anche nei documenti della Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) e in quelli dell’Istituto superiore di sanità (Iss). libertàcivili Un quadro d’insieme Dalla lettura delle statistiche emerge un primo quadro di sintesi. In generale gli immigrati stanno meglio degli italiani, anche perché rappresentano una popolazione con una distribuzione per fasce di età diversa rispetto ai nostri connazionali. Tuttavia ci sono fattori di rischio a cui gli immigrati sono più esposti e che possono far evolvere negativamente lo stato di salute; fra questi, la condizione lavorativa e quella abitativa, caratterizzata spesso da sovraffollamento e promiscuità. Non a caso le patologie più diffuse tra gli stranieri sono quelle infettive (22%, soprattutto TBC, AIDS ed epatite B), dermatologiche (18%), dell’apparato respiratorio (17%) e digerente (16%). Sono in crescita, anche se ancora statisticamente non troppo rilevanti, le patologie legate al disagio psichico, specialmente per alcune categorie (si veda ad esempio l’articolo “Il disagio della cura” in libertàcivili n.5/2011, pag. 96). Tra gli uomini prevalgono i traumi e le malattie dell’apparato respiratorio, tra le donne quelle legate alla gravidanza e al parto e le infezioni. Un aspetto specifico della presenza immigrata femminile riguarda gli aborti, 82 2 0 12 marzo - apr ile La normativa sul diritto alla salute per gli stranieri Può essere utile, a questo proposito, riepilogare brevemente quali sono le norme che regolano il rapporto fra stranieri e Servizio sanitario nazionale (Ssn). Hanno l’obbligo di iscriversi al Ssn gli stranieri regolarmente soggiornanti che abbiano in corso regolari attività di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, o siano iscritti nelle liste di collocamento, o abbiano chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno (per lavoro, per motivi familiari, per asilo, per attesa adozione, per affidamento, per acquisto della cittadinanza). L’iscrizione, che cessa con lo scadere del permesso di soggiorno, garantisce, in modo del tutto paritario, l’assistenza per il cittadino straniero e per i suoi familiari a carico. Gli stranieri in Italia che, invece, non hanno l’obbligo dell’iscrizione al Ssn (turisti, studenti, altre categorie) devono assicurarsi contro il rischio di malattie e infortunio e per la tutela della maternità, con una polizza assicurativa valida in Italia o con l’iscrizione volontaria al Ssn (possibile anche per gli stranieri titolari di un permesso per motivi di studio e per gli stranieri collocati alla pari). L’assistenza sanitaria di urgenza (cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o essenziali) e gli interventi di medicina preventiva (vaccinazioni, profilassi) sono comunque garantiti anche ai cittadini stranieri irregolari e illegali. Tale assistenza è, come per tutti gli altri, gratuita salvo il pagamento del ticket, se previsto. Nel caso di cittadini irregolari o illegali, l’accesso alle strutture sanitarie non può comportare segnalazioni alla polizia. Solo nei casi in cui ci siano elementi che fanno ipotizzare un reato i medici sono tenuti a trasmettere una relazione scritta (referto), ma questo avviene anche per i cittadini italiani. Infine, gli stranieri possono anche ottenere un visto di ingresso e un permesso di soggiorno per cure mediche di durata pari 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili i cui tassi fra le straniere sono tre volte superiori a quelli delle italiane. Gli stranieri hanno in genere tassi di ospedalizzazione (numero di ricoveri in rapporto alla popolazione residente) più bassi rispetto agli italiani, almeno per la componente maschile, mentre per la componente femminile va fatto un distinguo; se in generale anche le donne straniere si rivolgono ai servizi sanitari meno delle italiane, per quanto riguarda la gravidanza l’ospedalizzazione delle immigrate è più alta di quella delle nostre connazionali. Quando si rivolgono alle strutture sanitarie, in genere, gli stranieri prediligono quelle pubbliche, dove è loro garantito il diritto all’assistenza. Primo Piano La salute degli immigrati in Italia 83 La salute degli immigrati in Italia Primo Piano a quella della terapia, rinnovabile finché le cure sono necessarie. La salute degli stranieri in Italia Come già accennato in sintesi, dalle numerose ricerche svolte negli ultimi anni sulla salute degli immigrati emerge, in generale, come gli stranieri giungono in Italia in buone condizioni di salute ed è poi il nuovo contesto socio-ambientale a causare la maggior parte delle patologie. Il Rapporto sulla situazione sanitaria del Paese del ministero della Salute sottolinea come essi si ammalino di meno perché hanno scelto di emigrare dal proprio Paese coloro che possedevano un buon capitale di salute da scambiare con la forza di lavoro (anche se le persone che stanno immigrando nel nostro Paese in forza di processi di ricongiungimento non presentano più questa protezione) ed esprimano minori bisogni di salute anche a causa di difficoltà culturali e materiali nell’accesso ai servizi. Tuttavia, su alcune patologie questo gruppo di popolazione incomincia a manifestare problemi che sono conseguenza di condizioni di vita o di lavoro poco sicure (traumi), o di fattori di rischio propri dell’area di provenienza (malattie cosiddette di importazione, come quelle endemiche o quelle ereditarie tipiche del Paese di origine) o di errori nel percorso assistenziale, particolarmente evidenti nel periodo della nascita. Anche tra gli stranieri, poi, si riscontrano condizioni di salute meno favorevoli nelle persone di status sociale più basso. libertàcivili Gli ultimi dati, relativi al 2010, desunti dalle Schede di dimissioni ospedaliere, forniscono qualche indicatore di sintesi: Le dimissioni totali di pazienti “acuti” stranieri (cioè escluse riabilitazioni, lungodegenze e neonati) ricoverati nell’anno sono stati 627.327, di cui il 76,5% in regime ordinario, con un peso del 6% sul totale dei ricoveri Sempre nell’anno le dimissioni di cittadini stranieri degenti nel solo regime ordinario sono state 480.221 (308mila donne, 172.221 uomini). Il 48% ha riguardato pazienti europei, il 24% africani, il 14% asiatici, l’8,8% americani. Rispetto al totale dei ricoveri di questa categoria il peso è del 6,5% Le dimissioni di cittadini stranieri degenti in regime day hospital sono state 147.106 (102.661 donne, 44.445 uomini). Il 50% ha riguardato pazienti europei, il 20% africani, il 12% asiatici, l’11,7% americani). Il peso totale su questa categoria è del 4,8%. 84 Negli ultimi dieci anni questi dati sono in costante crescita. Rispetto al 2000 le degenze in regime ordinario sono raddop2 0 12 marzo - apr ile La salute della donna e del bambino Il Rapporto del ministero della Salute ha un focus specifico su una delle problematiche principali per la salute degli immigrati, che è quella della condizione della donna e dei problemi legati alla gravidanze. Analizzando gli ultimi dati disponibili, quelli del 2008 (rilevati su un totale di 551 punti nascita), relativi ai certificati di assistenza al par to (Ce-DAP) si evidenzia che il 16,9% dei parti nelle strutture pubbliche italiane è relativo a madri di cittadinanza non italiana. Tale fenomeno è più diffuso al Centro-Nord, dove quasi il 20% dei parti avviene da madri straniere. Le aree geografiche di provenienza delle mamme sono principalmente quella africana (27,2%) e UE (25,6%). 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili piate e i day-hospital sono triplicati. Un fenomeno legato certamente all’incremento demografico, ma anche a una maggiore capacità di pianificare l’accesso alle cure. Come si vede dai dati, due ricoverati su tre sono donne (tra gli italiani invece la percentuale è paritaria), uno su cinque è minorenne. In genere i tassi di ospedalizzazione degli immigrati maggiorenni maschi sono risultati più bassi rispetto a quelli degli italiani, circa 20% in meno in regime ordinario e 57% in meno in regime di day hospital, dato che tiene conto anche delle differenze nella struttura per classi di età delle due popolazioni. Il dato si inverte invece per le donne, per cui le straniere hanno un tasso di ospedalizzazione superiore del 13% rispetto alle italiane nel regime ordinario, e di poco inferiore (9%) per il day hospital; in questo caso incide molto il numero di ricoveri per motivi legati alla gravidanza (parti e interruzioni volontarie). Negli uomini la causa principale di ricovero ordinario – 22% dei casi – è legato a traumi, presumibilmente in larga parte per infortuni sul lavoro, visto che secondo uno studio dell’Isfol il rischio per gli stranieri è doppio rispetto agli italiani. Seguono le malattie dell’apparato digerente (14%), circolatorio (11%, mentre questa è la prima causa di ricovero per gli italiani, con il 24%), respiratorio (9%). In day hospital prevalgono le malattie dell’apparato digerente, seguite dalle chemioterapie, dalle patologie del sistema osteomuscolare e da quelle infettive. Tra le donne i ricoveri ordinari riguardano per una larghissima fetta il parto (58%), seguito dall’infezione all’apparato genetourinario (7%) e le malattie dell’apparato digerente (6%). I motivi legati alla gravidanza pesano per oltre la metà degli accessi anche in day hospital (la quasi totalità per interruzione della gravidanza); a seguire affezioni genito-urinarie e chemioterapie. Primo Piano La salute degli immigrati in Italia 85 La salute degli immigrati in Italia libertàcivili Primo Piano L’età media della madre e di 32,4 anni per le italiane, mentre scende a 28,9 anni per le cittadine straniere. L’età media al primo figlio è per le donne italiane quasi in tutte le regioni superiore a 31 anni, con variazioni sensibili tra le regioni del Nord e quelle del Sud, mentre le donne straniere partoriscono il primo figlio in media a 27 anni. Rispetto alle italiane queste ultime hanno in genere più figli e un livello di istruzione più basso; questo dato può influenzare sia l’accesso ai servizi sia le strategie di assistenza verso il feto e il neonato. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2008 è per il 56,6% quella di casalinga, mentre il 65,8% delle donne italiane partorienti hanno un’occupazione. Il livello di istruzione della madre può influenzare sia l’accesso ai servizi sia le strategie di assistenza verso il feto e il neonato. La percentuale di gravidanze in cui viene effettuata la prima visita oltre la 12esima settimana di gestazione evidenzia alcune correlazioni significative con le caratteristiche sociodemografiche delle madri rappresentate da: cittadinanza, titolo di studio ed età; per le donne italiane si ha un dato pari al 4,4%, che sale al 16,2% per le donne straniere. Altro indicatore è quello del numero di ecografie effettuate 86 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili che risulta, per le straniere, inferiore rispetto alle italiane (4,6 vs 6,5). Il dato è spiegato soprattutto dalla tipologia di assistenza ricevuta: il 34,3% delle straniere si rivolge a un consultorio familiare, contro il 6,3% delle italiane, che preferiscono ginecologi privati (76,8%), mentre le straniere si rivolgono a questa categoria di medici solo in un caso su cinque (23,6%). Per quanto riguarda la natalità, negli ultimi 10 anni l’incidenza delle nascite di bambini stranieri sul totale dei nati della popolazione residente in Italia ha fatto registrare un fortissimo incremento. Sono le regioni del Centro-Nord quelle che registrano valori percentuali di gran lunga superiori alla media nazionale, ovvero le aree del Paese con una tradizione migratoria più forte e con una presenza straniera più stabile e radicata. Il parto cesareo è più frequente nelle donne con cittadinanza italiana (39,3% dei casi) rispetto alle donne straniere (27,8%). Per quanto riguarda il tema delle interruzioni di gravidanza, queste ultime sono cresciute esponenzialmente negli ultimi 15 anni, anche in conseguenza dell’aumento della popolazione immigrata. Tuttavia è cresciuto notevolmente anche il peso delle interruzioni di gravidanza di cittadine immigrate: erano una su dieci nel 1998, hanno raggiunto il 33% nel 2008, con un dato complessivo di 38.843 (di cui 5.730 interventi effettuati da donne residenti all’estero). Come sottolinea il Rapporto del ministero della Salute, la sempre maggiore incidenza dell’interruzione volontaria di gravidanza tra le donne con cittadinanza estera impone una particolare attenzione rispetto all’analisi del fenomeno, in quanto le cittadine straniere, oltre a presentare un tasso di abortività stimato 3-4 volte maggiore di quanto attualmente risulta tra le italiane, hanno una diversa composizione sociodemografica, che muta nel tempo a seconda del peso delle diverse nazionalità, delle culture di provenienza e dei diversi approcci alla contraccezione e all’aborto nei Paesi di origine. Verso questa popolazione sono quindi necessari specifici interventi di prevenzione che tengano conto anche delle loro diverse condizioni di vita, di cultura e di costumi. Primo Piano La salute degli immigrati in Italia 2 0 12 marzo - apr ile 87 Primo Piano Un agente al servizio della comprensione reciproca fra culture diverse Dalla sanità alla giustizia, agli altri servizi del welfare, la figura del mediatore interculturale svolge un compito fondamentale nel facilitare la comunicazione con le comunità immigrate, ma necessita un riconoscimento professionale di Stefania Aristei 1 libertàcivili Lo scenario L’origine delle pratiche di mediazione deve essere datata intorno agli anni Sessanta e trova il suo bacino primario di sviluppo nei Paesi caratterizzati da un regime giuridico di common law, in particolar modo nel contesto nordamericano (Stati Uniti e Canada). Esse Il mediatore, figura prendono avvio in primo luogo in tale ambito – che si è rapidamente estesa con particolare riferimento al diritto familiare, dall’ambito giuridico commerciale e di proprietà – per poi svilupa quello sociale e culturale, parsi velocemente su altri fronti come quello con un ventaglio di comunità, aziendale, amministrativo, culturale, ecc. Le pratiche di mediazione si di specializzazioni sono quindi specializzate sul fronte interin continua crescita culturale con l’intensificarsi dei processi di migrazione e ibridazione sempre più diffusi nelle società postmoderne, prendendo nomi e modalità di tipo più specifico. Anche la formazione dei mediatori si è andata specializzando: da un generico e quasi esclusivo training di tipo giuridico, si è passati a competenze più complesse di tipo linguistico, psicologico, socio-antropologico, comunicativo, mediatico. Fa parte di questo perfezionamento delle pratiche di risoluzione 88 1 Docente di Metodologia e tecniche per la risoluzione dei conflitti nel Master transculturale e multietnico, nel campo della Salute, del Sociale e del Welfare università di Modena e Reggio 2 0 12 marzo - apr ile Le teorie di sfondo della mediazione Donald Kraybill parte dall’esempio dell’ideogramma cinese che indica proprio la nozione di conflitto e mette in luce come esso sia, a sua volta, la risultante di due ideogrammi che fanno riferimento alle nozioni di ‘dolore’ da un lato e di ‘opportunità’ dall’altro. Su un altro fronte, quello della riflessione teorico2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili alternativa delle tensioni a carattere culturale anche un ripensamento della categoria stessa di ‘conflitto’, inquadrata oggi in una logica non esclusivamente negativa, ma anche come chance di mediare gli scambi fra culture, combinando le informazioni sulla diversità “in entrata” (quella dello straniero) con quelle sulla “diversità presente” (quella della società di accesso), ricercando possibilità e modalità se non di accordo, almeno di comunicazione e conoscenza fra esse. A tutt’oggi in Europa dominano almeno due modelli di integrazione: quello assimilazionista di tipo francese che mette al centro l’unità statale e richiede ai cittadini immigrati un adeguamento di massima, sul L’istituzione delle agenzie piano pubblico, ai comportamenti e alle di primo contatto forme di vita del Paese accogliente (lingua per adeguare le pubbliche francese obbligatoria in pubblico, servizio amministrazioni militare, pratica assolutamente privata delle nello svolgere i servizi proprie espressioni culturali d’origine: religione, usanze, lingua, ecc.) e quello pluralista, di orientamento di tipo anglosassone, che invece riconosce e sostegno agli immigrati un certo grado di legittimità alla rivendicazione proveniente dalle diverse componenti etniche presenti nel territorio nazionale e ne riconosce il diritto di rappresentanza anche all’interno dello spazio pubblico. Per ciò che concerne l’Italia in particolar modo, a parte lo sforzo profuso anche in questo Paese sull’educazione interculturale e sulla formazione permanente ai fini di una efficace prevenzione e risoluzione dei conflitti di tipo interetnico, si deve anche notare il recente impegno nell’adeguamento del sistema giuridico – svolgimento e sostegno processuale – e di quello penitenziario, anche se solo in alcune aree. Assai più omogenei a livello nazionale sembrano gli sforzi per adeguare le pubbliche amministrazioni sul piano dell’offerta di servizi di orientamento e sostegno dei cittadini stranieri, con l’istituzione di vere e proprie agenzie di primo contatto con la realtà nazionale per questi ultimi, che devono essere gestite da personale competente e preparato sul fronte della mediazione e delle tecniche di dialogo e relazione con la diversità. Primo Piano La mediazione culturale: percorsi e prospettive 89 filosofica più recente, si è fatta largo negli ultimi anni un’idea del conflitto come dato ineliminabile dei rapporti sociali e politici, ma che necessita oggi di una profonda riconsiderazione. Stuart Hampshire, ad esempio, parla in modo piuttosto radicale di “giustizia come conflitto”, nel suo libro intitolato appunto Justice is conflict. Hampshire propone una idea della conflittualità sociale e politica come elemento da non demonizzare, ma anzi da intendere come meccanismo dinamico che può dare origine a processi positivi, capaci di individuare nuove risorse per una società necessariamente sempre più esposta, a causa dei processi di globalizzazione, al rischio di scontri a carattere giuridico, sociale, politico, culturale ed etnico. Altri ancora parlano esplicitamente di una teoria della “negoziazione tra diritti” come uno degli elementi cruciali per un futuro di convivenze plurime e di connessioni culturali sempre più stratificate, all’interno di contesti nazionali sempre più parcellizzati e attraversati da confronti tra diversità e identità plurime. Jurgen Habermas, di fronte alla sostanziale globalizzazione degli scambi sia di merci che di persone e di culture, ipotizza che si approdi a nuove forme di convivenza tra minoranze culturali ed etniche, distinte La conflittualità sociale nel rispetto democratico dei diritti fondae politica intesa come mentali di ciascuno. È così che Habermas elemento da non finisce per porre questioni centrali per le demonizzare e da intendere moderne democrazie, quali la possibilità di invece come meccanismo un consenso “per sovrapposizione” di diverse istanze o ancora un concetto di persona dinamico di relazioni alla base delle stesse istituzioni sufficieninterpersonali e tra gruppi temente neutrale da poter rientrare nelle diverse concezioni del mondo, che oggi si trovano a dover convivere all’interno di uno stesso spazio pubblico in conseguenza dei fenomeni di migrazione e ibridazione da cui sono caratterizzate le società postmoderne. Arjun Appadurai si è occupato dei molti attori diversi presenti nelle moderne politiche e culture transnazionali: stati-nazioni, multinazionali, comunità della diaspora, così come gruppi e movimenti subnazionali (religiosi, politici o economici). La globalizzazione, nell’ottica di Appadurai, è l’incrocio di più mondi “immaginati”, di costruzioni cioè che possono avere un senso solo a partire dai contesti specifici degli attori che li hanno prodotti. Appadurai parla di ethnoscape, una prospettiva costituita da persone che impongono il mondo sfuggente nel quale viviamo: turisti, migranti, rifugiati, esiliati, lavoratori 90 2 0 12 marzo - apr ile Primo Piano libertàcivili La mediazione culturale: percorsi e prospettive ospiti e altri gruppi o persone in movimento. Essi sono un tratto essenziale del mondo e determinano la politica e i rapporti tra le nazioni come non era mai successo prima. Creare spazi di dialogo significa superare sia il concetto di “confronto tra diversi = conflitto” e sia il conflitto nell’accezione negativa del termine. Un modello d’integrazione non deve tendere ad annullare le varie culture nel modello sociale del Paese ospitante, ma deve promuovere un progetto dialettico fra sistemi valoriali diversi. Nella realtà non si scontrano culture ma, quotidianamente, individui portatori di cultura; per questo occorrono figure di facilitatori della conciliazione che sappiano mediare il conflitto, inquadrando progressivamente i comportamenti nel processo di mediazione, nei significati e nei sensi rinvenibili nelle culture di appartenenza: i mediatori culturali. La mediazione è un complesso sistema di strategie linguistiche, prossemiche, culturali capace di trasformare il ‘dolore’ in ‘opportunità’ – per restare alla metafora dell’ideogramma cinese impiegata da Kraybill – ovvero di convertire la negatività dello scontro in processi dinamici destinati a migliorare le condizioni di convivenza e risoluzione tra le parti. Margarit Cohen Emerique distingue tre tipi di significati del termine mediazione culturale. Il primo significato corrisponde all’azione 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Primo Piano La mediazione culturale: percorsi e prospettive 91 La mediazione culturale: percorsi e prospettive libertàcivili Primo Piano di “intermediario” in situazioni dove non c’è conflitto, bensì difficoltà nella comunicazione. Il tipo di mediazione che si svolge in questa situazione consiste nel facilitare la comunicazione e la comprensione tra persone di culture diverse, nel dissipare i malintesi tra l’immigrato e gli altri attori del sociale, malintesi dovuti in primo luogo a un diverso sistema di codici e valori culturali. Queste azioni di intermediazione possono essere considerate come prevenzione di conflitto. Il secondo significato fa riferimento all’area della risoluzione dei conflitti di valori tra la famiglia immigrata e la società di accoglienza o all’interno della famiglia. Il terzo significato fa riferimento al processo di creazione, implica l’idea di trasformazione sociale, di trasformazione e costruzione di nuove norme basate su azioni agite in collaborazione tra le parti in causa e finalizzate alla risoluzione dei problemi, ed è un processo dinamico attivo. Il contesto normativo del mediatore culturale in Italia La definizione di mediatore culturale formulata dal Cnel tramite l’Organismo di coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri è quella di un “agente attivo nel processo di integrazione”, che si pone “fra gli stranieri e le istituzioni, i servizi pubblici e le strutture private, senza sostituirsi né agli uni né alle altre, per favorire invece il raccordo fra soggetti di culture diverse”. Il primo riferimento normativo alla figura professionale La definizione di mediatore del mediatore culturale si trova nella legge formulata dal