LIBRO DEGLI ATTI 10-11-2014 9:10 Pagina 1 C Colori compositi M Y CM MY CY CMY K LIBRO DEGLI ATTI 10-11-2014 9:10 Pagina 2 C Colori compositi M Y CM MY CY CMY K 1 FORUM 1 “PEDIATRIC PUZZLES. APPROCCIO CLINICO AL PAZIENTE CON…” Giovedì, 13 novembre 2014 Presidente: A. Vitale 14,30 – 15,30 Moderatori: G. Ricciardi, M. Ruggeri 16,00 – 18,00 Moderatori: A. Podestà, M. Papa 2 APPROCCIO CLINICO AL PAZIENTE CON… DISIDRATAZIONE Luciano Beccaria, Claudia Addis SC Pediatria, Ospedale Alessandro Manzoni, Lecco La disidratazione è una delle più frequenti cause di accesso alle strutture di Pronto Soccorso pediatrico, in particolare del bambino nella prima infanzia. Essa si verifica quando la perdita di liquidi totali è superiore all’introduzione dei liquidi e in genere diventa clinicamente evidente quando le perdite superano il 5% del peso corporeo. La perdita di fluidi avviene principalmente dal: tratto gastroenterico (diarrea, vomito, gastroenterite) cute ( febbre, ustioni) rene ( glicosuria nel diabete mellito, diabete insipido, terapia diuretica) La mancata introduzione di liquidi può essere: Per impossibilità ad assumere liquidi (infezioni al cavo orale, distress respiratorio, cardiopatie) Per incapacità ad alimentarsi ( neonato/prima infanzia, coma , maltrattamento) Tale condizione comporta rischi potenzialmente gravi in relazione al grado di disidratazione e può necessitare di trattamento in urgenza. Lo stato di idratazione viene più spesso valutato attraverso uno score clinico basato sui principali segni (frequenza respiratoria e cardiaca, turgore cutaneo , tempo di riempimento capillare, valutazione di occhi, mucose, lacrime) rilevabili con un adeguato esame obiettivo, mentre mancano chiare relazioni tra stato di disidratazione ed esami ematochimici che dunque risultano non necessari se non in casi particolari (disidratazione severa, alterato stato di coscienza, perdite prolungate e profuse, presenza di comorbidità). La terapia della disidratazione si avvale della somministrazione di liquidi in quantità e composizione tali da far fronte alle necessità cliniche del bambino. In genere va sottolineato che la terapia di prima scelta della disidratazione lieve/moderata è la somministrazione di liquidi per bocca. La reidratazione orale è sostanzialmente sovrapponibile per efficacia alla terapia endovenosa, presenta minori complicanze, minori rischi di eventi avversi, ha minore costo ed è meno traumatica per il piccolo paziente. La terapia orale è pertanto la prima scelta in caso di disidratazione lieve/moderata, in particolare laddove sia possibile la somministrazione di liquidi per via orale. La terapia endovenosa deve essere avviata in caso di fallimento della terapia reidratante orale, in caso di stato di shock o disidratazione grave con condizioni generali scadenti o in caso di comorbidità gastroenterologiche (presenza di malattie gastriche o intestinali).Anche in presenza di vomito è possibile tentare una reidratazione per via orale con assunzione di liquidi a piccoli sorsi ripetuti, eventualmente associando terapia antiemetica (ondasetron). Quando necessaria la terapia endovenosa si fonda sui seguenti principi: In caso di shock è imperativo somministrare prontamente 20 ml/kg di soluzione fisiologica facendo seguire una reidratazione secondo le norme di seguito riportate I tentativi di calcolare analiticamente il deficit di acqua sono in genere poco produttivi e larga parte della letteratura consiglia un approccio pragmatico basato sulla somministrazione di liquidi e sali da modificare in relazione all’andamento clinico e agli esami eseguiti nel followup (mantenimento + 50ml/kg in caso di disidratazione modesta; mantenimento + 100 ml/kg in caso di disidratazione severa con shock) Controllare frequentemente la glicemia capillare per il rischio di ipoglicemia durante l’infusione di soluzioni prive di glucosio. E’ utile somministrare soluzioni a concentrazione di sodio simili alla soluzione fisiologica con aggiunta di glucosio al 5% con l’obiettivo di correggere eventuali diselettrolitemie. Tale correzione va eseguita lentamente (almeno 48 ore) in quanto correzioni rapide della natremia possono associarsi a gravi effetti collaterali (edema cerebrale, convulsioni, mielinolisi pontina centrale) L’aggiunta di potassio nella soluzione deve essere effettuata con cautela e dopo verifica della ripresa della diuresi. Solo in caso di chetoacidosi diabetica, dove è sempre presente una importante ipokaliemia durante la reidratazione, è utile aggiungere quantità più importanti di potassio (40 mEq/l) É preferibile utilizzare soluzioni precostituite minimizzando la preparazione estemporanea delle stesse essendo questa legata al rischio di gravi eventi avversi solitamente legati ad errori di preparazione delle soluzioni In caso di acidosi lieve è in genere sconsigliabile la somministrazione di larghe quantità di bicarbonati per i rischi ad essi connessi (spesso sovrastima del deficit, importante carico di sodio, rischi di ipopotassiemia) . In caso di acidosi lieve la somministrazione di liquidi e il ripristino di un adeguato volume circolante sono di per sé sufficienti a migliorare il pH ematico. In caso di chetoacidosi diabetica l’aumento della concentrazione di glucosio nei liquidi da somministrare con contemporanea aumento della dose di insulina migliora di per sé il pH ematico. La correzione con bicarbonati può essere indicata in patologie renali quali acidosi tubulare e disidratazione in corso di acidosi lattico-metaboliche. La supplementazione si calcola con la formula: - (deficit teorico di HCO3 in mEq/l) = 1/3 di eccesso base x kg Si inizia con somministrazione della metà del deficit in infusione e.v. lenta in 2 ore in soluzione 1:1 con soluzione fisiologica, il resto nelle restanti 22 ore. 3 In caso di disidratazione iponatriemica lieve-moderata asintomatica si infonde soluzione fisiologica + glucosio 5% cercando una correzione della natremia in 24-48 ore. In caso di iponatriemia grave sintomatica è richiesta una correzione con soluzione ipertonica infondendo in 1-4 ore tanto più rapidamente quanto più grave è l’iponatriemia soluzione salina ipertonica (NaCl 3%: 3mEq/ml) ottenuta diluendo sol. glucosata 5% con NaCl [mEq di Na da infondere in 24 ore = (125 – Na attuale) x Kg x 0,6] In caso di disidratazione ipernatremica è necessaria una lenta correzione in 48-72 ore, a seconda dell’entità dell’ipersodiemia, per evitare l’edema cerebrale (non superare riduzioni di 12 mEq/L in 24 ore) Utilizzare anche in questo caso soluzione fisiologica + glucosio al 5% con aggiunta di KCl e Calcio. Controllare glicemia e calcemia per il rischio di episodi ipoglicemici o ipocalcemia. In caso di disidratazione ipernatremica avvisare rianimatore per alta mortalità In caso di chetoacisodi diabetica la somministrazione di liquidi deve accompagnarsi a terapia insulinica per via ev a basso dosaggio (0,1 U/kg/ora) evitando boli di insulina all’inizio della reidratazione. La somministrazione di liquidi non deve in genere superare 4 L/mq/die per il rischio di edema cerebrale. In caso di riduzione della glicemia al di sotto di 300 mg/dl è necessario utilizzare glucosio 5% per evitare ipoglicemia ed aumentare ulteriormente la concentrazione di glucosio se persiste pH basso. In merito verranno presentati casi clinici esplicativi. 4 IL DOLORE TORACICO NEL BAMBINO Domenico Minasi*, Elda Pitrolo** *UOC di Pediatria-ASP di Reggio Calabria ** Università degli Studi di Messina, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Scuola di Specializzazione in Pediatria Il dolore toracico è un sintomo comune in età pediatrica e rappresenta una causa frequente di richiesta di visita medica sia tra i pediatri di famiglia che in pronto soccorso. Negli USA, dopo il soffio cardiaco, è il motivo più abituale di visita cardiologica . A causa della nota associazione dolore toracico - malattia cardiovascolare-morte improvvisa nell’adulto , spesso enfatizzata da campagne di educazione sanitaria pubblica, il dolore toracico rappresenta una fonte di allarme a tutte le età anche se nel bambino è raramente associato a pericolo di vita. In età pediatrica infatti il dolore toracico è più comunemente benigno, autolimitante, spesso non causato da una malattia per cui la possibilità che possa avere un’ origine cardiaca è molto più bassa rispetto all’adulto . Un’accurata anamnesi è fondamentale nell’approccio clinico al bambino con dolore toracico per analizzarne le caratteristiche, la localizzazione ,la durata, le variazioni in relazione a fattori diversi, se isolato o associato ad altri sintomi. Anche l’esame obiettivo deve essere condotto con cura tenuto conto che nel 40-60% dei casi risulta normale. In questi casi la definizione di dolore di natura “non organica” deve comunque rimanere sempre una diagnosi di esclusione. Il dolore toracico del bambino può essere causato da fattori diversi (Tab. 1 ). Il più comune è il dolore idiopatico (12-85%), seguito da quello muscolo-scheletrico (15-32%) e da quello polmonare (12-21%). Tab 1 CAUSE DI DOLORE TORACICO NEL BAMBINO Cardiaco: aritmie, patologie cardiache acquisite (pericarditi, vasculiti, cardiomiopatie), patologie cardiache congenite, soprattutto dopo intervento chirurgico. Respiratorio: infezioni, patologie della pleura, asma, inalazione di corpo estraneo, pneumotorace o pneumomediastino, irritazione da inalanti, respiro disfunzionale, ad esempio da iperventilazione, neoplasia toracica Gastrointestinale: reflusso gastroesofageo, esofagite, gastrite, spasmo esofageo, acalasia, corpo estraneo esofageo, pancreatite, ascesso sotto diaframmatico. Muscoloscheletrico: sindromi dolorose a carico delle coste e delle articolazioni (sindrome di Tietze, costocondrite, traumi, sindrome da scivolamento costale); a carico dello sterno; a carico della muscolatura toracica ed intercostale; a carico della colonna dorsale (traumi, tumori, infezioni ecc). Psicogeno: respiro disfunzionale Altre cause : dolore da sviluppo mammario, da herpes zoster, “Precordial catch” Le cause cardiache sono invece più rare (<4%) ma potenzialmente letali per cui devono essere prontamente individuate. In tal senso una particolare attenzione va rivolta a quei bambini che hanno un’anamnesi familiare positiva per morte improvvisa o per infarto acuto del miocardio , per aritmie o cardiomiopatie, che hanno una patologia cardiaca precedentemente diagnosticata ,che presentano un soffio cardiaco oppure sintomi specifici che devono sempre essere accuratamente indagati (Tab 2 ). Tab 2 SINTOMI CHE IMPONGONO UN APPROFONDIMENTO DIAGNOSTICO dolore precordiale opprimente a sinistra o nell’area sottosternale dolore irradiato al braccio sinistro, alla mandibola ,al collo, al dorso o all’addome dolore che esordisce con lo sforzo e diminuisce a riposo dolore associato a vertigini o a sincope, a nausea o sudorazione palpitazioni ,cianosi, alterazioni nell’obiettività cardiaca Il dolore toracico cardiovascolare può essere causato da processi infiammatori del pericardio o del miocardio, oppure da aritmie o da disfunzione ischemica ventricolare . In questi casi è caratteristicamente un dolore profondo, che dà una sensazione di soffocamento o schiacciamento , che può essere scatenato da uno sforzo fisico , dal freddo, da stati emotivi o da pasti abbondanti. Anche la cardiopatie congenite, in particolare le lesioni ostruttive di grado severo (stenosi aortica, stenosi sottovalvolare aortica, stenosi polmonare) , possono causare dolore toracico. Il dolore ha spesso un carattere anginoso ed è sostenuto da un meccanismo ischemico. L’ischemia miocardica può ugualmente determinare dolore toracico nelle cardiomiopatie dilatative, sia ipertrofiche che dilatative, con o senza sforzo o aritmia, e nella coronaropatie (origine anomala, fistola, aneurisma e stenosi, anomalie di decorso). Un dolore toracico può presentarsi in circa il 20% del pazienti con prolasso della valvola mitralica .E’ spesso un dolore vago, di breve durata, localizzato alla punta senza un costante rapporto con sforzo o emozione, talvolta associato ad aritmia , probabilmente legato all’ischemia dei papillari o dell’endomiocardio. Le indagini strumentali devono essere effettuate sulla base del sospetto clinico emerso dall’anamnesi e dall’esame obiettivo. L’RX torace e l’ECG rappresentano quelle di primo livello. La radiografia del torace è 5 spesso normale ma può essere utile per rassicurare il paziente e la sua famiglia oltre che per escludere cause respiratorie o anomali strutturali della gabbia toracica. L’ECG, normale in moltissimi studi sul dolore toracico in età pediatrica, consente di evidenziare un’eventuale ischemia, anomalie strutturali o disturbi del ritmo e deve essere sempre eseguito se c’è un minimo sospetto. Se l’anamnesi familiare e patologia prossima e remota sono negative, in presenza di esame obiettivo negativo e ecg ed rx torace negativo, la possibilità che il dolore toracico sia di origine cardiaca è praticamente nulla. Bibliografia 1) A Ives, P E F Daubeney and I M Balfor-Lynn. Recurrent chest pain in the well child . Arch Dis Child 2010 95:649-654 April 6 2010 2) Danduran MJ, Earing MG, Sheridan DC, et al. Chest pain: characteristics of children/adolescents. Pediatr Cardiol 2008;29:775–81. 3) Drossner DM, Hirsh D a, Sturm JJ, et al. Cardiac disease in pediatric patients presenting to a pediatric ED with chest pain. Am J Emerg Med 2011;29:632–8. 4) Saleeb SF, Li WY V, Warren SZ, et al. Effectiveness of screening for life-threatening chest pain in children. Pediatrics 2011;128:e1062–8. 5) 15-minute consultation: A structured approach to the assessment of chest pain in a child EDUCATION AND PRACTICE 2014;99:4 122-126 6) Lipsitz JD, Gur M, Albano AM, et al. A psychological intervention for pediatric chest pain: development and open trial. J Dev Behav Pediatr 2011;32:153–7. 7) O’Connor M, McDaniel N, Brady WJ. The pediatric electrocardiogram: part I: age-related interpretation. Am J Emerg Med 2008;26:506–12. 8) O’Connor M, McDaniel N, Brady WJ. The pediatric electrocardiogram part II: Dysrhythmias. Am J Emerg Med2008;26:348–58. Miscellanea: dolore da sviluppo mammario. Da herpes zoster. “Precordial catch” o “fitta di Texidor”, dolore ben localizzato e di breve durata che colpisce soprattutto bambini tra i 6 e 12 anni ed origina verosimilmente dalla pleura parietale o da uno spasmo muscolare; di solito non si irradia e peggiora con l’inspirazione profonda. Dolore puntorio (stitch), che si localizza nella parte inferiore del torace o al fianco durante un esercizio fisico effettuato a breve distanza da un pasto o dall’assunzione di liquidi. A causa della ben nota associazione dolore toracico > malattia cardiovascolare/morte improvvisa negli adulti, il dolore toracico rappresenta una fonte di allarme in etàTuttavia nei bambini la possibilità che un dolore toracico sia cardiaco è molto più bassa rispetto agli adulti. Riferire routinariamente un dolore toracico allo specialista non è una buona idea: umenta la preoccupazione dei familiari e crea un sovraccarico ingiustificato sul sistema sanitario. CAUSE PIU’ FREQUENTI DI DOLORE TORACICO NEI BAMBINI Costocondrite (9-22%) Patologia della parete toracica (trauma o stiramento muscolare) (21%) Malattie respiratorie (soprattutto se associate a tosse) (15-21%) Possibili cause di dolore toracico: Idiopatico 12-85% Muscoloscheletrico 15-31% Polmonare 12-21% Psichiatrico 5-17% Gastrointestinale 4-7% Cardiaco 0- 4% Altro 4-21% Il dolore toracico nella popolazione pediatrica è raramente associato a pericolo di vita.Tuttavia, quando presente, una pronta identificazione è necessaria per evitare guai… Costocondrite: normalmente gonfiore in corrispondenza delle articolazioni costo sternali. Forma particolare la sindrome di Tietze che interessa la seconda e terza articolazione costale. Muscoloscheletrico: spesso secondarie a stiramenti muscolari. Talvolta associate a malformazioni della cassa toracica. Respiratorie: affaticamento muscoli respiratori ed irritazione pleurica. Gastrointestinale: spesso correlati a all’introduzione del cibo. Esofagite da sospettare nei bambini con dolore urente sottosternale che peggiora con la posizione declina o con la pressione addominale. Psicogene: spesso associato ad evento traumatizzante o luttuoso. Cause cardiache Rare (<4%) ma potenzialmente letali… !!!!! Dolore toracico cardiovascolare può essere causato da disfunzione ischemica ventricolare, processo infiammatorio pericardico o miocardico o aritmia. 6 Un dolore anginoso tipico è localizzato nel precordio o nell’area sottosternale, irradiato al collo, alla mandibola, alle braccia, al dorso o all’addome. La caratteristica è un dolore profondo, fortemente pressorio, che dà la sensazione di soffocamento o schiacciamento. Uno sforzo, il freddo, stati emotivi o grossi pasti possono scatenarlo. CARDIOPATIE CONGENITE Lesioni ostruttive di grado severo (stenosi aortica, stenosi sottovalvolare aortica, stenosi polmonare, vasculopatia polmonare, Eisenmenger). Stenosi lievi non sono in grado di determinare ischemia. Cause: aumentata domanda di ossigeno per tachicardia ed aumento pressorio. Tipo di dolore: spesso tipico anginoso PROLASSO VALVOLA MITRALICA E’ riportato nel 20% dei pazienti. Spesso vago, di breve durata, localizzato all’apice senza un costante rapporto con sforzo o emozione, probabilmente è legato all’ischemia dei papillari o all’endomiocardio. Talvolta associato ad aritmia. Spesso sono associate malformazioni toraciche che possono dare origine al dolore toracico. Cardiomiopatie Sia le dilatative che le ipertrofiche possono causare dolore per ischemia con o senza sforzo o aritmia. CORONAROPATIE Origine anomala, fistola, aneurisma e stenosi(Kawasaky), anomalie di decorso. Il dolore è tipicamente anginoso, tra i vari esami di routine spesso utile il cateterismo cardiaco. ABUSO DI COCAINA 1 Step: esclusione delle 3 cause più frequenti di precordialgie rappresentate da costocondrite, cause muscolo scheletriche e malattie respiratorie. Possono essere escluse dall’anamnesi e dall’esame obiettivo. 2 Step: esclusione di cause cardiache (0-4%). RX torace ed ECG sono necessari in aggiunta all’anamnesi ed attento esame obiettivo. 3 Step: escluse le precedenti si indaga su malattie di altri apparati incluse le forme psicogene e idiopatiche. STORIA E NATURA DEL DOLORE: natura del dolore, sintomi associati, fattori precipitanti e qualità del dolore. Importante ricordare che il dolore cardiaco è spesso da sforzo ed il tipo è pressorio o schiacciamento non trafittivo. 7 8 Il dolore toracico in età pediatrica è frequente e per lo più benigno. Un’attenta anamnesi ed un esame obiettivo accurato sono cruciali per identificare tempestivamente i casi ad alto rischio che rendono necessaria un’immediata valutazione specialistica con conseguente diagnosi e trattamento. Un rapporto a lungo termine con i pazienti e le loro famiglie è necessario allo scopo di rassicurarle e permettere una risoluzione dei sintomi. 9 L’ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE, ASPETTI CLINICI E TERAPEUTICI Valeria Gerloni Reumatologia Pediatrica, Istituto Ortopedico Gaetano Pini, Dipartimento e Cattedra di Reumatologia dell’Università di Milano L'Artrite Idiopatica Giovanile (AIG) è la più frequente malattia reumatica dell’infanzia e dell’adolescenza. È definita dalla comparsa di un’artrite ad eziologia ignota, della durata di almeno 6 settimane, che insorge entro il compimento del 16° anno d’età, deve essere esclusa ogni altra causa nota di artrite. È una delle più comuni malattie croniche in età pediatrica, la sua incidenza varia tra 7 e 21 nuovi casi su 100.000 bambini all’anno e la prevalenza tra 121 e 220 su 100.000 bambini. L'AIG è una malattia autoimmune (con l'esclusione della forma sistemica che oggi tende ad essere considerata una patologia autoinfiammatoria espressione di un'alterazione della risposta immunitaria innata) ed è espressione di un complesso trait genetico. Nella patogenesi giocano un ruolo importante sia un’anomala immunoregolazione sia la produzione di citochine. L’attivazione dei linfociti T, caratterizzata da un pattern di produzione citochinica di tipo Th1 tipico della risposta d’ipersensibilità ritardata o cellulo-mediata, è un momento fondamentale nella patogenesi dell’AIG. Viceversa le citochine Th2, presenti nel liquido sinoviale solo in minima quota, sembrerebbero essere associate con una malattia più benigna (oligoarticolare, non erosiva e autolimitantesi. Dall'altro canto, la presenza in circolo di auto-anticorpi non organo-specifici, quali Anticorpi Antinucleari [ANA], Fattore Reumatoide [FR], Anticorpi anti-peptide citrullinato ciclico [anti-CCP], e di immuno-complessi suggerisce il possibile ruolo anche di un'alterazione dell'immunità umorale. La maggior parte dei bambini con AIG risultano sieronegativi con i comuni test per l'evidenziazione del FR (Latex-test o RA-test e Waaler-Rose), ma sono sieropositivi per i cosiddetti FR nascosti, evidenziabili con altre metodiche non routinarie. Il possibile ruolo scatenenante delle infezioni è suffragato dall'osservazione che l'AIG è particolarmente frequente nei bambini che presentano quadri di immunodeficienza, quali soprattutto il deficit selettivo di IgA, e che un’artrite cronica simil-reumatoide si manifesta nei bambini con ipogammaglobulinemia. L’infezione più spesso chiamata in causa, come possibile momento scatenante o patogenetico, in particolare per la forma sistemica, è quella da Parvovirus B19, ma in alcuni casi è stata documentata anche un'infezione persistente da virus della rosolia, e questo virus è stato isolato dalla membrana sinoviale di alcuni bambini con AIG. E’ documentato il possibile esordio di un’AIG dopo le vaccinazioni (morbillo, rosolia, parotite, epatiteB), ma anche al contrario la guarigione della malattia dopo infezioni virali e vaccinazioni (in particolare morbillo e antimorbillo). Il significato dell'associazione con particolari alleli HLA non è ancora del tutto noto. Questi alleli potrebbero presentare con maggior efficienza gli antigeni patogeni alle cellule immunocompetenti. Un'altra ipotesi deriva dall'osservazione che due proteine del virus di Ebstein-Barr presentano omologie di sequenza con gli alleli del sistema HLA associati con l'AIG oligoarticolare, per cui i linfociti T attivati dall'incontro con l'antigene esogeno (le proteine del virus di Ebstein-Barr) manterrebbero uno stato di attivazione anomala e persistente, secondario al riconoscimento delle proteine self (gli antigeni HLA). In conclusione, si può ipotizzare che un agente infettivo che colpisce un bambino in un momento di vulnerabilità (condizionato dall'età, dall'immaturità immunologica, da una malattia intercorrente, dalla precedente esposizione antigenica, o dalla particolare predisposizione immunogenetica) dia luogo alla patologia. Anche per le forme associate con l'HLA B27 si pensa che nella patogenesi abbia un ruolo centrale un meccanismo geneticamente determinato. All'associazione con questo HLA potrebbe essere correlata un'infiammazione sub-clinica del tratto gastroenterico. Un’ipotesi patogenetica è quella di un meccanismo d’immunità crociata sulla base di un mimetismo molecolare tra una sequenza aminoacidica di alcune specie di Klebsiella e certe molecole HLA B27. Caratteristiche cliniche Già nel secondo semestre di vita si può vedere l’esordio di un’AIG, soprattutto delle forme oligo o pauciarticolari (EOPA= Early Onset Pauciarthritis) e delle forme sistemiche, che sono le forme più tipiche dell’età pediatrica. Il picco dell’età d’esordio è tra 1 e 3 anni, e questa distribuzione è particolarmente pronunciata nelle bambine con Oligoartrite, un secondo picco è intorno ai 9 anni, il contributo dei maschi e delle femmine a questo secondo picco è all’incirca uguale, questo picco in fase prepuberale potrebbe rappresentare l’esordio precoce delle forme correlate all’HLA B27. La forma sistemica e la poliarticolare non presentano un picco d’insorgenza (la sistemica presenta un lieve aumento della frequenza d’insorgenza prima dei 4 anni). Considerando tutte le forme di AIG, le femmine sono circa il doppio dei maschi, nella forma poliarticolare le femmine sono il triplo dei maschi, per la forma oligoarticolare questo rapporto sale fino a circa 7:1, mentre la forma sistemica colpisce maschi e femmine in egual proporzione. Come nell'adulto, caratteristica comune del dolore articolare infiammatorio è la sua presenza, associata a rigidità articolare, soprattutto al risveglio mattutino e dopo periodi di prolungata immobilità (“morning stiffness” e “gelling”), mentre durante la giornata c’è un progressivo, più o meno rapido, miglioramento fino alla risoluzione dei sintomi. La sede di gran lunga più frequentemente interessata dall’artrite nel bambino è il ginocchio, soprattutto nelle forme oligoarticolari e all’esordio della malattia. Tipico delle forme giovanili è l’interessamento delle 10 Articolazioni Temporo-Mandibolari (ATM) (presente, quasi costantemente, anche se spesso in modo asintomatico all’esordio, in tutte le forme di AIG) e l’interessamento del rachide cervicale a livello delle interapofisarie (a differenza di quanto avviene nell’adulto dove vediamo coinvolta l’articolazione atlanteepistrofeo). A volte, una tenosinovite isolata (ad esempio una tenosinovite degli estensori del polso) può rappresentare il quadro di esordio. Molto frequente è la cisti sinoviale di Baker al cavo del poplite. E' invece assente la sindrome del tunnel carpale, comune nell’adulto. Solitamente l’artrite ha un andamento recidivante con periodi in cui i sintomi si attenuano, o spariscono, e altri in cui si riacutizzano. La riacutizzazione spesso avviene dopo una malattia infettiva (influenza, tonsillite, varicella) o senza cause apparenti. Alcuni bambini possono presentare solo uno o pochi episodi di riacutizzazione, in altri, invece, l’artrite ha un’evoluzione cronica e può persistere attiva anche in età adulta. Classificazione (categorie ILAR) Secondo la classificazione ILAR del 2001 (Edmonton, seconda revisione dei criteri di Durban 1997) l’Artrite Idiopatica Giovanile viene suddivisa in 7 categorie. 1) Artrite Sistemica o morbo di Still, rappresenta il 10-20% dell’insieme dell’AIG. Può insorgere lungo l’intero arco dell'età pediatrica, già dal 2° semestre di vita. L'esordio dopo l'adolescenza (morbo di Still dell'adulto) è raro. La diagnosi poggia sulla presenza di 2 criteri maggiori obbligatori, febbre e artrite, più almeno uno di 4 criteri minori: rash, linfoadenopatia generalizzata, epato-splenomegalia, sierositi. La febbre dell’AIG sistemica, perché abbia valore di criterio classificativo, deve durare complessivamente almeno due settimane e deve essere presente, con puntate quotidiane, per almeno 3 giorni consecutivi. La febbre può accompagnare o precedere l'esordio dell'artrite, è solitamente molto elevata (39-40°C), tipicamente intermittente, a puntate uni o biquotidiane, e si ripete in modo "curiosamente regolare" ("curiously regular", come già aveva sottolineato G.F. Still), tutti i giorni solitamente alla stessa ora, con un andamento che è altamente evocatore per la diagnosi. La febbre, solitamente, si accompagna a una maggior intensità del dolore articolare e al caratteristico rash. La febbre di solito dura poche ore e poi, anche spontaneamente, la temperatura ritorna a valori normali, o addirittura subnormali, soprattutto nei casi trattati con salicilati o FANS. L’artrite, necessaria per la diagnosi, solitamente è presente fin dall’inizio, o compare poco dopo l’esordio febbrile, ma è possibile che l’intervallo tra la comparsa dell’artrite e l’esordio febbrile sia più prolungato (è stata descritta una latenza tra l’esordio febbrile e la comparsa dell’artrite fino a 10 anni), sono questi i casi che presentano le maggiori difficoltà diagnostiche e che venivano un tempo indicati con l’eponimo di sindrome di Wissler-Fanconi. L’artrite solitamente diventa preminente nel quadro clinico quando le manifestazioni sistemiche regrediscono. Il rash è presente dal 50 al 90% dei casi, ha l’aspetto morbilliforme di maculo-papule rosacee, discrete o confluenti, è ubiquitario, ma localizzato soprattutto al tronco e alla radice degli arti, solitamente è evanescente, si accompagna alle puntate febbrili e scompare nel giro di poche ore, solo occasionalmente è pruriginoso, può essere evocato dallo sfregamento della cute. Possono essere presenti (50-75% dei casi), soprattutto nelle fasi d’esordio e di riacutizzazione della malattia, altri sintomi sistemici come l’epatomegalia e soprattutto la linfoadeno e spleno-megalia, che possono essere veramente marcate, generando il dubbio diagnostico di una forma linfomatosa o di una Leishmaniosi, e possono persistere anche nelle fasi di cronicizzazione. Possono essere interessate tutte le stazioni linfonodali superficiali (comprese le epitrocleari) e profonde (come le mesenteriche il cui coinvolgimento può essere responsabile di quadri di dolore addominale acuto). L’interessamento sierositico, soprattutto sotto forma di pericardite essudativa, è un sintomo molto frequente (3550%), meno frequenti la pleurite (30%) e la peritonite sterile. Il dolore addominale, da peritonite sterile o adenite mesenterica, talora simulante un quadro di addome acuto, è presente nel 10% circa dei casi. Le alterazioni di laboratorio consistono in un'importante elevazione dei reattanti della fase acuta (VES, PCR, fibrinogeno e ferritina) con leucocitosi neutrofila, trombocitosi e grave anemia microcitica iposideremica. L’iperferritinemia spiccatissima, in particolare, è un elemento estremamente evocatore della diagnosi di morbo di Still. Solitamente sono assenti gli ANA e non è stata dimostrata per questa forma alcuna sicura associazione con gli antigeni d’istocompatibilità di classe II. Schematicamente possono essere distinti 3 tipi d'evoluzione dell’AIG sistemica: a) tipo I - poussée sistemica monociclica che guarisce senza esiti; b) tipo II - pousseés sistemiche policicliche che guariscono senza esiti o con esiti articolari più o meno importanti; c) tipo III - poliartrite cronicamente attiva con conseguenze muscoloscheletriche destruenti e invalidanti. 2) Poliartrite Sieronegativa rappresenta circa il 30% delle forme di AIG. Criterio classificativo è l’interessamento all’esordio (primi sei mesi) di almeno 5 articolazioni, ma spesso sono affette, sin dall’esordio o nel decorso successivo, molte o moltissime articolazioni. Spesso l'esordio è insidioso e indolente, talora sono presenti modici sintomi sistemici (febbricola, astenia, anoressia, irritabilità, stentato accrescimento staturo-ponderale). Solitamente, all'inizio sono colpite soprattutto le grosse articolazioni periferiche (ginocchio, polso, gomito e caviglia) e in modo non così rigorosamente simmetrico come nelle forme di AR dell'adulto, successivamente, e in genere nelle forme più gravi, possono essere interessate anche numerose piccole articolazioni delle mani e dei piedi. La deformazione ad asola o "en bouttonière" (flessione delle interfalangee prossimali e iperestensione delle distali) è possibile nelle forme giovanili, come in quelle dell’adulto, mentre la deformazione a collo di cigno (iperestensione delle interfalangee prossimali e flessione delle distali) è assente nell’AIG. Il rachide 11 cervicale, le ATM e le coxo-femorali sono spesso colpite, mentre la spalla lo è molto raramente. Sono abbastanza frequenti le tenosinoviti delle mani, sia dorsale degli estensori del polso sia volare dei flessori delle dita. Gli ANA sono positivi nel 25% circa dei casi. È’ possibile, nelle forme ANA positive, la complicanza oculare, sotto forma di irido-ciclite cronica (ICC), ma con frequenza inferiore rispetto all’Oligoartrite. In buona parte dei casi la prognosi a lungo termine è discretamente favorevole, ma si può evidenziare un subset che evolve verso una grave poliartrite destruente con importante rigidità e contratture come nell’Artrite Sistemica e la Poliartrite sieropositiva. Un fattore prognostico negativo è l'interessamento delle coxo-femorali che quasi inesorabilmente porta a gravi, invalidanti lesioni distruttive. 3) Poliartrite Sieropositiva, rappresenta circa il 5% o meno dell’insieme dell’AIG, si presenta solitamente nell'adolescenza, raramente prima degli 8 anni, ed è del tutto sovrapponibile all'AR dell'adulto per la predilezione del sesso femminile, l'interessamento simmetrico, precocemente erosivo, delle piccole articolazioni delle mani e dei piedi, l'interessamento dell’articolazione atlo-epistrofica, la sindrome del tunnel carpale, le possibili complicanze extra-articolari [quali noduli reumatoidi, vasculiti e fibrosi polmonare], l’associazione con l’HLA DR4 o DR1. La prognosi è grave perché la forma tende a mantenersi persistentemente attiva fin nell'età adulta, con gravi esiti invalidanti. A questa forma soltanto, secondo la classificazione Europea, andrebbe riservata la definizione di Artrite Reumatoide Giovanile in senso stretto. 4) L’Oligoartrite, è la forma più frequente (50-75% dei casi) per definizione possono essere colpite all'esordio (primi sei mesi) fino ad un massimo di 4 articolazioni. Si distinguono due sottocategorie: l’Oligoartrite Persistente, quando anche nel decorso successivo non vengono interessate più di quattro articolazioni, e l’Oligoartrite Estesa, quando invece vengono interessate dopo la fase d'esordio 5 o più articolazioni. Nell'ambito di questa forma è compresa quella che le classificazioni precedenti indicavano come Pauciartrite di Tipo I o Uveitis Related Arthritis che colpisce soprattutto le bambine in età prescolare, con un picco d'età d'esordio intorno ai 3 anni (EOPA), e si associa in un'elevata percentuale di casi alla positività degli ANA e all'interessamento oculare in forma di Uveite anteriore cronica (UAC) o Irido-Ciclite-Cronica (ICC). Nella maggioranza dei casi l’Oligoartrite interessa il ginocchio, molto spesso come unica localizzazione asimmetrica e poi la caviglia, ma può colpire anche qualche piccola articolazione delle mani o dei piedi, tuttavia sempre in modo limitato e tendenzialmente asimmetrico. Le ATM sono spesso colpite, più spesso in modo asimmetrico, determinando nell'apertura della bocca una caratteristica deviazione della mandibola verso il lato affetto. L'anca è praticamente sempre risparmiata, come lo è la spalla. L'andamento è recidivante, la prognosi articolare è buona, se viene messo in atto un tempestivo e adeguato trattamento. La prognosi oculare può essere grave. Nell’Oligoartrite Estesa solitamente l'estensione dell'impegno articolare oltre le 4 articolazioni avviene nel primo anno di malattia, l'andamento tende ad essere cronico e possono svilupparsi col tempo lesioni strutturali anche importanti. Nell’Oligoartrite gli indici d’infiammazione possono essere del tutto normali così come invece possono essere nettamente elevati soprattutto nella fase iniziale di malattia, non esiste una regola. È definita per queste forme l'associazione con l’HLA DR5 (in particolare l’allele DRB1*1104), DR8 (in particolare DRB1*0801) e il DPw2. 5) Artrite correlata all’entesite, Sindrome Sieronegativa-Entesite-Artrite (SEA) o Enthesitis Related Arthritis (ERA) secondo la definizione dell'ILAR, viene considerata l'equivalente nel bambino della Spondilite Anchilosante dell’adulto (SA). Molti dei ragazzi con SEA/ERA non presentano l'interessamento delle sacroiliache che è necessario per porre la diagnosi di Spondilite Anchilosante Giovanile (SAG) secondo i criteri di NewYork, inoltre, benché i ragazzi con SEA/ERA possano sviluppare una spondilite in età adulta, l'impegno assiale del rachide non è mai presente nell'età infantile. L’ERA è definita secondo i criteri ILAR dalla presenza di artrite più entesite oppure di artrite o entesite più almeno 2 su 5 criteri minori: dolore alla pressione delle sacroiliache e/o dolore lombosacrale di tipo infiammatorio, HLA B 27 positivo, storia familiare positiva per patologie correlate all'HLA B27 in almeno un parente di primo grado, Uveite Anteriore Acuta (UAA) sintomatica, esordio dell'artrite in un maschio maggiore di 6 anni. Il FR è per definizione negativo e gli ANA lo sono quasi sempre. L’ERA solitamente colpisce maschi puberi o prepuberi, dopo i 10 anni d'età, e si manifesta come un'oligoartrite asimmetrica degli arti inferiori, soprattutto delle grosse articolazioni periferiche (ginocchio e caviglia), ma anche delle metatarso-falangee, interfalangee dei piedi e intertarsiche. Anche le coxo-femorali sono spesso interessate e possono essere la localizzazione d'esordio della malattia (a differenza dell’Oligoartrite che eccezionalmente, e solo tardivamente, può coinvolgere questa sede). Un'altra manifestazione caratteristica è l'impegno doloroso delle costo-sternali, delle sterno-clavicolari e delle costo-trasversarie che può associarsi con una limitazione della capacità di espansione della gabbia toracica. L'artrite si associa con elevata frequenza (60% circa) ad entesite, caratteristicamente una manifestazione precoce della malattia, più frequente che nella SA dell'adulto. Il dolore entesitico, in particolare la talalgia può essere molto intenso e disabilitante, talora cronicizza e si associa ad erosioni e proliferazioni ossee. La dattilite (tumefazione di un intero dito della mano o del piede, cioè estesa oltre il limite anatomico dell'articolazione) dovuta alla combinazione di sinovite articolare e tenosinovite dei tendini flessori è frequente (25%). Viene considerata un particolare tipo d'entesite. La tenosinovite dei flessori è frequente anche nelle altre forme di AIG, ma nell’ERA il processo infiammatorio coinvolge non solo la guaina sinoviale dei tendini ma anche i tessuti molli circostanti. La tenosinovite dei flessori delle dita si accompagna all’evidenza radiologica di periostite (mentre è importante sottolineare che la presenza di periostite in altre sedi articolari deve spostare il 12 sospetto diagnostico verso patologie infettive o neoplastiche). Anche se il quadro clinico preminente nel bambino è quello dell'artrite periferica oligoarticolare e non della sacroileite, questa è possibile, e relativamente frequente (50%), anche nei casi senza successiva evoluzione spondilitica. La sacroileite è spesso monolaterale, può essere clinicamente manifesta (25%) con dolore gluteo di variabile intensità, caratteristicamente monolaterale alternante, che talora si irradia alla faccia posteriore della coscia non oltre la rima articolare del ginocchio (cosiddetta "sciatica mozza"), oppure può essere dimostrata solo radiologicamente (33%). Con l'evoluzione in anchilosi la sacroileite diventa asintomatica. L’ERA può andare incontro a remissione persistente e apparentemente definitiva guarigione, oppure può avere un decorso recidivante. Un aspetto particolare dell’ERA è l'interessamento del piede a livello delle metatarso-falangee e delle interfalangee che in circa la metà dei casi può presentare l'aspetto di un'artrite erosiva (artrite erosiva del piede). La prognosi funzionale articolare è solitamente buona eccetto che per l'interessamento delle anche e la possibile evoluzione spondilitica. Nel 10-20% dei casi, soprattutto se HLA B27 positiva, l’ERA si associa a Uveite Anteriore Acuta (UAA), che raramente può precedere l'esordio delle manifestazioni muscolo-scheletriche, solitamente recidivante, monolaterale (ma spesso alternante nell'uno e nell'altro occhio), sintomatologicamente molto evidente (dolore, fotofobia, iniezione congiuntivale, visione offuscata, blefarospasmo), ma che tende a regredire spontaneamente, o con terapia topica steroidea, e senza esiti, nell'arco di 2-4 mesi. La prognosi oculare è solitamente buona. Le manifestazioni cardiovascolari (insufficienza aortica) e le anomalie della funzionalità respiratoria sono descritte anche nelle forme giovanili, ma sono meno frequenti che nell'adulto. 6) L'Artrite Psoriasica Giovanile (APsG) è abbastanza rara (1,7-15% di tutte le forme di AIG), è definita, secondo la classificazione ILAR, dalla presenza di artrite più psoriasi oppure di artrite più almeno 2 di 3 criteri: dattilite, anomalie ungueali (pitting od onicolisi), storia familiare positiva per psoriasi in un parente di primo grado confermata dal medico. La diagnosi di APsG può quindi essere posta anche se il bambino non presenta, o non presenta ancora, le manifestazioni cutanee della psoriasi. Non esiste parallelismo tra l'entità della psoriasi e dell'artrite, la prima può essere minima o limitata (solo psoriasi ungueale o al capillizio). La diagnosi è ovvia quando artrite e psoriasi si presentano contemporaneamente (<10-30% dei casi), oppure se la psoriasi precede l'artrite (30% dei casi), ma spesso l'artrite precede le manifestazioni cutanee (30-50% dei casi). La malattia predilige il sesso femminile (F/M=1,6), soprattutto nelle forme a esordio precoce, e può insorgere a qualsiasi età con una distribuzione bimodale dell'esordio con un primo picco nell'età prescolare (soprattutto bambine) e un secondo picco intorno ai 10 anni. In molti casi l’APsG, come definita dall’ILAR, assomiglia in tutto all’AIG Oligoarticolare per la presenza di ANA (25%) e la complicanza oculare in forma di ICC (14-18%). All'esordio la malattia si manifesta più spesso come una monoartrite o un'oligoartrite asimmetrica o una dattilite, presente nel 30-50% dei casi, con il tipico aspetto di dito a salsicciotto, più spesso del piede. L'andamento può essere recidivante, oppure persistente con impegno poliarticolare aggiuntivo, ma con distribuzione più spesso asimmetrica. Le articolazioni più frequentemente colpite sono, nell'ordine: il ginocchio, la caviglia, le interfalangee della mano, il polso, le metacarpo e metatarso-falangee, le ATM, le interfalangee del piede, l'anca e il gomito. La tumefazione isolata di una sola interfalangea della mano o del piede è suggestiva per APsG. I cingoli pelvico e scapolare sono relativamente risparmiati. Talora l'artrite ha carattere distruttivo e dislocante. Relativamente raro è l'impegno delle sacro-iliache ed eccezionale l'evoluzione spondilitica. Anche l'evidenza clinica di un'entesite è insolita, mentre sono possibili tenosinoviti isolate non associate a dattilite (dei flessori delle dita, estensori dei piedi, tibiale posteriore e peronei). 7) Artrite Indifferenziata. In questo gruppo viene classificata l’artrite che non soddisfa i criteri classificativi delle altre categorie o soddisfatta i criteri di due o più categorie. Terapia La terapia farmacologia si basa inizialmente (e solo per il più breve tempo possibile, nell’attesa degli accertamenti volti a formulare una diagnosi d’esclusione) sui farmaci anti-infiammatori non-steroidei o FANS. Quelli più usati nell’AIG sono: naprossene (15-20 mg/kg/die), ibuprofene (30-40 mg/kg/die), flurbiprofene (57,5 mg/kg/die), indometacina (3-5 mg/kg/die). Solo per il meloxicam esiste un trial controllato che dimostra nel bambino con AIG l'efficacia e sicurezza di un FANS ad azione più selettiva. Gli steroidi devono essere utilizzati in condizioni di particolare gravità (malattia sistemica attiva e non altrimenti controllabile, impegno articolare invalidante che costringa all’allettamento, uveite refrattaria) o come “bridge therapy” all’inizio dell’approccio terapeutico, nell’attesa della risposta ai i cosiddetti “farmaci di fondo” o “Disease Modifying Anti-Rheumatic Drugs (DMARDs). Una volta ottenuto l’effetto desiderato è importante che il dosaggio degli steroidi venga progressivamente, anche se lentamente, ridotto fino alla sospensione, per evitare i suoi effetti secondari, particolarmente dannosi nel bambino, quali il ritardo/arresto della crescita staturale e il mancato raggiungimento del picco ideale di massa ossea o addirittura la perdita di massa ossea e le fratture vertebrali. La seconda categoria di farmaci che abbiamo a disposizione per curare l’AIG sono i DMARDs (metotrexate, ciclosporina, idrossiclorochina, leflunomide, azatioprina). Questi farmaci, sono anche chiamati farmaci ad “azione lenta” (slow acting antirheumatic drugs) in quanto la loro efficacia si manifesta in pieno solo dopo 3-6 mesi di terapia e perciò vanno, inizialmente, associati ai FANS e/o al prednisone, che danno un sollievo 13 immediato ai sintomi e, per quando riguarda il prednisone, sembra impedire o ridurre nelle forme precocemente aggressive il danno erosivo. Tutte le forme, indipendentemente dal quadro d’esordio, possono evolvere verso una poliartrite cronica erosiva, ma non disponiamo ancora di sicuri criteri prognostici che ci consentano di individuarle e trattarle precocemente con le terapie più aggressive, con l’intento di prevenirne gli esiti invalidanti. Fino all’inizio del 2000 gli unici DMARDs approvati per l’AIG, erano il Metotressato (MTX) e la salazopirina. Il MTX si è imposto come DMARD di prima scelta per le forme a evoluzione poliarticolare. Tuttavia, alcuni bambini non hanno un’adeguata risposta, pur incrementando le dosi, e molti sviluppano un’intolleranza, con nausea e vomito (“nausea anticipatoria”) e malessere generale, con meccanismo centrale riflesso, che rendono impossibile la prosecuzione del trattamento. Per altri DMARDs, o non esiste l’evidenza della loro efficacia, mancando studi clinici controllati, come per i sali d’oro iniettabili e la ciclosporina, oppure, in studi controllati, si sono dimostrati inefficaci come la penicillamina, l’idrossiclorochina, i sali d’oro per os e le immunoglobuline umane endovenose ad alte dosi. Questo ha portato a sperimentate, in casi refrattari e gravi, anche un approccio terapeutico più aggressivo con il trapianto di cellule staminali autologhe. Tuttavia, i benefici di queste opzioni terapeutiche rimangono discutibili e in ogni caso la percentuale dei casi responders ai DMARDs non supera il 60-70%. La terapia dell’AIG, quindi, è spesso molto problematica e gli insuccessi non rari: prima dell'epoca delle terapie anti-TNF, a cinque anni dall’esordio, più del 25% delle poliartriti e quasi il 50% delle forme sistemiche, presentava limitazioni funzionali, e quasi i 2/3 di queste forme presentavano lesioni articolari radiograficamente evidenti. C’è stato, dunque, spazio negli ultimi anni, per sperimentare le terapie anticitochiniche (anti-TNF in particolare) e anti-linfociti, più selettive ed efficaci dei DMARDs convenzionali. Attualmente sono pubblicati i risultati degli studi controllati, randomizzati e multicentrici del trattamento dell’AIG, con gli inibitori del TNF (Etanercept, Infliximab, Adalimumab), l’inibitore dell’IL-6 (Tocilizumab), l’inibitore dell’IL-1 (Canakinumab) e con l’inibitore del linfocitaT (Abatacept). L’Etanercept, che è stato il primo approvato e quindi il più utilizzato nella pratica clinica, può essere somministrato come mono-terapia, tuttavia, la combinazione degli antagonisti del TNF con i DMARDs sembra, in genere, aumentarne l’efficacia e la sicurerzza. L’Etanercept si è rivelato efficace e sicuro anche quando combinato con MTX, con MTX più idrossiclorochina, con MTX più salazopirina e con leflunomide. Nell’età evolutiva, una precoce introduzione dell’Etanercept, sopprimendo l’infiammazione e favorendo il risparmio steroideo, sembrerebbe ridurre il rischio di osteoporosi e di deficit della crescita. Le esperienze con l'anticorpo monoclonale umanizzato anti-TNF Infliximab sono state meno numerose, in quanto non approvato dalla FDA e dall'EMEA per l’uso nell’AIG ma solo per il trattamento dell'UAC che si associa all'AIG. Ma sin dalle prime esperienze cliniche, tra cui la nostra, l’inibizione del TNF con l’anticorpo chimerico monoclonale, associato a MTX (la combinazione con MTX è la regola) ha portato nell’AIG attiva e refrattaria al MTX e uno o più altri DMARDs, a una riduzione clinicamente sorprendente, dell’attività di malattia, associata a un miglioramento della qualità di vita. Già subito dopo le prime infusioni, la maggioranza dei pazienti riferisce un miglioramento del dolore e della rigidità mattutini e una riduzione dell’astenia. Anche l’inibizione del TNF con l’anticorpo monoclonale umano Adalimumab, sia da solo, sia in combinazione con MTX, ha portato, a un rapido miglioramento dei sintomi clinici e dei parametri di laboratorio L’inibizione del TNF sembra essere meno efficace sui sintomi sistemici (rash e febbre) dell’AIG sistemica che non sull’artrite, e le recidive febbrili sono frequenti pur continuando la terapia. I pazienti con AIG sistemica ad evoluzione poliartritica, che non presentano più sintomi sistemici, possono, invece, avere una risposta clinica paragonabile a quelli delle altre categorie ILAR. La scarsa efficacia dell’inibizione del TNF sull’attività sistemica dell’AIG, era ipotizzabile sulla base delle osservazioni che indicavano l’IL-6 come principale responsabile delle manifestazioni sistemiche della malattia, osservazioni confermate dalla drammatica efficacia su queste manifestazioni dell'anticorpo monoclonale umanizzato Tocilizumab (inibitore di IL-6). Più recente è la dimostrazione dell'importanza patogenetica dell'IL-1 nell'AIG sistemica e quindi dell'efficacia terapeutica della sua inibizione sia con l'antagonista recettoriale Anakinra, l'Anakinra attualmente è entrato nella pratica clinica del trattamento della fase sistemica dell'AIG sistemica non responsiva, sia con l’anticorpo monoclonale anti il-1 Canakinumab. L’efficacia dell’inibizione del TNF sull’UAC, che spesso complica l’AIG oligoarticolare, non è chiara, anzi, sono stati descritti casi di riattivazione o di esordio di questa complicanza dopo l’inizio della terapia, in particolare con l’Etanercept. l’Etanercept sembra inefficace nella prevenzione delle recidive dell’ICC. Invece, vi sono studi clinici e una vasta esperienza clinica nei centri di riferimento terziari, sull’efficacia degli anticorpi monoclonali anti-TNF (Infliximab e Adalimumab). Il TNF ha un ruolo importante anche nella patogenesi dell’entesite, la sua inibizione, sia con Infliximab sia con Etanercept, è efficace sull’artrite e l’entesite nelle ERA refrattarie. In queste forme, inoltre, l’Infliximab sembra essere efficace anche nella terapia dell’uveite anteriore acuta. Con il sempre più vasto impiego dei biologici, sono emersi alcuni rari EA, che non erano apparsi nei trial clinici pilota. Tuttavia, molti di questi (ad esempio: linfomi e infezioni) possono essere associati sia con la patologia di per sé sia con le concomitanti e precedenti terapie immunosoppressive. Generalmente, la tollerabilità della terapia anti-TNF nell’AIG è buona. Il più comune EA sia con l’Etanercept che con Adalimuab sono le per lo più lievi e transitorie reazioni cutanee nella sede dell’iniezione. Con l’Infliximab, il più comune EA è la reazione all'infusione (RI) con sensazione di costrizione toracica, dispnea, arrossamento del volto e orticaria. I secondi più frequenti EA, con entrambe le terapie, sono state manifestazioni 14 di coinvolgimento del SNC (da segni aspecifici, come emicrania, vertigini, astenia, iperattività e ansia, a casi più rari di sindromi da amplificazione del dolore, importanti alterazioni comportamentali come un’inusuale aggressività, sindromi neuro-psichiatriche maggiori come attacchi di panico, depressione, sindromi ossessivocompulsive e infine a rarissimi segni neurologici organici quali neurite ottica, sintomi di demielinizzazione). Particolarmente temuta è la potenziale azione pro-infettiva degli inibitori del TNF e dell’IL-6 (più sicuri in questo senso sembrano essere gli inibitori dell’IL-1 che tuttavia sono indicati solo nel trattamento delle forme sistemiche). Nell’AIG sono state riportate per lo più infezioni delle vie respiratorie superiori o delle vie urinarie, facilmente curate con la terapia antibiotica, ma anche rari casi di gravi sepsi. Attualmente il FDA richiede che il trattamento sia temporaneamente sospeso in corso di episodi infettivi, e questa è la regola nella pratica clinica nell’AIG. Una particolare preoccupazione in età pediatrica è l’azione immunodepressiva dei farmaci biologici in bambini esposti al virus della varicella. Attualmente si consiglia di vaccinare i bambini non-immuni almeno tre mesi prima di iniziare la terapia oppure, qualora siano stati esposti al contagio, o sviluppino la varicella durante la terapia con anti-TNF, di sottoporli subito alla profilassi con immunoglobuline iper-immuni e/o ad un’aggressiva terapia anti-virale. La somministrazione di vaccini vivi, ai bambini che assumono gli anti-TNF, è controindicata, sarebbe preferibile che essi fossero stati sottoposti a tutti i vaccini obbligatori, prima di iniziare la terapia. Nella esperienza del nostro Dipartimento (che comprende un’Unità pediatrica e due dell’adulto) le infezioni gravi sembrano essere più frequenti nell’AR che non nell’AIG. I bambini affetti da AIG, infatti, hanno meno opzioni terapeutiche, l’unico DMARD dimostratosi efficace e sicuro in un ampio trial controllato è il MTX, per questo motivo i bambini spesso ricevono l’indicazione alla terapia anti-TNF in una fase più precoce di malattia che non gli adulti e sono, quindi, meno esposti a precedenti trattamenti immunosoppressivi di lunga durata e all’immunodepressione cronica dovuta alla persistente e incontrollata attività di malattia. Uno dei più gravi EA dell’inibizione del TNF è la potenziale riattivazione di una tubercolosi latente, principalmente con l’Infliximab, ma è quasi completamente scomparso da quando è stato reso obbligatorio lo screening e, nel caso di un risultato positivo della Mantoux, la profilassi anti-TBC. Un’altra preoccupazione con l’inibizione del TNF è la sua potenziale azione di indirizzare la risposta immune dal braccio Th1 a quello Th2 e, dunque, di favorire la produzione di anticorpi e il nuovo esordio, o il peggioramento, di patologie allergiche o autoimmuni. Questo è il caso soprattutto dell’Infliximab a causa della sua prolungata soppressione della risposta Th1. Lo sviluppo di auto-anticorpi, tuttavia, raramente è seguito dallo sviluppo di una sindrome lupus-like. Rara ma temibile la possibile comparsa, di malattia infiammatoria (asettica) intestinale, con dolori addominali e diarrea cronica in pazienti sicuramente affetti da forme di AIG che non avevano mai sofferto di sintomi che potessero far ipotizzare una malattia infiammatoria cronica intestinale sub-clinica pre-esistente. Casi di mielodeppressione, con leucopenia, trombocitopenia o pancitopenia, sono stati osservati solo raramente nell’AIG trattata con gli anti-TNF, la neutropenia è invece più frequente nel trattamento con Tocilizumab. L’inibizione selettiva della costimolazione del linfocita T con Abatacept ha dimostrato di essere terapeuticamente efficace e sicura nell'AIG poliarticolare refrattaria, in uno studio controllato randomizzato in doppio cieco e nell'estensione in aperto ha mantenuto efficacia e sicurezza anche nel lungo termine. Abatacept è stato approvato per l'impiego come biologico di seconda linea nei casi che hanno fallito gli anti-TNF ed è generalmente ben tollerato. CONCLUSIONI Oggi abbiamo a disposizione un numero crescente di farmaci biologici anticitochine e antilinfociti (nota: Rituximab non è stato studiato nell'AIG) che impiegati precocemente e razionalmente, sembrano in grado di prevenire il danno invalidante a livello muscoloscheletrico, oculare e sistemico a cui potrebbe condurre la storia naturale dell'AIG. Attualmente, nell'UO di Reumatologia dell’età evolutiva del nostro Istituto, che ha una esperienza nell'impiego dei biologici nell'AIG iniziata nel 1999, con oltre 350 casi trattati con uno o più biologici per complessivi oltre 750 cicli di trattamenti, nei casi che hanno fallito il MTX, applichiamo la flow chart qui riportata (fig.1) BIBLIOGRAFIA 1. Petty RE, Southwood TR, Manners P, Baum J, Glass DN, Goldenberg J et al. International League of Associations for Rheumatology. International League of Associations for Rheumatology classification of juvenile idiopathic arthritis: second revision, Edmonton, 2001. 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Bertamino UOSD Area Critica della Medicina d’Urgenza DEA-IRCCS “G.Gaslini”- Genova Lo stroke è una “sindrome clinica caratterizzata dalla rapida insorgenza di segni neurologici focali o di una disfunzione cerebrale diffusa, della durata di almeno 24 ore o con esito mortale, senza cause apparenti al di fuori di un’origine vascolare”- OMS Ciò che caratterizza lo stroke (detto anche ictus) è pertanto un quadro clinico caratterizzato da insorgenza acuta di segni neurologici focali che persistono per un periodo superiore a 24 ore e che possono essere caratterizzati da emiplegia, segni piramidali, afasia, crisi convulsive ed evidenza neuroradiologica di una lesione ischemica/emorragica. Esso è dovuto ad un’occlusione improvvisa, in genere per presenza di un embolo o trombo, di un'arteria (stroke arterioso) o di una vena (trombosi dei seni venosi), oppure da improvvisa rottura di un vaso (stroke emorragico). EPIDEMIOLOGIA Lo stroke nei bambini ha una incidenza, secondo la letteratura mondiale, compresa tra 2,6-6,4 casi su 100000 bambini per anno. In Canada sono stimati essere 3,3/100.000/anno gli stroke ischemici pediatrici, con un rapporto tra stroke arteriosi e venosi di 3:1. e lieve predominanza maschile (60%) negli infarti ischemici arteriosi. In una recente revisione retrospettiva di un’ampia casistica di pazienti pediatrici con stroke emerge che il 45 % di infarti cerebrali in età evolutiva si verifica entro i primi 5 anni di vita. OUTCOME Exitus → 5-28% ( → dati più recenti 2-11%) Esiti neurologici motori e/o cognitivi, epilessia → 50 – 73% Ricorrenza totale: 20 – 33 % → 66% in 5 aa nei soggetti con anomalie vascolari identificate. Lo stroke in età pediatrica è una condizione patologica rara ma certamente sotto diagnosticata e, di conseguenza, spesso soggetta a malpractice. L’incidenza in età pediatrica è aumentata negli ultimi anni soprattutto per la maggiore sopravvivenza dei pazienti affetti da patologie predisponenti (es.cardiopatie congenite, anemia a cellule falciformi, etc) e anche per lo sviluppo e la maggiore utilizzazione di tecniche diagnostiche specifiche quali TC, RM angiografia, eco-doppler. E’ una delle dieci cause di morte più frequenti in pediatria. ASPETTI CLINICI ESSENZIALI Nella maggioranza dei casi (85 % circa) lo stroke è provocato da ischemia (infarto cerebrale). Le emorragie rappresentano il restante 15 % circa e sono distinte in cerebrali ( 10 % ) e sub aracnoidee ( 5 % ). La diagnosi differenziale tra ictus ischemico ed emorragico è difficilmente eseguibile solo con dati clinicoanamnestici, per cui il supporto delle indagini strumentali (Tomografia computerizzata e Risonanza magnetica) è indispensabile. Talvolta altre patologie neurologiche non vascolari possono simulare un ictus ponendo problemi di diagnosi differenziale (neoplasie, lesioni infettive o infiammatorie, patologia traumatica, crisi epilettiche di diversa origine, emicrania); è pertanto necessaria un'attenta e sensibile capacità clinica. Le condizioni predisponenti includono un ampio spettro di malattie come: malformazioni cardiache, anemia a cellule falciformi, infezioni, vasculopatie e anomalie del collagene, alterazioni dell'emostasi; peraltro circa la metà degli eventi ischemici insorgono in bambini senza precedenti o coesistenti patologie significative. L'insorgenza di ictus nei bambini si deve raramente a fattori di rischio “tradizionali” come l'ipertensione o il diabete. Lo stroke pediatrico risulta in genere dalla presenza simultanea di molteplici fattori, per cui è necessaria una valutazione approfondita. Il sospetto dello stroke da parte dei genitori e degli operatori sanitari dell'urgenza/emergenza è spesso tardivo, evidenziando la necessità di una maggiore consapevolezza e formazione sull'argomento. Molte situazioni in pediatria possono simulare un quadro di stroke ma la diagnosi di certezza necessita di neuroimmagini che non sempre sono disponibili tempestivamente in tutti gli ospedali e richiedono inoltre, quasi sempre, la sedazione dei bambini. Le immagini radiologiche delle arterie coinvolte nell’infarto rivelano condizioni patologiche vascolari nell’80% dei casi; uno stato di ipercoagulabilità associato a fattori di rischio protrombotico sembra essere determinante al fine dell’evento. Nel 15-36% dei bambini con Stroke ischemico e in circa l’11% di quelli con Stroke emorragico non si riesce ad identificare l’eziologia; sono pertanto definiti “criptogenici”e quindi “sine causa” identificata. Ulteriori zone grigie sull'argomento sono il trattamento, attualmente basato solo su raccomandazioni di esperti, e la mancanza di database nazionali per individuare le patologie più a rischio e attivare efficaci programmi di prevenzione. Lo stroke pediatrico ha spesso grosse ricadute sulla qualità di vita dei bambini che ne sono colpiti e delle famiglie, che dovranno dedicare molte risorse per l'assistenza in acuto e per la lunga riabilitazione. Sul piano 17 sociale i costi dell'assistenza ad uno stroke pediatrico sono stati stimati intorno ai 20000-30000 Euro, ma la cifra può superare i 100000 Euro per la gestione della riabilitazione. 18 FLOW-CHART STROKE In caso di accettazione di paziente trasferito da altro centro (allegato 1) Stabilizzazione del paziente e monitoraggio continuo funzioni vitali Posizionamento accesso venoso 02 terapia Esami ematochimici basali alterazione stato di coscienza/coma Ipotensione acidosi quadro convulsivo A M M I S S I O N E Trp anticomiziale BDZ: - via rettale - ev Terapia infusionale: 20’ ripetibili segni di lato intubazione e ventilazione assistita Ev. Ricovero UTI soluzione fisiologica 10 cc/kg in Primi dati anamnestici di inquadramento: traumi?cardiopatie o malattie sistemiche note o in atto? farmaci ? intossicazioni? Valutaz. cardiologica ed ecocardio se cardiopatia cianogena o portatore di protesi endovascolare TC CEREBRALE EMORRAGIA, INFARTO ESTESO, LESIONE EVOLUTIVA, O SEGNI DI IPERTENSIONE ENDOCRANICA E N T R O 2 4 h Ricovero UTI NEGATIVA Iniezione MDC infarcimento emorragico su danno ischemico mannitolo 1 gr/ kg ev NCH Consulto NCHEMATOL. per valutare opportunità terapia antitrombotica NEGATIVA Ricovero c/o Medicina d’Urgenza o UTI Terapia farmacologica: antibiotica/ antivirale antipiretica/anticomiziale/ steroidea valutazione neurologica Trp antitrombotica: EBPM ( deltaparina ) : 1 mg/kg/12 h (sino ad esclusione eziopatogenesi cardiologica ) poi Cardioaspirina 3-4 mg/kg/die 19 E N T R O Esecuzione di esami di II livello (allegato 4) Diagnosi differenziale (allegato 3) Scheda anamnesi (allegato 2) Consulenza neurologica + EEG per escludere encefalite o focolai epilettogeni 4 8 h RMN encefalo Visualizzazione del fatto ischemico entro 30’ minuti dall’evento. • RM con studio della perfusione → necessario accesso venoso che permetta infusione • Angio RMN Consulenza infettivologica Liquor? Valutazione cardiologica • Ecocardiogramma (+/- mdc) in urgenza se portatore di protesi endovascolare o cardiopatia cianogena. • Ecografia transesofagea (su indicazione del cardiologo) Allegati n. 1 In caso di trasferimento del paziente da altra struttura sanitaria: necessario colloquio telefonico tra anestesista e medico di PS dell’Istituto con il medico e/o l’anestesista della struttura che invia il paziente al fine di: • conoscere modalità ed orario di esordio della sintomatologia e terapie effettuate • valutare la necessità di effettuare il trasporto avendo già provveduto all’intubazione e all’applicazione di monitoraggio della saturazione del paziente n. 2 Raccolta anamnestica (scheda anamnesi) traumi?cardiopatie note?sintomi sistemici? malattie in atto o note? terapia in atto? varicella nell’ultimo anno? familiarità per trombofilie, eventi tromboembolici, fatti emorragici o patologie neurologiche o autoimmunitarie? possibili intossicazioni? n. 3 Diagnosi differenziale: gravi squilibri idroelettrolitici, epilessia, encefaliti, emicrania, patologie espansive intracraniche, ascessi cerebrali, idrocefalo scompensato, intossicazioni, malattie metaboliche n. 4 Esami di II livello: profilo autoanticorpale: Ab antifosfolipidi (aCL, GPI e LAC) , ANA, dsDNA, ANCA, ENA, C3e C4; colesterolo totale, trigliceridi, Apo A1 e B, LipoproteinaA; determinazione omocisteinemia basale; emoglobinopatie; ammoniemia; screening tossicologico su urine; Ab vs VZV; test gravidanza; screening trombofilico (compilare scheda) , dosaggio FX basale e dopo 4h dalla trp anticoagulante BIBLIOGRAFIA Lynch J et al “Report of the National Institute of Neurological Disorders and Stroke Workshop on perinatal and childhood stroke” Pediatrics 2002;109:116-123 Titomanlio L. et al “Pediatric ischemic stroke: acute management and areas of research” The Journal of Pediatrics 2013 Feb;162(2):227-35 Freundlich CL et al “Pediatric stroke” 20 Emerg Med Clin North AM. 2012 Aug;30(3):805-28 Mackay et al. “Arterial ischemic stroke risk factors: the International Pediatric Stroke Study” Ann Neurol.2011 Jan;69(1):130-40 Strater R et al “Prospective assessment of risk factors for recurrent stroke during childhood a 5 year followup study” Lancet 2002; 360(9435):1526-1527 Palmieri A. et al ” Diagnosi e terapia dello stroke ischemico pediatrico in fase acuta” Linee guida SIP-SIMEUP-SINP- 2008 Cerrato P. et al “Linee guida italiane di prevenzione e trattamento Ictus Pediatrico,Giovanile e da cause rare” -2012 21 APPROCCIO CLINICO AL PAZIENTE CON… IPEREOSINOFILIA Momcilo Jankovic Clinica Pediatrica – Università di Milano-Bicocca / Fondazione MBBM, c/o Ospedale S.Gerardo, Monza L'aumento del numero degli eosinofili nel sangue è un segno caratteristico di alcune malattie come quelle da ipersensibilità e da parassitosi. In questi casi l'eosinofilia costituisce un valido parametro diagnostico ed un importante marker per il follow-up della malattia. In alcune condizioni, invece, l'eosinofilia pone importanti problemi diagnostici e terapeutici. La corretta interpretazione di una eosinofilia richiede, sempre un'accurata indagine clinico-anamnestica, la revisione di numerosi processi patologici e ragionate indagini di laboratorio e strumentali. In rari casi, come nella sindrome ipereosinofilia idiopatica, l'etiologia rimane oscurata. Queste condizioni richiedono un' accurato follow-up per evidenziare e trattare precocemente i danni d'organo causati dal persistere dell'eosinofilia e perchè possono procedere l'insorgenza di patologie e linfoproliferative. Inquadramento clinico L'entità e la durata dell'eosinofilia forniscono un importante orientamento diagnostico tanto da parlare di “piccola e grande” eosinofilia. Le eosinofilie reattive e secondarie possono essere inquadrate come segnalato in tabella 1. Eosinofilie reattive o secondarie Le forme reattive coinvolgono l'eosinofilo nel suo aspetto funzionale come cellula difensiva (malattie infettive, parassitarie, neoplastiche), flogistica (allergie) e antiflogistica (smorzare le reazioni abnormi) oppure rappresentano un epifenomeno secondario alla produzione abnorme di citochine eosinofilopoietiche (neoplasie). Il limite tra funzione utile e nociva degli eosinofili è molto sfumato. In ogni caso l' ipereosinofilia può modificare o addirittura essere responsabile degli aspetti più salienti del quadro clinico. Le reazioni di ipersensibilità (tipo I, II, III, IV) sono coinvolte nella patogenesi della maggior parte dei quadri clinici associati ad ipereosinofilia. L'eosinofilo in queste situazioni svolge un ruolo da protagonista nel determinare il quadro clinico. A livello bronchiale per esempio, è responsabile tramite i suoi mediatori del quadro asmatico e del danno dell'epitelio con conseguente esposizione delle terminazioni nervose sensitive ad agenti ambientali ed ai mediatori della flogosi determinando così l'iperreattività bronchiale prolungata. Anticorpi monoclonali diretti verso l'ICAM-1, una proteina che media la migrazione tessutale degli eosinofili, evita la reazione asmatica da challenge allergenico. Le malattie da ipersensibilità di tipo II (da autoanticorpi) e situazioni autoimmunitarie più complesse che comprendono anche le reazioni di tipo III (da immunocomplessi) e di tipo IV (cellulo-mediate) sono associate ad eosinofilia più o meno marcata. Eosinofilia è costantemente presente in alcune malattie infiammatorie del connettivo come la malattia di ChurgStrauss, la fascite eosinofila di Shulman, la sindrome eosinofilia-mialgia associata all'ingestione di triptofano e nella “sindrome da olio tossico” espressione di una risposta allergica o di una azione tossica diretta degli olii cottura e che si esprime clinicamente come la sclerosi sistemica progressiva. 