Cnel: 6 marzo 1998 n.40 (Disciplina dell’immigraun “agente attivo” zione e norme sulla condizione dello straniero), nel processo di integrazione. la cosiddetta legge Turco-Napolitano. Tale riferimento è stato in seguito inserito all’interno Il contesto normativo del Testo unico (TU) del 1998 (Dlgs 286/98) a partire dalla legge che comprende l’intero quadro legislativo in Turco Napolitano materia di immigrazione. Dal momento che la nuova legge sull’immigrazione, “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e asilo”, approvata il 30 luglio del 2002, la cosiddetta Bossi-Fini, non ha cambiato gli articoli che si riferiscono alla mediazione culturale, in questa sede si farà riferimento al solo TU, e in particolare agli articoli 38 e 42 che si occupano specificatamente della figura del mediatore culturale. Il D.Lgs 286/98 indica l’utilizzo della figura del mediatore culturale in due diversi ambiti: l’ambito scolastico/ educativo e quello delle pubbliche amministrazioni. Nell’ambito delle disposizioni e circolari ministeriali il tema 92 2 0 12 marzo - apr ile L’ambito sanitario Pochi sono i documenti legislativi a livello nazionale che si riferiscono, anche se in maniera indiretta, all’impiego del mediatore culturale in ambito sanitario: il Testo unico 286/98 riconosce il diritto all’accesso al Servizio sanitario nazionale da parte di tutti gli stranieri presenti in Italia, tanto regolari che irregolari il D. Lgs 230/99, promosso dal ministero della Sanità in collaborazione con il ministero della Giustizia. È stato realizzato nel 2008-2009 un importante progetto formativo che ha visto la formazione di circa cento mediatori transculturali diffusi in tutto il territorio nazionale. I corsi per mediatori sono stati gli obiettivi specifici di Pass, un progetto finalizzato a promuovere A partire dal 2008-2009 l'accesso delle persone migranti ai servizi un progetto formativo sociosanitari e a sviluppare attività di dei ministeri della Sanità, informazione e orientamento nelle aziende del Lavoro e delle Pari sanitarie locali (Asl) e nelle aziende ospedaopportunità ha esteso liere (Ao) italiane. Il progetto è stato sostenuto dal ministero del Lavoro, della Salute e delle la mediazione interculturale Politiche sociali, realizzato dall’Istituto nazioal settore sanitario nale salute migranti e povertà – INMP – ospedale San Gallicano e attuato a livello territoriale con la collaborazione di 48 strutture sanitarie locali. Tale iniziativa è stata finalizzata a formare mediatori transculturali, selezionati su tutto il territorio italiano dalle strutture partner, in base a criteri condivisi e omogenei, tra i quali l’origine straniera con esperienza personale di immigrazione, la conoscenza della lingua italiana e dell’organizzazione del sistema socio-sanitario, la presenza sul territorio da almeno quattro anni. Delle 48 strutture sanitarie divenute partner del progetto, 10 sono state individuate come centri 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili della mediazione interculturale è stato ampiamente trattato dalla normativa scolastica; importanti riferimenti sono altresì reperibili sia nella normativa sanitaria, sia in quella giudiziaria. Comunque, a partire dal ‘98, tanto nei documenti programmatici triennali dello Stato, che nei piani annuali o pluriennali degli enti locali, è possibile rintracciare cenni alla figura del mediatore culturale. Ciò è stato facilitato anche dalla costituzione di due organismi specifici: l’Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione sociale dei cittadini stranieri a livello locale (Onc) e la Consulta nazionale per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie. Primo Piano La mediazione culturale: percorsi e prospettive 93 La mediazione culturale: percorsi e prospettive Primo Piano di coordinamento territoriale sulla base di criteri geografici e di servizio, ovvero in base alla presenza di servizi e sportelli dedicati all’assistenza sociosanitaria di persone immigrate. Il gruppo dei mediatori formato, nella visione dei coordinatori del progetto, deve divenire propulsore di attività di sviluppo di competenze culturali negli operatori, ma soprattutto di interventi formativi destinati o alla creazione o alla riqualificazione di mediatori culturali, uniformando così in tutte le regioni (che in questi anni hanno già realizzato percorsi formativi tutti diversi tra loro) la formazione per queste figure con modalità e contenuti omogenei. Gli approcci regionali Osservando le deliberazioni delle Giunte regionali in senso diacronico, si rileva che l’approvazione del Testo unico 286/98 ha dato un notevole impulso all’attività normativa degli enti locali. L’articolo 3 del Testo unico stabilisce infatti che, in concorrenza con la predisposizione dei Piani triennali del governo sull’immigrazione, “le regioni, le province, i comuni e gli altri enti locali” adottino i provvedimenti necessari per “rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e Il quadro della normativa degli interessi riconosciuti agli stranieri regionale in materia nel territorio dello Stato, con particolare di mediazione culturale riflette riguardo a quelle inerenti all’alloggio, alla ancora la mancanza lingua, all’integrazione sociale, nel rispetto di indirizzi chiari dei diritti fondamentali della persona umana”. sulle caratteristiche di fondo Il quadro della normativa regionale in materia di mediazione culturale, però, riflette la di questa figura mancanza di indirizzi chiari a livello nazionale su alcuni aspetti imprescindibili della funzione del mediatore culturale. L’assenza di una normativa chiara sui requisiti, sul suo background formativo e sul percorso formativo che deve intraprendere in Italia – spesso finanziato proprio dalle regioni – comporta una notevole difformità negli interventi a livello locale, ma anche variegati tentativi di proporre una soluzione. libertàcivili Prospettive Oggi la mediazione interculturale impone una necessaria evoluzione professionale, dettata non soltanto dal bisogno di operare una sintesi fra specializzazioni già conosciute. L’aggiunta del suffisso ‘inter’ all’aggettivo “culturale” fa riferimento alla posizione o condizione intermedia fra due culture 94 2 0 12 marzo - apr ile 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili poste sullo stesso piano ed esprime, nel contempo, collegamento, comunanza, reciprocità, indicando la volontà di rafforzare non tanto le azioni di mediazione, quanto quelle volte a stabile costruzione di rapporti fra culture diverse. Più che semplice mediazione fra culture o scambio tra esse, “inter-culturale” vuole denotare qualcosa di più complesso, posto alla base di relazioni sostanziali che investono la totalità della società di ingresso nelle sue diverse componenti. Tra i nodi problematici fondamentali che caratterizzano attualmente lo stato del dibattito sulla mediazione si possono indicare: 1) il problema della neutralità del mediatore 2) la definizione di uno standard di operatore professionale nell’ambito della mediazione 3) la questione della formazione dei mediatori 4) la previsione di un profilo professionale nelle dotazioni organiche di amministrazioni pubbliche e private. In tutte le normative la mediazione è spesso citata come esperienza positiva nella gestione del fenomeno migratorio sul territorio, e di conseguenza si afferma l’importanza di implementarne l’uso. Tale uso, però, come viene esplicitamente riconosciuto anche nel La Conferenza delle regioni Dpr 30 marzo 2001 è ancora tutto da regolare e delle province autonome e uniformare. La necessità di procedere al ha posto dal 2009 riconoscimento della figura professionale del mediatore interculturale è stata affrontata la necessità di un formale dalla seduta della Conferenza delle regioni riconoscimento e delle provincie autonome del 8 aprile 2009 professionale della figura (09/030/CR/C9), che ha approvato un docudel mediatore culturale mento per “il riconoscimento della figura professionale del mediatore/della mediatrice interculturale, prevedendo, di intesa tra le regioni, una regolamentazione omogenea di tale figura”. Vi sono ora studi, esperienze, sperimentazioni: tutto ciò che necessita per emanare norme che prevedano l’adeguato utilizzo di tale figure professionali. Uno sviluppo utile alla P.A. di questa professione sarebbe quello di formare e/o riqualificare i mediatori culturali già attivi nel territorio, come mediatori civili ai sensi del D.Lgs 28/2010. Con l’iscrizione alle Camere di conciliazione e agli elenchi del ministero della Giustizia diverrebbero a tutti gli effetti dei professionisti e potrebbero contribuire con lo smaltimento di contenziosi decennali e risoluzioni celeri di controversie semplici al ritorno della fiducia nel sistema giudiziario. Primo Piano La mediazione culturale: percorsi e prospettive 95 Bibliografia J. L. Amselle, Connessioni, Torino, Bollati Boringhieri, 20 0 0 A. Appadurai, Ethnoscape and globalization in M. Featherstone (a cura di), Culture Globali, Roma, SEAM Edizioni, 19 9 0, p. 296 Conferenza delle regioni e delle province autonome - 0 9/ 0 3 0 / C R /C 9 Riconoscimento della figura professionale del Mediatore interculturale J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, Milano, Feltrinelli, 19 9 8 S. Hampshire, Non c’è giustizia senza conflitto. Democrazia come confronto di idee, Milano, Feltrinelli, 2 0 01 M. Nussbaum, Coltivare l’umanità, Roma, Carocci, 19 9 9 libertàcivili Primo Piano La mediazione culturale: percorsi e prospettive 96 2 0 12 marzo - apr ile G. Teubner, Diritto policontesturale: prospettive giuridiche della pluralizzazione dei mondi sociali, a cura di Anna Maria Rufino, Città del Sole Edizioni, Napoli, 19 9 9 Indagine nazionale commissionata dalla direzione generale per l’Immigrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali al Cisp (Comitato Internazionale per lo sviluppo dei popoli) e a Unimed (Unione delle università del Mediterraneo) http://www.didaweb.net/mediatori/dw40 http://www.inmp.it http://www.rai.it/educational/intercultura Primo Piano La mediazione interculturale, una possibilità d’integrazione: l’esempio del Belgio Nel campo dell’assistenza sanitaria, il mediatore assume la funzione di “ponte” tra immigrato e medico, consentendo di superare il divario culturale-comunicativo che può compromettere il successo di una diagnosi o di una terapia di Mariavittoria Pisani Il “caso di studio” rappresentato da questo Paese per le iniziative assunte negli anni Novanta in seguito alla pubblicazione di un rapporto del Commissariat Royal sulla politica della immigrazione L’approccio interculturale si fa strada progressivamente e inesorabilmente nelle società contemporanee con forte connotazione plurietnica come quella belga intorno agli anni Novanta, coinvolgendo settori quali la scuola, l’assistenza medica e la formazione continua. Tuttavia è nel campo delle cure mediche che la figura del mediatore interculturale s’impone rapidamente, la sua funzione essendo in breve tempo garantita dalle autorità istituzionali locali. All'inizio degli anni Novanta, il Rapporto del Commissariat Royal sulla politica dell’immigrazione mette in risalto la difficoltà d’accesso alle cure mediche delle persone immigrate. Da questa constatazione scaturirà tutta una serie d’iniziative: 1996: il “Centre pour l’égalité de chances” costituisce un gruppo di lavoro chiamato a riflettere sulla mediazione interculturale nel campo dell’assistenza sanitaria 1997: un progetto pilota a livello federale pone in essere una cellula in seno al ministero per gli Affari sociali e per la Salute pubblica 1998: conclusasi positivamente l’esperienza pilota, numerosi ospedali in tutto il Belgio faranno appello al mediatore interculturale per assistere i pazienti immigrati 1999: il ministero della Salute pubblica stanzia un budget per la mediazione interculturale a profitto degli ospedali per ridurre le ineguaglianze tra pazienti belgi e non-belgi 1 . 1 “Mediation interculturelle” from Belgium Wiki 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Dottorando di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate 97 Primo Piano La mediazione interculturale in Belgio La profonda differenza tra la immigrazione in Belgio degli anni Cinquanta e quella dei nostri giorni La mediazione interculturale, invero, non aveva per se stessa atteso il via delle istituzioni del Regno per farsi largo nella realtà sociale belga in ambito ospedaliero. Alcuni centri come il CHR della Citadelle di Liegi la sperimentavano, già sul finire degli anni Ottanta, a livello privato e in collaborazione con associazioni senza scopo di lucro, come l’ASBL “Résonances” 2. Ciò non di meno, la presa in carico da parte delle autorità federali dell’adozione di detto approccio presso le strutture ospedaliere locali determina il decollo e la diffusione dei mediatori interculturali presso i centri sanitari aventi fra i pazienti una forte concentrazione di popolazione immigrata. Ma perché ricorrere a un mediatore interculturale e non a un semplice traduttore per relazionarsi con questo tipo di pazienti? E soprattutto, in cosa un mediatore interculturale differisce da un semplice traduttore? Per rispondere a queste legittime domande, occorre qualificare meglio il flusso migratorio di questi ultimi venti anni, profondamente diverso da quello del periodo CinquantaSessanta. Questo ultimo era caratterizzato, essenzialmente, da popolazioni d’origine europea che, per penuria di lavoro, migravano verso i Paesi a più alto reddito e con maggiore sviluppo economico. Il problema dell’inserimento di questi migranti era eminentemente linguistico. Con la progressiva costruzione dell’Europa comunitaria e la piena realizzazione delle quattro libertà del mercato interno, questi flussi hanno preso progressivamente un’altra connotazione per diventare, per lo più, assimilabili a una manifestazione lampante della mobilità interna dei lavoratori dell’Unione 3 . I flussi migratori dei nostri giorni sono d’origine essenzialmente extracomunitaria e/o appartenenti a culture profondamente diverse da quella occidentale (es. comunità gitane, rom, ecc.). Parliamo non solo di religioni diverse, ma anche e soprattutto di rappresentazioni mentali della realtà ance- 2 “Le Service de médiation interculturelle du CHR de la Cittadelle à Liège. Les ‘passeuses’ de culture”, Cahier nº 65, Laboratoire des Innovations Sociales Labisio libertàcivili 3 L’obiettivo principale del Trattato di Roma del 1958 istituente la Comunità Economica Europea era la realizzazione di un Mercato unico ove non ci fossero barriere commerciali tra gli Stati membri. L’Atto unico entrato in vigore nel 1987 integra nel Trattato la nozione di mercato interno come uno spazio senza frontiere interne, nel quale vengono assicurate le quattro libertà: quella di libera circolazione delle merci, dei sevizi, dei capitali e delle persone, ivi compresa la liber tà di stabilimento e prestazione dei servizi. L’Atto unico rilancerà la realizzazione di detto mercato inter no per il 31 dicembre 1992 che a tale data sarà diventato per più del 90% una realtà 98 2 0 12 marzo - apr ile 4 “Mediation interculturelle” from Wikipedia 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili L’essenzialità della mediazione interculturale in un settore come quello sanitario che tocca la sfera più intima e identitaria degli immigrati a contatto con medici e infermieri di cultura completamente diversa stralmente lontane, di concezioni e visioni dei ruoli sociali e familiari dell’uomo e della donna, abitati e informati da altri valori, che nulla hanno in comune con quelli propri della nostra società occidentale. Sono flussi che diventano sempre più stanziali: mentre in passato si avevano molti casi d’emigranti che dopo aver “fatto fortuna all’estero” tornavano al Paese d’origine, oggi il capofamiglia lascia il suolo natio alla ricerca di un lavoro ma, dopo poco, chiama a sé i suoi rimasti in patria per il trasferimento definitivo del restante nucleo familiare. Quest’ultimo, nella quasi totalità dei casi, emigra senza conoscere né la lingua del Paese d’accoglienza né i suoi usi e costumi. Tali famiglie sono presto prese nella morsa del dilemma di preservare i propri riferimenti e valori culturali d’origine e la necessità d’adattarsi alla cultura del Paese d’arrivo. Comunicare con queste persone, soprattutto in settori molto personali e privati quali l’assistenza sanitaria, che tocca la sfera più intima e identitaria dell’Io, non è solo una questione di linguaggio ma anche e soprattutto d’acculturazione; del paziente, ma anche del medico. Infatti, se per un immigrato il nostro sistema di valori può non essere di facile comprensione, lo stesso accade per il medico che lo deve auscultare e decifrarne i sintomi. Ora, sovente, le traduzioni trascurano e/o sopprimono tutta una serie di segni/sintomi, quali i lapsus, le inversioni verbali, le difficoltà d’espressione, elementi che sono rivelatori del funzionamento psichico dell’individuo. Come tradurre un sintomo senza tener conto del contesto culturale in cui nasce e da cui trae il suo significante? Inoltre, ogni cultura ha i suoi referenziali cognitivi che sono propri a ciascuna di essa e investono e caratterizzano le relazioni di ciascuno dei suoi membri con l’Altro: differenza nella percezione delle cose: gli Zulu, ad esempio, conoscono 39 espressioni diverse per il colore “verde”; in Cina e in Giappone la percezione del tempo è più orientata verso il passato, mentre le società occidentali guardano più al futuro differenza di significato di uno stesso comportamento: a titolo d’esempio, per altro non esaustivo, il pollice in alto in America significa “tutto ok”, in Europa centrale equivale al numero uno, mentre in Iran si apparenta a un gestaccio volgare d’impazienza 4 . Primo Piano La mediazione interculturale in Belgio 99 Primo Piano La mediazione interculturale in Belgio libertàcivili Le nove regole fondamentali del mediatore culturale come sono state elaborate nel tempo dalle autorità belghe, in particolare nei confronti di pazienti che potrebbero diventare vittime di discriminazioni 100 Non tener conto di queste differenze nella comunicazione con persone appartenenti ad altre culture significa compromettere la possibilità di un vero autentico dialogo con l’altro, farlo rinchiudere in un silenzio che sa, senza veramente esserlo, di rifiuto delle strutture sociali in cui è venuto a stabilirsi e nelle quali lo si è pertanto accolto, senza comprenderlo né farsi capire. Nel campo dell’assistenza sanitaria questo iato culturalecomunicativo può assumere rilievi ben inquietanti e compromettere il successo di una terapia, se non addirittura portare a sbagliare una diagnosi. Il mediatore interculturale nasce e interviene proprio per superare questo divario e assumere, nel trinomio paziente-mediatore-medico, la funzione di “ponte” interculturale tra immigrato e dispensatore di cure. Estremamente illuminante è, a tal proposito, il caso di una paziente algerina recatasi presso un servizio ospedaliero di reumatologia in seguito a dei dolori articolari. “(...) La paziente spiega in arabo di accusare dolori alle articolazioni (mafasel) e la mediatrice esplicita a sua volta che la parola usata evoca in arabo ugualmente il concetto di separazione (fasala). L’associazione rinvia a una rappresentazione dell’articolazione diversa dal francese che suggerisce piuttosto un legame. Questa “discussione” sulla traduzione della parola usata e riferita alla paziente conduce a un discorso sulla separazione dalla sua famiglia ancora in Algeria e provoca un miglioramento considerevole dei suoi dolori articolari” 5 . Siamo ben lontani da una mera attività di traduzione. Il “Service Public Fédéral - Santé Publique, Sécurité de la Chaîne Alimentaire et Environnement” belga ha sintetizzato mirabilmente la missione del mediatore interculturale. Secondo il “Service Public Fédéral”, questi è chiamato a: 1. assicurare un servizio d’interpretariato di collegamento, ossia la traduzione precisa e completa dei messaggi (non solo le parole) dei diversi interlocutori 2. operare una decodificazione culturale, nel senso di spiegare la cultura dell’ospedale e del medico al paziente e l’universo culturale del paziente al medico, interpretando e/o evocando il significato che certe espressioni o certi atti possono veicolare presso il paziente 3. accompagnare il paziente e la sua famiglia nelle procedure amministrative nei confronti dell’ospedale 5 “Mediation interculturelle”, Association Géza Rohéim, des Mots et des Gens, d’Ici et d’Ailleurs. Traduzione dal francese dell’autrice 2 0 12 marzo - apr ile 4. fornire ascolto e sostegno al paziente durante le viste mediche 5. mediare l’insorgere di conflitti, eminentemente di valori, nella misura in cui la non conoscenza dei codici di valori rispettivi può condurre a incomprensioni; nel qual caso veglierà a verificare che l’origine del conflitto risieda nell’incomprensione e si attiverà perché si arrivi a chiarire il malinteso 6. difendere i diritti e gli interessi del paziente, qualora si constati che questi sono vittime di comportamenti razzisti e discriminatori 7. ricercare in maniera indipendente e proattiva i problemi che possono essere insorti in occasione delle visite mediche dei pazienti 8. segnalare le difficoltà che riscontra in occasione della presa in carico di un paziente immigrato o dei pazienti immigrati in generale 9. comunicare informazioni ai pazienti in collaborazione con il personale sanitario 6 . Da quanto precede, si deduce che il mediatore interculturale, per poter realizzare pienamente ed efficacemente la sua missione, deve detenere competenze precise, che vanno ben oltre la sola conoscenza della lingua del migrante e del suo mondo culturale d’appartenenza. Trattasi di competenze interculturali, intendendo con ciò l’attitudine a comunicare con successo con persone d’altre culture. Queste competenze presuppongono sensibilità, fiducia in se stessi, comprensione dei comportamenti e modi di pensare altrui, come la capacita di comunicare il proprio punto di vista per essere compreso e rispettato, mostrarsi flessibile, quando è possibile, e fermo e chiaro, quando è necessario. Il mediatore interculturale, quindi, oltre a conoscere i riferimenti culturali del paziente, deve far prova d’autentica empatia nei confronti di quest'ultimo (percezione dei sentimenti e dei bisogni dell’altro) senza far sue le problematiche in questione. Ciò è vero per qualsiasi mediatore interculturale, non solo per colui che opera nel settore dell’assistenza sanitaria alle persone immigrate. Invero, la mediazione interculturale, se nasce e si sviluppa a passi da gigante eminentemente in ambito sanitario, si presta bene alla risoluzione di qualsiasi problema scaturente da un confronto di culture. Si pensi al settore scolastico, ove si “Mission du Médiateur interculturel”, Service Public Féderal Sécurité de la chaîne alimentaire et Environnement libertàcivili Il mediatore culturale è molto più di un semplice traduttore, egli deve conoscere i valori del mondo culturale di appartenenza dell’immigrato Primo Piano La mediazione interculturale in Belgio 2 0 12 marzo - apr ile 101 6 Primo Piano La mediazione interculturale in Belgio Al contrario della assimilazione, l’integrazione implica la possibilità per gli immigrati di conservare la propria identità culturale, pur adottando anche la cultura del Paese di nuova residenza registrano innumerevoli problemi comportamentali da parte degli alunni (non solo d’origine immigrata, peraltro), alle relazioni di coppia e familiari dei nuclei d’origine alloctona, ai problemi di vicinato, ecc. tutti ambiti in cui la corretta comprensione dei parametri culturali di riferimento di ciascuna delle parti in causa può ben fare la differenza. In tal senso, la mediazione interculturale può essere considerata l’approccio adeguato ed efficace per arrivare alla corretta e completa integrazione di queste popolazioni migrate nel tessuto connettivo delle società d’accoglienza. Contrariamente all’assimilazione, l’integrazione implica la possibilità per le genti migranti di conservare la propria identità culturale, pur adottando anche la cultura del Paese di nuova residenza. Per essere reale, l’integrazione sottintende l’apertura e lo sviluppo di un dialogo tra culture, quella originaria del migrante e quella della società di nuovo stabilimento 7 . Lo sforzo d’integrazione non può, né deve, riposare sulle sole spalle dell’immigrato, pena l’isolamento e la marginalizzazione di quest’ultimo con il conseguente deterioramento delle relazioni sociali. In un mondo globalizzato e globalizzante come quello contemporaneo votato al multiculturalismo e alla plurietnia, il concetto di cultura dominante, detentrice di un corretto vivere sociale e che assimila fagocitandole le culture “inferiori”, non è più d’alcuna attualità. Qualsiasi cultura basa se stessa su di un insieme di valori e rappresentazioni della realtà che informano e determinano le relazioni sociali tra i membri della società di appartenenza. Intesa in tal senso, ogni cultura si pone su un piano paritetico con tutte le altre, in un necessario scambievole confronto dei rispettivi valori etici e morali 8 . Altra cosa, evidentemente, sono gli estremismi e gli integralismi cui alcuni sistemi sociali possono giungere quali, ad esempio, l’imposizione del burqa alle donne in alcuni Paesi del mondo arabo oppure l’obbligo in Cina di fare un solo figlio e, sino a pochi anni or sono, il massiccio ricorso all’aborto nei 7 Per una distinzione tra “assimilazione” e “integrazione” cfr. “Acculturation” Association Géza Rohéim, des Mots et des Gens, d’Ici et d’Ailleurs 8 libertàcivili La definazione del ter mine cultura non è univoca ed è evoluta nel tempo, diventando alquanto complessa con la nascita e lo sviluppo della sociologia e dell’antropologia. Personalmente, sposiamo quella di E.B.Taylor, secondo il quale essa consiste in “quel complesso insieme, quella totalità che comprende la conoscenza, le credenze , l’ar te, la morale, il diritto, il costume, e qualsiasi altra capacità e abitudine, acquisita dall’uomo in quanto membro di una società” cfr. Raffaella Fagella “Il ter mine cultura, un’improbabile definizione”. Tracciati. Rivista alla ricerca della scuola, novembre 2011 102 2 0 12 marzo - apr ile casi in cui le gravidanze rivelavano il sesso femminile del feto. In questi contesti siamo di fronte a derive inammissibili, che non hanno niente in comune con i valori di cui qui si tratta e che non costituiscono assolutamente parametri etici accettabili per qualsiasi sistema culturale. Fatta questa doverosa precisazione, va detto che la società contemporanea è ormai, obtorto collo, costretta a fare i conti con “l’altro”, “il diverso” che per tanti versi ci assomiglia. Ciò può avvenire solo attraverso la comprensione della diversità e l’apertura di un dialogo costruttivo con essa. La mediazione interculturale che, come abbiamo visto, si nutre di questo, rende tale dialogo possibile e proficuo. Pertanto essa costituisce, a nostro avviso, la carta vincente di qualsiasi processo d’integrazione e d’evoluzione delle società contemporanee. Primo Piano La mediazione interculturale in Belgio Bibliografia Articoli non firmati “Acculturation”, Association Géza Rohéim, des Mots et des Gens, d’Ici et d’Ailleurs http://geza.roheim.pagesperso-orange.fr/html/accultur.htm “Analyses et Etudes. L’Interculturel: une démarche”, Siréas asbl Service de Recherche, d’Education et d’Action Sociale, Doc n°4. Année 2004 http://www.sireas.be/publications/analyse04-2004.pdf “La médiation interculturelle dans les hôpitaux”, CEPAG Centre d’Education Populaire André Genot, 11/09/2006 http://www.cepag.be/sites/default/files/publications/mediation_inter culturelle.pdf “Médiation interculturelle” from Belgium Wiki http://mighealth.net/be/index.php/M%C3%A9diation_interculturelle “Médiation Interculturelle” – Wikipedia http://fr.wikipedia.org/wiki/Médiation_interculturelle “Médiation interculturelle”, Association Géza Rohéim, des Mots et des Gens, d’Ici et d’Ailleurs http://geza.roheim.pagesperso-orange.fr/index.htm “Médiation Interculturelle” http://www.techno-science.net/?onglet=glossaire&definition=10649 “Médiation Interculturelle dans les hôpitaux” http://www.stomie.be/cancer/soins.html?art=531 Zohra Chbaral et Hans Verrept. “La médiation interculturelle en milieu hospitalier”, Médiations & Sociétés, n° 8, agosto 2004, pp. 24-27 Latifa ES-SAFI “La médiation culturelle dans les hôpitaux ou Comment rétablir la communication entre les patients d’origine 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Articoli firmati 103 Primo Piano La mediazione interculturale in Belgio étrangère et le personnel soignant”, Pensée plurielle 1/2001 (no 3), p. 27-34. htpp:// www.cairn.info/revue-pensee-plurielle-2001-1-page-27.htm. Raffaella Fagella “Il termine cultura, un'improbabile definizione”, Tracciati. Rivista alla ricerca della scuola, novembre 2011 http://www.graffinrete.it/tracciati/articolo.php?id_vol=319 Fermi Patrick, “La médiation interculturelle”, Portail Santé Mentale et Culture http://www.minkowska.com/article.php3?id_article=217 Alain Ruffion, “La Médiation Interculturelle” http://www.irenees.net/fr/fiches/analyse/fiche-analyse-759.html Portali istituzionali La Cellule de coordination du SPF Santé publique https://portal.health.fgov.be/portal/page?_pageid=56,704702&_ dad=portal&_schema=PORTAL “Mission du Médiateur interculturel” Service Public Fédéral Santé Publique, Sécurité de la chaîne alimentaire et Environnement. http://www.health.belgium.be/eportal/Myhealth/Patientrights andInterculturalm/Interculturalmediation/Mediatortasks/index. htm?fodnlang=fr Riviste libertàcivili “Médiation et nouvelles régulations sociales. Les métiers de la médiation.” La Vigilante - n° 23 - Novembre 2006, Association paritaire pour l’emploi et la formation. “Le Service de médiation interculturelle du CHR de la Citadelle à Liège. Les “passeuse” de culture”. Cahier n° 65, Laboratoire des Innovations Sociales Labisio http://www.labiso.be/?page=VisualiserContenuOuvrage&Id=970 104 2 0 12 marzo - apr ile Primo Piano La strada dell’integrazione parte dalla casa L’esperienza della fondazione La Casa onlus come paradigma dei problemi e degli strumenti necessari nel settore dell’housing sociale, che sconta carenze nella programmazione e nelle risorse a disposizione per gli interventi di Maurizio Trabuio Direttore della fondazione La Casa onlus La centralità del tema casa per il successo di ogni politica di integrazione è del tutto evidente, nel bene e nel male 1 , ma la definizione degli strumenti adeguati per dare forza e sostanza a questa centralità è ben lungi dall’essere chiara. A livello generale, il tema dell’housing sociale per gli immigrati, infatti, sconta una serie di deficit quali la mancanza di conoscenza del fenomeno, l’assenza di omogeneità delle definizioni, la carenza di strategie e tecniche per la fissazione degli obiettivi e la programmazione delle azioni e lo stanziamento delle risorse adeguate al loro raggiungimento. La gestione del problema è, per lo più, lasciata a singole esperienze locali che, con tutti i loro limiti, svolgono un’importante funzione di supplenza nei confronti di politiche più strutturate. Il caso della fondazione La Casa onlus può essere esemplificativo di questa realtà. La fondazione La Casa onlus e il suo modello di intervento La fondazione La Casa onlus è stata costituita nel 2001 a Padova 2 per promuovere iniziative e progetti che contribuiscano 1 Da una recente ricerca condotta su un campione di immigrati dalla Camera di commercio di Padova emerge che “avere una casa” è al terzo posto (dopo il lavoro e il per messo di soggior no) fra i fattori che fanno sentire “sicuri” gli immigrati e che “sentirsi a casa” è una delle cinque definizioni più ricorrenti del ter mine “integrazione”. Dalla stessa ricerca emerge come un intervistato su dieci è stato vittima di richieste di denaro per ottenere un alloggio Nasce come fondazione di partecipazione – ossia con elementi caratteristici quali la costituzione di un patrimonio di destinazione a struttura aper ta, che libertàcivili Lavoro, permesso di soggiorno, casa: le tre priorità che definiscono la sicurezza di un immigrato e il suo percorso di integrazione 2 0 12 marzo - apr ile 105 2 Primo Piano L’housing sociale per i migranti L’esperienza veneta partita da Padova nel 2001 che sta permettendo di affrontare in modo nuovo il problema di un alloggio dignitoso per le famiglie degli immigrati può accrescersi nel tempo attraverso l’ingresso di nuovi fondatori e la presenza di diverse categorie di soci partecipanti – per volontà della Camera di commercio di Padova, delle Acli provinciali di Padova, della cooperativa Nuovo Villaggio e di Banca popolare etica, con il sostegno della diocesi di Padova e della fondazione Cariparo. Successivamente si sono aggiunti come soci fondatori anche le province di Padova, Venezia e Rovigo, la provincia veneta di Sant’Antonio dell’Ordine dei frati minori, la regione Veneto e i comuni di: Vigonza (PD), Galliera Veneta (PD), Padova e Ponte San Nicolò (PD). Sono poi soci aderenti e sostenitori diversi altri comuni, imprese e cooperative sociali libertàcivili 106 a risolvere il disagio abitativo delle famiglie italiane e straniere residenti nel territorio, favorendone l’accesso a un alloggio dignitoso, attraverso il percorso di accompagnamento sociale che permette l’inserimento delle persone nel tessuto economicoproduttivo del Veneto, e la conseguente crescita umana e integrazione sociale. Si tratta di attività che rientrano a – nostro avviso pienamente – nell’ambito dell’housing sociale, definito, a livello europeo, come “l’insieme delle attività atte a fornire alloggi adeguati, attraverso regole certe di assegnazione, a famiglie che hanno difficoltà nel trovare un alloggio alle condizioni di mercato perché incapaci di ottenere credito o perché colpite da problematiche particolari” 3 . La fondazione La Casa onlus ha individuato nella gestione e sviluppo di un patrimonio immobiliare lo strumento più efficace per sperimentare un’articolazione di risposte differenti alle diverse esigenze alloggiative delle persone in disagio abitativo, e perciò a rischio di esclusione sociale. In particolar modo, quando alla mancanza di un alloggio adeguato si sommano la mancanza o assottigliamento di adeguate reti familiari e amicali, debolezza e incertezza di reddito, precarietà di percorso migratorio, percezione negativa in alcuni strati della popolazione autoctona, la certezza di un alloggio diventa pre-requisito per l’integrazione e la piena cittadinanza. Immobili diversi per forma e utilizzo (dedicati alla accoglienza di breve, medio e lungo periodo), integrati da un sistema di servizi (quali ad esempio i microprestiti, le assicurazioni sui rischi connessi alla conduzione degli alloggi, gli indennizzi per morosità, le garanzie per l'accesso ai mutui, il servizio di accompagnamento sociale, etc.), promuovono l’autonomia economico-sociale degli abitanti con l’obiettivo di favorire l’inserimento nel territorio, per rafforzare l’appartenenza alla comunità grazie alla stabilità abitativa. Qui di seguito viene rappresentato, in sintesi, il modello di 3 2 0 12 marzo - apr ile CECODHAS, www.cecodhas.org intervento della fondazione nel campo del contrasto al disagio abitativo. Fondazione La Casa interviene investendo nelle strutturein cui ospitare i soggetti in disagio Primo Piano L’housing sociale per i migranti Persone in disagio abitativo/Fasce deboli ▼ ▼ ▼ ▼ Ospedale Accoglienza di breve periodo Accoglienza di medio periodo Accoglienza di lungo periodo Mercato privato ▼ ... Casa a colori ▼ Centro di accoglienza Edilizia Residenziale Pubblica ▼ Centro di assistenza ▼ ▼ ▼ Tempo Accompagnamento sociale all’abitazione Autonomia AISA Agenzia di intermediazione sociale sull’abitare Le cooperative del consorzio, attraverso il marchio registrato AISA, si occupano della fornitura dei servizi di accompagnamento sociale all’abitare Nella figura è possibile avere evidenza del ruolo della fondazione La Casa quale soggetto investitore che acquisisce immobili, aree edificabili e diritti edificatori, affidando a soggetti specializzati la gestione socio-immobiliare degli stessi. La gestione delle strutture pensate per il contrasto al disagio abitativo richiede specifiche competenze e conoscenze, in quanto prevede l’offerta di un’articolata combinazione di servizi libertàcivili Assistenza/Cura 2 0 12 marzo - apr ile 107 Primo Piano L’housing sociale per i migranti “Villaggio solidale”, “casa a colori”: slogan dietro ai quali si sta realizzando un effettivo servizio sociale in favore delle fasce più deboli della popolazione socio-amministrativi, che promuovono l’autonomia delle persone in disagio abitativo, che da un mercato assistenzialista possono tendere verso il libero mercato passando per appositi servizi di mediazione sociale all’abitare. Essi sono offerti tramite attività di sportello definite dal marchio Aisa (Agenzia di intermediazione sociale all’abitare 4). Attraverso alcune cooperative sociali partner, aderenti al consorzio Villaggio solidale 5 sono stati aperti sportelli in tutte le province venete. L’offerta immobiliare della fondazione La Casa onlus è costituita da unità abitative destinate a diverse esigenze: dal modello operativo possiamo notare come ai comuni alloggi si affianchino strutture ricettive di tipo alberghiero che uniscono all’accoglienza di breve periodo, in risposta all’emergenza abitativa, l’accoglienza turistica del cosiddetto “turismo sociale ” 6 . Gli alloggi che la fondazione realizza e gestisce sono caratterizzati, quando possibile, da un’idea di casa come uno degli elementi della domiciliarità e dei servizi, che agevola la qualità della vita anche fuori dal perimetro dell’appartamento, nei rapporti di vicinato del quartiere. Le unità abitative sono funzionali a due ordini di esigenze: dare stabilità a famiglie e cittadini che non sono in grado di sostenere i costi ordinari del mercato immobiliare; offrire accoglienza a tipologie di famiglie e persone con bisogni ed esigenze diversificate per cui spesso gli alloggi sono costruiti con possibilità di frazionare e modulare gli spazi, senza sacrificare il comfort e la dignità dell'abitare. Gli elementi di contesto L’esperienza della fondazione La Casa onlus, nasce in un contesto economico e territoriale molto specifico che così 4 www.agenziaisa.org 5 www.villaggiosolidale.org 6 libertàcivili La Casa a colori è il luogo dell’accoglienza: nasce per dare ospitalità di buona qualità a prezzi contenuti; permette al turista di conoscere e scoprire il territorio visitato, comprenderlo in tutte le sue forme e dimensioni, tramite un servizio di “accoglienza ospitale” orientato a dare le informazioni necessarie. Permette di venire a stretto contatto con alcune realtà locali e organizzazioni del territorio con cui è collegata (associazioni, cooperative, progetti ecc…) e, tramite esse, crea supporti e infrastrutture logistici a portata dell’utente (organizzazione di escursioni, uscite, visite, serate ed eventi). La Casa a colori è inserita nel territorio e ne promuove lo sviluppo attraverso la propria vocazione; il suo obiettivo, infatti, è quello di diffondere un nuovo modello di gestione dell’accoglienza, che dia la possibilità di usufruire di un alloggio di qualità secondo le diverse esigenze, integrando tra loro diverse fasce di utenza. Attualmente le strutture riconosciute sono tre: a Padova, Dolo (VE), Modena 108 2 0 12 marzo - apr ile 7 Rapporto statistico 2011 - regione Veneto http://statistica.regione.veneto.it/Pubblicazioni/RapportoStatistico2011/index.html 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Il Veneto è la terza regione d’Italia per attrazione di immigrati. Gli stranieri residenti nella regione sono oltre 480mila. Secondo l’Istat nel 2030 potrebbero superare il milione, diventando il 19 per cento della popolazione veneta viene descritto dalla direzione Sistema statistico regionale della regione Veneto nell’ultimo annuario statistico pubblicato “In Veneto l’immigrazione è un fenomeno decisamente consistente, anche più che a livello nazionale: ben l’11,3% degli immigrati nel nostro Paese ha scelto, infatti, il Veneto per stabilire la propria dimora, tanto da risultare la terza regione per attrazione dall’estero. Gli ultimi quattro anni sono stati eccezionali per il fenomeno migratorio e si contano tra il 2006 e il 2009 oltre 120mila stranieri in più, anche se nell’ultimo anno si registra un aumento meno consistente rispetto agli anni precedenti. Oggi gli stranieri residenti in Veneto sono 480.616 e rappresentano il 9,8% della popolazione, quota sensibilmente più rilevante rispetto all’intero territorio nazionale (7%) e secondo le previsioni Istat nel 2030 supereranno il milione, ossia oltre il 19% della popolazione complessiva. Il 49,2% sono donne e il fenomeno si contraddistingue anche per un’alta presenza di minori: quasi un quarto degli stranieri sono infatti minorenni (24,3%) a fronte del 22% in Italia. Gli ingressi dall’estero rappresentano un’insostituibile risorsa per il mercato del lavoro e per la crescita demografica totale, contribuendo positivamente allo svecchiamento della popolazione e al recupero della natalità” 7 . Alla fine degli anni Novanta la presenza degli immigrati in Veneto non aveva ancora raggiunto i livelli attuali, ma la crescita era impetuosa in termini percentuali e assoluti, alimentata dalla forte richiesta di manodopera del capillare tessuto industriale e produttivo. La legislazione nazionale di riferimento cominciava a imporre l’obbligo ai datori di lavoro di procurare un alloggio ai loro dipendenti stranieri. I comuni sempre più spesso erano alle prese con graduatorie per l’accesso alle case pubbliche lunghissime e occupate generalmente per oltre il 50% da stranieri con punteggi altissimi per l’elevato numero di componenti del nucleo familiare e per le condizioni abitative disagiate. Il mercato immobiliare era caratterizzato da scarsità di alloggi in affitto, da canoni alti, e una offerta quasi esclusiva di alloggi per la proprietà, agevolata da grande disponibilità di credito a condizioni vantaggiose. I poveri, i nuovi arrivati, quelli in situazione nuova (separati, giovani, anziani) nel loro percorso di ricerca abitativa avevano davanti i monoliti inaccessibili: l’edilizia pubblica scarsa, lenta, mono-tipica (solo appartamenti pensati per famiglie e Primo Piano L’housing sociale per i migranti 109 L’housing sociale per i migranti Primo Piano per sempre) e l’edilizia privata costosa, solo in proprietà e tendenzialmente prevenuta verso le categorie fragili portatrici di domanda. Anno Veneto Italia Popolazione (migliaia) 2008 4.886 60.045 Stranieri (% sul totale della popolazione) Numero di abitazioni al censimento (migliaia) Variazione % 2007/01 abitazioni (stima) Famiglie che vivono in case uni o plurifamiliari (valori %) Famiglie con casa di proprietà (valori %) Numero medio di persone per abitazione Indice di affollamento medio (mq per persona) Famiglie in arretrato nel pagare spese per l’abitazione (valori %) Indicatore sintetico finale sulla qualità delle caratteristiche strutturali dell’abitazione (a) Indice sintetico complessivo di sostenibilità (percepita ed economica) (b) Indice sintetico di percezione della qualità della zona di residenza (c) Indice sintetico di accessibilità dichiarata ai servizi della zona di residenza (d) Famiglie che si dichiarano soddisfatte o molto soddisfatte dell'abitazione in cui vivono (valori %) 2008 2001 2007/01 9,3 2.016 9,7 6,5 27.269 5,5 2007 2007 2007 2007 55,9 73,5 2,4 53,5 40,9 68,4 2,4 49,3 2007 6,3 9,9 2007 82,6 79,9 2007 75,9 76,1 2007 63,6 59,2 2007 62,8 60,1 2007 85,9 84,5 (a) L’indicatore varia tra 0 e 10 0, dove 0 indica bassa qualità e 10 0 qualità elevata. Per una descrizione più approfondita dell'indicatore si veda la Tab.1.2.4 del capitolo (b) L’indicatore varia tra 0 e 10 0, dove 10 0 rappresenta la situazione più favorevole. Per una descrizione più approfondita dell'indicatore si veda la Tab.1.2.8 del capitolo. (c) L’indicatore varia tra 0 e 10 0, dove 0 rappresenta la qualità peggiore e 10 0 quella migliore. Per una descrizione più approfondita dell’indicatore si veda la Fig.1.2.8 del capitolo (d) L’indicatore varia tra 0 e 10 0, dove 0 rappresenta la qualità peggiore e 10 0 quella migliore. Per una descrizione più approfondita dell’indicatore si veda la Fig.1.2.9 del capitolo Fonte: elaborazioni regione Veneto - direzione Sistema statistico regionale su dati Istat libertàcivili L’introduzione di un soggetto nuovo, non profit, plurale, misto pubblico-privato, non specialista di edilizia, ma più portato alla relazione con gli abitanti – quale la fondazione La Casa onlus – voleva rappresentare l’apertura di una nuova possibilità, uno strumento di welfare aggiuntivo nella dotazione territoriale. Questo esperimento pratico è arrivato a essere oggetto di uno studio, comprensivo di un’analisi di fattibilità e della redazione di un progetto di legge regionale, presentato per iniziativa della 110 2 0 12 marzo - apr ile Il sistema integrato dei fondi Di fronte all’insufficienza delle politiche abitative in genere e in particolare per le fasce più esposte al rischio di esclusione sociale come lo sono gli stranieri, i governi hanno messo in moto la realizzazione del sistema integrato dei fondi, convocando all’investimento in edilizia sociale i maggiori gruppi finanziari italiani sotto la regia di Cassa depositi e prestiti 11 . Il Piano casa per l'housing sociale si pone l'obiettivo di realizzare, entro il 2015, 100mila nuovi alloggi di edilizia “non di mercato”. Destinatari dei nuovi alloggi i nuclei familiari e giovani coppie a basso reddito, anziani in condizioni sociali 8 Pdl 414 Sportelli per l’alloggio sociale temporaneo - VIII legislatura regione Veneto 9 Ibidem 10 h t t p : / / w w w. p o r t a l e c n e l . i t / P o r t a l e / d o c u m e n t i . n s f / v w A re a Te m a t i c a ? O p e n v i e w & R e s t r i c t To C a t e g o r y = I M M I G R A Z I O N E & S t a r t = 1 & C o u n t = 3 0 & A r e a Te m a t i c a = IMMIGRAZIONE&AreaTematicaPadre=IMMIGRAZIONE http://www.cnel.it/comunicazione/popupcomunicato.asp?id=61 11 Dpcm del 16 luglio 2009 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili L’esperienza della Casa onlus ricalca in diversi aspetti una proposta di legge che il Cnel aveva presentato al Governo la scorsa legislatura provincia di Venezia, avente a oggetto il riconoscimento istituzionale e il sostegno finanziario della regione Veneto a soggetti di diritto privato, in grado di porsi come innovativi strumenti di mitigazione del disagio abitativo di migranti e di altre fasce sociali deboli non considerate dal sistema regionale dell’edilizia residenziale