22 In questi casi il quadro clinico predominante rende logica o comunque attesa l'eosinofilia che così non pone problemi diagnostici. Nei casi di atopie (asma, allergie alimentari) l'eosinofilia segue fedelmente l'espressione clinica rappresentando così un'utile indice di follow-up. L'entità dell'eosinofilia associata ad asma deve far considerare nell'iter diagnostico altre patologie. Malattie infettive Gli eosinofili partecipano attivamente ai processi infettivi; Si riscontrano aumentati come numero in circolo soprattutto nel periodo di convalescenza ed è un segno prognostico favorevole, mentre eosinopenia si riscontra durante il periodo febbrile della malattia come è classicamente descritto nel tifo. Nelle infezioni virali il riscontro di eosinofilia è raro. Eosinofilia soprattutto midollare è presente in corso di infezioni da HIV. Marcata eosinofilia in corso di infezioni batteriche è rara e si può ricondurre a fenomeni di ipersensibilità verso antigeni batterici o ai farmaci usati per il trattamento; più raramente ad immunodeficienza. In corso si scarlattina e di altre infezioni da Streptococco emolitico di gruppo A, può essere presente eosinofilia di piccola entità che scompare con il trattamento antibiotico. Nel periodo neonatale l'eosinofilia è comunemente associata alla presenza di infezioni. Eosinofilia (500-1.000/mmc) è presente in corso di polmonite da Clamidia. Nelle Aspergillosi e Coccidioidomicosi l'eosinofilia è costantemente presente e può raggiungere i 40-50.000/mmc. La patogenesi riconosce anche in questi casi reazioni di ipersensibilità di tipo I, III, e IV. Parassitosi L'eosinofilia è tipicamente presente in corso di infezioni parassitarie (tabella 2) soprattutto in quelle che presentano un ciclo tessutale. L'eosinofilia ematica è scarsa e assente nel caso in cui i parassiti sono presenti esclusivamente nel lume intestinale come nelle infestazioni da ossiuri, tenie, tricocefalo o nel caso della presenza di cisti idatidee nei tessuti. In questi ultimi casi l'eosinofilia si rende evidente quando le cisti si rompono e può anche raggiungere entità notevoli. Le infezioni da protozoi non causano eosinofilia, tranne nel caso dell'Isospora belli, un coccidio intestinale. Per alcune infestazioni l'eosinofilia è così marcata da porre importanti quesiti diagnostici. In altri casi l'infestazione dà un quadro clinico che può indirizzare verso diagnosi errate (asma, malattie oculari, malattie neurologiche). Una strongyloidiasi interpretata come asma e trattata con steroidi può precipitare nella sindrome da iperinfezione caratterizzata da invasione sistematica del parassita nei vari organi. Tale sindrome è associata ad alta mortalità. La localizzazione retinica da parte dei parassiti come la Toxocara canis o cati pone problemi diagnostici con diversi processi flogistici e neoplastici dell'occhio. Localizzazioni oculari si verificano anche nella filariasi. La miasi sottocutanea da tumori migranti, può dare dolori addominali e toracici, in alcuni casi danni oculari e interessamento del SNC con quadri clinici che vanno dall'atassia all'emiparesi, alla meningite a liquor limpido, più spesso con pleicocitosi eosinofila. Nelle parassitosi oltre all'ipereosinofilia i livelli di IgE sono costantemente aumentati. L'infestazione intestinale da nematodi è stata associata alla sindrome da disfunzione piastrinica acquisita con eosinofilia (porpora eosinofila) probabilmente da immunocomplessi. Malattie neoplastiche L'eosinofilo esprime attività tumoricida e così l'eosinofilia può essere la conseguenza della risposta immune. Spesso l'eosinofilia è invece conseguente alla produzione abnorme da parte delle cellule neoplastiche di fattori di crescita e chemiotattici ed è stata associata a cattiva prognosi. E' frequente un parallelismo tra eosinofilia e l'evoluzione della malattia e la risposta alla terapia. L'eosinofilia è frequente nei carcinomi broncogeni, intestinali, pancreatici e della cervice uterina; nelle neoplasie vascolari, nei melanomi, neoplasie del SNC. 23 Ben nata è l'associazione di alcuni casi di leucemia linfoblastica acuta (LLA) e di ipereosinofilia. La patogenesi viene ricondotta all'iperproduzione di IL-3, Il-%, e GM-CSF da parte di T-linfociti normali che reagiscono contro antigeni leucemici o da parte delle stesse cellule leucemiche. L'eosinofilia è stata descritta soprattutto in casi di LLA con anomalie citogenetiche 5q q 14q. Il gene GM-CSF è localizzato sul cromosoma n°5q 31.1. La traslocazione del gene alla banda 14q 32.3 potrebbe comportare la deregolazione del gene GM-CSF tramite la sequenza enhancer del gene delle catene pesanti delle immunoglobuline presente in questo sito. Eosinofilia di entità variabile può essere presente in corso di malattia di Hodgkin, nei linfomi linfoblastici a cellule T, nella Leucemia Linfoblastica a cellule T ed inoltre in corso di mieloma multiplo, malattia di Waldenstrom e malattia delle catene pesanti. In alcuni casi di linfomi T l'ipereosinofilia è correlata all'iperproduzione di GM-CSF, IL-3 o IL- 5 da parte dei linfoblasti T. Eosinofilia anche di notevole entità (50-80%) è stata riscontrata nella linfoadenopatia angioimmunoblastica con disproteinemia. Anche in questi casi l'eosinofilia segue l'andamento della malattia. Nelle forme mieloproliferative come nella Leucemia Mieloide Cronica l'eosinofilia è correlata all'aumento totale del numero dei leucociti con una percentuale relativa invariata. Nella Leucemia Acuta Mieloide (LAM) M4 esiste una variante denominata leucemia acuta mielomonocitica con eosinofili anormali (M4 Eo) in cui oltre il 30% della cellularità midollare è costituita da eosinofili atipici sia dal punto di vista morfologico che citochimico senza tuttavia marcata eosinofili periferica. Nella LAM M4 Eo sono stati osservati anomalie del cromosoma 16: inv(16)(p13;q22); del (16) (q22); t(16,16)(p13;q22). L'esistenza di una vera e propria leucemia eosinofila come entità distinta è avvalorata da alcuni casi riportati che presentavano anomalie citogenetiche, morfologiche-ultrastrutturali ed evoluzione simile a quella degli altri disordini mieloproliferativi. La leucemia eosinofila è caratterizzata da segni clinici e di laboratorio di invasione midollare con anemia e piastrinopenia e presenza nel midollo, in circolo e nei tessuti di eosinofili immaturi. Caratteristicamente, come nella sindrome eosinofila idiopatica, anche nella leucemia ad eosinofili sono presenti alti livelli sierici di vit B12. Nella policitemia vera idiopatica può essere presente eosinofilia ematica che invece manca nelle poliglobuline secondarie. L'eosinofilia in corso di neoplasie consegue anche ai trattamenti terapeutici quali reazioni allergiche al Methotrexate ed ai trattamenti radianti. Immunodeficienze Numerose sindromi da immunodeficienza (S. di Wiskott-Aldrich. S. di Job, S. Iper-IgE, deficit selettivo di IgA) si accompagnano ad eosinofilia ematica. Spesso sono presenti lesioni cutanee ed infezioni gravi. L'eosinofilia può essere la conseguenza dei disordini immunitari o la reazione ad infezioni da opportunisti. Eosinofilia è caratteristicamente presente nella sindrome di Omenn (SCID con eosinofilia), che insorge in pazienti con deficit immunitari. La malattia ha carattere familiare con trasmissione autosomica recessiva. Clinicamente si evidenzia fin dai primi mesi di vita con eritrodermia e desquamazione cutanea diffusa, diarrea con proteino-dispersione, linfoadenomegalia ed epatosplenomegalia e infezioni gravi. Malattie endocrine Le malattie associate ad ipo-produzione di corticosteroidi presentano caratteristicamente eosinofilia ematica sottolineando ulteriormente il ruolo dei corticosteroidi nella regolazione del numero e delle infezioni degli eosinofili. Alcuni farmaci, come la benzodiazepine, che soni implicati nella modificazione centrale della produzione del Corticotropic Releasing Hormone (CRF), possono contribuire all'espressione di situazione cliniche come la sindrome mialgia-ipereosinofilia-triptofano. Forme iatrogene Eosinofilia più o meno marcata si riscontra in numerosi quadri clinici da ipersensibilità a farmaci, quali lo shock anafilattico, dermatiti allergiche, citopenie immuni, epatite, infiltrati polmonari fugaci tipo Loeffler. L'associazione epatite-eosinofilia depone per una patologia epatica scatenata da farmaci piuttosto che da agenti infettivi. Una chiara associazione è stata messa in evidenza tra l'uso di triptofono e la sindrome eosinofilia mialgia. Eosinofilia si riscontra nei soggetti splenectomizzati soprattutto per la diminuzione dell'eliminazione degli eosinofili; nei soggetti sottoposti ad emodialisi probabilmente per fenomeni di ipersensibilità ai prodotti usati, in soggetti esposti a radiazioni ionizzanti. Forme familiari e costituzionali L'eosinofilia familiare, ad eredità autosomica dominante, si riscontra in più membri della famiglia senza essere associata a processi patologici: il fenomeno potrebbe essere legato a modesti deficit corticosurrenalici. Le forme costituzionali idiopatiche sono caratterizzate da eosinofilie di riscontro spesso occasionale, senza alcuna connessione con processi patologici e con un andamento benigno. Forme idiopatiche La sindrome ipereosinofila idiopatica (HES) è caratterizzata da persistente, e marcatissima eosinofilia con infiltrazione di eosinofili in un solo organo o apparato o sistemica. Il quadro clinico presenta notevoli variazioni individuali. Non esistono test diagnostici specifici e per definizione la condizione è caratterizzata da eosinofilia 24 ematica superiore a 1500/mmc, che dura per più di 6 mesi e con dati clinici e di laboratorio di infiltrazione e di danno d'organo, in assenza di una qualsiasi causa nota di ipereosinofilia. Nella maggior parte dei casi di HES la proliferazione degli eosinofili è probabilmente la reazione ad una agente sconosciuto piuttosto che un'espansione clonale. Nel midollo osseo la serie eosinofilia è notevolmente aumentata percentualmente ma presente in tutti gli stadi maturativi. Tuttavia alcuni di questi pazienti presentano anomalie citogenetiche e possono evolvere in crisi blastiche. In alcuni casi la HES ha preceduto o mascherato una LLA o una LMA. Clinica delle ipereosinofilie Qualunque sia la causa dell’ipereosinofilia il contenuto dei granuli degli eosinofili gioca un ruolo importante nella patogenesi del danno d’organo che comunque è molto più marcato nelle ipereosinofilie di lunga durata come quelle idiopatiche o da disordini mielo-proliferativi.Forme localizzate di solito conseguono ad un insulto scatenante locale con richiamo attivo in loco degli eosinofili.Il quadro clinico è correlato agli organi colpiti. Nella fasi iniziali della HES può essere presente una sintomatologia varia ed aspecifica rappresentata da anoressia, calo ponderale, febbre con sudorazione notturna, astenia, dolori addominali ricorrenti e talora episodi diarroici, dolore toracico e dispnea, tosse persistente, mialgie, prurito con o senza rash cutanei o angioedema, sofferenze neurologiche. I dati di laboratorio possono evidenziare anemia, trombocitopenia, ipercoagulabilità. Nella HES affluiscono tuttavia una serie di patologie con caratteristiche diverse nei confronti dell’evolutività e della prognosi. - Un gruppo di pazienti asintomatici o con quadro clinico prevalentemente polmonare o con angioedema e con presenza di alti livelli di IgE con decorso spontaneo e favorevole e con buona risposta ai cortisonici - Un secondo gruppo è costituito da pazienti sintomatici con coinvolgimento d’organo che può essere responsabile di un decorso severo. - Un terzo gruppo (25%) presenta un marcato quadro proliferativo con marcata epatosplenomegalia, anemia e piastrinopenia. Tra i dati di laboratorio è caratteristica l’elevazione dei livelli sierici di vitamina B12. La persistenza dell’eosinofilia comporta l’insorgenza di danno d’organo soprattutto cardiaco, ma qualsiasi organo o tessuto può essere colpito prevalentemente o nell’ambito di un quadro sistemico (sintomatologia neurologica, gastrointestinale, urinaria, epatica e più raramente cutanea). La malattia richiede trattamento ed un accurato monitoraggio clinico-strumentale, soprattutto ecocardiografico. Il danno cardiaco può evolvere attraverso 3 stadi: 1° stadio è quello della necrosi che si verifica già dopo una media di circa 1-2 mesi dall’inizio dell’ipereosinofilia; 2° stadio è caratterizzato dalla progressione delle lesioni del 1° stadio e si riscontra nei pazienti con una durata media dell’eosinofilia di circa 10 mesi; il 3° stadio è caratterizzato dalla progressione in fibrosi con alterazione delle corde tendinee e conseguente insufficienza valvolare mitralica e/o tricuspidale e inoltre dalla insorgenza di cardiomiopatia restrittiva. Le manifestazioni neurologiche Sono rappresentate da: 1. Attacchi ischemici (TIA ricorrenti e ictus) da tromboemboli originati dal ventricolo sinistro in corso di trombosi endocardica; 2. Encefalopatia con disturbi del comportamento forse da ricondursi all’azione neurotossica dei prodotti dei granuli eosinofili; 3. Neuropatie periferiche con deficit sensori e parestesie dolorose, anche loro da ricondurre alle neurotossine contenute nei granuli degli eosinofili. Lesioni cutanee Soprattutto di tipo orticarioide e angioedematoso e di tipo papulo-nodulari pruriginose ed edematose. La sindrome orticaria-angioedema è ben distinta dalle forme di ipereosinofilie. L’apparato respiratorio Risulta frequentemente coinvolto.L’asma allergico è senza dubbio la forma più frequente. Ricordiamo il cosiddetto polmone eosinofilo secondo la classificazione di Fraser; nella sindrome di Loffler sono presenti infiltrati polmonari fugaci associati ad ipereosinofilia.; la broncopolmonite allergica fungina più frequentemente da Aspergillus Fumigatus e meno frequentemente da Candida appare il risultato di reazioni da ipersensibilità; la polmonite cronica eosinofila ad eziologia sconosciuta e caratterizzata da eosinofilia persistente e da infiltrati tipicamente localizzati nelle zone periferiche del polmone.; nella HES il polmone è coinvolto nel 40% dei casi; nella sarcoidosi polmonare un terzo dei casi presenta ipereosinofilia. Manifestazioni oculari Disturbi della visione dovuti ad anomalie della coroide da lesioni vasculitiche, tromboemboli e trombosi locali. Ricordiamo la localizzazione oculare in corso di Toxocariasi (larva migrans oculare) che può provocare la formazione di granulomi retinci , di lesioni coroidee ed anche di gravi endoftalmiti essudative. Manifestazioni gastrointestinali La gastrite eosinofila, ad eziologia sconosciuta. Da dolori addominali , nausea, vomito, diarrea e perdita di peso. Possono essere associati eczema, rinite ed asma. Una marcata infiltrazione della sierosa intestinale può comportare l’insorgenza di ascite eosinofila. 25 L’apparato urinario Lesioni vascolari renali mediate dagli eosinofili o da emboli e con possibile insorgenza di cistite eosinofila. Ciò provoca disuria, dolori addominali e spesso ematuria. La cistite eosinofila in età pediatrica è stata descritta con un’importante frequenza in soggetti sottoposti ad interventi chirurgici vescicali. Eosinofilia e danno renale può essere presente in corso di processi vasculitici. ITER DIAGNOSTICO Cenni di terapia Nelle eosinofilie secondarie o reattive la terapia è diretta verso la causa scatenante. Nella HES la terapia tende a bloccare la progressione del danno d’organo soprattutto cardiaco e in definitiva a migliorare sostanzialmente la prognosi. Pazienti con eosinofilia idiopatica senza danno d’organo non necessitano di alcun trattamento ma andranno valutati periodicamente (ogni 2-4 mesi) clinicamente , ematologicamente e con indagini strumentali per giungere ad un eventuale inquadramento diagnostico o per appurare precocemente un danno d’organo. I corticosteroidi sono i farmaci di prima scelta nel trattamento dei pazienti con HES. La risposta quando si verifica avviene già nelle prime ore. Indi si scala lentamente lo steroide arrivando alla dose minima efficace anche per lunghi tempi. Gli agenti chemioterapici e biologici rappresentano l’alternativa ai corticosteroidi nei pazienti non responsivi o che non presentano un miglioramento significativo entro 3-6 mesi. L’Idrossiurea (HU) come prima scelta indi la Vincristina (VCR) , la Mercaptopurina (6-MP) e l’Etoposide (VP-16) sono altri farmaci utilizzabili in sequenze differenti o in mantenimento di terapia. Tra gli alchilanti annoveriamo il Clorambucil mentre sono stati utilizzati anche Interferone alfa e Ciclosporina con possibili risposte favorevoli. Il trattamento dell’HES comprende anche l’uso di anticoagulanti per controllare il rischio di tromboembolismo. La cardiochirurgia è indicata nei pazienti con marcata compromissione valvolare o con trombosi o fibrosi endomiocardica e migliora sostanzialmente la prognosi di questi pazienti. 26 APPROCCIO CLINICO AL PAZIENTE CON ARITMIA Savina Mannarino Cardiologia Pediatrica , Clinica Pediatrica Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia Il ritmo cardiaco è generato dal nodo senoatriale, situato a livello dell’atrio destro in prossimità dello sbocco della vena cava superiore. La frequenza cardiaca media è significativamente più elevata durante la vita intrauterina rispetto a quella postnatale passando da circa 160 bpm a 20 settimane di età gestazionale a circa 120 bpm alla nascita. A partire dal primo giorno di vita si assiste ad un nuovo incremento delle frequenza cardiaca , che raggiunge un picco durante il primo e secondo mese per poi ridursi nuovamente tornando ai valori registrati alla nascita dal sesto mese. Dal sesto mese in poi rimane stabile e quindi lentamente si riduce dopo il primo anno di vita per l’ azione progressiva del sistema parasimpatico mediata dallo sviluppo dell’innervazione vagale del nodo del seno (5). Tab 1 Tab 1- La frequenza cardiaca: Valori di normalità della frequenza cardiaca Età 0-3 mesi 3 mesi-2aa 2-10 anni >10 anni Veglia 100-190 80-150 75-110 55-90 Riposo 80-180 70-120 60-90 50-90 Sotto sforzo Fino a 200 Fino a 200 Fino a 200 Fino a 200 I DISTURBI DEL RITMO CARDIACO Tachicardia e Bradicardia: con questi termini ci riferiamo ad un ritmo sinusale con frequenza cardiaca rispettivamente superiore ed inferiore al limite di normalità per l’età. Il termine aritmia sottintende invece un alterazione del ritmo cardiaco, cioè va utilizzato in tutte quelle condizioni in cui si perde la regolarità di sequenza e morfologia del tracciato. Parleremo di tachiartmia e bradiaritmia in presenza rispettivamente di un’alterazione del ritmo cardiaco ad alta frequenza e di un’alterazione del ritmo associata ad una riduzione della frequenza cardiaca. CLASSIFICAZIONE Le aritmie possono essere distinte in : 1) Alterazioni della regolarità del ritmo: battiti ectopici o extrasistoli sopraventricolari e ventricolari 2) Alterazioni del ritmo cardiaco a frequenza cardiaca aumentata a) Tachiartmie o Aritmie ipercinetiche a loro volta distinte in sopraventricolari a QRS stretto, quali la tachicardia parossistica sopraventricolare (TPSV con rientro da via acessoria AVRT, con rientro nodale AVNRT, tachicardia incessante PJRT); la tachicardia ectopica atriale; il flutter atriale N.B. talvolta anche le tachicardie sopraventricolari possono presentarsi con un QRS largo se c’è conduzione aberrante b ) Ventricolari: a QRS largo originano a valle del nodo A-V 3) Alterazioni del ritmo cardiaco a frequenza cardiaca ridotta 1- Pause 2- Bradiaritmie o Aritmie Ipocinetiche: BAV di I°, II°, III° (1%) LE EXSTRASISTOLI sono battiti ectopici prematuri (depolarizzazione precoce ed autonoma di una regione del muscolo cardiaco diversa dal tessuto di conduzione) ad origine atriale (extrasistoli sopraventricolari) o ventricolare. Le extrasistoli sopraventicolari sono frequenti, si tratta generalmente di battiti ectopici sporadici che insorgono in cuori sani e presentano un’ottima prognosi. Le ectopie sopraventricolari isolate e non associate a condizioni patologiche non richiedono terapia antiaritmica e non influiscono negativamente sulla prognosi del paziente . Tuttavia occasionalmente i battiti atriali quando origino troppo precocemente vengono bloccati. Se questo fenomeno si verifica a ciclo bigemino, si parla di bigeminismo atriale bloccato, e determina la comparsa di una bradicardia (< 60-70 bpm). Nel neonato la diagnosi differenziale con la bradicardia sinusale è importante dal momento che il bigeminismo atriale bloccato è più frequentemente benigno e non necessita di terapia. Le extrasistoli ventricolari possono precedere la comparsa di aritmie più gravi e/o coincidere, se associate a cardiopatie congenite, con il peggioramento della situazione emodinamica. Possono infine associarsi a dismetabolismi, diselettrolitemie ed intossicazione digitalica. La comparsa di frequenti extrasistoli ventricolari impone un’ approfondimento diagnostico. ALTERAZIONI DEL RITMO CARDIACO A FREQUENZA CARDIACA AUMENTATA TACHIARITMIE Flutter Atriale: generalmente si presenta con una frequenza atriale di circa 400 bpm con conduzione atrioventricolare 2:1, tuttavia può essere presente anche un blocco di grado più elevato che determina una 27 frequenza ventricolare quasi normale. questa aritmia può presentarsi sia in epoca fetale che nel neonato con cuore altrimenti sano e la terapia per il ripristino del ritmo sinusale può prevedere l’uso di digossina, amiodarone o la cardioversione elettrica (8). Può essere ben tollerato, anche asintomatico, se c’è un blocco AV di alto grado, se la conduzione è al contrario di 1:1 rapidamente compariranno i segni di scompenso cardiaco. Terapia: Il flutter atriale è meno responsivo alla terapia rispetto alla tachicardia sopraventricolare, tuttavia è facilmente controllabile dopo la nascita mediante pacing transesofageo o cardioversione elettrica. Nella gestione terapeutica è bene ricordare che non bisogna ridurre farmacologicamente la frequenza del flutter senza simultaneamente bloccare il nodo AV (tale principio va osservato nella gestione terapeutica di tutte le tachiaritmie atriali). Per tale motivo la Flecainide che è in grado di ridurre la frequnza del flutter , andrebbe sempre associata alla digitale. I farmaci antiaritmici più indicati per la terapia del flutter atriale fetale sono la digossina e il sotalolo [5, 19]. La diagnosi differenziale con TPSV è importante e può essere rapidamente dimostrata in epoca postnatale mediante la somministrazione di un bolo di adenosina e.v, questo farmaco è in grado di bloccare transitoriamente la conduzione lungo il nodo, rilevando la presenza molti battiti atriali per un solo complesso QRS. Tachicardia Atriale Ectopica è invece caratterizzata dall’insorgenza dell’impulso a livello di un focus atriale diverso dal nodo del seno; quando si presenta in forma sostenuta può essere difficile da controllare farmacologicamente e può condurre alo sviluppo di una cardiomiopatia dilatativa. Lo scopo del trattamento è quello di rallentare la conduzione atrioventricolare si possono utilizzare beta-bloccanti, farmaci antiaritmici di classe IC, amiodarone; la digossina e i farmaci di classe IA sono poco efficaci in questi casi (8). Tachicardia Parossistica Sopraventricolare (TPSV) Tachicardia da Rientro Atrioventricolare è la forma più frequente tra le tachicardie sopraventricolari neonatali. Il circuito di rientro può comprendere la via nodo-hissiana e una ( o più) via accessoria atrioventricolare (fascio di Kent). La via accessoria può essere manifesta/non manifesta/occulta (quando la conduzione attraverso la via è possibile solo in senso retrogrado, in questo caso la presenza della via si palesa solo durante l’episodio aritmico). La conduzione può essere ortodromica se la conduzione AV avviene lungo via nodo-hissiana (QRS stretto) e antidromica se la conduzione AV avviene lungo via accessoria. L’incidenza è di 0.1-0.3% , nel 20-32% dei pazienti vi sono altri difetti di struttura del cuore associati (anomalia di Ebstein, trasposizione corretta dei grandi vasi). La terapia si avvale di diverse opzioni: 1) Manovre di stimolazione vagale (diving reflex) 2) Adenosina 3) Farmaci classe IC: flecainide propafenone che bloccano la via accessoria 4) altri farmaci quali betabloccanti come il sotalolo 5) Ablazione trans catetere PJRT o tachicardia di Coumel è una forma particolare di tachicardia da rientro atrioventricolare caratterizzata da una via accessoria a bassa frequenza conduzione che presenta un andamento incessante. All’elettrocardiogramma si riscontra una onda P neg in DII, DIII, aVF, un intervallo RP > PR. ALTERAZIONI DEL RITMO CARDIACO A FREQUENZA CARDIACA RIDOTTA La BRADICARDIA SINUSALE viene definita come un ritmo sinusale ad una frequenza inferiore al limite di normalità. Nel neonato si parla di bradicardia per frequenze inferiori agli 80 bpm. Le cause possono essere di origine cardiaca ed extracardiaca: l’ipossia è una causa comune soprattutto quando è secondaria ad apnea, displasia broncopolmonare, broncopolmonite, emorragia polmonare, pneumotorace. Altre cause di bradicardia sono: sepsi (fasi tardive), alterazioni a carico del SNC da danno neurologico con depressione del centro cardio-acceleratore, meningiti, aumento della pressione intracranica, ipotermia, farmaci, ipotiroidismo congenito. Inoltre l’ipertono vagale caratteristico del pretermine rappresenta un altro fattore di rischio, l’immaturità del sistema nervoso simpatico determina, infatti, una risposta vagale esagerata a numerosi stimoli (ostruzione delle vie aeree, intubazione naso e oro tracheale, aspirazione delle vie aeree, posizionamento di sondino naso gastrico, reflusso gastroesofageo, compressione oculare, sbadiglio, evacuazione). I BLOCCHI ATRIOVENTRICOLARI riconoscono tre meccanismi patogenetici fondamentali: ainterruzione della via di conduzione bprolungamento del periodo refrattario in una o più parti del sistema di conduzione ( fisiologico durante il sonno, diversi farmaci sono in grado di prolungere il periodo refrattario: digitale, beta bloccnati, alcuni calcio antagonisti) criduzione della velocità di conduzione dell’ impulso IL BLOCCO ATRIOVENTRICOLARE (BAV) CONGENITO È CLASSIFICATO IN BASE ALLA SEVERITÀ 1- PRIMO GRADO è caratterizzato da un allungamento dell’intervallo PR che riflette un ritardo di conduzione piuttosto che un reale blocco. Cause acquisite di BAV sono: ipertono vagale, iper/ipo-kaliemia, ipermagnesemia, effetto terapeutico o sovradosaggio di farmaci (digossina, altri farmaci antiaritmici). A volte è associato ad alcune cardiopatie congenite: DIA (ostium primum e secundum), canale atrioventricolare, ventricolo destro a doppia uscita (VDDU), anomalia di Ebstein, trasposizione corretta delle grandi arterie. 2- DI SECONDO GRADO SI DISTINGUONO 2 TIPI • Mobitz 1 (Wenchebach): progressivo allungamento del tratto PR, fino a che un onda P non è condotta ai ventricoli Reperto di normalità durante il sonno (ad es. si ritrova nella lettura di tracciati Holter ECG) Può essere associato a: ipertono vagale negli atleti, terapie farmacologiche, diselettrolitemie, miocardite • Mobitz 2: una o più onde P consecutive non sono condotte ai ventricoli -Blocco atrioventricolare 2:1: uno stimolo atriale su 2 non è condotto ai ventricoli 28 -BAV di II grado si definisce avanzato se più onde P consecutive non sono seguite da QRS (3:1, 4:1). 3- DI TERZO GRADO: Dissociazione completa tra onde P e complessi QRS (cioè tra frequenza atriale e ventricolare). Il ritmo di scappamento può essere giunzionale (QRS stretto) o ventricolare (QRS largo). BAV III può essere congenito: • malattie autoimmuni materne (Ab anti-Ro/SSA e anti-La/SSB) • sindrome QT lungo • cardiopatie congenite (50% casi): sindrome polisplenia (isomerismo atriale sinistro), trasposizione corretta delle grandi arterie, pervietà del dotto arterioso, DIA, fibrosi endomiocardica, cuore univentricolare acquisito: • post-chirurgico in cardiopatie congenite con interventi che richiedono chiusura difetti settali anche con device, resezione subaortica, sostituzione valvola aortica • infezioni: miocarditi • farmaci, intossicazioni e avvelenamenti FATTORI PROGNOSTICI NEGATIVI in presenza di un BAV di terzo grado: 1frequenza cardiaca inferiore a 50bpm 2la presenza di idrope/scompenso cardiaco 3negatività materna per gli anticorpi anti RO 4l’associazione con le cardiopatie congenite Indicazioni all’ impianto del PM sono costituite da: sincope o presincope, frequenza ventricolare minore della media per l’età, pausa > 3,5 sec all’ECG, allungamento del QTc > 500 msec, insufficienza mitralica, battiti ectopici frequenti e/0 complessi, scompenso cardiaco QUANDO UN’ARITMIA È PERICOLOSA? L’EFFETTO DELETERIO DELL’ARITMIA DIPENDE 1- valore di frequenza cardiaca: una frequenza cardiaca inferiore a 40 bpm o superiore a 220 bpm determina una portata cardiaca inadeguata (essendo Q0 gittata sistolica per la frequenza cardiaca ricordiamo che la portata normale per un neonato a termine è di circa 150-200ml/kg/minuto) 2- durata 3- presenza di patologie associate cardiopatie congenite ( TGA, Malattia di Ebstain si associa a WPW nel 30-40% dei casi) squilibri elettrolitici insufficienza renale, m. metabolica, m. polmonare intossicazione da farmaci (tutti i farmaci anti aritmici se sovra dosati diventano pro aritmici) Quando è necessario un trattamento immediato? In presenza di instabilità emodinamica Ipoperfusione (capillary refill prolungato pallore e/o sub cianosi periorale, estremità fredde, iporeattività) Ipotensione (polso piccolo) Scompenso cardiaco imminente o presente (si parla di scompenso quando la gittata cardiaca è insufficiente per mantenere tutte le funzioni metaboliche dell’organismo) Shock (si parla di shock quando la gittata cardiaca è insufficiente a mantenere le funzioni vitali dell’organismo) PROGNOSI: nella maggior parte dei casi le turbe del ritmo hanno una buona prognosi, regredendo spontaneamente nei primi mesi di vita, talvolta nel neonato in assenza di diagnosi e terapie adeguate possono essere rapidamente fatali. 29 LE SPECIALITÀ PEDIATRICHE Giovanni Corsello Presidente SIP Il corso evolutivo del bambino è caratterizzato da una serie di processi di crescita e di sviluppo biologicamente complessi nei quali si intrecciano problematiche di interesse plurispecialistico. Si tratta di tematiche con peculiarità cliniche e biologiche che distinguono la specialità pediatrica dal corrispettivo dell’adulto in termini di conoscenze e di competenze. Il bambino non è un piccolo adulto, ma una entità unica non riproducibile nelle altre età della vita. Del resto anche il percorso evolutivo storico della pediatria come disciplina medica, partito dalla medicina clinica dell’età evolutiva, si è aperto in rapporto all’evoluzione delle conoscenze e della ricerca, alle specialità pediatriche, che hanno consentito di rispondere in modo efficace alle esigenze di salute dei neonati, dei bambini e degli adolescenti con malattie croniche e rare, orami intorno al 15% dei soggetti in età evolutiva. Non ultimo, la tutela delle specialità pediatriche si pone come esigenza formativa nel percorso delle scuole di specializzazione in pediatria e in sede di educazione medica continua. Bisogna infatti prevedere che la rete formativa delle scuole di specializzazione comprenda anche rotazioni in diversi settori specialistici, differenziati scuola per scuola sulla base della tipologia assistenziale e di ricerca e con standard chiari, condivisi e accreditati. In questo contesto, si rende necessario il mantenimento dei 5 anni della durata delle scuole di specializzazione in pediatria e sono auspicabili nuovi strumenti (master, certificazioni di corsi di perfezionamento organizzati da società scientifiche dell’area pediatrica) per mantenere il livello attuale raggiunto dalle specialità pediatriche in Italia e per potenziarlo in rapporto anche allo shortage dei pediatri, che entro 15 anni verosimilmente ridurrà del 40% il numero dei pediatri in attività rispetto ai dati attuali (8.000 vs 14.000). Le specialità pediatriche vanno tutelate e rafforzate anche nell’ottica di un lavoro multidisciplinare e integrato, che metta in relazione anche il territorio e l’ospedale, secondo un logica di transitional care per le malattie croniche e rare in cui il coinvolgimento del medico di medicina generale e dello specialista dell’adulto giocano un ruolo strategico per gestire gli adolescenti e traghettarli verso l’età adulta in un contesto di rete organizzata di servizi. 30 FORUM 2 “UPDATE IN PNEUMO-ALLERGOLOGIA” Giovedì, 13 novembre 2014 Presidente: G. Ricci 14,30 – 16,00 Moderatori: L. Calzone, G. Tancredi 16,30 – 18,00 Moderatori: C. Caffarelli, G.C. Indirli 31 L’OSSIGENOTERAPIA E LA PULSIOSSIMETRIA NELLA PRATICA CLINICA Emanuela di Palmo, Luca Bertelli, Salvatore Cazzato Unità Operativa di Pediatria, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna La respirazione è il processo fisiologico che trasporta i gas respiratori dall’atmosfera alle cellule e viceversa. La concentrazione di ossigeno (O2) nell'aria ambiente è pari al 21% e la pressione parziale (PO2) è circa 160 mmHg a livello del mare. Il vapor acqueo, che alla temperatura corporea di 37 °C è di 47 mmHg, riduce le concentrazioni dei gas nell’aria inspirata e quindi le relative pressioni parziali. La quantità di O2 nel sangue è determinata dalla PO2 alveolare, dalla quantità di emoglobina nel sangue e dalla sua affinità per l’O2. Negli alveoli polmonari la PO2 è pari ai due terzi di quella del gas inspirato e quando il sangue è in equilibrio con O2, l'emoglobina è satura al 100% e ogni grammo di emoglobina contiene 1,34 ml di O2. L’insufficienza respiratoria è l’incapacità di mantenere l’omeostasi degli scambi gassosi (O2 e CO2). Nella pratica clinica, a livello del mare, sono comunemente accettati come criteri diagnostici di insufficienza respiratoria la presenza nel sangue arterioso di una pressione parziale di ossigeno (PO2) inferiore a 60 mmHg e/o una pressione parziale di anidride carbonica (PCO2) superiore a 50 mmHg. La conseguente diminuzione della concentrazione di ossigeno nel sangue arterioso (ipossiemia) determina una alterazione dell’ ossigenazione tissutale (ipossia), che può o meno essere associata ad una ridotta eliminazione di anidride carbonica (ipercapnia). Il sistema respiratorio è composto in maniera schematica dalla pompa ventilatoria deputata alla ventilazione, e dalle vie aeree e parenchima polmonare preposto allo scambio gassoso. La pompa ventilatoria comprende i centri di controllo del respiro localizzati a livello del sistema nervoso centrale, dai fasci nervosi (midollo spinale e nervi periferici) che connettono i centri di controllo ai muscoli respiratori, dai muscoli respiratori stessi e dalla parete toracica. Pertanto, a seconda che il danno interessi il polmone, determinando principalmente alterazione del rapporto ventilazione/perfusione o la funzione di pompa ventilatoria con conseguente ipoventilazione alveolare, si possono distinguere due tipi di insufficienza respiratoria (IR) : -IR di tipo 1 (parziale) ipossiemica (PO2 <60 mmHg) e normo/ipocapnica; -IR di tipo 2 (totale) ipossiemica-ipercapnica (PCO2 >45-50 mmHg). Inoltre, in relazione alla modalità di insorgenza dei sintomi, l’insufficienza respiratoria può essere classificata come acuta in cui vi è compromissione della funzione respiratoria in un periodo temporale molto breve (ore/giorno) e spesso di entità grave, e cronica a lenta insorgenza (settimane/mese) di minore severità per la presenza di meccanismi di compenso. Infine, IR cronica riacutizzata è dovuta al deterioramento acuto di una insufficienza respiratoria cronica sottostante. Ossigenoterapia e modalità di somministrazione Per ossigenoterapia si intende la somministrazione di ossigeno a concentrazioni superiori al 21% che è quella dell’aria ambiente. Per le caratteristiche proprie della curva di dissociazione dell’emoglobina si deduce che a valori di PO2 >90 mmHg l’emoglobina è satura al 95% e la curva assume un andamento praticamente piatto. Di conseguenza, un aumento della PO2 determinerà un minimo incremento della concentrazione di ossigeno nel sangue. Al contrario,per valori di PO2 al di sotto di 60 mmHg, ogni ulteriore caduta della PO2 produce una variazione molto marcata della saturazione (SaO2 <90%) con evidenti ricadute sull’ossigenazione tissutale. I segni e sintomi di insufficienza respiratoria sono riportati in tabella 1. Lo scopo dell’ossigenoterapia inalatoria è quello di evitare l’instaurarsi dell’ipossia e il rischio di arresto cardiaco, aumentando la PO2 inspirata, con incremento del gradiente di pressione di ossigeno attraverso la membrana alveolo-capillare. L’inizio dell’ossigenoterapia è indicato per valori di PO2 <60 mmHg, per saturazione di O2 <92% e in tutte quelle situazioni cliniche in cui è sospettabile una condizione di ipossia. Particolare attenzione deve essere posta nei casi di IR tipo 2 in cui vi è ipercapnia, poiché la somministrazione O2 attenua o abolisce lo stimolo alla ventilazione peggiorando nei soggetti con ipoventilazione cronica la ritenzione di anidride carbonica. Valori di PCO2 >90 mmHg conducono a depressione del sistema nervoso centrale e conseguente arresto respiratorio. In questi casi la somministrazione di ossigeno deve essere effettuata consensualmente alla correzione dell’ipercapnia mediante supporto ventilatorio artificiale. La modalità di somministrazione dell’ossigeno è funzione di diversi fattori quali le frazioni inspiratorie di O2 (FiO2) che si intendono raggiungere, la tollerabilità del sistema da parte del bambino, la durata del trattamento e il tipo di insufficienza respiratoria (tabella 2). Un’adeguata umidificazione dell’ossigeno è consigliata per flussi superiori a 1L/min e umidificazione a caldo per flussi di 4L/min o superiori al fine di evitare alterazioni della clearance muco-ciliare, secchezza delle secrezioni tracheo-bronchiali, formazione di tappi di muco, infezioni e/o atelettasie. Nuove tecnologie di riscaldamento ed umidificazione permettono di somministrare ossigeno ad alto flusso in cui la velocità di flusso supera il picco di flusso inspiratorio del paziente. Infatti, flussi oltre 2 L/min nei neonati e 6 L/min negli adulti necessari per soddisfare le richieste inspiratorie senza penetrazione dell’aria ambiente, non sono possibili con la terapia mediante cannula nasale standard. Pulsossimetria Il funzionamento si basa sul principio del differente assorbimento della luce dell’emoglobina ossigenata rispetto a quella ridotta. 32 I più comuni pulsiossimetri utilizzano una fonte luminosa costituita da due led che emettono fasci di luce a lunghezza di onda di 660 nm (rossa) e 940 nm (infrarossa) da un lato del sensore e dall’altro lato cattura la frazione non assorbita della luce emessa per ciascuna lunghezza di onda. L’ossiemoglobina assorbe preferenzialmente la luce nello spettro dell’infrarosso mentre l’emoglobina ridotta la luce rossa e sulla base di questa differenza viene calcolata il livello di saturazione di O2. In presenza di emoglobine disfunzionali (es. metaemoglobina, carbossiemoglobina) che assorbono la luce a lunghezza d’onda sovrapponibile a quella dell’emoglobina ossidata e ridotta la lettura della saturazione di O2 non risulta attendibile. La saturazione di O2 (SaO2) basale nei neonati a termine durante il primo anno di vita è circa 97-98% e solo nel 5% dei bambini sani la SaO2 è inferiore al 90% per un periodo superiore al 4%. La SaO2 basale mediana nei bambini sani maggiore di un anno di età è del 98% con un 5° percentile di 96-97%. Infine, un bambino sano di età compresa tra 5-11 anni spende non più del 5% del tempo con SpO2 < 94% durante il sonno. Condizioni che possono alterare la saturimetria sono rappresentati da artefatti da movimento, mal posizione del sensore, ipoperfusione (shock, ipovolemia, ipotermia), vasocostrizione periferica (es. indotto dal freddo), edema (per dispersione della luce nel tessuto edematoso), anemia severa. Bibliografia 1. Pope J, McBride J. Consultation with the specialist: respiratory failure in children. Pediatr Rev. 2004; 25:160-7. 2. Guidelines for home oxygen in children, British Thoracic Society, Home Oxygen Guideline development Group. Thorax 2009, 64, Suppl II. 3. Adde FV, Alvarez AE, Barbisan BN, Guimarães BR. Recommendations for long-term home oxygen therapy in children and adolescents. J Pediatr (Rio J). 2013;89:6-17. 33 34 LE ALTE Luana Nosetti Clinica Pediatrica Università degli Studi dell'Insubria - Ospedale di Circolo Fondazione Macchi, Varese Clinica Pediatrica Università degli Studi dell’Insubria Ospedale di Circolo Fondazione Macchi Varese ALTE è l’acronimo di Apparent Life-Threatening Event, termine che si può tradurre come “Evento Apparentemente Rischioso per la Vita”. L’acronimo fu coniato nel 1986 da un comitato appositamente costituito in seno al National Institutes of Health (NHI) per descrivere un episodio che ha spaventa l’osservatore caratterizzato dalla variabile associazione di: apnea (centrale od occasionalmente ostruttiva), variazione del colorito cutaneo (cianosi, pallore o eritrosi), marcata alterazione del tono muscolare (ipo o ipertono), apparente soffocamento. Si può presentare durante il sonno, la veglia o durante il pasto. In alcuni casi l’episodio si risolve spontaneamente, in altri casi grazie a un immediato intervento dell’osservatore, in casi più gravi sono necessarie manovre rianimatorie energiche da parte dei soccorritori, fino alla rianimazione cardiopolmonare. L’incidenza di ALTE è molto variabile si parla di valori compresi tra 0.58 e 2.46/1000 nati vivi. Se si analizzano casistiche relative agli accessi in dipartimenti di emergenza-urgenza si parla di incidenza compresa tra0.6-0.8%. Altro aspetto rilevante è l’impatto emotivo che questi episodi possono avere sul nucleo familiare, per il timore di una loro possibile recidiva. ALTE non è una diagnosi ma rappresenta una manifestazione clinica e come tale richiede una valutazione sistematica per accertarne la causa scatenate. Nonostante un rigoroso approccio diagnostico il 50% degli ALTE rimane inspiegato e classificato come idiopatico (IALTE Idiopatic Apparent Life-Threatening Events) I più frequenti problemi associati agli ALTE da causa nota sono di tipo gastroenterico (50% circa), neurologico (30%), respiratorio (20%), cardiovascolare (5%), metabolico ed endocrino (<5%) o altri diversi problemi tra cui l’abuso . Estremamente importante è la raccolta anamnestica dettagliata, l’esame obiettivo accurato ed un percorso diagnostico seguendo protocolli precisi, codificati dalle Linee guida nazionali della SIP per la gestione di casi di ALTE. L’ ospedalizzazione è necessaria se il bambino ha necessitato manovre di rianimazione , se è pretermine, se ha meno di 1 mese di vita, se ha presentato episodi recidivanti di ALTE o per la scarsa compliance della famiglia. Una volta ricoverato il bambino può essere sottoposto a monitoraggio cardiocircolatorio associato a pulsossimetria per almeno 24 ore per evidenziare eventuali apnee patologiche e/o episodi di ipossiemia. Dovranno essere effettuati alcuni esami di base che sono ritenuti fondamentali quali l’esame emocromocitometrico con formula leucocitaria, elettrolitemia, glicemia, PCR, EGA, Esame urine ed ECG. Altri esami andranno scelti in base alla storia clinica ed all’esame obiettivo del piccolo. Riteniamo utile l’esecuzione di una polisonnografia completa anche su NAP in quanto ci può permettere di discriminare la natura delle eventuali apnee registrate, personalizzando il percorso successivo. La sfida è di ridurre il numero di IALTE. Solo un attento studio del caso e una scelta mirata di esami di II e III livello ci può consentire di identificare cause precise e se possibile instaurare eventuali trattamenti farmacologici o comportamentali. L’indicazione ad effettuare un monitoraggio cardio-respiratorio e pulsossimetrico domiciliare con allarmi ha lo scopo di rilevare apnee e/o ipossiemie intermittenti e a volte diventa parte integrante di un percorso di followup che spesso permette di arrivare a formulare una precisa diagnosi. Le indicazione ad un monitoraggio domiciliare sono costituite da lattanti con ALTE grave, IALTE e bambini pretermine sintomatici. La sua durata non deve essere inferiore alle 6 settimane e richiede periodici controlli clinici associati ad una valutazione di eventuali episodi presentati e alla lettura ed interpretazione dei tracciati registrati dallo strumento a domicilio non automatica ma effettuata da personale esperto. 35 LA DISPNEA CUTA Teresa Salerno, Renato Cutrera U.O.C. Broncopnemologia, Dipartimento Medicina Pediatrica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma L'American Thoracic Society definisce la dispnea come: "Un'esperienza soggettiva di disagio nel respiro che consiste in sensazioni qualitativamente distinte che variano di intensità". Altre definizioni la descrivono come "difficoltà a respirare", "respirazione disordinata o inadeguata", "consapevolezza della difficoltà di respiro” e come la sensazione di "respiro corto". Si tratta di un sintomo soggettivo, è quindi difficile darne una definizione univoca; impropriamente vengono usate espressioni come “respiro affannoso” o “fame di aria”. La dispnea può presentarsi: • Inspiratoria (da ostacolo nelle vie aeree superiori), espiratoria (da ostacolo nelle vie aeree inferiori), mista (da patologie cardiorespiratorie) • Da sforzo o a riposo • Ad insorgenza acuta, cronica o ad andamento recidivante L’aumento della profondità degli atti respiratori, spesso associato ad un aumento della frequenza respiratoria (tachipnea) può verificarsi a qualunque età e può essere dovuta sia a cause respiratorie che extrapolmonari. Per definire la dispnea è necessario conoscere i valori normali di frequenza respiratoria in età pediatrica (Tabella 1). Qualunque causa di ostruzione delle vie aeree nel neonato può determinare dispnea, sebbene l’esordio improvviso sia più probabilmente dovuto ad infezioni o a patologie cardiache. L’acidosi è una causa di dispnea da malattie extrapolmonari e può verificarsi sia a causa di patologie metaboliche congenite sia per la disidratazione. Raramente nei neonati ma più comunemente nei bambini e negli adoloscenti, la dispnea è associata con la chetoacidosi come sintomo di esordio del diabete non controllato. Nell’infanzia, cosi come nell’adolescenza, l’asma acuta può essere una causa di dispnea e le intossicazioni acute (ad esempio da salicilati) possono anche manifestarsi con la dispnea. La cianosi e l’emottisi, insieme alla dispnea, si manifestano spesso per embolia polmonare, dovuta sia a traumi degli arti inferiori, sia a patologie cardiache, coagulopatia familiari e non. L’ansia (iperventilazione da attacchi di panico) e l’ingestione di sostanze (ad esempio i tentativi di suicidio con i salicilati) sono cause molto più comuni nell’adolescenza. TABELLA 1: VALORI NORMALI DELLA FREQUENZA RESPIRATORIA IN BASE ALL’ETA’ ETA’ RESPIRI/MINUTO Nascita-6 settimane 35-60 6-1 anno 40 2-6 anni 30 6-10 anni 25 >10 anni 20 36 RACCOMANDAZIONI SULLA TERAPIA SOSTITUTIVA DELL’ALLERGIA AL LATTE Alessandro Fiocchi Department of Allergy at the Pediatric Hospital Bambino Gesù, Roma Ormai tutti sanno che l’allergia alimentare è disciplinata da linee-guida il cui obiettivo è quello di mettere ordine in un campo fervido di ricerca, nuove idee, ed opinioni. Così fervido da mettere a volte i pediatri in dubbio davanti ai singoli pazienti, che possono essere confusi da risposte difformi ricevute da diversi esperti. Ascoltiamo le voci dei nostri genitori: - “a me il mio pediatra ha detto di anticipare l’introduzione del pesce, per prevenire l’allergia alimentare” “a me il mio ha detto di posticiparla…” - “il mio bimbo è allergico all’uovo, il mio pediatra mi ha detto che posso dargli il panettone” “davvero? Ma sai che il mio mi ha detto il contrario?” Alzi la mano chi non ha avuto a che fare con opinioni da discutere, temperare, orientare. Questo ci mette in difficoltà e nuoce all’immagine del pediatra presso i suoi pazienti. In realtà, ferma restando la cittadinanza di ogni opinione, oggi i pediatri hanno uno strumento che li può orientare; sono le linee-guida. Negli ultimi anni sono uscite parecchie linee-guida, un numero tale da fare osservare che siamo di fronte ad una vera febbre1. E sono in particolare uscite linee-guida fatte con il metodo GRADE, un metodo che a partire dagli anni’90 ha rivoluzionato il campo. Si tratta delle linee-guida americane NIAID, di quelle inglesi e, per l’allergia alle proteine del latte vaccino (APLV), delle linee-guida DRACMA. Sono poi uscite reviews ed anche linee-guida che non usano questo metodo; non ne parleremo. Le raccomandazioni GRADE per l’allergia al latte Il sistema GRADE si è venuto strutturando a partire dal 1991 come una sistema in grado di superare una serie di problemi che si presentavano con le precedenti linee-guida. Non voglio qui entrare nei dettagli tecnici, ma in una parola si tratta di rendere le evidenze di letteratura fruibili in termini di processo decisionale. Davanti a questo o quel bambino, con questo o quel problema di supposta allergia alimentare, qual è la decisione giusta da prendere? Questa è una domanda che ci facciamo ogni giorno davanti ad ogni paziente, a cui le linee-guida ci aiutano a rispondere senza obbligarci a conoscere i minimi dettagli della letteratura – cosa ormai impossibile. Sono state costruite così: a. è stato costituito un panel di esperti b. questo ha deciso di usare la metodologia GRADE per definire alcune questioni diagnostiche e terapeutiche4,5,6,7,8. c. Il panel ha definito i quesiti clinici sui quale deve essere formulata la raccomandazione, cioè: “nel caso di un bambino con la seguente condizione, qual è l’intervento diagnostico o terapeutico migliore rispetto ad un intervento di controllo?” d. Il panel ha anche definito in quale popolazione di soggetti la raccomandazione si applica (nel nostro caso, i bambini con allergia al latte immediata) e. Ed ha definito quali sono gli outcomes che vengono valutati per eseguire la comparazione; cioè che cosa ci aspettiamo da un intervento medico. Nel nostro caso, che caratteristiche deve avere una formula per essere considerata un buon sostituto del latte? Ciò fatto, il pannello di evidenziologi ha percorso l’intera letteratura biomedica per individuare tutti gli effetti favorevoli e non, determinati dall’intervento in questione. In questa fase sono state considerate in primo luogo le più recenti revisioni sistematiche che rispondessero alle domande cliniche rilevanti, poi l’analisi è stata estesa ai singoli trials clinici ed eventualmente agli studi osservazionali per stabilire una stima complessiva d’effetto per l’intervento in questione. Questo è stato integrato da una valutazione qualitativa delle prove scientifiche e delle loro eventuali limitazioni dettagliata e critica, un caposaldo del modello GRADE e la base per formulare un giudizio di attendibilità delle stime rinvenute. Così i membri del pannello si sono visti restituire un sommario esaustivo e trasparente della letteratura, pronta per essere trasformata in ponderate raccomandazioni. È evidente che la raccomandazione dipende dall’importanza relativa degli outcomes: pertanto sono stati per ogni domanda clinica distinti outcomes importanti ed essenziali (critici) da outcomes importanti ma non essenziali ed outcomes non importanti; il giudizio complessivo di importanza relativa per ciascun outcome è stato espresso su una scala crescente da 1 a 9 dal GRADE Working Group, in funzione del punteggio fornito separatamente dai singoli componenti del panello. Così la formulazione delle raccomandazioni è dipesa dal bilancio tra aspetti favorevoli (benefits) e non favorevoli (downsides) collegati all’intervento, senza tralasciare l’impatto che possono avere le preferenze dei pazienti, i costi ed altri fattori da valutare caso per caso. La forza di queste raccomandazioni è tanto maggiore quanto più è netto e chiaro il suddetto bilancio. Le revisioni sistematiche prodotte per DRACMA. Dunque le linee-guida, un tempo generate dal consenso di esperti, e come tali possibilmente biassate da vari fattori interferenti (un esempio per tutti: linee-guida, peraltro eccellenti, sponsorizzate da aziende produttrici di formule ipoallergeniche), hanno ora assunto una struttura di massima trasparenza. La loro struttura è il risultato 37 del parere dell'intero gruppo di lavoro. I membri del gruppo GRADE hanno esplicitamente valutato l'importanza di tutti i risultati graduandoli su una scala da 1 a 9, dove l'estremità superiore della scala (7-9) individua i risultati di fondamentale importanza per il processo decisionale, le valutazioni da 4 a 6 rappresentano risultati che sono importanti, ma non critici e le valutazioni da 1 a 3 sono elementi di importanza limitata. Abbiamo preparato tre revisioni sistematiche mirate sulle problematiche coperte dalle linee-guida (la diagnosi, l'uso di formule e l’immunoterapia della APLV). Abbiamo sviluppato i profili di evidenza GRADE (sintetizzati in tabelle) per i quesiti clinici basati sulle revisioni sistematiche. Le sintesi delle evidenze sono state riviste dai membri del gruppo che hanno espresso commenti ed incluso correzioni. Abbiamo valutato la qualità delle evidenze secondo la metodologia descritta dal GRADE system, in cui sulla base di espliciti criteri metodologici essa viene classificata come "alta", "moderata", "bassa" o "molto bassa". Il gruppo di lavoro linee-guida DRACMA ha rivisto le sintesi delle evidenze e le bozze delle linee-guida, e ha formulato le sue raccomandazioni incluse le considerazioni esplicite di qualità delle evidenze, benefici, danni, oneri, costi, valori e preferenze. Si è raggiunto il consenso su tutte le raccomandazioni. Nel documento l’espressione "valori e preferenze" si riferisce al peso relativo che si attribuisce a particolari benefici, danni, oneri e costi per determinare il loro bilanciamento. Si è utilizzato il percorso decisionale descritto in precedenza per determinare la forza delle raccomandazioni 1,10. Le informazioni disponibili, per il gruppo, sui costi della diagnosi e del trattamento dell'allergia al latte vaccino IgEmediata sono scarse ed è molto probabile che esse varino notevolmente tra le differenti aree geografiche e giurisdizioni. Il costo, pertanto, svolge un ruolo limitato in queste raccomandazioni; non però così limitato da non farci prendere in considerazione le spese e i costi delle risorse. Se per il singolo paziente il costo potrebbe non essere un problema quando la strategia della prestazione od il trattamento è fornito a prezzo ridotto o gratuito, tuttavia medici e pazienti devono considerare le conseguenze sulle risorse locali in sede di interpretazione di queste raccomandazioni. Per le raccomandazioni forti abbiamo usato la dicitura "raccomandiamo", per le raccomandazioni condizionate la dicitura "si consiglia". Sulla base di questo metodo abbiamo risposto al seguente quesito: le formule a base di aminoacidi, di proteine di latte vaccino altamente idrolizzate, di soia, di riso possono essere usate nei bambini affetti da allergia IgE mediata alle proteine di latte vaccino? Quali outcomes contengono le raccomandazioni per la terapia sostitutiva. Cosa è importante per la scelta di una formula sostitutiva? Le caratteristiche individuate dal gruppo GRADE sono riportate nella tabella. Per ciascuna caratteristica, si tratta di un effetto riportato in almeno un lavoro scientifico sull’argomento. Al panel clinico è stato chiesto di dare un punteggio alle possibili conseguenze negative dell’uso di una formula sostitutiva, e ciascuno ha fornito separatamente la sua classifica. Su queste caratteristiche sono state impostate le raccomandazioni. Tabella 1 – Caratteristiche indesiderabili di una formula sostitutiva. Cioè: cosa una formula non deve comportare? Importanza Sintomi gravi di APLV (edema laringeo severo, asma grave, anafilassi) 9 Reazione allergica alle proteine nella formula 7 Sintomi di APLV di media gravità (edema laringeo lieve, asma lieve) 7 Scarso accrescimento 7 Enteropatia, entero-proctocolite 7 Deficits nutrizionali di proteine e lipidi 7 Deficit di ferro, calcio, vitamina D, minerali, vitamine 7 Riduzione dello z-score peso/altezza 7 Sintomi lievi di APLV (eritema, orticaria, angioedema, prurito, vomito, diarrea, rinite, 7 congiuntivite) Riduzione della qualità di vita del paziente 6 Aumento della durata di APLV 6 Gusto sgradevole (il bambino potrebbe rifiutare la formula) 6 Riduzione della qualità di vita dei genitori 6 Cross-reattività con il latte vaccino 5 Aumento dell’uso di risorse (costi) 5 Eccesso ponderale 5 Sviluppo di sensibilizzazione secondaria alle proteine della formula 5 Quindi ad esempio la palatabilità ha pesato meno del rischio nutrizionale, e quello che più è richiesto è stato che la formula non riproduca i sintomi della APLV: soprattutto quelli gravi, ma neanche gli altri. Allora perché la meno reattogena delle formule, la miscela di aminoacidi, è stata riservata alle forme gravi di APLV? Non certamente per il rischio nutrizionale che genera; anzi, è stato rilevato che la crescita, misurata come peso di bambini alimentati con miscele di aminoacidi confrontati a bambini alimentati con idrolisati di proteine del latte, è adeguata, benché i risultati pubblicati siano “imprecisi”. Vediamo in dettaglio le raccomandazioni: 38 Raccomandazione 1 In bambini con alto rischio di reazione anafilattica (pregressa storia di anafilassi) si suggerisce l’uso di formule a base di aminoacidi, a meno che non stiano già utilizzando formule altamente idrolizzate (raccomandazione condizionale/evidenza di qualità molto bassa). Valori e preferenze. Questa raccomandazione assegna un valore relativamente alto al rischio di una reazione anafilattica ed un valore relativamente basso al costo delle formule a base di aminoacidi . Commento: in ambienti controllati si può considerare appropriato un pasto di prova con formula altamente idrolizzata. Raccomandazione 2 In bambini con basso rischio di reazione anafilattica (non storia precedente di anafilassi) si suggerisce l’uso di formule altamente idrolizzate (raccomandazione condizionale/qualità dell’evidenza molto bassa). Valori e preferenze. Questa raccomandazione assegna un valore relativamente alto al costo delle formule a base di aminoacidi in situazioni dove il costo è elevato. In situazioni in cui il costo degli aminoacidi è basso, entrambi possono essere usati. Dunque è stato anche il costo ad orientare le raccomandazioni: infatti, dopo un survey sui prezzi a livello globale, è stato osservato che la formula di aminoacidi costava più del doppio (318 contro 149 € per bambino/mese, valori rilevati nell’agosto 2009), generando un importante consumo di risorse. È anche stato sottolineato anche che questa stima può solo grossolanamente servire come guida per decisioni in altri contesti: i costi diretti misurati in un unico Paese e giurisdizione ad un certo punto nel tempo certamente non sono applicabili a tutte le situazioni. Nel documento, il costo è stato stimato considerando che i bambini riportati in letteratura (età media 8 mesi) consumassero circa 750 mL di formula ogni giorno. Latte/formula Costo per litro (€) Costo al mese (€) Latte vaccine 0.9 20 Latte formulato Formula di soia Idrolisato estensivo di proteine del latte Idrolisato di riso 2.0 5 6.5 6 45 112 135 135 Miscela di aminoacidi 14 318 Se la formula di soia costa meno. Mi è capitato di presentare le linee-guida DRACMA in contesti in cui il costo delle formule è radicalmente differente da quello del resto del mondo. Ad esempio, il costo della formula di soia è nettamente più basso in Paesi come l’Iran ed il Brasile rispetto al costo delle formule idrolisate. In questi Paesi non vi è idrolisato di riso. Il reddito medio pro-capite è assai più basso di quello europeo ed americano (per ora…). In queste situazioni, come può variare la raccomandazione 7.3? leggiamola: “In bambini con allergia IgE-mediata alle proteine del latte si suggerisce l’uso di formule altamente idrolisate piuttosto che formule di soia (raccomandazione condizionale/qualità dell’evidenza molto bassa) Valori e preferenze Questa raccomandazione assegna un valore relativamente alto all’evitare reazioni avverse alle proteine della soia ed un valore relativamente basso all’accettazione ed al costo dell’idrolisato. In situazioni in cui questo non sia un problema la scelta può essere ragionevolemente equivalente”. Dunque, sappiamo che la soia può dare più reazioni dell’idrolisato. Questa raccomandazione è certamente adatta per Paesi del mondo maturi, con un buon reddito pro-capite: in altre parole presumiamo di muoverci in un contesto in cui la bassa differenza di prezzo, e la buona disponibilità economica delle famiglie, valorizza la sicurezza della formula idrolisata rispetto a quella di soia. Dunque stiamo dicendo: “se devi scegliere una macchina, la differenza di qualità tra una Mercedes ed una Great Wall vale la differenza di prezzo; anche se costa il doppio, compra la Mercedes”. Già, ma se mi trovo davanti una famiglia o una regione o una nazione in cui mediamente il reddito può permettere al massimo una Great Wall? O se la differenza di prezzo tra la Great Wall e la Mercedes è di tre volte? In questo caso ovviamente dirò: “piuttosto che andare a piedi, comprati una Great Wall”. Questa è la situazione in parecchi Paesi del mondo. Qui la raccomandazione deve essere applicata diversamente. Vi sono poi Paesi nei quali esistono tali differenze sociali per cui si dovrebbero fare raccomandazioni diverse per diverse fasce di reddito: pensiamo ad esempio ad alcuno Paesi arabi. 39 Ecco perché in Brasile, in Iran, in una parte dei medesimi Stati Uniti la raccomandazione 7.3 può essere applicata diversamente. Tuttavia debbo ammettere che non abbiamo ancora un modello matematico che ci consenta di porre l’asticella all’altezza giusta situazione per situazione, né forse mai lo avremo perché valori e preferenze sono refrattari alla sistematizzazione matematica. E in Italia? Applicando la raccomandazione alla situazione italiana di febbraio 2012, questi sono i valori: Latte/formula Latte vaccino Latte formulato in polvere (Nidina 1 o Humana1) Latte formulato in polvere 2 (Transilat o Mellin 2) Latte formulato liquido 1 (Primigiorni, Mellin 1) Latte formulato liquido 2 (Transilat o Mellin 2) Formula di soia (Isomil) Idrolisato di riso Costo per litro (€) 1.65 2.8 2.0 4.1 2.4 6 7.5 Costo al mese (€) 37 63 45 92 54 135 168 Idrolisato estensivo di proteine del latte (Nutramigen) Idrolisato estensivo di proteine del latte (Hypolac) Idrolisato estensivo di proteine del latte (Althera) Miscela di aminoacidi (Neocate) Miscela di aminoacidi (Nutramigen AA) 6.3 9.4 9 18.4 16.9 143 212 202 406 380 *Fonte: farmacia “Spina“, Monza, visitata il 1 febbraio 2012 Come si vede, i valori italiani riflettono grossomodo quelli mondiali con l’eccezione della formula di latte formulato in polvere e di quello liquido – ma questa è un’altra, ben nota, storia. Ora, che cosa succede in altri contesti, per esempio in un contesto in cui il latte di soia costa relativamente meno? E che succede se i prezzi delle formule cambiano? Si tratta di questioni non trascurabili ed anzi interessanti, perché – a differenza delle linee-guida tradizionali basate solo sulla evidenza di efficacia e tollerabilità dei prodotti farmaceutici – le lineeguida GRADE contengono in sé il meccanismo per adattarsi a queste variazioni. Lo contengono nella misura in cui esplicitano valori e preferenze, nella misura in cui includono anche le opinioni dei pazienti, nella misura in cui contengono anche il valore economico delle formule, le evidenze sulla palatabilità, sulla capacità delle formule di migliorare la qualità di vita del paziente e della sua famiglia. Come cambia la situazione in Italia con la variazione di prezzo? Con il 1° febbraio si è registrata una variazione importante dei prezzi delle formule speciali. Si tratta della riduzione del 30% del costo di una miscela di aminoacidi, che quindi non costerà più 2 volte rispetto all’idrolisato di caseina e 3 volte rispetto a quello di sieroproteine, ma solo 1.4 rispettivamente e 2 volte di più. Come questo potrà sbilanciare le raccomandazioni per la formula sostitutiva? Vediamole, applicandole al contesto italiano. Torniamo alle raccomandazioni: la raccomandazione 1 ovviamente non cambia. Raccomandazione 2 In bambini con basso rischio di reazione anafilattica (non storia precedente di anafilassi) si suggerisce l’uso di formule altamente idrolizzate (raccomandazione condizionale/qualità dell’evidenza molto bassa). Valori e preferenze. Questa raccomandazione assegna un valore relativamente alto al costo delle formule a base di aminoacidi in situazioni dove il costo è elevato. In situazioni in cui il costo degli aminoacidi è basso, entrambi possono essere usati”. Sicché il bambino con basso rischio di reazione anafilattica ha l’indicazione di un idrolisato basata esplicitamente sul fattore limitante “costo”. Dunque, nel nostro caso lo spostamento del costo sposterà la raccomandazione. Di quanto? Di quel tanto che una famiglia ritiene di potersi permettere nel momento in cui, a fronte di un problema clinico rilevante, riduce il rischio di reazioni alla formula dal 10% (tale è la definizione di rischio per le formule idrolisate di proteine del latte) a 0. In altre parole, davanti ad un bambino con dermatite atopica da APLV, sarà più facile da domani consigliare una miscela di aminoacidi rispetto ad un idrolisato di proteine del latte vaccino. I fattori dell’equazione che scatta in testa ad ogni singolo medico saranno come sempre parecchi, ma certo includeranno: gravità della condizione, disponibilità economica stimabile della famiglia, disponibilità psicologica della famiglia ad affrontare un fallimento dietoterapeutico, probabilità di un rifiuto del bambino dovuto a scarsa palatabilità della formula sostitutiva. 40 Va detto che in questo caso la situazione è complicata dal fatto che sul mercato italiano, a differenze di quello di molti altri Paesi, esiste anche la formula idrolisata di riso che – ad oggi – non ha dati pubblicati di reazioni avverse ed i cui dati nutrizionali sono giudicati dalla revisione sistematica di DRACMA paragonabili a quelli degli idrolisati di proteine del latte. Quindi sotto il profilo della tollerabilità questa formula deve – fino a prova contraria – essere considerata identica alla miscela di aminoacidi; il costo comparativo della miscela di aminoacidi passa in questo caso da 2.3 ad 1.6 volte, restando perciò nettamente superiore. Tuttavia pesa sull’idrolisato di riso la scarsezza di studi, che rende il computo dei suoi parametri di crescita “impreciso”. Come ci comporteremo dunque? Alla fine le basi del nostro ragionamento non saranno differenti, perché non sono variate le condizioni di base. La formula scelta sarà la più tollerata e la più adeguata dal punto di vista nutrizionale. In quest’ultimo aspetto, la miscela di aminoacidi non ha nulla di meno degli idrolisati. Le linee-guida DRACMA non intendono imporre uno standard di cura per i singoli paesi e giurisdizioni, né per singole patologie. Esse riportano come esempio una tabella delle raccomandazioni per patologia, in cui le miscele di aminoacidi sono di prima indicazione per l’anafilassi e per l’esofagite eosinofila. Nelle altre condizioni si propone come prima scelta l’idrolisato di proteine, del riso o del latte. Tuttavia con il cambio di prezzo, o il rimborso delle formule, aumenteranno certamente i casi in cui la miscela di aminoacidi viene proposta anche a bambini con dermatite atopica grave, patologie gastroesofagee o patologie intestinali. Potrà in altre parole succedere quello che capita già in Paesi dove i costi sono più equilibrati, come la Germania, dove i dati di vendita delle formule speciali sono completamente differenti da quelli italiani: in termini di volume, 2/3 del mercato sono aminoacidi e un terzo idrolisati. Bibliografia 1. Venter C, Arshad H. Guideline Fever: An overview of DRACMA, US NIAID and UK NICE guidelines. Curr Opin Allergy Clin Immunol 2012, in press 2. 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Essa è stata utilizzata nella pratica clinica per il trattamento di pazienti adulti e di pazienti pediatrici. Attualmente la stima della frequenza delle malattie allergiche IgE mediate nella popolazione Europea raggiunge il 30 % per la rinite e/o congiuntivite allergica. Il 20% presenta asma allergico, e 15 % malattie allergiche cutanee come dermatite atopica estrinseca oppure orticaria IgE mediata. Anche l’allergia alimentare ha presentato negli ultimi anni un aumento della prevalenza e dell’incidenza soprattutto nella popolazione pediatrica. Lo stile di vita compresa l’alimentazione nei paesi occidentali , l’inquinamento ambientale , l’urbanizzazione di vasti stati della popolazione hanno contribuito all’aumento della frequenza delle malattie allergiche . Queste caratteristiche dei paesi industriali e post-industriali non sembrano , nei prossimi anni, suscettibili di variazioni significative. Pertanto l’ITS che ha l’obiettivo di curare i sintomi delle allergie e prevenire la progressione, ha un ruolo importante per un a adeguato “management” delle malattie allergiche IgE mediate. L’immunoterapia sottocutanea (SCIT) e l’immunoterapia sublinguale (SLIT) rappresentano le due vie di somministrazione attualmente disponibili per la pratica clinica. Recentemente , dopo anni di utilizzo in Europa , la SLIT è stata approvata per il trattamento della rinite e dell’asma allergico anche in Usa. Nell’ultimo decennio una nuova forma di immunoterapia allergene specifica è stata sperimentata per il trattamento delle allergie alimentari IgE mediate. L’immunoterapia orale (OIT) che prevede la somministrazione del vaccino per via orale , cominciando da dosi molto basse che vengono aumentate gradualmente:, è basata sul presupposto che l’assunzione per via orale e il successivo assorbimento di un determinato alimento per via intestinale , rappresenti la via naturale per raggiungere la tolleranza per un o più allergeni alimentari. In conclusione , l’obiettivo che “ immunoterapie” possano diventare più efficaci e sicure sembra più vicino e realizzabile, di quanto previsto in passato . Particolarmente in età pediatria gli effetti dell’ITS potrebbero essere duraturi nel tempo e migliorare la qualità della vita dei bambini e delle loro famiglie. 43 FORUM 3 “UPDATE IN NEONATOLOGIA” Giovedì, 13 novembre 2014 Presidente: A. Colombo 14,30 – 15,45 Moderatori: C. Mamì, G. Vetrano 16,15 – 17,15 Moderatori: C. Lovati, M. Giozani 44 ADATTAMENTO NEONATALE E STABILIZZAZIONE DEL NEONATO CRITICO Giovanna Mangili, Diego Minghetti Usc Patologia Neonatale E Tin Ospedale Papa Giovanni XXIII Bergamo Circa il 95% dei parti consente la nascita di un neonato perfettamente sano che non necessiti di alcuna manovra rianimatoria. Anche se sono un evento raro, le difficoltà di adattamento alla vita extra-uterina possono però condizionare in modo drammatico il futuro dei neonati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità calcola che circa il 5% dei nuovi nati possa necessitare di manovre di rianimazione; nel nostro Paese verosimilmente la necessità di manovre rianimatorie alla nascita ha una frequenza minore (2-3%) per il progressivo miglioramento delle cure, ma ciò non toglie che un numero significativo di neonati necessitino di manovre salvavita nei primissimi istanti della loro esistenza. Anche la stessa organizzazione delle cure perinatali ha contribuito, parallelamente all’avanzamento tecnologico, a migliorare l’outcome neonatale .La centralizzazione delle gravidanze a rischio infatti mira ad assicurare che l’evento nascita avvenga nella struttura ospedaliera più adeguata alle esigenze cliniche di madre e neonato; malgrado lo sforzo della rete ostetrica, è stimato che circa l’1% delle emergenze neonatali non possa però essere previsto. Può accadere perciò che un neonato venga alla luce in un ospedale che non possieda le attrezzature e le competenze per poterlo assistere adeguatamente. Il Servizio di Trasporto d’Emergenza Neonatale (o STEN) rappresenta in questi casi un importante ed indispensabile anello della rete organizzativa ostetrico-neonatologica, che ormai da decenni è adottato da tutte le nazioni e le società evolute dal punto di vista sanitario. Nel 2010 (Neonatal Resuscitation: 2010 International Consensus on Cardiopulmonary Resuscitation and Emergency Cardiovascular Care Science With Treatment Recommendations. Circulation. 