pubblica 8 . Nella relazione al progetto di legge si riconosceva infatti che “le istituzioni non sono idonee a farsi carico della sistemazione abitativa temporanea di migranti e di altri neo-poveri e spesso questa funzione viene surrogata sul territorio da risposte private di tipo umanitario, sia di matrice confessionale che laica. Si riteneva importante riconoscere l’utilità generale dell’opera di management specializzato nella captazione di fasce di marginalità abitativa e nella loro sistemazione temporanea, con un sostegno finanziario al fine di promuoverne una maggiore diffusione in ambito regionale, sulla base di regole d’impiego trasparenti e omologate” 9 . Molti dei temi e delle soluzioni individuate ricalcavano la proposta di legge che il Cnel aveva presentato al Governo nella scorsa legislatura 10 ; tali soluzioni sarebbero ancora attuali per essere riproposte e consentire a tutti gli amministratori locali e agli attori di sviluppo del territorio di avere strumenti per rispondere ai bisogni delle persone. Primo Piano L’housing sociale per i migranti 111 Primo Piano L’housing sociale per i migranti libertàcivili Come si estende in Veneto la figura del “gestore socioimmobiliare” che affianca alla tradizionale attività immobiliare quella di partecipazione e di responsabilizzazione degli inquilini 112 o economiche svantaggiate, studenti fuori sede, sfrattati, immigrati regolari a basso reddito residenti in Italia da almeno 10 anni o almeno cinque nella medesima regione. Il ministero delle Infrastrutture ha investito 150 milioni di euro in un fondo immobiliare dotato di circa due miliardi di euro. Il fondo nazionale può contribuire al finanziamento di iniziative locali per la valorizzazione di aree urbane con la realizzazione di una quota di alloggi da concedere a canone calmierato, eventualmente riscattabili. Il trasferimento delle competenze abitative dallo Stato alle regioni aveva visto, di fatto, la fine nei bilanci pubblici della previsione di entrate alla voce “casa” e il sistema integrato dei fondi all’interno del Piano nazionale per l’edilizia sociale ha prevalentemente il compito di supplire a questa mancanza. Dovrebbe anche aiutare a riequilibrare il patrimonio immobiliare italiano, in senso più aderente alle esigenze di mobilità e di flessibilità della vita moderna, favorendo l’incremento delle case in affitto a discapito della quota di case in proprietà. “Edilizia sociale”, secondo la declinazione che ne diamo, significa soprattutto una gestione socio-immobiliare degli alloggi che si andranno a realizzare, cioè una speciale attenzione alle persone. In Veneto è già partito il fondo “Veneto Casa”, fondo immobiliare etico gestito da Beni stabili gestioni SGR. Il fondo ha come obiettivo quello di sviluppare iniziative immobiliari che abbiano come target persone che presentano un disagio socio-economico temporaneo e che non riescono ad accedere a un alloggio adeguato alle proprie necessità alle condizioni di libero mercato. Il fine del fondo, quindi, è quello di promuovere la coesione di vicinato e la valorizzazione degli inquilini come risorsa per l’area sociale nella quale si inseriscono gli alloggi, realizzati e offerti come soluzioni abitative su misura delle necessità delle persone e delle famiglie. Al “gestore socio-immobiliare” saranno demandate, accanto alle tradizionali attività di gestione immobiliare, attività di partecipazione e di responsabilizzazione degli inquilini e funzioni di mediazione sociale e culturale finalizzate a prevenire conflitti e tensioni all’interno della comunità insediata. Il gestore risulterà infatti l’interlocutore primario nei confronti degli inquilini” 12 . Allo stesso tempo al gestore competono, ad esempio, “tutte le 12 Vademecum all’edilizia sociale, Cdpi-SGR 2 0 12 marzo - apr ile 13 Ibidem 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Le specifiche attività svolte dal gestore socioimmobiliare sono calibrate intorno alle esigenze della società multietnica e plurale che sta sempre più abitando le nostre città attività e azioni utili per minimizzare i costi di gestione e morosità, per informare gli inquilini sull’utilizzo corretto degli alloggi, per monitorare la conservazione del patrimonio immobiliare e la qualità della convivenza tra gli inquilini” 13 . Nella descrizione delle attività specifiche del gestore socioimmobiliare possiamo riconoscere in filigrana la specifica attenzione alla società multietnica e plurale che sta sempre più abitando le nostre città. Queste attività prevedono: Inserimento abitativo, ossia l’individuazione di soluzioni abitative adeguate alle necessità (numero di componenti del nucleo familiare, distanza dal luogo di lavoro e dai servizi principali) e alle possibilità della persona derivanti dalla condizione economica. Il processo di accompagnamento a migliorare la disponibilità economica degli utenti ai fini di continuare a garantire i pagamenti dei canoni di locazione, di poter accantonare un risparmio per le spese urgenti impreviste e per passare successivamente a soluzioni abitative autonome. L’educazione alla condivisione degli spazi e alla cogestione dei servizi al fine di consolidare dei rapporti di “vicinato attivo” tali da supportare, anche solo come modello, i casi che più necessitano di supporto. Gestione della permanenza, con la promozione di rapporti sociali e di vicinato tra inquilini, in particolare nel caso di soggetti eventualmente appartenenti a nazionalità con abitudini diverse. L'inesistenza di relazioni precedenti è infatti spesso fonte di situazioni di conflitto. Nello specifico le attività prevedono; la promozione della conoscenza e del rispetto dei reciproci diritti e doveri derivanti da un rapporto di locazione; la conoscenza e il rispetto delle regole contrattuali, delle regole condominiali e delle buone prassi di vicinato; l’istruzione alla corretta conduzione degli alloggi, alla regolarità nella manutenzione ordinaria e alla gestione ecologica della casa. Inclusione sociale, con la promozione di una rete sociale intorno al soggetto in un'ottica di inclusione, favorendo processi di aggregazione autonoma e mettendolo in contatto con le realtà associative presenti nel territorio in cui vive. Il tutto teso ad agevolare tanto la convivenza all’interno delle strutture, quanto la facilitazione al passaggio verso successive soluzioni abitative autonome. Primo Piano L’housing sociale per i migranti 113 Primo Piano L’housing sociale per i migranti Si chiama “community management” il complesso di elementi innovativi che caratterizzano l’esperienza del nuovo “abitare sociale” per gli immigrati I veri elementi innovativi della gestione socio-immobiliare degli alloggi che il sistema integrato dei fondi prevede sono: la prevenzione e la gestione dei potenziali conflitti derivanti dai nuovi inserimenti abitativi nel territorio, attraverso l’intervento di mediazione fornito ad hoc per i singoli casi; la prevenzione del degrado abitativo attraverso interventi educativi rivolti alla persona e al presidio costante dell’immobile stesso; la prevenzione del disagio degli inquilini e del vicinato favorendo la permanenza pacifica dell’inquilino nell’alloggio fino ai termini contrattuali stabiliti, attenendosi alla regolare gestione e manutenzione dell’alloggio, al rispetto del regolamento di condominio e al rispetto delle buone prassi nei rapporti di vicinato; il coinvolgimento degli inquilini nel tessuto sociale del territorio ove risiedono; il consolidarsi di un rapporto di fiducia con gli operatori del “gestore sociale” che deve essere il primo riferimento in caso di problemi (degli inquilini stessi o di relazione con il vicinato) per permettere un intervento, risolutivo o di mediazione, immediato; l’accompagnamento al risparmio finalizzato a passare successivamente verso soluzioni abitative autonome migliori ovvero al riscatto dell’alloggio; l’attivazione di una rete, locale e associativa di supporto per la persona. Questi elementi innovativi, definiti in letteratura come “community management” sono, a nostro avviso, il patrimonio di innovazione di processo che la presenza degli stranieri nelle nostre città ci obbliga a introdurre, con l’intuitivo ed evidente beneficio per tutta la città. libertàcivili Casa dolce casa: alcuni dati sulla condizione abitativa degli immigrati in Italia 114 Gli immigrati rappresentano oggi una quota sempre più alta del mercato immobiliare in Italia, sia per quello che riguarda gli affitti sia per le compravendite. Al tempo stesso essi incidono pesantemente su quell’area di soggetti che si trovano in condizione di disagio abitativo; oltre un terzo è in questa condizione, un dato tre volte e mezzo superiore a quello degli italiani. Tale fenomeno, che prima riguardava soprattutto gli irregolari, con la crisi economica dell’ultimo triennio si è esteso anche ai 2 0 12 marzo - apr ile migranti regolarmente residenti, che ora si trovano in condizioni di difficoltà lavorative. Peraltro, per gli stranieri sussiste una doppia discriminazione: da un lato, i bassi redditi percepiti rispetto agli italiani rendono loro più difficile l’accesso al mercato della compravendita, dall’altro essi sono spesso discriminati nelle locazioni e alimentano il circuito degli affitti in nero, delle coabitazioni o del subaffitto. Secondo i dati dell’Istat (Le famiglie con stranieri. Indicatori di disagio in Germania o Francia circa la metà delle abitazioni sono in locazione; il secondo è la carenza nell’offerta di edilizia sociale, pari ad appena il 4,5% del totale delle case. Su questo secondo punto, nonostante interventi legislativi e le norme del “Piano casa” (legge 133/2008), la situazione resta ancora fluida, soprattutto perché la competenza su queste materie è per gran parte regionale. Da questo punto di vista si registra una diversificazione geografica notevole nelle misure di garanzia del diritto alla casa con regioni (tipo Marche, Toscana, Umbria, Emilia-Romagna e Liguria) dove non esistono differenze tra stranieri e italiani nell’accesso all’offerta abitativa pubblica – e dove probabilmente gli immigrati sono addirittura avvantaggiati dal fatto di appartenere in gran numero alle categorie disagiate che accedono a tali misure – mentre altre regioni – tipo la Lombardia – impongono il requisito dei cinque anni di residenza (previsto dal “Piano casa”) e altre ancora inseriscono meccanismi progressivi di punteggio nelle graduatorie favorendo chi è residente da più anni (e quindi ovviamente gli italiani). D’altra parte, come sottolineato dal Dossier statistico immigrazione Caritas/ Migrantes, oggi la casa per l’immigrato “non è più soltanto l’oggetto di un diritto, ma anche di un onere”. Infatti, l’alloggio idoneo insieme al lavoro regolare costituiscono i due requisiti fondamentali per ottenere il permesso di soggiorno. (a.g.) 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili economico, 2011) le famiglie con stranieri sono sistemate per il 58,7% in affitto e il 23% in proprietà (contro il 71,6% delle famiglie italiane), mentre la restante parte o è ospite o soggiorna direttamente sul luogo di lavoro. Per una limitata parte delle famiglie immigrate (circa una su cinque, il 23%) la facilità di accesso al mutuo degli anni scorsi ha consentito di rivolgersi al mercato della compravendita, anche perché le rate del mutuo sono risultate per lungo tempo addirittura più convenienti dei canoni d’affitto. Tuttavia la crisi economica ha portato con sé una forte stretta creditizia e una crescita delle incertezze in campo lavorativo, riducendo drasticamente il dato sulle compravendite degli stranieri: secondo Banca d’Italia erano il 16,7% del totale nel 2007 (circa 135mila acquisti), sono scese all’8,7% nel 2010 (con un totale di 53mila case acquistate su oltre 611mila). Mancano ancora dati ufficiali sul numero di immigrati che si sono trovati a non poter più far fronte ai mutui contratti, ma certamente una percentuale significativa di coloro che hanno avuto difficoltà appartiene a questa categoria. Le famiglie di stranieri che vivono in condizioni di sovraffollamento (cioè che non dispongono di un numero di stanze adeguato alla loro composizione) sono il 37,2%, contro il 14,6% degli italiani. Una famiglia straniera su due dispone al massimo di due stanze, una su cinque vive in una sola stanza. Rispetto ad altri Paesi europei l’Italia sconta due fattori che aggravano la situazione: il primo è la ridotta quota di case in affitto, una su cinque, mentre Primo Piano L’housing sociale per i migranti 115 Le Rubriche La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa Una ricerca di Didier Reudin e Gianni D’Amato analizza i molteplici fattori che influenzano le politiche di coesione e integrazione nel Vecchio Continente, anche attraverso una comparazione con il caso degli Stati Uniti di Stefania Nasso “Gli ultimi decenni hanno visto crescere grandemente l’immigrazione verso i Paesi europei. Ciò ha portato ad avere una popolazione maggiormente diversificata e spesso questa crescente diversità è vista come una minaccia alla coesione sociale. Dall’inizio del ventunesimo secolo la retorica politica si è inasprita citando spesso tutto d’un fiato le parole immigrazione, Islam, sicurezza. Le pressioni economiche dovute alla recessione, che interessano in modo analogo molti Paesi europei, riducono il livello di integrazione economica e incidono così sulla coesione sociale”. Queste frasi d’apertura della ricerca Social Cohesion Challenges in Europe di Didier Ruedin e Gianni D’Amato per il progetto Improving US and EU Immigration Systems 1 in poche righe fotografano i tratti più evidenti dell’attuale contesto sociale ed economico dei Paesi europei. Il moto migratorio, la retorica politica, la percezione di pericolosità della diversità culturale e religiosa, la recessione sono le tessere con cui comporre il multidimensionale disegno dell’integrazione e della coesione sociale. Coesione sociale, capitale sociale e immigrazione La coesione sociale, come risultato dello sforzo per realizzare 1 Vedi liber tàcivili n.3/2011 pg.58 e http://www.eui.eu/Projects/Transatlantic Project/Home.aspx libertàcivili Il moto migratorio, la retorica politica, la percezione di pericolosità delle diversità culturali e religiose, la recessione: queste le tessere del mosaico della integrazione sociale in Europa 2 0 12 marzo - apr ile 117 La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa Coesione, capitale sociale e cooperazione fra gruppi differenti sono fattori fondamentali per risolvere problemi collettivi come quelli derivanti dalla immigrazione una crescita economica sostenibile 2, è definita dal Consiglio d’Europa “la capacità di una società di assicurare il benessere di tutti i suoi membri, riducendo le differenze ed evitando le polarizzazioni. Una società basata sulla coesione è una comunità di sostegno reciproco di individui liberi che perseguono obiettivi comuni dai significati democratici”. È un tema centrale e strategico, richiamato dalle più alte istituzioni nazionali e comunitarie come caratteristica ed elemento fondamentale di sviluppo 3. Un concetto che negli ultimi anni ha assunto rilevanza nell’analisi di come si modella la coesione sociale è quello di “capitale sociale”, individuato nel 1993 dal sociologo americano Robert Putnam in uno studio sull’Italia e sulle sue tradizioni civiche. Putnam lo definisce come “l’insieme di quegli elementi dell’organizzazione sociale – come la fiducia, le norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l’efficienza della società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l’azione coordinata degli individui”. Coesione e capitale sociale, e quindi cooperazione tra gruppi differenti, sono fattori fondamentali per risolvere problemi collettivi, che non possono essere affrontati a livello individuale, come appunto le sfide derivanti dall’immigrazione 4. La reazione politica delle società alla natura e alla misura dell’immigrazione è diretta a gestire il fenomeno 5 , con politiche che sappiano anticipare problemi e bisogni futuri proprio per preservare la coesione sociale. Una immigrazione non regolata è considerata una minaccia per l’ordine sociale, in particolare per il sistema di welfare e per l’economia: per evitare le ripercussioni negative dovute a un crescente numero di immigrati e delle relative diversità di cui sono portatori si ritiene necessario integrarli nella società che li accoglie. La gestione dei flussi migratori è un problema comune per gli Stati occidentali ma non si è tradotto in una politica globale delle migrazioni sebbene si registrino sforzi di coordinamento a livello mondiale come l’Iniziativa di Berna 6, da cui è scaturita 2 Vedi strategia di Lisbona http://www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/ docs/pressData/it/ec/00100-r1.i0.htm 3 libertàcivili Si vedano in proposito anche le molte pubblicazioni del Censis. Il Rapporto annuale 2007 sulla situazione sociale del Paese identificava il più grave problema dell’Italia proprio nella mancanza di coesione sociale 118 4 Vedi l'intervista a Zygmunt Bauman in libertàcivili n.1/2011 5 Vedi libertàcivili n.6/2010 6 http://www.iom.int/jahia/Jahia/policy-research/migration-policy/berne-initiative /devt-of-iamm 2 0 12 marzo - apr ile Uno sguardo al passato Alla fine del diciannovesimo secolo si riteneva che gli immigrati sarebbero stati assimilati nella società divenendo velocemente parte della stessa, senza differenze. Spesso l’assimilazione era la sola opzione possibile, a causa del loro numero limitato, e l’integrazione era un processo che riguardava solo le prime generazioni. Avere un background di immigrazione non era rilevante e le seconde generazioni non erano considerate straniere essendo pienamente integrate e accettate. Dopo la Prima Guerra Mondiale la percezione delle società ospitanti ha subito un profondo cambiamento e l’immigrazione non è più 7 Nell’ambito dell’attuazione del Programma di Stoccolma si sono registrate novità riguardo il traffico di esseri umani, la definizione di una nuova agenda per l’integrazione, la liberalizzazione dei visti in collaborazione con i Paesi terzi, ma non ancora per i settori dell’immigrazione legale e dell’asilo 8 Vedi lo studio di Rey Koslowski “The Evolution of Borders Control as a Mechanism to Prevent Illegal Immigration” svolto nell'ambito del medesimo progetto di ricerca, in libertàcivili n. 3/2011 pg. 58 e http://www.eui.eu/Projects/TransatlanticProject/ Home.aspx libertàcivili Sia in Europa che negli Usa si è cercato di spostare le frontiere verso l’esterno per controllare i flussi migratori il più vicino possibile alla loro origine The International Agenda for Migration Management e, nell’ambito UE, gli accordi Schengen e Dublino. La selezione degli immigrati è stato un aspetto chiave delle politiche statunitensi e canadesi e in questo senso sono aumentati gli sforzi anche in Europa, dove si è facilitata la circolazione di merci e persone all’interno dell’area rafforzando però le frontiere esterne 7. Tale sviluppo si riflette anche nella scelta delle parole utilizzate: mobilità per definire i movimenti all’interno dell’area europea e immigrazione per gli altri. Incoraggiare un certo tipo di movimento migratorio cercando al contempo di limitarne e controllarne altri suggerisce una certa convergenza di approccio tra Europa e Stati Uniti. L’elemento centrale è il concetto di spostamento della frontiera verso l’esterno per controllare i flussi migratori più vicino possibile alla loro origine, direttamente se si può nel porto di partenza 8, ed è l’aspetto su cui più si è concentrata la cooperazione tra gli Stati. Ma la difficoltà di chiudere le frontiere a un certo tipo di immigrazione e di incoraggiare i movimenti interni, la volontà di radicamento dei migranti economici, i ricongiungimenti, l’aumento del numero dei rifugiati e richiedenti asilo hanno fatto crescere l’attenzione per le politiche di integrazione degli immigrati già presenti sul territorio, aspetto lasciato principalmente alla responsabilità del singolo Stato. La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa 2 0 12 marzo - apr ile 119 I problemi della integrazione e i differenti approcci sulle due sponde dell’Atlantico nel periodo che va dalla fine del XIX secolo fino ai giorni nostri 120 stata vista come un fenomeno prevalentemente positivo anche se, per un breve periodo, l’Europa usò la naturalizzazione come tentativo per integrare e incoraggiare l’integrazione. Differente fu la situazione negli Stati Uniti a causa del grande numero di immigrati, molti dei quali provenienti dallo stesso Paese. Nonostante l’assimilazione fosse sempre l’obiettivo ultimo, fu possibile continuare a tener vive le differenze culturali, come dimostra il caso di Little Italy a New York, facilitato da un contesto sociale dove quasi tutti erano consapevoli delle proprie origini immigrate e quindi inclini a essere tolleranti verso le differenze culturali almeno fino a quando non interferivano con il vivere comune. Per catturare tale varietà venne usata la nozione di melting pot, trasformazione creativa in nuove forme culturali. In molte aree della vita sociale, tuttavia, le differenze erano considerate un’interferenza negativa e l’assimilazione alla maggioranza fu attivamente incoraggiata. Così, in sostanza, su entrambe le sponde dell’Atlantico la mancanza di integrazione, la persistenza delle differenze e una netta separazione dalla comunità di accoglienza erano viste come un problema, che fu politicizzato in relazione ai differenti gruppi immigrati. Per esempio l’immigrazione italiana in Germania e Svizzera era considerata molto poco integrata, e c’era chi dubitava addirittura che un’integrazione fosse possibile, a causa delle marcate differenze culturali. Oggi la comunità italiana è considerata un modello di integrazione di successo e i discendenti di seconda e terza generazione sono riconoscibili solo dal cognome. Immigrazione e religione L’immigrazione come questione politica è attualmente diventata centrale in molti Paesi, come in Inghilterra, Olanda, Austria mentre ad esempio in Irlanda e Spagna la questione è molto meno rilevante nell’agenda politica. Una delle aree dove il discorso pubblico ha fatto registrare un cambiamento veramente significativo è quella riguardante il rapporto immigrazione-religione, in particolare riguardo all’Islam e alla sua differenza, che si presume talmente profonda da comportare l’incapacità di integrare e integrarsi. La tendenza a semplificare e generalizzare genera la percezione che tutti i musulmani siano parte di un gruppo omogeneo fortemente religioso, senza considerare che la maggioranza è invece composta da moderati, specialmente tra gli immigrati negli Stati Uniti e in Europa. La religione è assunta come elemento centrale di definizione dell’individuo, ignorando libertàcivili La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili altri aspetti come l’identità nazionale o i comportamenti. Su questi elementi specifici si rileva come sia molto diminuita la differenza di orientamento e percezione tra i governi e i cittadini, e sempre più i governi parlino la stessa lingua dei cittadini. Come visto sopra, l’uso di stereotipi non ha risparmiato altri gruppi, come ad esempio gli italiani, che venivano considerati culturalmente troppo distanti. Il loro positivo esempio di integrazione suggerisce che l’Islam e le differenze religiose siano attualmente solo il modo principale in cui si veicola il dibattito sull’immigrazione, in passato dominato da temi prettamente economici che giravano intorno alla necessità di lavoro immigrato per supportare un’economia in espansione. Insieme alla combinazione immigrazione-Islam anche l’associazione immigrazionesicurezza è sempre più evidenziata nella retorica pubblica, specialmente dall’attacco terroristico alle due torri di New York. La politicizzazione dell’immigrazione e delle differenze indica come la mancanza di integrazione sia considerata un problema che deve essere risolto, spesso perchè descritto come una minaccia alla coesione sociale. La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa 2 0 12 marzo - apr ile 121 Il multiculturalismo, che è stato l’opzione dominante in Europa, ha varie forme: in molti Paesi è stato portato avanti senza una visione chiara sul tipo di organizzazione e di integrazione che si voleva realizzare libertàcivili La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa 122 2 0 12 marzo - apr ile Ascesa e crisi del multiculturalismo A differenza degli Stati Uniti, dove l’intervento statale non è visto di buon occhio e il processo di integrazione è in gran parte frutto dello sforzo individuale, nei Paesi europei il ruolo dello Stato è un elemento essenziale per facilitare l’integrazione e mantenere la coesione sociale e non solo per quanto riguarda l’immigrazione ma in generale, attraverso i programmi di welfare, che organizzano molti aspetti della vita quotidiana. Nonostante tale fondamento comune, i Paesi europei hanno adottato approcci di gestione differenziati. Quello che ha avuto maggior diffusione negli anni Sessanta e Settanta è stato il multiculturalismo, prodotto dall’attitudine liberale verso le differenze e dal crescente riconoscimento dei diritti delle minoranze. Ad esempio nel Regno Unito, nei Paesi Bassi e in Svezia sono state adottate politiche per sostenere l’uso della lingua di origine nelle scuole, come pure per la traduzione di documenti governativi nelle diverse lingue. Tale approccio può assumere varie forme, che vanno dalla separazione in quartieri autonomi al cosmopolitismo, che combina le differenze in un nuovo, vibrante contesto. Ad esempio le politiche nei Paesi Bassi sono state più simili alla variante “segregazionista”, basate su elementi di fondo differenziati per i vari gruppi. D’altro canto, a parte qualche soluzione adottata dalla Svezia, un reale multiculturalismo cosmopolita non si è mai visto in Europa e, sebbene la retorica possa essere stata in certa misura cosmopolita, la questione è sempre l’integrazione degli immigrati nella maggioranza. In molti Paesi si rileva la mancanza di visioni chiaramente formulate che informino i programmi di integrazione e coesione sociale. In altre parole, nonostante il multiculturalismo sia stato l’opzione dominante in Europa, i governi non hanno investito abbastanza per specificare il tipo di organizzazione multiculturale che si voleva realizzare, con la conseguenza che risulta difficile se non impossibile coordinare le politiche per realizzare un determinato tipo di società. Di contro si sono levate alcune voci critiche, che hanno messo in guardia dall’incoraggiare la formazione di comunità sociali parallele e marginalizzare gruppi nel nome delle differenze valutate fini a se stesse. Nell’ultimo decennio questa visione, che tende a ignorare le differenti gradazioni del multiculturalismo, si è affermata, trasformandosi rapidamente in una forte reazione negativa contro quest’ultimo che, come concetto, è divenuto fuori moda, mentre è emerso un pubblico consenso sul fatto che abbia fallito come approccio alla gestione dell’integrazione. La stessa parola è quasi scomparsa nell’uso ufficiale, sostituita da una retorica politica sempre più aspra, ma non ci sono chiare evidenze che tale evoluzione abbia comportato l’applicazione di soluzioni differenti, soprattutto perchè è ancora meno chiaro quali politiche potrebbero portare alla forma di integrazione desiderata. Ad esempio, nel Mipex 9 , indice di politiche di integrazione degli immigrati, non emerge nessuna chiara tendenza verso l’adozione di misure più restrittive. In ambito europeo è la UE che sempre più assume il ruolo di coordinamento delle politiche migratorie: i Paesi dell’Europa dell’Est hanno dovuto istituire precise politiche, spesso ricalcate da quelle dei Paesi europei con una maggiore tradizione in materia. Allo stesso tempo però, quando si tratta di integrazione, l’adozione e la diffusione delle relative politiche è meno formalizzata; le direttive comunitarie danno riferimenti generali e incoraggiano una certa convergenza, ma la loro applicazione avviene in tempi differenti e in modi piuttosto incompleti, data anche la relativa novità del tema nei Paesi dell’Est Europa. Inoltre le nazioni di vecchia immigrazione sono ancora alla ricerca di modelli che portino alla rapida integrazione, pur nel rispetto dei diritti umani, non potendo così offrire esempi certi da riprodurre. La definizione di integrazione e i suoi indicatori Un problema comune a livello europeo è capire cosa esattamente intendano i politici quando parlano di integrazione degli immigrati. Nella pratica molti Paesi si focalizzano su corsi di lingua (Olanda e Danimarca) e test per la cittadinanza (Regno Unito e Germania), anche se al momento non ci sono grandi segnali che tali sforzi siano realmente efficaci per l’integrazione e in definitiva per la coesione sociale. Questi programmi sembrerebbero essere stati adottati più per la loro fattibilità e, in ultima analisi, rimanendo nella responsabilità del singolo Stato il modo in cui i criteri di selezione vengono formalizzati, non c’è omogeneità nell’applicazione. Vari sono gli indicatori di integrazione sociale, per esempio la segregazione geografica, che può essere intesa come mancanza di integrazione. Dappertutto in Europa gli immigrati tendono a concentrarsi nelle aree urbane, una situazione che T. Huddleston and J. Niessen, Migrant Integration Policy Index (Brussels: British Council and Migration Policy Group, 2011), http://www.integrationindex.eu. anche in libertàcivili n.2/2011 pg.126 libertàcivili Un problema comune a livello europeo è capire cosa intenda la politica con il termine “integrazione” La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa 2 0 12 marzo - apr ile 123 9 La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa Vari sono i fattori della integrazione, ma per la coesione sociale è fondamentale la partecipazione e l’interazione con la società ospitante, che deve accettare i nuovi gruppi Coesione sociale e andamento dell’economia Una delle questioni di rilievo riguarda il rapporto tra coesione sociale e performance dell’economia poiché gli aspetti economici che ruotano attorno all’occupazione e alla crescita economica rimangono molto influenti, sebbene meno politicizzati rispetto alle differenze culturali e religiose. Attraverso attività di lobbying viene garantito che gli aspetti economici rimangano all’ordine del giorno nell’agenda politica su entrambi i lati dell’Atlantico, anche se vengono meno discussi in pubblico. libertàcivili 124 non ha avuto grandi cambiamenti nel corso degli anni. Differente è la situazione riguardante la conoscenza della lingua. Nonostante tale requisito sia sempre più richiesto non ci sono dati adeguati ad effettuare una comparazione con gli anni passati. L’interazione con la società ospitante è un aspetto significativo e i matrimoni misti ne sono un indicatore. In molti Paesi europei ci sono prove che i matrimoni misti e l’assimilazione vanno di pari passo e possono essere osservate percentuali crescenti di matrimoni misti sia tra i vari gruppi di immigrati che con la popolazione locale. Tali livelli tendono a essere più elevati per le seconde generazioni, ma le differenze persistono e i membri di uno stesso gruppo etnico sono comunque maggiormente orientati a sposarsi tra loro. Differenze significative si osservano per quanto riguarda la partecipazione politica, dove gli immigrati hanno meno possibilità di impegnarsi. In termini di risultati scolastici gli svantaggi per i bambini immigrati si osservano in tutti i Paesi dell’Europa occidentale. Va osservato che in tutte le aree di integrazione sociale ci sono differenze significative correlate alle aree di provenienza degli immigrati. Le differenze culturali possono essere una chiave di spiegazione ma al momento è difficile da valutare empiricamente. Richiamando gli altri fattori, meno tangibili, che influenzano la coesione sociale quali il rispetto della legge, delle norme, gli atteggiamenti condivisi, e nonostante alcuni aspetti rilevanti per la coesione sociale siano difficili da cogliere, in generale l’integrazione degli immigrati può essere raggiunta attraverso la partecipazione, con un lavoro remunerato o nella vita sociale, in un processo di interazione con la società ospitante che, allo stesso tempo, deve accettare i nuovi gruppi. Il mantenimento della coesione sociale è qualcosa che non può essere conquistato guardando solo agli immigrati o incoraggiando solo gli immigrati a cambiare. 2 0 12 marzo - apr ile http://www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/2011/12/57-l%E2%80%99aumentodegli-imprenditori-stranieri-nell%E2%80%99ultimo-anno/ libertàcivili Nell’ipotesi della ricerca, lo stato della economia è causa sottostante ai cambiamenti sociali e l’integrazione economica è il meccanismo che influenza la coesione sociale Il presunto legame diretto tra stato dell’economia, impatto sulla coesione sociale e relative politiche viene analizzato in questo lavoro secondo uno schema semplicistico per riflettere il modo in cui in genere la situazione è rappresentata nel dibattito politico e dai media: cattivo stato dell’economia > basso livello di integrazione economica > bassa coesione sociale > xenofobia. L’ipotesi generale individua la performance economica come causa di fondo dei cambiamenti. Se l’economia va bene si avranno bassi livelli di disoccupazione, è probabile che gli immigrati siano impiegati in lavori regolarmente retribuiti e si determini un alto livello di integrazione economica. Al contrario, se l’economia va male aumenta il livello di disoccupazione, i lavoratori immigrati hanno maggiori probabilità di perdere il lavoro rispetto agli autoctoni e diminuisce il livello di integrazione economica considerata un aspetto essenziale della vita sociale (tenendo fermo questo principio è importante considerare che l’economia è segmentata e che i diversi settori possono avere risultati positivi o negativi in misura relativamente indipendente). In quest’ottica quindi, considerando lo stato dell’economia come la causa sottostante ai cambiamenti sociali, l’integrazione economica è il meccanismo che influenza la coesione sociale: il crescente livello di disoccupazione spinge ad accettare lavori non regolari, in nero, senza garanzie e con bassi salari. Spesso lo status di lavoratore immigrato implica proprio la partecipazione all’economia sommersa, che indebolisce la coesione sociale contrastando il sistema di garanzie del lavoro e tale partecipazione è più visibile e pubblicizzata di quanto lo sia per il lavoratore nazionale. Dal punto di vista dei datori di lavoro tali condizioni sono spesso convenienti, traducendosi in forte domanda di lavoro immigrato. Questo tratto, per quanto riguarda l’Italia, emerge non solo in relazione al lavoro dipendente immigrato, con le continue regolarizzazioni ed emersioni, ma anche riguardo alle imprese gestite da stranieri. Un’indagine condotta dalla Fondazione Leone Moressa su 600 imprenditori italiani 10 evidenzia l’impressione che le imprese gestite da immigrati non rispettino appieno le normative e che ci sia bisogno di maggiori controlli da parte degli organi preposti. È interessante notare come il 60% La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa 2 0 12 marzo - apr ile 125 10 La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa libertàcivili L’indebolimento della coesione sociale porta con sé fenomeni di xenofobia spesso sfruttati a fini politici 126 2 0 12 marzo - apr ile degli intervistati ritenga che comunque le attività abusive e in nero siano molto più dannose rispetto alla concorrenza degli stranieri sempre più presenti nel tessuto imprenditoriale italiano. Tornando all’ipotesi discussa nel lavoro di Ruedin e D’Amato, il passaggio successivo all’indebolimento della coesione sociale è l’emersione di fenomeni di xenofobia, dovuti alla percezione della minaccia rappresentata dall’insuccesso del processo di integrazione, percezione spesso sfruttata a fini politici. D’altra parte anche l’integrazione di successo viene sfruttata a fini politici, ad esempio osteggiando l’accesso degli immigrati in stato di necessità al sistema di welfare, che si ritiene dovrebbe essere riservato ai propri cittadini. Se le minacce alla coesione sociale vengono considerate come riflesso delle difficoltà di integrazione, le politiche che affrontano l’integrazione economica potrebbero essere un approccio alternativo politicamente praticabile. Ci sono tre passaggi connessi a questa catena che collega le prestazioni dell’economia e la coesione sociale. In primo luogo, la natura dell’immigrazione coinvolta influenza la misura in cui performance economica e integrazione sono collegate. In base alle motivazioni che li hanno spinti a emigrare i soggetti reagiscono diversamente alle pressioni economiche: possono scegliere di rimanere e volgersi all’economia sommersa, che significa scegliere una condizione più precaria, possono scegliere la disoccupazione in base al sistema di welfare applicato, possono scegliere di tornare al Paese d’origine o emigrare in un altro Paese. In secondo luogo, è importante ricordare che la coesione sociale è influenzata da fattori che vanno al di là di integrazione economica, come l’integrazione culturale e sociale. In terzo luogo, il populismo e la politicizzazione di argomenti xenofobi sono moderati da altri fattori. È di particolare interesse capire cosa accade nei periodi in cui l’economia va male. Gli effetti della recessione non vengono sentiti in ugual modo dai componenti della società, ma colpiscono maggiormente i lavoratori non qualificati e i nuovi entrati nel mercato del lavoro. Ciò significa che i lavoratori non qualificati immigrati sono doppiamente colpiti, unitamente al fatto che tendono ad essere concentrati in settori particolarmente vulnerabili alle crisi economiche (edilizia, turismo, servizi alla persona). Un’altra possibile conseguenza è la riduzione del tasso di immigrazione, che può dipendere da due fattori. Da un lato i potenziali nuovi migranti possono decidere di non partire o rimandare la partenza e, dall’altro, alcuni possono decidere Le due logiche che guidano le politiche migratorie in Europa: l’integrazione formale come volano o come atto finale del processo d’integrazione sociale Le politiche di coesione sociale verso gli immigrati D’altra parte ci sono politiche di coesione sociale dedicate esclusivamente agli immigrati, come l’amnistia per il reato di immigrazione clandestina o irregolare, le leggi sull’immigrazione, le modifiche dei requisiti per i permessi di soggiorno e la cittadinanza, o le politiche relative ai ricongiungimenti familiari. Queste politiche rivelano due logiche differenti che le guidano e che riflettono il differente orientamento tra i Paesi europei. Una garantisce l’integrazione formale, nella forma della concessione del permesso di soggiorno di lungo periodo o permanente e della cittadinanza, anche nello stadio iniziale, per incoraggiare e facilitare l’integrazione sociale. L’altra considera l’integrazione formale come l’atto finale del processo di integrazione sociale. È intrinsecamente difficile giudicare l’impatto delle politiche dedicate all’integrazione formale poiché è l’integrazione sociale che rileva per la coesione della società; inoltre, il giudizio è libertàcivili di ritornare al Paese d’origine. La mobilità è stata attivamente incoraggiata in passato con l’idea che il lavoro immigrato potesse agire come cuscinetto per gli shock ciclici, ma l’esperienza ha dimostrato che la maggior parte sceglie di rimanere e di compensare con lavori extra, anche irregolari, la diminuzione di reddito. Anche perchè in tempi di recessione globale potrebbe non avere senso tornare al Paese di origine. Il fatto che gli immigrati decidano di rimanere anche in tempi di crisi suggerisce uno scenario più articolato. Gli immigrati si ritagliano una loro nicchia economica offrendo lavoro a prezzi inferiori rispetto ai locali (generalmente questo ci si aspetta da loro) e ci sono sempre datori di lavoro disposti a beneficiarne assumendoli illegalmente. A ciò si aggiunga che dopo un soggiorno all’estero prolungato i legami con il Paese di origine non sono più così forti, specialmente se si ha con sé la famiglia e ci si è formati un gruppo di amici. Così, se si considerano gli aspetti sociali coinvolti, la scelta di rimanere in una situazione economica precaria assume un’altra valenza. Proprio in periodi di crisi economica il welfare state può giocare un ruolo fondamentale per mantenere la coesione sociale, essendo disegnato sulla logica dei bisogni individuali, specialmente in Europa. Gli immigrati sono compresi nei programmi di welfare semplicemente perchè tali programmi sono pensati per tutti. Ad esempio in Europa normalmente a nessuno è negata l’assistenza medica per mancanza di status giuridico o assicurazione sanitaria. La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa 2 0 12 marzo - apr ile 127 La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa libertàcivili La reazione a volte ostile agli immigrati nella società e nella politica è una delle ragioni per cui ci sono crescenti pressioni, anche da parte della opinione pubblica, per rendere più esclusivo il sistema di welfare 128 2 0 12 marzo - apr ile legato al punto di vista della logica assunta, rendendo difficile fornire valutazioni indipendenti. D’altronde le modifiche avvengono in maniera graduale e i tanti aspetti che incidono sulla coesione sociale rendono difficile capire l’impatto della variazione di una singola misura, come ad esempio l’aumento degli anni di residenza richiesti per un permesso permanente. Riguardo alle prestazioni sociali, si rileva come alcuni Paesi europei, con l’intento di evitare trasferimenti di risorse dalla popolazione locale agli immigrati, stanno cercando di rendere più difficile l’accesso ai benefici previsti. Un effetto collaterale di questi sforzi è che la redistribuzione delle risorse in generale viene ridotta, colpendo anche la popolazione autoctona in una situazione precaria, con effetti indesiderati sulla coesione sociale. Dove le competenze sono decentrate ci può essere una mediazione nell’interpretazione delle politiche restrittive da parte delle istituzioni locali, che hanno un ruolo importante per attutirne l’impatto sulla vita quotidiana. Tale spazio di mediazione è comunque limitato se il Paese è dominato da un unico partito politico o da una forte coalizione di partiti. Le voci critiche contro l’immigrazione e la diversità culturale sono oggi preminenti e l’opinione pubblica sembra preferire politiche più restrittive nonostante l’attitudine alla relativa tolleranza degli immigrati già presenti sul territorio. La reazione a volte ostile agli immigrati nella società e nella politica è una delle ragioni per cui ci sono crescenti pressioni per rendere più esclusivo il sistema di welfare. C’è un crescente retorica del “noi contro loro” anche se è importante tenere a mente che in Europa gli atteggiamenti verso gli immigrati stanno diventando sempre più liberali e accoglienti, indipendentemente dalla situazione economica. È importante, quindi, non confondere la retorica politica o l’appoggio ai marginali partiti di estrema destra con l’atteggiamento dominante nella società. Molte cose alimentano un’ostilità che non è dovuta a una semplice connessione meccanica con lo stato dell’economia o con il grado di integrazione degli immigrati ma sembra essere legata alla mancanza di contatto, di esperienze positive, ai cambiamenti nei flussi migratori, alla distanza culturale e soprattutto all’identità della società. Non è chiaro in che modo e in che misura le crisi economiche stanno influenzando le tendenze attuali. L’esame dell’ipotesi del collegamento diretto tra prestazione economica, integrazione e coesione sociale evidenzia che in realtà il rapporto è più sfumato; in particolare il ruolo dell’integrazione culturale e libertàcivili Gli sforzi per ridurre la spesa sociale in periodi di crisi hanno implicazioni dirette per la coesione sociale, per cui è un errore sostenere che la principale minaccia sia l’immigrazione sociale può essere un motivo per cui la coesione e l’integrazione economica non sono direttamente collegati. Nei Paesi europei, il welfare state sembra giocare un ruolo centrale nel mediare questo rapporto tra performance economica e coesione sociale, contrastando in qualche misura le tendenze puramente economiche. Anche l’impatto sulla società e le reazioni ostili sono state presentate come risultati possibili, ma non necessariamente presenti. Il sistema politico e le differenze storiche possono giocare un ruolo cruciale nel modo in cui le questioni di immigrazione sono politicizzate in tempi di crisi economica. È importante fare attenzione e non cadere nella retorica semplicistica comunemente utilizzata sui media e nei dibattiti politici. Gli sforzi per ridurre la spesa sociale conseguenti alle difficoltà dell’economia hanno implicazioni dirette per la coesione sociale e quindi sarebbe sbagliato sostenere che la minaccia viene principalmente dall’immigrazione. Così come è importante considerare le conseguenze derivanti dalla sfida alla nozione di “Stato”, sia dall’alto, in ragione dell’appartenenza a organismi internazionali (UE, Nafta), sia dal basso, attraverso gruppi di interesse o movimenti sociali che chiedono il riconoscimento dei diritti di minoranza, in quanto lo Stato svolge un ruolo cruciale nel plasmare leggi e norme che favoriscono la coesione sociale nelle società moderne caratterizzate da solidarietà organica. In sintesi, ci sono molti fattori che sembrano influenzare le politiche di coesione e integrazione sociale, alcune delle quali appaiono resistenti ai cambiamenti economici a breve termine, proprio come l’atteggiamento nei confronti degli immigrati che non sembra fluttuare in linea con la crescita economica. Le sfide del ventunesimo secolo investono quindi l’architettura della politica sociale sviluppata in Europa e si avverte l’esigenza di interpretare la realtà non limitandosi all’immediato ma scorgendo nei fenomeni il moto evolutivo che li muove. La finestra sul mondo La sfida dell’immigrazione alla coesione sociale in Europa 2 0 12 marzo - apr ile 129 Europa Italia vs razzismo, xenofobia e discriminazioni: luci e ombre dal Rapporto RED Un network costituito da più di 50 ricercatori di 17 Paesi monitora gli episodi di razzismo e discriminazione e le condizioni di uguaglianza di migranti e minoranze in alcuni Paesi europei. Similitudini e peculiarità del caso italiano di Alfredo Alietti e Veronica Riniolo 1 libertàcivili Abbattere le mura, non quelle che ci proteggono, ma quelle che ci dividono (E. Jabès, 1991, p. 37) 130 Società multiculturali, democrazia e razzismo Nel periodo di crisi sociale, politica ed