2010;122:S516-S538) sono state ridefinite le linee guida della rianimazione neonatale. Rispetto alle linee guida precedenti del 2005, queste sono le più importanti novità: • La progressione verso la fase successiva dopo una prima valutazione iniziale è definita dalla valutazione simultanea di due caratteristiche vitali: frequenza cardiaca e respiro. L’ossimetria dovrebbe essere utilizzata per la valutazione dell’ossigenazione, poiché la valutazione del colore è attualmente considerata poco affidabile. • Per i bambini nati a termine, è meglio iniziare la rianimazione con aria invece che con ossigeno al 100%. • La somministrazione di ossigeno supplementare deve essere regolata miscelando ossigeno ed aria e la concentrazione deve essere guidata dall’ossimetria. • Le prove disponibili non supportano l’aspirazione endotracheale di routine per i neonati con liquido amniotico tinto di meconio, anche quando il neonato è depresso. • Il rapporto di compressione-ventilazione rimane 3:1, a meno che sia noto che l'arresto è di eziologia cardiaca; in tal caso dovrebbe essere considerato un rapporto superiore. • L’ipotermia terapeutica deve essere considerata per i neonati nati a termine o vicino al termine con confermata encefalopatia ipossico-ischemica moderata-grave. • È opportuno prendere in considerazione la sospensione della rianimazione se non si rileva alcuna frequenza cardiaca per più di 10 minuti. • Il clampaggio del funicolo deve essere ritardato per almeno 1 minuto nei neonati che non necessitano di rianimazione. Valutazione ed intervento iniziali I neonati a termine che respirano o piangono ed hanno un buon tono muscolare devono essere asciugati e tenuti caldi. Queste azioni possono essere fatte con il neonato appoggiato sul petto della madre e non richiedono la separazione di madre e bambino. Tutti gli altri neonati devono essere valutati per determinare la necessità di una o più delle seguenti procedure in sequenza: A. Primi passi della stabilizzazione (asciugare e fornire calore, garantire una corretta posizione, valutare le vie respiratorie, stimolare il respiro) B. Ventilazione C. Compressioni toraciche D. Farmaci o espansione di volume La progressione verso il passo successivo è basata inizialmente sulla simultanea valutazione di due caratteristiche fondamentali: frequenza cardiaca e respiro. La progressione avviene solo dopo il completamento della fase precedente. Sono necessari circa 30 secondi per completare ciascuno dei primi due passi, rivalutare e decidere se passare a quello successivo. Questi quindi gli aspetti che, in emergenza, devono essere esaminati e supportati: Termico. Respiratorio. Emodinamico. Metabolico. Infettivo. Neurologico. La Stabilizzazione termica Il mantenimento della temperatura corporea entro certi limiti è condizione necessaria per la sopravvivenza. Il 45 range di temperatura “core” normale del neonato è 36.5 - 37.7 °C. Uno stress da freddo può manifestarsi se la temperatura corporea si abbassa a 36.0 °C. Si definisce ipotermia lieve una temperatura - , C l’ipotermia è considerata moderata tra 32 e 35,9 °C, grave al disotto di 32 °C. Il neonato infatti, soprattutto nei primi minuti dopo la nascita, disperde calore con facilità secondo tutte le modalità fisiche (evaporazione, conduzione, convezione, irraggiamento, etc.) Per questa ragione va posta grande attenzione nel limitare questo fenomeno: asciugare il piccolo ridurrà l’evaporazione e la convezione, porlo sotto una fonte di calore radiante o in una culla termica ridurrà la conduzione e l’irraggiamento. La perdita di calore infatti comporta, nel neonato, acidosi, ridotto apporto ematico periferico per vasocostrizione, metabolismo anaerobio, ipoglicemia, aumento del dispendio energetico. Il neonato a termine sano si trova nelle condizioni di benessere termico per temperature ambientali di 24-26°C se vestito, 33 °C nudo. Più cala l’età gestazionale, maggiore sarà la temperatura ideale. Inoltre il neonato prematuro va incontro a evaporazione con maggiore facilità rispetto al neonato a termine e per questo motivo è necessaria un’umidificazione elevata dell’aria. Consigli pratici durante l’assistenza e la stabilizzazione: mantenere una temperatura adeguata in Sala Parto e nel locale dove avviene la stabilizzazione (22°-24°C). Per il parto del neonato pretermine, l’OMS prescrive una T° di 25-28 °C - fornire calore utilizzando isole neonatali a calore radiante o incubatrici a doppia parete preferibilmente dotate di servocontrollo in base alla temperatura cutanea - posizionare panni caldi sul piano di appoggio - evitare il contatto con attrezzature fredde - eseguire le manovre all’interno dell’incubatrice, tenendo aperti gli oblò solo per il tempo indispensabile, oppure su lettini con pannelli radianti tenendo sollevate le antine laterali per ridurre gli spostamenti di aria – monitoraggio della temperatura cutanea (tra 36,2° e 36,5°C a neonato nudo) - umidificare e se possibile riscaldare i gas respiratori se i tempi per la stabilizzazione pre-trasporto sono prolungati preferire sempre l’incubatrice che garantisce adeguate percentuali di umidità (fino a 80-90% in prematuri di peso <1000 g, tra 70-80% in prematuri tra 1000 e 2000 g). Inoltre per il neonato altamente pretermine < 28 settimane di e.g. : utilizzare sacchetti di plastica trasparenti in cui porre il neonato: questo accorgimento riduce notevolmente le perdite evaporative e convettive ed evita anche lo stress di un’asciugatura vigorosa - utilizzare cappellini dello stesso materiale - ricordarsi di preriscaldare l’incubatrice da trasporto. Nel caso di parto imprevisto in ambiente extra-ospedaliero occorre accendere il riscaldamento del locale o del veicolo e asciugare il neonato con asciugamani, coperte, abiti puliti. Ricordare che il corpo della madre può essere usato come fonte di calore. Nei neonati con sofferenza asfittica nati dopo la 36ma settimana di e.g., in vista di un possibile trattamento ipotermico è opportuno mantenere il neonato già durante la stabilizzazione e il trasporto a temperatura corporea più bassa (fino a 35°C) spegnendo le fonti di calore (Ipotermia passiva). Un raffreddamento attivo con mezzi fisici (es. ghiaccio sintetico) è raramente indicato, e potrebbe anzi provocare un raffreddamento eccessivo (overcooling) e anche lesioni cutanee da contatto diretto. Mentre nell’ipotermia terapeutica il riscaldamento avviene a velocità non superiore a 0.5°C/ora, nell’ipotermia accidentale la velocità di riscaldamento non è definita. Un riscaldamento troppo rapido può risultare in un deterioramento metabolico, emodinamico e respiratorio; è necessario quindi progredire incrementando la temperatura lentamente monitorando la risposta del neonato al cambiamento termico in corso. La stabilizzazione respiratoria La sindrome da distress respiratorio (RDS) prevede come principale causa l’immaturità polmonare e la carenza del surfattante endogeno, e quindi si presenta prevalentemente nel neonato pretermine. Tuttavia la riduzione della capacità funzionale residua per l’inattivazione e l’alterata produzione di surfattante può coesistere con altre cause di distress respiratorio nel neonato a termine, come accade nella sindrome d’aspirazione di meconio (SAM) o in un'infezione a carico del polmone(alveolite) Esistono poi cause cardio- circolatorie, malformative o neuromuscolari di distress respiratorio che richiedono comunque un supporto respiratorio nella fase di stabilizzazione in attesa delle cure intensive, se necessarie, e della diagnostica specialistica. La corretta valutazione del distress respiratorio permette di identificare e affrontare prontamente le condizioni a rischio che richiedono decisioni tempestive per l’intervento terapeutico più appropriato. Utile può essere associare un punteggio alla meccanica respiratoria ,definito dalla scala di Silverman, ai parametri vitali del neonato. Distress respiratorio Assente - SapO2>85% FR<60/min Moderato - SapO2<85% FR<60/min Grave - apnea, gasping intubazione Una radiografia del torace resta elemento fondamentale per l'inquadramento del problema con possibile riscontro di disegno polmonare fine tipo “vetro smerigliato” da broncogramma aereo neiquadri di RDS, di opacità focali e asimmetriche dei campi polmonari (SAM, polmonite o malformazioni), di presenza di aria libera intra-pleurica (PNX), mediastinica o pericardica o l'eventuale alterazione della silhouette cardiaca (cardiopatia congenita, scompenso...) L'Utilizzo di ossigeno supplementare In neonati a termine che ricevono rianimazione alla nascita con ventilazione a pressione positiva, è meglio cominciare con aria piuttosto che con ossigeno 100%. Se nonostante un'efficace ventilazione non c'è aumento della frequenza cardiaca o se l'ossigenazione (guidati dall’ossimetria) rimane inaccettabile, dovrebbe essere 46 considerato l'utilizzo di una maggiore concentrazione di ossigeno. Poiché molti bambini prematuri < 32 settimane di gestazione non raggiungeranno le saturazioni desiderate in aria, può essere data con giudizio una miscela di ossigeno e aria (idealmente con la guida della pulsossimetria), partendo da una FiO2 pari a 0.30-0.40. Dovrebbero essere evitati sia l’iperossiemia e l’ipossiemia. Se non è disponibile una miscela di ossigeno e l'aria, la rianimazione deve essere iniziata con l'aria. Target di saturazione preduttale dopo la nascita, al disotto dei quali avviare la somministrazione di O2 (Kattwinkel, Pediatrics 2010) Strategie di ventilazione Le strategie di ventilazione sono state esaminate dai seguenti punti di vista: 1. caratteristiche dei primi atti respiratori assistiti e ruolo della pressione positiva di fine espirazione (PEEP). 2. pressione positiva continua delle vie aeree (CPAP) durante e dopo la rianimazione 3. dispositivi per assistere la ventilazione. Assistenza ai primi atti respiratori Non ci sono attualmente ancora prove per sostenere l'uso di pressioni di inflazione superiori a quelle necessarie per ottenere il miglioramento della frequenza cardiaca o l’espansione del torace. Ciò di solito può essere raggiunto nei neonati a termine con una pressione di 30 cm H2O e in neonati pretermine sono pressioni da 20 a 25 cm H2O. Non ci sono prove per sostenere o confutare l’utilizzo della PEEP durante la rianimazione dei neonati a termine. Nei neonati pretermine un piccolo studio non ha mostrato un beneficio da PEEP durante l'iniziale stabilizzazione nel ridurre il numero di bambini che hanno richiesto intubazione in sala parto . La PEEP è probabilmente utile durante la stabilizzazione iniziale del pretermine con apnea che necessitano di ventilazione a pressione positiva e dovrebbe essere utilizzata se è disponibile l'attrezzatura adatta. CPAP Neonati pretermine con attività respiratoria spontanea che hanno distress respiratorio possono essere supportati con CPAP o intubazione e ventilazione meccanica. La scelta più appropriata può essere guidata dalla competenza e dalle preferenze locali. Attrezzatura per la ventilazione assistita La ventilazione del neonato può essere eseguita efficacemente con pallone flusso-dipendente, pallone autogonfiabile, o rianimatore a T a pressione limitata. La maschera laringea può essere considerata durante la rianimazione del neonato, se la ventilazione con maschera non ha successo e l'intubazione tracheale o non ha successo o non è praticabile. La maschera laringea può essere considerata un’alternativa alla maschera per la ventilazione a pressione positiva per i neonati con peso > 2000 g o con età gestazionale > 34 settimane. Attualmente sono limitate le prove per valutare il suo utilizzo per i neonati di minor peso e minor età gestazionale. La maschera laringea può essere considerata un’alternativa secondaria all’intubazione endotracheale ed alla rianimazione neonatale. Il rilevamento della CO2 espirata in aggiunta alla valutazione clinica è raccomandato come il metodo più affidabile per confermare posizionamento del tubo endotracheale nei neonati con circolazione valida. La tachipnea transitoria del neonato La TTN è detta anche sindrome del polmone bagnato a causa del ritardato riassorbimento del liquido polmonare. In genere la diagnosi definitiva viene posta a posteriori, ad esaurimento del processo transizionale di adattamento feto-neonatale. Il trasferimento del neonato a termine o late preterm con distress respiratorio lieve sin dalla nascita è una questione importante per i centri di 1° livello. Diagnosi: Tratti fondamentali per la diagnosi sono la tachipnea e l’accentuazione della trama polmonare periilare all’RX. Fattori di rischio principali: prematurità e taglio cesareo Trattamento: la regola delle 2-3 ore di osservazione dopo l’esordio dei sintoni, associata all’andamento clinico, alla satO2 in rapporto al fabbisogno d’ossigeno, all’EGA e all’RX, può orientare la decisione verso la permanenza o il trasferimento. Se la sintomatologia tende a limitarsi a modesti segni di distress senza progressione dei sintomi e minima ossigeno-dipendenza, ne segue solitamente miglioramento con completa risoluzione entro 48 ore. Può essere utile la consultazione del centro UTIN di riferimento nei casi ai limiti dell’assistenza nel punto nascita. 47 La sindrome d’aspirazione di meconio (SAM) Tipica dei neonati a termine e post-termine, si presenta nel 2- 5% dei neonati con liquido amniotico (LA) tinto. Il distress respiratorio è una combinazione di diversi meccanismi quali l’aspirazione di materiale ostruttivo ed irritante, l’asfissia e l’ipertensione polmonare. Diagnosi: basata sul dato anamnestico di LA tinto aspirato dalle prime vie aeree, sulle manifestazioni di distress respiratorio e sulle opacità polmonari grossolane all’RX. Trattamento: L’aspirazione endotracheale nel neonato depresso non è raccomandata di routine; può essere valutata da parte dell’operatore la necessità di procedere ad aspirazione del meconio dalla trachea purché tale manovra non ritardi significativamente l’avvio della ventilazione . In caso di difficoltà a visualizzare la trachea non si deve perdere tempo con ulteriori tentativi ma si deve avviare rapidamente la ventilazione. Per ridurre l’insorgere di ipertensione polmonare è essenziale provvedere prontamente ad una buona ossigenazione. Vanno evitate l’acidosi e l’ipotensione ed in valutazione della fisiopatologia del distress può essere indicata la somministrazione di surfattante endotracheale in attesa di trattamento specifico in TIN. I dati in letteratura invece non danno franche raccomandazioni in merito al lavaggio bronco-alveolare con surfattante diluito. La polmonite/alveolite La polmonite batterica e lo shock settico sono un’altra possibile causa di distress respiratorio nel neonato a qualsiasi età gestazionale e può evolvere dalla nascita nei primi giorni di vita. Gli Streptococchi di gruppo B (GBS) sono i patogeni più comuni, seguiti dagli Escherichia Coli. Diagnosi: La polmonite connatale da GBS all’esordio non è distinguibile dall’RDS classica da deficit di surfattante. Elementi diagnostici sono l’aumento della proteina C reattiva e dei leucociti; la positività degli esami colturali è fondamentale ma tardiva. Fattori di rischio principali: prematurità, pPROM o PROM >18h, iperpiressia materna. Prevenzione dell’infezione da GBS screening universale con t. retto vaginale materno a 35-36 sett. e.g., trattamento antibiotico intra-partum (adeguato se praticato almeno 4h prima del parto). Trattamento: penicillina/ampicillina + aminoglicoside previa esecuzione delle colture, assistenza respiratoria non diversa dall’RDS, possibile surfattante nei casi più severi. PNEUMOTORACE - PNX spontaneo: insorge poco dopo la nascita. Sintomatico nel 10% dei casi, quasi sempre normoteso, tende a risoluzione spontanea senza necessità di drenaggio. PNX in distress respiratorio: spesso è evento critico, e secondario a ventilazione in isola neonatale. Fondamentale per la diagnosi e il trattamento è il sospetto precoce basato su: Peggioramento respiratorio improvviso – ovattamento dei toni cardiaci all'auscultazione con murmure ridotto- Mancato miglioramento dell’ossigenazione nonostante adeguata ventilazione. Rapida definizione del problema e necessità di drenaggio in estemporanea della falda aerea onde evitare eventuale tamponamento cardiaco associato. La Stabilizzazione emodinamica Il circolo ha la funzione di garantire un’ adeguata perfusione ed una ossigenazione degli organi vitali. Lo stato di shock può quindi essere definito come uno stato patologico in cui si verifica insufficiente ossigenazione e nutrizione dei tessuti. Si definisce ipotensione una PA media inferiore al 10° centile che corrisponde nelle prime 48 ore di vita ad un valore pari all’età gestazionale espressa in settimane. L’ipotensione severa e prolungata può portare ad ipoperfusione cerebrale e danno neurologico. Fondamentale ai fini pratici oltre al dato anamnestico (emorragia, asfissia o somministrazione di farmaci), rimane quindi l’esame clinico con il tempo di refilling > 3 secondi, il polso debole, la cute fredda e/o pallida, la marezzatura cutanea, la letargia, la tachipnea, la tachicardia, l’oliguria, l’incremento dei lattati sierici e la progressiva acidosi metabolica ad anion gap aumentato e l’iperkaliemia. Si distinguono per definizione tre tipi di shock: Shock ipovolemico da perdite emorragiche acute durante il parto (distacco di placenta, traumi funicolari...) post-natali ( emorragia cerebrale, polmonare...)o perdite “funzionali” (PNX iperteso, PDA, ecc). Shock cardiogeno da asfissia ( riduzione della contrattilità miocardica), da ipossia ed acidosi ( insufficienza respiratoria severa, grave alterazione elettrolitica...), o da malformazione congenita. Shock settico che si esprime come shock distributivo ma che può comprendere anche tutti i meccanismi descritti. Le procedure consigliate prevedono: -Espansione di volume 10-20 ml/Kg di soluzione fisiologica in 20-30 minuti; La velocità di somministrazione dipende dalla severità della situazione e può anche essere più veloce. L’uso di emoderivati (plasma, globuli rossi concentrati) ha come indicazione unicamente la correzione di deficit coagulativi e/o di grave anemia. -Amine vasoattive Utili soprattutto nello shock ipovolemico e nello shock settico Dopamina 5-20 mcg/Kg/minuto (da utilizzare se prevale vasodilatazione) Dobutamina 5-20 mcg/Kg/minuto (da utilizzare se prevale ipoperfusione e vasocostrizione) Se terapia inefficace pur con alte dosi ed in presenza di grave compromissione clinica associare dopamina e dobutamina o adrenalina 0,05 mcg/Kg/minuto fino a 1 mcg/Kg/minuto. Attenzione: il cuore del neonato è “nuovo” e non ha mai problemi di pompa se non secondari ad altri eventi patologici che vanno corretti se possibile (alterazioni elettroliti, acidosi..). Inoltre il cuore del neonato lavora già a livello funzionale molto alto, vicino alla capacità massima di contrattilità, e quindi ha scarsa riserva funzionale contrattile. - Monitorare e correggere acidosi metabolica 48 La Stabilizzazione metabolica Valutare sempre all’emogas analisi di controllo l’equilibrio della componente metabolica ( Eccesso di basi, Bicarbonati , acido lattico e calcolo dell’anion gap), la glicemia ed il pannello elettrolitico - utile la lettura dell’emogas arterioso eseguito da funicolo. il neonato a termine sano è lievemente acidotico nelle prime ore, ma con un maggior recupero di bicarbonato e con una ventilazione efficace il pH sale al normale range di 7.35-7.45 entro le prime 48 ore di vita. L’acidosi respiratoria (pH ridotto, CO2 aumentata, BE normale) è solitamente modificabile e correggibile con una buona ventilazione. L’ Acidosi metabolica (pH ridotto, CO2 normale, BE ridotto), di solito si verifica nel neonato a asfittico, con quadro tanto più severo quanto più lungo è stato lo stato ipossico in utero. La correzione dello stato di acidosi (se pH < 7.20 e BE <12 mEq/L) si esegue con NaHC03: 2mEq/kg/dose; va comunque ricordato che questo ha soprattutto effetto cosmetico e non correttivo sull’eventuale eziologia dell’acidosi riscontrata; inoltre attualmente la somministrazione di bicarbonato è sempre meno consigliata per le possibili alterazione osmotiche ed il possibile danno a carico del parenchima cerebrale soprattutto in caso di prematurità. Il riscontro d’ipoglicemia (da possibile ridotto apporto di glucosio, limitata disponibilità di glicogeno, aumento dell’insulinemia per diabete gestazionale materno…) deve essere corretta con infusione in bolo lento e.v. (10 minuti) di soluzione glucosata al 10% a 2 ml/kg ( pari a 200 mg/kg di glucosio) con monitoraggio glicemico seriato a valutazione del fabbisogno glucidico effettivo e stretto monitoraggio clinico a valutazione di possibile sintomatologia clinica correlata. si considera un valore glicemico ottimale superiore a 45 mg/dl con un fabbisogno teorico pari a 4-6 mg/kg/min di glucosio. L’ipoglicemia persistente associata a fabbisogno glucidico elevato devono porre il sospetto di malattia congenita del metabolismo con una rivalutazione complessiva del neonato e con l’esecuzione di esami metabolici di primo livello a definizione del quadro (lattacidemia, ammoniemia, chetoni urinari ed eventuale richiesta di screening allargato su cartoncino di Guhtrie) La stabilizzazione neurologica I problemi neurologici che più frequentemente devono essere affrontati durante la stabilizzazione possono, semplificando, es- sere distinti in base all’età gestazionale del neonato. Premesso che la nascita pretermine (< 32 settimane di e.g.) dovrebbe avvenire in un centro di 3° livello, si può affermare che nel prematuro la stabilizzazione neurologica coincide essenzialmente con una adeguata stabilizzazione respiratoria, cardiocircolatoria e metabolica: laddove infatti sono presenti scambi gassosi appropriati, pressione arteriosa adeguata all’e.g. e valori glicemici nella norma, il rischio neurologico connesso all’e.g. si riduce. E’ quindi importante ricordare: mantenere una saturazione corretta per evitare il danno ipossico, ma ricordarsi che valori elevati espongono il prematuro a rischio di iperossia altrettanto dannosa ed è quindi necessario utilizzare la minima FiO2 efficace ottenuta con miscele aria-O2 ipercapnia e ipocapnia sono entrambe dannose: pCO2 > 55 mm Hg aumentano il rischio di emorragia cerebrale, mentre pCO2 < 30 mm Hg sono correlate a un maggior rischio di ischemia l’ipoglicemia se persistente può essere responsabile di danni permanenti al SNC l’ipotensione marcata e persistente, ma soprattutto le oscillazioni della pressione sistemica si ripercuotono in pericolose oscillazioni del flusso cerebrale Le emorragie peri-intraventricolari, il cui rischio è inversamente proporzionale all’e.g. e al peso alla nascita, possono esordire nel 50% dei casi nel primo giorno di vita ma raramente, nelle prime ore di vita: la sintomatologia clinica è aspecifica (alterazioni dello stato di coscienza, ipotonia, ridotta motilità spontanea ecc). Nel neonato a termine i principali problemi da affrontare nel corso della stabilizzazione sono rappresentati dall’asfissia intrapartum e dalle convulsioni. L’asfissia intrapartum ha un’incidenza del 3-4/1000 nati vivi ed è responsabile di encefalopatia ipossico-ischemica (EII). Durante la il trattamento dell’insulto asfittico comprende il mantenimento dei parametri vitali e metabolici e l’eventuale trattamento delle convulsioni. Il corretto svolgimento della stabilizzazione nelle prime ore di vita può essere essenziale nel ridurre il rischio di danno neurologico permanente. Dopo la necrosi neuronale “diretta” avvenuta per l’insulto ipossico-ischemico, questa può proseguire per un periodo variabile da 6 a 100 ore per lo stabilirsi di un danno da riperfusione, nonostante la ripresa dei parametri vitali. L’ipotermia cerebrale è riconosciuta attualmente come la terapia più efficace in caso di EII moderata o severa, se il trattamento viene iniziato prima delle 6 ore di vita. È compito quindi dei centri di 1° e 2° livello individuare il più precocemente i possibili candidati al trattamento ipotermico,avviare l’ ipotermia passiva con spegnimento delle fonti di calore ed inviare in un timing corretto il paziente presso un centro di 3° livello per proseguire il trattamento ipotermico in forma attiva. DUE SITUAZIONI PARTICOLARI Il neonato chirurgico Le problematiche relative al neonato chirurgico rappresentano per un Pediatra impegnato in una Patologia Neonatale di primo o secondo livello, situazioni cliniche che richiedono un impegno considerevole. Da ciò l’importanza della messa in atto di procedure adeguate alla patologia chirurgica, che possano concorrere al buon esito della patologia. Sinteticamente quindi vengono affrontate le procedure da attivare nel caso delle patologie chirurgiche più frequenti. Atresia esofagea. Per atresia esofagea si intende un mancato sviluppo della canalizzazione dell’esofago. Oggi viene distinta in base a criteri anatomici in atresia esofagea con o senza fistola tracheoesofagea. Può essere 49 presente un sospetto prenatale legato alla mancata visualizzazione della bolla gastrica e alla presenza di polidramnios. Il sospetto può essere confermato clinicamente dalla mancata progressione del sondino nasogastrico, la conferma strumentale è poi radiologica mediante una radiografia torace-addome. In presenza di aria nelle anse intestinali si sospetta una atresia esofagea con fistola (TOF). Qualora le condizioni del neonato lo consentano, soprattutto in caso di TOF, è preferibile mantenere il neonato in aria ambiente per evitare di sovradistendere lo stomaco. E’ Indicato il posizionamento di un sondino naso-gastrico in modica aspirazione, Utile una copertura antibiotica ad ampio spettro. Ernia diaframmatica. Per ernia diaframmatica si intende un difetto del muscolo diaframmatico che comporta uno spostamento di organi, normalmente contenuti nella cavità addominale, all’interno della cavità toracica. Il difetto più frequente coinvolge l’emidiaframma di sinistra (o ernia di Bochdalek). Oggi il sospetto di ernia diaframmatica viene posto nella quasi totalità dei casi in epoca fetale, per cui la gravidanza deve essere inviata ad un Centro di terzo livello per la programmazione del timing del parto e dell’assistenza specifica. Nonostante ciò, una difficoltà respiratoria ingravescente nell’iimmediato post-nascita, associata ad un addome particolarmente “avvallato” dovrà far sospettare un possibile difetto del muscolo diaframmatico. Le procedure diagnostiche da mettere in atto riguarderanno solamente un Rx torace-addome in due proiezioni: anteroposteriore e laterale. Questo esame confermerà la diagnosi. La problematica principale una volta acquisita la diagnosi sarà legata alle procedure di ventilazione meccanica del neonato. In tutta la gestione del paziente con ernia diaframmatica, il chirurgo svolge un ruolo di “attesa”, entrando in scena solo quando il neonatologo confermerà un quadro di stabilizzazione. In presenza di stabilità respiratoria, sarà sufficiente posizionare un SNG a caduta, trattandosi comunque di uno stato di “pseudo-ostruzione” intestinale ed avviare una terapia antibiotica ad ampio spettro di copertura. Gastroschisi. Per gastroschisi si intende un difetto della parete addominale anteriore attraverso il quale i visceri addominali risultano erniati all’esterno. Il difetto può essere alla sinistra del moncone ombelicale (più frequentemente) o a destra. La cura maggiore dovrà essere riposta nella gestione delle anse intestinali evitando stiramenti o torsioni che comporterebbero uno stato di sofferenza ischemica dell’intestino erniato. La matassa intestinale dovrà essere avvolta in garze bagnate di fisiologica calda, ricoperte e riposte in uno strato di plastica possibilmente, allertando il Chirurgo (o Centro di riferimento) ed attivando l’immediato trasferimento del paziente. Sarà anche importante posizionare un sondino naso-oro gastrico (SNG), iniziare una terapia antibiotica ad ampio spettro accertandosi di mantenere sempre umide e calde le garze fino all’arrivo nel Centro di Riferimento. Onfalocele. Per onfalocele si intende un difetto della linea mediana attraverso il quale i visceri intestinali trovano erniazione. Nell’onfalocele si ha sempre la presenza di un sacco amniotico che isola il contenuto erniato dall’esterno ed è quindi urgenza solitamente differibile. Dovrà essere cura del Pediatra quindi far sì che tale sacco non si lesioni, trattandolo con garze bagnate di fisiologica calda, cercando di ottenere una medicazione modicamente compressiva che rimanga verticale rispetto all’asse del neonato. Anche in questo caso è consigliabile posizionare un SNG a caduta ed iniziare una terapia antibiotica ad ampio spettro. Qualora il sacco amniotico nella procedura del parto o nella fase di gestione perinatale si rompesse, i protocolli di gestione sono simili a quelli descritti per la gastroschisi, diventando un’emergenza chirurgica. Estrofia della vescica. Per estrofia della vescica si intende una mancata chiusura della sinfisi pubica con erniazione della vescica che apparirà aperta ventralmente. La diagnosi prenatale prevede un’incidenza maggiore di mancato riconoscimento del difetto. Il neonatologo dovrà aver cura della porzione erniata medicandola con garze bagnate di fisiologica calda, ricoperte, se possibile, da un film di plastica al fine di evitare la dispersione del calore attraverso la mucosa vescicale estroflessa. Verrà quindi contattato il Centro di riferimento per il trasporto immediato del paziente; l’intervento verrà eseguito come urgenza differibile e preferibilmente entro 48 ore dalla nascita. Mielomeningocele. Per mielomeningocele si intende un difetto legato alla mancata chiusura del sacco durale. Se vi fosse rottura del sacco durante le manovre di parto con esposizione di fibre nervose, dovrà essere applicata in sede di lesione una medicazione con garze bagnate di fisiologica calda con attivazione immediata del centro di riferimento. Esami diagnostici da delegare al Centro di riferimento l'ecografia la RMN dell'addome e della pelvi. Il neonato cardiopatico Il Distress Respiratorio, la cianosi e l’eventuale stato di Shock possono sottendere ad una cardiopatia neonatale. Sintomo “Secondario” può essere il riscontro di un soffio cardiaco; segno che comunque deve essere indagato nell’eventuale stabilità del paziente.La sopravvivenza del neonato dipende da 3 fattori: il rapido riconoscimento della cardiopatia la stabilizzazione delle condizioni cliniche il celere invio del neonato in un centro cardiologico-cardiochirurgico di III° livello Fondamentale quindi: - la misurazione della pressione arteriosa agli arti superiori ed inferiori e la palpazione dei polsi periferici; - Il monitoraggio delle SatO2 pre e post-duttale - Il controllo degli elettroliti plasmatici - Lo stato metabolico del paziente - Il posizionamento di una linea venosa possibilmente la vena ombelicale; - La valutazione di eventuale necessità di supporto respiratorio con intubazione o somministrazione di -ossigeno 50 (da evitare se dotto-dipendenza sistemica e in cardiopatie con fisiopatologia uni ventricolare senza ostacolo al flusso polmonare). Nel sospetto di cardiopatie dotto-dipendenti, infondere prostaglandine E1 (PGE1) alla dose iniziale di 0,050,1 mcg/kg/min infusione EV continua che va ridotta a 0,01-0,02 mcg/kg/min dopo stabilizzazione del paziente.In caso di mancata risposta la dose va aumentata fino a 0,4 mcg/kg/min. Effetti collaterali comuni, l’ apnea (12%),la febbre (14%), il flushing (10%). In caso di cianosi centrale va posta la diagnosi differenziale con malattie polmonari e depressione del SNC. L’orientamento diagnostico si basa principalmente su riscontro di tachipnea senza rientramenti intercostali, possibile auscultare un soffio continuo (pervietà del Bo tallo), talora non udibile; anomalia dell’aia cardiaca e della vascolarizzazione polmonare al controllo radiologico; alterazioni al tracciato ECG. Nelle severe ostruzioni all’efflusso destro lo shunt attraverso il dotto è sinistro-destro; Se vi è cianosi differenziale va valutata la saturazione distrettuale: valori più elevati agli arti superiori rispetto inferiori sono legati a uno shunt destrosinistro a livello del dotto di Botallo e va quindi ipotizzatata presenza di un’ ipertensione polmonare o di una cardiopatie con severa ostruzione all’efflusso sinistro. Cardiopatie con severa ostruzione all’efflusso sinistro (stenosi aortica neonatale severa, coartazione aorta, interruzione arco aortico, cuore sinistro ipoplasico) I neonati affetti presentano colorito pallido-grigio dovuto a ridotta perfusione sistemica, scarsa ossigenazione tissutale e vasocostrizione periferica; dotto-dipendenza sistemica: la pervietà del dotto di Botallo mantiene la perfusione sistemica. Lo shunt attraverso il dotto è destro-sinistro; differenza di saturazione con valori più elevati agli arti superiori rispetto agli inferiori; polsi periferici alterati: piccoli nella stenosi aortica, più deboli gli inferiori nella coartazione aortica, più deboli i superiori nel cuore sinistro ipoplasico se dotto pervio; pressione arti superiori maggiore di 10-15 mmHg rispetto agli arti inferiori suggerisce coartazione aortica, uguali pressioni non la escludono; frequentemente oliguria, tendenza all’acidosi metabolica, epatomegalia secondaria a scompenso; congestione venosa polmonare da aumento del post-carico del ventricolo sinistro al quadro radiologico. La chiusura del dotto induce ipotensione fino allo shock, edema polmonare, acidosi metabolica intrattabile, morte del paziente. Può essere quindi necessaria una terapia di supporto con inotropi (dobutamina 10mcg/kg/min associato a dopamina a 3-5 mcg/kg/min), diuretico( furosemide 1- 2 mg/kg) e bicarbonato di sodio 1 mEq/kg ev. Cuore sinistro ipoplasico - Una circolazione post-natale in questa patologia dipende da tre fattori maggiori: un adeguato difetto interatriale, la pervietà del dotto di Botallo ed elevate resistenze vascolari polmonari. L’obbiettivo è quello di mantenere la portata polmonare (QP) uguale alla portata sistemica (QS) (QP/QS circa 1). Gli interventi terapeutici sono costituiti dal mantenere elevate le resistenze polmonari e basse le resistenze sistemiche; mantenere saturazione tra 75-85%;in presenza di bassa gittata infondere dopamina a 3-5 mcg/kg/min (evitare alti dosi di inotropi che aumentano RVS e determinano un aumento del flusso polmonare a sfavore di quello sistemico QP/QS>1); potrebbero essere necessari diuretici per diminuire il sovraccarico del ventricolo destro e la stasi polmonare; non usare FIO2 > 21% e mantenere pressione sistemica media tra 40 e 50 mmHg; se il flusso polmonare è eccessivo (QP/QS >1), la satura- zione 90% e la pressione diastolica bassa considerare intubazione ed ipoventilazione elettiva per aumentare la PCO2; se il flusso polmonare è basso (condizione rara QP/QS <1), la saturazione <70-75% valutare pervietà del dotto di Botallo e presenza di difetto interatriale restrittivo. Nel 2012 il CDC ha definito l’utilità e l’applicabilità dello Screening per l’individuazione di cardiopatie critiche neonatali; Screening applicabile su neonati altrimenti sani, non invasivo, bedside, attraverso la misurazione della saturazione arteriosa tramite pulsossimetria. il TARGET: identificazione di malformazioni cardiovascolari critiche. Riferimenti - International Consensus on Cardiopulmonary Resuscitation and Emergency Cardiovascular Care Science with Treatment Recommendations. Circulation.(2010) - Linee guida società italiana di neonatologia per la stabilizzazione del neonate critico in attesa dello STEN (2010) - Perlman JM, Risser R. Cardiopulmonary resuscitation in the delivery room: associated clinical events. Arch Pediatr Adolesc Med. 1995;149:20–25 - Kamlin CO, Dawson JA, O'Donnell CP, Morley CJ, Donath SM, Sekhon J, Davis PG Accuracy of pulse oximetry measurement of heart rate of newborn infants in the delivery room. 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Rispetto ai neonati a termine, i LP presentano un aumentato rischio di morbidità e mortalità; manifestano un maggior numero di complicazioni dopo la nascita, rappresentate da comparsa di distress respiratorio, ittero con necessità di fototerapia, ipoglicemia, instabilità termica e difficoltà nell’alimentazione. Tutto questo si traduce in un aumento della degenza ospedaliera ed in un aumentato rischio di riospedalizzazione successiva alla dimissione, prevalentemente per ittero, difficoltà nell’alimentazione, disidratazione/calo ponderale. Questo rischio è maggiore nei LP che sono allattati al seno alla dimissione, nati da madri primipare con complicazioni durante il parto/travaglio. La termoregolazione Le difficoltà nella termoregolazione rappresentano una problematica frequente nei LP; questi neonati hanno infatti un ridotto strato di grasso sottocutaneo, un’epidermide immatura che costituisce una barriera inefficace alla perdita di calore. Se i neonati LP sono stabili così come la loro madre, subito dopo la nascita possono essere avviati alle procedure di “bonding”, compresa la marsupioterapa in modo da favorire il mantenimento della temperatura corporea, favorendo l’attaccamento madre-bambino e l’inizio dell’allattamento al seno che anche in questa categoria di neonati deve essere promosso quanto prima, entro le 2 ore dalla nascita. Il metabolismo I LP hanno un aumentato rischio di ipoglicemia, perché sono in possesso di minori riserve di glicogeno e perché i meccanismi epatici metabolici sono immaturi. Tale rischio è ancora più alto nei LP che presentano un basso peso alla nascita (< 2500 g), in quelli con un ritardo di crescita intrauterino (IUGR) e nei piccoli per l’età gestazionale (SGA). In questa categoria di neonati è necessario quindi, valutare il livello di glicemia nelle primissime ore dopo la nascita e successivamente monitorarlo nelle ore successive. I LP stabili devono iniziare ad alimentarsi al seno precocemente (entro 2 ore dalla nascita) e, se tendenti all’ipoglicemia, proseguire con una regolare alimentazione precoce. La condizione respiratoria Rispetto ai neonati a termine, i LP presentato un aumentato rischio di comparsa di distress respiratorio, tachipnea transitoria, malattia delle membrane ialine, insufficienza respiratoria; il rischio di tali complicazioni aumenta nei nati da taglio cesareo in assenza di travaglio. E’ da segnalare inoltre un aumentato rischio di comparsa di apnee della prematurità, bradicardia e SIDS. Ittero Diversi studi hanno documentato che i LP hanno un aumentato rischio di comparsa di iperbilirubinemia ed un aumentato rischio di fototerapia. Il minore intake di latte nei primi giorni di vita ed il più lento passaggio di meconio attraverso il canale intestinale, aumentano la circolazione enteroepatica della bilirubina; questo in aggiunta ad una ridotta attività dell’enzima uridil-glucoronil-transferasi, tipica del neonato pretermine, spiegano l’aumentata incidenza di questa condizione rispetto al neonato a termine. Il rischio di comparsa di ittero può essere in parte ridotto migliorando l’alimentazione e la produzione di latte e prevenendo l’eccessivo calo ponderale del neonato nei primi giorni dopo la nascita. Permettere alla diade madre-bambino di rimanere insieme in ospedale per un tempo maggiore, rinviando la dimissione a 4-5 giorni dopo la nascita, e misurare la bilirubina per via transcutanea alla dimissione quando ormai è verso la fase di massimo picco, riduce di molto il rischio di riospedalizzazione per ittero dopo la dimissione. Infezioni Anche per quanto riguarda le infezioni, i neonati LP presentano un aumentato rischio di incidenza rispetto alla popolazione a termine. Le infezioni materne possono indurre un parto pretermine o la rottura prematura della membrane; il tampone vagino-rettale materno per Streptococco beta emolitico di gruppo B (SGB) è generalmente eseguito verso le 36 settimane di età gestazionale, così molto spesso questo fattore di rischio risulta sconosciuto. Per tutti i LP in cui lo screening materno per SGB risulta positivo o assente, e la profilassi materna antibiotica intra-partuum risulta incompleta o assente, può essere consigliabile l’esecuzione di una PCR a 12-18 ore di vita. Tutti i possibili segni clinici d’infezione come il distress respiratorio, le apnee, la tachicardia, la scarsa perfusione, la letargia, l’ipotonia, l’instabilità termica, devono essere comunque adeguatamente indagati. 54 Problemi neurologici Durante le ultime 6-8 settimane di gestazione, il neonato acquisisce più di un terzo del volume cerebrale finale e la sostanza bianca aumenta di circa cinque volte. Durante questa fase si verifica una maturazione significativa delle strutture cerebrali incluse le connessioni neuronali e le giunzioni sinaptiche. I neonati LP possono essere meno pronti a rispondere agli stimoli esterni dell’ambiente ed a regolare i processi interni e così anche più vulnerabili al danno cerebrale ed alla comparsa di disabilità neurologiche. Questi neonati presentano generalmente un ridotto tono muscolare, spesso i loro patterns di suzione-deglutizione-respiro possono essere disorganizzati. Per l’immaturità del sistema autonomico, essi possono rispondere in maniera inadeguata agli stimoli con frequenze cardiache più alte o più basse, respirazione anomala, desaturazioni, rigurgiti. In ogni caso, questa categoria di neonati mostra un'aumentato rischio di emorragia intraventricolare e PVL rispetto ai neonati a termine. Per tale motivo, tutti i neonati LP è preferibile che vengano sottoposti ad un’ecografia transfontanellare eseguita prima della dimissione ospedaliera e inclusi in un follow-up neonatologico e neurocomportamentale. Ricovero e degenza Fermo restando che esistono diverse modalità di approccio al problema nelle diverse realtà ospedaliere, presso la nostra U.O. è previsto che i neonati LP di 35 e 36+6 settimane di età gestazionale, possano essere seguiti al nido in regime di rooming-in con la madre, salvo la comparsa di patologie che necessitino di un'osservazione specifica. Permettere infatti al neonato di effettuare il rooming-in con la madre è dimostrato che favorisca, come nei neonati a termine, l’attaccamento madre-bambino e l’inizio precoce dell’allattamento al seno. E’ necessario tuttavia che venga fornito quotidianamente il giusto supporto medico ed infermieristico al bambino ed alla madre. Questi neonati pur essendo seguiti al nido come i neonati a termine, costituiscono tuttavia come una categoria “a rischio”; pertanto, tutti i giorni vengono valutati per ciò che riguarda le condizioni generali, il peso, l’alimentazione ed in particolare la suzione al seno, offrendo il giusto sostegno ed aiuto per le problematiche ad esso correlate. Al di sotto di un peso < 2000 g, il ricovero in Patologia Neonatale può essere discusso collegialmente in base alle condizioni generali. Nutrizione ed allattamento I LP sono neonati ancora immaturi che devono confrontarsi con minori riserve energetiche e per contro con un’aumentata domanda energetica; devono confrontarsi con diminuite competenze nell’alimentazione e con una madre che spesso presenta un rischio di insufficiente produzione di latte. I LP più frequentemente presentano una suzione debole, una bocca più piccola, dei movimenti orali incoordinati. Molti di questi neonati possono presentare difficoltà nell’ottenere un’adeguata quantità di nutrimento se trattati come i neonati a termine e soprattutto se allattati esclusivamente al seno. Per questo motivo è di fondamentale importanza che madre e bambino sia completamente competente nell’allattamento al seno prima della dimissione dall’ospedale. Le madri devono pertanto essere istruite sulle posizioni opportune dell’allattamento così come sull’importanza della durata e della frequenza dei pasti. Fino a quando il peso non inizia ad aumentare e l’allattamento non è bene avviato, i LP dovrebbero essere allattati almeno 7-8 volte al giorno. Tutte le mamme che presentano un ritardo nella produzione del latte, i cui neonati hanno una suzione debole/problematica o che ricevono una supplementazione, devono essere incoraggiate ad iniziare a estrarre il proprio latte almeno ogni 3 ore, preferibilmente con un tiralatte elettrico. L'alimentazione precoce deve essere impostata con una formula post-discharge (PDF) che per composizione appare più adeguata ai fabbisogni metabolici di questi neonati. Dimissione I genitori devono essere informati fin dal primo colloquio/visita che i neonati LP hanno bisogno, rispetto ai neonati a termine, di un periodo più lungo per imparare ad alimentarsi autonomamente. I genitori devono essere informati su quante volte il loro neonato deve essere allattato, quando l’uso del tiralatte possa essere sospeso e, se una supplementazione venga data, quanto e per quanto tempo debba essere proseguita. La durata dell’ospedalizzazione di questi neonati è stata a lungo dibattuta. Anche se la maggior parte dei LP non necessita di cure intensive ed in apparenza sono sani, non sono necessariamente pronti dopo 2-3 giorni di vita ad essere dimessi. Si è visto che la morbidità neonatale aumenta nei neonati LP allattati al seno, dimessi precocemente dall’ospedale. La dimissione deve avvenire quando il neonato è in una situazione di aumento di peso consolidato e con un'alimentazione ben avviata. Quindi prima della dimissione è necessario che il neonato abbia mostrato un adeguato pattern di crescita, una buona competenza nella suzione/allattamento, una stabilità nella termoregolazione e nei parametri cardiorespiratori. I neonati LP devono essere dimessi dall’ospedale con un appuntamento (entro 2-3 giorni dalla dimissione) presso il loro consultorio di zona, dal Pediatra curante o, laddove presente, da un ambulatorio dell’allattamento per la valutazione del peso, dell’alimentazione e dell’ittero. Ad alcune mamme può essere consigliato di continuare a tirare il latte fin quando non sia stata dimostrata un’alimentazione adeguata. Deve essere intrapresa, come per i neonati a termine, una supplementazione con vitamina D (in quantità non inferiore alle 400 UI); eventuale vitamina K in base al tipo di latte assunto al momento della dimissione. 55 Letture consigliate WA: A recommendation for the definition of "late preterm" (near-term) and the birth weightgestational age classification system. Semin Perinat 2006;30:2 Kalyoncu O, Aygun C, “Neonatal morbidity and mortality of late-preterm babies”. J Matern fetal Neonatal Medicine Wang ML, Dorer DJ, Fleming MP, et al: Clinical outcomes of near-term infants. 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Arch Gynecol Obstet 2010 Apr 56 APPROCCIO ALLE MALATTIE METABOLICHE AD INSORGENZA NEONATALE Dr. Marco Spada Clinica Pediatrica, Università di Torino Ospedale Infantile Regina Margherita AOU Città della Salute e della Scienza di Torino Le malattie metaboliche ereditarie con le oltre 300 differenti patologie descritte costituiscono uno dei capitoli più vasti della moderna pediatria. E’ importante ricordare che da questa disciplina nasce il concetto e la pratica dello screening neonatale di massa con l’insuperabile modello della fenilchetonuria, si sviluppa la dietoterapia delle malattie pediatriche, prende avvio la terapia enzimatica sostitutiva che ha permesso di curare le prime malattie genetiche su base eziopatogenetica. L’identificazione delle malattie metaboliche ereditarie ad esordio precoce rappresenta una delle sfide più complesse per il neonatologo sia per gli immediati risvolti terapeutici che possono portare alla prevenzione di danni cerebrali o d’organo sia per gli importanti aspetti di counselling genetico che derivano da una diagnosi corretta di una malattia metabolica. Ai fini di un orientamento eziologico più agevole, le malattie metaboliche ad esordio neonatale possono essere ricondotte a 6 sindromi cliniche principali: 1) le encefalopatie acute senza intervallo libero, già evidenti alla nascita o a poche ore dalla nascita, 2) le encefalopatie acute con intervallo libero, caratterizzate da un esordio clinico dopo le prime 24-48 ore di vita, 3) le epatopatia acute neonatali, 4) le ipoglicemie neonatali, 5) le cardiomiopatie e le turbe del ritmo neonatali, 6) l’idrope feto-neonatale non-immune. In ognuno di questi contesti clinici il neonatologo deve sempre considerare in diagnostica differenziale l’ipotesi di una malattia metabolica ereditaria e ogni neonato “critico” in attesa di un inquadramento eziologico definitivo deve essere sottoposto immediatamente alle indagini metaboliche di primo e secondo livello. Riteniamo mandatorio effettuare in ogni sospetto clinico: 1) Esami di primo livello presso laboratorio dell’urgenza e/o al letto del paziente : a) emogasanalisi b) ammoniemia c) glicemia d) INR e) Ricerca rapida chetoni nelle urine f) Ricerca immediata eventuale odore anomalo delle urine 2) Esami specifici di secondo livello: a) Aminoacidi plasmatici b) Acilcarnitine su spot di sangue c) Acidi organici urinari Il bilancio biologico diagnostico dovrà comunque essere ultimato con la determinazioni di altri metaboliti specifici, a seconda del contesto clinico. Il rapido inquadramento clinico-biologico permetterà nella maggior parte delle situazioni di poter dare avvio alla strategia terapeutica più appropriata. 57 TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO DEL DOLORE NEL NEONATO Roberto Antonucci1, Luca Antonucci2 1 Unità Operativa Complessa di Nido, Neonatologia e Pediatria, P.O. “Nostra Signora di Bonaria”, San Gavino Monreale, ASL 6 Sanluri 2 Studente, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Cagliari Dolore nel neonato Il dolore è stato definito “un’esperienza sensoriale o emozionale sgradevole associata ad un reale o potenziale danno tissutale”. La sensazione di dolore può essere causata da stimoli meccanici, termici o chimici. Gli stimoli lesivi applicati sulla cute o sui tessuti attivano particolari recettori somatosensitivi, detti nocicettori, nei quali si generano dei segnali che vengono poi trasmessi al SNC attraverso vie nervose afferenti. Il SNC è capace di modulare i segnali nocicettivi provenienti dalla periferia, e quindi la risposta al dolore, tramite l’attivazione di vie discendenti inibitorie. Diversi neurotrasmettitori sono coinvolti nella percezione del dolore. Il principale tra essi è rappresentato dalla Sostanza P, che è localizzata a livello della prima sinapsi dei neuroni sensoriali delle corna dorsali del midollo spinale, e viene rilasciata elettivamente in risposta agli stimoli nocicettivi. Un ruolo rilevante è svolto anche da altri neurotrasmettitori, peptidici (oppiacei endogeni) e non peptidici (serotonina, noradrenalina ecc.). Studi di neurofisiologia hanno dimostrato che il neonato possiede tutte le competenze anatomo-funzionali necessarie per percepire, condurre e decodificare lo stimolo doloroso. La trasmissione dell’impulso nocicettivo nel neonato avviene prevalentemente attraverso le fibre amieliniche C responsabili del dolore “secondario”, ossia il dolore di tipo lento, sordo, diffuso e duraturo. Nei neonati, ed in particolare nei prematuri, i sistemi di controllo sulla trasmissione dello stimolo doloroso sono immaturi sia a livello spinale che sopra-spinale, da cui l’accentuata sensibilità al dolore presente in età neonatale. Uno stimolo doloroso può evocare risposte fisiologiche, biochimiche e comportamentali. Le risposte fisiologiche, conseguenti ad una stimolazione simpatica globale, interessano l’apparato cardiovascolare (tachicardia, fluttuazioni della pressione arteriosa, ridotto flusso ematico periferico e variazioni del colorito cutaneo) ed altri apparati (variazioni della frequenza respiratoria, riduzione della SaO2, aumento della pressione intra-cranica, sudorazione palmare, nausea, vomito, midriasi). Le risposte biochimiche ad uno stimolo doloroso consistono essenzialmente in un’aumentata increzione di alcuni ormoni (Cortisolo, Epinefrina, Norepinefrina e GH), in una ridotta increzione di altri ormoni (Prolattina e Insulina) e nell’attivazione del catabolismo proteico. Tra le principali risposte comportamentali al dolore vi sono l’aumentata attività della muscolatura mimica facciale, il pianto, l’aumento dei movimenti corporei, l’irrequietezza/insonnia ed improvvise variazioni dello stato comportamentale. Il neonato può provare diversi tipi di esperienze dolorose: dolore da manovre assistenziali, esame clinico o manipolazioni (pretermine); dolore acuto, procedurale (puntura del tallone, venipuntura, puntura lombare ecc.); dolore post-operatorio; dolore secondario ad alcune patologie (NEC, meningite, osteomielite); dolore associato alla ventilazione meccanica; iperalgesia prolungata a seguito di stimoli dolorosi acuti e ripetuti. I neonati ricoverati in Unità di Terapia Intensiva Neonatale (UTIN) sono quelli più frequentemente sottoposti a procedure dolorose. Nello studio di Barker & Rutter [1], ogni neonato in UTIN è stato sottoposto mediamente a 61 procedure (punture del tallone nel 56% dei casi), la maggior parte delle quali eseguite nella prima settimana di vita. Nel neonato sottoposto a procedure potenzialmente dolorose o a trattamenti cronicamente dolorosi, oppure affetto da condizioni patologiche come la NEC, dovrebbe essere eseguita una valutazione del dolore con appositi strumenti (scale del dolore). Quantificare il dolore con tali strumenti consente infatti di controllare l’efficacia degli interventi adottati (comportamentali, ambientali e farmacologici) e di modulare questi ultimi in funzione delle necessità del paziente. Le scale del dolore più utilizzate nel neonato (Premature Infant Pain Profile, Neonatal Facial Coding Scale, Neonatal Infant Pain Scale e CRIES Score) si basano su differenti combinazioni di indicatori fisiologici, biochimici e comportamentali. Dolore in epoca neonatale e sviluppo neuro comportamentale I dati della letteratura indicano che il dolore sperimentato in epoca neonatale, in special modo dai neonati prematuri, ha effetti a lungo termine. Neonati sottoposti a cure intensive tra 28 e 32 sett. di età postconcezionale (PC) dimostrano, dopo puntura del tallone, una ridotta risposta comportamentale ed un’aumentata risposta cardiovascolare rispetto ai controlli nati a 32 sett. di gestazione [2]. In neonati di peso molto basso alla nascita (VLBW), i più significativi fattori associati ad un’alterata (attenuata) reattività comportamentale ed autonomica al dolore, a 32 sett. di età PC, sono un maggior numero di precedenti procedure invasive e l’età gestazionale alla nascita; al contrario, la precedente somministrazione di morfina si associa ad una risposta “normalizzata” (aumentata) [3]. Hack et al. hanno documentato che i neonati di peso alla nascita < 750 gr. con SNC integro sono a rischio di disfunzioni neuro-comportamentali e scarsa performance scolastica, e che un ruolo importante al riguardo è svolto dalle esperienze sensoriali precoci sgradevoli [4]. Inoltre, all’età di 8-10 anni, i bambini nati pretermine mostrano una maggiore reattività somatica di fronte a scene dolorose rispetto ai coetanei nati a termine [5]. 58 Adolescenti nati con un peso estremamente basso (ELBW) presentano maggiore morbilità e valutano la loro qualità di vita, in termini di salute, come significativamente inferiore a quella dei teenagers di controllo [6]. Ex neonati VLBW, valutati in epoca adolescenziale, dimostrano un maggior numero di tender points ed una più bassa soglia degli stessi rispetto ai coetanei nati a termine [7]. Management del dolore in età neonatale E’ oggi disponibile una serie di interventi, farmacologici e non farmacologici, i quali, se utilizzati appropriatamente, consentono di attenuare e possibilmente eliminare le sensazioni dolorose e la sofferenza causate nel neonato dagli stimoli più vari. La terapia farmacologica del dolore è generalmente riservata ai neonati con dolore moderato-severo. Gli oppiacei, e più precisamente la morfina, rappresentano la prima e più studiata opzione farmacologica. D’altro canto, la ricerca su altri farmaci analgesici è scarsa [8]. L’efficacia di vari metodi non farmacologici per il controllo del dolore è stata ampiamente studiata. Tuttavia, un approccio di ricerca sistematica ed evidenze cumulative sono disponibili solo per il saccarosio orale [9]. La ricerca su altri metodi non farmacologici è incoerente e più disorganica [10,11]. Nel 2011, una Cochrane review ha valutato l’efficacia degli interventi non farmacologici (esclusi l’allattamento al seno, il saccarosio e la musicoterapia) per il trattamento del dolore acuto procedurale in bambini di età da 0 a 3 anni. Sono stati analizzati 51 studi, per un totale di 3396 partecipanti. I risultati dello studio indicano che alcuni interventi non farmacologici (in particolare la suzione non nutritiva, la kangaroo care ed il swaddling/facilitated tucking) possono essere utilizzati per ridurre significativamente i comportamenti associati a procedure acutamente dolorose, sia in neonati (pretermine e a termine) che in bambini di età <3 anni [12]. Il principale motivo di preoccupazione nella ricerca sulla terapia del dolore sembra essere l’inadeguata conoscenza riguardo agli aspetti della sicurezza dei differenti metodi impiegati, dato che gli studi si sono focalizzati principalmente sull’efficacia di essi. Nel 2008, la Società Italiana di Neonatologia [13] ha pubblicato delle Linee Guida per la prevenzione ed il trattamento del dolore nel neonato, in cui sono stabilite le misure più efficaci per ciascuna procedura o condizione responsabile di dolore. Più recentemente, il Gruppo di studio di Analgesia e Sedazione della Società Italiana di Neonatologia [14] ha pubblicato Linee Guida, basate sull’evidenza e sulla pratica clinica, per la prevenzione ed il controllo del dolore procedurale nel neonato. Nella successiva sezione saranno discusse dettagliatamente le principali misure non farmacologiche attualmente in uso per il controllo del dolore in età neonatale, mentre non verrà descritta in questa sede la terapia farmacologica, la cui trattazione va oltre gli scopi del presente articolo. Misure non farmacologiche per il controllo del dolore Prevenire, limitare o evitare gli stimoli che possono essere percepiti come nocivi rappresenta il modo più efficace per trattare il dolore. Prima di ogni test diagnostico su sangue o di ogni terapia invasiva ci si dovrebbe domandare: “è realmente necessario?” Numerose misure non farmacologiche sono oggi disponibili per attenuare il dolore nel neonato (tab. 1). Esse andrebbero ad accentuare l’attività endogena delle vie inibitorie discendenti, modulando così la risposta al dolore attraverso variazioni nell’attenzione e ridotta trasmissione del dolore. Le misure non farmacologiche sono facili da somministrare al letto del paziente, hanno minimi effetti avversi e non richiedono monitoraggio intensivo. Tuttavia, da sole, non sono sufficienti ad alleviare il dolore acuto, se di grado moderato-severo; in tal caso, esse possono essere utilizzate come misure complementari alla terapia farmacologica. Tab. 1. Principali misure non farmacologiche per il controllo del dolore nel neonato Interventi ambientali Posizionamento Fasciatura (swaddling) Rannicchiamento facilitato (facilitated tucking) Saturazione sensoriale Musicoterapia Kangaroo care Allattamento al seno Suzione non nutritiva (succhiotto, tettarella) Soluzioni dolci per os (Saccarosio o Glucosio) 59 Interventi ambientali Alcuni interventi ambientali possono essere particolarmente utili per prevenire o attenuare il dolore nel neonato. Tra essi vi sono la limitazione delle procedure dolorose o stressanti, il raggruppamento delle attività assistenziali infermieristiche, il rispetto dei periodi di riposo del paziente e la delicata manipolazione di esso. Inoltre, è utile ridurre, per quanto possibile, l’esposizione del paziente a luci brillanti e/o rumori intensi. Posizionamento Il posizionamento è un fattore ritenuto capace di modificare la percezione del dolore nel neonato, fornendo a quest’ultimo confini fisici e, nel contempo, mantenendo una posizione flessa simile a quella assunta in utero. La stimolazione termica e tattile fornita dal posizionamento può modificare il meccanismo del “gate control” e quindi alterare la trasmissione del dolore [15]. Fasciatura (swaddling) La fasciatura è una misura utilizzata in neonati e lattanti, e finalizzata al loro comfort. Una coperta o un lenzuolo vengono avvolti strettamente intorno al neonato per limitare il movimento delle sue estremità superiori ed inferiori. La fasciatura è stata usata tradizionalmente per aiutare il neonato a mantenere stabile la temperatura corporea, per fornirgli una sensazione di sicurezza o per tranquillizzarlo quando piange, consentendo alle sue mani un facile accesso per la suzione e l’auto-consolazione. E’ stato documentato che, nei neonati a termine, la fasciatura induce il sonno, riduce la frequenza cardiaca e promuove la regolarità del respiro in assenza di stimolazioni esterne [16]. Si è ipotizzato che gli effetti calmanti della fasciatura derivino dalla sensazione di contenimento che essa induce, mimando l’analoga sensazione che i feti sperimentano in utero [17]; tali effetti possono essere importanti per il neonato che sperimenta il dolore procedurale. Rannicchiamento facilitato (facilitated tucking) E’ una tecnica che include sia il contatto che la posizione [17-19], ed è finalizzata a migliorare il comfort del neonato. Tale tecnica può essere eseguita dall’infermiera o può essere insegnata al genitore, per favorire il coinvolgimento della famiglia nella “care” del neonato [20]. L’infermiera o il genitore tiene il neonato in posizione laterale, flessa (simil-fetale), ponendo una mano sulla testa del neonato e l’altra sui suoi piedi [19]. Questa postura, ottenuta sostenendo il corpo del neonato, può aumentare la sua capacità di controllare il dolore. Inoltre, il contatto cutaneo ed il sostegno posturale, applicati simultaneamente, possono avere un effetto sinergico nell’alleviare il dolore procedurale [20]. Alcuni studi hanno dimostrato che il facilitated tucking allevia il dolore durante la puntura del tallone [17,18] e dopo aspirazione endotracheale [19] nei neonati pretermine. Il facilitated tucking, inoltre, riduce il tempo di perturbazione del sonno ed i cambiamenti di stato del sonno durante i 15 minuti successivi alla puntura del tallone, se confrontato con la normale assistenza infermieristica di routine senza tucking [18]. Saturazione sensoriale La saturazione sensoriale è una metodica strutturata su basi neurofisiologiche, sperimentata su nati a termine e pretermine. Essa si basa sul presupposto che il cervello è in grado di “filtrare” gli stimoli sensoriali provenienti dalla periferia (“gate control system”). Pertanto, se adeguatamente stimolati, gli organi di senso possono “saturare” i recettori centrali causando un ingorgo sensoriale che esclude ulteriori input, e specificamente lo stimolo nocicettivo. Nel 2001, Bellieni et al. [21] studiarono l’effetto della saturazione sensoriale (combinazione di varie modalità sensoriali) nel ridurre gli score del dolore in neonati pretermine, mettendo a confronto tale metodica con nessun trattamento, con glucosio al 10% per os, con la suzione e con la combinazione di suzione e glucosio. Secondo la definizione di saturazione sensoriale fornita dagli stessi autori, vennero attuate simultaneamente le seguenti misure: il neonato veniva collocato in posizione flessa con gli arti portati verso la linea mediana, mentre gli si parlava faccia a faccia, gli si massaggiava la faccia e la schiena con mani profumate di olio per neonati, e gli si somministrava per os glucosio al 10%. Tali stimolazioni sensoriali annullarono quasi completamente il dolore. In uno studio successivo, gli stessi autori presero in esame l’uso del glucosio al 33% in combinazione con la saturazione sensoriale su neonati a termine, ottenendo una sostanziale cancellazione della risposta al dolore [22]. Musicoterapia Un altro intervento utilizzato per dare sollievo ai neonati in NICU è la musica. La musicoterapia è un intervento globale impiegato per modificare l’ambiente intorno al neonato piuttosto che focalizzarsi su uno specifico fattore stressante. La musicoterapia in NICU viene usata per mascherare stimoli ambientali dannosi come luci brillanti e suoni intensi, e allo stesso tempo per confortare i neonati attraverso la modulazione del loro stato comportamentale [23]. Tale tecnica può avvalersi di suoni intrauterini, ninne nanne, musica strumentale, musica vocale, o di una combinazione di essi. Kangaroo care La kangaroo care (KC), detta anche contatto “pelle a pelle”, è stata usata per la prima volta nel 1979 come strumento per fornire calore a neonati di basso peso alla nascita [24]. Questa tecnica è ora utilizzata per la promozione del bonding madre-bambino e dell’allattamento al seno, per migliorare il controllo della temperatura e per ridurre il dolore procedurale. Il neonato, coperto solo dal pannolino e da una cuffietta, viene posto prono tra 60 i seni della madre, in posizione verticale (petto contro petto), e fissato con una fascia al torso nudo materno. Questo posizionamento fornisce il massimo contatto “pelle a pelle” tra genitore e bambino [25]. La KC fornisce al neonato stimolazioni multisensoriali (emozionale, tattile, olfattiva, uditiva, visiva e termica), che si ipotizza modulino ed inibiscano la percezione dolorosa, riducendo la risposta del neonato agli stimoli dolorosi [26]. La KC è un efficace metodo per l’attenuazione del dolore nei neonati pretermine durante la puntura del tallone [26,27]. La riduzione del dolore è più consistente nei parametri comportamentali che in quelli fisiologici [24,28]. Allattamento al seno L’allattamento al seno (AS) aggiunge alla KC due potenziali componenti di attenuazione del dolore: latte e suzione. In neonati a termine, l’AS si è dimostrato capace di attenuare sia le componenti comportamentali che quelle fisiologiche del dolore procedurale, se confrontato con l’holding, il posizionamento, il succhiotto, il placebo o nessun intervento. In alcuni studi, la somministrazione di una soluzione dolce ha mostrato un’efficacia simile a quella dell’AS nel ridurre il dolore [29,30]. In un altro studio, l’effetto dell’AS è stato perfino maggiore di quello del saccarosio orale, quando somministrato nel 3° giorno post-natale [31]. Il trial randomizzato controllato di Leite et al. [30] suggerisce che l’effetto dell’intervento (AS) è correlato alla durata, alla dose e alla frequenza della suzione. Va rilevato che tutti gli studi citati sono stati condotti su neonati a termine, e ciò è comprensibile considerando le problematiche connesse all’AS nei neonati pretermine. Una recente Cochrane Review sull’argomento conclude che, se disponibili, l’AS o il latte materno (LM) dovrebbero essere usati per attenuare il dolore procedurale in neonati sottoposti a singole procedure dolorose, essendo da preferire a placebo, posizionamento o nessun intervento. Inoltre, secondo gli autori, la somministrazione di glucosio/saccarosio ha un’efficacia analgesica simile a quella dell’allattamento al seno [32]. A tutt’oggi, l’efficacia del LM sul dolore procedurale nei neonati pretermine è stata valutata solo in un limitato numero di studi e, pertanto, sarebbe auspicabile che anche tale popolazione neonatale venisse ulteriormente indagata al riguardo. Suzione non nutritiva La suzione non nutritiva (NNS), evocabile posizionando un succhiotto in bocca al neonato, può essere utilizzata come tecnica analgesica non farmacologica. La suzione è ritenuta capace di indurre una sensazione di calma nel neonato [33]. L’uso del succhiotto si è dimostrato in grado di ridurre efficacemente il distress comportamentale e fisiologico in neonati pretermine durante la puntura del tallone [33-35]. Inoltre, nei neonati pretermine, l’NNS non sembra avere alcun effetto negativo a breve termine [36]. Gli effetti dell’NNS non sembrano essere mediati dalle vie oppioidi poiché essi non regrediscono col naloxone, e perché l’effetto analgesico cessa una volta che la suzione termina [37]. L’uso del succhiotto ha il vantaggio di poter essere facilmente combinato con l’uso di una soluzione dolce per os. Associando le 2 tecniche si ottiene un effetto sinergico, con una riduzione del dolore superiore a quella indotta singolarmente dall’una o dall’altra tecnica [33,37]. Tuttavia, l’effetto sinergico richiede una suzione frequente ed intensa, che talora è assente nei neonati pretermine [38,39]. Saccarosio per os Da molti anni è noto che le sostanze dolci hanno effetti analgesici e calmanti sul neonato. L’uso del saccarosio per os rappresenta l’intervento sul dolore più studiato in Neonatologia. I primi trials che hanno valutato gli effetti di questa sostanza nel neonato risalgono alla fine degli anni ’80. A tutt’oggi, oltre 100 trials randomizzati e controllati hanno studiato gli effetti analgesici e calmanti del saccarosio nel neonato [40]. Nel 2004, una prima Cochrane review sull’argomento ha evidenziato l’efficacia del saccarosio orale nel ridurre significativamente le risposte dolorose indotte dalle comuni procedure assistenziali (ad es. puntura del tallone e venipuntura) in neonati e piccoli lattanti. In particolare, i neonati trattati con una soluzione di saccarosio prima di una procedura dolorosa presentano significative riduzioni del pianto, delle peculiari espressioni mimiche del volto (grimacing), della frequenza cardiaca, e dei punteggi che quantificano l’intensità del dolore [41]. L’efficacia del saccarosio orale nel ridurre il dolore procedurale nel neonato è stata successivamente confermata da due review sistematiche [42,43] e da una metanalisi [44]. Recentemente, Slater et al. [45] hanno studiato l’attività del cervello e del midollo spinale dopo una procedura dolorosa acuta, in neonati trattati con saccarosio per os. In questo studio, il saccarosio non ha influenzato significativamente l’attività nei circuiti nocicettivi cerebrali o midollari dei neonati, benchè esso abbia ridotto il comportamento doloroso di questi ultimi. Sulla base dei risultati ottenuti, gli Autori si interrogano se il saccarosio sia davvero un efficace analgesico oppure attenui soltanto le risposte comportamentali al dolore. L’effetto analgesico del saccarosio raggiunge un picco circa 2 minuti dopo la somministrazione per os e dura diversi minuti. Inoltre, tale effetto si modifica con l’età: è evidente nel periodo neonatale, attenuandosi poi progressivamente fino a scomparire a 4-6 mesi di vita. Il meccanismo che sta alla base dell’analgesia indotta dal saccarosio nel neonato non è del tutto chiarito: il senso del gusto è coinvolto in tale meccanismo, ma un ruolo chiave sembra essere svolto dall’attivazione del sistema oppioide endogeno (rilascio di beta-endorfine). L’efficacia del saccarosio orale nel trattamento del dolore procedurale neonatale è ben documentata per la puntura del tallone e la venipuntura. Tuttavia, il suo uso a scopo analgesico è stato proposto anche per altre procedure quali aspirazione, inserimento di un sondino nasogastrico o orogastrico, iniezione intramuscolare o sottocutanea, inserimento di una linea venosa, esame oculare e cambio di medicazione [46]. Inoltre, il saccarosio 61 rappresenta un’efficace ausilio alle misure di analgesia farmacologica durante procedure di maggiore invasività [46]. Per l’analgesia procedurale, si utilizza generalmente un volume variabile da 0,1 a 2 mL (a seconda dell’età gestazionale del neonato) di una soluzione di saccarosio al 24%. La soluzione può essere somministrata per via orale con diverse modalità: (a) sulla lingua (con siringa); (b) in bocca (con siringa), stimolando poi la suzione non nutritiva con un succhiotto; (c) facendo succhiare un succhiotto precedentemente immerso in una soluzione di saccarosio. A tutt’oggi, il saccarosio orale sembra essere sicuro ed efficace nell’attenuare il dolore conseguente a singole procedure. Tuttavia, si rendono necessarie ulteriori ricerche per stabilire l’effetto di ripetute somministrazioni di saccarosio sugli “outcomes” immediati e a lungo termine, specie nei neonati con estrema prematurità. Un trial randomizzato, controllato, in doppio cieco, di Johnston et al. [47] ha studiato gli outcomes neuroevolutivi in neonati di età gestazionale <31 settimane, trattati per os con saccarosio a scopo analgesico (analgesia procedurale). I peggiori scores di outcome neuroevolutivo sono stati osservati nei neonati che avevano ricevuto un maggior numero di dosi di saccarosio. Un’analisi secondaria dei dati ottenuti, condotta successivamente dagli stessi autori, ha documentato che i neonati a maggior rischio di scores neuroevolutivi peggiori erano quelli che avevano ricevuto più di 10 dosi nelle 24 ore [48]. Preoccupazioni in merito agli effetti dell’uso prolungato di saccarosio sugli outcomes neuroevolutivi sono state espresse anche da Holsti & Grunau [49], i quali suggeriscono che la regolazione della dopamina possa essere disturbata dall’assunzione di dosi ripetute di saccarosio al 24%, con conseguente interferenza con lo sviluppo motorio e dell’attenzione. Conclusioni La falsa credenza che il neonato fosse incapace di percepire il dolore ha fatto sì che quest’ultimo sia stato a lungo sottovalutato nell’assistenza in ambito neonatale. E’ invece ben dimostrato che il neonato possiede tutte le competenze anatomo-funzionali necessarie per percepire il dolore, e che il dolore sperimentato in età neonatale, specie dai prematuri, può avere effetti negativi a lungo termine. Il dolore procedurale è la principale fonte di dolore nei neonati pretermine o in quelli affetti da patologie. Tali neonati vengono sottoposti a numerose punture del tallone, aspirazioni tracheali, punture venose e arteriose, intubazioni tracheali ed introduzione di sondini gastrici. L’uso di scale standardizzate per la valutazione del dolore e l’adozione di misure per la prevenzione ed il trattamento di esso rappresentano quindi vere priorità assistenziali in Neonatologia. Ciononostante, la consapevolezza del personale sanitario riguardo alle problematiche inerenti il dolore nel neonato è ancor oggi limitata. Una buona pratica medica ed una corretta condotta sul piano etico richiedono che tutte le procedure dolorose non essenziali vengano evitate ove possibile e che, laddove siano clinicamente indicate delle procedure invasive, si riduca il dolore e lo stress da esse indotti, attraverso l’impiego di idonee misure farmacologiche e non. Diversi interventi non farmacologici sono efficaci nel ridurre il dolore procedurale nel neonato, e offrono alcuni vantaggi quali semplicità, accessibilità, facile impiego e necessità di un minimo dispendio di fatica e di tempo; inoltre, essi consentono di ridurre, se non annullare, il ricorso ai farmaci analgesici. Le numerose misure non farmacologiche attualmente disponibili per l’uso neonatale comprendono interventi ambientali, swaddling, facilitated tucking, saturazione sensoriale, kangaroo care, allattamento al seno, suzione non nutritiva e soluzioni dolci per os. Tra tali misure, il saccarosio orale costituisce uno degli interventi di scelta, essendosi dimostrato sicuro ed efficace per attenuare il dolore derivante da singole procedure dolorose. Tuttavia, resta da chiarire l’effetto di ripetute somministrazioni di saccarosio sugli outcomes immediati e a lungo termine, specie nei neonati estremamente prematuri. Bibliografia 1. Barker DP, Rutter N. Exposure to invasive procedures in neonatal intensive care unit admissions. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed. 1995;72(1):F47-8. 2. Johnston CC, Stevens BJ. Experience in a neonatal intensive care unit affects pain response. Pediatrics. 1996;98(5):925-30. 3. Grunau RE, Oberlander TF, Whitfield MF, Fitzgerald C, Lee SK. 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L'esame clinico del neonato alla nascita è il metodo semplice e, resta essenziale per riconoscere la cardiopatia prima della comparsa dei sintomi, ma un esame fisico normale nei primi giorni di vita non esclude un difetto cardiaco grave. Ritardo nella diagnosi, oltre ad aumentare la mortalità, è responsabile di morbilità e disabilità importante. Epidemiologia Prematurità e malformazioni cardiovascolari sono le due cause più comuni di mortalità neonatale, e i difetti cardiaci congeniti sono responsabili di oltre la metà dei decessi. La prevalenza delle cardiopatie congenite è stimata da vari studi da 5 a 12/1000 nati vivi e rappresenta fino a 130 su 1000 aborti spontanei o nati morti. Diversi fattori di rischio materni sono riconosciuti come le infezioni (rosolia nel 35% dei casi, citomegalovirus, herpes, coxsaskie), patologie materne (diabete, fenilchetonuria, malattie sistemiche come il lupus) e l'uso di sostanze durante la gravidanza (alcool, anfetamine, idantoina, litio, trimetadone). Le aberrazioni cromosomiche e sindromi monogeniche (mutazione di un singolo gene) sono all’origine di certe cardiopatie. La percentuale varia secondo il tipo di malattia cardiaca: meno del 10% per la gran parte, ma può raggiungere proporzioni maggiori in alcune malattie cardiache. (Tabella I e II) 65 Classificazione La diversità dei difetti cardiaci è ampia a causa delle numerose combinazioni possibili che possono interessare diverse strutture e segmenti del cuore (atri, ventricoli, pareti, grandi arterie, vene, valvole). Esistono diverse classificazioni, ma nessuna è completa per soddisfare i diversi specialisti allo stesso tempo, in base all’approccio scelto si può classificare secondo i meccanismi patogenetici (classificazione patogenetica), analisi segmentale sequenziale (classificazione anatomica) o fisiologica (approcciò clinico) Nella pratica clinica la classificazione fisiologica è quella più adatta per le sue implicazioni cliniche. L’espressione clinica dei difetti cardiaci congeniti che si verificano nel periodo neonatale varia da forme lievi a forme critiche. Sono considerati come cardiopatie critiche i difetti cardiaci che sono a rischio di vita per il neonato e richiedono un intervento immediato, molto spesso si tratta di cardiopatie dotto-dipendente. La dottodipendenza è l'elemento chiave di molte malformazioni cardiache congenite a espressione neonatale. In queste malformazioni il dotto arterioso è l'unico modo per mantenere la perfusione sistemica, polmonare o entrambi (Tabella III). Presentazione delle cardiopatie congenite Quando le cardiopatie congenite sono classificate secondo il loro disturbo fisiologico, abbiamo tre grandi categorie o presentazioni: 1. Situazioni d’ipossiemia a. ostruzione del ventricolo destro b. ostruzione venosa polmonare c. lesione mista 2. Situazioni d’ipoperfusione sistemica a. ostruzione sinistra b. anomalia miocardica 3. Situazioni di shunt sinistro-destro significativo che si sviluppa gradualmente con la caduta delle resistenze vascolari polmonari 66 Tabella III. Classificazione funzionale delle cardiopatie congenite. Diagnosi La diagnosi di una malformazione cardiaca può essere fatta prima della comparsa dei sintomi (screening in caso di presenza di altre malformazioni, anomalie cromosomiche) o in presenza dei seguenti segni: soffio cardiaco cianosi riduzione della perfusione sistemica tachipnea/distress respiratorio Pertanto, l'esame clinico per la diagnosi di cardiopatia deve essere focalizzata su: la colorazione cutanea in cerca di cianosi, la palpazione dei polsi e l’analisi della circolazione periferica alla ricerca dei segni di ipoperfusione sistemica, la respirazione in cerca di un tachipnea, l’auscultazione in cerca di soffi o rumori Soffi La prevalenza dei soffi nel neonato varia dallo 0,9% al 77,4%, poiché solo il 2% è innocente, la scoperta di un soffio è spessa il primo segno di cardiopatia. Anche se è molto difficile ascoltare un bambino che piange, respira forte e veloce, l’auscultazione cardiaca rimane un momento cruciale durante la visita di ogni neonato, essa dà la possibilità di diagnosticare un’anomalia cardiaca in anticipo. L'assenza di soffio non esclude una condizione cardiaca grave e l'intensità del soffio non è correlata alla gravità della lesione. La scoperta di un soffio dipende molto dall'abilità dell'esaminatore e della sua esperienza, ma anche dal momento dell’auscultazione e della sua ripetizione, perché alcuni difetti cardiaci soffiano solo al momento del verificarsi dei cambiamenti circolatori postnatali (caduta delle resistenze vascolari polmonari). Una volta riconosciuto il soffio, è necessario differenziare quello patologico dall’innocente. Ci sono diverse caratteristiche che permettono di differenziarli (Tabella IV). 67 Tabella IV. Caratteristiche differenziali dei soffi. Il soffio patologico è l'espressione di un'anomalia anatomica ma non è sinonimo di significativo e la maggior parte sono ascoltabile durante il primo mese di vita (fatta eccezione per il difetto inter-atriale). Ci sono diversi focolai da ascoltare riguardanti le strutture cardiache sottostanti e sono indicativi di determinate condizioni, ma tutto il torace deve essere ascoltato incluso il dorso e non dimenticare il cranio (soffio continuo in caso di malformazione arterio-venosa cerebrale.) L'unico soffio funzionale nel neonato alla nascita e quello prodotto dall’accelerazione fisiologica nei rami polmonari, si tratta di un soffio sistolico di 1 - 3/6 d’intensità, a destra e a sinistra dalla base del torace (sottoclavicolare), spesso con irradiazione verso l’ascella e la schiena, che scompare durante i primi 6 mesi di vita. È considerato anche come fisiologici nei primi 3 - 4 giorni, un soffio meso-olodiastolico di 2 - 3/6 alla base sinistra (succlavia) in presenza di un dotto arterioso ancora pervio. Riduzione della perfusione sistemica La palpazione dei polsi La palpazione dei polsi nel neonato e un atto fondamentale, questa fase dell’esame fisico visto la sua difficoltà richiede gentilezza, perseveranza e pazienza, perché non rilevare un polso, può essere un segnale di allarme. E' essenziale identificare e confrontare i polsi degli arti superiori (radiale, brachiale) con quelli degli arti inferiori (femorale, pedidio, tibiale posteriore). Spesso nel neonato è più facile sentire il polso del piede rispetto a quello femorale. In più di rilevare il polso, la sua qualità deve essere attentamente osservata, in quanto riflette lo stato di perfusione sistemica. Le anomalie dei polsi sono (Fig 1): a. riduzione di tutti i polsi : in caso di collasso o stenosi valvolare aortica critica; b. riduzione / abolizione dei polsi negli arti inferiori: coartazione aortica, anomalie dell'arco aortico; c. accentuazione di tutti gli impulsi (polsi scoccante): furto diastolico (dotto arterioso pervio, tronco arterioso comune, insufficienza aortica, finestra aorto-polmonare ..) d. accentuazione del polso carotideo e diminuzione degli altri polsi: tipico delle fistole arterio-venose cerebrali. Fig. 1. Anomalie dei polsi. 68 Da ricordare purtroppo che la presenza dei polsi agli arti inferiori non esclude una coartazione aortica o un’ostruzione sistemica finche, il dotto arterioso rimane aperto. Misurazione della pressione sanguigna. La misurazione della pressione sanguigna (PA) è un complemento essenziale alla palpazione dei polsi, deve interessare le quattro arti. Normalmente la pressione degli arti inferiori è leggermente superiore, se invece, c'è una differenza (gradiente di pressione) di oltre il 15% tra la pressione arteriosa sistolica degli arti superiori rispetto a quelli inferiori devi farci sospettare la presenza di una coartazione aorta. La misurazione della pressione arteriosa serve anche a valutare la pressione differenziale (differenza tra sistolica e diastolica). Normalmente la pressione differenziale è pari a 1/3 della pressione sistolica. Le variazioni di questa in termini di aumento o diminuzione sono patologiche (Fig. 2). Fig. 2. Variazione della pressione arteriosa sistemica differenziale. Scompenso cardiaco / collasso L’insufficienza cardiaca o scompenso cardiaco è l’incapacità del cuore a garantire e mantenere un’adeguata perfusione e distribuzione di ossigeno ai tessuti. Nel neonato questa condizione si verifica nei seguente situazione: sovraccarico di volume: shunt sinistro-destro (compresi fistole arterio-venose), insufficienza valvolare, sovraccarico di pressione: ostacolo all’eiezione sistemica (ostruzioni sinistre), alterazione primaria della funzione miocardica (anomalie miocardiche), la combinazione di questi fattori. Quasi tutti i difetti cardiaci con flusso sistemico insufficiente (sovraccarico di pressione) accadono nella prima settimana di vita, rispetto a quelli con sovraccarico di volume che si verificano spesso dopo la prima settimana alla caduta delle resistenze vascolari polmonari (Tabella. V). Tabella V. Età all’esordio dello scompenso/collasso secondo il tipo di cardiopatia. Infatti, nelle cardiopatie con shunt sinistro-destro indipendentemente dal livello di comunicazione (tranne il difetto inter-atriale), lo shunt è determinato da due fattori: la dimensione della comunicazione e la differenza di resistenza tra il settore polmonare e sistemico. Se il difetto settale è grande, il rapporto delle resistenze vascolari polmonari (RVP)/resistenze vascolari sistemiche (RVS) determina la direzione e il volume dello shunt e in conseguenze le manifestazioni cliniche. 69 I sintomi dello scompenso cardiaco. Nel neonato, la stagnazione o scarso accrescimento ponderale è uno dei segni non cardiologici importanti a prendere in considerazione. E’ la conseguenza delle difficolta di alimentazione e dell’aumento dei bisogni metabolici. Così come le infezioni respiratorie ricorrenti (la congestione polmonare aumenta la pressione nei vasi e capillari polmonari creando una compressione delle vie aeree poco rigide a questa età). Sospettare sempre uno scompenso cardiaco in un neonato che si stanca, suda (sulla fronte) durante i pasti e ha un tirage intercostale. Va ricordato che la respirazione rapida per 5-10 min. al termine del pasto è normale, ma una frequenza respiratoria superiore a 40 / min. a riposo non è normale. L'esame fisico può rivelare: tachipnea, pallore, cute marezzata e grigiastra, polsi flebili, lento tempo di riempimento cutaneo, ipotensione, osservare e palpare l’itto precordiale. E’ l’impulso cardiaco sistolico che solleva una superficie della parete toracica in corrispondenza della punta cardiaca. Un precordium iperattivo è caratteristico di un sovraccarico di volume (shunt sinistro-destro, insufficienza valvolare), ritmo di galoppo, epatomegalia, presenza di un soffio, in caso di uno scompenso grave il soffio può scomparire, e diventare percepibile solo dopo il recupero di una funzione normale segni specifici secondo la causa, ad esempio assenza di polsi negli arti inferiori in caso di coartazione dell'aorta. Ricordate che tachipnea e tachicardia sono spesso i primi segni di uno scompenso cardiaco e devono fare sempre parte della diagnosi differenziale di un distress respiratorio, asfissia o sepsi. Cianosi La cianosi è una colorazione blu della pelle e delle mucose per la presenza di più di 5 g / dl di emoglobina deossigenato nella circolazione venosa periferica, è un segno fisico di grande rilevanza clinica quando è presente. Il suo riconoscimento dipende dall’acutezza e la capacità dell'osservatore, ma anche delle condizioni dell'esame, è molto più difficile riconoscerla se è lieve, luce bassa o in bambini con pelle molto pigmentata. Clinicamente la cianosi è riconoscibile quando la saturazione arteriosa di ossigeno (SaO2) è sotto 85%. Le strutture che meglio esprimono la cianosi, sono quelli con poco tono vasocostrittore, rallentamento della circolazione, come la punta della lingua, le gengive e la mucosa orale che non sono così influenzate dal colore o dell’origine etnica. E 'importante valutare il neonato non solo a riposo, ma anche durante i pasti o il pianto, condizioni che hanno più probabilità di rivelare una cianosi centrale discreta. Da solo l’ossimetro oculare (occhio nudo) non è sufficiente a rilevare la cianosi, perché la rivelazione stessa è molto dipendente dalla concentrazione di emoglobina del soggetto. In un neonato anemico la cianosi è clinicamente evidente all’occhio solo a desaturazione significativa (SaO2 bassa), a l'opposto di un neonato polyglobulico dove basta una lieve desaturazione per essere rilevabile ad occhio nudo. Infine, in tutti i casi in cui vi è dubbio sulla presenza di cianosi, è indispensabile utilizzare un saturimetro per confermarla, esso consente la misurazione della saturazione di ossigeno dell'emoglobina nei capillari sanguigni, definita come la saturazione pulsata di ossigeno (SpO2) è molto vicino alla SaO2. Un SaO2 <95% non è mai normale in un neonato apparentemente sano dopo le prime sei ore di vita. Una volta riconosciuta la cianosi clinicamente, è necessario controllare con il saturimetro di quale cianosi si tratta, perché abbiamo tre tipi di cianosi: cianosi periferica o acrocianosi: in questo caso la SaO2 è normale, la cianosi è limitata alle dita delle mani e piedi, la lingua e le mucose sono normali. Si tratta di un disturbo vasomotorio periferico accentuato con il freddo, la policitemia. cianosi centrale: si tratta di una cianosi totale, la SaO2 è bassa. cianosi differenziale: è una cianosi di origine centrale con una differenza di saturazione tra il tronco e la parte inferiore del corpo, è limitata dalla posizione anatomica del dotto arterioso pervio. E da qui che deriva l’espressione di SaO2 pre e post-dotto, clinicamente rappresentato dalla saturazione degli arti superiori (SaO2 pre-duttale) e degli arti inferiori (SaO2 post-duttale). Ciò richiede di misurare sistematicamente la saturazione ai quattro arti che normalmente si sovrappongono, la presenza di una differenza è un elemento importante per la diagnosi: SaO2 degli arti superiori più alta degli inferiori: riflette la presenza di un dotto aperto con shunt destro sinistro in caso d’ipertensione arteriosa polmonare, coartazione aortica o interruzione dell'arco aortico. SaO2 degli arti superiori più bassa degli inferiori: situazione rara, definita anche cianosi differenziale reverse, presente in caso di trasposizione delle grosse arterie (TGA con ipertensione arteriosa polmonare o TGA con coartazione aortica o interruzione dell’arco aortico. 70 Cause della cianosi Del punto di visto fisiopatologico un neonato con cardiopatia congenita è cianotico per due motivi: una miscela di sangue venoso ed arterioso con eiezione di sangue sistemico desaturato: sono le cardiopatie cianogene con aumento del flusso polmonare. In questi casi molto spesso la SaO2 non è troppo bassa, è quasi normale. Perciò, una SaO2 del 90% non esclude del tutto una cardiopatia cianogena. riduzione del flusso polmonare: sono le cardiopatie cianogene con ostruzione della via polmonare. Il flusso polmonare è garantito dal dotto arterioso o da collaterali sistemiche-polmonare. Diagnosi di una cardiopatia cianogena. Una volta confermata la cianosi, il passo successivo è quello di differenziare la cianosi d’origine cardiaca dalle altre cause. Una vasta gamma di malattie può simulare una cardiopatia cianogena (cause respiratorie, metaboliche, ematologiche, neurologiche ...), ma ciò che riproduce al meglio una cardiopatia sono le patologie polmonari, in particolare quando cianosi e dispnea si associano. Il modo di presentazione, presenza o assenza di distress respiratorio, sono gli elementi che ci possono guidare a riconoscere la cardiopatia. Secondo il modo di presentazione è possibile riconoscere una cianosi: intermittente, più comune nei casi di disturbi neurologici (apnee) continua: generalmente d’origine respiratorio o cardiaca durante i pasti: fistola esofago-tracheale, reflusso gastroesofageo improvvisa: pneumotorace scompare al pianto: atresia delle coane migliora al pianto: respiratoria o neurologica aumenta al pianto: cardiologica La presenza o l'assenza di distress respiratorio. Generalmente la cianosi di una cardiopatia congenita è isolata, poca o nessuna difficoltà respiratoria. Siamo davanti ad un neonato blu in modo immutabile, che non dà l'impressione di essere malato. Tuttavia la presenza di distress respiratorio non è così discriminante per escludere una cardiopatia. Un terzo delle cardiopatie cianogene è accompagnato da sintomi respiratori. Allo stesso modo, se la ritenzione di CO2 è di solito presente nei casi di patologia polmonare, qualche grave cardiopatie cianogene possono avere una marcata ipercapnia. Le difficoltà sorgono anche quando cardiopatia e patologia polmonare coesistono. Test d’iperossia. E' indicato come una prova per distinguere la cianosi cardiaca e respiratoria (polmonare o vascolare). Ogni neonato cianotico deve essere sottoposto al test, consiste nel fare respirare il neonato per almeno 10 minuti con una FiO2 del 100% e poi valutare il risultato misurando la PaO2 pre e post dotto arterioso. Il test è considerato positivo se la PaO2 supera 150 mmHg e quindi la cianosi è d’origine respiratoria, è negativo se la PaO2 è inferiore a 100 mmHg, in questo caso si tratta di una cardiopatia. E 'considerato inconcludente quando la PaO2 è tra i 100 -120 mmHg. Anche se spesso in pratica si utilizza il saturimetro, la stima transcutanea non è in alternativa precisa per l’emogasanalisi (PaO2). Infatti, secondo la curva di dissociazione di ossiemoglobina, una SaO2 al 100% non implica necessariamente una PaO2 normale, perché l'emoglobina è completamente satura di ossigeno quando la PaO2 supera i 75 mmHg e quindi concludere erratamente ad un test di iperossia positivo. Comunque il saturimetro rimane valido nel caso in cui la SaO2 non si normalizza con il test. Interpretazione del test d’iperossia (Fig. 3). Le cardiopatie cianogene hanno uno shunt fisso (sangue arterioso e venoso misto), che non consente alla PaO2 (SpO2) di aumentare con la somministrazione di O2, mentre in caso di patologia polmonare l’iperossia aumenta la diffusione alveolo-capillare e l'ossigenazione del ritorno venoso polmonare, e di conseguenza la PaO2. 71 Fig. 3. Interpretazione del test d’iperossia. Certamente il test d’iperossia è utile, ma ha alcune limitazioni, ci possono essere falsi positivi o negativi (soprattutto se si considera la SaO2). In alcune cardiopatie cianogene l’O2 agisce come un modulatore delle RVP, abbassandole aumenta il flusso polmonare e dunque mostrare un miglioramento della SaO2 (falso positivo). Come ci possono essere falsi negativi nei casi di gravi malattie respiratorie in cui la cianosi persiste o si modifica lievemente con una FiO2 del 100%. Tuttavia, è con la combinazione di diversi parametri che si può arrivare alla diagnosi di una cianosi cardiaca (Tabella V). Tabella VI. Diagnosi differenziale tra cianosi respiratoria e cardiaca (* non sempre). Conclusione. La diagnosi delle cardiopatie in epoca neonatale è una prova difficile e spetta al pediatra sapere cogliere i primi indizi di patologia. Perché, una cardiopatia critica misconosciuta o diagnosticata tardivamente comporta un serio rischio di mortalità, morbilità e handicap evitabili con una diagnosi precoce. La diagnosi delle cardiopatie congenite richiede dunque un’attenta osservazione clinica e perspicacia nel valutare l’obiettività cardiovascolare alla nascita, ma per escludere queste anomalie non è sufficiente il primo esame alla nascita è necessario rivalutare il neonato dopo la sua dimissione dal nido. Sicuramente lo screening con il saturimetro (pulsossimetria) per tutti neonati prima della dimissione può essere di aiuto. 72 ECOGRAFIA DELL'ENCEFALO, UTILE STRUMENTO NELLA DIAGNOSI DELLA PATOLOGIA NEUROLOGICA: CASI CLINICI Carlo Poggiani, Bruno Drera U.O. di Neonatologia e Patologia Neonatale con T.I. Istituti Ospitalieri di Cremona L'ecografia transfontanellare rappresenta la metodica di imaging dell'encefalo di prima scelta nel neonato pretermine e, sebbene con alcune limitazioni, nel neonato a termine in casi specifici. Di routine l'esame ecografico viene eseguito tramite la fontanella anteriore che rimane aperta nei neonati a termine fino a circa nove mesi di età, mentre nei prematuri e in quelli con un aumento della pressione intracranica, la finestra acustica può rimanere aperta per periodi di tempo molto più lunghi. In casi particolari, quando possibile, lo studio ecografico può essere portato a termine con successo insonando la fontanella posteriore e la sutura squamosa. Per ottenere immagini che comprendano tutte le strutture analizzabili, è necessario eseguire la scansione dell'encefalo in modo sequenziale in senso antero-posteriore nel piano coronale e poi, sul piano sagittale, dalla linea mediana alle regioni più laterali, o viceversa (figura). Tutti i nati pretermine dovrebbero essere sottoposti a indagine ecografica entro 24 ore di vita, o entro le prime 2 ore se compromessi, e successivamente in terza, settima, quattordicesima e ventottesima giornata di vita. A completamento, nei gravi prematuri con un'età gestazionale inferiore a 28+6 è indicata una risonanza magnetica dell'encefalo a 40 settimane di età gestazionale corretta. Nei nati a termine l'ecografia dell'encefalo risulta necessaria in condizioni specifiche: - in neonati con diagnosi prenatale di presunta anomalia cerebrale - in caso di una condizione sindromica sospetta o accertata - nel sospetto di infezione congenita (TORCH) - in corso di infezione e/o sepsi - nei neonati con Indice di Apgar inferiore a 7 nel 1° minuto - nei neonati candidati a ipotermia con timing specifico - in caso di convulsioni o anomalie del tracciato se sottoposti a EEG - nei neonati che, indipendentemente dall'età gestazionale, abbiano avuto una RDS. L'emorragia intracranica (ICH) è una delle principali cause di morbidità e mortalità nel neonato, soprattutto in quello prematuro. L'ecografia ha dimostrato di avere un'ottima sensibilità e precisione nella rilevazione di ICH, specialmente in quelle subependimali e intraventricolari. Inoltre, l'ecografia presenta i vantaggi della sicurezza degli ultrasuoni e di poter essere eseguita in un'unità di terapia intensiva neonatale senza spostare il neonato (e le apparecchiature di supporto vitale) in locali diversi dalla TIN. Nel neonato prematuro l'ICH di solito si verifica entro i primi 3 giorni di vita. I fattori di rischio includono la prematurità (meno di 32 settimane di gestazione), il basso peso alla nascita (meno di 1500 grammi), il sesso 73 (maschio: femmina - 2: 1), gravidanze multiple, trauma al momento del parto, travaglio prolungato, alterazioni della coagulazione, pneumotorace, pervietà del dotto arterioso, e in generale fattori associati a un aumento o a una diminuzione del flusso sanguigno intracerebrale. Dal punto di vista ecografico l'ICH è stata suddivisa in quattro gradi. La classificazione delle emorragie è quella di Papile, modificata (1). Grado I (incidenza sul totale delle emorragie 40%) Emorragia della zona germinativa (GMH) con o senza minima emorragia intraventricolare (IVH) (<10%) Grado II (incidenza 25%) IVH con interessamento 10-50% area ventricolare Grado III (incidenza 20%) IVH con interessamento > 50% Grado III e annotazione separata (Grado IV) (incidenza 15%) Ecodensità periventricolari da infarto emorragico La dilatazione ventricolare che si può presentare nel 35% dei neonati con emorragia si risolve spontaneamente nel 65% dei casi, sebbene vada attentamente monitorata sia perchè può evolvere in un idrocefalo postemorragico sia perchè può correlare con un aumentato rischio di deficit neuromotorio, neurosensoriale o di apprendimento. Una delle manifestazioni del danno ipossico-ischemico nel neonato prematuro è la leucomalacia periventricolare, conseguenza della necrosi della sostanza bianca profonda che di solito avviene all'angolo esterno dei corni frontali dei ventricoli laterali e a livello delle radiazioni ottiche adiacenti al trigono. Il primo segno ecografico di PVL è costituito da ecodensità nella materia bianca periventricolare bilateralmente. Queste alterazioni di solito si sviluppano entro i primi 10 giorni di vita. In casi più severi, la PVL acquista un aspetto microcistico o con lesioni cistiche più estese e diffuse. L'ecografia cerebrale è l'esame di prima scelta nella conferma o nella ricerca di eventuali malformazioni cerebrali, che possono essere suddivise in due grandi gruppi: sovratentoriali e sottotentoriali. Tra le anomalie sovraentoriali della linea mediana la malformazione di più frequente riscontro è l'agenesia completa o parziale del corpo calloso. Ecograficamente l'agenesia del corpo calloso è diagnosticata tramite segni diretti (mancanza della banda sonolucente del corpo calloso con una disposizione radiale dei solchi cerebrali intorno al tetto del terzo ventricolo) e indiretti, tra i quali la colpocefalia, l'obliterazione del cavum del setto pellucido, l'elevazione e la dilatazione del 3° ventricolo e il decorso anomalo dell'arteria pericallosa. L'agenesia del corpo calloso può essere isolata oppure associarsi ad altre malformazioni intra- o extra-cerebrali, ad aneuploidie, malattie metaboliche o monogeniche. Altre malformazioni sovratentoriali diagnosticabili sono l'oloprosencefalia, l'agenesia del setto pellucido, la displasia setto-ottica, malformazioni artero-venose (la più frequente delle quali è la dilatazione aneurismatica della Grande Vena di Galeno) e difetti della girazione. Fra questi, un esempio è la lissencefalia, un grave disturbo della migrazione neuronale caratterizzato da circonvoluzioni corticali assenti (agiria) o diminuite (pachigiria) e da una corteccia ispessita. Sono stati descritti diversi tipi di lissencefalia: isolata o associata a malattie monogeniche, cromosomiche, distrofie muscolari, e malattie metaboliche (disordini dei perossisomi o mitocondriali). Nella forma isolata il gene più spesso implicato è LIS1, responsabile della forma autosomica recessiva, mentre il secondo gene più spesso in causa, doublecortina (DCX), è responsabile della forma Xlinked. Nel periodo neonatale il quadro clinico è caratterizzato da ipotonia, disturbi neuromotori, disturbi dell'alimentazione e respiratori. Le crisi epilettiche sono presenti in oltre il 90% dei bambini con lissencefalia, con una insorgenza nei primi sei mesi di vita in circa il 75% dei casi. Le malformazioni sottotentoriali della fossa cranica posteriore comprendono la malformazione di Chiari, di Dandy-Walker, l'ipoplasia cerebellare e l'ipoplasia pontocerebellare. Ancora, l'ETF può essere di grande aiuto nell'iter diagnostico nel sospetto clinico di malattie neurocutanee (anomalie cerebrali associate a ipomelanosi di Ito o alle lesioni corticali caratteristiche della sclerosi tuberosa) o nel sospetto di disordini congeniti del metabolismo. In particolare, si possono riscontrare segni ecografici altamente suggestivi, se non addirittura patognomici, che possono agevolare il processo diagnostico come nel caso della malattia di Canavan, della sindrome di Zellweger o di altre leucodistrofie. L'ETF è di grande valore per la valutazione delle infezioni intracraniche nel neonato. Fra queste la meningite batterica neonatale è una malattia grave, spesso associata a danni neurologici permanenti nonostante la terapia antibiotica precoce. Circa il 25% dei neonati con sepsi batterica, sostenuta più frequentemente da Streptococcus Agalactiae ed E. Coli, può sviluppare meningoencefalite. Lo spettro dei reperti ecografici è legato all'infiammazione, all'edema e alla vasculite comuni a tutte le infezioni cerebrali e comprende: iperecogenicità dei solchi, raccolte fluide extra-assiali, idrocefalo, ventricolite, anormale ecogenicità parenchimale, ascessi intraparenchimali, ed encefalomalacia. 74 Le infezioni intracraniche perinatali possono anche essere secondarie ad agenti virali o protozoari. Queste infezioni, che possono essere acquisite in utero, durante il parto, o nelle prime settimane di vita, sono più frequentemente riconducibili a infezioni del complesso TORCH come il Toxoplasma gondii, rosolia, citomegalovirus e herpes simplex virus di tipo 2. Se acquisita in utero, l'infezione di uno di questi organismi può causare errori di sviluppo e lesioni distruttive nel cervello. Bibliografia Brain lesions in preterm infants: initial diagnosis and follow up. Argyropoulou MI, Pediatr Radiol (2010) 40:811-818 Imaging the premature brain: ultrasound or MRI ?. de Vries LS, Benders MJ, Neuroradiology (2013) 55:S13S22 Neonatal neurosonography. Riccabona M, Eur J Radiol (2014) 83:1495-506 Cranial ultrasonography in neonates: role and limitations. van Wezel-Meijler G, Steggerda SJ, Leijser LM, Semin Perinatol (2010) 34:28-38. 75 LETTURA MAGISTRALE “CHRONIC COUGH IN CHILDREN” Giovedì, 13 novembre 2014 19,00 – 19,30 Relatore: A.B. Chang 76 CHRONIC COUGH IN CHILDREN Anne B. Chang Queensland Children’s Respiratory Centre, Royal Children’s Hospital, Brisbane, Queensland, and Menzies School of Health Research, Darwin, Northern Territory, Australia. Summary points The paradigm of managing cough in children differs from that in adults.1 Reasons that underpin this rationale include the known physiological differences that influence etiological factors, outcome measures and investigation tests of children compared to adults. 2 The constructs used in children are overlapping and based on duration of cough, likelihood of an underlying cause being present (specific and non-specific cough) and cough at is recognizable from its characteristics. 3 Asthma is a common cough of chronic cough in adults. In children the evidence that most non-specific cough (ie dry cough without any other symptoms) in children is not asthma is reflected in clinical and community epidemiological studies and randomized controlled trials. 4 However, a number of children with chronic cough do have asthma but these children have additional symptoms that are revealed only with detailed history taking. Clinicians should be cognizant of the ‘time to response’.5 If any medications are used, it should be introduced on a trial basis with early review (2-4 weeks) and cessation of medication if the cough does not respond to asthma therapy. Failure to do so will result in escalation of medication dose with the risk of significant side effects. A recently completed multi-centre randomized controlled trial6 involving 272 children with chronic cough (>4 weeks duration) in 5 major Australian centers has shown that management of children with chronic cough, in accordance with a standardized clinical algorithm (compared to usual treatment) improves clinical outcomes. A standardized clinical algorithm can be feasibly used in a multi-centre setting. Newly appreciated important contributors to chronic cough in children include protracted bacterial bronchitis7 with or without tracheomalacia.8 References 1. Chang AB. Therapy for cough: where does it fall short? Expert Rev Respir Med 2011;5:503-13. 2. Chang AB. Pediatric Cough: Children Are Not Miniature Adults. Lung 2010;188:S33-40. 3. Chang AB, Landau LI, van Asperen PP, et al. The Thoracic Society of Australia and New Zealand. Position statement. Cough in children: definitions and clinical evaluation. Med J Aust 2006;184:398-403. 4. Weinberger M, Abu-Hasan M. Pseudo-asthma: When Cough, Wheezing, and Dyspnea Are Not Asthma. Pediatrics 2007;120:855-64. 5. Chang AB, Glomb WB. Guidelines for evaluating chronic cough in pediatrics: ACCP Evidence-Based Clinical Practice Guidelines. Chest 2006;129:260S-283. 6. Chang AB, Robertson CF, et al. Can a management pathway for chronic cough in children improve clinical outcomes: protocol for a multicentre evaluation. Trials 2010;11:103. 7. Chang AB, Redding GJ, Everard ML. State of the Art - Chronic wet cough: protracted bronchitis, chronic suppurative lung disease and bronchiectasis. Pediatr Pulmonol 2008;43:519-31. 8. Kompare M, Weinberger M. Protracted Bacterial Bronchitis in Young Children: Association with Airway Malacia. J Pediatr 2012;160:88-92. 77 SEZIONE 1 “IN CASE YOU MISS IT” Venerdì, 14 novembre 2014 Presidente: A. Urbino 8,00 – 9,20 Moderatori: G. Bracaglia, V. Flacco 78 TERAPIA DEL DOLORE NELLE PROCEDURE DIAGNOSTICHE Andrea Messeri ([email protected]) Servizio terapia del dolore & cure palliative aou meyer – Firenze Il dolore da procedura è quella sofferenza dovuta a interventi diagnostici o terapeutici che i bambini devono affrontare e che è spesso causa di preoccupazione più della malattia stessa. I bambini che arrivano in ospedale sono spesso già spaventati, hanno dolore, ferite e presentano una sofferenza generalizzata. Sebbene il dolore legato alle procedure rappresenti esperienza di breve durata, le procedure effettuate senza un adeguato controllo del dolore possono causare nel bambino ansietà, che a sua volta può incrementare il dolore delle procedure seguenti, alterare la relazione con gli operatori sanitari e ridurre la compliance terapeutica. Inoltre il trauma subìto provoca poi nel bambino un timore diffuso di affrontare qualsiasi evento medico successivo. Le procedure che si attuano creano angoscia e stress non solo nei bambini e nei loro genitori ma anche negli operatori sanitari che le praticano. Le procedure dolorose che si fanno in ospedale possono essere più o meno invasive ma per tutte è possibile garantire il controllo del dolore e della paura. Le situazioni più frequenti che richiedono un controllo del dolore e della paura sono: la venipuntura, le procedure dolorose in oncoematologia e in pronto soccorso, le medicazioni chirurgiche, le medicazioni dei bambini ustionati, gli esami endoscopici e radiologici. In alcune malattie, soprattutto in quelle croniche, come la leucemia, le gravi ustioni, le procedure dolorose devono essere ripetute molte volte, per dei mesi o a volte anche degli anni, prima della guarigione del bambino. In queste situazioni vengono percepiti come l’aspetto più doloroso della malattia Per il trattamento del dolore da procedure in pediatria è opportuno seguire alcuni principi di base. È innanzi tutto fondamentale preparare il bambino e i genitori con interventi specifici. Dobbiamo assicurare il massimo trattamento del dolore e dell’ansia da prima procedura in modo da ridurre l’insorgere dei sintomi da ansia anticipatoria. E’ importante per il bambino la presenza del genitore, al quale deve essere assegnato un ruolo specifico durante la procedura Dobbiamo inoltre assicurarci che vi sia una buona abilità manuale in coloro che eseguono le procedure pediatriche ed effettuare una valutazione dei comportamenti del bambino per stimare l’efficacia del trattamento del dolore e dell’ansia. Gli obiettivi del contenimento della sofferenza e del dolore nel bambino sottoposto a procedure dolorose sono essenzialmente: 1. Minimizzare il dolore, cioè fare in un’unica volta le varie procedure dolorose previste, come i prelievi di sangue e le punture lombari, in modo da limitare il numero delle procedure stesse. 2. Massimizzare la collaborazione con il paziente, dare una tempestiva informazione ai genitori e al bambino, illustrando quelli che saranno i loro ruoli, anche attraverso aiuti audio-visivi. 3. Minimizzare il rischio per il paziente, devono essere disponibili e funzionanti un adeguato monitoraggio e una attrezzatura di rianimazione; interventi di tipo psicologico possono aiutare a ridurre il bisogno di interventi farmacologici. 79 EFFETTO PLACEBO Elisa Carlino Department of Neuroscience, University of Turin Medical School Definire un farmaco è solitamente molto semplice: infatti per farmaco si intende una molecola che induce uno specifico effetto biologico attraverso l’attivazione di specifici sistemi neurotrasmettitoriali. Definire un placebo è più difficile. Le definizioni date sono svariate e spesso generano fraintendimenti che modificano il significato stesso del termine, la sua connotazione ed il suo impatto nel panorama scientifico e culturale. Solitamente il termine placebo viene usato per indicare una sostanza o, più un generale, un trattamento inerte prescritto in assenza di una reale terapia per compiacere il paziente. Nonostante il placebo non contenga di per sé un principio attivo, quando un paziente lo riceve, è possibile che egli percepisca un reale miglioramento della propria patologia (e.g. una riduzione della percezione del dolore). Questo miglioramento viene definito effetto placebo. Questa definizione di placebo come sostanza inerte porta a diversi fraintendimenti. Una prima confusione riguardo ai termini placebo ed effetto placebo deriva dall’utilizzo del placebo nei trial clinici. Il gruppo placebo viene infatti utilizzato per testare la superiorità del farmaco rispetto al trattamento con placebo, in questo caso chiamato “dummy”. Nell’ambito dei trial clinici, il principale obiettivo è provare la superiorità del farmaco, senza cercare di capire i meccanismi neurobiologici che portano ad un miglioramento quando si riceve un placebo. Una seconda confusione deriva dalla tradizionale associazione del placebo ad “una pillola di zucchero”, quando, in realtà, somministrare un placebo ad un paziente significa simulare una reale terapia. Infatti, durante un trattamento medico, ad esempio durante la somministrazione di un antidolorifico, il paziente riceve il principio attivo del farmaco (ad esempio la morfina) ed insieme percepisce differenti stimoli contestuali, come l’aspetto fisico del trattamento (forma ecolore del farmaco), la modalità di somministrazione del trattamento, l’informazione verbale fornita dall’equipe medica e le proprie aspettative riguardo all’esito della terapia. Quando un trattamento reale è sostituito da un trattamento placebo, il principio attivo del farmaco non è più presente ma le informazioni del contesto psicosociale rimangono invariate. Questo significa che il paziente si aspetta di ricevere un trattamento e si aspetta dei risultati positivi. L’effetto placebo rappresenta, quindi, l’effetto del contesto psicosociale positivo che accompagna una terapia. Se un contesto positivo può produrre effetti positivi, un contesto negativo può produrre effetti negativi. In questo caso, vengono utilizzati i termini nocebo ed effetto nocebo. Studiare l’effetto placebo non è facile. Infatti, quando si considera il miglioramento clinico che si verifica nel gruppo placebo, è necessario considerare che ci sono diversi fattori che possono confondersi con l’effetto placebo. Tali fattori sono, ad esempio, la regressione verso la media, la storia naturale della patologia in esame, le fluttuazioni casuali e la presenza di bias ed errori di misurazione fatti dal medico o dal paziente. Questi fattori hanno un’importanza notevole per chi lavora sull’effetto placebo perché si tratta di fattori da controllare ed escludere per studiare la vera “risposta placebo”. La ricerca sull’effetto placebo si è sviluppata notevolmente negli ultimi venti anni in diversi contesti e con diverse procedure sperimentali. Ciò che oggi risulta chiaro è che non esiste un solo effetto placebo ma diversi effetti placebo che si possono studiare in diverse condizioni sperimentali e cliniche. L’analgesia da placebo, e l’opposta iperalgesia da nocebo, sono i fenomeni maggiormente studiati sia in contesti sperimentali dove il dolore viene indotto, sia in contesti clinici in cui il dolore è una condizione patologica da trattare. In entrambi i casi sono stati applicati approcci farmacologici e di neuro immagine per studiare non solo la risposta placebo riferita dal paziente in termini di riduzione del dolore, ma anche le basi neurofisiologiche che la governano. Scienziati e clinici hanno studiato l’effetto placebo anche in altre condizioni mediche come il morbo di Parkinson, la depressione, l’ansia, le risposta immunitarie, la secrezione ormonale ed anche la performance motoria. Da un lato, un primo aspetto fondamentale della ricerca sul placebo consiste nel capire quando e come si possa indurre un effetto placebo, comprendendone i meccanismi psicologici e fisiologici. Dall’altro, è altrettanto fondamentale capire come utilizzare queste conoscenze nella pratica clinica. In ambito pediatrico, ad esempio, la possibilità di utilizzare dei metodi per ridurre l’uso di farmaci (ad esempio alternare il farmaco al placebo) mantenendo un miglioramento sintomatologico nel bambino, rende lo studio del placebo ancora più interessante e pragmatico. Diversi modelli psicologici sono stati proposti per descrivere gli effetti placebo e nocebo. Il primo modello descrive questi effetti come la conseguenza di un processo di apprendimento (come nel modello di condizionamento classico), mentre il secondo modello considera l’importanza di processi cognitivi di alto livello (modello dell’aspettativa). Secondo il modello di condizionamento classico, dopo ripetute associazioni di uno stimolo neutro (ad esempio un suono) con uno stimolo sensoriale (ad esempio la vista del cibo) che produce, di per sé, una risposta (salivazione), la presentazione del solo stimolo neutro produrrà la risposta. E’ possibile elicitare un effetto placebo utilizzando lo stesso principio di condizionamento. Ad esempio, è stato dimostrato che gli aspetti contestuali di un trattamento, come la forma ed il gusto del farmaco ma anche la ritualità del trattamento, possono indurre delle risposte placebo da condizionamento se precedentemente associati ad ingredienti attivi presenti nel farmaco. Secondo il modello dell’aspettativa, l’effetto placebo è generato dalle aspettative e dalle credenze che il paziente sviluppa durante una terapia. Diversi fattori influenzano queste aspettative, come le informazioni verbali che il paziente riceve, le emozioni che sperimenta durante il trattamento e le precedenti esperienze di terapia. Se 80 l’apprendimento ha un ruolo più importante quando una terapia mira a produrre un esito positivo, l’ansia sembra giocare un ruolo maggiore nel favorire esiti negativi. Le prime prove neuro farmacologiche che hanno dimostrato l’esistenza di un substrato chimico del fenomeno placebo sono state ottenute nel campo dell’analgesia da placebo. Ad oggi, molte ricerche hanno confermato il modello secondo il quale la secrezione di oppioidi endogeni è l’evento centrale della modulazione del dolore da parte del placebo, unito all’attivazione delle vie discendenti antinocicettive come substrato anatomico. In diversi studi, per esempio, si è potuto osservare che l’analgesia da placebo può essere bloccata dalla somministrazione di naloxone, noto farmaco ad azione antioppioide. Inoltre, effetti facilitanti l’analgesia da placebo si sono osservati in seguito alla somministrazione di proglumide, un antagonista della colecistochinina (CCK). Questo dato suggerisce che l’analgesia da placebo sia influenzata dagli oppioidi endogeni che la favoriscono e dall’azione della CCK che la inibisce. Recentemente è stato anche dimostrato il coinvolgimento del sistema cannabinoide. Infatti si è visto che l’analgesia da placebo può essere bloccata anche dalla somministrazione di rimonabant, noto farmaco antagonista del sistema cannabinoide. Oltre alla farmacologia, diverse tecniche di bioimmagine e di mappatura cerebrale, come la tomografia ad emissione di positroni, la risonanza magnetica funzionale, e l’elettroencefalografia hanno fornito un importante contributo alla comprensione dell’effetto placebo. Diversi studi hanno dimostrato che le aree cerebrali attive durante l’analgesia da oppioidi e quelle attive durante l’analgesia da placebo sono in gran parte sovrapposte, comprendendo parte del substrato anatomico del sistema oppioide. Inoltre si è visto che le aree frontali, come la corteccia dorso laterale prefrontale e la corteccia cingolata anteriore, svolgono un ruolo predominante nell’analgesia da placebo. In seguito ad inibizione temporanea di tali aree, infatti, la risposta placebo viene abolita. L’elettroencefalografia, inoltre, ha dimostrato che la riduzione di dolore che il paziente prova in seguito alla somministrazione di un placebo è correlata alla modificazione di potenziali evocati (potenziali evocati laser), fornendo basi oggettive alla sola risposta soggettiva riferita verbalmente dal soggetto. In generale, lo studio dell’effetto placebo ha sia aumentato la nostra conoscenza della complessa relazione tra i processi cognitivi ed i sottostanti sistemi cerebrali, sia fornito importanti spunti per la clinica. Per esempio, attraverso lo studio dei meccanismi dell’apprendimento tramite condizionamento classico, è possibile ridurre l’utilizzo di farmaci, grazie alla prescrizione alternata di farmaci e placebo. Inoltre, le recenti scoperte mettono in luce l’importante ruolo dell’aspettativa e di come questa possa essere modulata dalla relazione medico-paziente. Allo stesso modo, i clinici dovrebbero cercare di evitare il più possibile effetti nocebo, riducendo le aspettative negative dovute ai possibili effetti collaterali di una terapia. Per questi motivi, lo studio dell’effetto placebo sembra essere di cruciale importanza sia nella moderne neuroscienze che nella pratica medica. Nel primo caso, rappresenta infatti un modello eccellente per studiare differenti meccanismi cerebrali. Nel secondo, rappresenta invece uno strumento nell’armamentario clinico per aumentare l’efficacia di ogni trattamento medico. Referenze E. Carlino, A. Pollo, F. Benedetti (2011). “Placebo analgesia and beyond: a melting pot of concepts and ideas for neuroscience”. Curr Op Anaestesio l24, 540-544. E. Carlino, A. Pollo, F. Benedetti (2012). “The placebo in practice: how to use it in clinical routine.” Curr Opin Support Palliat Care 6, 220-5. E. Carlino, E. Frisaldi, F. Benedetti. (2014). “Pain and the context”. Nat Rev Rheum 10, 348–355. 81 LESIONI CUTANEE E MALATTIE SISTEMICHE May El Hachem U.O. C. di Dermatologia Dipartimento Medicina Pediatrica: Coordinatore: Prof. A.G. Ugazio Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma La cute è implicata nelle malattie sistemiche in 2 modi: a. alcune patologie dermatologiche, in particolare le genodermatosi coinvolgono anche altri organi e richiedono un approccio multidisciplinare diagnostico e terapeutico; b. alcune manifestazioni cutanee costituiscono una spia diagnostica molto importante di patologie, talvolta molto gravi. Il gruppo di patologie in cui il contributo del dermatologo è importante è vasto, ma è rappresentato principalmente da: 1. Genodermatosi 2. L’immunodeficit primitivo 3. Le malattie metaboliche 4. Sindromi genetiche (S. neurocutanee, ecc…) 5. Le neoplasie cutanee o sistemiche (linfoma cutaneo, istiocitosi a cellule di Langerhans, ecc.) 6. La S. di Stevens-Johnson, SSSS, Lyell, ecc… L’osservazione della lesione cutanea non deve quindi mai prescindere dal contesto generale, anamnestico ed obiettivo, del bambino. Il consulto multidisciplinare favorisce spesso una diagnosi corretta. Essendo la cute un organo visibile, il riconoscimento delle lesioni cutanee permette spesso una diagnosi e quindi un approccio terapeutico precoci della malattia di base. 82 SEZIONE 1 “CALL FOR ACTION IN PEDIATRIA” Venerdì, 14 novembre 2014 Presidente: G. Rondini 10,20 – 11,20 Moderatori: L. Bernardo, A. Carlucci 83 LE CURE PEDIATRICHE: DALLE PROBLEMATICHE DEL PASSATO ALLE PROSPETTIVE FUTURE Francesco Paravati, Antonio Belcastro, Massimo Bisceglia, Paola Chiarello, Anastasia Cirisano, Nicola Lazzaro, Luigi Mesuraca, Vincenzo Antonio Poerio UOC Pediatria Neonatologia T.I.N., Ospedale S. Giovanni di Dio, Crotone Nei prossimi anni si realizzerà una diversa organizzazione della Pediatria Ospedaliera nel nostro Paese. La riduzione drammatica della natalità, l’attuale crisi economica e l’applicazione delle recenti normative relative alla chiusura dei punti nascita inferiori ai 500 -1000 parti, la riduzione generale dei posti letto che riguarda anche quelli pediatrici, gli standard ospedalieri del decreto Balduzzi determineranno una riduzione dei reparti pediatrici con la scomparsa delle Unità Operative degli ospedali periferici (zonali) ed anche di alcune terapie intensive neonatali di ridotte dimensioni e con basso indice assistenziale. Si amplieranno quindi i bacini d’utenza e la maggior parte delle Unità Operative Pediatriche (con bacini di utenza di 150-300.000 abitanti) avranno annesso il punto nascita. È evidente, che questo modello generale andrà adattato in fase attuativa alle diverse esigenze delle singole realtà regionali. L’obiettivo di questo processo sarà indirizzato non solo ad una sensibile riduzione dei costi di gestione, ma anche all’acquisizione di una maggiore professionalità degli operatori, legata alla più numerosa e complessa casistica trattata. Cambierà anche il modello assistenziale secondo criteri più stringenti di appropriatezza e l’assistenza ospedaliera sarà prevalentemente indirizzata a pazienti con patologie croniche, croniche riacutizzate o acute che richiedano un’intensità di cura che la riorganizzazione delle cure territoriali (case della salute, Unità di cure territoriali, hospice, etc) non potrà garantire. Al contrario le patologie più gravi, che necessitano di alta specializzazione ed interventi multispecialistici, saranno gestite in centri di riferimento regionali/extraregionali in un sistema di rete integrata che preveda anche il ricorso ad un trasporto specialistico (Sistema di Trasporto in Emergenza Neonatale -STEN). Anche la terapia intensiva pediatrica, oggi limitata ad alcune realtà, dovrà essere incentivata in un’ottica regionale o pluriregionale, considerato che, allo stato attuale, un elevato numero di bambini vengono trattati impropriamente nelle terapie intensive dell’adulto. Al bambino ed all’adolescente in ospedale saranno sempre di più garantite le migliori cure disponibili ed il ricovero in strutture dedicate, fin dall’accesso in Pronto Soccorso, dove sarà un pediatra a valutare il bambino anche nei centri che non sono dotati di Pronto Soccorso Pediatrico. Inoltre l’esigenza di appropriatezza nel ricovero implementerà l’utilizzo di forme assistenziali diverse dal ricovero ordinario quali Osservazione Breve Intensiva, Day Service, oggi già presenti nella maggior parte dei Presidi Ospedalieri. Il ricovero interesserà malattie genetiche, immunologiche, reumatologiche, neuropsichiatriche, con disabilità complesse ed avverrà in reparti strutturalmente dedicati, con personale formato per l’assistenza del bambino e della sua famiglia. Sarà data ancora una maggiore attenzione alle problematiche connesse con l’umanizzazione delle cure e relative alla comunicazione, al trattamento del dolore, al sostegno ai problemi psicologici, alla disabilità, ai soggetti “fragili”etc. L’innovazione tecnologica, oltre a migliorare gli aspetti organizzativi e gestionali e potenziare l’attività diagnostica e terapeutica, consentirà di supportare in maniera più adeguata le problematiche assistenziali di pazienti con problemi complessi. Infatti progetti di telemedicina, consulenze online, App per medici e pazienti, etc. sono già stati realizzati ed altri sono in corso di realizzazione in alcune realtà nazionali. Anche la fase di dimissione del paziente pediatrico farà parte di un sistema integrato a rete che determinerà una continuità di cure tra l’ospedale ed il territorio, a volte necessario anche per garantire piani assistenziali programmati individualmente. Tale riorganizzazione delle cure ospedaliere pediatriche incontrerà sicuramente delle difficoltà nella realizzazione nel breve termine anche per la forte disomogeneità esistente oggi nell’erogazione delle cure nelle diverse Regioni. L’attuale congiuntura economica determinerà inoltre la necessità di sacrifici anche in campo sanitario. Anche per il blocco del turnover del personale vigente nelle regioni in piano di Rientro sarà un problema da affrontare nell’immediato, tenuto conto che l’età media dei pediatri ospedalieri del SSN è molto alta e il numero dei ricambi programmati è decisamente inferiore a quelli che lasceranno la professione. Occorre quindi, aumentare le azioni per mantenere l’efficienza delle attività assistenziali, attuando tutte le strategie necessarie in grado di garantire, anche con risorse inferiori, gli stessi livelli assistenziali attuali nell’ottica di una più ampia tutela del diritto alla salute dei pazienti in età pediatrica. Bibliografia 1. Accordo della Conferenza Unificata Stato-Regioni G.U: 18.1.2011 - Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo. 2. Regolamento recante “Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, in attuazione dell'articolo 1, comma 169 della legge 30.12.2004, n. 311" e dell'articolo 15, comma 13, lettera c) del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135”. Conferenza Delle Regioni E Delle Province Autonome 14/097/SR17/C7 del 5 agosto 2014 3. Libro bianco 2011, La salute dei bambini. Stato di salute e qualità dell’assistenza della popolazione in età pediatrica nelle regioni italiane. 4. D. Minasi, F. Paravati. Per una nuova pediatria ospedaliera in ”Il futuro della Pediatria”- Hygeia Press 2009 84 SEZIONE 2 “PROBLEMI CORRENTI IN PEDIATRIA” Venerdì, 14 novembre 2014 Presidente: G. Claps 8,00 – 9,20 Moderatori: S. Barberi, G. Cavagni 85 IL BAMBINO IMMIGRATO E LE ANEMIE Santoro Nicola, Del Vecchio Giovanni Carlo Unità Operativa Pediatrica “Federico Vecchio” Azienda Ospedaliero Universitaria Consorziale Policlinico di Bari E’ esperienza comune degli operatori sanitari registrare l’incremento dei bisogni assistenziali degli immigrati in generale e dei bambini immigrati in particolare (1, 2). Vi sono paesi che da tempo hanno affrontato e trovato risposte adeguate a tale situazione (vedi USA) e paesi che iniziano a farlo. Recentemente il sistema sanitario Canadese ha avvertito l’esigenza di individuare delle priorità e delle linee guida condivise in tale ambito (3, 4) che oltre ad occuparsi di malattie infettive richiamano l’attenzione sulle anemie. Quest’ultimo problema se si considera la popolazione pediatrica dei rifugiati, tra l’altro caratterizzata nel nostro paese da una percentuale crescente di minori non accompagnati, è solitamente multifattoriale. Tra le cause acquisite si segnalano la malaria, la carenza di ferro e le parassitosi. La carenza di ferro è per lo più di tipo nutrizionale ma può essere presente una componente data dalla perdita ematica intestinale. Altre cause di anemie da considerare sono rappresentate dalle emoglobinopatie (Africani, Asiatici) e casi da intossicazione da piombo. Le emoglobinopatie sono state individuate come problematica rilevante anche dal Gruppo di Lavoro Nazionale per il Bambino Immigrato della SIP (5), considerando che esse impegnano in maniera trasversale, TerritorioOspedale, il nostro sistema sanitario passando per i servizi dell’urgenza (6, 7, 8) (vedi soprattutto drepanocitosi). Nella presentazione si tratteranno pertanto tali aspetti dando rilievo tra le anemie acquisite alla anemia sideropenica (9, 10) e tra quelle ereditarie alla malattia drepanocitica (11), non tralasciando le anemie spia di malattia oncologica accennando ai problemi pratici ed etici che tali forme comportano (12, 13). La peculiarità della anemie sideropeniche nei bambini immigrati è data da particolari aspetti nutrizionali, dalle abitudini alimentari e dalle parassitosi intestinali. La malattia drepanocitica (SCD) è caratterizzata da un’anemia emolitica cronica ereditaria che comprende diverse forme, tutte determinate dalla presenza di un’emoglobina anomala, l’Hb S. Una mutazione puntiforme che sostituisce l’adenina del 6° codone del gene β con la timina (GAG→GTG) è responsabile dell’inserimento, in posizione 6 della catena β della globina di una valina idrofoba e con carica neutra al posto dell’acido glutammico idrofilo e con carica negativa. L’HbS possiede proprietà chimico-fisiche diverse dalla normale HbA che comportano una lieve instabilità e una spiccata tendenza, in condizioni di ipossia, a formare lunghi polimeri all’interno dei globuli rossi i quali si deformano assumendo il caratteristico aspetto a “falce”(sickle). L’anomalia, similmente alla β talassemia, con la quale interagisce interessando lo stesso gene, si eredita con modalità autosomica recessiva. La condizione di portatore eterozigote (sickle cell trait, SCT) in cui un allele è S e l’altro è A è per lo più asintomatico, può presentare qualche disturbo in particolari condizioni, ma va tenuto in conto al fine di identificare i soggetti portatori e quindi le coppie a rischio di procreare figli affetti da SCD. Gli individui che ereditano da entrambi i genitori il gene S sono affetti dalla forma omozigote della malattia (HbSS). Gli individui che ereditano un allele S da uno dei genitori e un allele β talassemico sono degli eterozigoti composti. Essendo attivo solo (nella forma S-β°th) o prevalentemente (nella forma S- β+th) il gene S, l’emoglobina sintetizzata è in larga misura HbS e di conseguenza il quadro clinico è simile alla forma omozigote SS. I soggetti che ereditano un allele S e un allele portatore di un’altra variante che interagisce con l’HbS (HbC, HbDPunjab, HbOArab, HbLepore-Boston) sono anch’essi affetti da una condizione clinica che rientra nella SCD. La diagnosi clinica di una malattia che si presenta in maniera proteiforme è spesso non semplice, soprattutto nelle emergenze che, interessando svariati organi, possono simulare altre condizioni. Elementi clinici significativi che possono suggerire la diagnosi sono: - anamnesi: gruppo etnico, anemia emolitica cronica, dolori ricorrenti, infezioni ricorrenti, episodi di priapismo, sindrome mani-piedi nei primi 2 anni di vita; - esame obiettivo: pallore, sub ittero o ittero franco, splenomegalia; - possibile presentazione confondente: crisi aplastica, osteomielite, broncopolmonite, stroke, sequestrazione splenica. Diagnosi differenziale: altre anemie emolitiche, addome acuto, pancreatite, astinenza da sostanze stupefacenti, maltrattamento e abuso infantile, malattie infiammatorie sistemiche, artrite settica. Per tale patologia particolare importanza riveste lo “screening neonatale”, punto di avvio ideale della “comprehensive care”, che comprende la diagnosi precoce, l’instaurazione tempestiva di misure profilattiche, quali la profilassi con penicillina e le vaccinazioni (rischio di sepsi legata ad asplenia funzionale), l’educazione sanitaria specifica e il monitoraggio delle funzioni d’organo, a partire dalla prevenzione primaria dello stroke. Lo screening può essere mirato o universale. Nel primo caso sarà ristretto ai figli di soggetti a rischio come di recente è stato attuato nella provincia di Modena (14) dove sono state arruolate 469 madri di paesi sub-sahariani ed i loro neonati, per lo screening di varianti emoglobiniche mediante HPLC. Delle 469 donne coinvolte, 330 (70.36%) hanno acconsentito al test. 92 (27.88%) sono risultate portatrici di varanti emoglobiniche, 48 neonati (51%) di queste portatrici sono risultati portatori e 9 (9.6%) malati (HbSC, HbSS). 86 Un utile strumento per la gestione della malattia drepanocitica in età pediatrica è rappresentato dalle specifiche raccomandazioni emanate dall’AIEOP (15). Bibliografia 1. Priebe S, Sandhu S, Dias S, Gaddini A, Greacen T, Ioannidis E, Kluge U, Krasnik A, Lamkaddem M, Lorant V, Riera RP, Sarvary A, Soares JJ, Stankunas M, Strassmayr C, Wahlbeck K, Welbel M, Bogic M. Good practice in health care for migrants: views and experiences of care professionals in 16 European countries. BMC Public Health. 2011 Mar 25;11:187. 2. Mladovsky P, Ingleby D, McKee M, Rechel B. Good practices in migrant health: the European experience. Clin Med. 2012 Jun;12(3):248-52. 3. Swinkels H, Pottie K, Tugwell P, Rashid M, Narasiah L; Canadian Collaboration for Immigrant and Refugee Health (CCIRH). Development of guidelines for recently arrived immigrants and refugees to Canada: Delphi consensus on selecting preventable and treatable conditions. CMAJ. 2011 Sep 6;183(12):E928-32. 4. Pottie K, Greenaway C, Feightner J, Welch V, Swinkels H, Rashid M, Narasiah L, Kirmayer LJ, Ueffing E, MacDonald NE, Hassan G, McNally M, Khan K, Buhrmann R, Dunn S, Dominic A, McCarthy AE, Gagnon AJ, Rousseau C, Tugwell P; coauthors of the Canadian Collaboration for Immigrant and Refugee Health. Evidence-based clinical guidelines for immigrants and refugees. CMAJ. 2011 Sep 6;183(12):E824-925. 5. http://www.glnbi.org/index/attivita/cat/27 6. Angastiniotis M, Vives Corrons JL, Soteriades ES, Eleftheriou A. The impact of migrations on the health services for rare diseases in Europe: the example of haemoglobin disorders. ScientificWorldJournal. 2013;2013:727905. 7. De Luca G, Ponzo M, Andrés AR. Health care utilization by immigrants in Italy. Int J Health Care Finance Econ. 2013 Mar;13(1):1-31. 8. Colombatti R, Dalla Pozza LV, Mazzucato M, Sainati L, Pierobon M, Facchin P. Hospitalization of children with sickle cell disease in a region with increasing immigration rates. Haematologica. 2008 Mar;93(3):463-4. 9. McGillivray G, Skull SA, Davie G, Kofoed SE, Frydenberg A, Rice J, Cooke R, Carapetis JR. High prevalence of asymptomatic vitamin D and iron deficiency in East African immigrant children and adolescents living in a temperate climate. Arch Dis Child. 2007 Dec;92(12):1088-93. 10. Morrone A, Nosotti L, Piombo L, Scardella P, Spada R, Pitidis A. Iron deficiency anaemia prevalence in a population of immigrated women in Italy. Eur J Public Health. 2012 Apr;22(2):256-62. 11. Colombatti R, Montanaro M, Guasti F, Rampazzo P, Meneghetti G, Giordan M, Basso G, Sainati L Comprehensive care for sickle cell disease immigrant patients: a reproducible model achieving high adherence to minimum standards of care. Pediatr Blood Cancer. 2012 Dec 15;59(7):1275-9. 12. Butow P, Bell M, Goldstein D, Sze M, Aldridge L, Abdo S, Mikhail M, Dong S, Iedema R, Ashgari R, Hui R, Eisenbruch M. Grappling with cultural differences; communication between oncologists and immigrant cancer patients with and without interpreters. Patient Educ Couns. 2011 Sep;84(3):398-405. 13. Jepson VA, Cox JV, Peppercorn J. 87 Ethical challenges: oncologists' role in immigrant health care. J Oncol Pract. 2010 Sep;6(5):247-8. 14. Venturelli D, Lodi M, Palazzi G, Bergonzini G, Doretto G, Zini A, Monica C, Cano MC, Ilaria M, Montagnani G, Paolucci P. Sickle cell disease in areas of immigration of high-risk populations: a low cost and reproducible method of screening in northern Italy. Blood Transfus. 2014 Jul;12(3):346-51. 15. http://www.aieop.org/files/files_htmlarea/tutto%20giu12.pdf 88 PROBIOTICI: INDICAZIONI E LIMITI Prof. Michele Miraglia del Giudice Dipartimento della donna del bambino e di chirurgia generale e specialistica Seconda Università di Napoli Le malattie allergiche sono notevolmente aumentate negli ultimi anni in tutti i paesi occidentali ed e’ probabile che le cause di questo incremento debbano essere ricercate tra i cambiamenti che si sono verificati nell’ambiente e nello stile di vita (1). Nelle prime epoche della vita, una riduzione della colonizzazione microbica intestinale, conseguente al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, rappresenta una delle ipotesi maggiormente accreditate per spiegare questo fenomeno (2-3). La flora batterica intestinale svolge infatti un ruolo di primo piano non solo nella maturazione delle risposte umorali, in modo particolare le IgA, ma anche nella polarizzazione del sistema immune promuovendo lo sviluppo del profilo citochinico Th1 o Th2 (4). E’ oramai noto che il fenotipo Th2 rappresenta un marker di allergia in quanto associato a un’aumentata produzione di IgE ed eosinofili mentre il profilo citochinico Th1 esercita soprattutto una funzione di Killing intracellulare. Nella patologia allergica i probiotici si sono dimostrati in grado di ripristinare la permeabilita’ intestinale (aumentata nelle allergie alimentari), migliorando le difese immunologiche della mucosa intestinale (IgA) e riducendo la risposta infiammatoria attraverso un’azione inibente sulle citochine pro-infiammatorie (4). E’ stata infatti dimostrata in vitro un’azione inibente dei probiotici sull’IL-4 (5) ma anche in vivo su altri marker di infiammazione atopica (6). Studi clinici hanno dimostrato inoltre l’efficacia dei probiotici nel trattamento del bambino con eczema atopico (7). Infine, per quanto riguarda la profilassi primaria, la supplementazione con probiotici prima e dopo la nascita in bambini con elevato rischio di atopia si e’ dimostrata in grado di ridurre lo sviluppo di dermatite atopica in modo significativo rispetto al placebo (8). In conclusione, alla luce di queste considerazioni e con il conforto di ulteriori esperienze e’ probabile che in un prossimo futuro i probiotici possano esercitare un ruolo di primissimo piano modificando cosi’ la storia naturale delle malattie allergiche. Bibliografia 1. Aberg N, Hasselmar B, Aberg B, Eriksson B Increase of asthma, allergic rhinitis and eczema in swedish schoolchildren between 1979 and 1991 Clin Exp Allergy 1995;25:815-9 2. Strachan DP Hay fever, Hygiene and household size BMJ 198; 299: 1259-60 3. Matricardi PM, Rosmini F, Riondino S, Fortini M, Ferrigno L, rapicetta M, Bonini S. Exposure to foodborne and orofecal microbes versus airborne viruses in relation to atopy and allergic asthma: epidemiological study. BMJ 2000;320:412-7 4. Isolauri E. Probiotics in the prevention and treatment of allergic disease. Pediatr Allergy Immunol 2001: 12 (suppl 14): 56-59. 5. Sütas Y, Hurme M, Isolauri E. Downregulation of antiCD3 antibody-induced IL-4 production by bovine caseins hydrolysed with Lactobacillus GG-derived enzymes. Scand J Immunol 1996: 43: 687-9. 