economica senza precedenti che stiamo vivendo, l’acutizzarsi di fenomeni di razzismo e di atteggiamenti xenofobi in Europa costituisce una tra le maggiori minacce alla coesione sociale e alle prospettive democratiche. I dati prodotti La crisi sociale, politica dalle istituzioni europee, quali per esempio ed economica sta accentuando la Commissione europea, e dal variegato i fenomeni di razzismo mondo accademico e delle organizzazioni e gli atteggiamenti xenofobi no profit mostrano con evidenza la diffusione in Europa, mettendo a rischio del pregiudizio etnico-razziale e i suoi effetti perversi sui processi di convivenza interetnica la coesione sociale (European Commission, 2008; Zick A., Küpper e le prospettive democratiche B., Hövermann A., 2011). I profondi mutamenti occorsi negli ultimi vent’anni all’interno delle società democratiche europee – conseguenti all’interazione tra le dinamiche collegate alla globalizzazione economica, al progressivo indebolimento del 1 Alfredo Alietti (Università di Ferrara - fondazione Ismu), Veronica Riniolo (fondazione Ismu e Osservatorio regionale per l’integrazione e la multietnicità) 2 0 12 marzo - apr ile 2 0 12 marzo - apr ile 131 Europa sistema di welfare, alla riduzione dei meccanismi d’inclusione societaria – sono risultati particolarmente problematici in relazione ai processi di integrazione dei migranti. Nel corso degli anni Novanta, anche i Paesi europei fino ad allora terra d’emigrazione, quali l’Italia, hanno visto mutare la loro geografia demografica e sociale con l’arrivo di significativi flussi migratori. A fronte di tale configurazione multietnica della gran parte delle società europee avanzate, si è assistito all’emergere di un discorso pubblico centrato sulla rappresentazione in negativo della figura dello straniero, considerato quale illegittimo sottrattore di risorse pubbliche, potenziale pericolo per l’identità nazionale e per l’ordine sociale. Taluni soggetti politici hanno visto crescere il proprio consenso elettorale mediante il ricorso a una retorica anti-immigrazione, soprattutto in quelle fasce Cresce il consenso elettorale di popolazione autoctona più deprivate e, di soggetti politici che hanno quindi, maggiormente esposte al rischio di fatto ricorso alla retorica esclusione e di entrare in competizione con anti-immigrazione i newcomers (Castel, 2007). Il clima di insiper catturare il consenso, curezza sociale ed economica, l’erodersi dei diritti di cittadinanza acquisiti durante i specialmente della parte più cosiddetti trent’anni gloriosi è stato, quindi, povera della popolazione funzionale alla diffusione di un sentimento di avversione in una parte consistente dell’opinione pubblica europea. Tale sentimento è, altresì, sostenuto dalle “buone ragioni” sottese al rifiuto della presenza degli immigrati, sovente costruito sulla base della preferenza nazionale nell’accesso ai beni e ai servizi pubblici sempre più scarsi. Inoltre, le classiche forme di razzismo, come l’antisemitismo, riappaiono nelle solite vesti e al contempo acquisiscono connotati nuovi e imprevisti (Alietti, Padovan, 2010). Se analizziamo alcune ricerche sul tema svolte in quest’ultimo decennio nei diversi Paesi europei, le evidenze empiriche confermano la persistenza di un radicato pregiudizio contro le comunità ebraiche a cui si associa la continuità delle violenze simboliche (danneggiamenti ai luoghi di culto) e fisiche (Anti-Defamation League, 2007; Francia, 2009). In seguito all’attentato alle Twin Towers, si è rafforzato il pregiudizio anti-islamico divenuto un elemento decisivo nella retorica dello scontro di civiltà a livello globale e, a livello nazionale, dell’inconciliabilità tra le comunità islamiche immigrate e il resto dei cittadini europei (Alietti, Padovan, 2010). Numerosi rapporti di ricerca internazionali hanno registrato libertàcivili Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza una sostenuta crescita di aggressioni nei confronti di cittadini arabi e delle comunità musulmane dopo l’11 settembre 2001 (Eumc, 2001; IHF, 2005; PEW, 2008). Vi è da ricordare in questa sintetica rassegna anche l’accentuazione dei pregiudizi verso le minoranze rom 2 , altrettanto vittime di episodi di violenza e repressione. Come accennato, l’attuale grave crisi economico-finanziaria e il collasso del modello sociale europeo minacciano di rendere ampia e comunemente accettabile l’intolleranza contro immigrati e minoranze. Le conseguenze sulla tenuta della convivenza pacifica tra le diversità etniche e delle dinamiche d’integrazione, a prescindere dal contesto nazionale a cui facciamo riferimento, possono essere assai critiche e alimentare conflitti difficilmente risolvibili. Sin dalla sua fondazione l’Unione Europea, attraverso i suoi organismi legislativi e di controllo sui rispettivi governi, ha sempre mantenuto saldi i principi di tolleranza e anti-discriminatori. Un passaggio decisivo nel dare sostanza a questi principi è senza dubbio il Trattato di Amsterdam del 1997, nel quale si richiamano i Paesi membri L’UE ha sempre cercato a unire gli sforzi per combattere il pregiudizio di contrastare i fenomeni di e la discriminazione subiti da gruppi e da intolleranza e discriminazione, singoli individui sulla base dei loro caratteri con un percorso normativo che etnici, culturali, religiosi, di genere, di orienparte dal Trattato di Amsterdam tamento sessuale e di disabilità. Sulla base di questa volontà generale si è definita nel e arriva alla Direttiva 2000 la Direttiva sull’uguaglianza razziale sull’uguaglianza razziale (2000/43/EC) con norme specifiche contro il razzismo e le discriminazioni a cui ciascun Paese si è dovuto adeguare. L’Italia ha ratificato nella sua legislazione questa direttiva nel 2003, integrandola con le precedenti leggi di contrasto ai fenomeni di razzismo, in particolare la legge Mancino del 1997 e alcuni articoli presenti nel Testo unico sull’immigrazione. Questi indirizzi normativi promossi e implementati, pur nella loro importanza, non sono sufficienti ad attutire la forza e la presunta ragionevolezza del discorso razzista e xenofobo, il quale trova linfa vitale nell’arretramento delle condizioni di sviluppo sociale libertàcivili Europa Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza 132 2 Tale termine è utilizzato nel presente articolo, e in altri documenti di istituzioni e organismi inter nazionali, come ter mine “ombrello” per comprendere tutti quei gruppi quali rom, sinti, travellers, ashkali, kalè ecc., che condividono caratteristiche culturali più o meno simili e una storia di esclusione socio-culturale nel contesto europeo 2 0 12 marzo - apr ile ed economico. Da qui la necessità di attivare strumenti di monitoraggio e di rilevazione degli episodi di razzismo nei diversi ambiti della vita sociale, delle risposte istituzionali e delle politiche attivate per eliminare i fattori discriminanti, al fine di individuare possibili strategie. Sono numerosi gli esempi di rapporti, pubblicazioni, statistiche, valutazione delle politiche pubbliche e della legislazione riferite ai singoli Paesi membri dell’UE realizzati in ottica comparativa e con continuità sia dalle agenzie istituzionalmente legate alla Commissione europea sia dalle Ong internazionali con l’apporto dei finanziamenti europei. In linea con tale tendenza appena richiamata, nel corso del 2011 si è costituito un network di istituti di ricerca attivi in 17 Paesi europei promosso dal Greek Institute for Rights Equality & Diversity (i-RED) con Il lavoro del network i-RED l’obiettivo di sviluppare e implementare il ha portato alla realizzazione portale Atlante del Razzismo, Eguaglianza e del Rapporto annuale sugli Discriminazione 3 . Il progetto – cofinanziato episodi di discriminazione dall’Unione Europea – si basa, da un lato, e sulle condizioni sull’individuazione e sulla registrazione degli episodi di razzismo e di discriminazione, di uguaglianza di migranti dall’altro, sulla rilevazione delle condizioni e minoranze in Europa di uguaglianza dei migranti e delle minoranze mediante l’articolazione di una serie di indicatori collegati alla dimensione sociale, economica, culturale e legale in ciascuno dei Paesi coinvolti. A conclusione di questo consistente lavoro, realizzato con il contributo di più di 50 ricercatori, è stato pubblicato il RED Annual Report 2011 4. Anche sulla base dei dati raccolti in questa ricerca, nel successivo paragrafo saranno tracciati alcuni caratteri emergenti in tema di discriminazione e razzismo relativi all’Italia. Europa Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza 3 La fondazione Ismu è il par tner italiano della rete RED 4 Il report è scaricabile gratuitamente sul sito http://www.red-network.eu/. 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Il caso italiano: similitudini e differenze con gli altri Paesi europei L’Italia si allinea alla tendenza delle società europee, dove sono sempre più diffusi fenomeni di razzismo, intolleranza e discriminazione, presentando caratteristiche e problematiche simili ad altri Paesi: per esempio, come avviene anche a livello europeo, tra i gruppi più colpiti da episodi di razzismo troviamo 133 libertàcivili Europa Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza 134 le popolazioni rom e le comunità musulmane (Ecri Report on Italy, 2012; Red Annual Report, 2011; Marcaletti et alii, 2011). È tuttavia significativo mettere in rilievo alcune peculiarità che caratterizzano il nostro Paese, così come emerge dai più recenti studi che hanno riguardato anche l’Italia. Nel corso degli ultimi anni si sono registrati progressi nel contrasto al razzismo e alla discriminazione: da un lato ha avuto luogo un rafforzamento della legislazione in materia di discriminazione e, dall’altro, è Pur allineata alle tendenze andato delineandosi un crescente impegno europee, l’Italia negli ultimi da parte dell’Ufficio nazionale antidiscrimianni ha fatto registrare nazioni razziali (Unar) nelle azioni di contrasto progressi nella legislazione al razzismo (vedi libertàcivili n. 6/2010). Tale anti-discriminazione, organismo, infatti, ha affiancato all’attività condotta a livello centrale un’azione locale grazie anche all’impegno e capillare sul territorio mediante il coinvolsul territorio dell’Unar gimento sia delle amministrazioni regionali, provinciali e comunali sia delle organizzazioni della società civile che da tempo sono impegnate in materia di antidiscriminazione. C’è al tempo stesso da segnalare che l’Unar non è un organo indipendente, operando nell’ambito del dipartimento delle Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri (Ecri Report on Italy, 2012). Tra i progressi e le azioni positive, si annoverano anche una serie di iniziative, istituzionali e non, volte a facilitare l’integrazione dei gruppi più marginali: a tale riguardo il ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca ha promosso corsi di formazione per gli insegnanti e il personale scolastico al fine di favorire l’inclusione dei rom nelle scuole (Red Annual Report, 2011). Tuttavia, nonostante alcuni avanzamenti e l’esistenza di un quadro normativo in grado di rispondere alle diverse forme di discriminazione, permangono difficoltà nell’implementazione della normativa e nel contrasto ai fenomeni di razzismo. Ciò è testimoniato, per esempio, dall’aumento dei crimini d’odio e di razzismo. Nello specifico, secondo le cifre dell’Unar, nel corso del 2011, sono stati 540 i casi rilevanti di discriminazione su base etnica (Unar, 2011). Tali difficoltà sono testimoniate anche dal mancato accesso paritario alla giustizia da parte degli immigrati e delle minoranze, a causa di diversi fattori, quali per esempio l’assenza di informazione, la scarsa conoscenza della lingua o le implicazioni legate allo status giuridico (Red Annual Report, 2011). Si segnala nel nostro Paese un’ulteriore tendenza: l’aumento 2 0 12 marzo - apr ile 5 Norme in materia di tutela delle minoranze linguistico storiche legge n. 482/1999 libertàcivili di discorsi xenofobi nella propaganda politica, che ha come target rom, neri, musulmani e, in genere, immigrati (Ecri Report on Italy, 2012). Alcuni discorsi di incitamento all’odio hanno portato alla condanna di membri di partiti politici per la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio etnico razziale. A ciò si affiancano, di frequente, campagne di allarme promosse dai media che conducono a un accrescimento del livello di paura e di insicurezza tra gli autoctoni, ma anche tra i migranti stessi. In particolare, la percezione degli immigrati come pericolo per il nostro Paese sembra aver ripreso vigore nel 2010 e nel 2011. Secondo Eurispes, circa i due terzi degli italiani pensano che la presenza degli stranieri – soprattutto provenienti dall’Est Europa – aumenti la criminalità (Eurispes, 2011). Alla luce dei più recenti studi, come già richiamato, in Italia la situazione delle popolazioni rom – non riconosciute nel nostro Paese come minoranze ufficiali su un piano di parità con le minoranze storicoNel nostro Paese è linguistiche protette dalla legge n. 482/1999 5 – particolarmente preoccupante appare preoccupante. I ripetuti sgomberi la situazione delle popolazioni dei campi nomadi sono una delle azioni, rom, oggetto di osservazioni rivolte esclusivamente alle popolazioni rom, critiche anche da parte che sono fonte di grande preoccupazione dell’alto Commissariato anche a livello europeo. Nel corso della visita nel 2010 dell’alta Commissaria per i diritti dell’Onu per i diritti umani umani, Navi Pillay, sono state espresse numerose osservazioni critiche rispetto alle condizioni di vita nei campi e ai ripetuti sgomberi che impediscono l’avvio di processi di integrazione scolastica, abitativa e lavorativa. Numerose altre iniziative sono state adottate a livello comunale – cartelli stradali o ordinanze – indirizzate esclusivamente ai rom come segnalato con preoccupazione anche dal Cerd (Riniolo, 2010). I criteri di acquisizione della cittadinanza italiana e la normativa al riguardo sono inoltre un’ulteriore questione, che torna spesso al centro del dibattito e che si collega strettamente al riconoscimento dei diritti dei migranti e al loro processo di integrazione. Su un immaginario continuum i termini del dibattito possono essere riassunti come di seguito: a un estremo si trova l’introduzione dello ius soli nella sua forma “pura”, per Europa Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza 2 0 12 marzo - apr ile 135 cui la concessione della cittadinanza avviene automaticamente alla nascita in Italia; all’altro estremo lo ius sanguinis, cioè la normativa attualmente vigente in Italia; nella parte intermedia di tale continuum si incontrano invece soluzioni e modalità che prevedono ipotesi di acquisizione di cittadinanza per i nati nel nostro Paese anche prima del compimento del diciottesimo anno di età in relazione, per esempio, alla loro frequenza scolastica o agli anni di residenza di almeno un genitore. Rimandare tale discussione significa anche continuare a escludere una percentuale Il dibattito sulla cittadinanza rilevante dei residenti – pensiamo per esempio in Italia oscilla fra gli estremi alla Lombardia dove sono oltre un milione gli opposti dei sostenitori dello stranieri residenti (Blangiardo, 2012) – dai ius sanguinis e dello ius soli; fondamentali diritti di cittadinanza e dalla nel mezzo l’ipotesi di possibilità di eleggere rappresentanti. I dati mostrano come, nell’a.s. 2009/2010, concedere lo status anche ai minori stranieri nati nel Paese il numero di alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia è aumentato di oltre 30mila unità, con un valore pari a circa 265mila, pari cioè a oltre il 39% del totale degli alunni stranieri che frequentano le scuole italiane (fondazione Ismu, 2012). Anche per questa ragione è necessaria una riflessione sul loro status giuridico. A differenza di quanto avvenuto in altri Paesi di nuova immigrazione, con il passaggio da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione l’Italia non ha ancora riformato le leggi sulla cittadinanza, mantenendo criteri di idoneità di gran lunga più restrittivi che in quasi tutti i principali Paesi di immigrazione (Mipex III, 2011). Anche nei campi dell’educazione, del lavoro, dell’abitazione e della salute, nonostante molteplici progressi, permangono differenti problematiche, come evidenziato dagli esiti del Report 2011 di RED. Contrastare il senso comune razzista e consolidare i processi d’integrazione: alcune considerazioni A livello europeo, nello specifico dalla Strategia Europa 2020, dal Programma di Stoccolma e dall’Agenda europea per l’integrazione 6 , si evince con chiarezza che il rafforzamento dei meccanismi di inclusione dei cittadini provenienti dai Paesi terzi è considerata un requisito essenziale per lo sviluppo economico e la coesione sociale dell’Europa. Il termine “coesione sociale” libertàcivili Europa Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza 136 6 Pubblicata nel luglio del 2011 dalla direzione generale degli Affari interni della Commissione europea 2 0 12 marzo - apr ile 2 0 12 marzo - apr ile 137 Europa è oramai molto utilizzato, talvolta troppo spesso e anche in maniera retorica, svuotandolo di contenuto (Alietti, 2009). Nell’ultimo decennio gran parte dei documenti pubblicati in sede europea fanno riferimento a tale concetto, anche se non esiste per esempio una definizione sulla quale tutti concordano. Tuttavia, con queste dovute premesse, è necessario sottolineare che la tenuta delle nostre società può aver luogo solo laddove siano risolte anche le questioni più impegnative, quali appunto l’integrazione di cittadini provenienti da altri Paesi, il rispetto dei loro diritti fondamentali e il contrasto a forme di discriminazione e razzismo ancora estremamente diffuse, le quali strutturano un senso comune xenofobo e razzista. L’approccio a un fenomeno globale quale le migrazioni, non può che essere globale: tale affermazione significa, nella pratica, assumere prospettive e strategie comuni tra i diversi Paesi membri dell’UE e che sappiano guardare al futuro, soprattutto di fronte a processi di indebolimento delle condizioni socio-economiche. Inevitabilmente, il problema tocca questioni sensibili, in particolare quelle relative alla sovranità nazionale e alla ricerca di un consenso politico La risposta a un fenomeno ed elettorale. La risposta a un fenomeno di globale come l’immigrazione vasta portata tuttavia non può essere affidata non può essere affidata esclusivamente a soluzioni nazionali. Ciò non a soluzioni solo nazionali, significa dimenticare che l’integrazione anche se poi effettiva avviene poi a livello locale, con un ruolo decisivo delle amministrazioni regionali l’integrazione effettiva e comunali. Ma è opportuno ribadire l’imporavviene a livello locale tanza di configurare strumenti di policy condivise nell’ambito delle istituzioni sopranazionali, per poter sostenere dinamiche di convivenza interetnica solide, neutralizzando i potenziali fattori di conflitto. Il lavoro svolto in tema di discriminazione e razzismo nei diversi ambiti – istituzionali e non – è fondamentale; nondimeno, proprio a ragione della situazione attuale, è necessario aumentare gli sforzi e gli impegni. Dal Rapporto annuale di Red, così come da altre riflessioni riportate nel presente testo, è ipotizzabile raffigurare taluni interventi che possano aiutare a progettare politiche più incisive, tra cui: effettivo riconoscimento dei diritti fondamentali, anche delle minoranze, come primo passo verso l’integrazione, in linea con il Programma di Stoccolma e sulla base della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali libertàcivili Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza Una ricerca europea su razzismo, xenofobia e intolleranza Europa monitoraggio degli effetti della crisi sull’integrazione, in relazione alla riduzione delle risorse per le politiche pubbliche e per le iniziative a favore degli immigrati analisi dell’impatto della situazione socio-economica sulla diffusione dei fenomeni di razzismo e xenofobia nei rispettivi Paesi elaborazione di strumenti, quali indicatori che permettano di monitorare, valutare e confrontare gli esiti delle politiche di integrazione, rendendo fruibili e pubblici gli esiti di queste analisi per aprire un confronto e un dibattito collettivo che segnali la necessità di combattere razzismo e xenofobia quali ostacoli per il raggiungimento di società coese e in grado promuovere sviluppo e benessere. libertàcivili Bibliografia 138 Alietti, A. (2009), Quei soggetti spinti ai confini della società. Note critiche sul concetto di coesione sociale, Animazione sociale, XXXIX(234), pp.12-19 Alietti A., Padovan D. (2010), Il razzismo come legame sociale nella società dell’eccezione giuridica. Alcune note su antisemitismo e anti-islamismo in Italia dopo l’11 settembre, Comitato Passato &Presente, Torino. http://www.comitato passatopresente.it/pdf/ricerca.pdf Anti-Defamation League (2007), Attitudes Toward Jews and the Middle East in Five European Countries, New York Blangiardo G.C. (2012), L’immigrazione straniera in Lombardia. Rapporto 2011, fondazione Ismu, Milano Castel R. (2004) L’insicurezza sociale. Che significa essere protetti, Einaudi, Torino ECRI Report on Italy (2012), Council of Europe Eurispes (2011), 23° Rapporto Italia 2011, Eurilink, Roma European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia – EUMC (2001), AntiIslamic Reactions in the EU after the Terrorist Acts against the USA, EUMC, Vienna European Commission (2008). Special Eurobarometer 296: Discrimination in the European Union: Perceptions, Experiences and Attitudes. http://ec.europa.eu/public_opinion/archi ves/ebs/ebs_296_en.pdf European Union Agency for Fundamental Rights - FRA (2009), Anti-Semitism. Summary overview of the situation in the European Union 2001-2008, Vienna Fondazione Ismu (2012), Diciassettesimo 2 0 12 marzo - apr ile Rapporto sulle migrazioni 2011, FrancoAngeli, Milano Human Rights First (2007), Antisemitism. 2007 Hate Crime Survey, New York and Washington IHF (International Helsinki Federation for Human Rights) (2005), Intolerance and Discrimination against Muslims in the EU. 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Un anno di attività contro ogni forma e causa di discriminazione, Armando Editore, Roma, www.unar.it Zick A., Küpper B., Hövermann A. (2011), Intolerance, Prejudice, and Discrimination. A European Report, Friedrich-Ebert-Stiftung, Forum Berlin Labor I nuovi (e)migranti europei L’i-pad al posto della valigia di cartone e i voli “low cost” al posto delle traversate oceaniche; cresce l’emigrazione di giovani europei dai Paesi mediterranei colpiti dalla crisi verso le altre nazioni UE e le economie emergenti di Andrea Stuppini Il fenomeno anche italiano della “fuga dei cervelli”: un problema o una opportunità? Il termine “fuga dei cervelli” fu coniato in India negli anni Cinquanta, quando ci si accorse di un aumento graduale di emigrazione di indiani con istruzione universitaria (in un primo momento soprattutto verso il Regno Unito). Negli anni Sessanta il fenomeno crebbe verso gli Stati Uniti a causa di modifiche normative e negli anni Settanta riguardò anche Australia e Canada, dal momento che questi Paesi rettificarono la loro legislazione discriminatoria verso i non europei e iniziarono ad incoraggiare la migrazione dei talenti. Per molto tempo si è citata la “fuga dei cervelli” come grande fonte di preoccupazione per i Paesi di provenienza, soprattutto nel settore del personale medico. Come esempio estremo negli ultimi anni si cita di solito il Malawi, alle prese con una grave epidemia di Aids, mentre molti medici e infermieri sono attirati da paghe e condizioni migliori nel Regno Unito. Si dice che lavorino più medici del Malawi nell’area della Grande Manchester che nell’intero Paese africano. Per tutte queste ragioni, la fuga dei cervelli è diventata una questione politica di rilievo. Ciononostante, i governi dei Paesi che ricevono immigrazione e le agenzie internazionali sostengono che la migrazione dei talenti può rappresentare un guadagno sia per le nazioni di destinazione, sia per quelle di origine. Lowell e Findlay, due ricercatori dell’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) di Ginevra nel 2002 hanno usato per la prima volta il termine di “circolazione dei talenti” al posto di “fuga dei cervelli”; hanno messo in risalto che sebbene Taiwan avesse subìto perdite sostanziali di persone qualificate negli libertàcivili Dirigente Regione Emilia-Romagna - Rappresentante delle regioni nel Comitato tecnico nazionale sull’immigrazione 2 0 12 marzo - apr ile 139 I nuovi (e)migranti europei Labor anni Sessanta e Settanta, più tardi, quando il settore dell’alta tecnologia decollò, il governo fu in grado di attrarre i migliori ingegneri taiwanesi dagli Stati Uniti. Negli ultimi anni lo sviluppo dei Paesi emergenti e la crisi dell’area dell’euro sembrano accelerare un curioso capovolgimento. libertàcivili Decine di migliaia di giovani europei sono emigrati negli ultimi anni alla ricerca di un lavoro, che non riescono più a trovare nel loro Paese. La maggior parte di loro si sposta nell’UE ma qualcuno segue anche le rotte di un secolo fa 140 2 0 12 marzo - apr ile Quando l’Istat ha segnalato, nel mese di aprile, la perdita di un milione di posti di lavoro in tre anni per quel che riguarda i giovani tra i 15 e i 34 anni del nostro Paese, ha indicato una situazione di malessere sociale ormai così ragguardevole e che dura da tanto tempo, nella quale la tradizionale funzione di ammortizzatore della famiglia italiana (che avrebbe riassorbito circa la metà di questi nuovi disoccupati) non è più sufficiente e lascia intravedere scenari imprevedibili. Ad esempio nel dicembre scorso uno dei più autorevoli quotidiani del mondo, il britannico “The Guardian”, ha dedicato due servizi al nuovo fenomeno dell’emigrazione di giovani europei dei Paesi mediterranei più colpiti dalla crisi, verso le economie emergenti dell’emisfero meridionale. Ne è uscito un quadro abbastanza impressionante. Decine di migliaia di giovani europei sono emigrati negli ultimi anni alla ricerca di un lavoro, che non riescono più a trovare nel loro Paese. La maggioranza degli spostamenti è avvenuta indubbiamente all’interno dell’Unione Europea, come nel passato, ma la vera novità è costituita da una emigrazione che sembra ripercorrere le rotte di un secolo fa. Il Paese europeo più colpito dalla crisi, cioè la Grecia, aveva raggiunto 1,2 milioni di immigrati nel 2011, ma ora a questi si affiancano altrettanti emigrati (cresciuti con rapidità negli ultimi tre anni) e l’Ufficio statistico ellenico ne indica le mete in ordine di importanza: Germania, Australia, Canada, Albania, Turchia. Si stima che circa cinquantamila giovani abbiano lasciato l’Irlanda (che negli anni Novanta era stata soprannominata “la tigre celtica”) nel 2011, ma nel 2012 si prevede che saranno settantacinquemila. Il Portogallo dirige i suoi flussi migratori verso le ex-colonie e il computo appare piuttosto preciso: l’Angola (con una economia in espansione grazie al petrolio) contava cinquantamila residenti portoghesi nel 2005 e nel 2011 sono raddoppiati, con diecimila in più solo nell’ultimo anno. La presenza portoghese in Mozambico è cresciuta del 30% negli ultimi due anni. Ma naturalmente è soprattutto verso il Brasile che si dirigono la libertàcivili aspettative maggiori: cinquantamila portoghesi in più solo nell’ultimo anno, circa il 10% dei nuovi immigrati nel 2011. Per quanto riguarda la Spagna, nella recente campagna elettorale il candidato del partito popolare Rajoy, che poi è divenuto primo ministro, aveva denunciato l’esodo di circa 1.200 spagnoli ogni mese verso l’Argentina, uno dei Paesi che oggi sta praticando una politica di maggiore apertura verso la nuova emigrazione europea. Sul fatto che il fenomeno in questione riguardi anche l’Italia, non ci sono dubbi: negli ultimi anni Sergio Nava (“La fuga dei talenti”) e Aldo Mencaraglia (“Italians in fuga”) solo per citare i due più noti, hanno dedicato ad esso gli omonimi libri e siti internet, che forniscono uno spaccato interessante delle aspettative di coloro che meditano la partenza e delle esperienze dei giovani italiani che sono già all’estero. Il sistema delle piccole imprese italiane riesce a creare solo un piccolo numero di posti di lavoro qualificati, mentre importiamo badanti e muratori. Questa non è una novità. Qualche dubbio sulle cifre: l’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero, registro gestito dal ministero dell’Interno) rappresenta la base dati ufficiale, che parte dalle anagrafi comunali Labor I nuovi (e)migranti europei 2 0 12 marzo - apr ile 141 Labor I nuovi (e)migranti europei libertàcivili Dei circa 330mila giovani italiani che hanno perso il lavoro nel 2011, circa il 15% ne ha trovato uno all’estero. I dati dell’Anagrafe italiana residenti all’estero segnalano una crescita della emigrazione soprattutto dalle regioni del Nord Italia 142 2 0 12 marzo - apr ile e censisce coloro che prendono la residenza all’estero per più di dodici mesi. Si stima tuttavia che almeno la metà non si registri, mantenendo la residenza in patria, soprattutto quando lo spostamento avviene all’interno dell’Unione Europea. La cifra di circa trentamila nuovi emigrati l’anno, negli ultimi anni andrebbe quindi raddoppiata. Occorre tener conto che nella maggioranza dei casi, gli spostamenti sopra descritti avvengono senza avere la certezza del nuovo posto di lavoro nel Paese di destinazione. Si utilizza quasi sempre il metodo del visto turistico di tre mesi per cercare lavoro, contando anche sulla permissività del Paese ospitante e ove possibile lavorando in nero, esattamente come fanno gli immigrati in Italia. Nella filosofia dei nuovi “overstayers”, l’I-pad ha sostituito la valigia di cartone e i voli “low cost” le traversate oceaniche, nel senso che in tutta Europa esistono ormai dei flussi continui basati sul ‘passaparola’ fornito da parenti, amici e conoscenti che sono già all’estero e sulla ricerca del lavoro direttamente sul posto. Un ruolo importante lo svolgono anche i progetti Erasmus. Né si deve pensare che il fenomeno riguardi solo il lavoro qualificato: ad esempio la crisi del settore edile ha prodotto un esodo di lavoro manuale dall’Europa mediterranea. Nel 2011 i dati dell’Aire hanno comunque segnalato una crescita dell’emigrazione dalle regioni settentrionali italiane, che denoterebbe un ulteriore salto di qualità. Il magnete del mercato del lavoro europeo risulta essere sempre più la Germania, se è vero che nel 2011 i nuovi immigrati residenti sono risultati quasi 170mila, mentre nel 2010 si erano fermati a meno di 60mila. Oltre alla Polonia, Grecia, Spagna, Portogallo e Italia: i Paesi di provenienza confermano i dati precedenti. Per effetto del calo demografico degli anni Novanta si stima che la Germania dopo il 2015, avrà bisogno di circa 500mila nuovi lavoratori ogni anno per rimpiazzare il turn-over e sostenere il suo sistema produttivo. Quando si parla di riforma del mercato del lavoro, occorre sempre più considerare i parametri europei, dove il “modello tedesco” riesce a garantire salari di ingresso per i diplomati di quasi 35mila euro l’anno e di oltre 43mila euro per i laureati, contro i 20.500 euro e i 23.500 euro rispettivamente dell’Italia, mentre Francia e Gran Bretagna si collocano su valori intermedi. Se allora dei 330mila giovani Italiani che hanno perso il lavoro in patria nel 2011, circa il 15% ne ha trovato uno all’estero, occorrerà riflettere che tra le virtù del cosiddetto modello tedesco non c’è solo la flessibilità esterna, ma anche quella libertàcivili L’ascesa delle economie emergenti è uno degli aspetti della globalizzazione, ma non annullerà i flussi migratori: aggiungerà delle componenti circolari in un mondo nel quale le distanze sono sempre meno un problema interna alle imprese, con organizzazione del lavoro e orari flessibili, garantite da un sistema tripartito di concertazione e di relazioni industriali che ha sempre consentito una crescita della produttività. Nel corso degli ultimi dieci anni ci sono stati Paesi che sono stati contemporaneamente fonte di emigrazione e di immigrazione, per il sommarsi di fattori economici e geografici. In Europa si può citare il caso della Polonia, dalle cui province occidentali molte persone sono emigrate verso la Germania mentre contemporaneamente, le più povere province orientali sono state una meta per chi proviene dall’Ucraina o dalla Bielorussia. In America si può citare il Messico: fonte di emigrazione verso gli Usa e di immigrazione dal Guatemala, dall’Honduras e da altre repubbliche centroamericane. Il Pew Research Center di Washington ha calcolato recentemente che tra il 1995 e il 2000, 2.940.000 messicani sono emigrati negli Usa e 670mila hanno fatto il percorso inverso. Mentre tra il 2005 e il 2010 i due valori sono quasi equivalenti: 1.390.000 messicani sono tornati in patria, ma 1.370.000 si sono diretti ancora verso nord. Questi movimenti di lavoratori possono sembrare contraddittori, ma occorre sottolineare che il mercato del lavoro mondiale sarà sempre meno diviso tra un nord ricco e un sud povero. La storia degli ultimi anni è stata quella di un imponente trasferimento di ricchezza verso l’Asia, l’America Latina e ormai anche l’Africa. D’altronde nella storia delle migrazioni la famiglia conta quanto l’economia. Se nuclei familiari si sono formati e figli sono nati in un Paese ospitante, questi legami ostacolano il ritorno in patria dei più anziani, anche quando le condizioni economiche che stavano alla base della migrazione sono venute meno. L’ascesa delle economie emergenti è uno degli aspetti della globalizzazione, ma non annullerà i flussi migratori: aggiungerà delle componenti circolari in un mondo nel quale le distanze sono sempre meno un problema. Labor I nuovi (e)migranti europei 2 0 12 marzo - apr ile 143 Cittadinanza Ius culturae, la via della “generazione 2” al riconoscimento della cittadinanza Il 24 marzo scorso a Verona un nutrito gruppo di studenti “italiani di fatto”, sostenuti dai loro compagni di scuola e di università, ha incontrato politici e cittadini per testimoniare il loro disagio e reclamare quello che sentono come un diritto di Carlo Melegari libertàcivili Direttore del Cestim 144 Il dibattito politico e giuridico sulla cittadinanza ai figli degli immigrati stranieri si è arricchito negli ultimi mesi di un nuovo riferimento di principio, che va ad aggiungersi a quelli classici dello ius sanguinis (diritto che viene dall’essere figli di un cittadino) e dello ius soli (diritto che viene dall’essere nati sul territorio). E a quello più recente dello ius loci (diritto che viene dall’abitare nel territorio). Lo ius culturae fa derivare L’ha introdotto il ministro Riccardi, parlando il diritto alla cittadinanza di ius culturae (diritto che viene da una serie da una serie di indicatori di indicatori di opzione culturale primaria culturali, quale ad esempio tra cui l’aver frequentato, come minore che l’aver frequentato risiede sul territorio, le scuole dello stesso) e le scuole del territorio suscitando subito reazioni di convinta adesione, ma anche di perplessità 1 . Perfino di rifiuto, se la discussione avviene nei salotti televisivi dove non c’è tempo per l’argomentazione, ma solo per la battuta demagogica ad effetto. Nell’equivoco, conoscendo soltanto per sentito dire il contenuto delle cinquanta e più proposte di legge giacenti in Parlamento per la riforma del diritto di cittadinanza, è facile polemizzare sparando nel mucchio. Qualcuno, prendendo alla lettera lo ius soli e non coniugandolo con lo ius loci e lo ius culturae come fanno opportunamente i proponenti, ha ipotizzato 1 2 0 12 marzo - apr ile Vedi Marco Aime su La Stampa del 15/03/2012: “Ius culturae. Ma cosa vuol dire?” 2 Su www.italiasonoanchio.it, si possono trovare tutte le informazioni della campagna (promotori, obiettivi, svolgimento, risultati, testo della proposta di legge di iniziativa popolare presentata alla Camera dei deputati con le firme raccolte). Per informazioni cfr anche libertàcivili n.4/2011, pag.39 3 Per una cronaca dell’evento cfr il quotidiano L’Arena di Verona 25 marzo 2012 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili addirittura Lampedusa come “l’isola dei concepimenti e delle gravidanze di massa per migranti di comodo provenienti da ogni parte del mondo”. Bastava e basta un po’ di onestà intellettuale e un minimo di attenzione nella lettura dell’ultima proposta di legge sulla cittadinanza, quella della Campagna “l’Italia sono anch’io” 2, per rendersi conto della ragionevolezza che sta invece sotto un articolato di legge di riforma semplicemente fondato sul buon senso. Buon senso vuol dire che, se a un milione di “italiani di fatto” viene impedito da una normativa obsoleta di essere anche “italiani di diritto”, questa normativa va cambiata. Perché in Italia la situazione vera, non fantasticamente immaginata, è quella di centinaia di migliaia di La realtà italiana è fatta da circa un milione di “italiani bambini nati nel Paese da genitori immigrati stranieri regolarmente residenti in Italia da di fatto” che non possono anni e di centinaia di migliaia di ragazzi e esserlo anche “di diritto” giovani sotto i vent’anni che non sono nati a causa di una normativa sul nostro territorio, ma vi sono cresciuti freobsoleta che va cambiata quentando le nostre scuole di ogni ordine e grado. Per cui conoscono l’italiano meglio della lingua materna, si riconoscono nella cultura nazionale, regionale, locale, di classe sociale, di appartenenze plurime degli italiani (con cui vivono e sentono di dover vivere in futuro la loro quotidianità) piuttosto che nella cultura di riferimento primario dei loro genitori. Quando questi bambini, questi ragazzi, questi giovani, vanno in vacanza (se ci vanno) nel Paese dei nonni, è là che si sentono stranieri, balbettando una lingua che hanno imparato solo superficialmente; è là che si sentono estranei a usi e costumi che loro stessi trovano, nella migliore delle ipotesi, interessanti per folklore, ma ininfluenti se non di danno per la loro vita. È proprio per sostenere questa proposta di buon senso che una folta rappresentanza provinciale, tutta veronese, di studenti delle superiori e dell’università, “italiani di fatto, ma non di diritto”, si è data appuntamento il 24 marzo scorso, a conclusione della settimana europea contro il razzismo e ogni forma di discriminazione, al teatro Stimate di Verona 3 . Erano più di Cittadinanza Lo ius culturae, la via alla cittadinanza per la “generazione 2” 145 Lo ius culturae, la via alla cittadinanza per la “generazione 2” libertàcivili Cittadinanza trecento. Li hanno raggiunti anche parecchie decine di coetanei, “italiani di diritto”, solidali con loro, amici d’infanzia e compagni di scuola ancora “stranieri” soltanto in forza di un riferimento discriminatorio allo ius sanguinis. Sostenuti dal Cestim 4 e dalle associazioni del cartello “Nella mia città nessuno è straniero” 5 hanno invitato autorità cittadine, esponenti dei partiti, deputati e senatori di Verona ad assistere alla proiezione del film-documentario “18 ius soli” del regista Fred Kuwornu, presente in sala, perché si rendessero conto dell’assurdità e anche della crudeltà dell’attuale normativa in vigore per l’ottenimento della cittadinanza. Alla proiezione del film hanno fatto seguire le loro stesse testimonianze – alcune veramente commoventi – sul disagio del sentirsi discriminati, appunto, a causa di un preteso ius sanguinis e di un mal compreso ius soli, quando a rendere il cittadino consapevole della propria appartenenza a una comunità per doveri, diritti, dignità e pari opportunità, è semmai lo ius loci che viene dal rapporto genuino con il territorio (“qui ci abito e qui ci vivo volentieri”, eco del romano “hic manebimus optime!”) e ancora di più lo ius culturae che viene dalla lingua parlata (ritenuta la propria e la più appropriata nelle normali relazioni della quotidianità) e dal patrimonio di valori, di conoscenze e di riferimenti identitari interiorizzati frequentando le scuole del Paese in cui si risiede. La reazione dei politici presenti (di tutti i partiti, tranne la Lega che non c’era) è stata di sostanziale adesione all’istanza di riforma dell’attuale legge. Nel senso di dare finalmente l’importanza dovuta allo ius loci e allo ius culturae. Staremo a vedere. Ogni anno che dovesse passare invano vorrebbe dire accrescere di non meno di 100mila unità il numero dei cittadini discriminati in nome di un principio, quello dello ius sanguinis, che a volte è stato e continua a essere foriero di razzismo nel mondo. Facendo soffrire senza ragione un sacco di gente. E dimenticando la nostra Costituzione e tutte le convenzioni sui diritti umani che l’Italia ha sottoscritto. 146 2 0 12 marzo - apr ile 4 Per le attività del Cestim cfr. www.cestim.it 5 Per le attività del Cartello cfr. nellamiacittanessunoestraniero.it Il buon esempio Per “gettare una rete” fra Turchia e Italia Il progetto della Ong Ricerca e Cooperazione nel settore della pesca punta sulla valorizzazione delle risorse locali e sull’integrazione culturale fra comunità omologhe: una via alternativa all’integrazione nei Paesi di immigrazione di Laura Cicinelli L’immigrazione costituisce una sfida enorme per i Paesi di destinazione, che accolgono uomini e donne provenienti da nazioni non sempre in grado di far fronte alle esigenze di emancipazione dalla insicurezza economica e sociale dei propri cittadini. Si tratta di un Un approccio alternativo ai problemi dell’immigrazione fenomeno ormai planetario, il cui rovescio della medaglia è il fatto che i Paesi di proveè quello che punta sullo nienza dei migranti si trovano spesso privati sviluppo locale, per evitare degli elementi più validi e determinati a l’impoverimento di risorse migliorare la loro condizione di vita. che l’emigrazione comporta Le sfide che questo fenomeno pone sono complesse. Molto spesso i problemi legati all’immigrazione sono affrontati dal punto di vista di chi accoglie e con riferimento all’integrazione dei migranti nella comunità in cui arrivano; molto meno considerato, ma ugualmente fecondo di sviluppi positivi, è l’approccio opposto, che tende a privilegiare iniziative di sviluppo locale promosse o supportate da comunità omologhe dei Paesi potenzialmente ospiti. Tali iniziative possono davvero costituire una buona pratica per creare opportunità di sviluppo da un lato, e un ottimo elemento per superare barriere culturali indotte dalla mancata opportunità di un reale scambio di conoscenze. Un esempio è il progetto “Pesca: costruire reti sostenibili fra la Turchia e l’Italia”, cofinanziato dalla Unione Europea e coordinato dalla Ong (organizzazione non governativa) romana Ricerca e Cooperazione – nell’ambito del programma “Dialogo della società civile” promosso dal ministero turco libertàcivili Ricerca e Cooperazione - project manager 2 0 12 marzo - apr ile 147 per gli Affari con l’Unione Europea. Non è un progetto che abbia come obiettivo diretto la gestione dei flussi migratori, o l’integrazione, ma l’iniziativa ambisce ad armonizzare le pratiche locali della piccola pesca con quelle europee, e a fornire ai beneficiari (circa 100 pescatori) strumenti utili ad affrontare il cambiamento che dovrebbe derivare dall’adeguamento, da parte della Turchia, agli standard normativi europei sulla piccola pesca. Il progetto si svolge a Seferihisar 1 , un comune a circa 50 km da Izmir, la città più importante della costa egea della Turchia. Perché Seferihisar? Perché, sebbene si tratti di uno dei distretti a reddito più basso delle Regione di Izmir, può contare su una amministrazione L’amministrazione locale lungimirante e propensa a fare leva sulla di Seferihisar, sede del valorizzazione delle risorse locali, per miglioprogetto, è attenta nel rare lo status socio-economico degli abitanti valorizzare le risorse locali, dell’area, che conta circa 30mila residenti. per migliorare le condizioni Seferihisar è nota in Turchia e all’estero socio-economiche dei cittadini non solo per le buone pratiche promosse dalle politiche locali, ma anche per essere una porta verso l’Europa per le rotte migratorie che provengono dall’Est, oltre la Turchia. Tristemente famoso e ancora impresso nella memoria di molti è l’incidente 2 in cui persero la vita molti migranti, quando la barca che doveva portarli all’isola di Chios – in Grecia – è affondata, trascinando con sé molti degli occupanti. Importanti sono le dinamiche virtuose che il progetto è stato in grado di innescare in termini di relazioni fra istituzioni e organizzazioni omologhe di Italia e Turchia (municipalità, università, Ong e soprattutto cooperative di produttori). Se è vero infatti che una delle chiavi per promuovere lo sviluppo sostenibile di comunità a rischio di marginalizzazione è agire a livello locale per massimizzare il valore economico e sociale delle risorse endogene alla comunità stessa, è anche fondamentale, soprattutto nel caso di comunità vicine (geograficamente, storicamente e culturalmente), promuovere la conoscenza reciproca e lo scambio di idee, conoscenze e risorse. Le attività del progetto che si svolgono in Turchia si concentrano soprattutto sulla formazione dei produttori in merito libertàcivili Il buon esempio Turchia - Italia: un progetto di cooperazione nel settore della pesca 148 1 2 http://www.seferihisar.bel.tr http://en.wikipedia.org/wiki/December_2007_Seferihisar,_Turkey_migrant_boat_ disaster 2 0 12 marzo - apr ile Che cos’è Ricerca e Cooperazione Ricerca e Cooperazione (RC) è una Ong italiana senza fini di lucro, impegnata nel settore della cooperazione internazionale a favore dei Paesi del Sud del Mondo. In Italia, e più in generale in Europa, promuove azioni di educazione allo sviluppo. Indipendente, di ispirazione laica, opera dal 1985 e si fonda sui valori della solidarietà e della dignità umana. Gli aspetti chiave dell’attività di RC sono la salvaguardia e valor izzazione delle diversità a rischio di scomparsa, ovvero della biodiversità, culture indigene e patrimoni culturali, e la promozione dei diritti fondamentali delle persone, quali il diritto all’alimentazione, all’istruzione, alla salute, al lavoro, alla libertà di movimento e di espressione, alla good governance. Il leit-motiv della Ong, “più diversità, meno differenze”, riflette l’orientamento verso tali filoni di attività, che guidano l’ideazione e lo sviluppo di ognuno dei progetti. Per saperne di più www.ongrc.org 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili alle nuove norme europee sulla piccola pesca – che in gran parte sono già state adottate dalla Turchia (in molti casi con connotazioni ancora più restrittive rispetto ai regolamenti europei, senza peraltro prevedere alcun incentivo economico per i produttori, come invece avviene ampiamente in Europa) – e sulla dotazione di strutture adeguate per la commercializzazione sia all’ingrosso che al dettaglio. Il progetto prevede inoltre visite in Italia e dall’Italia delle cooperative di produttori e una tavola rotonda finale a cui parteciperanno tutti gli attori del progetto, italiani e turchi, per scambiarsi opinioni e idee sulle rispettive realtà locali e sulla capacità del settore di sopravvivere e prosperare anche in seguito ai cambiamenti che inevitabilmente stanno investendo il settore della piccola pesca. Gli aspetti più interessanti che sono emersi durante lo svolgimento delle attività del progetto sono stati sicuramente quelli legati ai momenti di scambio e di reciproca conoscenza di comunità omologhe delle diverse aree del Mediterraneo. Per molti di noi, infatti, la Turchia costituisce un elemento sconosciuto, sia dal punto di vista sociale, sia culturale e tecnico. D’altra parte, anche i rappresentanti della comunità ospite non sono privi di pregiudizi, positivi e negativi, sui loro omologhi europei. Ebbene, la reciproca conoscenza ha sicuramente aiutato tutti a recuperare una percezione realistica delle opportunità e dei limiti che comunità analoghe in Europa e nei Paesi vicini si trovano a fronteggiare; ha aiutato molto i nostri amici turchi ad acquistare fiducia nelle loro capacità professionali e Il buon esempio Turchia - Italia: un progetto di cooperazione nel settore della pesca 149 Il buon esempio Turchia - Italia: un progetto di cooperazione nel settore della pesca libertàcivili ad acquisire una prospettiva più imprenditoriale e dinamica rispetto alle attività di pesca. D’altro canto, i colleghi italiani hanno potuto constatare che le barriere culturali che temevano di incontrare nell’affrontare le attività di progetto erano per lo più frutto di pregiudizi e disinformazione e che i colleghi turchi, se adeguatamente supportati a livello istituzionale e tecnico, non hanno nulla da invidiare ai nostri professionisti della piccola pesca. In sintesi, la migliore lezione che questo intervento ci ha ricordato è che il dialogo della società civile può effettivamente essere un motore per lo sviluppo e che le comunità a rischio di marginalizzazione possono trarre enormi benefici e vantaggi da iniziative promosse a livello locale che incentivino la valorizzazione delle risorse autoctone, che facciamo leva sul capitale umano esistente, sulla sua riqualificazione e sul supporto tecnico fornito da comunità omologhe. Inoltre, iniziative del tipo di quella che il progetto ha intrapreso possono davvero costituire una buona pratica di integrazione culturale. È questo l’elemento che lega la prospettiva offerta dal progetto alla tematica quanto mai attuale dell’immigrazione. 