6. Isolauri E, Arvola T, Sütas Y, Salminens. Probiotics in the management of atopic eczema. Clin Exp Allergy 2000: 30: 1605-10. 7. Majamaah, Isolauri E. Probiotics: a novel approach in the management of food allergy. J Allergy Clin Immunol 1997: 99: 179-86. 8. Kalliomaki M, Salaminen S, Arvillommi H, Kero P, Koskinnen P, Isolauri E. Probiotics in primary prevention of atopic disease. A randomised placebo-controlled trial. The Lancet 2001; 357: 1076-79 89 INFEZIONI RESPIRATORIE RICORRENTI: TRATTARE O NON TRATTARE? Paola Marchisio UOSD Pediatria ad Alta Intensità di Cura Università degli Studi di Milano Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano Le infezioni respiratorie presentano la massima incidenza in età pediatrica e in particolare nei primi anni di vita. Secondo tre delle varie definizioni riportate in letteratura, un bambino con infezioni respiratorie ricorrenti (IRR) presenta: un numero di infezioni respiratorie 6/anno un numero di infezioni respiratorie che coinvolgono le alte vie aeree (IVAS) 3/mese, tra settembre e aprile un numero di infezioni delle basse vie aeree 3/anno In base all’età, nella letteratura internazionale viene definito con IRR un bambino di età inferiore ai 3 anni che presenta almeno 8 IVAS/anno, un bambino di età uguale o superiore ai 3 anni che presenta almeno 6 IVAS/anno e, indipendentemente dall’età, un bambino con 2 IVAS, inclusa la polmonite di comunità (CAP)/anno, in assenza di una patologia di base che possa giustificare la ricorrenza di infezioni. La CAP è una delle più comuni malattie dell’età pediatrica, seconda causa di morte nei bambini che vivono nei Paesi in via di sviluppo e una delle più frequenti ragioni di richiesta di assistenza ospedaliera nei Paesi industrializzati (in Europa si calcolano 2,5 milioni di casi con ricoveri nel 3-18% dei casi). Nell’80% dei casi gli agenti eziologici delle IRR sono rappresentati dai virus, in particolare virus respiratorio sinciziale, virus influenzali e parainfluenzali, adenovirus e rhinovirus. Altre importanti cause sono i batteri quali lo Streptococcus pneumoniae, che rappresenta il principale agente eziologico della CAP, Mycoplasma pneumoniae, Haemophilus influenzae e Streptococcus pyogenes. Le IRR comportano conseguenze per il bambino (malessere fisico nelle fasi acute di malattia, alterata qualità di vita per la medicalizzazione, disturbo dell’evoluzione psicologica), un uso inappropriato di antibiotici che si traduce in aumento delle resistenze ed effetti collaterali, un uso inappropriato di altri farmaci quali mucolitici, steroidi e terapie alternative (CAM), costi sociali ed economici (consulti di specialisti, accessi in PS, frequenti ospedalizzazioni, malessere psicologico della famiglia, assenze da scuola e perdita di lavoro dei genitori). Il primo passo da valutare nel tentativo di contenere l’impatto delle IRR è rappresentato dai fattori di rischio, un lungo elenco in cui, a fattori già identificati negli anni ’90 (frequenza di asilo nido, scuola materna, abitudine al fumo dei conviventi, presenza in famiglia di fratelli più grandi, microinquinamento domestico e residenza in aree ad elevata industrializzazione), si sono aggiunti, negli ultimi anni, fattori come socializzazione precoce, prematurità, basso peso alla nascita, sesso maschile, riduzione dell’allattamento materno, fumo in gravidanza, presenza di muffe/umidità nelle abitazioni, allergia/atopia, omissione di vaccinazioni e, secondo recenti studi, bassi livelli di vitamina D. L’esposizione ai fattori di rischio deI bambino, che per l’immaturità del suo sistema immunitario presenta una aumentata suscettibilità alle infezioni, favorisce lo sviluppo di infezioni virali che, a loro volta, determinano un immunodeficit secondario transitorio di 2 a 4 settimane, che dovrebbero essere di convalescenza. La riesposizione del bambino ai fattori di rischio prima di questo intervallo fa sì che il ciclo si perpetui. Peraltro, fattori di rischio quali età, sesso maschile, allergia, stagione, predisposizione genetica, fratelli più grandi non sono modificabili. Le IRR rappresentano, pertanto, un problema di elevata complessità, che va affrontato riconoscendo che questi bambini presentano deficit immunitari minori, transitori, e cercando di integrare le nuove conoscenze nella pratica clinica quotidiana. Uno studio (Chinese Journal of Biochemical Pharmaceutics 2012; 23), che ha confrontato l’effetto di pidotimod e aminopeptide splenico su sintomi e livelli di citochine Th1/Th2 in bambini con IRR, ha dimostrato una significativa riduzione di IL-4 e un significativo aumento di IFN-γ (p<0,01 vs basale e vs gruppo controllo) nel gruppo trattato con pidotimod. In bambini con polmonite refrattaria da Mycoplasma pneumoniae uno studio cinese (YanYong-Dong, J Clin Pediatr 2008; 26) ha dimostrato che il trattamento con Pidotimod 400 mg x 2 x 1 mese e 400 mg/die per 1 mese ha determinato un significativo (p<0,05) aumento della percentuale di CD3, CD4 e del rapporto CD4/CD8. Per quanto riguarda gli studi su bambini italiani, dati preliminari di uno studio del gruppo del Prof. Marseglia di Pavia, prospettico, randomizzato controllato, a gruppi paralleli, su 102 bambini con IRR (età media circa 5 anni), indicano l’effetto protettivo di pidotimod (1 flaconcino/die per 60 giorni) nel ridurre la frequenza di infezioni delle alte e basse vie respiratorie in età pediatrica. Obiettivi dello studio CAP-PED condotto presso la UOSD Pediatria ad alta intensità di cura della ondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico sono: 1) valutare la risposta clinica, in termini di raggiungimento della stabilità, 2)valutare gli effetti clinici del trattamento con pidotimod in aggiunta alla terapia antibiotica sui marker infiammatori (PCR, PCT) e 3) analizzare gli effetti immunomodulatori di pidotimod in aggiunta alla terapia antibiotica in pazienti affetti da CAP. Sono stati inclusi in questo studio pilota, monocentrico, randomizzato in doppio cieco, controllato, 20 bambini ricoverati per CAP nell’inverno 2013-2014. Il protocollo dello studio ha previsto la randomizzazione al trattamento con sola terapia antibiotica (Amoxicillina + Acido clavulanico 80 mg/kg/die per os in 3 somministrazioni/die in associazione a claritromicina 15 mg/kg/die in 2 somministrazioni/die per os per 10-14 90 giorni) o con terapia antibiotica + pidotimod (400 mg x 2 volte/die per os per 10 giorni). Al basale e dopo 3, 5 e 21 giorni giorni sono state effettuate valutazioni immunologiche. I risultati preliminari dimostrano che pidotimod è in grado di esercitare un effetto immunomodulatore nel bambino con polmonite in fase acuta di malattia. In particolare, pidotimod: induce la maturazione delle cellule dendritiche up-regola l’espressione dei TLR, stimola la produzione di IL-12 e TNF-α, attivando una risposta immune prevalentemente Th1. In conclusione si può affermare che l’’impatto delle IRR in età pediatrica indica la necessità di un intervento preventivo basato sul contenimento dei fattori di rischio, peraltro non sempre e non tutti modificabili, e sull’utilizzo di prodotti standardizzati adatti alla nostra popolazione, con solide evidenze di immunostimolazione derivate da studi specifici. Inoltre i risultati preliminari di studi sui bambini italiani indicano l’effetto protettivo di pidotimod in termini di riduzione delle IRR. 91 SEZIONE 2 “DISTURBI NEUROLOGICI MUSCOLARI” Venerdì, 14 novembre 2014 Presidente: S. Vendemmia 10,20 – 11,40 Moderatori: M. Aversa, L. Greco 92 COSA SAPERE E COSA FARE DI FRONTE AL BAMBINO CON SOSPETTA SINDROME MALFORMATIVA Sara Casagranda, Angelo Selicorni U.O.S Genetica Clinica pediatrica, Fondazione MBBM, Clinica Pediatrica A.O. S Gerardo Monza Introduzione: circa il 3-5% dei nati vivi presenta uno/più difetti congeniti che possono sia essere isolati che rappresentare l’espressione di una condizione sindromica. Il pediatra non specialista ha il compito essenziale di porre il fatidico “sospetto diagnostico” di un quadro sindromico, valorizzando gli elementi clinici che esso potrà riconoscere per inviare il bambino a chi avrà competenza e capacità per dare una risposta precisa. Obiettivi: Obiettivo di questo lavoro è quindi identificare gli elementi clinici e quelle attenzioni metodologiche indispensabili per permettere al pediatra di attivare il percorso diagnostico che potrà portare a riconoscere un paziente potenzialmente affetto da sindrome malformativa complessa, al fine di impostare un follow-up specifico in relazione alle complicanze cliniche note della condizione diagnosticata ed offrire una consulenza genetica adeguata sia ai genitori che ad altri familiari. Cosa sapere: Si definisce malformazione maggiore un’anomalia strutturale di un qualsiasi organo o apparato creatasi nel corso dell’organogenesi (4°- 8° settimana gestazionale), con gravità e ricadute clinico-prognostiche estremamente variabili. Si definisce invece malformazione minore un difetto congenito di scarso significato medico-chirurgico che può comunque avere importanza estetica. Infine, si definisce sindrome malformativa un quadro clinico caratterizzato dalla presenza contemporanea di più difetti della morfogenesi, anomalie minori e/o difetti antropometrici a cui si possono associare anomalie in difetto o in eccesso dello sviluppo staturo-ponderale e anomalo sviluppo psicomotorio; questo insieme di problemi riconosce un’unica causa, spesso, ma non sempre, legata ad un’anomalia del patrimonio genetico del soggetto affetto. Le basi eziologiche dei difetti congeniti possono essere distinte in genetiche, non genetiche e multifattoriali. Le condizioni genetiche possono essere secondarie ad anomalie cromosomiche numeriche e/o strutturali. Molte condizioni sindromiche o difetti congeniti funzionali sono invece secondarie a mutazioni di singoli geni che possono segregare all’interno dei ceppi familiari con modalità di trasmissione autosomica (dominante o recessiva) o legata al cromosoma X (dominante o recessiva). Esiste inoltre un crescente numero di fenotipi patologici il cui difetto di base interessa regioni sottoposte al fenomeno dell’imprinting genomico, che è un meccanismo biologico di espressione differenziale del patrimonio genetico a seconda della sua derivazione paterna o materna. La maggioranza dei quadri malformativi isolati riconosce un’eziologia multifattoriale, derivando dall’azione combinata di fattori genetici predisponenti e fattori di origine ambientale mentre la maggiior parte dei quadri sindromici ha specifiche basi genetiche. Esistono infine condizioni malformative secondarie all’esposizione materna in gravidanza ad agenti teratogeni (es. farmaci, alcol o droghe), ad infezioni virali (es. TORCH) o a malattia cronica. La conferma della diagnosi clinica di molte sindromi avviene attraverso la dimostrazione del suo difetto genetico di base attraverso l’uso di test appropriati. È importante che il medico ed il pediatra abbiano una chiara consapevolezza delle potenzialità di queste indagini e dei problemi interpretativi che esse pongono, magari non per gestire direttamente la richiesta e l’iter diagnostico ma per poter affiancare la famiglia nel complesso percorso diagnostico supportando lo specialista nella comunicazione dei risultati alla famiglia. È certamente importante quindi fornire alcune indicazioni pratiche sull’uso dei più comuni test diagnostici genetici, partendo dall’indagine citogenetica. Il cariotipo permette di evidenziare eventuali anomalie cromosomiche numeriche o strutturali entro certe dimensioni 5-10Mbasi, utilizzando cellule capaci di dividersi (linfociti, fibroblasti cutanei, midollo osseo, villi coriali placentali o amniociti) La FISH (fluorescent in situ hybridization) consente di individuare in modo mirato e specifico anomalie cromosomiche strutturali di dimensioni < 4-5 Mbasi, identificando riarrangiamenti cromosomici criptici o subtelomerici. L’arrayCGH (o cariotipo molecolare) identifica la presenza di sbilanciamenti quantitativi di materiale cromosomico attraverso un’analisi comparativa dell’intero genoma tra un DNA da testare ed un DNA controllo, con un livello di risoluzione 200-300 K basi . Da ultimo le analisi molecolari consentono invece di studiare in modo specifico alterazioni di singole informazioni genetiche responsabili di malattia. Il dato ormai acquisito e costante è che il singolo quadro clinico possa essere secondario alla possibile mutazione di più geni (magari appartenenti al medesimo pathway biochimico) e che l’insieme dei test disponibili possa spesso non arrivare a coprire il 100% dei pazienti con diagnosi clinica corretta Cosa fare: il percorso clinico in ambito di genetica segue il classico schema dell’approccio medico ad un problematica ed è fondato sui seguenti passaggi essenziali: anamnesi, esame obiettivo, fase di studio con programmazione di accertamenti, diagnosi, comunicazione della diagnosi. Il tutto inizia quindi con un’accurata raccolta anamnestica familiare di almeno 3 generazioni. In particolare, dopo aver escluso la consanguineità di coppia, si indagherà sulla presenza di soggetti con quadri malformativi isolati/complessi, ritardo mentale, problemi neurofunzionali visivi/uditivi, epilessia, disturbi dell’accrescimento o altre malattie genetiche note. Sarà inoltre importante considerare elementi d’allarme presenti nell’anamnesi gravidica, come alterazioni dell’accrescimento intrauterino, quadri malformativi ecografici, positività di screening prenatali anche senza la dimostrazione di una anomalia cromosomica, assunzione materna di sostanze stupefacenti/alcool così come lo stato immunitario verso le infezioni del gruppo TORCH. Come ovvio, anche l’anamnesi fisiologica (accrescimento postnatale, sviluppo psicomotorio) e patologica di ogni paziente può fornire elementi di allarme nei confronti di un potenziale quadro sindromico. Proseguendo la visita pediatrica, si passa poi al classico esame 93 obiettivo iniziando dai parametri auxologici di base. Qualunque anomalia dell’accrescimento staturo-ponderale e della circonferenza cranica, isolata o combinata, deve sempre attirare l’attenzione del pediatra. Il ritardo di accrescimento è, però, una caratteristica di assai frequente riscontro in ambito sindromico e può avere una insorgenza prenatale o rendersi evidente a partire dai primi mesi/anni di vita. In caso di bassa statura sarà utile verificare il target familiare e la presenza di sproporzione arti/ tronco. In caso di brevità relativa degli arti sarà utile verificare se essa interessa i segmenti prossimali (rizomelia), mediali (mesomelia) o le estremità (acromelia). Per contro dovrò essere valorizzato anche un iperaccrescimento, soprattutto se non secondario ad una caratteristica familiare, differenziando tra le forme armoniche con rapporto span/altezza conservato (span=apertura delle braccia) o disarmonico con aumento del rapporto span/altezza. Proseguendo si indagherà circa la presenza di anomalie dello sviluppo psicomotorio. L’assoluta maggioranza dei pazienti con anomalie dello sviluppo psicomotorio riconosce una causa genetica con una probabilità direttamente proporzionale alla gravità del ritardo e alla contemporanea presenza di altri segni di allarme. La presenza di una malformazione maggiore deve sempre far sorgere il dubbio che essa possa essere la punta più evidente di un quadro sindromico. Inoltre, la visita pediatrica andrà completata da un accurato esame obiettivo dismorfologico, che è certamente frutto di allenamento ed esperienza ed è appannaggio prevalentemente di coloro che svolgono in modo specialistico l’attività di genetica clinica. E’ però importante che ogni medico possa avere una infarinatura di base nel riconoscimento della presenza di anomalie minori nei propri pazienti perché queste stesse, soprattutto se associate ad altri problemi clinici maggiori, possono aumentare la probabilità che il bambino sia affetto da un quadro sindromico. Il paziente va quindi osservato con attenzione a partire dal viso, sia in proiezione anteroposteriore che laterale, per poi proseguire con le altre parti del corpo valutando questi tratti somatici anche nel contesto della fisionomia familiare. E’ bene ricordare che la presenza di più anomalie contemporanee appartenenti alle aree sopra citate ( crescita, sviluppo psicomotorio, tratti somatici, malformazioni maggiori, complicanze mediche significative) è fortemente sospetta per avere una causa comune e , quindi, poter rappresentare l’espressione di una sindrome malformativa meritevole di approfondimento in ambito specialistico Conclusioni: il percorso che può portare alla diagnosi di una condizione sindromica può essere lungo, complesso, e gravato da un alto indice di insuccesso (circa 30%dei casi). La sua importanza per il bambino e la sua famiglia giustificano però una attenzione specifica da parte del pediatra non specialista il cui ruolo di sentinella clinica, di primo attivatore del sospetto clinico e di affiancamento della famiglia stessa in un cammino spesso lungo in termini temporali e certamente rilevante sul piano emozionale, è indispensabile. 94 COSA SAPERE E COSA FARE DI FRONTE AL BAMBINO CON SOSPETTA MIOPATIA Stefano Carlo Previtali Neuromuscular Repair Unit, Institute of Experimental Neurology (INSPE) Division of Neuroscience and Dept. of Neurology, San Raffaele Scientific Institute, Via Olgettina 60, 20132 Milano, Italy Abstract Il processo diagnostico delle miopatie in età infantile segue in buona parte le stesse regole che si applicano per le miopatie dell’adulto. Deficit motori, atrofia e/o atonia muscolare, ed elevati valori degli enzimi muscolari (tipicamente CK) costituiscono più spesso il primo indizio di un’alterata funzione del sistema muscolare scheletrico. Nella prima infanzia un deficit muscolare si può manifestare come grave ipotonia, deficit della suzione, pianto flebile, generale ridotta motilità, ed un ritardo nello sviluppo delle tappe motorie. Le cause possono essere molteplici, anche se, a queste età, più frequentemente ci si trova di fronte ad una forma ad eziologia genetica o dismetabolica. Tra le forme genetiche più frequenti: le distrofinopatie, la distrofia facioscapolo-omerale, la distrofia miotonica di Steinert, le miopatie e distrofie congenite, ed alcune forme di distrofia dei cingoli. Tra le forme dismetaboliche più frequenti le glicogenosi, in particolare la forma di tipo 2 (o di Pompe), le encefalo-miopatie mitocondriali, che spesso si associano a disturbi del sistema nervoso centrale, endocrino e cardiaco, e le forme legate al metabolismo degli acidi grassi e dei grassi neutri. Meno frequenti, ma spesso più subdole, sono le miopatie disimmuni, che necessitano di una diagnosi rapida ed appropriata al fine di somministrare una terapia mirata, prima che il quadro possa precipitare con gravi conseguenze cardio-respiratorie. Non bisogna dimenticare che anche nell’età infantile, il distiroidismo è frequente causa di miopatia, spesso confusa con una forma infiammatoria. Il ripristino di una normale funzionalità tiroidea risolve anche il quadro muscolare. Forme infettive, spesso virali, possono essere causa di miopatie acute. Si tratta nella maggior parte dei casi di forme che si risolvono autonomamente, e che necessitano unicamente idratazione, antidolorifici, e solo raramente terapie mirate antivirali o antibiotiche. La diagnosi differenziale riguarda più spesso l’esclusione di una malattia della placca neuro-muscolare, le neuropatie (più spesso genetiche), e le gravi forme di amiotrofia spinale (SMA). L’approccio diagnostico dipende dal sospetto e dall’età del paziente, e spesso richiede l’intervento di una equipe multidisciplinare. 95 LA SINDROME DA DEFICIT DI ATTENZIONE E IPERATTIVITÀ Dott.ssa Monica Saccani Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e Adolescenza – Centro di Riferimento per l’ADHD AO San Paolo - Milano Il disturbo da Deficit d’attenzione/iperattività (ADHD) è una sindrome che include compromissioni a carico di diversi ambiti funzionali, di per sè caratteristici dello sviluppo sia normale che atipico. Caposaldi di tale disturbo sono difficoltà nelle funzioni attentive, di autoregolazione e autocontrollo, e in quelle più specificatamente relative al funzionamento esecutivo. Negli ultimi 25 anni la ricerca sull’ADHD si è caratterizzata per i notevoli risultati raggiunti nella descrizione genetica, neurobiologica e neuropsicologica del disturbo così come nella chiarificazione delle multidimensionalità della sua struttura fenotipica. Nonostante gli avanzamenti relativi alle caratteristiche neurobiologiche dell’ADHD i cambiamenti nella descrizione comportamentale del disturbo si sono poco modificati e i due domini comportamentali dell’inattenzione e dell’iperattività/impulsività rimangono saldamente presenti anche nel nuovo sistema di classificazione recentemente pubblicato (DSM 5, 2013). L’ADHD ha esordio nell’infanzia (in genere entro i 12 anni di età secondo la classificazione DSM 5, entro i 7 anni secondo DSM IV-TR). La sintomatologia neuropsicologica e comportamentale ha natura pervasiva e persistente, riguarda diversi contesti di vita, non è riferibile a altri disturbi e determina una significativa compromissione funzionale. La prevalenza del disturbo è stimata nelle diverse nazioni tra il 5 e il 7% nei bambini e adolescenti (età 4-17 anni). La prevalenza in Europa è intorno al 5% ma gli studi epidemiologici europei sono scarsi. La diversa prevalenza nelle varie nazioni sembra riflettere differenze metodologiche e culturali e una variabilità nell’uso dei sistemi di classificazione per la diagnosi. (1) È riportata una maggiore prevalenza nel sesso maschile (6-9:1 nei campioni clinici, 4:1 in quelli epidemiologici) rispetto a quello femminile. I sintomi chiave dell’ADHD – inattenzione, iperattività/impulsività – contribuiscono in modo variabile alla presentazione clinica del disturbo nel singolo individuo. Le differenti caratteristiche possono compromettere il funzionamento e la qualità della vita in modo diverso e è perciò importante effettuare una valutazione accurata delle caratteristiche sintomatologiche del singolo soggetto. (1,2) Attualmente non vi è un unico strumento di riferimento per la diagnosi di ADHD. NICE (National Institute for Health and Care Excellence) (2) e altri sistemi di linee guida raccomandano che per effettuare la diagnosi di ADHD si faccia riferimento al Diagnostic Statistical Manual of Mental Disorder (DSM) di cui è stata recentemente pubblicata la nuova edizione (DSM 5) o all’International Classification of Mental and Behavioral Disorder (ICD - 10) (3,4,5). L’ICD – 10 si riferisce al disturbo ADHD come Disturbo ipercinetico (HKD), termine di uso frequente in Europa e incluso nelle linee guida cliniche sviluppate dall’European Network for Hyperkinetic Disorders (EUNETHYDIS). Questo sistema di classificazione descrive il Disturbo ipercinetico come una compromissione grave e persistente dello sviluppo psicologico caratterizzata dalla “combinazione di un comportamento iperattivo scarsamente modulato con una marcata inattenzione e una mancanza di perseveranza nell'esecuzione di un compito; pervasività in diverse situazioni e persistenza nel tempo di queste caratteristiche comportamentali”. Il DSM 5 è pubblicato dall’American Psychiatric Association nel 2013. Definisce l’ADHD come un “pattern persistente di inattenzione e/o iperattività-impulsività” che interferisce con lo sviluppo, la cui sintomatologia è presente in due o più contesti (scuola, casa, o lavoro), e impatta negativamente sul funzionamento sociale, accademico e occupazionale. I sintomi devono essere presenti prima dei 12 anni. Al di là del sistema di classificazione utilizzato le caratteristiche descritte per l’ADHD sono simili con l’eccezione che il sistema di classificazione ICD 10 richiede che tutte e tre le caratteristiche – inattenzione iperattività impulsività – siano presenti. Il disturbo ipercinetico può essere considerato un sottotipo severo di ADHD e praticamente tutti i casi di HKD sono compresi nella più ampia definizione di ADHD del DSM. Etiologia L’ADHD è una condizione a genesi complessa e multifattoriale. Gli studi familiari, gemellari e adottivi forniscono l’evidenza che fattori genetici giocano un ruolo sostanziale nella trasmissione familiare dell’ADHD con un’ereditabilità stimata del 70 -76%. Gli studi di genetica molecolare supportano il coinvolgimento dei geni associati con la trasmissione nelle vie dopaminergiche e nelle vie serotoninergiche e colinergiche. Gli studi di meta-analisi confermano che i geni DAT1 (dopamine transporter-1), DRD4, DRD5 (dopamine D4 and D5 receptors), 5HTTPLR (serotonintransporter-linked polymorphic region), 5-hydroxytryptamine (serotonin) receptor 1B HTR1B (5hydroxytryptamine (serotonin) receptor 1B), e SNAP25 (synaptosomal-associated protein 25) sono marcatori comunemente associati a ADHD. (6) 96 Tuttavia pochi studi sono stati replicati e le meta-analisi suggeriscono che, in ogni caso, le diverse varianti genetiche per ADHD, nonostante l’elevata ereditabilità citata, rendono conto di meno del 5% della variabilità genetica in ADHD (Neale et al. 2010) (7) Accanto all’origine presumibilmente genetica del disturbo è stata riportata una considerevole evidenza del coinvolgimento di fattori ambientali di rischio per lo sviluppo di ADHD. Tra questi l’esposizione al tabacco, alcool e contaminanti ambientali durante la gravidanza, il basso peso alla nascita e la prematurità, l’esposizione a avversità psicosociali durante l’infanzia. (8,9) La suscettibilità individuale per ADHD è determinata quindi da un insieme complesso di fattori interagenti. Questo renderebbe conto della notevole eterogeneità fenotipica del disturbo e della presenza di differenti sottotipi clinici. Diverse evidenze indicano che l’ADHD è correlato a un deficit di funzionamento esecutivo. I dati tuttavia non sono conclusivi, registrandosi in diversi studi di neuroimaging funzionale pattern di associazione/dissociazione differenti tra deficit di determinate funzioni esecutive e ADHD (es. funzioni inibitorie vs set shifting). Gli studi più recenti testimonierebbero il coinvolgimento della corteccia del cingolato posteriore e della corteccia prefrontale mediale da un lato e di quella prefrontale dorsolaterale dall’altro, confermando la complessità della relazione tra diagnosi di ADHD e stato delle funzioni esecutive (10). Valutazione e diagnosi L’assessment e la diagnosi di ADHD sono processi che tipicamente coinvolgono passaggi multipli. L'assessment comporta la valutazione clinica del soggetto, attraverso la somministrazione di rating sales (Scale Conners, ADHD-RS, SDAG, SDAI), di interviste semistrutturate (K-SADS) e di test cognitive e neuropsicologici, e la valutazione del funzionamento nei diversi contesti, attraverso la raccolta di informazioni da più fonti, genitori, insegnanti, altre figure educative. L’inattenzione si caratterizza per la facile distraibilità, l’incapacità a sostenere lo sforzo cognitivo prolungato, la difficoltà a portare a termine le consegne, le difficoltà di organizzazione e pianificazione. L’iperattività è caratterizzata da irrequietezza motoria fino a attività motoria incongrua rispetto al contesto, difficoltà a impegnarsi in giochi quieti e/o frequente passaggio da una sequenza di gioco a un’altra, logorrea. L’impulsività è caratterizzata da difficoltà a controllare il comportamento con incapacità a differire la risposta, a rispettare i turni, tendenza a interrompere gli altri, scarsa capacità di riflessione. Il disturbo determina conseguenze sia a livello scolastico che sociale con significativa compromissione del funzionamento. In una elevata percentuale di casi l’ADHD si associa a altri disturbi (comorbidità) tra cui i più frequenti sono il disturbo oppositivo-provocatorio, il disturbo della condotta, i disturbi dell’apprendimento (circa l’80% dei soggetti con ADHD ha una diagnosi aggiuntiva e il 60% ha più di due diagnosi) (11, 12). Decorso Il Disturbo da Deficit di attenzione/iperattività (ADHD) può avere conseguenze a lungo termine sul funzionamento e la qualità della vita del soggetto ed è ampiamente riconosciuto che il disturbo può persistere in età adulta causando ulteriore compromissione. (1,5) . I tre sintomi cardine dell’ADHD (inattenzione, iperattività, impulsività) pur essendo strettamente correlati sono predittivi di differenti compromissioni funzionali e probabilmente hanno differenti correlati neurobiologici. In particolare, i sintomi di inattenzione – disorganizzazione esecutiva sono predittivi di difficoltà scolastiche e negli studi in generale, e di alcune difficoltà sociali (quelle per lo più relative alla trascuratezza delle relazioni con i pari). I sintomi di iperattività/impulsività sono predittivi di comportamenti aggressivi, discontrollo comportamentale, rifiuto da parte dei coetanei. Ciò nonostante i differenti sottotipi sono instabili nel tempo e le difficoltà a identificare le implicazioni genetiche e neurobiologiche del disturbo stanno a indicare la necessità di caratterizzare il disturbo in modo più complesso. Trattamento Il trattamento dell’ADHD è di tipo multimodale e prevede che, dopo un accurata valutazione e diagnosi, si adotti un approccio terapeutico centrato sul paziente, che identifichi i bisogni del paziente e della famiglia, si basi sulla condivisione degli obiettivi, sviluppi un piano di trattamento individualizzato, valuti periodicamente sia il quadro clinico che la risposta al trattamento in modo da assicurare un periodico riaggiornamento degli obiettivi. Gli interventi comprendono terapie farmacologiche e trattamenti non farmacologici. Una review sistematica delle linee guida conferma che gli psicostimolanti sono generalmente il farmaco di prima scelta (2,11). In Italia sono disponibili il metilfenidato a rilascio immediato e a rilascio prolungato. Il meccanismo d’azione è il potenziamento delle vie dopaminergiche. Anche farmaci in grado di modulare l’azione noradrenergica sono indicati nel trattamento dell’ADHD e tra essi in particolare l’atomoxetina. Tutte le linee guida segnalano inoltre che la gestione ottimale dell’ADHD dovrebbe sempre includere interventi di tipo psicoeducativo e cognitivo - comportamentale con o senza associazione di terapia farmacologica. Tuttavia i risultati riportati in letteratura e relativi all’efficacia dei diversi trattamenti cognitivo-comportamentali rivolti al 97 paziente non sono definitivi e se da un lato indicano un insieme effetti positivi sul senso di competenza genitoriale (parent training) non sembrano avere efficacia sulla riduzione dei sintomi ADHD (13). Lo sviluppo di un piano di trattamento multimodale richiede che siano considerati diversi fattori: le caratteristiche specifiche del paziente (età, sottotipo di ADHD, presenza di comorbidità) (2) preferenze del paziente e dei suoi genitori la presenza di indicatori per il trattamento farmacologico e in caso positivo la formulazione del farmaco più adeguata (sulla base dell’esigenza di flessibilità, necessità di copertura per la gran parte della giornata, ecc).(2,14,15) Secondo le linee guida NICE (2010) e le European clinical guidelines for hyperkinetic disorder (ESCAP) (2004) il trattamento farmacologico è considerato di prima scelta nei casi di ADHD severo o di Disturbo ipercinetico, mentre le forme di ADHD lieve o moderato non trovano nel farmaco l’indicazione principale. Gli interventi di parent training e i programmi educativi associati a eventuali trattamenti cognitivo - comportamentali per il bambino sono i trattamenti di elezione in questi casi; essi vanno comunque sempre associati, in un piano di trattamento multimodale, alla terapia farmacologica. In Italia la prescrizione di terapia farmacologica per ADHD deve seguire le indicazioni derivanti dall’istituzione del Registro Nazionale Metilfenidato presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che “vincola la prescrizione del metilfenidato/atomoxetina alla predisposizione di un piano terapeutico semestrale da parte del Centro clinico accreditato (Centro di riferimento), per garantire l’accuratezza diagnostica e evitare l’uso improprio del medicinale» (GU 3/10/2003, GU s. n. 95, 24/04/2007), e al consenso informato dei genitori su modello predisposto da ISS (16). L’assessment pretrattamento farmacologico comprende la raccolta di un’anamnesi completa, che ponga particolare attenzione alla familiarità per patologie cardiache e cardiovascolari e alla presenza di episodi in anamnesi suggestivi di anomalie cardiovascolari (es. sincope da esercizio), l’esecuzione di una visita medica, con rilevazione delle curve di crescita per peso e altezza e dei dati di frequenza cardiaca e pressione arteriosa. È previsto l’ECG prettrattamento e l’assessment del rischio di drug misuse /diversion negli adolescenti. Il monitoraggio della terapia farmacologica segue precise raccomandazioni dell’ISS (controllo a 7 giorni, 1 mese, 6-12-18-24 mesi) e dovrebbe mantenersi per almeno 2 anni. Bibliografia 1. Taylor E, Dopfner M, Sergeant J, et al. European clinical guidelines for hyperkinetic disorder – first upgrade. Eur Child Adolesc Psychiatry 2004; 13 Suppl 1: i7-i30. 2. National Collaborating Centre for Mental Health. 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Autorizzazione all’immissione in commercio della specialità medicinale per uso umano Ritalin e Strattera. http://www.iss.it/adhd/index.php?lang=1&tipo=2 98 I DISORDINI DEL NEUROSVILUPPO: IL PARADIGMA DEI DISORDINI DELLO SPETTRO AUTISTICO Daria Riva Fondazione Irccs Neurologico C.Besta - Milano I disturbi del neurosviluppo sono un gruppo di condizioni con esordio nel periodo dello sviluppo. Si manifestano nell’infanzia anche molto precocemente e sono caratterizzati da deficit che causano disfunzionalità multiple interagenti far di loro. Alcuni di questi malfunzionamenti possono essere preponderanti su altri ed anche all’interno dello stesso dominio affliggere un certo tipo di comportamento rispetto ad altri comportamenti . Anche l’estensione del deficit comprende una vasta gamma di condizioni che vanno da deficit molto selettivi come certi disturbi dell’apprendimento o del controllo delle funzioni esecutive, fino a deficit pervasivi che alterano estesamente molte delle componenti del funzionamento cognitivo e del comportamento (come lo spettro dei disordini autistici e la disabilità intellettiva). Accanto a questo va ricordata anche la complessità multicomponenzionale per cui accanto ad un disturbo è spesso presente anche un altro disturbo clinico, che non costituisce comunque parte integrante della condizione. Si deve considerare che tutti questi disturbi sono causati da una complessa eziologia in cui accanto ad una predisposizione genetica ereditata o de novo, si affianca un ruolo non ancora del tutto chiarito dell’ambiente, ma dimostrato per alcune sostanze con forte evidenza, che causano un alterazione dello sviluppo cerebrale nelle sue fasi più precoci. Questa alterazioni anatomiche e neuro-trasmettoriali canalizzano lo sviluppo cognitivo e comportamentale in una direzione così forte da compromettere anche altre traiettorie di sviluppo. L’autismo (spettro dei disordini autistici) è un disturbo neuro evolutivo, con una prevalenza stimata di ca 0,5 per 1000 soggetti. Le sue caratteristiche e le ricerche relative possono costituire un prototipo per la comprensione dei disordini del neurosviluppo. Il disordine è caratterizzato da deficit della relazione , della comunicazione verbale e da un ristretto range di interessi. E’ spesso in comorbidità con la disabilità intellettiva e con altri disturbi psichiatrici. Sono centinaia i geni trovati in associazione alla malattia , ma non è tuttora chiara la genetica del disturbo. La complessità eziologica sembra agire soprattutto sulla connettività cerebrale e di conseguenza sull’effetto formante dell’informazione sulla corteccia . Si ipotizzano tre teorie che possono spiegare la complessità, anche genetica, del disturbo: a) disfunzioni di sistemi neurali locali versus sistemi distribuiti ; b)ncapacità di rilevare informazioni sinaptiche salienti dal rumore di fondo; c) la ratio maschi : femmine di 4:1, che traduce l’influenza degli ormoni sessuali. Tutta quanto detto va nella direzione di trovare una terapia per il disordine. Attualmente è noto che solo interventi riabilitativi precoci e ben strutturati possono cambiare in parte l’evoluzione di una condizione che dura tutta la vita. 99 BERGAMO COUGH SEMINAR 2014 “RETHINKING COUGH” Venerdì, 14 novembre 2014 Presidenti: F. Cardinale, A. Kantar 13,30 – 15,00 Moderatori: A. Barbato, F. Midulla 16,00 – 17,30 Moderatori: A. Martelli, G. Rossi 100 COUGH RECEPTORS Maria Gabriela Belvisi Imperial College London Cough is the most common respiratory complaint for which medical attention is sought [1] and often presents as the first and most persistent symptom of many respiratory diseases (e.g. common cold, lung infections, asthma, COPD, pulmonary fibrosis, bronchiectasis, lung cancer) and some non-respiratory disorders (gastro-oesophageal reflux, post-nasal drip). Chronic cough of various aetiologies is a common presentation to specialist respiratory clinics, and is reported as a troublesome symptom by 7% of the population [2]. Treatment options are limited. A recent meta-analysis concluded that over the counter (OTC) cough remedies are ineffective [3] and there is increasing concern about the use of OTC therapies in children. Despite its importance our understanding of the mechanisms which provoke cough is poor. The respiratory tract is innervated by sensory afferent nerves which are activated by mechanical and chemical stimuli [4]. Activation of capsaicin-sensitive C-fibres and acid-sensitive, capsaicin-insensitive mechanoreceptors innervating the larynx, trachea, and large bronchi regulate the cough reflex [4,5]. Endogenous inflammatory mediators are often elevated in respiratory disease states. For example, higher concentrations of PGE 2 [6] and BK [7] have been found in the airways of patients with asthma and chronic obstructive pulmonary disease (COPD). Both PGE2 and BK are also known to cause cough by stimulating airway sensory nerves [8,9]. Furthermore, increased PGE2 levels have been found in idiopathic cough and cough associated with post nasal drip, gastroesophageal reflux disease, cough variant asthma and eosinophilic bronchitis [10]. Although we do have some information regarding which G protein-coupled receptors (GPCRs) are activated by these endogenous tussive agents it is still unclear what post receptor signalling pathways are involved. Recently, ion channels of the Transient Receptor Potential (TRP) class such as TRPV1 have been implicated in the afferent sensory loop of the cough reflex [11, 12] and in the heightened cough sensitivity seen in disease [13]. TRPA1 is a Ca2+-permeant non-selective channel with 14 ankyrin repeats in its amino terminus which also belongs to the larger TRP family. TRPA1 channels are activated by a range of natural products found in mustard oil, garlic and cannabis [14-16] and by environmental irritants (eg. acrolein) [17-19], and is primarily expressed in small diameter, nociceptive neurons [20]. It has been demonstrated that stimulating TRPA1 channels activates vagal broncho-pulmonary C-fibers in rodent lung [19-21] causing cough both in guinea-pig models and in normal human volunteers [21]. The TRPV4 channel is also widely expressed in mammalian tissues including lung, heart, kidney, sensory neurons, sympathetic nerves, brain, skin, intestine, salivary gland, sweat glands, inner ear, endothelium and fat tissue. In the lung, TRPV4 is detected by RT-PCR in a human bronchial epithelial cell line and in cultured human airway smooth muscle cells [22-24]. In addition, we have preliminary data to suggest that TRPV4 may be present on vagal sensory nerve endings and may be involved in the activation of lung specific afferents in response to endogenous stimuli such as hypotonicity. Another TRP channel, TRPM8, has also been suggested to be involved in modulation of the cough reflex. However, in this case anti-tussive activity has been suggested following activation of the channel with agonists such as menthol [25, 26]. Recent studies have investigated the mechanism underlying the antitussive action of menthol, which is frequently used in many over–the–counter preparations for cold and cough treatments. Based on a series of studies performed on conscious and anaesthetized guinea pigs, and using single cell RT PCR method it has been proposed that the antitussive action of menthol is mediated by nasal trigeminal afferents and in particular by a subpopulation of TRPV1-/TRPM8+ expressing neurons and clinical studies have now been performed which support this mechanism [27, 28]. Although many exogenous stimuli are known to activate particularly TRPA1 and TRPV1, it is still unknown how cough and other reflexes are elicited in health and disease by endogenous agents, and whether these ion channels are involved. We have provided evidence that TRP ion channels may have a role as common effectors for tussive agents. Furthermore, models of exaggerated cough have now been developed in our laboratory which may help to identify novel disease relevant targets. REFERENCES 1. Cherry DK, Burt CW, and Woodwell DA. (2003) National ambulatory medical care survey: 2001 summary. Adv. Data. 337, 1-44. . Ford AC, Forman D, Moayyedi P et al. Cough in the community: a cross sectional survey and the relationship to gastrointestinal symptoms. Thorax 2006; 61: 975-979. 3. Schroeder K, Fahey T. Systematic review of randomised controlled trials of over the counter cough medicines for acute cough in adults. B.M.J. 2002; 324: 329-331. 4. Canning BJ, Chou Y-L. Cough sensors. I. Physiological and pharmacological properties of the afferent nerves regulating cough. Handb Exp Pharmacol. 2009; 187: 23-47. 5. Nasra J, Belvisi MG. Modulation of sensory nerve function and the cough reflex: understanding disease pathogenesis. 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However in the 1970s and 80s clinicians and particularly Richard Irwin recognised at that patients were presenting with a chronic cough who at first glance had no obvious underlying cause for their complaint. In these patients intensive investigation and therapeutic trials led to the hypothesis that these patients had one of three underlying conditions: a form of the asthma, rhinitis which in early American literature was originally called Post Nasal Drip Syndrome or more recently Upper Airways Cough Syndrome, and finally Gastro-Oesophageal Reflux Disease. These three conditions were called the Triad of chronic cough. Whilst it is true that, for example, some patients presenting with an isolated chronic cough which is dry in nature, and without any chest x-ray abnormalities may show some aspects of asthma, in reality one of the cardinal features of asthma, bronchoconstriction, is rarely present. Similarly in the cough associated with rhinitis, sinus infection is rare. Only a small fraction of patients with obvious gastrointestinal precipitation of cough e.g. when eating food, exhibit symptoms such as heartburn to point to acid reflux disease. Thus the patients are rarely fitted neatly to the existing disease boxes and some patients have none of the features of these conditions. These patients were then coined as having chronic idiopathic cough. To many of us working in cough clinics this system of classification became increasingly unsatisfactory. ERS task force on the cough hypersensitivity In 2001 the ERS Scientific Committee approved a task force to characterise a new paradigms for the understanding of chronic cough which has been termed the Cough Hypersensitivity Syndrome. The concept is that the irritation leading to chronic cough is invested in the hypersensitivity of the afferent nerves in the upper airways rather than in a specific provoking condition. The task force met and undertook a comprehensive review of the current literature and from this instructed and refined a set of key thematic questions covering the aetiology, diagnosis, and treatment of chronic cough. Key Opinion Leaders were identified and a questionnaire constructed from the topics identified with which to elicit their opinions. 44 opinion leaders from 14 countries were interviewed. This and the associated paper along with an accompanying editorial are published in the November 2014 edition of the European Respiratory Journal. Cough Hypersensitivity Syndrome was defined as a clinical syndrome characterised by troublesome coughing often triggered by low levels of thermal, mechanical, or chemical exposure. All but one of the KOLs agreed with this concept. Thus CHS appears to be a well recognised concept with a general acceptance. There was also a general agreement that CHS could overlap with other conditions. Thus a patient could have airflow obstruction either fixed as in COPD or variable as in asthma and also have CHS, but it was the latter which was causing the coughing. With regard to the mechanism of the CHS, all agreed that this was a different phenomenon from the bronchial hyperresponsiveness seen for example with methacholine challenge. CHS is hypersensitivity of the afferent nerves, whereas methacholine or histamine hyperresponsiveness is an intrinsic motor function of the neuromuscular unit within the bronchus. What was more difficult to define is the anatomical location of this hypersensitivity. It was considered possible that it could reside in the irritant receptors, particularly of the TRP family. It is undoubtedly true of that agonists of TRPV1 or TRPA1 evoke cough when inhaled in man, however emerging evidence from the use of the newly developed antagonists of these receptors indicates that blockade of these receptors does not diminish chronic cough in the clinic. Work arising from the task force output, a survey of over 10,000 patients presenting to cough clinics around the globe indicate that whilst chronic cough is equally present in boys and girls it is twice as frequent in the women as men. Using fMRI we demonstrate that the somatosensory cortex in women stimulated by a tussive signal from capsaicin inhalation is twice as large as that in the men. This suggests that the hormonal changes of puberty may cause a central sensitisation of the cough perception in women and this has been suggested to be due to an evolutionary response preventing aspiration during pregnancy. Inflammation was thought to play an important role in priming the airway nerves themselves rather than receptors. Recent evidence using the P2 X3 ATP receptor antagonist AF 219 suggests that release of cellular ATP by inflammation may be a possible mechanism for inducing afferent neuronal hypersensitivity. 103 Phenotypes of cough The form of inflammation causing cough hypersensitivity may vary with the “asthmatic” sub type present in approximately 10 to 20% of patients as eosinophilic inflammation. As in the classic eosinophilic airway inflammation of asthma this responds to steroid treatment, but of the KOLs a significant number felt that a formal trial of oral steroid therapy should not be routinely used. It was suggested that measures such as a peripheral blood eosinophilia or high levels of expired nitric oxide provided a better routine clinical test. To avoid over treating the majority of patients who do not have eosinophilic inflammation some form of diagnostic test should be performed in the patient with chronic cough. In the clinic only a minority of patients with chronic cough have some form of “asthmatic cough”. The remaining patients have a mainly neutrophilic inflammation and opinions were divided as to the importance of non-acidic gaseous reflux as the primary driver. Recent research however demonstrates that the overwhelming majority of patients with intractable cough have some form of the oesophageal dysmotility either within the body of the oesophagus or at the gastro-oesophageal junction. Given that non-acid reflux was recognised it was perhaps surprising that the majority of the KOLs felt that proton pump inhibitors were an effective treatment. Two recent RCTs demonstrated no effect of PPIs on chronic cough and indeed blocking acid may lead to an increase in aspiration pneumonia. Alternative treatments such as metoclopramide, domperidone, and the macrolide antibiotics are recommended. The diagnosis of oesophageal dysmotility as a guide to this therapy can be aided by the use of questionnaires such as HARQ, available on the website www.issc.info Alternative drug therapies such as antihistamines and low dose morphine can be used to suppress the cough reflex in the remaining patients unresponsive to pro-motility agents. Nonpharmacological treatments include speech therapy and weight loss in those who are obese. Conclusion By applying of the Cough Hypersensitivity Syndrome in our diagnostic workup allows a logical explanation of previous mysterious symptoms to the patient. We know that it is a common syndrome and this can provide a great comfort to the patient. We have some targeted therapy available at the present time, but with this increase in our understanding better treatments will become available in the future. 104 EFFECT OF VIRAL UPPER RESPIRATORY TRACT INFECTION ON COUGH REFLEX SENSITIVITY Peter V. Dicpinigaitis, MD Albert Einstein College of Medicine and Montefiore Medical Center Bronx, New York, USA Abstract Acute viral upper respiratory tract infection (URI; common cold) is among the most common medical conditions affecting man, with cough being a typical feature of the associated syndrome. Studies employing capsaicin inhalation challenge to measure cough reflex sensitivity have demonstrated a transient tussive hyperresponsiveness induced by URI that reverts to normal by 4-8 weeks post infection. Mechanisms proposed to explain the induction of cough by URI include a number of infection-associated airway effects, such as enhanced release of cytokines, neurotransmitters, and leukotrienes; increased neural receptor levels; reduced activity of neutral endopeptidases; transient modulation of afferent neural activity; mucus hypersecretion; and, possibly, effects on cholinergic motor pathways. Recent studies evaluating urge-to-cough (UTC), the sensation of irritation preceding the motor act of coughing, have demonstrated that URI induces a transient enhancement of UTC analogous to the effect observed on cough reflex sensitivity. The recently introduced concept of the Cough Hypersensitivity Syndrome may provide an explanation for the commonly observed clinical phenomenon of acute viral URI triggering what will develop into chronic, refractory cough in a subgroup of patients. Introduction Cough is among the most common reasons for which patients worldwide seek medical attention [1]. Most cases of acute and subacute cough are due to acute viral upper respiratory tract infections (URI), otherwise known as the common cold. Given the sheer enormity of the problem of common cold worldwide, the medical and economic implications of cough due to this condition are of tremendous significance. Not only does acute cough due to URI result in tremendous financial expenditure, but the available treatments for acute cough are limited by lack of efficacy or, as in the case of opiates, for example, intolerable side effects at antitussive doses [2,3]. Measurement of cough reflex sensitivity Measurement of cough reflex sensitivity has allowed insight into the effects of viral URI on human cough reflex sensitivity. Among the various provocative agents used for induction of cough in the laboratory, capsaicin, the pungent extract of red chili peppers, has gained favor as the tussive agent of choice, given its ability to induce cough in a safe [4], dose-dependent and reproducible manner [5,6]. The typical end points of capsaicin inhalation challenge are C2 and C5, the concentrations of capsaicin inducing 2 or more, and 5 or more coughs, respectively. Effect of viral URI on cough reflex sensitivity Employing capsaicin inhalation challenge to measure cough reflex sensitivity, O’Connell and colleagues initially demonstrated that cough reflex sensitivity is transiently enhanced in otherwise healthy subjects during acute viral URI, compared with the post-recovery state [7]. These findings were subsequently confirmed in a similar population [8], as shown in Figure 1, with C5 significantly decreased (cough reflex sensitivity enhanced) during URI compared with repeated measurement after recovery (4-8- weeks post-URI). A recent study was the first to perform multiple cough reflex sensitivity measurements during the acute phase of viral URI in otherwise healthy subjects [9]. Capsaicin cough challenge, performed twice during the first 8 days of acute URI, demonstrated stability of cough reflex sensitivity during acute URI, with subsequent diminution (increased C5) post-recovery [9]. This observation is of significance to future investigators evaluating the effect of a pharmacological intervention on acute cough, as changes in cough reflex sensitivity can be assumed to reflect the effect of the study drug, rather than significant, naturally occurring fluctuations in cough reflex sensitivity occurring during the early stages of acute URI. Effect of drugs on cough reflex sensitivity during URI Relatively few studies have evaluated the effect of a drug on cough reflex sensitivity during URI. The widely used expectorant, guaifenesin, has been shown in two clinical trials to inhibit cough reflex sensitivity in subjects with acute viral URI, but not in healthy volunteers [10,11]. Similarly, the anticholinergic bronchodilator, tiotropium, has been shown to suppress cough reflex sensitivity in otherwise healthy nonsmokers with acute URI, but not in healthy controls [12]. Interestingly, the antitussive effect of tiotropium occurred without demonstrable bronchodilation, thus highlighting the concept that tiotropium may have pharmacological effects beyond that of reversal of pathological airway obstruction [13]. Notably, both of these agents inhibited capsaicin sensitivity in subjects with URI, whose cough reflex sensitivity was transiently enhanced, whereas the drugs had no effect in healthy volunteers, whose cough reflex was at its baseline. These observations raise the concept that 105 subjects with pathologically enhanced cough reflex sensitivity, rather than healthy volunteers, comprise the optimal study population for clinical trials evaluating potential antitussive agents [14]. A recently completed study demonstrated the ability of the first-generation antihistamine, diphenhydramine, to inhibit cough reflex sensitivity in otherwise healthy adults with acute viral URI [15]. Although first-generation antihistamines are widely used for acute cough as well as chronic cough due to upper airway cough syndrome, previously known as postnasal drip syndrome [2], to the author’s knowledge this study is the first to demonstrate cough inhibition by a first-generation antihistamine in acute pathological cough (Figure 2). Mechanisms of enhanced cough reflex sensitivity during viral URI Numerous mechanisms have been proposed to explain the transient cough and enhancement of cough reflex sensitivity associated with acute viral URI [16]. Direct effects of the viral infection on airway epithelium include inflammation and cytokine release. Other airway effects of URI include increase in neurotransmitter levels, such as Substance P; reduced activity of neutral endopeptidases; increased neural receptor levels (NK-1); and, transient modulation of airway neural activity. Increased leukotriene production and mucus hypersecretion are likely additional contributors to cough induction. Viral infections induce bronchoconstriction and airway hyperresponsiveness through their influence on cholinergic pathways, but the significance of these effects on cough and cough reflex sensitivity remains to be elucidated (Table 1). It is of interest, and likely quite significant, that many patients presenting with chronic cough relate the onset of their longstanding condition to an episode of URI. The newly emerging concept of the Cough Hypersensitivity Syndrome [17-20] suggests that an underlying hypersensitivity of the cough reflex potentiates the effect of an exogenous stimulus such as acute viral URI, resulting in refractory, chronic cough in a particular subgroup of individuals whereas the same stimulus causes a merely transient cough in the great majority of the population. Effect of viral URI on the urge-to-cough sensation Recently, increasing interest has focused on the sensation of irritation that precedes the motor act of coughing; this phenomenon has been termed the urge-to-cough [21-24]. Studies employing functional magnetic resonance imaging in subjects administered inhaled capsaicin have demonstrated that the urge-to-cough sensation is associated with activations in a variety of cortical brain regions [25,26]. As is the case with the motor cough reflex, acute viral URI has been demonstrated to induce a transient enhancement of the urge-to-cough sensation [8]. As shown in Figure 1, urge-to-cough, as measured by Cu, the lowest concentration of capsaicin inducing the urge-to-cough sensation without an associated motor cough [24], is significantly enhanced during URI compared to the post-recovery state. References 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 Hsiao C-J, Cherry DK, Beatty PC, et al. National Ambulatory Medical Care Survey: 2007 Summary. 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Table 1 Proposed mechanisms of virus-induced cough* effects on airway epithelium - inflammation and cytokine release (IL-1, TNF-α, IL-6, IL-8, GRO-α, IL-11, RANTES, GM-CSF, eotaxin) increased airway neurotransmitter levels - Substance P reduced activity of neutral endopeptidases in airway increased neural receptor levels (NK-1) modulation of afferent neural activity (transient) ? effect on cholinergic motor pathways (bronchoconstriction, airway hyperresponsiveness) increased leukotriene production mucus hypersecretion *adapted from reference 16 Legend – Figure 1 Mean values for log C5 (open circles) and log Cu (solid circles) during viral upper respiratory tract infection (URI) and after recovery (4-8 weeks after URI). Error bars indicate ±SEM. Values were significantly lower (i.e., sensitivity enhanced) during URI. *p=0.046; **p=0.001. C5 was affected to a greater degree by URI than was Cu (p=0.044). (from ref. 8). 107 2 1 0 placebo Dx Dph Legend – Figure 2 Values for cough reflex sensitivity to capsaicin (log C5) determined 2 hours after ingestion of diphenhydramine (Dph), dextromethorphan (Dx), and placebo in adult nonsmokers with acute viral upper respiratory tract infection. Cough reflex sensitivity was significantly inhibited (log C 5 increased) after diphenhydramine (p<0.01). Error bars represent ±SEM. 108 COUGH SUPPRESSION THERAPY Dr Surinder S Birring King’s College Hospital, London [email protected] Cough suppression therapy (CST), also known as cough suppression physiotherapy and speech pathology management is a promising non-pharmacological therapeutic option for patients with refractory chronic cough. It has largely been developed and evaluated in adult patients. CST may consist of education, improving laryngeal hygiene and hydration, cough suppression techniques, breathing exercises and counselling. It is an out-patient therapy delivered in 2-4 sessions. There is evidence to support the efficacy of CST: three randomised controlled trials have reported a significant reduction in cough symptoms and other studies have reported improved cough related quality of life, reduced cough reflex hypersensitivity and cough frequency. The mechanism of action of CST is not clear, but it has been shown to reduce cough reflex sensitivity, paradoxical vocal fold movement (PVFM) and extrathoracic hyperresponsiveness. Further research is needed to determine the optimal components of CST, the characteristics of patients in whom it is most effective and to increase the understanding of its mechanisms of action. The effectiveness of CST in other respiratory conditions such as asthma should also be investigated. It is likely that CST is delivered to children with refractory cough by a range of speech and physiotherapists, nurses and psychologists. A structured programme of CST for children should be developed and evaluated. Table 1. Cough suppression therapy components for adults with cough. Components Techniques Education Cough reflex and cough reflex hypersensitivity. Negative effects of repeated coughing. Principals of voluntary control of cough. Laryngeal Hygiene and hydration Promote nasal breathing Avoid smoky environments Increase frequency and volume of water intake Cough Control Teach patients to identify their cough triggers. Teach patients to suppress their cough at the first urge to cough by using techniques: Substitute cough: Forced swallow. Distraction: Sucking sweets, Sipping water. Where possible, relaxed throat breathing, pursed lip breathing, breathing pattern retraining. Psycho-Educational Counselling Behaviour modification: reducing over-awareness of the need to cough. Encouraging voluntary control of cough. Setting realistic timeframes and goals. Reinforcement of techniques. Stress and anxiety management Address adverse symptoms 109 THE MUCUS BARRIER AND RESPIRATORY INFECTIONS David J. Thornton Wellcome Trust Centre for Cell-Matrix Research, Faculty of Life Sciences, University of Manchester, Manchester, UK. The mucus barrier provides a dynamic, protective interface between tissues and the outside environment. Innate defence mechanisms in the respiratory tract are centred on this barrier, which plays a key role in protection from infectious and environmental challenges1. The components of mucus in terms of water, salts and in particular, secreted glycoproteins and proteins (at least 250 distinct molecular species) 2 come together to form a physical barrier armed with anti-microbial activity Transport of mucus out of the airways by mucociliary clearance and cough is critical for health, and accumulation of mucus, with non-optimal transport properties, is a pathologic feature of airway diseases such as cystic fibrosis (CF) and chronic obstructive pulmonary disease (COPD). In CF, accumulation of mucus results in adherence of mucus to the airway epithelium, blocking small airways and providing an environment within which bacteria can flourish. This leads to infection, inflammation and a cycle of airway damage and mucus accumulation, key aspects of morbidity and mortality in this disease3. The mucin glycoproteins are the major determinants of the physical properties of mucus in the healthy airways. These very large polymeric molecules are synthesized by specialized secretory cells in the surface epithelium and submucosal glands and are secreted in response to a stimulus, for example, bacterial lipopolysaccharide (LPS). The airway mucus gel is comprised of a heterogeneous mixture of two mucin glycoproteins, MUC5AC and MUC5B4. The roles of these two mucins are yet to be fully elucidated. MUC5B, the predominant mucin in health, is indispensible for mucociliary clearance that controls bacterial infection 5. In contrast, MUC5AC is a more minor component of healthy mucus that is up-regulated during infection6 and allergic airway inflammation7. My presentation will focus on how changes to the hydration and pH of the airway surface liquid into which MUC5AC and MUC5B are secreted impact on the barrier, transport, and anti-microbial properties of the mucus barrier. These aspects of mucus barrier function will be discussed in the context of CF. References 1. Thornton, D.J., Rousseau, K. & McGuckin, M. (2008) Structure and function of the polymeric mucins in airways mucus. Annu. Rev. Physiol. 70, 5.1-5.28 2. Kesimer, M., Pickles, R.J., Henderson, A.G., Alexis, N.E., DeMaria, G., Knight, D., Kirkham, S., Thornton, D.J. & Sheehan, J.K. (2009) Tracheobronchial air-liquid interface cell culture: a model for innate mucosal defense of the upper airways? Am. J Physiol. Lung Cell Physiol. (2009) 296, L92-L100. 3. Ehre, C., Ridley, C. and Thornton, D.J. 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The WHO estimate that, worldwide, lower respiratory tract infections due to streptococcus pneumonia, respiratory syncyctial virus, haemophilus influenza type B as well as many other pathogens causing pneumonia and related acute lower respiratory tract infections kill more than 1.1 million children under 5 years of age and LRTIs remain the leading cause of death in children. Understandably, in light of the burden placed on medical services and the unacceptable mortality noted particualrly in resource poor countries, much of the literature regarding ‘lung infections’ has concentrated on acute severe infections such as pneumonia and ‘acute bronchiolitis’. With good supportive care for viral induced illnesses such as bronchiolitis and the use of standard antibiotic therapy for bacterial pneumonia the mortality associated with these acute illnesses is very low, developed countries though deaths still occur. With resolution of an acute pneumonic episode the majority of subjects return to normal function and activity with no discernible effects. Chronic infections of the lung have received much less attention outside the setting of TB and cystic fibrosis. In the later condition persistent infection of the conducting airways has been recognised as key component of the pulmonary disease for many decades and is believed to play a major role in the progressive pulmonary damage characterised pathologically by bronchiectasis. While all respiratory clinicians are aware of bronchiectasis developing due causes other than cystic fibrosis there has been a lack of clarity about the interaction of ‘infection’ and the ‘bronchiectasis’. To many the purulent sputum is a consequence of distorted and damaged airways. However bronchiectasis is not a disease – there any many subjects who remain well for long periods despite evidence of bronchiectasis. The dis-ease is largely attributable to a persistent or recurrent bronchitis which, in most cases, drives the development and progression of the structural changes affecting the airways in those with bronchiectasis. The vicious circle hypothesis proposed by Cole P and others to explain the development of bronchiectasis suggests that a circle of impaired mucocillary clearance contributing to airways infection resulting in inflammation leading to damage to the airway which in turn impairs mucocillary clearance. This hypothesis does not suggest that ‘bronchiectasis’, which is after all not a diagnosis but a radiological or pathologic description, develops suddenly with infection being secondary but rather proposes prolonged periods [months, years or decades] of on-going or recurrent infection. That there exists a period of chronic infection and inflammation prior to the development of radiologically evident bronchiectasis is supported by studies in children from the mid C20th when children underwent bronchograms for presumed bronchiectasis. In a large cohort in whom bronchiectasis was not identified follow up 3 years later indicated that the pathology had progressed to overt bronchiectasis in a large proportion of these children. Impairment of mucocillary clearance can occur in those with a significant viral LRTI [most common in the first 2 years of life, congenital abnormalities such as tracheomalacia, toxins produced during pertussis infections, airways damage due to inhaling toxins associated with tobacco smoke etc. Less commonly the impaired mucocillary clearance is due to the dehydration of the luminal fluid in patients with CF and impaired ciliary function in PCD. In other subjects immunodeficiencies initiate the circle buy permitting the establishment of infection that causes inflammation and damage to the mucosa. It should be acknowledged that occasionally severe insults such as PVL staph pneumonia or non-infected inflammatory conditions can occasionally lead to bronchiectasis but these are very much the minority The introduction of antibiotics in the 1940’s and 1950’s transformed the lot of children with bronchiectasis and ‘pre-bronchiectasis’ with hospital admission rates for ‘bronchiectasis’ falling dramatically over a decade. The widespread use of antibiotics, together with the natural tendency for symptoms to become less troublesome in subjects with bronchiectasis during the 2nd to 4 th decades led to ‘bronchiectasis’ becoming an ‘orphan’ disease, at least in developed countries. Lack of recognition of the underlying process resulting in the development of dilated conducting airways and in particular a belief that bacteria caused acute severe disease that was easily recognised led many to believe that ‘bronchiectasis’ was disease, failing to recognise that the dis- ease – the coughing, malaise and acute exacerbations, are due to the chronic bacterial bronchitis. Indeed, many with, ‘bronchiectasis’, experience no dis-ease for years at a time if at all. The presumed ‘chronic infection’ has generally been hard to explain on the basis of the known dynamics of bacterial population during acute illnesses such as pneumonia [affecting the respiratory zone rather than the conducting airways] and the confusion has been compounded by the idea of commensal colonisation being 111 distinct from disease. More recently it has been recognised that the common pathogens observed in those with a persistent or recurrent bacterial bronchitis are able to exist in both traditional planktonic forms and within biofilms, their behaviour being quite different in each state. Planctonic bacteria generally replicate rapidly, induce an intense inflammatory response and in the context of the lungs generally cause a severe febrile illness affecting predominantly the respiratory zone. Biofilms contain populations of bacteria [often mixed] within a matrix generated by the bacteria, frequently also incorporating host material such as neutrophil DNA. The complex structures attain a significant size; bacteria turn over slowly and are protected against both host defences and agents such as antibiotics. The creation of biofilms involves signalling molecules released by bacteria which exert their actions on a population of bacteria when the density of bacteria in a location reaches a certain level [quorum sensing]. In response to these molecules bacteria switch from the aggressive planktonic form to the more quiescent form resident in the biofilm adopting a state that provides sanctuary awaiting the opportunity, under favourable conditions, to start releasing more planktonic form which can colonise other areas of the airway or be transmitted to another host. It should be recognised that the biofilms can develop within epithelial cells as well as between and on the surface of these cells. Moreover biofilms can form in the lumen at a distance fromt eh surface as is characteristic of Pseudomonas A biofilms in patients with CF. The formation of biofilms by bacteria as a mechanism for resisting adverse environmental factors dates back more than 4.5 billion years. Initially biofilms provided and still provide protection against clearance from an environment by rivers, tides or wind. Biofilms are ubiquitous and it should be no surprise that certain organisms are particularly adept at using this mechanism to provide itself with a survival advantage in the lower airways as well as in the ears and sinuses. It appears that the most important trigger for release of planktonic forms of the organism is the advent of a respiratory viral infection though the mechanisms have not been fully explored. One feature of organisms such as Non-typable haemophilus influenza [NTHi] is that as a biofilm it attempts to down regulate inflammation – during ‘exacerbations’ of symptoms in those with PBB including those with ‘COPD’ it is likely that some of the symptoms are due to the virus per se but that much of the increased morbidity is due to the inflammation associated with increased load of planktonic organism. In children with a ‘cold’ the SNOT score correlates closely with the bacterial load of NTHi and/or Strep. pneumionae and/or Moraxella suggesting that the bacteria are contributing significantly to the severity of the ‘cold’. Under conditions of neutrophilic inflammation with increased mucus production coughing and sneezing conditions ae ideal for disseminating both virus and bacteria and hence it is not surprising that there may be synergistic interactions across a range of micro-organisms. With increasing recognition of the complexities and dynamic structure of the lung ‘microbiome’ it is recognised that many of the organisms that may be pathogenic as virulent planktonic organisms or indolent biofilms also appear to be present as part of a ‘healthy’ community and much is still to be learnt of how these complex communities self-regulate in health and why a ubiquitous bacteria ‘turns bad’. In pathogenic situations it appears that a reduction in diversity is common generally accompanied by an increase in the burden of certain ‘pathogenic’ organisms. Understanding the challenges posed when attempting to treat biofilms explains many of the features of symptoms and responses to treatment in children and adults with a persistent bacterial bronchitis irrespective of whether they have radiological ‘bronchiectasis’. Amongst the population of developing countries in South East Asia and indigenous populations in the Americas and Australia persistent bacterial bronchitis continues to be common and responsible of considerable morbidity and high levels of bronchiectasis being observed in studies. In developed countries, as noted above, the condition appeared to largely disappear with the widespread use of antibiotics in the community but its prevalence appears to have increased substantially over the past decade or so. The reason for this is unclear with possibilities including better recognition, reduced antibiotic prescribing for ‘viral infections’ resulting in more children developing a bacterial bronchitis and the possibility that the HiB vaccine and conjugated pneumococcal vaccines are addressing organisms responsible for severe acute infections but inadvertently promoting the opportunity for organisms from the same family with lower virulence but greater biofilm generating capacity being to occupy a niche in the airway. Understanding the nature of the vicious cycle model of bacterial bronchitis and the development of airways abnormalities that can go on to result in bronchiectasis suggests treatment involves eradicating ‘infection’, enhancing mucocillary clearance and potentially inhibiting inflammation. Killing the organisms in biofilms require high doses for a period of time – in those that respond it is rare for the cough [a marker of inflammation] to resolve before 10 -14 days. At this point the airways are unlikely to have a healthy phenotype. The airways do appear to be capable of considerable repair should the driver be removed [it is not uncommon for ‘bronchiectasis’ to disappear in children treated aggressively]. However the airways are at risk of further infection by these ubiquitous organisms prompting many to recommend longer course of antibiotics. The evidence base for this is non-existent in large part because of the failure of granting bodies to recognise its importance and partly because the disease is manifest across a broad spectrum of severities and response to 112 therapy varies widely. Quite how much this variability is attributable to disease and how much to patient adherence is unclear. The author’s approach is to view cough as a marker of inflammation – in the absence of cough the airways are probably repairing themselves while the inflammation leading to cough is at best impeding repair at in many cases adding to the damage. For some subjects aggressive two week courses intermittently for a period appears sufficient to establish a cure while for others prolonged courses preventing re-establishing infection appears necessary. The risk benefits of the approaches are open to debate. Azithromycin is widely used, in part for its ‘anti-inflammatory’ actions but macrolide resistance as well as the potential for side effects such as impact on hearing need to be considered. We recognise that asthmatics range from the occasional symptoms with colds and exercise on a cold day to frequent exacerbations and manage patients accordingly with prn Ventolin through to high dose combination therapy and even agents such as anti-IgE therapy. The same tailored approach appears to be appropriate for the biofilm disease affecting the conducting airways. In terms of the future management of biofilm disease there is increasing interest in agents that can disrupt the film making eradication of the organisms easier and agents that may influence the behaviour of the organism by interfering with their normal collaborative communication strategies. If and when these approaches reach clinical practice is at best uncertain and hence early recognition and treatment remains a key objective. Currently we continue to use techniques designed to identified aggressive pathogens and do not have a clear means of determining whether organisms capable of forming biofilms are indeed behaving in this way. References Craven V, Everard ML. Protracted bacterial bronchitis: reinventing an old disease. Arch Dis Child. 2013; 98: 72-6 Marsh RL, Thornton RB, Smith-Vaughan HC, Richmond P, Pizzutto SJ, Chang AB. Detection of biofilm in bronchoalveolar lavage from children with non-cystic fibrosis bronchiectasis. 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FEMS Immunol Med Microbiol. 2012; 65: 127-45. 113 PROTRACTED BACTERIAL BRONCHITIS (PBB) Anne Bernadette Chang Royal Children’s Hospital Brisbane and Menzies School of Health Research Darwin, Australia Persistent bacterial bronchitis (PBB) sometimes truncated to protracted bronchitis is a pediatric condition clinically defined as (a) the presence of isolated chronic (>4 weeks) wet/moist cough, (b) resolution of cough with antibiotic treatment and (c) absence of pointers suggestive of an alternative specific cause of cough. This condition has long been recognized by pediatric pulmonologists but has only been adequately characterized (by broncho-alveolar lavage and clinically) since 2006. PBB has been officially recognized by the cough guidelines of the Thoracic Society of New Zealand and Australia, the British Thoracic Society and was referred to in the American College of Chest Physicians guideline. Children with PBB are typically young (<5 years of age, median age-3years). They have a chronic wet cough and some parents may report a ‘wheeze’ which is actually a rattle (reflective of airway secretions) and not a true wheeze. Systemic effects are generally minimal or non-specific such as tiredness or lack of energy. Like children with chronic cough, children with PBB have significant morbidity. Parents typically have seen multiple medical practitioners for their child’s chronic cough in the last 12-months. In PBB the child’s cough resolves only after a prolonged course (at least 10-14 days) of appropriate antibiotics. The diagnosis of PBB should only become definite when the response to treatment is dramatic, i.e. the child becomes asymptomatic. When a typical course (5 days) of antibiotics is used, the cough either relapses quickly, or slightly subsides but does not resolve completely. Airway neutrophilia is present and common respiratory pathogens are found in the endobronchial infection; H. Influenza, S. Pneumoniae and M. catarrhalis. Their chest x-rays may be reported as ‘normal’ but usually show peribronchiolar changes. In some children, co-existent tracheobronchomalacia is present. The mechanisms underpinning the development and the natural history of PBB are unknown. Published studies have shown up-regulation of innate markers reflective of infection in the BAL of children with PBB; TLR 2 and 4, human defensin-2 and mannose binding protein. Recently we have also shown that PBB is characterised by increased IL-1β pathway activation. IL-1β and related mediators were associated with BAL neutrophils, cough symptoms and disease recurrence, providing insight into PBB pathogenesis. Recurrent episodes of PBB and/or wet cough not resolving to simple therapies should prompt further evaluations of other causes of chronic wet cough (aspiration, chronic suppurative lung disease and bronchiectasis). Management of PBB is essentially the same as that for bronchiectasis. Managing PBB is important as it is curable and it is likely that non-treatment may lead to development of CSLD in some children. Key References Chang AB, Redding GJ, Everard M. State of the Art: Chronic wet cough: protracted bronchitis, chronic suppurative lung disease and bronchiectasis. Pediatr Pulmonol 2008; 43:519-31. Baines KJ, Upham JW, Yerkovich ST, Chang AB, Marchant JM, Caroll M, Simpson JL Gibson PG. Interleukin-1β is increased in children with protracted bacterial bronchitis. Chest: in press. Chang AB, Yerkovich ST, Gibson PG, Anderson-James S, Petsky HL, Carroll ML, Masters IB, Marchant JM, Wurzel D, Upham JW. Pulmonary innate immunity in children with protracted bacterial bronchitis. J Pediatr 2012; 161: 621-625 Wurzel DF, Marchant JM, Yerkovich ST, Upham JW, Mackay IM, Masters IB, Chang AB. Prospective Characterisation of Protracted Bacterial Bronchitis (PBB) in Children. Chest 2014; 145(6):1271-8. 114 AN APPROACH TO AND CARING FOR CHILDREN WITH PROBLEM COUGHING: A PERSONAL PRACTICE Michael D Shields MD, FRCP, FRCPCH Professor of Child Health, Queen’s University Belfast & Consultant in Paediatric Respiratory Medicine, Royal Belfast Hospital for Sick Children Centre for Infection & Immunity, Queen’s University Belfast, Health Sciences Building, 97 Lisburn Road, Belfast, Bt7 9BL, N Ireland, UK - Email: [email protected] Conflict of Interest MD Shields – declares no conflict of interest relevant to this review. MD Shields has received honoraria (from Glaxo Smith Kline, AstraZeneca, Novartis, Merck Sharp Dohme) for talks given at educational meetings. He has received sponsorship from the same companies to attend the ERS, EAACI and BTS annual educational meetings. He has attended an advisory board meeting for Boehringer Ingelheim. An approach to and caring for children with prolonged problem coughing: a personal practice The context for this talk is the child referred from general practice or primary care to a Paediatric outpatient clinic because of problem coughing and in a country where Cystic Fibrosis is screened for at birth. The underlying principle for the management of cough is first to find the cause and then, where possible, specifically treat the cause. Unfortunately the underlying diagnosis in chronic cough can be difficult to determine and for many there are no specific or effective treatments available. A full history and clinical examination, including height and weight centiles (with or without simple investigations such as a CXR and spirometry) is first taken in order to determine whether the child has an obvious specific condition. Some examples are given in Table 1 and more detailed information can be obtained from published cough guidelines (1, 2, 3). When a specific condition is suspected targeted investigations and trials of treatment can be carried out. Table 1 (some examples of conditions that can be diagnosed from the history & examination) Cough variant or predominant asthma: When a child with atopic eczema and allergic rhinitis has a recurrent problem cough with exercise and at night out with an URTI then cough variant asthma should be suspected. Spirometry and SpT may be indicated and the effects of a trial of anti-asthma treatment recorded. The presence of confirmed wheezing makes the diagnosis more secure. Post nasal drip (upper airways syndrome): A child with atopic eczema and seasonal allergic rhinitis presents with a persistent ‘clearing the throat’ cough and has the transverse nasal crease associated with the allergic salute likely has post nasal drip. A trial of intranasal steroids and/or an antihistamine is warranted. Pertussis: Following an URTI a young child develops a violent spasmodic cough that occurs in kinks and cause cyanosis and the cough spasms are followed by an inspiratory whoop and vomiting – whooping cough is the likely diagnosis. No treatment is particularly beneficial and family support may be needed. Retained inhaled foreign body: A previously well child develops a problem cough following shelling and eating Pistachio nuts. The cough persists and sometimes is associated with wheezing and the child has suffered several lower respiratory tract infection. Given the very acute onset of symptoms a retained inhaled foreign body needs removed by bronchoscopy. Primary ciliary dyskinesia: A child with dextrocardia has been coughing since the day he was born. He has always had a snuffly nose and has experienced numerous upper and lower respiratory tract infections and has a chronic daily wet cough. Recurrent pulmonary aspiration: A child with learning disabilities and cerebral palsy chokes and splutters while feeding, has experienced recurrent pneumonias and coughs easily with movement or swallowing. Observation of feeding (Video fluoroscopy) and swallowing studies will be needed and treatments geared to preventing aspiration during swallow or secondary to gastro-oesophageal reflux started. Psychogenic cough: An otherwise well child develops a prolonged bizarre honking cough. The cough becomes very loud when the child’s attention is brought towards the cough. The cough, while very loud, causes the child no distress (la belle indifference) and disappears when the child becomes engrossed in some interesting activity and does not disrupt sleep. 115 In some cases it is not possible to fit the coughing child into a specific condition and I generally decide during the initial consultation whether the child is otherwise well and healthy apart from the cough or whether there are features suggestive of ill health that will definitely warrant further investigations (eg failure to thrive, chest deformity, finger clubbing, a relentlessly progressive cough). In otherwise well children I next try to determine whether the cough is wet and productive or dry and nonproductive. Parents seem able to describe this clearly or by noticing phlegm in coughing that precipitates vomiting. Parents can also clearly report that a dry cough becomes wet when such a child develops an acute URTI. A prolonged cough in an otherwise well child who has no pointers to a specific disease has been called ‘isolated non-specific cough’. This seems to carry a good prognosis for resolution that occurs naturally but over time. Non-specific coughing in an otherwise well child Multiple studies have shown that 10% of children who cough with an acute URTI are still coughing after 25 days (4,5). Ten percent of infants with acute bronchiolitis are estimated to still be coughing at 21 days although it should be improving for the majority (5). The cough typically abates over time. This is called ‘post-viral cough’ as it is thought that most of these coughs are triggered by a viral infection. Recent studies from western countries have shown that Pertussis is a significant causative agent in older children and adolescents. Pertussis likely now accounts for up to one third of cases (6,7,8,9). Mycoplasma, RSV and Influenza are among the other respiratory viruses that can cause a prolonged cough (7). Practice point Older children may not have the classical clinical features of pertussis (whooping, spasmodic cough, post tussis vomits). This has recently been excellently reviewed (8). Confirming a pertussis diagnosis is worthwhile. This reduces the need for further investigations, reduces parental worry and can allow parents to stop pressing doctors for antibiotics and other ineffective treatments. Serial blood tests, swab PCR testing or a saliva sample can be used (5,6). The diagnostic test used to confirm recent pertussis infection should be non-invasive and simple to obtain. The saliva test developed and reported seems simple and potentially useful in primary care (9). Some children seem to have recurrent bouts of such coughing (recurrent cough) and a recurrent cough may be reported as chronic. In the case of children who have recurrent problem coughing after each acute URTI but with no other asthma pointers in order to exclude cough variant asthma I recommend starting a ‘trial of antiasthma therapy’. I typically use an Inhaled Corticosteroid (ICS) given regularly (eg Budesonide 400 micrograms / day) along with a when required bronchodilator for 3 months. If the trial of anti-asthma works it should be stopped and only restarted if coughing restarts. A second good response is suggestive of cough variant asthma. I generally do not give a trial of gastro-oesophageal reflux therapy in such cases unless there are symptoms of reflux. I believe that it is safe practice to observe children who are otherwise well, have no specific disease pointers, have a normal CXR and a dry cough and await the occurrence of natural resolution. However, the natural resolution should be confirmed. Wet cough in an otherwise well child A wet productive cough suggests mucous hypersecretion with a persistent bacterial airway wall infection. Not infrequently a young child (pre-school) with a constantly rattly chest and persistent wet cough is referred. These children are typically thriving and appear otherwise well. I make the diagnosis of persistent bacterial bronchitis (PBB). I arrange for a CXR and try, with the help of a physiotherapist, to get a sputum sample or cough swab for bacterial culture and respiratory viral PCR testing. Given that the 3 typical bacteria associated with PBB are Pneumococcus, Haem Influ’ and Moraxella I recommend a 2-4 week treatment of Coamoxiclav. Practice point I use a simplified explanation of this condition to parents as follows: the child has had a series of viral respiratory infections and the airway wall lining hasn’t had time to heal and repair (explain about the ciliary system) and unfortunately the airway wall has now become colonized and infected by bacteria. In order to eradicate the bacterial the parents need to ensure that the antibiotic is given as a complete the course. I investigate children for other causes of chronic suppurative lung disease if 1] the cough fails to respond, 2] becomes recurrent, 3] the children are older. Investigations include tests for immune deficience, cystic fibrosis, primary ciliary dyskinesia, recurrent aspiration along with a CT scan and / or 116 bronchoscopy. References and essential reading 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. Shields MD, Bush A, Everard ML, McKenzie S, Primhak R. Recommendations for the assessment and management of cough in children. British Thoracic Society Cough Guideline Group. Thorax. 2008; 63 (Suppl): 1-15. Chang AB, Glomb WB. Guidelines for evaluating chronic cough in pediatrics: ACCP evidence-based clinical practice guidelines. Chest. 2006;129(1 Suppl):260S-283S. Goldsobel AB, Chipps BE. Cough in the Pediatric population. J Pediatr 2010; 156(3): 352-358. Hay AD, Wilson AD. The natural history of acute cough in children aged 0-4 years in primary care: a systematic review. Brit J Gen Pract 2005; 52,478: 401-409. Thompson M et al. Duration of symptoms of respiratory tract infections in children: systematic review. BMJ 2013: 347: f7027 doi: 10.1136/bmj.f7027 Harnden A, Grant C, Harrison T, et al. Whooping cough in school aged children with persistent cough: a prospective cohort study in primary care. BMJ 2006; 33: 174-177 Wang K, Chalker V, Bermingham A, et al Mycoplasma pneumonia and Respiratory virus infections in children with persistent cough in England. A Retrospective analysis. Pediatric Infectious Disease Journal 2011; 30: 1047-1051 Cornia PB, Adam L. Hersh BA et al. Does This Coughing Adolescent or Adult Patient Have Pertussis? JAMA. 2010;304(8): 890-896. Wang K et al. Whooping cough in school age children presenting with cough in UK. BMJ 2014; 348: g3668 117 CORSI PRATICI basati sulla simulazione per medici e infermieri “HANDS ON” Venerdì, 14 novembre 2014 Coordinatori: R. Agostiniani, A. Mazza, G. Pellegrini 13,30 – 18,00 118 LA NASAL CPAP E LA BILEVEL NASAL CPAP Pierpaolo Monaco Carefusion, Clinical & Product Specialist LA CPAP NASALE Introduzione Ogni anno, nel mondo, circa 15 milioni di neonati, quasi 1 su 10, nasce prematuramente 1. I neonati prematuri o di basso peso alla nascita (LBW o ELBW) sono ad alto rischio di problemi respiratori a causa dello sviluppo polmonare insufficiente. Le condizioni respiratorie patologiche comuni nei neonati includono apnea della prematurità, sindrome da distress respiratorio (RDS), tachipnea transitoria (TTN), sindrome da aspirazione di meconio, edema polmonare etc. Queste condizioni sono spesso associate ad una riduzione della capacità polmonare e della capacità funzionale residua (FRC)1-2 e molti di questi neonati necessitano di supporto respiratorio. La sindrome da distress respiratorio (RDS) è una condizione che ostacola la normale respirazione a causa di una scarsa produzione di surfattante naturale. Circa il 50% dei neonati partoriti a 26-28 settimane di gestazione e il 30% dei neonati partoriti a 30-31 settimane di gestazione sviluppa la sindrome da distress respiratorio 2. Per fornire supporto respiratorio al paziente si può scegliere fra varie opzioni. Come trattamento iniziale per i neonati con problemi respiratori si utilizza da tempo la ventilazione meccanica tramite vie aeree artificiali. L'intubazione presenta però una vasta gamma di problematiche in pazienti di ogni tipo e nei neonati prematuri i problemi sono particolarmente complessi. Date le potenziali complicanze dell'intubazione, particolarmente complesse nei neonati, molti medici scelgono, per i pazienti che respirano spontaneamente, un approccio meno invasivo basato sulla pressione positiva continua delle vie aeree (CPAP). Vantaggi La nCPAP consiste nell'applicazione di una pressione positiva alle vie aeree di un neonato che respira spontaneamente per favorire il reclutamento alveolare e garantire un adeguato scambio gassoso, riducendo allo stesso tempo il lavoro respiratorio. La nCPAP è un flusso di gas continuo somministrato attraverso le cannule nasali inserite nelle narici del neonato o una maschera nasale posizionata attorno al perimetro del naso. La pressione positiva, in genere da 4 cmH2O a 8 cmH2O, agisce da splint per evitare il collasso degli alveoli e diminuire il lavoro respiratorio durante la respirazione spontanea, permettendo cosi al neonato di conservare preziose calorie che potrebbero essere utilizzate per importantissimi processi di crescita e guarigione. I vantaggi della CPAP sono molteplici: • Aumento della capacità funzionale residua (FRC) con reclutamento alveolare che permette di lavorare nella parte media della curva P/V • Aumento e mantenimento del volume polmonare • Aumento della capacità polmonare • Riduzione del lavoro respiratorio (WOB), della resistenza delle vie aeree e del mismatch V/Q • Utilizzo di una procedura non invasiv • Semplifica l'applicazione • Riduzione dei costi • Prevenzione del fallimento dell'estubazione in alcuni neonati • Stabilizzazione del diaframma, delle vie aeree e della parete toracica • Riduzione dell'incidenza della malattia polmonare cronica (CLD) Il diagramma seguente riassume gli effetti fisiologici della CPAP nasale3,4-10: 119 L'ECOGRAFIA POLMONARE IN PEDIATRIA E NEONATOLOGIA: NUOVE PROSPETTIVE DIAGNOSTICHE Mariano Manzionna, Vincenzo Basile UO Pediatria PO Monopoli ASL BA INTRODUZIONE Fino a 10 anni fa la ecografia del torace era considerata una metodica impossibile da attuarsi, in quanto si riteneva che il polmone non fosse esplorabile con gli ultrasuoni. A seguito dell’evoluzione tecnologica, delle conoscenze e delle esperienze acquisite (il primo a sperimentare fu Lichtenstein, medico intensivista parigino ), con la commercializzazione di ecografi con risoluzione sempre più alta, oggi è diventata una metodica di facile esecuzione ed con una buona affidabilità diagnostica. Attualmente, per approfondire e valutare la maggior parte delle patologie polmonari in età pediatrica, viene utilizzata la radiografia del torace, metodica che senza dubbio presenta dei vantaggi legati alla sua panoramicità ( è ancora considerata il gold standard), ma che presenta dei limiti legati principalmente alla impossibilità di chiarire la natura ( liquida o solida) e la pertinenza anatomica (pleurica o parenchimale) di una radiopacità. La ET viene in soccorso della radiografia, riuscendo a distinguere, in base alle caratteristiche ecografiche, tra focolai flogistici, atelectasie e versamenti pleurici. Peraltro il sottile spessore della parete toracica e la limitata estensione della superficie da esaminare, ne facilitano la esecuzione in età pediatrica ed inoltre il minore volume polmonare aumenta la probabilità che una eventuale lesione entri in contatto con la pleura, requisito fondamentale per visualizzazione ecografica. Il basso costo, la disponibilità, la rapidità di esecuzione e la ripetibilità ne suggeriscono una più ampia applicazione in pediatria, associato al vantaggio di non essere ionizzante per il piccolo paziente. LA TECNICA Le dimensioni del torace del bambino consentono l’impiego di sonde lineari ad alta frequenza ( 7.5-10-12 mhz), ponendo il bambino in posizione supina, prona o in decubito laterale. Una prima fase, considerata di esplorazione generale, prevede scansioni longitudinali nei campi polmonari anteriori, laterali e posteriori, lungo le linee anatomiche (parasternale, medioclaveare, ascellare, paravertebrale), procedendo dall’alto in basso; la seconda fase prevede, invece, scansioni locali (longitudinali, trasversali ed oblique) laddove si sia riscontrata una anomalia. Zone di difficile visualizzazione sono le zone posteriori coperte dalla scapole, le regioni periclaveari, le regioni apicali, le regioni precordiali. E’ necessario, però, eseguire immagini in cui i piani di scansione abbiano un preciso orientamento; nelle scansioni longitudinali la parte craniale della immagine viene riprodotta a sinistra dello schermo (figura 1), mentre nelle scansioni trasversali a sinistra dello schermo viene rappresentata la parte destra del paziente (figura 2) ASPETTI ECOGRAFICI POLMONE NORMALE Il polmone normale riflette quasi completamente il fascio ultrasonoro a causa del salto di impedenza acustica tra i tessuti molli della parete toracica e l’aria contenuta nei polmoni. La ET è una analisi di artefatti creati dalla interazione fascio US-aria. Il fascio ultrasonoro incontra la linea pleurica, struttura altamente impedente e riflettente, per cui il fascio continua a rimbalzare tra superficie impedente e sonda, generando echi multipli in profondità della linea pleurica (linee A o riverberi orizzontali), in un parenchima polmonare amorfo, relativamente ecogeno, a vetro smerigliato (figura 3). Nel complesso i 2 foglietti pleurici appaiono come un’unica immagine lineare iper-riflettente, la linea pleurica, in corrispondenza della quale, ad ogni atto respiratorio, è visibile lo scorrimento della pleura viscerale sulla parietale (Lung sliding). Le linee B o artefatti verticali originano da foci fortemente risonanti o riverberanti in sede pleurica o sub-pleurica (edema dei setti interlobulari), sono espressione di interstiziopatia ed il loro numero e la loro compattezza ben si correlano alla gravità del quadro clinico (figura 4). Le coste, importante punto di repere, assorbono completamente il fascio US, creando un cono d’ombra posteriore ed oscurando la linea pleurica solo nella loro parte ossea (figura 5). POLMONE DEL NEONATO Il polmone sano del neonato non differisce da quello dell’adulto, con la presenza di Linee A, sliding o gliding sign, linea pleurica iperecogena. L’esame viene eseguito con il neonato in posizione supina, eseguendo scansioni longitudinali e trasversali, visualizzando le aree posteriori in decubito laterale o prono. La sonda utilizzata è la lineare con frequenza 10-12Mhz. Alla nascita è possibile evidenziare artefatti a coda di cometa o linee B, tipici di una interstiziopatia, anche in neonati perfettamente sani (residui di liquido polmonare di cui il polmone fetale è ricco). A 2 ore dalla nascita si possono trovare linee B numerose, non compatte, che nello stesso nato a 18 ore dalla nascita, sono nettamente diminuite. ASPETTI ECOGRAFICI PATOLOGICI I processi intrapolmonari possono essere rilevati ecograficamente solo quando raggiungono la pleura viscerale o attraverso la eventuale finestra acustica rappresentata da un’area di parenchima consolidato o da un versamento pleurico. L’addensamento (epatizzazione o riempimento alveolare di fibrina, trasudato, essudato, sangue che sostituisce l’aria), se raggiunge la linea pleurica, come di solito avviene in età pediatrica, appare in ecografia 120 come un’area strutturata del polmone ( lobare o segmentaria o subsegmentaria), ipoecogena rispetto al parenchima sano, di forma varia con ecostruttura disomogena, a bassa impedenza acustica, con caratteristico rinforzo o iperecogenicità posteriore alla lesione (figura 6). Nella polmoniti interstiziali la ET mostra numerose linee B ed una linea pleurica ispessita e di aspetto irregolare, con eventuali piccole aree ipoecogene subpleuriche di consolidazione parenchimale (figura 7). La linea pleurica che sovrasta l’area addensata appare interrotta o meno ecogena ed all’interno della zona addensata è possibile dimostrare anche bronchi ( spots iperecogeni o broncogrammi aerei), vasi (ipoecogeni, evidenziabili con il doppler), broncogrammi fluidi (ipoecogeni, tipici delle polmoniti ostruttive). E’ possibile, inoltre, in base ad alcune caratteristiche ecografiche, fare una diagnosi differenziale tra polmonite ed atelectasia. La ET mostra, inoltre, una elevata sensibilità nella diagnosi di versamenti pleurici, riuscendo ad individuare anche versamenti di 3-5 ml, al contrario della radiografia del torace dove, per avere una obliterazione del seno costo-frenico, sono necessari almeno 200 cc di liquido. Importante è anche il contributo data dalla ET nella diagnostica di molte patologie neonatali ( tachipnea transitoria, malattia delle membrane ialine, pneumotorace, ernia diaframmatica e c.a.m.), ognuna con un suo quadro ecografico caratteristico, sempre confortato comunque dalla clinica. CONCLUSIONI La attendibilità della ET in età pediatrica è di circa il 90% per la patologia parenchimale e del 100% per la patologia pleurica. Questi dati ci confermano come la ET rappresenti il futuro nella diagnostica delle patologie polmonari dell’età infantile, in quanto metodica a basso costo, affidabile, ripetibile, non ionizzante (importanza della radioprotezione) ed utile, inoltre, nella valutazione longitudinale di molte patologie. Le immagini ecografiche vanno comunque interpretate nel contesto clinico, non tralasciando, in alcune situazioni, la esecuzione della radiografia del torace, considerata, ancora oggi, il gold.standard. Figura 1 Scansione longitudinale in cui la parte sinistra dello schermo rappresenta la parte craniale del paziente, mentre la parte destra dello schermo rappresenta la parte caudale 121 Figura 2 Scansione trasversale in cui la parte sinistra dello schermo rappresenta la parte destra del paziente, mentre la parte destra dello schermo rappresenta la parte sinistra del paziente Figura 3 Scansione trasversale in cui si evidenzia la linea pleurica con al di sotto riverberi orizzontali o linee A 122 Figura 4 Scansione longitudinale a livello della parte cartilaginea delle coste (non oscurano la linea pleurica), con cono d’ombra posteriore Figura 5 Linea B o artefatto verticale, espressione di interstiziopatia, a partenza da foci riverberanti o risonanti in sede pleurica o subplaurica 123 Figura 6 Area di consolidamento parenchimale con linea pleurica ipoecogena o assente, con al di sotto di essa area ipoecogena a margini irregolari con all’interno spots iperecogeni ( aria intrappolata) ed iperecogenicità retrolesionale Figura 7 Polmonite interstiziale con linea pleurica ispessita, linee B numerose e compatte a partenza da foci riverberanti pleurici o subpleurici, piccolo addensamento subplaeurico espressione di microatelectasia 124 TRIAGE PEDIATRICO Emanuela Piccotti Pronto Soccorso DEA Pediatrico – Istituto G. Gaslini – Genova Triage deriva dal termine francese “ trier” scegliere, selezionare, smistare…: questo termine era riferito alla scelta qualitativa dei prodotti in ambito commerciale. Il suo primo utilizzo in campo sanitario risale alle guerre napoleoniche dove i feriti, sul campo di battaglia, venivano suddivisi in base al rapporto gravità delle ferite e/o percentuale di sopravvivenza secondo le conoscenze e le risorse disponibili a quel tempo. Dalla medicina militare il concetto di triage è stato traslato nell’ambito dell’attività di gestione delle urgenze ed emergenze civili e viene utilizzato per classificare le persone infortunate e/o affette da malattie e predisporne, nel modo più veloce possibile, rispetto alla gravità delle condizioni cliniche , la terapia, il trasporto e il ricovero in ambiente adeguato. Il triage ospedaliero è un processo introdotto negli USA negli anni 50 per dare adeguata risposta assistenziale al crescente aumento del numero degli utenti afferenti ai dipartimenti di emergenza e al crescente numero di casi non urgenti e consiste essenzialmente nella selezione dei pazienti che affluiscono alla struttura di Pronto Soccorso, attribuendo una priorità di accesso alla visita medica a coloro che si trovano in condizioni di maggior urgenza. Il Triage di Pronto Soccorso, viene per la prima volta citato nella normativa italiana, nel D.P.R 226 del 27 marzo 1992, con la identificazione degli obiettivi del processo. Gli obiettivi dell’attività di triage si possono riassumere quindi nel “mantenere l’effetto dell’efficienza del Pronto soccorso” e nel “ridurre al minimo possibile il ritardo dell’intervento sul paziente che giunga in emergenza” Recentemente ( Raccomandazione Ministeriale n. 15 , Febbraio 2013 ) è stato sottolineato un altro aspetto interessante che rientra negli obiettivi “garantire che i pazienti ricevano il livello e la qualità di cura più appropriate alle loro necessità, in relazione alla migliore utilizzazione possibile delle risorse disponibili (o destinabili)”. Si distinguono essenzialmente tre modalità di triage: triage telefonico, svolto dalla Centrale operativa 118 in base ad un'intervista strutturata (DISPATCH) ; triage sul posto, svolto sul luogo dell’evento dall’èquipe dei mezzi di soccorso; triage di Pronto Soccorso, svolto all’interno di una struttura sanitaria da personale infermieristico. Dal punto di vista logistico e organizzativo il triage si differenzia in: 1. Extraospedaliero o preospedaliero, articolato in una fase di triage effettuata dalla Centrale operativa 118 ed in una fase di triage sul posto. 2. Ospedaliero, cioè quello effettuato dai Pronto soccorso, che si articola in una fase di triage che si svolge all’arrivo del paziente e prevede la valutazione sulla porta, la raccolta dei dati, la decisione sull’attribuzione del codice di priorità e in una fase di rivalutazione del paziente che avviene durante il periodo di attesa della visita medica . Il Pronto Soccorso è per definizione un’area critica, in quanto struttura deputata ad accogliere l’urgenza e l’emergenza sanitaria 24 ore su 24. Per area critica viene inteso, l’ambito operativo deputato a garantire livelli ottimali di assistenza rispondendo, in modo soddisfacente, ai bisogni espressi e non espressi del malato in condizioni critiche. Nel settore pediatrico esiste, in questo ambito, grande disomogeneità organizzativa in quanto sono rappresentate a livello nazionale almeno 4 tipologie di modello - Dipartimento Emergenza e Accettazione pediatrica con PS pediatrico ( presenti solo in alcune regioni italiane): Pediatra presente h24 - accoglienza e gestione di tutti i codici colore Pronto soccorso pediatrico istituzionale inserito in Dipartimento di Emergenza Generale: Pediatra presente h24 – accoglienza di tutti i codici colore con percorsi condivisi con PS generale Pronto Soccorso pediatrico funzionale in collaborazione con Pronto Soccorso Generale: pediatra presente almeno h12 – percorsi condivisi con P. S. generale Pronto Soccorso Generale con Consulenza Pediatrica: percorsi condivisi con PS generale Se poniamo la nostra attenzione ai dati relativi alla tipologia ed al numero degli utenti afferenti alle strutture di Pronto soccorso, comprendiamo come, analogamente a quanto succede per il paziente adulto, il bambino viene condotto in PS in una logica di netto sovrautilizzo della struttura: In Italia, ogni anno, circa 5.000.000 di bambini accedono al PS . La distribuzione di questi accessi rientra per l’ 80-90% in una fascia di priorità bassa; la fascia di pazienti pediatrici in emergenza /urgenza ( codici rossi- gialli ) esprime in prevalenza patologia respiratoria e neurologica e, in ambito chirurgico- traumatologico politrauma e trauma cranico. Tale distribuzione dei codici pone l’equipe di PS di fronte a frequenti problemi di gestione del paziente e rende necessari continui rapporti con la pediatra di famiglia per garantire la continuità assistenziale. Il Triage pediatrico, alla porta del PS, diventa uno strumento fondamentale per una specifica valutazione delle esigenze di salute del bambino e per l’avvio corretto e sicuro del percorso assistenziale. L’area di pronto soccorso deve prevedere uno spazio specifico dedicato al triage infermieristico. 125 La zona di triage deve essere chiaramente identificabile come primo punto di riferimento in Pronto Soccorso e quindi situata in posizione centrale tra l’ingresso pedonale, dei mezzi di soccorso e le sale mediche e chirurgiche di primo intervento. Una idonea cartellonistica deve essere presente allo scopo di informare dettagliatamente i pazienti e gli accompagnatori sul modello organizzativo adottato e sulle finalità dello stesso. In zona di triage è indispensabile disporre di strumenti per il rilievo dei parametri vitali, di una fonte per l’erogazione di ossigeno, di materiale per piccola medicazione ed eventuale immobilizzazione e strisce reattive per sangue e urine, di sistemi di comunicazione telefonica con linee preferenziali esterne ed interne. L’infermiere di triage , protagonista del processo , costituisce una figura nuova di operatore sanitario, una sorta di infermiere di “ front office” specificamente formato per prendere in carico il paziente pediatrico e la sua famiglia all’arrivo in Pronto Soccorso. L’infermiere stesso,una volta escluso uno stato di necessità assistenziale assoluta ( codice rosso “alla porta”), identifica il sintomo principale, conduce una breve intervista con i genitori/ accompagnatori del paziente e assegna il codice di priorità alla visita medica sulla base di protocolli prestabiliti e concordati con i dirigenti del servizio e aziendali. Si intende, attraverso questa modalità organizzativa, l’implicito compito di accoglienza e presa in carico del bambino da parte della struttura sanitaria, funzionale sia al percorso assistenziale che ai bisogni di sostegno e rassicurazione che il gruppo parentale esprime. Il triagista si occupa inoltre di sorvegliare l’attesa, di rivalutare i pazienti, di fornire informazioni e chiarimenti ai pazienti e ai famigliari. In sintesi l’infermiere non elabora una diagnosi, ma valuta i pazienti , le loro condizioni, e il quadro di una possibile evoluzione a breve o medio termine operando la selezione con la finalità di stabilire delle priorità alla visita medica. Il processo ( triage globale come da normativa nazionale: LINEE GUIDA SUL “TRIAGE” INTRAOSPEDALIERO PER GLI UTENTI CHE ACCEDONO DIRETTAMENTE IN PRONTO SOCCORSO”, 2001) si fonda sulle informazioni rilevabili dall’esame visivo (valutazione alla porta), dalla raccolta dati (valutazione soggettiva ed oggettiva), per raggiungere la decisione di Triage, (codice colore), e procedere poi alla prevista rivalutazione L’intera attività valutativa di Triage è guidata da protocolli, specificamente formulati e condivisi con il direttore del servizio, che l’infermiere è tenuto ad utilizzare. E’ necessario inoltre che l’infermiere triagista sia in possesso di alcuni requisiti considerati irrinunciabili: Diploma di infermiere professionale / pediatrico Esperienza minima di sei mesi in Pronto Soccorso Addestramento in BLS/PBLS Certificazione teorico- pratica in triage pediatrico Ad oggi i codici di priorità previsti dalla normativa italiana sono : codice ROSSO: pazienti con compromissione di almeno una funzione vitale (respiratoria – cardiocircolatoria – neurologica) e/o alterazione di uno o più parametri vitali.; il personale, nel più breve tempo possibile, accoglie il paziente nell’ambulatorio a più alta tecnologia codice GIALLO viene assegnato a pazienti con sintomi e/o lesioni gravi per i quali può essere presente una alterazione ma non ancora una compromissione di una delle funzioni vitali. Il tempo di attesa è ridotto al minimo. Il personale di accoglienza si appresta ad una rivalutazione ogni 5 min dei parametri e della situazione clinica. codice VERDE viene assegnato a pazienti con funzioni e parametri vitali normali, ma con sintomatologia ad insorgenza acuta, che necessita di inquadramento. La rivalutazione è prevista ogni 30/40 min. codice BIANCO viene assegnato a pazienti con funzioni e parametri vitali normali, con sintomatologia non rilevante e ad insorgenza non acuta, che potrebbe essere valutata in percorsi alternativi. Il personale garantisce la risposta sanitaria dopo aver risolto i codici a priorità più alta. Per questo codice- colore non è prevista rivalutazione se non “ a richiesta” degli accompagnatori. La documentazione di triage viene di norma gestita attraverso il sistema informatico di PS . In assenza di informatizzazione è necessario poter disporre di apposite schede cartacee sulle quali annotare i dati soggettivi e oggettivi rilevati al paziente da utilizzare come strumento di passaggio di informazioni all’equipe di assistenza ma anche come memoria storica. 126 La scheda di triage costituisce a tutti gli effetti un documento integrante della cartella del paziente e come tale deve essere conservato secondo le norme di legge vigenti . Formazione La formazione in Triage è ritenuta fondamentale trasversalmente al personale sanitario coinvolto nella gestione dell’Emergenza/Urgenza . La necessità di una specifica formazione in Triage pediatrico nasce dalle peculiarità del bambino nelle sue caratteristiche dell’età evolutiva, che presentano parametri fisiopatologici diversi dall’adulto. La Formazione abilitante deve avvenire attraverso la partecipazione ad un corso certificato teorico-pratico di preparazione e ad un periodo di affiancamento a tutor esperto. Obiettivi Educativi Specifici : acquisire una metodologia rigorosa di valutazione basata sull’utilizzo dell’intervista, dell’osservazione e della rilevazione di dati obiettivi ( parametri vitali); acquisire capacità relazionali finalizzate alle gestione di situazioni critiche e di conflitto considerando le dinamiche psicologiche che si sviluppano nel “contesto” triage tra operatori, con l’utente e verso famigliari e/o accompagnatori; approfondire gli aspetti relativi all’autonomia ed alla responsabilità professionale con particolare attenzione alle problematiche legali derivate dall’attività di triage; acquisire la metodologia per la progettazione e l’aggiornamento dei protocolli di valutazione in triage, in coerenza con le linee di indirizzo internazionali, nazionali e regionali; acquisire le metodologie per il miglioramento della qualità applicato ad un sistema di triage; possibili indicatori di efficacia, efficienza e performance. I contenuti di carattere teorico saranno completati da esercitazioni pratiche ( simulazione ) e, prima della fase di autonomia professionale, deve essere prevista una fase di affiancamento con un tutor esperto (on the job). Le abilità saranno mantenute attraverso un re- training da effettuarsi ogni 3 anni ( Linee Guida Didattiche Triage Pediatrico – SIMEUP) Valutazione e verifica di qualità Tutti i sistemi di triage devono prevedere e realizzare attività di verifica di qualità con monitoraggio continuo di una serie di parametri quantizzabili in grado di valutare l’andamento del processo. Indicatori di qualità più significativi : concordanza tra codice di triage e valutazione medica dell’urgenza , sottostima e sovrastima, tempo di attesa in relazione al codice colore, monitoraggio della qualità percepita (customer satisfaction) . Al momento non è stato individuato un pannello di indicatori omogeneo per l’intero territorio nazionale Nuove proposte ( a cura del Coordinamento Nazionale Triage di Pronto Soccorso- Linee d’ indirizzo per l’ attività di Triage di Pronto Soccorso - Luglio 2012) Mentre nel recente passato l’attenzione di amministratori e professionisti era prevalentemente rivolta al problema della attivazione del triage in PS, oggi è necessario riflettere se e come i sistemi di triage raggiungono gli obiettivi che si sono posti; è anche possibile e opportuno discutere sulle procedure in atto e sulle caratteristiche del sistema di accettazione e selezione dei pazienti al fine di garantire la coerenza con le linee guida nazionali e la letteratura, lavorando per la creazione di un modello nazionale condiviso che tenga conto anche delle significative modifiche che riguardano l’intero sistema sanitario. I tempi sono maturi per realizzare un confronto a livello nazionale volto a definire un modello concettuale uniforme, capace di trovare applicazione pratica presso tutte le realtà operative, attento alle esigenze locali ma garante di principi e criteri condivisi Avvio dei flussi di trattamento Il moderno modello di assistenza sanitaria ospedaliera , basato sui livelli di intensità di cure, si sta affermando un po’ ovunque e impone una sempre maggior efficacia ed efficienza nei percorsi . Viene richiesta una ottimizzazione dei tempi e un impegno di risorse congruente e appropriato per i bisogni individuati. Il triage, in una logica di flessibilità e integrazione professionale sempre più ampia, potrebbe essere delegato, una volta assegnato il codice di priorità, ad avviare il percorso appropriato, tra quelli previsti all’organizzazione, agevolando e velocizzando il trattamento. Ovviamente l’attivazione dei flussi di trattamento necessita di un processo formativo specifico e la redazione di appositi protocolli Modifica sistema di codifica Alla luce dell’ esperienza maturata negli anni, nell’intento di uniformarsi alle principali evidenze scientifiche internazionali, viene proposta l’adozione di un sistema di codifica a 5 livelli di priorità (da Monitor , Anno XI numero 29 , 2012 - Trimestrale dell’Agenzia nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) 127 Verifica di qualità Allo scopo di mantenere adeguate performance professionali e del sistema organizzativo si propongono modalità di monitoraggio del sistema triage su due livelli: • livello aziendale: incontri fra operatori per la realizzazione di audit professionali attraverso discussione di casi, eventi critici, sentinella ed analisi di dati statistici; • livello regionale con la individuazione di criteri di valutazione definiti e condivisi appropriatezza dell’attribuzione del codice di priorità (es: n. totale di codici emergenza, urgenza, etc assegnati coerenti con il protocollo di attribuzione dei codici colori in rapporto al n. totale di codici emergenza, urgenza etc assegnati) n. totale di schede triage con concordanza tra problema principale e categoria di diagnosi di uscita per il dato periodo in rapporto al n.totale di schede triage per il dato periodo tempi di attesa per codice di priorità ( indicatore di processo) esito in ricovero ( indicatore di esito) Sulle proposte indicate e ulteriori integrazioni e modifiche sta attivamente discutendo il Gruppo di Lavoro Linee Guida Nazionali OBI - Aggiornamento Linee Guida Triage costituito da : MINISTERO della SALUTE AGENAS (Agenzia Nazionale per I Servizi Sanitari) AcEMNC (Academy of Emergency Medicine and Care) ANIARTI (Associazione Nazionale Infermieri di Area Critica) ANMDO (Associazione nazionale dei Medici delle Direzioni Ospedaliere FIMEUC (Federazione Italiana di Medicina della Emergenza Urgenza e delle Catastrofi) GFT (Gruppo Formazione Triage) SIMEU (Società Italiana di Medicina Emergenza Urgenza) SIMEUP (Società Italiana di Medicina Emergenza Urgenza Pediatrica) SPES (Sindacato Professionisti Emergenza Sanitaria) BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE -Linee guida sul Sistema di emergenza sanitaria . Atto di Intesa Stato Regioni, G.U. 17/5/1996 -G.F.T. (Gruppo Formazione Triage). Triage Infermieristico. Milano: MacGrow-Hill, 2000: 3-119 -Atto di Intesa Ministero della salute conferenza Stato Regioni, G.U. n°285, 7/12/2001 -Cardoni G. e coll: Il Triage pediatrico: Pediatria d’Urgenza , 8,13-22, 2001 -Zangardi T, Da Dalt L.: Il Triage Pediatrico , Piccin , 2008 -Commissione Triage Pediatrico della SIMEUP: Manuale Formativo di Triage Pediatrico, Lingomed 2009 -Linee d’indirizzo per il triage in pronto soccorso. Proposta del Coordinamento nazionale Triage di Pronto Soccorso . Monitor XI , 29 , 2012 128 COME LEGGERE UNA RADIOGRAFIA Beatrice Tagliaferri Ospedale Fatebenefratelli, Unità Operativa di Radiologia – Responsabile di Struttura Semplice di TAC La radiografia del torace è l'indagine radiologica di più frequente esecuzione la pratica clinica. Essa si base sul utilizzo dei raggi X che sono radiazioni ionizzanti e permette di visualizzare le strutture del torace, in particolare -il polmone -il cuore e i vasi sanguigni del mediastino. -alcune strutture scheletriche come le coste e le vertebre di un tratto della colonna vertebrale. Il ricorso all’ indagini radiologiche rappresenta un elemento consolidato nella prassi medica, giustificato da sicuri vantaggi clinici per il paziente, tali da controbilanciare di gran lunga il modesto rischio dovuto alle radiazioni. Si deve comunque ricordare che anche le più piccole dosi di radiazioni non sono interamente prive di rischio. Una piccola parte delle mutazioni genetiche e dei tumori che si riscontra nella popolazione può essere attribuita alle radiazioni di origine naturale. Le esposizioni mediche a scopo diagnostico che costituiscono la principale sorgente di esposizione della popolazione alle radiazioni artificiali, raggiungono la quota di circa un sesto alla dose di radiazioni naturali cui è esposta la popolazione. Particolare attenzione viene posta per la radioprotezione del piccolo paziente coprendo addome e pelvi con schermi piombati. Inoltre con l'uso di fasci radiogeni collimati e filtrati la dose assorbita per una radiografia del torace è pari a quella assorbita dal fondo naturale in pochi giorni. Una indagine si può comunque definire utile quando il suo risultato, positivo o negativo che sia, cambierà la gestione del paziente o confermerà la diagnosi del medico. La maggiore sensibilità alle radiazioni di organi e ossa in fase di sviluppo, le aspettative di vita maggiori dei bambini e la vasta gamma di habitus corporei che questa fascia demografica di pazienti si trova a vivere implica non che non è appropriato utilizzare le stesse tecniche di acquisizione e gli stessi i parametri di elaborazioni delle immagini impiegati per gli adulti. Come leggere una radiografia del torace? Prima di tutto è necessario comprendere come si forma un’immagine radiografica. Per fornire elevata qualità delle immagini con utilizzo più efficiente delle esposizione a radiazioni, è importante affrontare ogni fase del ciclo di formazione delle immagini come parte di un sistema completo. Il processo di formazione delle immagini è suddividibile per la sua natura stessa in tre fasi distinte: acquisizione delle immagini, elaborazione per la visualizzazione e di infine revisione e valutazione. L'aspetto di un'immagine radiografica utilizzata per fini diagnostici dipende dalle caratteristiche del paziente, ovvero dalle interazioni tra raggi X e i diversi tessuti del paziente, e dalle caratteristiche del sistema di rilevazione. Questi due fattori - contrasto del soggetto dovuto al paziente e contrasto del rilevatore o pellicola - determinano il contrasto radiografico. Variando parametri quali il tempo di esposizione, la distanza, kV e mA si modifica l'immagine. La radiografia tradizionale produce un’immagine bidimensionale ottenuta dalla proiezione di un segmento corporeo tridimensionale. La continua evoluzione tecnologica ha portato sempre al maggior utilizzo della radiografia digitale. La radiologia digitale si basa sull'utilizzo di strumentazioni all'avanguardia per l'acquisizione delle immagini. Le tecnologie digitali permettono infatti di ottenere immagini utili alla diagnosi evitando errori di esposizione, non rari in ambito radiologico ed ottenendo esami utilizzando la più bassa dose radiogena possibile. L’applicazione della radiografia digitale CR (Computed Radiography) si differenzia da quella convenzionale per tipo di supporto, sviluppo e analisi; rimane invariata la metodologia d’esposizione. La radiografia convenzionale utilizza un supporto detto film o pellicola, il cui strato sensibile, composto da cristalli d’argento, cattura la radiazione sotto forma d’immagine latente. Il meccanismo d’esposizione dei plate è il medesimo con la sola differenza che i cristalli d’argento sono sostituiti da cristalli di fosforo. Al termine dell’esposizione il plate viene scannerizzato, operazione che non richiede alcun tipo di prodotto consumabile né camera oscura. Durante la scansione i cristalli del plate vengono colpiti da un laser ed emettono una luce blu che viene catturata da un fotomoltiplicatore e trasformata in immagine digitale che sarà analizzata al monitor e salvata nel computer. Con radiografia digitale si indica quindi la modalità digitale di acquisizione dall'immagine RX che, a differenza della meno recente tecnica analogica, permette di sfruttare software e hardware abili all'archiviazione di immagini e alla loro modificazione post-acquisizione. • • L’aspetto delle immagini digitali può essere variato dall’operatore dopo che le stesse sono state ottenute. Il processo di modifica e visualizzazione di dati digitali permette di esaltare alcune informazioni 129 • contenute nell’immagine e sopprimerne altre ( es. rumore di fondo) Vi è la possibilità di migliorare il contrasto L’apparecchio usato per eseguire una radiografia del torace è formato dal tubo a raggi X e dalla cassetta radiografica. I raggi X prodotti dal tubo radiogeno attraversano il paziente venendo in parte attenuati ed in parte completamente assorbiti in base alla costituzione della struttura corporea attraversata. In particolare, l’osso assorbe la maggior parte delle radiazioni e nelle immagini radiografiche appare bianco, mentre l’aria lascia passare i raggi X ed appare nera. In una radiografia del torace, quindi, le strutture scheletriche sono bianche mentre il polmone che contiene aria appare scuro; i tessuti molli che hanno un comportamento intermedio tra l’osso e l’aria assumono varie gradazioni di grigio. L'immagine radiologica è complessa, formata dalla sovrapposizione e dalla giustapposizione di molteplici immagini elementari, ciascuna di esse corrispondente alla proiezione di una struttura anatomica. Le composizioni fisico-chimiche di queste ultime sono varie, ma. dal punto di vista radiologico, sono quattro gli elementi principali che permettono di individuarle. 1)L’aria:L'aria contenuta nell'albero aereo, trachea, bronchi, e negli alveoli, ha una densità bassa e rappresenta circa il 92% del volume totale del parenchima polmonare. 2)Il grasso:Il grasso ha una densità media. Nel torace il suo volume non è considerevole, ma gioca un ruolo importante dal punto di vista radiologico in quanto "riveste" avvolgendole diverse strutture. La sua densità, più elevata di quella dell'aria, lo fa apparire radiologicamente più opaco quando questi ultimi sono a contatto.3)L’acqua:L'acqua costituisce nel corpo umano la maggior parte di numerosi elementi composti, e prima di tutto, del sangue. L'acqua costituisce allo stesso tempo una parte importante delle masse muscolari, poichè questi tessuti contengono il 79% d'acqua . Il sangue e i muscoli hanno quindi una densità simile . Il loro aspetto radiologico ha una densità ottica praticamente identica. Non solamente i vasi e il cuore, ma anche le lesioni del parenchima polmonare si traducono sul radiogramma in opacità della stessa densità. Sono infatti anch'esse delle strutture "idriche", sia che si tratti di proliferazioni cellulari, di un infiltrato edematoso dell'interstizio o di un riempimento degli alveoli. 4)Il calcio:Il calcio si trova essenzialmente nei tessuti ossei. Le ossa costituiscono gli elementi più "opachi" in un radiogramma del torace normale. Nel paziente adulto la radiografia del torace viene eseguita, se possibile, in posizione eretta. Generalmente vengono effettuate 2 proiezioni: una frontale e una laterale. Per eseguire la proiezione frontale, detta proiezione PA (postero-anteriore), il paziente viene appoggiato con la parete toracica anteriore alla cassetta radiografica, le mani vengono posizionate sui fianchi e le braccia spostate in avanti per evitare che l’immagine delle scapole si sovrapponga a quella del parenchima polmonare. La proiezione laterale (LL) viene eseguita facendo appoggiare al paziente il fianco alla cassetta e sollevando le braccia. Subito prima di acquisire l’immagine al paziente viene chiesto di compiere una inspirazione profonda e poi di mantenere l’apnea per alcuni secondi. In determinate circostanze può essere necessario acquisire ulteriori radiogrammi utilizzando proiezioni particolari. Qualora il paziente non sia in grado di mantenere la posizione eretta la radiografia del torace viene eseguita a paziente supino; in questo caso la cassetta radiografica è posizionata al di sotto del corpo del paziente. Utilizzando attrezzature particolari è possibile eseguire anche radiografie del torace al letto del paziente qualora il malato non possa essere trasportato in Radiologia. E’ evidente che queste procedure non sempre sono applicabili ai bambini, specie se piccoli. A volta è necessario adottare ulteriori accorgimenti e proiezioni per ovviare alla mancanza di collaborazione del piccolo paziente: La proiezione in decubito laterale viene eseguita con paziente sdraiato sul fianco. La proiezione obliqua è una proiezione ruotata a metà tra quella frontale e quella laterale. È utile per localizzate eventuali lesioni ed la sovrapposizione di altre strutture. Nella PA abbiamo diverse zone "cieche" (retromediastiniche, retrodiaframmatiche). Il ricorso alla visione in LL andrebbe limitata nei pazienti pediatrici ma è in ogni caso necessaria in tutti i casi in cui ci sia una qualsiasi immagine nella PA da dover posizionare spazialmente sull'asse della profondità. Merita in oltre un discorso a parte la necessità a volte inderogabile di eseguire un radiogramma in fase espiratoria ( ostruzione bronco principale da C.E. , pneumotorace) Comunque fondamentale è la simmetria dell'incidenza: i due emitoraci devono essere simmetrici e senza rotazioni . Nella PA il modo più efficace per rilevarlo è verificare la simmetria tra le articolazioni sterno-claveari (ASC) e la linea mediana. Nella L-L i due emitoraci devono perfettamente sovrapposti. Per verificare la simmetria si valutano le arcate costali posteriori che devono essere sovrapposte. 130 SEMEIOTICA RADIOLOGICA: Nel torace esistono quindi favorevoli condizioni di contrasto naturale create dalla aria contenuta nei polmoni, in base alle quali la semplice indagine diretta consente di apprezzare la maggior parte delle numerose formazioni che partecipano alla sua costituzione anatomica. La semeiotica radiologica dei polmoni comprende lo studio: - della trasparenza diafania polmonare - della topografia lobare - dei bronchi della distribuzione bronchiale - del disegno polmonare - degli ili polmonari La diafania polmonare è in funzione dell'aria contenuta degli alveoli, la cui quantità dipende dalla ventilazione. La radiografia del torace è di solito la prima indagine diagnostica per sintomi quali tosse, febbre, dolore toracico, traumi toracici. Conoscere la localizzazione precisa di una lesione intratoracica è molto importante, per evitare di attribuire un’immagine radiografica anomala all’organo errato. Durante la valutazione del radiogramma devono quindi essere presi in considerazione gli elementi semeiotici fondamentali che costituiscono l’immagine dell’apparato respiratorio e della gabbia toracica. • • • • • • Trachea e grossi bronchi Mediastino Polmoni Pleura Diaframma Coste Nel corso della relazione verrà esaminata mediante esempi radiografici la semeiotica radiologica patologica. 131 SEZIONE 1 “FOCUS ON…” Sabato, 15 novembre 2014 Presidente: P. Di Pietro 8,00 – 10,00 Moderatori: A. Di Paolo, A. Soresina 132 NUTRIZIONE NEL PRIMO ANNO DI VITA Elvira Verduci Ricercatore Universitario Pediatria Dipartimento Scienze della Salute Ospedale San Paolo Università degli Studi di Milano Non vi è alcun dubbio che gli ultimi decenni siano stati caratterizzati da grandi conquiste sia nel versante scientifico che in quello tecnologico in generale. Anche il settore della nutrizione ha beneficiato di questo progresso. Si tratta, peraltro, di una “evoluzione” e non di una “rivoluzione”: rimangono saldi, infatti, i principi fondamentali sui quali si basa la Nutrizione. Il concetto di nutrizione è ovviamente interdisciplinare e integrativo di acquisizioni di origine diversa che conducono ad applicazioni pratiche di educazione alimentare con la finalità di perseguire, attraverso la risposta fisiologica, un ottimo stato di salute e di benessere nel singolo e nella popolazione. L’alimentazione in età pediatrica ha acquisito oggi notevole importanza per le valenze non solo preventive ma anche costitutive del futuro individuo. Una particolare attenzione va oggi ai modelli alimentari delle prime epoche (e ancora più indietro alla vita fetale stessa) in base all’ipotesi del “programming” nutrizionale. Esistono quindi periodi critici dello sviluppo del bambino (dalla gravidanza ai primi anni di vita) in cui l’intervento nutrizionale può condizionare la salute del futuro adulto ed in cui gli alimenti da proporre al bambino devono essere scelti con speciale cura ed attenzione perché possano rispondere in maniera ottimale alle esigenze nutrizionali e di sicurezza specifiche di un organismo in crescita ed intrinsecamente vulnerabile. Espressione di questa attenzione verso la popolazione sono i nuovi livelli di assunzione di riferimento di nutrienti. Per i primi anni di vita, incluso il primo, notevolmente cambiati sono i fabbisogni sulla base delle recenti evidenze scientifiche. Anche nella patologia le recenti novità in termini di nutrizione rivestono un ruolo fondamentale nella prevenzione e nel trattamento di alcune patologie. Qui ricordiamo il campo delle allergie. Non esistono evidenze certe che posticipare o eliminare l’introduzione dei cibi allergenici possa prevenire o ritardare lo sviluppo di allergia. Non c’è evidenza scientifica riguardo al fatto che ritardare o eliminare alimenti potenzialmente allergizzanti, riduca il rischio di allergie, sia nei lattanti considerati a rischio che in quelli che non lo sono. In conclusione è necessario garantire al lattante un’alimentazione sicura da un punto di vista microbiologico e tossicologico, variata e nutrizionalmente adeguata in termini di assunzione di energia, macro e micronutrienti per il corretto sviluppo del suo organismo. 133 FOCUS ON: DISLIPIDEMIE Ornella Guardamagna Università degli Studi di Torino Il tema delle dislipidemie è strettamente correlato a quello della prevenzione cardiovascolare il cui obbiettivo è quello di ridurre il rischio di eventi vascolari cardiaci (malattia coronarica/infarto miocardico) o cerebrali (ictus). Questi ultimi sono riconducibili all’aterosclerosi, lento processo degenerativo della parete vascolare, per lo più sintomatico nell’adulto benchè ad esordio precoce in età pediatrica. I fattori di rischio cardiovascolare associati ad aterotrombosi sono numerosi (dislipidemie, diabete, ipertensione, patologie renali, disendocrine, infiammatorie, stili di vita errati) ed in particolare lo sono le patologie che intervengono precocemente. Tra queste le dislipidemie primitive costituiscono una condizione di elevato rischio cardiovascolare (CV) il cui modello naturale è fornito dall’ipercolesterolemia familiare (IF). La colesterolemia è individuata quale unico fattore di rischio indipendente nel maschio in età pediatrica e numerose evidenze sono fornite da studi prospettici quali Bogalusa, Muscatine e Young Finns Study che hanno dimostrato come le dislipidemie di natura familiare siano presenti già nel bambino, persistano nel tempo e siano predittive di danno vascolare subclinico. Tali studi hanno dimostrato la presenza di placche fibrose nell’aorta e coronarie e la presenza di ispessimento dell’intima media della parete vascolare delle carotidi in soggetti ipercolesterolemici. 134 Le linee guida, introdotte sin dal 1992 hanno posto l’accento sulla necessità di individuare soggetti ipercolesterolemici, di impostare un trattamento dietetico e farmacologico e più recentemente di ridurre il rischio CV attraverso la valutazione di tutti i fattori di rischio eventualmente identificabili. L’obbiettivo è quello di praticare la prevenzione primordiale. La diagnosi del soggetto dislipidemico pediatrico richiede un inquadramento del soggetto finalizzato ad escludere forme secondarie di dislipidemia distinguendo i difetti geneticamente trasmessi o primitivi. A tale scopo è necessario effettuare un’attenta valutazione della storia familiare estesa a tre generazioni, avere conferma dei livelli sierici di colesterolo totale, HDL-colesterolo e trigliceridi (da cui è calcolabile LDLcolesterolo), considerando i percentili adatti per sesso ed età del soggetto. 135 Il fenotipo clinico fornisce elementi utili solo raramente ed in presenza di forme rare, molto precocemente sintomatiche (omozigote IF, tangier, sitosterolemia, difetto di lipoproteinlipasi o di lipasi acida). La sovrapposizione di livelli sierici di LDL colesterolo osservati nella popolazione IF eterozigote e non IF indica la potenziale difficoltà diagnostica. Quest’ultima è superabile mediante l’analisi molecolare del recettore per LDL colesterolo ( Guardamagna O, Restagno G, Rolfo E et al J. Pediatr. 2009;155(2):199–204) benchè possano esservi incongruenze tra diagnosi biochimica e genetico-molecolare (European Atherosclerosis Society Consensus Panel. Eur Heart J. 2013 Dec;34(45):3478-90). L’utilizzo di score diagnostici (Simon Broome) che includono i diversi parametri sopraindicati, può facilitare la diagnosi. Va peraltro sottolineato che a fronte della necessità di una precisa identificazione di soggetti IF solo in una minima percentuale (<1%) di pazienti è diagnosticato in Italia. Un aspetto attuale e dibattuto riguarda lo screening dell’ipercolesterolemia familiare ed in particolare la pratica dello screening selettivo ( da applicare a figli di genitori IF con la pratica del cascade screening o diagnosi molacolare applicata ai relati in primo grado) o di quello esteso alla popolazione generale. A tal proposito il comportamento differisce in diversi stati EU (Kusters DM, de Beaufort C, Widhalm K, Guardamagna O et al Arch. Dis. Child. 2012 Mar;97(3):272–6) ed USA. Il trattamento di IF prevede di introdurre uno stile di vita corretto che include alimentazione ed attività motoria: l’alimentazione, normocalorica, prevede un contenuto di grassi non superiore al 28-30% delle calorie totali giornaliere e di un contenuto di colesterolo pari a 100 mg/1000 kcal; può avvalersi inoltre dell’integrazione con fitosteroli (alla dose di 1-1.6 g/die). L’efficacia di tale approccio è data dalla riduzione di LDL colesterolo pari mediamente al 10% ed al 16% con l’esclusiva alimentazione corretta o con l’aggiunta di fitosteroli rispettivamente (Guardamagna O, Abello F, Baracco V et al. Acta Diabetol. 2011 Giu;48(2):127–33). In caso di livelli elevati di colesterolemia sierica LDL, poco responsivi alle precedenti misure, e soprattutto se la storia familiare è importante per eventi CV precoci, l’American Academy of Pediatrics fornisce indicazioni circa l’impiego di statine (pravastatina in prima scelta) per le quali è previsto l’utilizzo dopo l’età di 10 anni se LDL colesterolo supera livelli sierici di 190 mg/dl, o 160 mg/dl con due fattori di rischio aggiuntivi o 130 mg/dl se coesiste diabete. Le statine utilizzate vantano un’esperienza decennale, sono ben tollerate e non influiscono negativamente sulla crescita; inoltre potrebbero limitare il danno dovuto all’accumulo tissutale di LDL colesterolo. 