150 2 0 12 marzo - apr ile Minimum media Comunicare l’immigrazione, guida pratica per gli operatori dell’informazione Promosso dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali il manuale vuole essere un sussidio a disposizione dei giornalisti per conoscere meglio il fenomeno migratorio e raccontarlo in maniera corretta e imparziale di Raffaele Miele Direttore responsabile della rivista “Gli stranieri” Comodo, facilmente consultabile, il manuale “Comunicare l’immigrazione”, promosso dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e realizzato dalla cooperativa Lai-momo (editrice della rivista Africa e Mediterraneo) e dal centro studi e ricerche Idos, vuole essere un sussidio a disposizione dei giornalisti per conoscere meglio questo fenomeno e raccontarlo in maniera corretta 1 . È però anche un valido e veloce aiuto per chi non è specializzato sul tema o semplicemente per chi vuole informarsi. Il volume è parte del più ampio progetto “Co-In. Comunicare l’Integrazione”, che prevede sei seminari territoriali rivolti ai giornalisti (il primo si è tenuto il 6 marzo all’Università per stranieri di Perugia) e una Spring School, in collaborazione con gli Ordini professionali regionali, per gli allievi delle scuole di giornalismo. Il ruolo fondamentale dei media nella rappresentazione del fenomeno migratorio impone una riflessione sulla necessità di garantire la precisione, l’imparzialità e la neutralità dell’informazione giornalistica e una maggiore e più obiettiva copertura del processo di integrazione. In Italia la comunicazione è carente sul tema sia per la scelta degli argomenti, con un facile appiattimento sulla cronaca nera, funzionale ad alimentare tensioni e messaggi negativi, sia nel dettaglio del linguaggio La versione pdf del manuale è consultabile sul por tale dell’integrazione del Gover no http://www.integrazionemigranti.gov.it,e sui siti www.laimomo.it e www.dossierimmigrazione.it libertàcivili I media hanno un ruolo fondamentale nel rappresentare il fenomeno migratorio e dunque è necessario che l’informazione da essi veicolata sia precisa, imparziale e neutra 2 0 12 marzo - apr ile 151 1 Il manuale fornisce un ampio quadro di riferimento sulla immigrazione, dati e informazioni. I primi due capitoli sono dedicati alla storia del fenomeno migratorio e della legislazione in Italia libertàcivili Minimum media Una guida pratica per gli operatori dell’informazione 152 utilizzato 2 . Con questo progetto il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali fa un investimento sulla conoscenza, che si rivela spesso carente, e sulle azioni per favorirla, perché il comunicatore che non sa cade nel facile stereotipo. Il manuale tratta l’immigrazione fornendo un ampio quadro di riferimento, dati e informazioni che potranno successivamente essere aggiornati consultando direttamente le fonti, riportate in un elenco di siti ragionato: siti istituzionali, fonti europee, siti giuridici, statistici, della società civile. Il primo capitolo delinea lo scenario migratorio attraverso la storia della trasformazione dell’Italia da Paese di emigrazione in Paese di immigrazione, con l’anno 1975 a fare da spartiacque, toccando, tra gli altri, i temi dell’integrazione sociale e culturale, della cittadinanza e delle diverse fedi religiose. Il secondo capitolo traccia un quadro legislativo e delle competenze delle diverse istituzioni. Interessante la cronologia della legislazione sull’immigrazione in Italia, importante perché descrive la storia del rapporto tra lo Stato italiano e l’immigrazione, fenomeno poco conosciuto e all’inizio regolato con circolari. Il primo intervento legislativo è del 1986 con la legge 943, cosiddetta “legge Foschi”, approvata a larghissima maggioranza. I principi generali garantivano piena parità di trattamento dei lavoratori extracomunitari e delle loro famiglie rispetto agli italiani, assicurando condizioni di vita idonee all’inserimento nella società. Venivano istituiti una consulta e un servizio per i problemi dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie (è degno di nota il fatto che i lavoratori siano sempre considerati “con le loro famiglie”) e disciplinate la programmazione e le procedure per l’accesso all’occupazione; all’Inps veniva istituito un fondo per il rimpatrio dello straniero senza mezzi economici. Non era prevista, peraltro, una disciplina specifica dell’espulsione. La legge Foschi inaugura la serie delle regolarizzazioni “a sanatoria”, escludendo la punibilità di illeciti pregressi per consentire l’emersione dell’immigrazione clandestina. I successivi interventi legislativi, la cui approvazione fu via via più contrastata, datano 1990, 1995, 1998 (il Testo unico sull’immigrazione), 2002 (la cosiddetta “Bossi-Fini”) e 2009, anni nei quali sono sempre state varate anche delle regolarizzazioni, a causa dell’insufficienza delle quote per assorbire 2 2 0 12 marzo - apr ile vedi libertàcivili n. 3/2010 e n. 2/2011 tutti quelli che di fatto entravano nel mercato del lavoro. Il terzo capitolo delinea la situazione europea. Una sintesi comparata utile a fare un confronto con la situazione degli altri Stati membri per quanto riguarda la quantificazione delle presenze, l’integrazione, i requisiti per l’ingresso e il soggiorno. Il quarto capitolo è riservato al rapporto tra i media italiani e l’immigrazione che, nonostante le carenze sopra descritte, evidenzia la riflessione che il mondo del giornalismo ha portato avanti sul tema, dalla trasmissione Rai Nonsolonero alla Carta Minimum media Una guida pratica per gli operatori dell’informazione 1. Elaborazione di un handbook da distribuire nelle redazioni stampa, radio tv e web di rilievo nazionale e locale, relativo al tema dell’immigrazione e al rapporto tra mass media e integrazione volto a veicolare buone pratiche e storie positive aventi per protagonisti cittadini immigrati. L’handbook fornirà anche una disamina del quadro di riferimento relativo al riparto di competenze istituzionali in materia di immigrazione, dati quantitativi e indicatori territoriali che mettano in luce i benefici del fenomeno migratorio per la società ospitante; proporrà una sintesi comparativa a livello europeo delle principali norme che regolano l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e dei principali indici di integrazione e offrirà, infine, esempi di buone prassi comunicative tratte da differenti contesti mediatici e racconti di storie di migrazione di successo. 2. Organizzazione, in cooperazione con gli Ordini dei giornalisti regionali, di sei seminari di aggiornamento tenuti da personalità di spicco del mondo dell’informazione attive nel settore immigrazione, disseminati tra i capoluoghi regionali più rilevanti per quanto con- cerne la presenza migratoria e rivolti a giornalisti (stampa, radio, tv e web) di testate e emittenti con copertura regionale. Ognuno dei seminari affronterà l’analisi generale dello scenario migratorio in Italia, proponendo fatti di cronaca specifici aventi a oggetto il rapporto immigrazione/integrazione, raccontati tramite supporti documentali video di breve durata. Nella trattazione delle tematiche sarà utilizzato e diffuso l’handbook. 3. Organizzazione di una Spring School, rivolta a 50 giovani giornalisti, allievi delle Scuole di giornalismo riconosciute dall’Ordine, selezionati a seguito di un concorso volto a vagliare, tramite una commissione coordinata dalla direzione generale dell’Immigrazione e delle Politiche di integrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, i migliori articoli, inchieste e reportage inerenti all’integrazione e all’immigrazione. Alla Spring School parteciperanno come relatori esperti sul tema dell’immigrazione e dell’integrazione provenienti dal mondo accademico, dal giornalismo e dalle pubbliche amministrazioni. 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Le attività previste dal progetto Co. In. Comunicare l’Integrazione: 153 Minimum media Una guida pratica per gli operatori dell’informazione libertàcivili Un capitolo è dedicato alle storie positive nel campo delle professioni, della letteratura, dell’arte, dello sport e della vita sociale 154 2 0 12 marzo - apr ile di Roma della Federazione nazionale della stampa e dell’Ordine dei giornalisti, con una sintesi delle linee guida per una corretta informazione sulla migrazione e sull’importanza del parlare corretto, che trova un utile contributo nel glossario in fondo al manuale, con 44 voci, definizioni e rimandi. Viene proposta una carrellata di buone pratiche, evidenziata la valenza degli osservatori, dei media multiculturali e delle “scritture migranti” che hanno “arricchito il panorama culturale italiano ma anche positivamente contaminato la nostra lingua”. Il quinto capitolo è una raccolta di storie positive nel campo delle professioni, della letteratura, dell’arte, dello sport, della vita sociale. L’artista iracheno Ali Assaf, naturalizzato italiano, che si ispira a Caravaggio e ha curato il padiglione Iraq alla biennale di Venezia 2011, l’attivista e poetessa brasiliana in lizza per il premio Nobel Márcia Theóphilo, il farmacista palestinese Jabarin Fakher, che a Napoli ha rilevato una farmacia, sono solo alcuni dei protagonisti di queste storie, che testimoniano dell’arricchimento culturale dell’intera società. Accompagnano la lettura, a margine dei capitoli, con un espediente grafico accattivante, alcune citazioni e riflessioni sul tema, come quella dello storico burkinabè Joseph Ki-Zerbo: “quando si è profondamente radicati, si è pronti a tutte le aperture, porosi a tutti i soffi del mondo”. L’informazione corretta è un obiettivo perseguibile, parlare in positivo è la raccomandazione dell’Unione Europea e di altre organizzazioni internazionali. Ed è lo spirito che anima questa pubblicazione perché, come auspica Natale Forlani, direttore generale dell’Immigrazione e delle Politiche di integrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, “il fenomeno migratorio è un fenomeno complesso, dalle molteplici sfaccettature e che in tale sua ricchezza deve essere raccontato e percepito”. (s.n.) Documentazione e Statistiche a cura di Stefania Nasso Documentazione e Statistiche Emergenza nomadi: sospesa l’esecutività della sentenza 6050 /11 del Consiglio di Stato di Vincenzo Cesareo Segretario generale della fondazione Ismu libertàcivili Il 9 maggio scorso il Consiglio di Stato ha sospeso l’efficacia della propria sentenza 6 0 5 0/2011 con la quale dichiarava l’illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza per la presenza dei nomadi nei territori di Roma, Milano e Napoli, stato di emergenza dichiarato nel maggio 2008 e prorogato fino al 31 dicembre 2011 (Dpcm del 21 maggio 2008 e successivi). Tale decisione accoglie l'istanza cautelare con cui l’Amministrazione ha rappresentato le gravi conseguenze, anche patrimoniali, che deriverebbero da un’interruzione delle attività avviate in esecuzione degli atti oggetto di impugnazione e annullamento. Nel concedere la misura cautelare, però, il Consiglio di Stato ribadisce la motivazione della sentenza per ora sospesa chiarendo che “i rapporti civilistici instaurati con terzi sulla base degli atti censurati, ancorché non automaticamente travolti per effetto della sentenza gravata, risultano comunque fondati su procedure amministrative (appalti o espropri) in relazione alle quali è venuto meno il potere a monte nel cui esercizio erano state indette, in modo da esporre l’Amministrazione ai rischi – anche di tipo risarcitorio e contabile – connessi all’eventuale scelta di proseguire un’attività ormai qualificabile in carenza di potere”. La sospensiva segue il ricorso per l’annullamento della stessa sentenza, presentato il 15 febbraio alla Corte di cassazione dalla Presidenza del Consiglio, dal dipartimento della Protezione civile, dal ministero dell’Interno e dalle prefetture di Roma, Milano e Napoli, secondo cui, essendo la dichiarazione dello stato di emergenza (strumento di gestione di eventi straordinari previsto dalla legge istitutiva del servizio di Protezione civile) un atto di “alta amministrazione” e come tale caratterizzato da elevata discrezionalità, il Consiglio di Stato è andato oltre il limite del proprio potere giurisdizionale, estendendo il sindacato di legittimità alle valutazioni di merito riservate all’autorità amministrativa (contro le decisioni del Consiglio di Stato, giudice di ultima istanza le cui sentenze non sono impugnabili, il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione). 156 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili La vicenda prende il via dalla richiesta di annullamento della dichiarazione dello stato di emergenza per la presenza dei nomadi in Campania, Lazio e Lombardia, presentata al Tar del Lazio da due appartenenti alla comunità rom e dalla European Roma Rights Foundation Centre. Il Tar, con sentenza 6352/2009, aveva parzialmente accolto il ricorso annullando la norma sui rilievi segnaletici e alcune disposizioni regolamentari lesive delle libertà personali e del diritto al lavoro, ma riconoscendo la necessità dello stato di emergenza. Contro la sentenza del Tar entrambe le parti (per motivi opposti) sono ricorse al Consiglio di Stato che, con la sentenza 6050/2011, ha affermato invece l’illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza per difetto dei presupposti. Di conseguenza anche tutti gli atti dei Commissari delegati per l’emergenza risultano adottati in carenza di potere e quindi illegittimi, salva la facoltà dell’Amministrazione di sanare il vizio di incompetenza attraverso una riedizione o convalida dei singoli atti (vedi libertàcivili n. 6/2011 pg 153-154). Secondo il ministro Riccardi il ricorso per Cassazione è di “natura tecnica” e non cambia la linea governativa di considerare superata la fase emergenziale. Anche per il ministro Cancellieri non si rilevano più le ragioni per rinnovare lo stato di emergenza (durato altri tre anni) e prova ne è la presentazione alla Commissione Europea, il 28 febbraio scorso, della Strategia nazionale di inclusione dei rom, sinti e caminanti finalizzata a favorire specifiche politiche di integrazione. In materia interviene anche il D.l 15 maggio 2012, n. 59 “Disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile”, attualmente in fase di conversione, che innova la disciplina dello stato di emergenza e del potere di ordinanza, stabilendo poi che lo stato di emergenza non potrà “superare i sessanta giorni” e potrà essere rinnovato di regola “per non più di quaranta giorni”. In particolare dispone la riassegnazione al ministero dell’Interno delle somme non ancora impegnate dai Commissari delegati per l’emergenza nomadi per il necessario completamento funzionale degli interventi già programmati. Documentazione e Statistiche Emergenza nomadi sospesa l’esecutività della sentenza del Consiglio di Stato 2 0 12 marzo - apr ile 157 Hanno collaborato a libertàcivili Francesca Locatelli Cristiano Marini Enrico Melis Mario Morcone Marco Omizzolo Luca Pacini Giuseppe Roma Stefano Sampaolo Augusto Venanzetti Mario Morcone Maria Assunta Rosa Alfonso Rosolia Peter Schatzer Le interviste Isabella Bertolini Alberto Bombassei Gianclaudio Bressa Michel Camdessus Domenico Lucano Morena Piccinini Consuelo Rumi Maurizio Sacconi Fouad Twal libertàcivili 1/10 libertàcivili 4 /10 Gian Carlo Blangiardo Enzo Cheli Luigi De Andreis Guerino Di Tora Renato Franceschelli Daniela Ghio Mario Giro Antonio Golini Nunzia Marciano Mario Morcone Vinicio Ongini Nadan Petrovic Stefano Rolando Giulio M. Salerno Volker Türk Antonio Maria Vegliò Foad Aodi Carlo Cardia Anna Di Bartolomeo Ester Dini Antonio Golini Pina Lalli Agostino Marchetto Bruno Mazzara Enrico Melis Mario Morcone Carlo Nicolais Maruan Oussaifi Anna Prouse Francesca Rinaldo Maria Virginia Rizzo Maria Assunta Rosa libertàcivili libertàcivili 2/10 Carlo Borgomeo Vincenzo Cesareo Federico Cingano Giuseppe De Rita Renato Franceschelli Antonio Golini Cristiano Marini Alessio Menonna 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili 3/10 Rita Bichi Arianna Caporali Enrico Cesarini Antonella Dinacci Andrea Fama Paolo Garimberti Daniela Ghio Chiara Giaccardi Giovanna Gianturco Guia Gilardoni Giampiero Gramaglia Roberto Natale Viorica Nechifor Mario Morcelini Mario Morcone Angela Oriti Nando Pagnocelli Antonello Petrillo Lorenzo Prencipe Maria Vittoria Pontieri Serenella Ravioli Alessandra M.Straniero Le interviste Fedele Confalonieri Sergio Zavoli Le interviste Elisabetta Belloni Carolina Lussana Cecilia Malmström libertàcivili 6/10 Alberto Bordi Piero Alberto Capotosti Klodiana C¸ uka Andrea De Martino Antonio Golini Marco Lombardi Manuela Lo Prejato Antonio Marzano Massimiliano Monnanni Mario Morcone Gabriele Natalizia Piero Raimondi Giovanni Giulio Valtolina Marco Villani Le interviste Marou Amadou Howard Duncan Franco Frattini Demetrios Papademetriou libertàcivili 5 /10 Alfredo Alietti Alfredo Agustoni Alberto Bordi Vasco Errani Andrea Fama Giovanna Gianturco Antonio Golini Maurizio Guaitoli Anna Italia Valeria Lai 2010 Le interviste Gianni Amelio Zygmunt Bauman Maria Stella Gelmini Roberto Maroni 158 Le interviste Sergio Chiamparino Flavio Tosi Hanno collaborato a libertàcivili Laura Zanfrini Le interviste Luca Artesi Antonello Folco Biagini Carmelo M. Bonnici Natale Forlani Andrea Segre libertàcivili 1/11 libertàcivili 4 /11 Maurizio Ambrosini Elena Besozzi Gian Carlo Blangiardo Guia Gilardoni Graziella Giovannini Antonio Golini Gaia Peruzzi Angela Pria Stefania Rimoldi Maria Virginia Rizzo Maria Assunta Rosa Mariagrazia Santagati Milena Santerini Mohamed A.Tailmoun Giovanni Giulio Valtolina Attilio Balestrieri Corrado Beguinot Alberto Bordi Raffaele Bracalenti Alessia Damonte Andrea Fama Massimiliano Fiorucci Chiara Giaccardi Mario Giro Alfonso Molina Roberto Mongardini Ban Ki Moon Maria Paola Nanni Marco Omizzolo Franco Pittau Angela Pria Enzo Rossi Vincenzo Scotti Francesco Vecchio Luca Vitali Berna Yilmaz Le interviste Graziano Delrio Valeria Benvenuti Vincenzo Cesareo Ennio Codini Giuseppe Del Ninno Andrea Fama Antonio Golini Roberto Leone Maria Paola Nanni Stefano Pelaggi Franco Pittau Maria Vittoria Pontieri Angela Pria Enrico Quintavalle Giuseppe Roma Francesca Serva Laura Zanfrini Le interviste Sonia Viale libertàcivili 2/11 Paula Baudet Vivanco Marinella Belluati Alberto Bordi Emanuela Casti Andrea Fama Guia Gilardoni Anna Italia Marcello Maneri Anna Meli Mario Morcellini Angela Pria Enrico Pugliese Serenella Ravioli libertàcivili 6/11 libertàcivili 5 /11 Miguel Angel Ayuso Guixot Valeria Benvenuti Maria Bombardieri Alberto Bordi Marco Bruno Paolo Cavana Le interviste Gregorio Arena Otto Bitjoka Stefano Zamagni 2 0 12 marzo - apr ile libertàcivili Vincenzo Cesareo Enrico Cesarini Enzo Cheli Ennio Codini Andrea Fama Monia Gangarossa Antonio Golini Nelly Ippolito Macrina Angelo Malandrino Massimo Montanari Lara Olivetti Marco Omizzolo Nadan Petrovic Mariavittoria Pisani Angela Pria Gianfranco Ravasi Giuseppe Roma Le interviste Riccardo Di Segni Adnane Mokrani 2011 Le interviste Erri De Luca libertàcivili 3/11 Andrea Fama Alessandro Ferrari Silvio Ferrari Stefania Fragapane Antonio Golini Alessandro Iovino Giovanni la Manna Roberto Mazzola Enrico Melis Cesare Mirabelli Mario Morcellini Vincenzo Paglia Angela Pria Veronica Riniolo Annavittoria Sarli Sandra Sarti Claudio Siniscalchi 159 Hanno collaborato a libertàcivili libertàcivili 1/12 Gianluca Bascherini Alberto Bordi Antonello Ciervo Andrea Fama Natascia Marchei Raffaele Miele Paolo Morozzo della Rocca Stefano Pelaggi Daniele Pellegrino Paolo Pomponio Angela Pria Luisa Prodi Andrea Romano 160 2012 libertàcivili Le interviste Franco Ferrarotti 2 0 12 marzo - apr ile 11:59 Pagina 1 Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che io reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato, privilegiati ed oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia patria, gli altri i miei stranieri. NEL PROSSIMO NUMERO 2/12 L’arte dei migranti MARZO- APRILE BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE don Lorenzo Milani libertàcivili 31-05-2012 libertàcivili libertàcivili Esec_Copertina02/12.qxd Realizzato con il contributo del Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di Paesi terzi BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE BIMESTRALE DI STUDI E DOCUMENTAZIONE SUI TEMI DELL’IMMIGRAZIONE Primo Piano / I colori del welfare In questo numero interventi di: Andrea Riccardi Stefania Aristei Carlo Devillanova Flavio Felice Natale Forlani Oscar Gaspari Marco Omizzolo Lorenzo Prencipe Giuseppe Roma Andrea Stuppini Maurizio Trabuio