136 Il punto critico inerente la terapia con statine è tuttavia rappresentato dall’effetto clinico a lungo termine per il quale a tuttora mancano dati certi e per i quali si ipotizza una riduzione di eventi CV nell’età adulta dei soggetti IF pediatrici. 137 SEZIONE 1 “MEET THE SPECIALIST” Sabato, 15 novembre 2014 Presidente: G. Temporin 11,00 – 13,00 Moderatori: M. Gnecchi, E. Saullo 138 CRANIOFACIOSTENOSI: CARATTERIZZAZIONE E TRATTAMENTO Antonino Cassisi, Antonino Puccio, Francesco Ruscitti, Alberto Barbaglio, Vincenzo Bondì Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII, Bergamo Per craniofaciostenosi si intende la fusione precoce di una o più suture a carico delle ossa che compongono il distretto cranio-facciale. Le craniofaciostenosi sono caratterizzate da un’anomala forma della testa che può comportare, se non trattata, deficit neurologici e dello sviluppo. L’incidenza è di circa 1 / 2.500 nati vivi. Sono comunemente classificate in semplici e complesse, sulla base del numero di suture coinvolte nel processo di prematura fusione; in primarie e secondarie, a seconda che riconoscano cause intrinseche o estrinseche ; in isolate o non sindromiche e sindromiche, queste ultime associate a difetti cognitivi e/o altri aspetti malformativi in particolare degli altri e del volto. L’85% dei casi di craniofaciostenosi è ritenuta isolata o non sindromica. Craniofaciostenosi semplice viene definita quella situazione patologica in cui solamente una sutura è chiusa precocemente, complessa quando sono coinvolte più suture; in genere quest’ultima situazione viene osservata in quadri sindromici. Le ossa che compongono la volta cranica sono separate da suture; fisiologicamente ne distinguiamo due coronali (tra le ossa frontali e quelle parietali), una metopica (tra le ossa frontali), una sagittale (tra le ossa parietali) e due lambdoidee (tra l’osso occipitale e le due ossa parietali). La forma e le dimensioni definitive della volta cranica dipendono principalmente dalle pressioni esercitate sul tavolato interno delle ossa craniche; il cervello in espansione esercita forze tensive sulle suture, stimolando la crescita ossea . La normale fusione di una sutura (che avviene tra i 2 ed i 7 anni per la sutura metopica, nell’età adulta per le altre) avviene secondariamente alla perdita delle forze di separazione che risulta in una diminuita crescita ossea; a contribuire alla fusione di una sutura sono chiamati fattori vascolari, ormonali, genici e meccanici. Dal punto di vista clinico si possono avere i seguenti quadri: Scafocefalia (chiusura della sutura sagittale), Trigonocefalia (chiusura della sutura metopica), Plagiocefalia anteriore e posteriore (chiusura di una sutura coronale o di una sutura lambdoidea), Brachicefalia (chiusura di entrambe le sutura coronali). La diagnosi, clinica e strumentale (l’indagine di scelta è la TAC 3D) deve distinguere in particolare le forme da posizione (molto frequenti le plagiocefalie), in cui è presente una deformazione cranica ma non associata a reale patologica fusione di una sutura cranica. Le craniostenosi sono una patologia complessa che necessita della cooperazione di più specialisti che formino un team. Il “timing” dell’intervento chirurgico varia in base al tipo di craniostenosi ed alla sua severità. E’ considerata un’urgenza la presenza di segni di ipertensione endocranica (papilledema, compressione del nervo ottico, clinica), in questi casi si interviene al momento della diagnosi, altrimenti, generalmente, si attendono i 9 – 11 mesi di età. L’obiettivo della chirurgia è di asportare la sutura fusa e rimodellare le ossa malformate in modo da rimuovere la costrizione del cervello sottostante e ottenere una normale e simmetrica conformazione cranio facciale. Per far ciò occorre conoscere a fondo quelle che sono le caratteristiche che contraddistinguono le singole situazioni, i principi base della tecnica chirurgica e, soprattutto, la storia naturale delle patologie. 139 LA DEFORMITÀ TORACICA Dott. Michele Torre Chirurgia Pediatrica Team Vie Aeree Istituto G. Gaslini, Genova Le deformità della parete toracica comprendono un ampio spettro di affezioni, che presentano come fattore eziologico una qualche alterazione nello sviluppo o nella morfologia della gabbia toracica. E’ difficile valutare con precisione l’incidenza globale di tali anomalie, anche perchè molti casi lievi sfuggono a qualsiasi valutazione e registrazione. Le malformazioni della parete toracica sono nel loro complesso frequenti, anche se la necessità di provvedimenti terapeutici o di ulteriori indagini va riservata a quei pochi casi con anomalie evidenti. Sorprendentemente non esiste una classificazione delle malformazioni della gabbia toracica riconosciuta nella letteratura internazionale e utilizzata in maniera univoca. La classificazione più chiara e pratica, da un punto di vista del trattamento chirurgico, ci sembra essere quella proposta recentemente da Acastello, che seguiremo anche noi in questa trattazione. La classificazione di Acastello suddivide le malformazioni della gabbia toracica in 5 tipi, a seconda della porzione interessata dalla malformazione: - Tipo I : cartilaginee Tipo II: costali Tipo III: condrocostali Tipo IV: sternali Tipo V: clavicoloscapolari Non fanno invece parte di questa trattazione, ma le citiamo in quanto possono essere confuse clinicamente con le precedenti, le malformazioni acquisite della gabbia toracica, per esempio quelle post-chirurgiche. Di tutte le malformazioni congenite della parete toracica, le più frequenti, circa il 90% del totale, sono rappresentate da quelle del gruppo 1, in particolare il pectus excavatum. Seguono il pectus carinatum e la sindrome di Poland. Tipo I: malformazioni cartilaginee Pectus excavatum Viene anche chiamato torace a imbuto, o del calzolaio, ed è la più frequente delle malformazioni congenite della parete toracica. E’ caratterizzato dalla depressione o spostamento in senso posteriore dello sterno, che si trova più vicino del normale alla colonna vertebrale. Può essere simmetrico o asimmetrico, in quest’ultimo caso lo sterno ruota sul suo asse sagittale, generalmente verso destra, producendo un’asimmetria toracica evidente. L’incidenza è variabile a seconda dei lavori, dal 2% allo 0,3%. E’ molto più frequente nel sesso maschile, e nel 30-40% dei casi si presenta in forma familiare. Nel 30% circa dei casi si manifesta in associazione ad altre anomalie o sindromi, tra cui citiamo la scoliosi (almeno nel 15% dei casi), il prolasso mitralico, la sindrome di Marfan. L’eziologia del pectus excavatum è sconosciuta, ma chiaramente l’anomalia si riscontra a livello delle cartilagini costali. L’associazione con alcune malattie muscoloscheletriche, come la sindrome di Marfan, e la frequente presentazione familiare, fa pensare effettivamente ad un’anomalia congenita, forse su base genetica, a carico del tessuto connettivo. La presentazione clinica può essere varia. Nel 90% dei casi si manifesta entro il primo anno di vita. La gravità della presentazione è molto variabile, nella quasi totalità dei casi la depressione sternale tende a progredire, in qualche caso rimane stabile, ma non è possibile che migliori spontaneamente. Si può classificare il pectus excavatum a seconda della gravità in lieve (se la depressione non supera i 2 cm.), moderata, se compresa tra 2 e 3 cm. e grave oltre i 3 cm., oppure a seconda della forma dell’escavazione, in localizzata (“punch shape”), diffusa (“saucer shape”), o a “gran canyon”. Una distinzione importante anche ai fini delle implicazioni terapeutiche è quella in forme simmetriche (circa il 40%) e asimmetriche (60% dei casi). Nelle ragazze con pectus asimmetrico si osserva sempre un’ipoplasia della ghiandola mammaria destra. La postura di questi pazienti è tipica, con le spalle inclinate in avanti in un atteggiamento cifotico. In molti pazienti le cartilagini inferiori sono prominenti. I sintomi del pectus excavatum possono essere del tutto assenti, almeno nei primi anni di vita. A volte si ha l’impressione, di fronte a un paziente con malformazione anche molto evidente, che si tratti di un problema fondamentalmente estetico e non funzionale. In realtà, ad un’attenta anamnesi, spesso si evidenziano sintomi del tutto caratteristici di questa anomalia, che si renderanno evidenti in particolare quando il paziente si avvicina alla pubertà e spesso diventano sempre più importanti e fastidiosi. I sintomi sono la diretta conseguenza della compressione esercitata dallo sterno (visibile ad esempio alla RM o TC del torace) sui polmoni e, soprattutto, sul cuore, in particolare sul ventricolo destro. Il sintomo più frequente, presente in circa il 70% dei pazienti, è la dispnea da sforzo, che non impedisce le normali attività quotidiane, ma si può rendere evidente quando al paziente è richiesta una prestazione maggiore, come durante una prova sportiva. In genere negli sport in cui il paziente è in posizione eretta, come per esempio la corsa, si osservano le maggiori limiazioni, mentre negli sport come il nuoto in cui il corpo si trova in posizione 140 orizzontale i pazienti incontrano minor difficoltà, probabilmente per un grado minore di compressione sul cuore. Altri sintomi respiratori più raramente osservati nei pazienti con pectus excavatum sono infezioni respiratorie ricorrenti, atelettasie, asma. In una minoranza di pazienti sono presenti sintomi cardiovascolari, in particolari aritmie, mentre è più frequente riscontrare un senso di costrizione sopra lo sterno, e qualche volta una vero e proprio dolore, in particolare in certe posizioni. Ma il motivo più frequente per cui i pazienti giungono all’osservazione dello specialista, è sicuramente, il disagio psicologico di tale malformazione. Questi pazienti, in genere a partire dagli 8-10 anni, si vergognano e spesso rifiutano di spogliarsi in pubblico, di andare al mare, e possono arrivare ad avere una bassa autostima, o veri e propri sindromi depressive. In molti casi durante la pubertà questo disagio si rende insopportabile, e rende il rapporto con i coetanei del sesso opposto impossibile o molto difficile. Il disagio di questi pazienti è spesso, stranamente, ignorato o comunque minimizzato dai genitori e dai pediatri curanti, che si interessano quasi esclusivamente dell’eventuale compromissione della funzione cardiovascolare e respiratoria. I ragazzi con pectus excavatum si trovano spesso soli ad affrontare il loro problema, anche perchè esso stesso tende a renderli introversi e timidi. Il senso di disagio e isolamento si fa ancora più profondo in quanto il pectus excavatum è una malformazione poco conosciuta dai medici, che in molti casi purtroppo non sanno dare le giuste informazioni ai pazienti e alle loro famiglie, quando non danno suggerimenti palesemente sbalgiati. Ad esempio, è molto comune che i pazienti giungano allo specialista dopo che il pediatra e a volte altri specialisti abbiano detto loro di non preoccuparsi perchè con il tempo la malformazione sarebbe guarita, quando invece, nella quasi totalità dei casi, peggiora progressivamente. Altra convinzione molto diffusa e falsa è che con opportuni esercizi fisioterapici o attività sportiva il pectus excavatum possa scomparire. Nella nostra esperienza ciò non è mai successo, e i pazienti e le famiglie spesso non fanno altro che perdere anni e speranze dietro trattamenti inutili e a volte anche costosi. La valutazione del paziente con pectus excavatum si basa innanzitutto sulla visita. Bisogna informarsi sulla familiarità della malformazione ed indagare eventuali altre anomalie associate. L’ispezione e palpazione del torace permetterà di classificare il pectus excavatum in base alle gravità, tipo e simmetria. La radiografia toracica potrà evidenziare la morfologia sternale e costale, alterazioni polmonari importanti, e l’eventuale dislocamento del cuore verso sinistra, ma in genere non fornisce informazioni molto utili e pertanto si può anche omettere. La funzione cardiorespiratoria si deve valutare, nei pazienti al di sopra dei 6 anni, con prove di funzionalità respiratoria e da sforzo che potranno evidenziare ad esempio deficit volumetrici polmonari di tipo restrittivo, e con l’ecocardiografia Doppler, che potrà eventualmente documentare una compressione cadiaca, oltre che un prolasso della valvola mitralica. L’esame radiologico più importante nei casi di pectus excavatum è sicuramente la TC o la RM del torace. A causa della sua invasività in termini di dose radiante la RM è preferibile. La RM cardiaca, in casi selezionati, fornisce informazioni molto importanti sulla dinamica cardiaca. Nei pazienti con pectus excavatum il cuore molto spesso si trova spinto e dislocato verso l’emitorace sinistro, e, meno frequentemente, sono presenti compressioni polmonari con atelettasie. La TC o la RM del torace permette, inoltre, di calcolare l’indice di Haller riconosciuto internazionalmente come indice di gravità del pectus excavatum. L’indice di Haller si calcola dividendo il diametro trasverso del torace per il diametro anteroposteriore (la distanza tra corpo vertebrale e sterno), calcolato nel punto di maggior profondità del pectus excavatum. Quando il valore ottenuto supera i 3,25 si ritiene che il pectus excavatum sia severo e pertanto ci sia un’indicazione alla correzione chirurgica. L’indicazione chirurgica si basa sulla gravità della malformazione e sui sintomi. I pazienti sintomatici con forme severe sono sempre da correggere chirurgicamente. I pazienti con indice di Haller patologico ma asintomatici possono essere operati, soprattutto se sono molto motivati per correggere il difetto estetico. La conformazione asimmetrica della malformazione può essere considerato un fattore aggravante. Nelle femmine l’ipoplasia mammaria può costituire un’indicazione chirurgica di per sè. In ogni caso è necessario valutare bene l’indicazione operatoria con il paziente e con la sua famiglia. Raramente è necessario l’intervento chirurgico nelle forme lievi, con indice di Haller minore di 3. Nella nostra esperienza l’intervento si rende necessario in circa la metà dei casi che si presentano con diagnosi di pectus excavatum. L’unica alternativa potenzialmente efficace per il trattamento del pectus excavatum lieve è l’utilizzo della Vacuum Bell, che, applicata alla parete anteriore del torace, attraverso la creazione di un vuoto, esercita sulla parete stessa una trazione verso l’esterno. Dopo mesi o anni di terapia la Vacuum Bell può in qualche modo correggere la malformazione in alcuni casi. In ogni caso ci sembra utile ribadire che l’attività sportiva non può far scomparire un pectus excavatum, nè migliorarlo in maniera significativa. La correzione chirurgica del pectus ha una lunga storia. Il primo intervento fu eseguito nel 1911 da Meyer. Successivamente si cercava di correggere la malformazione mediante trazione esterna. A partire dagli anni ’40 si introdusse il principio della resezione delle cartilagini costali e dell’osteotomia sternale. Il contributo maggiore nella chirurgia del pectus excavatum è stato senza dubbio ad opera di Ravitch, che nel 1949 ha proposto un intevento ai cui principi si sono ispirati quasi tutti gli interventi proposti nel corso dei successivi 40 anni. L’intervento di Ravitch consisteva nella resezione delle coste malformate con il loro pericondrio, la separazione del processo xifoideo dallo sterno e dei fasci intercostali dallo sterno, e l’osteotomia trasversale per anteriorizzare lo sterno, che veniva fissato senza supporti con fili metallici o di seta. Modifiche successive miravano a ridurre l’invasività del’intervento di Ravitch. In tutti questi interventi vengono rimosse le cartilagini anomale, che successivamente ricrescono, a partire dai nuclei di accrescimento, 141 andando a riarticolarsi con lo sterno in maniera rettilinea e non più, come in precedenza, incurvandolo verso l’interno. Negli ultimi anni un nuovo intervento ha rivoluzionato totalmente la chirurgia del pectus excavatum. Si tratta dell’approccio miniinvasivo, proposto da Nuss nel 1998. Il suo intervento si basa sulla malleabilità della gabbia toracica presente nei pazienti pediatrici ma in minor misura anche nei pazienti adulti, come dimostrato per esempio dagli anziani in cui una malattia polmonare come l’enfisema riesce a deformare in pochi mesi o anni la conformazione della gabbia toracica, che diventa tipicamente a forma di botte. Nuss ha pensato che non è necessario rimuovere le cartilagini anomale, ma deformarle attraverso l’inserimento di una barra curva di acciaio inserita dietro lo sterno che le spinga in fuori. La barra si inserisce attraverso due piccole incisioni laterali sul torace e sotto visione toracoscopica attraverso un’ottica inserita da una terza incisione di 5 mm. La barra curva viene ruotata di 180 ° e si ottiene immediatamente la correzione della malformazione. Se necessario, nelle forme severe e in cui tutto lo sterno è infossato, si possono posizionare anche due barre. La barra va mantenuta per circa 3 anni, e poi rimossa attraverso un secondo intervento molto più semplice e breve. Questo spazio di tempo serve per consolidare la correzione dando il tempo alla gabbia toracica di rimodellarsi secondo la nuova conformazione, perchè, una volta rimossa la barra, il torace non torni a infossarsi. Durante i 3 anni il paziente può svolgere una vita normale, e può praticare anche sport, evitando sport di contatto violento quali le arti marziali. I vantaggi dell’approccio miniinvasivo di Nuss sono una maggior rapidità dell’intervento, una minor dissezione dei muscoli del torace, senza necessità di rimuovere cartilagini costali, e, soprattutto, l’assenza totale di cicatrici anteriori. L’età ideale per la correzione con tecnica di Nuss è di 12-14 anni, poichè il torace è ancora molto malleabile ma le cartilagini costali saranno già in parte calcificate, quando si rimuoverà la barra, dopo tre anni. L’intervento in età troppo precoce rischia di dar luogo alla recidiva, una volta rimossa la barra. I limiti di tale tecnica sono invece ritenuti l’età adulta e le forme asimmetriche severe, ma in realtà si tratta di limiti relativi, in quanto anche adulti e pazienti con pectus molto asimmetrico possono essere operati con buoni risultati. Nella nostra esperienza l’intervento di Nuss è divenuto ormai l’intervento di elezione nella quasi totalità dei pazienti affetti da pectus excavatum. I risultati della correzione chirurgica, sia degli interventi tradizionali che dell’intervento mininvasivo di Nuss, sono molto buoni. In genere nelle casistiche di tutti i centri sono descritti risultati ottimali o molto buoni in circa il 90% dei pazienti. Le recidive sono molto poche (meno del 5%), e le complicanze, in particolare emorragie, dislocazioni della barra, infezioni, cheloidi, raccolte sottocutanee, sono contenute. Nelle femmine postpuberi con asimmetria mammaria, la correzione del pectus excavatum riesce a correggere completamente o quasi l’ipoplasia mammaria, che spesso è meno grave di quello che appaia prima della chirurgia. In caso in cui la paziente necessiti di un intervento di mastoplastica per asimmetria mammaria persistente si può realizzare nello stesso tempo della chirurgia per il pectus o successivamente. La complicanza più temibile, sebbene eccezionale , della tecnica di Nuss è la lesione cardiaca nel passaggio della barra retrosternale, di cui, in tutto il mondo, sono stati riportati casi sporadici, in particolare prima dell’adozione dell’ausilio dell’ottica toracoscopica per osservare direttamente la barra durante il passaggio. Pectus carinatum Il pectus carinatum è una malformazione della gabbia toracica caratterizzata dalla protrusione dello sterno in senso anteriore, ad opera delle cartilagini anomale, con aumento del diametro anteroposteriore. Pur essendo praticamente l’opposto del pectus excavatum, secondo alcuni il pectus excavatum e il carinatum potrebbero essere due aspetti dello stesso tipo di patologia, come supportato dal fatto che in alcune famiglie si osservano casi di entrambe le malformazioni. Il pectus carinatum si può classificare in 4 forme: 1) Forma condroxifoidea (inferiore) o tipo 1: la più frequente, con protrusione di sterno e cartilagini costali, o solo del processo xifoideo 2) Forma condromanubriale (superiore) o tipo 2: protrusione del manubrio sternale (molto rara) 3) Forma asimmetrica: si osserva la protrusione di alcuni segmenti costali da un lato, con rotazione dello sterno verso il lato opposto, che a volte si presenta lievemente depresso. Questa è una forma abbastanza frequente. 4) Forma mista, detta anche sindrome di Currarino Silverman, dalla loro descrizione nel 1958. In questa variante, alla protrusione sternale superiore, come nella forma condromanubriale, si associa l’escavazione inferiore. Si tratta percio’ di uno sterno che, visto di lato, ha una conformazione ad S. È una malformazione che riunisce in sè un pectus carinatum superiore e un pectus excavatum inferiore. Lo sterno in questi pazienti risulta anche più corto e largo, e la malformazione è sempre simmetrica. Come per il pectus excavatum, non si conosce la causa del pectus carinatum. Apparentemente, le cartilagini costali sono ugualmente anomali per morfologia e caratteristiche anatomopatologiche in entrambe le malformazioni (necrosi asettica, disorganizzazione cellulare), fattore che confermerebbe l’ipotesi che si tratti di manifestazioni distinte dello stesso tipo di patologia. Come il pectus excavatum, è più frequente nel sesso maschile, nel 40% circa sono forme familiari, e può presentarsi occasionalmente in associazione a sindrome di Marfan, scoliosi, cardiopatie. La sindrome di Currarino Silverman in particolare si associa più frequentemente a malformazioni cardiache, sindrome di Noonan o Turner. 142 La presentazione clinica del pectus carinatum è differente dal pectus excavatum, in quanto il carinatum si manifesta in età successiva, in generale attorno ai 6-8 anni, e si mantiene poco evidente fino alla pubertà, quando si assiste ad un notevole e rapido peggioramento. In genere, nei casi in cui si rende necessario il trattamento chirurgico, ciò avviene non prima dell’inizio della pubertà. Nei pazienti affetti da pectus carinatum è meno frequente la dispnea da sforzo, ma più frequente il dolore precordiale. Ugualmente presente in quasi il 100% dei pazienti, come nel pectus excavatum, un disagio psicologico più o meno importante. La valutazione, come nel pectus excavatum, è principalmente clinica, ma nei casi chirurgici la TC fornisce informazioni utili al chirurgo sulla morfologia della gabbia toracica. L’indicazione chirurgica si basa sulla gravità della malformazione e sui sintomi. Nelle forme asimmetriche l’indicazione può essere più larga. Anche nel pectus carinatum non tutti i pazienti necessitano di intervento chirurgico, che va deciso, caso per caso, dopo lungo colloquio con il paziente e la sua famiglia. La toracoplastica a cielo aperto, è sovrapponibile a quella già descritta per il pectus excavatum, e prevede la resezione di alcune cartilagini costali, e la fissazione dello sterno tramite punti o barra metallica. Un’alternativa non chirurgica per la correzione del pectus carinatum è rappresentata da alcuni sistemi compressivi esterni (corsetti) che, portati per molte ore al giorno per lungo periodo, sembrano poter correggere anche definitivamente la malformazione. È necessario però confezionare il corsetto in maniera personalizzata, a seconda del tipo di malformazione e del suo grado di simmetria, e regolare la compressione progressivamente. Per ottenere buoni risultati è necessario molta compliance da parte del paziente. Anche per il pectus carinatum sono state proposte tecniche miniinvasive, che prevedono il posizionamento di una barra curva al di sopra dello sterno, che crei una compressione interna (Abramson) o la resezione per via toracoscopica delle cartilagini anomale (Varela-Torre). I risultati degli interventi sono molto buoni in circa il 90% dei casi, come per il pectus excavatum. Le forme più difficili da correggere sono quelle asimmetriche e le Currarino Silverman. Tipo II: malformazioni costali In questo gruppo rientrano molte anomalie di scarsa rilevanza clinica (coste bifide, fusioni costali, coste soprannumerarie). La sindrome di Jeune, detta anche distrofia toracica asfissiante, benchè molto rara (1 caso ogni 100000 nati vivi) riveste una certa importanza per l’estrema gravità della compromissione respiratoria. È stata descritta da Jeune nel 1954, è su base autosomica recessiva, e si caratterizza per un torace molto ristretto con addome prominente. Entrambi gli assi toracici sono ridotti, e le coste sono orizzontali, cosicchè i movimenti respiratori sono inefficaci. Le coste sono caratteristicamente corte e larghe, con cartilagini irregolari e abbondanti. A seconda della morfologia toracica e del grado di compromissione respiratoria si distinguono una forma maggiore (70% dei casi) in cui c’è un’alta mortalità nei primi mesi di vita per insufficienza respiratoria, e una forma minore (30%), in cui le coste sono meno colpite, i sintomi molto scarsi o assenti, e la sopravvivenza è prolungata. In alcuni casi è associata una nefropatia o un’epatopatia grave, che conducono rispettivamente a insufficienza renale e cirrosi epatica. Possono associarsi difetti di ossificazione a carico delle estremità con difetti di accrescimento. La diagnosi è essenzialmente clinica, e sarà confermata dalla radiografia del torace Il trattamento è necessario solo per la forma maggiore. Il principio è quello di espandere la gabbia toracica. Si può realizzare una sternotomia mediana, che viene mantenuta divaricata da una protesi metallica, che in seguito si sostituisce con tessuto osseo omologo. Alternativamente, si possono realizzare interventi a livello delle coste, con divisioni condrocostali multiple ed embricazione dei monconi costali contigui. I risultati sono variabili. La prognosi dipende dal grado di compromissione respiratoria presente alla nascita. Recentemente è stato proposto l’utilizzo di un espansore verticabile impiantabile tra le coste (VEPTR, vertical expandable prosthetic titanium rib), che progressivamente espanda il torace. Tipo III: malformazioni condrocostali Sindrome di Poland La sindrome di Poland prende il nome da Alfred Poland che la descrisse nel 1841, anche se in realtà altri casi sporadici erano stati descritti in precedenza. Poland descrisse una costellazione di molte anomalie, tra cui l’assenza dei muscoli grande e piccolo pettorale e sindattilia. In seguito la sindrome di Poland si è arricchita nel corso degli anni di altre caratteristiche. Si definisce come unàanomalia congenita unilaterale della parete toracica caratterizzata da variabile grado di ipoplasia/aplasia toracica con interessamento costale, del muscolo grande pettorale (in genere del capo sternocostale) e del piccolo pettorale, della ghiandola mammaria e del capezzolo, con o senza coinvolgimento dell'arto superiore (brachisindattilia) ipsilaterale. Come criterio diagnostico obbligatorio per la sindrome di Poland è necessario osservare aplasia o ipoplasia del muscolo grande pettorale e almeno un’anomalia associata. Tra queste, le più frequenti sono aplasie/ipoplasie costali, depressioni della parete toracica, atelia o amastia, assenza di peluria ascellare, ipoplasia del grasso sottocutaneo, ipoplasia del radio e malformazioni della mano. Le malformazioni a carico della mano sono molto varie e non correlate con la gravità delle malformazioni toraciche. L'incidenza della sindrome di Poland è stimata attorno a 1/30.000 nati vivi. In realtà è una stima probabilmente inesatta per difetto, dovuta alla mancanza di lavori epidemiologici recenti su questo argomento, e al mancato riconoscimento della sindrome in molti casi. 143 Il lato destro è colpito più spesso rispetto a quello sinistro e i maschi sono più frequentemente affetti, con un rapporto tra maschi e femmine di 3 a 2. In genere la sindrome di Poland si presenta in forma sporadica, ma sono descritti rari casi familiari (4%). La causa della sindrome di Poland è sconosciuta. L’anomalia è congenita e insorge nella vita embrionale. Secondo un’ipotesi cui si è dato molto credito, potrebbe essere provocata, in alcuni casi, da un'anomalia della vascolarizzazione fetale con ischemia a carico del territorio tributario delle arterie succlavia, vertebrale, e/o di uno dei loro rami durante lo sviluppo fetale. La presentazione clinica della sindrome di Poland è molto varia. Alla nascita la sindrome di Poland può passare inosservata, specialmente se non sono presenti anomalie dell’arto superiore. L’anomalia dell’area pettorale, che appare più depressa, è sempre presente, ma può sfuggire ad un’ispezione non accurata del torace. Se sono presenti anomalie costali (in meno del 30% dei casi nella nostra casistica) la depressione è molto evidente, e si può assistere a fenomeni di erniazione del polmone attrvaerso il difetto costale e il caratteristico respiro paradosso (con l’inspirazione si accentua la depressione della parete toracica, che invece si esteriorizza durante l’espirazione forzata), particolarmente durante il pianto. L’asimmetria toracica si rende più evidente con la crescita del paziente. L’agenesia della muscolatura pettorale, anche se spesso molto evidente, non crea deficit funzionali e di forza a carico dell’arto superiore. Qualche volta, in genere dopo i 5-6 anni, anche lo sterno può rimanere coinvolto, e risultare in una forma asimmetrica di pectus excavatum a carinatum, in genere a causa di una rotazione dello sterno. Nelle femmine (nel 100% dei casi secondo la nostra esperienza), al momento della pubertà si osserva marcata asimmetria mammaria, per l’ipoplasia dal lato interessato. Nelle forme severe la ghiandola mammaria e il capezzolo sono totalmente assenti. La diagnosi in genere è clinica. Bisogna tenere presente la variabilità clinica della sindrome, ma deve essere ricercata in particolare l’ipoplasia del muscolo grande pettorale, le eventuali anomalie costali e le malformazioni associate dell’arto superiore omolaterale. Lo studio per immagini è importante, per valutare esattamente tutte le anomalie presenti. L’ecografia della muscolatura toracica, in mani esperte, potrà non solo confermare la diagnosi mediante la dimostrazione dell’agenesia del muscolo grande pettorale, ma anche estendere lo studio agli altri muscoli della parete toracica, che possono essere in qualche caso affetti. L’estensione delle anomalie riveste importanza anche in vista di un intervento ricostruttivo. La radiografia del torace potrà confermare agenesie costali (in genere evidenti già all’esame obiettivo) e rivelare una destrocardia, da ricercare sempre nei pazienti con sindrome di Poland a sinistra. Le indicazioni al trattamento chirurgico della deformità toracica nella sindrome di Poland sono la correzione dell’agenesia costale (per conferire protezione ai visceri del torace o coregere la dinamica respiratoria paradossa) e dell’eventuale anomalia sternale associata (pectus carinatum, excavatum). L’agenesia cosle si corregge con protesi o trasposizione di coste autologhe, l’anomalia sternale con gli stessi interventi descritti in precedenza per il pectus carinatum o excavatum. In età adolescenziale ed adulta, in genere le indicazioni chirurgiche non sono di natura funzionale, bensì estetica, per correggere la deformità estetica del torace, e l’ipoplasia o aplasia mammaria e del capezzolo. Mentre un tempo si riteneva che gli interventi di chirurgia plastica andassero eseguiti solamente a pubertà conclusa, nella nostra opinione il percorso chirurgico va iniziato già durante lo sviluppo puberale, anche per ridurre i possibili problemi psicologici e comportamentali, a volte molto severi, in particolare nel sesso femminile. Vogliamo sottolineare come la valutazione clinica dei pazienti con sindrome di Poland e il loro trattamento debba essere multidisciplinare. Il gruppo di specialisti che prende in carico questi pazienti deve includere il genetista, l’ortopedico, il chirurgo pediatra, il chirugo plastico, il chirurgo della mano, lo psicologo. Sono da valutare molto positivamente anche le associazioni di famiglie di pazienti affetti, in quanto svolgono un ruolo di supporto e di informazione spesso indispensabile e favoriscono l’integrazione completa di questi bambini nella dinamica della società. Tipo IV: malformazioni sternali Difetti di fusione sternale La più frequente di queste malformazioni è il cleft sternale (sterno bifido), che consiste in un difetto sternale mediano, paziale o totale, risultato di un disturbo dello sviluppo embriologico dello sterno. Lo sterno infatti nella vita embrionale si crea per fusione delle bande mesenchimali laterali, e un difetto in questo processo crea una mancata fusione dei due “emisterni”. È ritenuta in assoluto un’anomalia rara, anche se la sua incidenza non è conosciuta. È molto più frequente nelle femmine, la presentazione è in genere sporadica ma esiste un caso familiare descritto. Sono rare le anomalie cardiache associate. Sono frequenti invece anomalie cutanee quali nevi connettivali, bande simil cicatriziali che si estendono sulla linea mediana, onfaloceli, anomalie vascolari cervicofacciali . La prognosi è buona e la malformazione è normalmente asintomatica. È usuale notare la protrusione dei visceri mediastinici attraverso il difetto sternale durante l’espirazione, e l’introflessione durante l’inspirazione. A volte questo movimento dei grossi vasi e del cuore durante la respirazione causano una difficile ritorno venoso, con sintomi di sovraccarico ventricolare destro, cianosi, dispnea, aritmie e altre alterazioni circolatorie. L’elettrocardiogramma mostra anomalie della conduzione ventricolare ed extrasistoli. Il difetto sternale può causare anche instabilità della parete toracica, con diminuita ventilazione polmonare e perdita di forza e del riflesso della tosse, con predisposizione alle infezioni respiratorie ricorrenti. L’intervento chirurgico 144 va eseguito in epoca precoce, possibilmente neonatale, per prevenire lesioni al cuore ed ai grossi vasi, ai quali manca la protezione ossea. L’intervento precoce permette di ottenere una chiusura primitiva agevole, ed un’età in cui, per la flessibilità delle strutture anatomiche, non si hanno conseguenze negative dall’aumento delle pressioni intratoraciche. I risultati sono generalmente buoni. Le deformità post-chirurgiche, per esempio quelle post-sternotomia o post-toracotomia per correzione di atresia esofagea o malformazioni polmonari, sono al giorno d’oggi evitabili con le nuove tecniche di chirurgia miniinvasiva toracoscopica che rendono possibile ad esempio la correzione dell’atresia esofagea e delle malformazioni polmonari in quei centri con elevata esperienza in questo campo. 145 FOCUS SULLA CATARATTA CONGENITA: dal riflesso rosso alla terapia antiambliopica Prof. Paolo Nucci Clinica Oculistica Ospedale San Giuseppe Università di Milano - Via San Vittore 12, 20123 Milano www.paolonucci.it Università di Milano, Az.Osp. San Paolo - U.D. Oftalmologia Pediatrica e Strabismo - Via Di Rudinì, 8 Milano I più recenti protocolli internazionali prevedono l’esecuzione del test del riflesso rosso per tutti bambini entro i primi due mesi di vita, lo scopo è individuare precocemente le opacità dei mezzi diottrici ed affrontare per tempo tutte le condizioni che determinino deprivazione visiva, in particolare la cataratta congenita, per la quale è possibile intervenire e migliorare la prognosi, sempre drammatica se l’intervento è eseguito dopo le prime 16 settimane di vita. Il test deve essere effettuato più volte per i primi tre anni di vita dal pediatra di famiglia che segue il bimbo, onde riconoscere precocemente anche il retinoblastoma che sovente si manifesta più tardi con leucocoria. La rivista americana Pediatrics ha pubblicato nel 2002 un “policy statement” dell’American Academy of Pediatrics (AAP) nel quale suggerisce indicazioni e tecniche da utilizzare nell’esecuzione del test del Riflesso Rosso o red reflex (RR) in età infantile. A questo proposito è necessario che si ricordi che cosa sono e come devono esser intesi questi “policy statements”: si tratta di una serie di principi organizzativi e linee guida, a cura dell’associazione dei pediatri americani, finalizzati a stabilire opportunità e protocolli che il pediatra è invitato (non obbligato) a seguire per offrire un’assistenza aggiornata e qualitativamente migliore e così preservare la salute del bambino e gestire al meglio le patologie. Per quanto i “policy statements” siano numerosi è ovvio che non possano coprire tutto l’ambito della pratica clinica e siano precipuamente dedicati ad argomenti di rilievo e controversi. Evidentemente l’AAP, con questo articolo, ha voluto segnalare alla comunità scientifica, il ruolo primario del pediatra nella detezione precoce di alcune patologie oculari e stabilire una metodica d’esame in grado di aumentare il valore predittivo del test. In letteratura si trovano pochissime pubblicazioni che valutino sensibilità e specificità del RR nella diagnosi precoce della cataratta congenita e del retinoblastoma, mentre è esperienza comune ad ogni oftalmologo che esiste un certo numero di pazienti che il RR non aiuta ad individuare (falsi negativi) ed altri nei quali erroneamente segnala un’anomalia che poi si rivela inesistente (falsi positivi). Controversa è anche la metodica utilizzata, tant’è che se pure alcuni ancora, soprattutto in Italia, si ostinano ad insegnarlo e praticarlo senza dilatazione farmacologica (ma solo in ambiente oscurato) in alcuni stati americani (California) è oggi eseguito obbligatoriamente dopo aver instillato gocce midriatiche. Non sono giustificati i timori di effetti collaterali con l’impiego di tropicamide allo 0.5%. Problemi sulla frequenza e sul ritmo cardiaco sono inesistenti con questo farmaco se non è associato a simpaticomimetici, ed anche le forme urticarioidi o dermatitiche sono appannaggio dell’atropina e del ciclopentolato mentre sono rarissimi e del tutto innocenti con la tropicamide. In questa sede vorremmo sottolineare pure che , sebbene l’indagine sia divenuta parte dell’armamentario semeiologico del pediatra di famiglia, sarebbe opportuno eseguirla, per garantire una maggiore efficacia e penetrazione nella popolazione pediatrica, alla nascita. Esistono diverse ragioni che giustificano lo screening neonatale del riflesso rosso nel contesto dei reparti di maternità: 1. non tutti i bimbi accedono all’ambulatorio del PdF nelle prime 16 settimane di vita, periodo in cui è cruciale eseguire la chirurgia nelle forme di cataratta monolaterale. 2. l’esame in dilatazione farmacologica è più facile e pratico se gestito in ambiente ospedaliero. 3. immediata possibilità, utilizzando percorsi noti, di attivare nel reparto di neonatologia un consulto con lo specialista, senza impegnare il PdF ad attivarsi per rivalutazioni urgenti. 4. rapida organizzazione delle procedure per l’inquadramento e l’eventuale trattamento chirurgico del neonato affetto. 5. Organizzazione di protocolli specifici che possono supportare comunque il pdf in caso di riscontro successivo. 6. Minore incidenza di errori, e condivisione delle eventuali responsabilità, se esiste un “double check” che coinvolga neonatologo e pediatra di famiglia. E’ opportuno in questa sede sottolineare pure alcuni aspetto controversi nell’ambito della pratica del test. Quali sono le ragioni per cui è possibile male interpretare un RR, e quali eventi possono rappresentare fattori di rischio nella valutazione erronea del test? Pupille miotiche Il neonato, soprattutto nei primi giorni di vita, a causa della ipoattività simpatica e per la fisiologica prevalenza del vago nel suo tipico stato di semiveglia, presenta una miosi marcata, e anche la permanenza in un ambiente oscurato può non modificare questa condizione e non rendere evocabile il RR. Tra l’altro la luce dell’oftalmoscopio, che il piccolo fissa immediatamente, può accentuare, attraverso il riflesso fotomotore, la costrizione pupillare. Questa situazione è ovviabile con la instillazione in entrambi gli occhi di tropicamide 0.5% 15’ prima della visita. 146 Riflesso brunastro del fondo I soggetti molto pigmentati possono, in luogo del classico riflesso rosso, presentare un riflesso bruno-marrone che spesso non si distingue dal colore irideo. In questi casi è opportuno dilatare la pupilla ed utilizzare una luce alogena che rende più luminoso il RR. Dimensioni ridotte ed evoluzione successiva dell’opacità Una opacità di piccole dimensioni o se “a vetro smerigliato”, anche se centrali, posson esser misconosciute se non si utilizza un biomicroscopio, ovvero un sistema di visualizzazione ingrandente. L’esperienza in qualche caso aiuta a riconoscere anche le piccole alterazioni della trasparenza, ma si tratta di un problema che trae in inganno anche gli osservatori più esperti. Eccentricità dell’opacità Si tratta di un evento comune sia nelle cataratta congenite periferiche e corticali, sia nei piccoli retinoblastomi non situati al polo posteriore. Il RR segnala soltanto, è bene ricordarlo, dei disturbi centrali o paracentrali. Valutazione non comparativa del RR Evocare un RR monocularmente, senza effettuare una valutazione comparativa, può indurre a giudicare presente e normale un RR che invece in valutazione comparativa si può cogliere meno luminoso ed anomalo. Questa manovra è inoltre utile perché una differente lucentezza a volte segnala una anisometropia o uno strabismo, e rende comunque opportuno un controllo specialistico. Modificazione nel tempo Un RR normale, o evocabile senza difficoltà, può nel tempo modificarsi e divenire patologico. Un esame precoce, non seguito da altre valutazioni può non essere sufficiente. L’esperienza clinica segnala che alcuni pazienti, esaminati nelle prime settimane di vita, che non presentavano alcun problema, a distanza di pochi mesi hanno manifestato una leucocoria marcata. Il fenomeno è legato all’aumento delle dimensioni del tumore retinico nel retinoblastoma o al peggioramento dell’opacità lenticolare nella cataratta congenita. Riteniamo fondamentale che il Ministero, attivi, facendo propri i “policy statement” dell’AAP, le procedure per la esecuzione del RR nell’ambito dei reparti di neonatologia, pianificando protocolli di standardizzazione della tecnica ed una capillare e meticolosa opera di formazione del pediatra, nel tentativo di aumentare il valore predittivo di un test che, utilizzato al meglio, può contribuire significativamente a ridurre gli effetti drammatici di patologie come il retinoblastoma e la cataratta congenita. In conclusione, pur sottolineando quanto controverso e problematico sia l’iter di chi oggi si deve occupare di questo problema, il concorso di neonatologo e pediatra di famiglia è fondamentale per ottenere una efficace detezione precoce della cataratta congenita e del retinoblastoma finora demandate esclusivamente allo specialista oftalmologo. Bibliografia 1. American Academy of Pediatrics, Committee on Practice and Ambulatory Medicine and Section on Ophthalmology. Eye examination and vision screening in infants, children, and young adults. Pediatrics. 1996; 98:153–157 2. Ogut MS, Bozkurt N, Ozek E, Birgen H, Kazokoglu H, Ogut M. Effects and side effects of mydriatic eyedrops in neonates. Eur J Ophthalmol. 1996;6:192–196 3. Fraunfelder FT. Pupil dilation using phenylephrine alone or in combination with tropicamide. Ophthalmology. 1999;106:4 4. Gaynes BI. Monitoring drug safety; cardiac events in routine mydriasis. Optom Vis Sci. 1998;75:245–246 5. Resano A, Esteve C, Fernandex Benitez M. Allergic contact blepharoconjunctivitis due to phenylephrine eye drops. J Investig Allergol Clin Immunol. 1999;9:55–57 6. Boukhman MP, Maibach HI. Allergic contact dermatitis from tropicamide ophthalmic solution. Contact Dermatitis. 1999;41:47–48 7. American Academy of Pediatrics Section on Ophthalmology Red Reflex Examination in Infants. Pediatrics 2002;109;980-981 8. Paysse EA, Williams GC, Coats DK, Williams E.A. Reflex Versus the MTI Photoscreener: Detection of Red Reflex Asymmetry by Pediatric Residents Using the Brückner test. Pediatrics 2001;108;74 9. Nucci P. Le problematiche legate al red reflex in età infantile Il medico pediatra 2002; 11:3;245-246 147 VALUTAZIONE POSTURALE DEL PIEDE E DELLA COLONNA IN ETÀ EVOLUTIVA. Antonio Memeo*, Elena Panuccio* *Struttura Dipartimentale di Ortopedia e Traumatologia Infantile– Istituto G.Pini La postura è di vitale importanza ai fini di un corretto equilibrio dell’organismo e per ridurre l’incidenza di diverse malattie sia nel bambino che nell’adulto. Il sistema posturale è un insieme molto complesso che schematicamente si compone da: sistema nervoso centrale e periferico, il piede, i muscoli, le articolazioni, l’occhio, il sistema cutaneo, l’apparato stomatognatico (sistema occlusale e lingua), l’orecchio interno. Il sistema nervoso centrale utilizza le informazioni ricevute da occhio, pianta dei piedi e cute in primo luogo, per avere la consapevolezza della posizione del corpo nello spazio e poter impostare correttamente quanto voluto nei confronti del mondo esterno e di se stesso. Se, nel tempo, sorgono problemi a qualsiasi livello, in un primo momento il sistema descritto cercherà di “compensare” in qualche modo, fino a quando potrà, successivamente si instaureranno alcuni cambiamenti patologici come: vizi di appoggio plantare, spalla più alta, rotazioni del bacino, atteggiamenti scoliotici, testa inclinata. Questa introduzione è necessaria per inquadrare l’importanza dell’esame obiettivo ortopedico di un soggetto in accrescimento, che deve essere basato sulla conoscenza profonda delle modificazioni morfo-strutturali del soggetto correlate alla sua età. I fattori che influenzano la crescita corporea sono basati fondamentalmente su : l’iperplasia, l’ipertrofia e l’osteogenesi che determina la maturazione scheletrica. Questi cambiamenti sono legati direttamente a fattori genetici ed ambientali che interagiscono con la mediazione ormonale. L’accrescimento è costante ma asincrono in base la fascia di età appartenente. Per tale motivo non si può effettuare nei soggetti in accrescimento un esame obiettivo standardizzato, ma deve essere legato alle varie fasi dello sviluppo. Quindi esisterà una valutazione per il neonato, una per il bambino ed infine una per l’adolescente. L’esame posturale riveste importanza soprattutto nel bambino nel quale vanno valutati attentamente gli atteggiamenti degli arti inferiori in carico e la posizione del piede nello spazio durante la deambulazione, mentre nell’adolescente maggiore attenzione va posta all’esame del rachide che è l’ultimo a svilupparsi definitivamente. Per evitare i problemi sopra elencati ed altri di vario ordine, è opportuno che durante la crescita il bambino venga sottoposto a controlli posturali. Tutto ciò permette di valutare l’eventuale necessità di trattamenti per correggere i difetti suindicati effettuando una terapia della postura. 148 SEZIONE 2 “MALATTIE INFETTIVE VECCHIE E NUOVE SFIDE” Sabato, 15 novembre 2014 Presidente: M. Duse 8,00 – 10,00 Moderatori: D. Perri, P. Zucchinetti 149 MALATTIE INFETTIVE EMERGENTI NEL NEONATO IN TERAPIA INTENSIVA Alessandro Borghesi, Margherita Pozzi e Mauro Stronati Neonatologia, Patologia Neonatale e Terapia Intensiva, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia Introduzione: cenni di epidemiologia e diffusione delle resistenze agli antibiotici La resistenza batterica agli antibiotici è un problema di portata globale. I Centers for Disease Control and Prevention (CDC) di Atlanta stimano che circa 2 milioni di persone ogni anno negli Stati Uniti d’America (USA) contraggano un’infezione da microrganismi multi-resistenti e che questi causino ogni anno, in USA ed Europa, circa 48.000 decessi (1–3). I ceppi resistenti agli antibiotici vengono solitamente isolati in ambito nosocomiale ed includono, tra quelli di interesse neonatologico: Enterococcus faecium vancomicina-resistente (vancomycin-resistant enterococcus, VRE), Staphylococcus aureus meticillino-resistente (methicillin-resistant S. aureus, MRSA), Enterobacteriaceae produttrici di β-lattamasi a spettro esteso (extended spectrum β-lactamase, ESBL), Klebsiella pneumoniae produtrice di carbapenemasi (KPC), ed Acinetobacter baumanii, Pseudomonas aeruginosa, ed Enterobacter species resistenti a diverse classi di antibiotici, raggruppati con l’acronimo “patogeni ESKAPE” (4,5). Le strategie di prevenzione delle infezioni, quale, primo fra tutti, il lavaggio delle mani per ridurre la trasmissione nosocomiale dei microrganismi, sono essenziali per ridurre il rischio di diffusione di germi multiresistenti non solo su scala locale (nelle unità di terapia intensiva neonatale, UTIN) ma anche su scala mondiale. Il primo ceppo di Klebsiella portatore del gene KPC che conferisce resistenza ai carbapenemi è stato isolato nel 2000 da un campione raccolto nel 1996 in un ospedale del North Carolina; nel 2003 batteri KPC-positivi sono stati isolati in un ospedale di New York City (NYC) e, nel 2007, il 21% dei ceppi di Klebsiella isolati negli ospedali di NYC erano portatori del gene di resistenza; il viaggio degli stessi ceppi è poi continuato oltreoceano per giungere in Israele, e da Israele in altri paesi tra cui l’Italia, la Colombia, il Regno Unito e la Svezia. È del 2008 la scoperta di un altro ceppo di Klebsiella, portatore del gene di resistenza NDM, emerso in India e diffusosi rapidamente al Regno Unito (6). Il rischio di infezioni da parte di tali germi nelle UTIN è elevato. Un recente studio condotto da Giuffré et al. in una UTIN riporta la colonizzazione, da parte di K. pneumoniae produttrice di KPC, di 10 neonati su 54 ricoverati nel periodo tra il 18 settembre ed il 14 novembre 2012, senza che si verificassero tuttavia casi di infezione (7). In un altro studio condotto da Poirel et al., Enterobacteriaceae carbapenemi-resistenti sono state isolate da 22 campioni prelevati da pazienti ospedalizzati tra gennaio ed aprile 2013 in diversi reparti di un ospedale universitario di Istanbul; i ceppi comprendevano: K. pneumoniae produttore di carbapenemasi OXA48, NDM-1, e KPC-2, E. cloacae produttore di NDM-1, ed E. coli produttore di OXA-48. Un ceppo di E. cloacae produttore di NDM-1 è stato isolato nella UTIN dell’ospedale, ed i batteri isolati corrispondevano ad un unico cluster, sottolineando la facilità con cui avviene la trasmissione orizzontale di ceppi resistenti nelle UTIN (8). Uso eccessivo ed indiscriminato degli antibiotici come causa principale dell’emergere delle resistenze L’utilizzo eccessivo ed indiscriminato degli antibiotici negli ospedali, sul territorio in regime di ambulatorio e, fuori dal contesto sanitario, nelle fattorie per favorire la crescita degli animali, ha generato negli anni passati una forte pressione selettiva sui microrganismi, favorendo l’emergere dei ceppi resistenti (9). L’emergere di resistenze avviene naturalmente non appena l’antibiotico viene utilizzato. La scoperta della resistenza alla penicillina avvenne nel 1940, prima della sua introduzione nel mercato; ceppi resistenti alla vancomicina, introdotta nel 1958, furono scoperti già nel 1960; la scoperta della resistenza ai macrolidi avvenne del 1955, pochi anni dopo la sua introduzione nel mercato che fu nel 1951; per citare alcuni degli antibiotici maggiormente utilizzati in terapia intensiva neonatale (10). Già Alexander Fleming, scopritore del lisozima e della penicillina, avvertiva, in un’intervista del 1945 al New ork Times, che era opportuno ridurre l’uso della penicillina per rallentare lo sviluppo delle resistenze (6). I CDC riportano che, in generale, più della metà dei pazienti ospedalizzati riceve almeno un antibiotico nel corso della degenza, e di questi circa i due terzi riceve antibiotici ad ampio spettro (2). Specificamente per le UTIN, uno studio condotto da Tsai et al. descrive 1106 episodi di batteriemia in 8 anni nella loro UTIN: il 35,5% era causato da batteri Gram negativi, ed il 18,6% da ceppi multi-resistenti; il più frequente meccanismo di resistenza era la produzione della ESBL (67,1%), soprattutto da parte di K. pneumoniae (59,6%). Dato ancora più importante, all’analisi multivariata gli autori identificano l’esposizione alle cefalosporine di terza generazione (P<0.001) ed ai carbapenemi (P=0.017) come fattori di rischio indipendenti per la comparsa di resistenze (11). Lo European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), stilando una lista di paesi europei per utilizzo giornaliero di antibiotici in ordine decrescente, identifica l’Italia come uno dei paesi in cui è più elevato il consumo: in media 26-30 dosi giornaliere per 1000 abitanti tra il 2008 ed il 2010, contro le 11-15 dosi giornaliere per 1000 abitanti consumate nello stesso periodo in Olanda, paese più virtuoso della classifica (10) (Figura 1). 150 Figura 1. Uso di antibiotici in regime ambulatoriale (extra-ospedaliero), espresso come dosi giornaliere per 1000 abitanti. Da “WHO. The evolving threat of antimicrobial resistance - Options for action” (12). Fonte: riprodotto ed adattato da “European Surveillance of Antimicrobial Consumption (ESAC) earbook 2009. ESAC, 2009 (http://www.esac.ua.ac.be/main.aspx?c=*ESAC2&n=50036, accessed 9 January 2012)”. http://www.cddep.org/resistancemap http://www.esac.ua.ac.be/main.aspx?c=*ESAC2&n=50036 Riduzione dell’arsenale terapeutico contro i germi multi-resistenti In parallelo con l’emergere di microrganismi resistenti e conseguente riduzione dei mezzi terapeutici a disposizione per combattere le infezioni batteriche, l’arsenale a disposizione si sta progressivamente riducendo anche a causa degli scarsi investimenti da parte delle industrie farmaceutiche nella scoperta di nuove molecole antibiotiche (10). Secondo dati dei CDC, nei primi anni ’80, precisamente tra il 1980 ed il 1984, la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato 19 nuove molecole; negli anni 1985–1989 11 nuove molecole, così come nei periodi 1990– 1994 e 1995–1999. Il numero di nuove molecole approvate si è ridotto a sole 4 negli anni 2000–2004, 3 negli anni 2005–2009; ed un solo nuovo antibiotico è stato approvato nel periodo 2010–2012 (10). Le ragioni della difficoltà nella scoperta di nuovi antibiotici sono molteplici (13), e comprendono: i) Necessità di utilizzare, per colpire cellule procariotiche, concentrazioni elevate di farmaco, di ordine micromolare, mediamente 2-3 volte più alte delle concentrazioni di farmaci “tipici” che agiscono contro bersagli di cellule eucariotiche; ii) Difficoltà nella scoperta di farmaci attivi nei confronti dei batteri Gram negativi (a causa della presenza della membrana esterna, assente nei batteri Gram positivi, che rende difficoltosa la penetrazione del farmaco); iii) Ragioni di ordine farmacocinetico: la molecola, per avere adeguati assorbimento, distribuzione tissutale, ed eliminazione, deve avere caratteristiche molecolari e fisiche che rispettino le 5 regole empiriche di Lipinski; iv) Trial clinici: l’attività degli antibiotici nei confronti di batteri multi-resistenti sarebbe difficile da dimostrare in vivo, poiché la maggior parte delle infezioni sono ancora sostenute da germi sensibili agli antibiotici in commercio e la selezione dei pazienti sarebbe molto difficoltosa; v) Ragioni di ordine economico: le terapie antibiotiche sono di solito somministrate per cicli brevi, ed anche laddove se ne dovesse prolungare la durata, la comparsa di resistenze ne limiterebbe l’uso a lungo termine. Al contrario, farmaci come gli antiipertensivi, gli antiinfiammatori, i farmaci per ridurre la colesterolemia e i farmaci per il diabete, utilizzati per anni o per decenni, sono nettamente più redditizi. Ne è conseguito, negli scorsi decenni, il progressivo disinteresse delle industrie farmaceutiche negli investimenti sulla scoperta di nuove molecole antibiotiche. Il quadro che emerge è quello di un mondo in cui l’arsenale per combattere i microrganismi è sempre più povero di mezzi: da un lato lo scarso investimento delle industrie farmaceutiche nella scoperta di nuove molecole, dall’altra la circolazione su scala mondiale di batteri resistenti a pressoché tutti gli antibiotici già in commercio. Strategie per rallentare l’emergenza e limitare la diffusione dei germi multi-resistenti Per affrontare una simile situazione è necessario un intervento globale e multidisciplinare. Durante il “World Health Day” dell’OMS del 2011, in linea con la strategia globale dell’OMS del 2001 (The 2001 WHO global strategy) per il contenimento delle resistenze agli antimicrobici, sono stati definiti i domini di intervento per rallentare l’emergere delle resistenze e ridurre la diffusione dei microrganismi resistenti: i) sorveglianza dell’utilizzo degli antimicrobici e delle resistenze; ii) utilizzo razionale e regolamentazione; iii) controllo dell’utilizzo degli antimicrobici negli allevamenti di animali; iv) prevenzione e controllo delle infezioni: v) promozione di innovazione; vi) coinvolgimento della politica (12). 151 Di fronte alla minaccia della diffusione delle resistenze agli antibiotici e della riduzione del numero di molecole a disposizione per combattere le infezioni da microrganismi multiresistenti dobbiamo agire soprattutto su tre obiettivi: 1) facilitare e promuovere la scoperta di nuove molecole antimicrobiche; 2) ridurre l’emergere di ceppi resistenti mettendo in atto un efficace “antibiotic stewardship program” e programmi di educazione per la riduzione dell’utilizzo degli antibiotici negli allevamenti animali; 3) sviluppo di trattamenti e strategie preventive alternativi 1) È di fondamentale importanza che i governi stessi promuovano la scoperta di nuove molecole garantendo che le industrie farmaceutiche abbiano un ritorno finanziario, che riporterebbe l’interesse delle industrie nel settore senza incentivare l’utilizzo smodato degli antibiotici (1,3). Attualmente solo poche molecole delle cellule batteriche vengono utilizzate come bersaglio di antibiotici, mentre esistono almeno 200 molecole conservate ed essenziali per le funzioni cellulari batteriche che hanno la potenzialità di diventare target di nuovi antibiotici (13). Da soli, però, tali nuovi antibiotici, benché più che mai necessari, non offrono una soluzione definitiva al problema: probabilmente non saranno economici e, soprattutto, è inevitabile che anche essi, dopo un certo periodo di utilizzo, perdano la loro efficacia e vengano neutralizzati da nuovi meccanismi di resistenza (14). Ove possibile, in particolar modo nelle terapie intensive neonatali, l’attenzione dovrebbe essere massimamente focalizzata sulla prevenzione più che sul trattamento delle infezioni. Tutti i presidi preventivi, primo fra tutti il lavaggio delle mani, dovrebbero essere massimamente incentivati negli ospedali (15). 2) È necessario che la prescrizione degli antibiotici sia strettamente regolamentata. Risulta evidente che non è più sufficiente sensibilizzare i singoli medici ed affidare loro la gestione delle terapie antibiotiche. Un documento recentemente pubblicato sul sito dei CDC incoraggia l’adozione, in ogni ospedale, di un “Antibiotic Stewardship Program”, con la creazione di infrastrutture che migliorino la collaborazione tra le strutture competenti e guidino i medici nelle prescrizioni, operando mediante un programma di sorveglianza sia al momento della prescrizione che nel corso del trattamento (http://www.cdc.gov/media/releases/2014/p0304poor-antibiotic-prescribing.html) (2). i CDC indicano quali siano i punti chiave da rispettare nella attuazione di una stewardship degli antibiotici: i) è necessario che vi sia un impegno concreto da parte della dirigenza dell’ospedale, che deve mettere a disposizione risorse umane, finanziarie e tecnologiche dedicate; ii) è richiesta la nomina di un leader medico che si faccia responsabile dei risultati complessivi, e iii) di un leader farmacista, con competenze farmacologiche, dedicato alla prescrizione antibiotica; iv) si richiede un intervento concreto, che si svolga mettendo in atto almeno una azione volta a migliorare le prescrizioni (es. rivalutazione delle prescrizioni a 48 ore al fine di scegliere il farmaco, la dose e la durata del trattamento); v) i pattern di prescrizione e di resistenza vanno sottoposti ad un attento monitoraggio; vi) ai clinici deve essere fornito un adeguato feedback, ovvero dei report regolari sullo stato delle resistenze; vii) ed infine è di fondamentale importanza l’educazione del personale sanitario sulla comparsa di resistenze e sulla prescrizione giudiziosa. I CDC proseguono poi con un ulteriore passo, suggerendo che gli elementi della stewardship siano verificati mediante una checklist, che serva a determinare sistematicamente che gli elementi e le azioni chiave per una prescrizione antibiotica ottimale siano presenti, e che serva a guidare i medici nella prescrizione e limitare l’uso eccessivo degli antibiotici negli ospedali (http://www.cdc.gov/getsmart/healthcare/implementation/checklist.html) (2). Tutto ciò è valido anche in ambito neonatologico dove, con le dovute differenze necessarie alla gestione dei piccoli pazienti, gli esperti si muovono per definire gli aspetti principali di un programma di stewardship antibiotica da adottare nelle terapie intensive neonatali (16,17). Benchè i CDC siano consapevoli che non tutti i punti possono essere rispettati in tutti gli ospedali e che si deve tener conto, nella realizzazione di una stewardship, delle realtà locali, rimane certo che gli elementi presenti nella checklist si sono dimostrati efficaci nel migliorare l’uso degli antibiotici garantendo la qualità nelle cure e proteggendo al tempo stesso pazienti ed antibiotici. Da ultimo, non meno importante, è necessario segnalare come gli organi di controllo stiano mettendo in atto misure e normative che permettano di ridurre l’uso degli antibiotici nelle fattorie: si stima che in pressoché tutti i paesi europei vi sia stata una riduzione del consumo annuale di antibiotici nelle fattorie tra il 2010 ed il 2011 nonostante il consumo sia ancora elevato (9). 3) Lo sviluppo di nuovi trattamenti o strategie preventive potrebbe permettere di ridurre l’utilizzo degli antibiotici. Tali nuovi trattamenti dovrebbero avere ridotto potenziale di instaurare una resistenza e svolgerebbero la loro funzione potenziando la risposta immunitaria dell’ospite verso un patogeno o limitando l’accesso dei microrganismi ai nutrienti loro necessari. Tra le possibili terapie che in futuro potrebbero essere introdotte nella pratica clinica neonatologica vi sono anticorpi monoclonali anti-microbici, infusioni di globuli bianchi (es. linfociti specifici anti-microbici), farmaci in grado di sottrarre nutrienti ai batteri, ma anche agenti biologici in grado di alterare la capacità dei batteri di innescare l’infiammazione o causare infezione e farmaci in grado di modulare la risposta infiammatoria dell’ospite (es. agonisti o antagonisti delle citochine). Tali trattamenti potrebbero limitare la patogenicità dei microrganismi senza esercitare al tempo stesso una pressione selettiva che induca resistenza (18). Conclusioni L’emergenza di resistenze batteriche agli antibiotici è un problema urgente, che interessa in modo diretto i piccoli pazienti ricoverati nelle UTIN. La riduzione delle resistenze o il rallentamento della loro comparsa devono essere affrontate ad un livello locale e ad un livello globale, con l’intervento coordinato di governi e 152 organi di controllo, tra cui i CDC, ECDC e OMS, per studiare le misure più adeguate a contrastare su più fronti l’emergere di ceppi batterici multi-resistenti. Tali misure dovranno includere strategie che prevengano il diffondersi delle resistenze, che facilitino lo sviluppo di nuove molecole antibiotiche, e che promuovano la ricerca di terapie antimicrobiche innovative. Bibliografia 1. Holmes D. Report urges controversial «delinkage» to foster new antibiotics. Nat Med. 7 aprile 2014;20(4):320. 2. Kuehn BM. CDC: Hospital antibiotic use promotes resistance: checklist can improve practices. JAMA J Am Med Assoc. 16 aprile 2014;311(15):1485–6. 3. May M. Drug development: Time for teamwork. Nature. 1 maggio 2014;509(7498):S4–5. 4. Boucher HW, Talbot GH, Bradley JS, Edwards JE, Gilbert D, Rice LB, et al. Bad bugs, no drugs: no ESKAPE! An update from the Infectious Diseases Society of America. Clin Infect Dis Off Publ Infect Dis Soc Am. 1 gennaio 2009;48(1):1–12. 5. Rice LB. Federal funding for the study of antimicrobial resistance in nosocomial pathogens: no ESKAPE. J Infect Dis. 15 aprile 2008;197(8):1079–81. 6. McKenna M. Antibiotic resistance: the last resort. Nature. 25 luglio 2013;499(7459):394–6. 7. Giuffrè M, Bonura C, Geraci DM, Saporito L, Catalano R, Di Noto S, et al. Successful control of an outbreak of colonization by Klebsiella pneumoniae carbapenemase-producing K. pneumoniae sequence type 258 in a neonatal intensive care unit, Italy. J Hosp Infect. novembre 2013;85(3):233–6. 8. Poirel L, Yilmaz M, Istanbullu A, Arslan F, Mert A, Bernabeu S, et al. Spread of NDM-1-producing Enterobacteriaceae in a neonatal intensive care unit in Istanbul, Turkey. Antimicrob Agents Chemother. maggio 2014;58(5):2929–33. 9. Cully M. Public health: The politics of antibiotics. Nature. 1 maggio 2014;509(7498):S16–17. 10. Hede K. Antibiotic resistance: An infectious arms race. Nature. 1 maggio 2014;509(7498):S2–3. 11. Tsai M-H, Chu S-M, Hsu J-F, Lien R, Huang H-R, Chiang M-C, et al. Risk factors and outcomes for multidrug-resistant Gram-negative bacteremia in the NICU. Pediatrics. febbraio 2014;133(2):e322–329. 12. WHO | The evolving threat of antimicrobial resistance - Options for action [Internet]. WHO. [citato 30 agosto 2014]. Recuperato da: http://www.who.int/patientsafety/implementation/amr/publication/en/ 13. Lewis K. Platforms for antibiotic discovery. Nat Rev Drug Discov. maggio 2013;12(5):371–87. 14. Reardon S. Antibiotic resistance sweeping developing world. Nature. 8 maggio 2014;509(7499):141–2. 15. Patel SJ, Saiman L. Antibiotic resistance in neonatal intensive care unit pathogens: mechanisms, clinical impact, and prevention including antibiotic stewardship. Clin Perinatol. settembre 2010;37(3):547–63. 16. Patel SJ, Saiman L, Duchon JM, Evans D, Ferng Y-H, Larson E. Development of an antimicrobial stewardship intervention using a model of actionable feedback. Interdiscip Perspect Infect Dis. 2012;2012:150367. 17. Patel SJ, Saiman L. Principles and strategies of antimicrobial stewardship in the neonatal intensive care unit. Semin Perinatol. dicembre 2012;36(6):431–6. 18. Spellberg B, Bartlett JG, Gilbert DN. The future of antibiotics and resistance. N Engl J Med. 24 gennaio 2013;368(4):299–302. 153 INQUADRAMENTO CLINICO DELLE FEBBRI PERIODICHE/RICORRENTI Marco Cattalini, Alessandro Plebani Clinica Pediatrica, Università degli studi di Brescia Per un pediatra, l’evenienza quotidiana più comune è quella di trovarsi a dover diagnosticare la causa di una febbre. Nella maggior parte dei casi il quadro clinico è facilmente identificabile e sulla base del solo esame obiettivo e/o di pochi e semplici esami di laboratorio e/o strumentali è possibile porre una diagnosi definitiva ed impostare una corretta terapia. Vi sono tuttavia una minoranza di casi in cui la febbre rappresenta se non l’unico, il sintomo dominante e la sua origine di tutt’altro che immediata identificazione. Nel caso poi tale situazione tenda a prolungarsi oltre pochi giorni (FUO: Fever of Unknown Origin) richiede estesi approfondimenti diagnostici. Altro scenario frequente in un ambulatorio di pediatria è quello di un bambino con manifestazioni febbrili che apparentemente sono riconducibili ad entità cliniche banali (come la faringotonsillite febbrile), ma che colpiscono l’attenzione perché si ripresentano ripetutamente nel corso del tempo in maniera stereotipata. Proprio partendo dall’osservazione di quadri clinici caratterizzati dal ripetersi di episodi febbrili ricorrenti, a partire dagli anni ’80, sono state descritte alcune sindromi, inizialmente definite febbri periodiche. Il termine febbri periodiche, per quanto aspecifico, rendeva ragione della caratteristica principale che accomuna queste sindromi, anche se ognuna di esse presenta segni e sintomi caratteristici, derivanti da uno stato di infiammazione sistemica. Queste malattie sono la Febbre Familiare del Mediterraneo, la TNF Receptor Associated Periodic Syndrome (TRAPS) il Deficit di Mevalonato-Kinasi (MKD, o Sindrome da Iper-IgD), le Criopirinopatie. I progressi delle tecniche di biologia molecolare hanno poi permesso in questi ultimi anni la fine caratterizzazione non solo delle mutazioni genetiche responsabili di ognuna di queste patologie (che quindi attualmente sono anche identificate con il termine di Febbri Periodiche Monogeniche), ma anche la comprensione dei meccanismi eziopatogenetici alla loro base. Proprio sulla base della caratterizzazione dell’eziopatogenesi è stata definita una nuova classe di malattie: le malattie autoinfiammatorie, di cui queste sindromi possono essere considerate il paradigma. Si definisce sindrome autoinfiammatoria una sindrome caratterizzata da episodi spontanei di infiammazione sistemica, in assenza di autoanticorpi o linfociti autoreattivi. Lo studio di malattie così rare come le sindromi autoinfiammatorie ha quindi permesso di identificare un meccanismo, di pertinenza dell’immunità innata, con cui il nostro sistema immunitario genera infiammazione. L’esportazione di questo meccanismo per la comprensione di malattie ben più comuni come la gotta o il diabete non insulino-dipendente, hanno rappresentato progressi rilevanti nel campo della medicina, permettendo di individuare nuovi target terapeutici. La maggior parte delle febbri periodiche sono malattie rare, tanto che un pediatra potrebbe anche non incontrarne mai una nel corso della sua attività, tuttavia la loro conoscenza può permettere una diagnosi precoce, fondamentale per evitare le complicanze a lungo termine di tali patologie, oltre che evitare lunghi e faticosi iter diagnostici ai bambini affetti. L’approccio diagnostico alle febbri periodiche monogeniche si base fondamentalmente sulla conduzione di un’attenta anamnesi e di uno scrupoloso esame obiettivo, che permettano di guidare la diagnosi differenziale tra le numerose patologie che possono presentarsi con febbre in età pediatrica. Un corretto approccio non potrà mai prescindere da un’attenta anamnesi che descriva con precisione le caratteristiche della febbre (temperatura raggiunta, ritmo circadiano, durata degli episodi, durata del periodo intercritico). Questi primi dati permetteranno già di escludere dalla diagnosi differenziale le FUO, condizioni non infrequente nell’età pediatrica, sottesa da molteplici cause, ma di cui la ciclicità non fa parte. Una volta escluse le FUO il pediatra dovrà prendere in considerazione tutte le cause infettive, autoimmuni, neoplastiche che possano determinare un quadro di febbre ricorrente, ancora una volta facendosi guidare dal quadro clinico. Infine, una volta escluse queste possibili cause di febbre ricorrente, verrà naturale pensare che il quadro clinico sia secondario ad episodi di “autoinfiammazione”. Molto spesso infatti è proprio il carattere “autogenerantesi” degli episodi e la ripetizione degli episodi in maniera stereoptipata che attira il medico e porta a considerare una forma di febbre periodica monogenica. Questa ipotesi verrà anche suffragata da esami di laboratorio in grado di documentare l’elevazione degli indici di flogosi e la negatività di colture e autoanticorpi durante gli episodi febbrili. La prima condizione da escludere in questi casi è la PFAPA, patologia piuttosto frequente. In questo caso la sola osservazione delle caratteristiche cliniche, accompagnata da un diario clinico che testimoni l’estrema regolarità degli episodi (clockwork), permette di giungere ad una diagnosi. La pronta decapitazione degli episodi febbrili con l’utilizzo di steroide il primo giorno di febbre, permette di confermare tale diagnosi. Una volta esclusa la PFAPA è necessario guidare la diagnosi differenziale tra le varie forme di febbre periodica monogenica. Sebbene ad una prima valutazione queste malattie possano sembrare difficilmente differenziabili, poiché la gran parte degli organi ed apparati coinvolti è sovrapponibile, un’attenta valutazione delle caratteristiche cliniche di ogni bambino, permetterà agevolmente la conduzione della diagnosi differenziale. In generale l’approccio migliore, a nostro avviso, è l’osservazione delle caratteristiche della febbre e la ricerca di eventuale familiarità. Successivamente andranno studiati attentamente i segni e sintomi associati ad ogni episodio febbrile, alla ricerca di quelli più caratteristici di ognuna delle febbri periodiche monogeniche. Una volta identificata la febbre periodica monogenica più probabile, l’analisi di mutazione del gene coinvolto, permetterà di giungere ad una diagnosi definitiva. 154 LE INFEZIONI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE Susanna Esposito Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura, Università degli Studi di Milano, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano Le infezioni del sistema nervoso centrale dell’età pediatrica, considerate fino dall’inizio dell’era antibiotica malattie pressoché costantemente mortali, conservano ancor oggi una prognosi tutt’altro che favorevole, dal momento che, dei circa 1-2 milioni di casi che ogni anno si verificano in tutto il pianeta, almeno 135.000 vanno incontro a morte e una percentuale non inferiore al 30% presenta reliquati neurologici di gravità più o meno elevata. L’apparente contrasto tra la sempre maggiore disponibilità di possibilità terapeutiche teoricamente efficaci, compresa quella di antibiotici e antivirali attivi sui patogeni più spesso responsabili, ed il permanere di un rischio di evoluzione negativa estremamente elevato nasce soprattutto dal fatto che il danno prodotto da queste malattie non dipende dall’azione diretta dei patogeni responsabili ma è prevalentemente legato alle reazioni infiammatorie indotte dalla presenza batterica, reazioni che, una volta innescate, si mantengono indipendentemente dal permanere degli agenti infettivi. Da qui la considerazione che gran parte del danno neurologico evidenziabile in corso e a valle delle infezioni del sistema nervoso centrale si stabilisce prima dell’inizio della terapia antinfettiva e può procedere fino a concretarsi in lesioni estremamente gravi anche quando l’intervento terapeutico ha eliminato gli agenti patogeni. Se a ciò si aggiunge il fatto che tutti i batteri più spesso presenti hanno recentemente sviluppato resistenze agli antibiotici di più largo uso, si comprende come la possibilità di eliminare totalmente il rischio di una prognosi spesso fortemente negativa non può derivare dal solo utilizzo di farmaci o di altri mezzi terapeutici ma deve soprattutto basarsi sulla prevenzione della malattia stessa. Tutto questo spiega l’estremo interesse rivolto da tutta la categoria pediatrica alle misure di profilassi, siano esse rappresentate dall’uso di antibiotici e antivirali o siano esse fondate sull’impiego di vaccini rivolti contro i singoli agenti batterici. 155 SEZIONE 2 “PEDIATRIA OSPEDALIERA OGGI” Sabato, 15 novembre 2014 Presidente: R. Longhi 11,00 – 13,00 Moderatori: A. Correra, G.G. Parisi 156 SISTEMI QUALITÀ PER LA PEDIATRIA OSPEDALIERA Gianluigi Gargantini Direttore del Dipartimento Materno Infantile Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi Il contesto generale L’importanza di assicurare la qualità in ambito sanitario non è un concetto nuovo, ma il suo significato si è progressivamente evoluto negli anni sia in termini di definizione di qualità , e quindi di aree di applicazione, che di metodologia di approccio (miglioramento continuo). Nell’ultimo decennio, a livello internazionale, le politiche sanitarie si sono fortemente orientate e impegnate nell’obiettivo di erogare cure qualitativamente elevate, sempre più disegnate sulla centralità del paziente e di ridurre i costi non necessari. La letteratura si è pertanto arricchita di esempi di approcci metodologici e strategie evidence based di implementazione della qualità, condotte a vari livelli di sistema (nazionale, regionale, locale) che rappresentano un importante riferimento per i professionisti. Ma qual’ è il nostro vissuto, in tema di qualità? La maggior parte dei professionisti è convinta di operare sempre con la massima attenzione ed accuratezza e che ogni bambino riceva la miglior cura possibile; d’altra parte anche i manager della sanità sono sicuramente convinti di scegliere sempre per il meglio. Tuttavia quando si effettuano valutazioni nell’ambito dell’intero sistema si rileva una significativa variabilità nella qualità delle cure e nell’esperienza dei pazienti. Questo gap è essenzialmente determinato dal fatto che i professionisti non misurano sistematicamente i propri risultati poiché spesso non hanno adeguate conoscenze e/o i supporti necessari per farlo. Se il concetto di medicina basata sull’evidenza ha richiesto anni per essere accettato dai professionisti, è verosimile che anche la cultura relativa alla promozione della qualità necessiti di tempi lunghi per entrare nella pratica professionale. L’Institute of Medicine afferma che nuove conoscenze evidence based possono richiedere fino a 17 anni di tempo prima di essere completamente acquisite dai professionisti. Per superare questa lacuna in molti Paesi, negli ultimi anni, è stato dato un significativo impulso alla formazione, inserendo nei programmi di studio sia sessioni didattiche che la partecipazione a progetti di miglioramento, attraverso l’utilizzo di specifici strumenti quali ad esempio le Break-through Series sviluppate nel 1995 dall’Institute for Healthcare Improvement. La stessa Accademia Americana di Pediatria, nel 2002, ha inserito come quarto punto del programma per il mantenimento della Certificazione Professionale la capacità di valutare e migliorare la qualità, promovendo lo sviluppo di appositi strumenti per le diverse subspecialità pediatriche. Una recente indagine condotta negli Usa a livello nazionale, mediante questionario, evidenzia che l’85% dei Direttori di Scuole Pediatriche dichiara la presenza di questo tema nei programmi di insegnamento, con orientamento alla metodologia del miglioramento continuo nel 66% delle realtà. Il 70% dei residenti afferma che il training sul miglioramento continuo è ben organizzato e risponde alle loro aspettative; il 75% si considera pronto ad utilizzare gli strumenti del miglioramento nella pratica (1-2). Le strategie per migliorare la qualità Prima di affrontare le specificità della pediatria, è importante porre l’attenzione su alcuni fattori di carattere generale, che risultano essere elementi critici perchè il miglioramento possa davvero realizzarsi nella pratica, e che sono così sintetizzabili: -riconoscere la nostra responsabilità per migliorare il sistema in cui lavoriamo; concetto chiaramente espresso da P. Batalden (Senior dell’Institute for Healthcare Improvement):“We all have two jobs: to do our work and to improve it” -misurare le cose utili e carenti nella singola realtà con criterio di priorità e con approccio patient centered (tipologia di indicatori tuttora carente per alcuni settori assistenziali pediatrici); -attuare una appropriata leadership: i migliori risultati sono raggiunti là dove chi ha la responsabilità di governo si adopera per creare un contesto culturale e organizzativo che aiuti tutti i professionisti a modificare i comportamenti (sostenere la capacità di lavorare in gruppo, flessibilità, promuovere senso di fiducia e sostegno, supporto, ecc), favorendo il lavoro di team. Le organizzazioni in sanità sono un’insieme complesso e il risultato della singola azione è determinato dalle interazioni tra le diverse componenti del sistema; in quest’ottica è quindi fondamentale l’integrazione collaborativa tra clinici e manager per definire progetti di miglioramento e sviluppare nuovi approcci da una prospettiva più ampia; -coinvolgimento e alleanza con pazienti e famiglie (condivisione delle informazioni e delle decisioni, con il contributo di ciascuno dalla propria prospettiva); -valorizzazione dei giovani professionisti quali possibili catalizzatori del cambiamento, creando una cultura aperta che favorisca l’innovazione e la sperimentazione. Vi sono esempi di sviluppo di piattaforme specificatamente finalizzate alla condivisione e pubblicazione di nuove idee e progetti di miglioramento (es. Running Horse Group) (3). 157 La qualità in pediatria Il concetto di qualità in pediatria è sintetizzabile nei termini di “assistenza appropriata e costruita attorno alla centralità del bambino/adolescente e della sua famiglia”,i cui principi generali sono sanciti dalla Convenzione Internazionale ONU sui diritti dei bambini e ulteriormente dettagliati nella Carta Europea dei diritti dei bambini in ospedale (4). L’applicazione di questi diritti nell’ambito dei setting di cura per acuti è considerata come acquisita, in realtà questi aspetti necessiterebbero di sistematiche analisi, che invece sono scarsamente rappresentate nella letteratura di interesse assistenziale e sono solitamente condotte in ambiti limitati e con metodi di misura non standardizzati. (5-6) La pediatria ha da sempre affermato la specificità delle cure al bambino/adolescente e alla sua famiglia, individuando l’area pediatrica quale ambito in cui poter garantire un’adeguata risposta ai loro peculiari bisogni. A fronte di un significativo impegno a diffondere questo modello, che è stato anche raccomandato in vari documenti di programmazione sanitaria, a partire dal Progetto Obiettivo Materno Infantile – P.S.N. 1998-2000, non si è tuttora realizzata una sua estesa applicazione (solo il 72.2% dei soggetti 0-17 anni è ricoverato in reparti di area pediatrica; il 16% in età 15-17 anni). In Regione Lombardia, dove il ricovero dei minori in reparti di area pediatrica è espressamente indicato tra i requisiti di accreditamento delle strutture ospedaliere (1998), la situazione, seppur migliore rispetto al dato nazionale, necessita tuttora di significativa implementazione con una percentuale di ricovero pari a 76.7% nel 2013 (0-1mese: 99.5%; 1-5aa; 85%, 6-14aa: 63,9%; 15-17aa: 38.4%). I tassi di ospedalizzazione, sebbene in progressiva riduzione, sono tuttora elevati in rapporto agli standard europei e presentano significativa variabilità tra le diverse regioni. Nel rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero (dati SDO 2013) sono riportati i seguenti tassi di ospedalizzazione per fasce di età: età <1anno: 417,3%° ;1-4aa: 68%°; 5-14aa: 36,5%°;15-17aa: 43,3%° (dato riferito all’anno 2012). Relativamente all’appropriatezza assistenziale, recenti ricerche condotte in ambito nazionale, evidenziano, anche nel nostro Paese, la presenza di un significativo gap tra raccomandazioni evidence based e pratica clinica, con significativa variabilità tra le diverse realtà. (7-8) Per quanto riguarda infine gli aspetti relativi ad accoglienza e supporto ai bambini/adolescenti e alle loro famiglie, l’indagine conoscitiva condotta nell’ambito della Società Italiana di Pediatria nel 2010, riferita a 237 reparti pediatrici, evidenzia ampie aree che necessitano di miglioramento. Queste criticità e le raccomandazioni per il loro superamento sono riportate nel 7° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, elaborato dallo specifico Gruppo di Lavoro (CRC) e presentato a Roma nel giugno 2014. E’ indubbia quindi la necessità di attivare sistematiche analisi e di promuovere progetti di miglioramento. Gli strumenti per la qualità Negli ultimi anni si è sviluppato un gran numero di metodi e strumenti di misura per migliorare la qualità, ma questi strumenti hanno tutti la stessa efficacia nella nostre realtà? Spesso le organizzazioni attivano programmi di miglioramento condotti con successo in altre realtà, senza però riuscire ad ottenere i medesimi risultati. La scelta della strategia appropriata, infatti, necessita di informazioni relative al contesto in cui la si vuole applicare. Vi è evidenza, ad esempio, come lo stesso audit, che rappresenta un elemento chiave nel processo di miglioramento, possa risultare strumento inefficace ad indurre il cambiamento in assenza di strutturazione specificatamente orientata al miglioramento. Vanno quindi attentamente analizzate le condizioni locali che potrebbero influenzare i risultati a cui siamo interessati (quali ad esempio: caratteristiche della leadership, formazione del personale, disponibilità di risorse e supporti adeguati, presenza di un sistema di feedback delle performance) e, poiché le nostre organizzazioni costituiscono un insieme di interazioni tra diverse componenti del sistema, è necessario non limitarsi ad una analisi di micro contesto operativo, ma estenderla al contesto nel suo complesso. A questo proposito è in atto la ricerca di strumenti per la misura delle caratteristiche del contesto (Standards for Quality Improvement Reporting Excellence) che consenta di individuare gli elementi condizionanti il risultato delle iniziative di miglioramento continuo.(9) - La certificazione “All’altezza dei bambini” Molti Paesi hanno definito standards che consentissero la traduzione dei principi espressi nella Carta dei diritti del bambino/adolescente in ospedale nella pratica clinica; nel 2008 la Società Italiana di Pediatria (SIP) e la Fondazione Associazione Bambino in Ospedale, con il supporto di Progea & Joint Commission International, hanno elaborato uno specifico manuale in cui sono esplicitati i requisiti da soddisfare e hanno avviato un programma di accreditamento volontario dei reparti pediatrici cui hanno attualmente aderito 10 strutture. La definizione di un set di requisiti che devono essere soddisfatti per garantire qualità e sicurezza dei pazienti pediatrici, indipendentemente da dove esse abbiano luogo, e che rappresentino riferimento comune, è indispensabile per il superamento della estrema eterogeneità che caratterizza le strutture pediatriche del nostro Paese. La traduzione di concetti teorici, peraltro universalmente condivisi, in azioni da attuare, con specifici elementi misurabili, consente l’avvio di un processo di miglioramento certificato (www.allaltezzadeibambini.org). 158 - I network Il Network collaborativo rappresenta uno strumento di provata efficacia che si è progressivamente sviluppato in ambito pediatrico; in occasione del Meeting Nazionale sui Network collaborativi per il miglioramento, promosso nel novembre 2011, dall’American Board of Pediatrics, si è affermato che esso dovrebbe essere parte essenziale nella pratica pediatrica, al pari dell’uso dello stetoscopio. Questo modello è raccomandato anche dall’Institute of Medicine e dal Patient Centered Outcomes Research Institute. Esso consente, attraverso lo scambio di esperienze tra i professionisti, la diffusione delle migliori pratiche assistenziali, la collaborazione attiva dei pazienti e delle loro famiglie e la ricerca, nello sforzo comune di migliorare i risultati e generare nuova conoscenza. Alcune esperienze hanno dimostrato anche significativa riduzione dei costi dell’assistenza. Va rilevata la sostanziale differenza tra network collaborativi finalizzati alla diffusione di conoscenze (quali i Rapid Learning Networks) a tempo limitato, solitamente 12-18 mesi, da quelli finalizzati al miglioramento, che rimangono attivi fino al raggiungimento dei risultati prospettati. Elementi indispensabili al loro successo sono: focus su un problema di impatto elevato; supporto di esperti sia in area clinica che in strategie di miglioramento, che possano garantire idee evidence based, training e coaching; individuazione di elementi misurabili e sistema di raccolta dati con feed back in tempo reale; attività collaborative (es. workshop, seminari mensili via web, interventi di formazione nelle singole realtà operative); supporto di infrastrutture. (10-11) A titolo esemplificativo ricordiamo alcune esperienze che danno evidenza di quanto sopra riportato: Il network della Physician Hospital Organization (PHO) nel 2003 ha attivato un programma di miglioramento del trattamento dell’asma e ha attualmente un impatto su circa 13.00 bambini asmatici, di cui il 94% riceve una cura corretta. Il California Perinatal Quality Care Collaborative (CPQCC) network, attivatosi nel 1997 come ramificazione del Vermont Oxford, ha come obiettivo il miglioramento della qualità assistenziale e degli outcomes perinatali in California e rappresenta più del 90% dei neonati di peso molto basso. Tra i risultati ottenuti: riduzione del 78.9% delle infezioni associate a catetere centrale, allattamento materno alla dimissione del 64.9%, 74% di normotermia nei neonati rianimati in sala parto. Il network Solutions for Patient SafetY (SPS) degli ospedali pediatrici dell’Ohio in 24 mesi di attività ha ottenuto la riduzione del 60% delle infezioni dei siti chirurgici e del 34.5% degli eventi avversi da farmaci, con conseguente diminuzione delle degenze in ospedale e risparmio superiore a 11.8 milioni di dollari. (12) Nella realtà pediatrica italiana questo modello operativo si è attivato in epoca più recente rispetto ad altre realtà internazionali ed è tuttora poco rappresentato, in parte per una consapevolezza ancora insufficiente dell’importanza di documentare i risultati della propria attività clinica, in parte per la mancanza dei supporti necessari. Accanto ad alcuni network finalizzati a patologie ad elevata complessità, va ricordata l’attivazione, nel giugno del 2009, da parte del Gruppo di Studio per il Miglioramento della Qualità, della Società Italiana di Pediatria, di un network pediatrico con l’obiettivo di coinvolgere in un processo di miglioramento i reparti di pediatria ospedaliera su patologie di maggior impatto nella pratica clinica. L’importanza che tali iniziative siano acquisite e adeguatamente supportate dalle Società Scientifiche ci viene esemplificato dall’esperienza del Pediatric Research in Inpatient Settings (PRIS) network, che ha attivato tre progetti nell’ambito della Pediatria ospedaliera: “The Prioritization Project” con una prima fase di individuazione dei patologie mediche e chirurgiche ad elevata prevalenza, elevati costi e/o variabilità nell’utilizzo di risorse e una seconda fase per la misura della qualità e della variazione nell’utilizzo di risorse per chetoacidosi diabetica, tonsillectomia, appendicite e polmonite; “The Pediatric Health Information System Plus” finalizzato alla raccolta di dati clinici (compresi laboratorio, microbiologia, radiologia, ecc,) per studi comparativi di efficacia; “Accelerating Safe Sign-outs” focalizzato alla valutazione degli outcomes. (13) Bibliografia: 1-K.Mann, M.Craig, J.Moses Quality improvement educational pratices in Pediatric residency programs:survey of pediatric directors Acad Pediatr 2014 Jan-Feb, 14 (1), 23 2-M.Craig, L.Garfunkel, C.baldwin, K.Mann, J.Moses, J.Co, A.Blumkin, P.Szilagyi Pediatric residents education in quality improvement:a national survey Acad Pediatr 2014, 14 (1), 54-61 3-R.Klaber, D. Roland Delivering quality improvement: the need to believe it is necessary Arch Dis Child 2014, 99:177 4-Committee on Hospital Care and Institute for Patient and Family Centered Care Patient-and family-centered care and the pediatrician’s role. Pediatrics 2012 129:394-404 5-M.Kelly, S.Jones , V.Wilson, P.Lewis How children’s rights are constructed in family-centered care: a review of the literature program 159 J Child Health Care 2012, 16,190 6-M.Kelly, S.Jones , V.Wilson, P.Lewis How children’s rights are constructed in family-centered care: a review of the literature J Child Health Care 2012, 16,190 7-P. Ferrante, M. Cuttini, T. Zangardi, C. Tomasello, G. Messi, N. Pirozzi, V. Losacco, S. Piga, F. Benini ,The PIPER Study Group Pain management policies and practices in pediatric emergency care: a nationwide survey of Italian hospital BMC Pediatr. 2013 Sep 10;13:139 8-A.L.Vecchio, I.Liguoro, D. Bruzzese, R.Scotto, L.Parola, G.Gargantini, A.Guarino Adherence to guidelines for management of children hospitalized for acute diarrhea Pediatr Infect Dis J. 2014, May 14. 9-K.McDonald Considering context in quality improvement interventions and implementation: concepts, framework and application Academ Pediatr 2013, 13, 6, S45 10-C.Lannon,P.Miles Pediatric collaborative improvements networks: bridging quality gaps to improvement health outcomes Pediatrics 2013, 131, S 187 11-C.Clancy, P.Margolis, M.Miller Collaborative networks for both improvement and research Pediatrics 2013, 131, S210 12-A.Billet, R.Colletti, K.Mandel, S.Muething, P.Sharek,m C.Lannon Exemplar pediatric collaborative improvement networks: achieving results Pediatrics 2013, 131, S196 13-D.Tamara, M.Simon, A.Starmer, P.Conway, C.Landrigan, S.Shah, M.Shen et all. Quality improvement research in pediatric hospital medicine and the role of the Pediatric Research in Inpatient Settings (PRIS) Network Acad Pediatr, 2013, 13, 66, S54 160 IL NETWORK PEDIATRICO Dott. Luciana Parola U.O. Pediatria e Neonatologia con Patologia Neonatale, Ospedale di Magenta AO “Ospedale Civile di Legnano” PREMESSA Il fondamento etico della ricerca della qualità in medicina è ribadito nella “Carta della professionalità medica”, elaborata dalla Federazione Europea di Medicina Interna, dall’American College of Physicians-American Society of Internal Medicine (ACP-ASIM) e dall’American Board of Internal Medicine (ABIM): “I Medici devono adoperarsi affinché la qualità delle cure migliori costantemente”. Questo impegno non implica soltanto assicurare competenza clinica, ma anche collaborare con altri professionisti per ridurre l’errore medico, aumentare la sicurezza dei pazienti, minimizzare l’utilizzo eccessivo delle risorse sanitarie e ottimizzare gli esiti della cura E’ noto come qualunque iniziativa finalizzata al miglioramento della qualità debba necessariamente prevedere strumenti per il monitoraggio dei risultati e come la verifica della propria attività da parte dei professionisti rappresenti il fondamento su cui si basa il miglioramento continuo. Da numerose segnalazioni in letteratura si rileva come in molte realtà la disponibilità di Linee Guida abbia modificato solo parzialmente e in modo assai variabile la pratica clinica, mentre vi è evidenza che progetti collaborativi condivisi dedicati al miglioramento della qualità su specifici problemi abbiano prodotto effetti positivi nelle misure di esito e processo. La realtà attuale dell'assistenza è caratterizzata da una significativa variabilità nell'erogazione delle cure, con difficoltà a trasferire le conoscenze scientifiche disponibili nella pratica clinica, e da una limitata disponibilità di risorse. Database clinici dedicati (network) consentono l'attivazione di flussi informativi per descrivere i processi assistenziali e gli esiti relativi a casistiche di dimensioni significative e il confronto tra pari. Fondamentale è il ritorno delle informazioni alle unità partecipanti per indurre i cambiamenti: audit and feedback I NETWORK PEDIATRICI NEL MONDO Per network si intende una libera e volontaria associazione tra professionisti, finalizzata al miglioramento delle prestazioni sanitarie e della loro appropriatezza per la cura di una determinata categoria di pazienti attraverso un programma coordinato di ricerca, formazione e miglioramento della qualità. Come supporto per le proprie attività il network deve gestire un database con gli elementi specifici (indicatori di processo, outcomes clinici, ecc.) inerenti al problema ed in cui sono contenute le informazioni che consentono l'analisi sui punti di forza e sui punti di debolezza del sistema monitorizzato e la valutazione degli elementi di variabilità del processo assistenziale e di outcome clinico tra le unità operative collegate alla rete. Per il corretto funzionamento di una rete di lavoro, è fondamentale che i dati elaborati siano disponibili per tutti i centri partecipanti: così sì garantisce un chiaro riconoscimento del contributo di ciascuno e si consente il continuo monitoraggio dei propri risultati clinici o delle proprie procedure, anche in rapporto alle altre realtà operative aderenti al network, che va quindi considerato patrimonio comune. In ambito internazionale, iniziative di misura della qualità in pediatria sono state attivate in epoche successive a quanto realizzato per la popolazione adulta e gli indicatori validati sono tuttora riferiti ad un numero limitato di condizioni. A partire da metà anni ’80, sono presenti rilevanti esperienze di raccolta dati a rete nell’ambito di progetti collaborativi finalizzati al miglioramento. Il Vermont Oxford Network, attivato nel 1988, è il più importante database internazionale di neonati di peso molto basso, cui nel 2005 ha aderito la Società Italiana di Neonatologia. In ambito pediatrico nel 1986 nasce in Inghilterra l’Unità di Sorveglianza Nazionale cui seguono analoghe iniziative in diversi Stati che portano alla costituzione, nel 1998, dell’International Network of Paediatric Surveillance Units (INoPSU). Il Canadian Paediatric Surveillance Program, a partire dal 1996, ha attivato una raccolta dati relativa a 37 condizioni patologiche cui partecipano più di 2.500 pediatri. Ci sono numerosi network per la messa a rete e la ricerca nell’ambito delle malattie rare. Il PRIS (Pediatric Research in Inpatient Settings), fondato nel 2001, è considerato il più grande network di ricerca riguardo la degenza pediatrica nel mondo. Comprende circa 500 hospitalist e 50 centri pediatrici negli Stati Uniti e in Canada. Si occupa di patologie sia acute che croniche e di elaborazione di strategie di applicazione dei risultati della ricerca comparativa per produrre risultati migliori per i bambini ricoverati e le loro famiglie. Gran parte del lavoro iniziale di PRIS ha permesso di individuare l'enorme differenza tra i vari ospedali nei processi e negli esiti di cura per una varietà di condizioni pediatriche acute e croniche. Obiettivo è quindi la riduzione della variabilità nelle cure attraverso l'identificazione delle migliori pratiche e la standardizzazione delle stesse al fine di migliorare i risultati e ridurre i costi. Il PECARN (Pediatric Emergency Care Applied Research Network) è un network per la ricerca in medicina d'urgenza pediatrica negli Stati Uniti. Esperienze simili si sono progressivamente diffuse in vari Paesi. Una recente revisione della letteratura ha documentato come questi progetti, che incoraggiano i gruppi a scambiare e condividere esperienze e buone pratiche, hanno effetti positivi sulle misure di processo ed esito. 161 IL NETWORK PEDIATRICO NAZIONALE Il Gruppo di Studio per la Qualità e l’Accreditamento ha attivato nel giugno 2009 il Network Nazionale aperto a tutte le Pediatrie Ospedaliere relativamente a 4 patologie: Asma acuto (età >2 anni), Meningite batterica (età >28 giorni), Porpora Trombocitopenica Idiopatica (1° episodio), Diabete tipo 1 (esordio con o senza chetoacidosi), selezionate in rapporto a prevalenza, gravità, riscontro di significativa variabilità clinica nella gestione delle stesse. E’ stato utilizzato uno strumento informatico per la raccolta dati mediante schede condivise con le Società Scientifiche degli specifici settori specialistici e costruite in rapporto a percorsi assistenziali evidence based disponibili in letteratura. La scelta delle Linee Guida ha avuto, come punto di riferimento, la loro valutazione secondo il metodo AGREE. Nel 2011, è stata aggiunta la scheda sulla gastroenterite acuta. L'intera raccolta dati è terminata nel 2013, avendo fornito dati sufficienti per individuare, sia a livello macro (regionale/nazionale) che micro (intra-ospedaliero) i punti critici su cui intervenire per migliorare l'adesione alle LG. Nel corso della raccolta dati i risultati sono stati disponibili e discussi in varie riunioni scientifiche, la sintesi definitiva è disponibile sul sito networkpediatrico.sip.it. nella sezione “Pubblicazioni”. E' stato messo a punto un programma automatico di analisi statistiche che consente a ciascun centro partecipante di accedere al report costantemente aggiornato dei propri dati e di confrontarlo con quello relativo a tutta la casistica regionale e/o nazionale afferente al network. Il programma è inoltre strutturato per la comparazione differenziata negli anni e in rapporto a fasce di età per asma (2-5 anni, > 5 anni) e diabete (<3 anni, 3-5 anni, >5 anni). Ciascun centro può inoltre accedere all'archivio di tutte le proprie schede inserite e ai dati relativi alla propria casistica, con possibilità di scaricarli. Specifiche analisi dei dati, finalizzate ad evidenziare i punti di forza e i punti di debolezza del sistema monitorato, vengono condotte annualmente con il supporto del Comitato Scientifico. RISULTATI I Centri partecipanti sono stati 128, le schede inserite 1340 (Figura 1, Tabella 1) I ricoveri totali nei Centri aderenti sono stati 157037. Figura 1. Distribuzione geografica dei Centri partecipanti patologie Asma > 2 anni PTI Diabete tipo 1 - esordio Meningite batterica > 1 mese Gastroenterite acuta < 5 anni N Centri 74 61 59 58 31 N Schede 431 73 228 88 620 Tabella 1. Schede inserite I dati complessivi sono a disposizione sul sito www.networkpediatrico.sip.it. In questa sede verranno descritti alcuni dati sintetici sulle principali patologie oggetto del network. 162 ASMA BRONCHIALE ETA’ > 2 ANNI La Tabella 2 mostra alcuni risultati del network sull’asma bronchiale (431 pazienti). L’80% dei soggetti si rivolge spontaneamente direttamente all’ospedale. Se ciò può rappresentare un indice della gravità dell’episodio, più frequentemente è la conseguenza dell’assenza di un piano predefinito con il pediatra curante per il trattamento dell’attacco acuto e di una verifica della capacità della famiglia ad effettuare correttamente la terapia. Più della metà dei casi osservati (55%) ha un’anamnesi positiva per asma. Inoltre il 20% di questi ha già avuto un ricovero nei 12 mesi precedenti, evento che rappresenta un indicatore di scarso controllo domiciliare della malattia; La SaO2 viene rilevata nel 95% dei casi ma la FR, fondamentale per un accurata definizioni clinica, viene rilevata solo nel 64% dei casi all’ingresso. Circa la metà dei soggetti esegue un controllo radiologico, indipendentemente dall’età e dal dato anamnestico di asma nonostante ci sia evidenza che la radiografia del torace nel bambino con asma acuto non apporta informazioni aggiuntive e pertanto non dovrebbe essere effettuata di routine, Relativamente al trattamento, va rilevato un appropriato utilizzo dell’ossigenoterapia in rapporto ai valori di saturimetria riscontrati all’ingresso. I farmaci beta 2 agonisti, cardine nella terapia dell’asma, sono stati somministrati nella quasi totalità dei pazienti e prevalentemente per via aerosolica: l’uso di spray pressurizzato e distanziatore è invece piuttosto limitato. Si evidenzia un elevato utilizzo dei cortisonici, che vengono somministrati in modo tempestivo e per via orale in una alta percentuale di casi. Si segnala tuttavia un uso incongruo della terapia cortisonica sistemica, che da Linee Guida andrebbe prescritta a pazienti con asma di grado moderato e grave ma che è stata invece somministrata anche a bambini con asma lieve. Si segnala inoltre un discreto uso di steroidi inalatori nonostante la scarsa indicazione clinica nel trattamento dell’asma acuto. Significative criticità emergono relativamente alla dimissione, che deve essere occasione per aiutare i bambini e le loro famiglie a prevenire ulteriori episodi. La consegna di istruzioni scritte per i comportamenti da attuare in caso di accesso acuto avviene solo in circa metà dei bambini e ben il 46% di soggetti viene dimesso senza un piano di trattamento scritto. Analoghe considerazioni emergono sulle modalità di follow up, dove la programmazione di un controllo sia presso il curante che presso lo specialista si verifica solo nel 27% dei casi. Questi aspetti danno ragione dell’elevato numero di bambini che, pur con patologia già nota, si rivolgono all’ospedale, senza neppur avere iniziato un trattamento domiciliare, e della significativa percentuale di ricovero ripetuto. E’ quindi indispensabile migliorare l’integrazione tra ospedale e territorio nell’ambito di percorsi assistenziali condivisi che assicurino una adeguata presa in carico dei pazienti evitando l’inappropriato accesso alle strutture ospedaliere. GASTROENTERITE ACUTA Le Tabelle 3,4,5 mostrano alcuni dati raccolti nel network gastroenterite acuta età<=5 anni (612 casi). 163 Tabella 3 Tabella 4 Tabella 5 164 Questi dati mostrano un eccesso di ricoveri per gastroenterite acuta (30-60% inappropriati), un eccesso di indagini diagnostiche, in particolare coproculture, un uso eccessivo di farmaci. Un percorso di miglioramento porterebbe quindi a benefici per i pazienti ma anche a un notevole risparmio economico. DIABETE MELLITO TIPO 1 ALL’ESORDIO, CON O SENZA CHETOACIDOSI Tabella. Distribuzione pazienti secondo il valore di pH all’ingressso Valore pH all’ingresso <7,00 7,00 <7,10 7,10 <7,20 7,20 <7,30 7,30 <7,35 7,35<7,40 7,40 Numero pazienti 7 32 16 30 45 73 25 % 3 14 7 13 20 32 11 I dati si riferiscono a 228 casi. Si è avuta una prevalenza nel sesso maschile: 120 maschi e 102 femmine. L’accesso spontaneo al P.S. si verifica nel 43% dei casi, questo può stare a indicare una carenza di attenzione e una scarsa conoscenza del problema sul territorio. Per quanto riguarda la durata dei sintomi pre-ricovero, il 33% dei casi li fa risalire ad almeno 15 giorni prima. Poliuria e polidipsia vanno di pari passo, se non per una segnalazione di polidipsia più precoce; nel 4% dei casi, i sintomi erano presenti da oltre 2 mesi. La durata dei sintomi pre-ricovero 15 giorni è decisamente elevata; anche questo dato indicherebbe una scarsa attenzione da parte del curante e delle famiglie. La gravità dei sintomi all’ingresso, rappresentata dalla presenza di shock, coma, disidratazione sopra il 10% non è trascurabile: il 7% presenta segna di shock e l' 8% è gravemente disidratato. E’ da sottolineare la carenza nella rilevazione dei parametri vitali: la frequenza respiratoria viene registrata solo in poco più di un terzo dei pazienti all’ingresso. L’alterazione dei parametri di laboratorio all’ingresso indica che il 37% si presenta con un pH inferiore a 7,30 (e il 24 % sotto 7,20). L’Hb glicata nel 64% dei casi si colloca nel range tra 10 e 15%, ma nel 9% è oltre il valore di 15%. La quota maggiore di pazienti, 52%, si presenta all’esordio con una glicemia >400 mg/dl e <=600 mg/dl. Il 20% >600 mg/dl. La chetonemia è stata rilevata solo in 47 pazienti (33,5%) nonostante questo parametro venga indicato nelle linee guida perché più significativo del ripristino dell’equilibrio metabolico. La sua scomparsa anticipa anche di 24 ore quella dei chetoni urinari e consente l’eventuale più rapida sospensione della terapia endovenosa. Tra le complicanze viene confermata la presenza di ipopotassiemia (9%). E’ segnalato un caso di edema cerebrale (con pH <7,20). La degenza media è di 9 giorni. Alla dimissione è prescritta nella maggior parte dei casi insulina sottocute (89%) ed è interessante il dato del 2% dei soggetti dimesso con insulina in microinfusore. L’8% dei soggetti è trasferito in altri centri pediatrici e/o di riferimento. Un solo soggetto è stato trasferito in rianimazione. La maggior parte dei soggetti viene seguita presso il proprio Ambulatorio specialistico. La rilevazione di questi dati ha messo in evidenza i punti critici e indicato le aree di miglioramento, in particolare: , nonché delle famiglie per all’ingresso, prestare più attenzione agli aspetti relativi all’idratazione e all’inizio della somministrazione di insulina, utilizzare la chetonemia nella gestione dell’esordio, aumentare l’integrazione ospedale – territorio nel follow up. PORPORA TROMBOCITOPENICA IDIOPATICA Tabella 6: Distribuzione delle modalità di trattamento nei casi di PTI Terapia Numero % Ig 0.8 g/Kg per 1 g 30 41 Ig 2 g/Kg in 2-5 gg 13 18 Metilprednisolone 15 mg/Kg ev per 3 gg 7 9,5 Ig 0,8 g/Kg + cortisone 7 9,5 Ig 2 g/Kg + cortisone 4 5,5 Ig 0,8 g/Kg – Ig 2 g/Kg 2 2,75 Cortisone (altri schemi) 2 2,75 Nessuna terapia 8 11 I dati si riferiscono a 73 casi. Non è stata rilevata prevalenza di sesso: dei 73 casi, 36 sono maschi e 37 femmine. Nel 100% dei casi si è trattati di ricovero ordinario. La sintomatologia manifestata dai pazienti 165 all’ingresso è stata lieve (A) in 34 casi e media (B) in 39 casi; non sono segnalati casi con sintomatologia grave. In 47 casi (64.38%) i valori di piastrine erano < 10000 e in 15 casi (20.55%) 10000 e <20000. Sono stati ricoverati anche 9 pazienti con piastrine > 20000 e 2 con piastrine > 50000. Tra gli esami eseguiti all'ingresso: emocromo nella quasi totalità dei casi, striscio periferico nell’ 80,6% dei casi, anche se secondo le linee guida dovrebbe essere valutato sempre. I test di coagulazione, non utili secondo le linee guida, vengono eseguiti in circa il 60% dei casi. La ricerca degli anticorpi antipiastrine anche se effettuata nel 36,1% , non risulta necessaria per la diagnosi. La sierologia infettiva viene effettuata nel 74% , aspirato midollare nel 29 %. La terapia prevalente è stata quella con immunoglobuline. La maggior parte dei pazienti (74%) è stata dimessa con un numero di piastrine superiore a 50.000. Non sono stati segnalati decessi, la maggior parte dei pazienti è stata dimessa direttamente dal reparto accettante mentre 4 sono stati trasferiti presso un altro Centro. MENINGITI BATTERICHE (ETA' > 28 GIORNI) I dati si riferiscono a 88 casi totali. La maggioranza dei casi è costituito da maschi: 58 maschi (67%) e 28 femmine (33%). Al momento del ricovero, il 50% dei pazienti ha già iniziato una terapia antibiotica. L'86 % ha effettuato la rachicentesi all’ingresso in Ospedale. L’esame colturale del liquor è stato eseguito per tutti i pazienti, l’emocultura per il 91% dei casi. La ricerca degli antigeni batterici e la PCR su liquor sono state effettuate rispettivamente nel 67% e 42% dei bambini, mentre la PCR su sangue nel 33%. L’esame batterioscopico è stato eseguito nel 81% dei casi. L’agente eziologico non è stato identificato in 27 pazienti (31%). Distribuzione % degli agenti eziologici: streptococcus pneumoniae 20, n. meningitidis 34, haemophilus influenzae 1, altro 14, non identificato 31. Dei casi con eziologia nota, il 55% avevano l’esito dell’antibiogramma disponibile entro 3 giorni. Nel 64% dei soggetti l’antibiotico è stato somministrato entro un’ora dal sospetto diagnostico. Il trattamento con desametasone e.v. è stato effettuato nel 64% dei pazienti. 24 pazienti hanno eseguito una seconda rachicentesi. Il 64% dei pazienti (56 casi) non ha avuto complicanze, tra i restanti bambini sono state osservate DIC (5), shock (3), SIADH (2), febbre persistente (4), convulsioni (8), emorragia cerebrale (2), altro (18). 78 pazienti sono stati dimessi guariti (89%) e 5 (6%) con deficit neurologici; 5 pazienti sono stati trasferiti: 1 in rianimazione, 2 in neurochirurgia, 1 in reparto infettivologia, 1 in altro reparto pediatrico. 37 pazienti hanno eseguito i potenziali evocati durante il ricovero mentre ad altri 37 pazienti sono stati programmati dopo la dimissione. La durata media della degenza è stata di 16 giorni. Non vi sono stati decessi. A 37 pazienti sono stati programmati i potenziali evocati dopo la dimissione. La rilevazione di questi dati ha messo in evidenza i punti critici e indicato le aree di miglioramento, in particolare: al momento del ricovero tutti i pazienti hanno effettuato la coltura del liquor cefalorachidiano e la quasi totalità l’emocoltura, nel 30% circa dei casi non è stato però possibile diagnosticare l’agente causale della meningite. Nella nostra casistica, quasi la metà dei pazienti era già in trattamento antibiotico al momento dell’arrivo in Ospedale; è quindi auspicabile aumentare il ricorso alla PCR, in modo da incrementare il numero di casi ad eziologia confermata. La tempestività di inizio del trattamento antibiotico intra-ospedaliero potrebbe essere migliorata, (il 30% circa dei pazienti ha ricevuto la prima dose dopo più di un’ora dal ricovero). CONCLUSIONI Lo strumento del network ci sembra di importanza fondamentale per valutare il proprio operato e mettere in atto iniziative di miglioramento. E’ inoltre possibile una valutazione comparativa dei propri dati con quelli nazionali o regionali e con se stessi nel tempo. La disponibilità di dati complessivi può essere inoltre utilizzata dalle società scientifiche per mettere in campo iniziative di formazione mirate sui bisogni ed eventuali modifiche organizzative basate su dati recenti. L’ obiettivo futuro è promuovere una partecipazione il più allargata possibile al Network così che possa acquisire valenza rappresentativa delle realtà pediatrica italiana e possa costituire strumento efficace per migliorare l’appropriatezza di scelte non soltanto cliniche, ma anche programmatiche e organizzative. Implementare una modalità assistenziale univoca nelle diverse realtà regionali e nazionali acquisisce una forte valenza etica, l'applicazione delle linee guida ha permesso risparmio di risorse (es. riduzione del n. di radiografie del torace in soggetti affetti da asma) , riduzione del disagio e del rischio per il paziente ospedalizzato, riduzione dei costi. PROGETTI FUTURI Nel 2014 sono state elaborate due nuove schede per iniziare l’osservazione di due patologie che impegnano dal punto di vista clinico e sono tuttora oggetto di controversie per gli aspetto diagnostici e terapeutici: 166 BRONCHIOLITE e ALTE (Apparent life threatening event). E’ nostro obiettivo promuovere una partecipazione il più allargata possibile al Network così che possa acquisire valenza rappresentativa delle realtà pediatrica italiana e costituire strumento efficace per migliorare l’appropriatezza di scelte non soltanto cliniche, ma anche programmatiche e organizzative. BIBLIOGRAFIA - ABIM Foundation - American Board of Internal Medicine, ACP-ASIM Foundation - American College of Physicians-American Society of Internal Medicine, European Federation of Internal Medicine, “Medical professionalism in the new millennium: a physician charter”, Annals of Internal Medicine 2002 Feb 5, 136: 243246 and The Lancet 2002 Feb 9, 359: 520-522 - Barbato A, Cutrera R, De Benedictis FM et Al. “Gestione dell’attacco acuto di asma in età pediatrica”, Linea Guida SIP - Berg S, Trallfors B, Hugosson S et Al. “Long-term follow-up of children with bacterial meningitis with enphasis on behavioural characteristics”, European Journal of Pediatrics, 2002, 161: 330-6 -De Mattia D, Del Principe D, Del Vecchio GC et Al. Acute childhood idiopatic thrombocytopenic purpura: AIEOP consensus guidelines for diagnosis and treatment. 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Diabetes Care 2006; 29,5: 1150- 167 L’INFORMAZIONE ED IL CONSENSO ALL’ATTO MEDICO Andrea Minarini Unità Operativa Complessa Medicina Legale e Mediazione dei Conflitti Azienda USL di Bologna Nel novero dell’accettazione al trattamento sanitario che il paziente esprime in maniera libera, dopo essere stato informato su modalità di esecuzione/benefici/effetti collaterali/rischi prevedibili/esistenza di valide alternative terapeutiche, si identificano due diverse funzioni tra loro connesse: l’informazione e il consenso. L’informazione è finalizzata a fornire al paziente adeguate conoscenze sul suo stato di salute e sul trattamento terapeutico che lo riguarda e deve essere resa in modo completo, pur tenendo conto delle condizioni sociali e culturali di chi la riceve. Il consenso è finalizzato a promuovere la partecipazione attiva del paziente al percorso terapeutico e a consentirgli l’esercizio delle libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione, con particolare riferimento a quelli in materia di salute e disposizione del proprio corpo. L’acquisizione del consenso all’atto medico costituisce fondamento di legittimità dell’intervento terapeutico e per questo è posto come obbligo in capo al medico responsabile. 168 L’ASSICURAZIONE DEL MEDICO OSPEDALIERO Paolo D’Agostino Università degli Studi di Torino, Facoltà di Giurisprudenza e Facoltà di Medicina e Chirurgia La nuova normativa in materia di responsabilità professionale del dipendente ospedaliero e la successiva giurisprudenza in materia, hanno determinato una sempre maggiore esposizione diretta da parte del professionista sanitario a dover fronteggiare autonomamente le richieste di risarcimento dei danni. A fronte di questo incremento di profili di responsabilità, le assicurazioni diffuse si fanno sempre più inconsistenti ed inefficaci: un mercato che si riduce sempre di più e che offre sempre di meno anche alle associazioni come, ad esempio, la SIP la cui convenzione assicurativa presenta una efficacia di copertura che, di anno in anno, si restringe sempre di più. Nel frattempo si sono aperti due tavoli ministeriali dedicati all'argomento i cui lavori - non ancora ultimati - non sembrano volgere verso lidi più sereni e risolutivi dei problemi emergenti. In questo quadro, occorre avere consapevolezza dell'ampiezza del rischio connesso alla attività professionale (anche per il dipendente ospedaliero) e cercare strumenti assicurativi adeguati ed idonei a fronteggiare il fenomeno. 169 ABSTRACT 170 1 P - DESCRIZIONE DI UN CASO DI RABDOMIOLISI ACUTA Claudia Addis, Donata Panzeri, Laura Garini, Chiara Sciuto SC Pediatria, Ospedale Alessandro Manzoni, Lecco Introduzione e risultati: Descrizione di caso clinico di rabdomiolisi acuta (maschio, età 14 mesi) giunto al ns Pronto Soccorso per febbre elevata da 2gg, segni di flogosi respiratoria trattato con paracetamolo alternato ad ibuprofene. Anamnesi remota e famigliare negative per patologie di rilievo o malattie ereditarie. L’esame obiettivo evidenziava segni respiratori con lieve tachipnea e rumori grossolani variabili alla auscultazione polmonare, senza segni di disidratazione e assenza di segni meningei ROT presenti, ipostenia generalizzata. Gli esami ematici eseguiti evidenziano indici di flogosi poco elevati (PCR 0,58 mg/dl; leucociti 10.600/mmc; neutrofili 68%), aumento grave delle transaminasi (GOT 2944U/L GPT 1234 U/L) , nomali valori di gammaGT. E’ stata avviata una diagnosi differenziale delle forme di ipertransaminasemia con esecuzione di dosaggio ematico di paracetamolo (sospetta intossicazione da paracetamolo) risultato nella norma (2ug/ml) e normalità di ulteriori esami di funzionalità epatica (bilirubina, ammonio, indici di sintesi proteica quali albuminemia e coagulazione). Il valore di CPK riscontrato in fase acuta è risultato di 86415 U/L è stata posta diagnosi di rabdomiolisi acuta ( mioglobinemia 5403 mcg/L mioglobinuria 28265 mcg/L). Durante il ricovero ha ricevuto terapia idratante spinta per favorire una diuresi forzata , non si sono manifestate alterazioni della funzionalità renale e dell’equilibrio elettrolitico e il dosaggio degli enzimi muscolari si è lentamente portato a livelli vicini alla normalità (alla dimissione CPK 465 UI/ml). Il bambino è stato dimesso con diagnosi di rabdomiolisi acuta in corso di infezione respiratoria (RSV positivo) con indicazione a ripetere assunzione di paracetamolo in ambiente protetto per escludere comunque evento avverso legato all’assunzione del farmaco (casi di rabdomiolisi da paracetamolo). Dopo circa 10 giorni ha eseguito assunzione di una dose di paracetamolo con successivo dosaggio seriato di CPK risultato nella norma. Dopo circa 2 mesi il piccolo è tornato presso il ns Pronto Soccorso perché la madre ha notato astenia in corso di febbre. Anche in questo caso sono stati eseguiti esami ematici che riconfermano la presenza di aumento del CPK (6483 U/L). Visto la ricaduta della sintomatologia si pone il sospetto di una miopatia ereditaria/metabolica CAUSE DI RABDOMIOLISI Miosite virale Trauma Malattie tessuto connettivo Disordini metabolici : Ipokaliemia Deficit di aldolasi A Deficit di CPTII DKA Malattia di McArdle Sono state pertanto eseguiti controlli cardiologici con esito di normalità, ecografia addominale senza alterazioni ecografiche di fegato e milza e ricerche metaboliche che mostrano una alterazione del dosaggio della acilcarnitina compatibile con un difetto della beta ossidazione mitocondriale (aumento degli esteri saturi e insaturi della carnitina a 16 e 18 atomi di carbonio). L’analisi di biologia molecolare ha confermato il deficit totale di CPTII (entrambi i genitori sono portatori sani). Al piccolo che gode di buona salute , vengono dati delle istruzioni dietetiche e consiglio di idratare con liquidi zuccherati abbondantemente durante gli episodi febbrili. In caso di comparsa di astenia utile idratazione ev per favorire normalizzazione dei valori di CPK Discussione: E’ stato descritto un caso di deficit di CPTII (enzima CPTII catalizza la formazione dell’acilcoenzimaA a partire dall’acilcarnitina e coenzima A). In tali casi si determina una limitazione del metabolismo lipidico in particolari in condizioni di aumentata richiesta metabolica (digiuno protratto, infezioni febbrili, attività fisica intensa) casi in cui può verificarsi rabdomiolisi. Per tale condizione non esiste un trattamento risolutivo: utile è una dieta povera di lipidi e ricca di carboidrati, con pasti frequenti soprattutto in condizioni di stress. Bibliografia: Longo N, et al.: Disorders of carnitine transport and the carnitine cycle. Am J Med Genet. 2006; 15:77-85 171 2 P - BAMBINI ITALIANI E IMMIGRATI IN PRONTO SOCCORSO: DATI DEL PRONTO SOCCORSO PEDIATRICO DI SERIATE (BG) Monica Airoldi*, Antonio Clavenna**, Maurizio Bonati**, Stefania Bolognini*, Francesca Cortinovis*, Maura Li Destri*, Marco Negro*, Ilaria Pacati*, Moira Pinotti*, C. Ghitti* * Unità Operativa di Pediatria, Azienda Ospedaliera "Bolognini" di Seriate, Bergamo **Laboratorio di Salute Materno Infantile, Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri" di Milano INTRODUZIONE Negli ultimi anni si è verificato un notevole incremento del numero di accessi nei servizi Pronto Soccorso (PS) Pediatrico, con un ricorso eccessivo e spesso inappropriato, soprattutto da parte degli immigrati rispetto alla popolazione residente sia in Italia (1) che in altri paesi (2-3). Obiettivo dello studio è stato di analizzare le caratteristiche degli accessi al PS Pediatrico dei pazienti italiani e immigrati al fine di evidenziare eventuali differenze tra le due popolazioni. MATERIALI E METODI Sono stati analizzati retrospettivamente gli accessi presso il PS Pediatrico dell’Ospedale Bolognini di Seriate in provincia di Bergamo, dove la popolazione immigrata rappresenta circa 11% dei residenti, di 4 mesi indice (Aprile, Luglio, Ottobre, Dicembre) dell’anno 2013. RISULTATI Gli accessi totali analizzati sono stati 3385, di cui 1628 (48%) di cittadini immigrati. Suddividendo gli accessi per fasce d’età, sono state osservate differenze nei bambini di età <1 anno (23% immigrati versus 16% italiani; χ2=37, p<0,001) e negli adolescenti 12-17 anni (6% immigrati versus 13% italiani; χ2=42; p<0,001), non associate al genere. La frequenza degli accessi durante i giorni festivi (34% immigrati versus 33% italiani) e la distribuzione per fasce orarie tra immigrati e italiani non è risultata differente. Alla dimissione le patologie respiratorie rappresentavano la principale causa di accesso per entrambe le popolazioni (33% per gli immigrati e 29% per gli italiani). L’accesso per disturbi gastroenterici è stato più frequente per gli immigrati (18 vs 13%, χ2=18, p<0,001), mentre quello per traumi e ingestione/inalazione di corpi estranei è stato maggiore per gli italiani (12 vs 7%; χ2=27, p<0,001). Dopo la visita in PS sono stati ricoverati il 4% degli immigrati ed il 3% degli italiani. CONCLUSIONI Lo studio ha evidenziato un maggiore accesso in PS Pediatrico dei bambini immigrati rispetto alla popolazione residente italiana. Infatti, nonostante gli immigrati rappresentino solo l’11% dei residenti totali, il numero degli accessi al PS Pediatrico dei bambini immigrati è sovrapponibile a quello degli italiani. L’utilizzo inadeguato del PS Pediatrico da parte delle famiglie immigrate potrebbe essere ricercato: nelle diversa percezione della malattia (allarmismo per patologie curabili che nei paesi in via di sviluppo possono causare pericolo di vita), nell’ abitudine acquisita nel paese d’origine a recarsi nei luoghi di primo soccorso (spesso unica struttura sanitaria fuori dalle grandi città), in una difficoltà nel mantenere continuità con il Pediatra di base da parte dei genitori (ad es. rispettare orari e giorni previsti per le visite), nella possibilità di accesso anche per bambini non regolarmente iscritti al Servizio Sanitario Nazionale e in una possibile maggiore tendenza dei bambini immigrati ad ammalarsi per via di precarie condizioni di vita. I nostri dati, pertanto, suggeriscono alcune riflessioni su eventuali provvedimenti operativi da realizzare per rispondere in modo più efficace al tipo di esigenza sanitaria che la popolazione immigrata richiede (ad es. diversa organizzazione dell’assistenza territoriale, diversa articolazione degli orari di apertura degli ambulatori, etc…). BIBLIOGRAFIA 1. Ballotari P. et al. Effect of immigrant status on Emergency Room (ER) utilisation by children under age one: a populaton-based study in the province of Reggio Emilia (Italy). BMC Health Serv Res. 2013 Nov 1;13:458. doi: 10.1186/1472-6963-13-458. 2. Durden E. Usual source of health care among hispanic children: the implications of immigration. Med Care 2007, 45(8):753-760. 3. Sharma V et al. Factors influencing infant visits to emergency departments. Pediatrics 2000, 106(5):10311039. 172 3 P - ESPERIENZA CON MICROINFUSORE PORTATILE IN BAMBINI DIABETICI NELLA PRIMA INFANZIA Luciano Beccaria, Anna Cogliardi, Alessandra Giardelli SC Pediatria, Ospedale Alessandro Manzoni, Lecco Introduzione: La terapia insulinica nella prima infanzia presenta peculiari difficoltà legate alla necessità di usare minime dosi di insulina (frazioni di unità), ai rischi di danni cerebrali connessi con eventuali episodi ipoglicemici e all’imprevedibilità nell’assunzione dei pasti. Si vuole descrivere in questo lavoro le problematiche riscontrate nella terapia insulinica con microinfusore portatile in una serie di 3 bambini osservati presso il ns Centro con quadro di diabete mellito tipo 1 o di diabete neonatale. Materiale e metodi: Da settembre 2008 sono stati diagnosticati presso il ns Centro, 4 bambini di età inferiore a 2 anni con diabete mellito di cui 3 con diabete tipo 1 (positività di autoanticorpi anti-pancreas, C-peptide negativi, chetosi), 1 bambino con diabete neonatale (negatività degli autoanticorpi antipancreas, C-peptide negativo, chetosi). Per un dropout precoce vengono presentati i dati di tre casi (P1: esordio diabete a 39 gg di età- sempre in terapia con microinfusore; P2 esordio diabete a 23 mesi di età – già affetta da celiachia – sempre in terapia con microinfusore; P3 esordio diabete a 13 mesi di età, trattata con terapia convenzionale per 9 mesi e con microinfusore dall’età di 22 mesi). In tutti i casi la terapia insulinica è stata suddivisa in un ritmo base con aggiunta di boli ad ogni pasto. La dose di insulina è stata modificata sulla base delle glicemie capillari ei valori target di glicemia sono stati modificati in relazione all’andamento clinico e ai rischi di ipoglicemia. L’ago cannula per la somministrazione di insulina è stata posizionata ai glutei o in addome e veniva programmato cambio di ago ogni 3 gg circa o prima in caso di necessità. L’alimentazione è stata nella maggior parte dei casi mantenuta invariata e in genere le abitudini alimentari non sono state modificate rispetto a prima della diagnosi: 2 dei 3 casi praticano counting dei CHO dopo corso dedicato. In tutti casi è stata praticata istruzione intensiva circa l’uso dell’apparecchio e sul comportamento da tenere a domicilio per modificare la dose di insulina ed evitare episodi ipoglicemici. Risultati: La terapia con microinfusore portatile è risultata nel complesso ben accettata permettendo un adeguato controllo della glicemia e una migliore qualità di vita (3 su 3 casi hanno scelto di proseguire indefinitamente la terapia con microinfusore). L’emoglobina glicosilata è risultata compatibile con un buon controllo della malattia diabetica in tutti i casi (LM ha avuto valori medi di emoglobine glicosilate di 7,7% range 5,7 – 8,8%: NF ha avuto valori di emoglobine glicosilate di 7.8% - range 7.2 – 8,4%: SC ha presentato un valore medio di 7,9% – range 7,4 – 8,7% comunque inferiori a quelli riscontrati in terapia tradizionale – 9,4%). Anche le crisi ipoglicemiche sono risultate rare e ben controllate (nessun caso di ipoglicemia grave). Le maggiori difficoltà sono state riscontrate nella gestione dell’agocannula per le difficoltà al posizionamento (in genere preferiti nella tenera età agocannule ad inserimento manuale e obliquo). In un caso è stata osservata netta tendenza alla riduzione della glicemia ad ogni cambio di agocannula che ha richiesto strategie ad hoc per evitare ipoglicemie. In tutti pazienti trattati si è osservato un notevole numero di misurazioni glicemiche giornaliere (superiori a 10/die). Discussione: La terapia insulinica condotta con microinfusore portatile appare come la terapia di prima scelta in bambini nella prima infanzia in particolare per la possibilità di somministrare frazioni di unità altrimenti non possibili con terapia tradizionale. Richiede necessariamente adeguate capacità tecniche da parte dei famigliari oltre un’educazione intensiva circa l’uso dello strumento e circa il comportamento da tenere a domicilio. Il followup domiciliare richiede appoggio intensivo da parte del personale medico e infermieristico oltre a sostegno psicologico per la famiglia. Bibliografia: (1) Berghaeuser MA et al: Continuous subcutaneous insulin infusion in toddlers starting at diagnosis of type 1 diabetes mellitus. A multicenter analysis of 104 patients from 63 centres in Germany and Austria. Pediatr Diabetes. 2008;9(6):590-5; (2) Fuld K et al: Insulin pumps in young children. Diabetes Technol Ther. 2010;12 Suppl 1:S67-71; (3) Beardsall K et al.: Neonatal diabetes and insulin pump therapy. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed. 2011;96(3):F223-4 173 4 P - ENTERORRAGIA NEONATALE DA IPLV Massimo Bisceglia, Paola Chiarello, Caterina Crugliano, Nicola Lazzaro, Luigi Mesuraca, Vincenzo Antonio Poerio, Francesco Paravati UOC Pediatria Neonatologia T.I.N., Ospedale S. Giovanni di Dio, Crotone INTRODUZIONE : L'intolleranza alle proteine del latte vaccino (IPLV) è una patologia tipica del lattante che presenta segni e sintomi successivi all'introduzione di proteine del latte. Può essere o meno IgE mediata. La sintomatologia conseguente all’introduzione dell’alimento indirizza verso la diagnosi, che si avvale, nelle forme IgE mediate, dei test specifici cutanei e ematici (Prick, RAST), il gold standard è rappresentato dal challenge. CASI CLINICO: N.P. Nato a termine da gravidanza normocondotta, primogenito. Peso nascita gr 3750. Apgar 81-95. Nessun problema perinatale, allattato precocemente al seno. In seconda giornata la madre, con l'intenzione di integrare il proprio latte, somministra al piccolo autonomamente latte adattato. In seguito alla seconda somministrazione dell'alimento, dopo circa 6 ore, compaiono tracce di sangue nelle feci. Nella notte l'enterorragia è imponente. Il neonato viene ricoverato ed esegue emocromo, prove di coagulazione, esami infettivologici, ripetuti ogni 24 ore, che risultano sempre nella norma. Nessun segno clinico all'ispezione e valutazione della regione anale. Viene introdotto a scopo diagnostico e terapeutico latte ad idrolisi spinta di proteine latte vaccino (LV), con una pressoché immediata risoluzione della sintomatologia emorragica. Anche la madre è posta a dieta priva di proteina del latte vaccino (allattamento misto). Incautamente, la nutrice, in quinta giornata, si alimenta con un notevole intake di proteine del LV. A distanza di poche ore il piccolo presenta nuovamente sangue nelle feci. La nutrice viene nuovamente invitata a eliminare tali alimento dalla dieta con un miglioramento rapido della sintomatologia. CONCLUSIONI: La diagnosi presuntiva di IPLV si basa sulla consequenzialità dell’introduzione delle PLV e l’insorgenza della sintomatologia, sebbene non sempre necessariamente eclatante. Nei reparti di neonatologia tale evenienza non è particolarmente comune, ma, come descritto con la nostra segnalazione, va annoverata nel computo delle diagnosi differenziali nelle patologie gastroenterologiche e allergiche neonatali. BIBLIOGRAFIA 1. Pediatrics 2006; 117 (4) 760-8 2. Ann Allerg Asthma Immunol 2013; 111:574-5 174 5 P - OCCHIO CHE È TORNATA LA LUE Massimo Bisceglia, Antonio Belcastro, Anastasia Cirisano, Giuseppe Frandina, Vincenzo Antonio Poerio, Concetta Rosso, Francesco Paravati UOC Pediatria Neonatologia T.I.N., Ospedale S. Giovanni di Dio, Crotone INTRODUZIONE: La sifilide congenita è ancora oggi causa di morbilità e mortalità. I dati epidemiologici in USA riportano un’incidenza di 8,7 casi / 100.000 nascite nel 2010. In Italia l'incidenza è di 0.86/100.000 con una prevalenza di gravide pari allo 0.44% di siero positività e del 5.8% nelle donne provenienti dal Centro-Sud Africa . L’infezione fetale può causare abortività nelle prime 14 settimane di gestazione e sindrome clinica alla nascita che può essere caratterizzata da: prematurità, basso peso alla nascita, epatosplenomegalia, linfoadenomegalia, idrope, eruzioni maculo-papulari muco-cutanee, rinite, demineralizzazione ossa lunghe, sindrome nefrosica, anemia, leucopenia/leucocitosi, trombocitopènia, e neurosifilide nelle forme precoci, vasculiti, cheratiti, deficit neurologici nervi cranici, periostiti, e sindromi neurologiche nelle forme tardive, che interessano circa il 40% dei neonati non trattati. La diagnosi si basa su test non treponemici (VDRL e RPR) e test treponemici (FTA- ABS, TP-PA, MHATP) oltre che la ricerca nel sangue e liquor del Treponema e la PCR. Il trattamento prevede l'utilizzo della penicillina G. CASI CLINICI: Riportiamo tre casi di neonato da madre affetta da Sifilide osservati in soli 3 mesi (lugliosettembre 2014), di contro ad un solo caso registrato in tutto il 2013. Dei tre casi riferiti, solo una delle gravide era stato trattata in gravidanza. Caso 1: Neonato a termine, genitori italiani, madre con VDRL positiva nell’ultimo trimestre. Nessun problema neo e perinatale. Esami treponemici escludono infezione congenita. Trattato con penicillina G per 10 gg. Caso 2: Neonato a termine. Sepsi perinatale. Ittero. Leucocitosi. Madre extra-comunitaria, non trattata in gravidanza. Esami treponemici e non negativi. Trattamento con penicillina G per 10 gg. Caso 3 : neonato a termine, madre extra-comunitaria non trattata in gravidanza (VDRL positiva, TPHA 1:320, FTA-Abs IgG reattivo medio, FTA-Abs IgM negativo). Esami treponemici neonatali: Anti Sifilide IgM e IgG positivi, TPHA 1:160, FTA-Abs IgG reattivo debolmente, FTA-Abs IgM negativo. Clinicamente ittero, lieve epatosplenomegalia. Trattato con penicillina G per 14 gg. Follow up a tre mesi per il caso 1 e 3 negativo. CONCLUSIONI: Il rischio di trasmissione di sifilide congenita è particolarmente alto, se la madre non è trattata. Si tratta di una patologia ri-emergente alla luce delle ondate di clandestini che giungono in tutta Italia. Il nostro centro è certamente più coinvolto per la contiguità con il centro di prima accoglienza presente ma l'immigrazione è un problema ubiquitario in Italia che coinvolge ed interessa tutti gli ospedali ed i pediatri. La sorveglianza delle gravidanza a rischio è d'obbligo, ma per i neonatologi e pediatri la malattia deve rientrare nelle diagnosi differenziali in caso di manifestazioni cliniche diverse che comprendano febbre, eruzioni cutanee, sintomi ossei ed alterazioni emocrocitometriche in genere. BIBLIOGRAFIA 1. Infect Dis Obstet Gynecol 2012;4:430 2. Sex Transm Infect. Dec 2007; 83(7): 590–591. 3. BMJ 2002. 3241324–1327 4. Sex Transm Dis 2005. 32220–226 5. Arch Dis Child Fetal Neonatal Ed. 2012 May;97(3):F211-3.Italian Neonatal Task Force of Congenital Syphilis for The Italian Society of Neonatology – Collaborative Group 175 6 P - COMPRESSIONE TRACHEALE LIEVE DA ARTERIA ANONIMA ABERRANTE E TOSSE CRONICA NEI BAMBINI Michele Ghezzi (1), Michela Silvestri (1), Oliviero Sacco (1), Serena Panigada (1) e Giovanni A. Rossi (1) (1) U.O. Pediatria ad indirizzo pneumoallergologico, Istituto Giannina Gaslini, Genova Introduzione Una delle più frequenti anomalie dei vasi mediastinici è rappresentata dalla arteria anonima aberrante (AAA). Nei soggetti con questa condizione l’arteria origina dalla porzione sinistra dell’arco aortico e, spostandosi a destra, passa davanti alla trachea determinando una compressione di grado variabile. Nei bambini con AAA uno dei sintomi più frequenti è la tosse secca persistente/ricorrente. [1] Non ci sono dati sulla frequenza di riscontro di tale anomalia in bambini affetti da tosse secca persistente/ricorrente. Materiali e metodi Abbiamo raccolto retrospettivamente i dati di pazienti valutati nel corso di 3 anni dal gennaio 2010 al dicembre 2012 per tosse secca persistente/ricorrente e valutato l’incidenza di riscontro di anomalie dei vasi mediastinici e in particolare tra queste di compressione tracheale daAAA. Sono state raccolte informazioni sui sintomi di presentazione e la presenza di comorbidità. Risultati Sono stati inclusi nello studio 209 pazienti. In 68 pazienti è stata riscontrata un’anomalia dei vasi mediastinici con conseguente compressione tracheale. La presenza di AAA è stata rilevata in 54 pazienti, l’arco aortico destro in 8, il doppio arco aortico in 4 e l’arteria succlavia aberrante in 2. Valutando alla TC del torace il grado di severità della compressione tracheale nei pazienti con AAA, 47 pazienti mostravano una compressione di grado lieve, 6 di grado moderato e un 1 paziente di grado severo (figura 1). Tuttavia, in tutti questi bambini il grado di restrizione del lume tracheale alla broncoscopia era risultato maggiore in espirazione e/o tosse per la presenza concomitante di tracheomalacia. In 21 pazienti con AAA sono state riscontrate comorbidità che comprendevano atopia, ostruzione bronchiale reversibile e reflusso gastroesofageo. Solo in 8 pazienti è stato necessario intervenire con l’intervento di aortopessi mentre tutti gli altri pazienti sono stati trattati farmacologicamente e hanno presentato un graduale miglioramento della sintomatologia. Discussione Una condizione di compressione tracheale, seppur di grado lieve, può essere riscontrata in diversi pazienti con tosse secca cronica/persistente. L’identificazione di tale condizione può spiegare l’origine dei sintomi evitando ulteriori indagini non necessarie e trattamenti non efficaci. Figura 1 A. Grado di compressione tracheale nei pazienti affetti da AAA B. Grado di compressione tracheale nei pazienti affetti da AAA, suddivisi per fasce d’età Bibliografia [1] Gardella C, Girosi D, Rossi GA, Silvestri M, Tomà P, Bava G, Sacco O. Tracheal compression by aberrant innominate artery: clinical presentations in infants and children, indications for surgical correction by aortopexy, and short- and long-term outcome. J Pediatr Surg. 2010; 45: 564-73. 176 7 P - TOSSE E SINDROME RESTRITTIVA IN UN ADOLESCENTE Valentina De Vittori, Marzia Duse, Giovanna De Castro, Maddalena Mercuri, Luciana Indinnimeo, Anna Maria Zicari, Caterina Lambiase, Annalisa Di Coste, Giancarlo Tancredi Un ragazzo di 12 anni con tosse, rinite stagionale e familiarità per atopia, giunge alla nostra osservazione per una valutazione per l’idoneità sportiva agonistica. In anamnesi riferita una lieve difficoltà nell’apprendimento. I parametri antropometrici sono nei limiti della norma (Altezza 90° percentile, Peso 75° percentile, BMI 20.62). Le prove di funzionalità respiratoria (PFR) evidenziano un deficit ventilatorio restrittivo di grado moderato (FEV1 64.4% predetto, FVC 67.7% predetto, FEV1/FVC 96.3% predetto, MEF50 55.8% predetto, TLC 57.1% predetto, LCI 275.5% predetto, FRC 28.7% predetto; DLCO 78.2% predetto); le prove allergiche cutanee risultano positive per inalanti. Inizia la terapia di fondo con CSI per tre mesi (budesonide 200 mcg due volte/die) e salbutamolo al bisogno. Al successivo controllo al termine della terapia, il ragazzo riferisce persistenza dei sintomi (tosse secca prevalentemente diurna); le PFR confermano il precedente quadro funzionale. Il test da sforzo massimale su treadmill rivela una discreta tolleranza allo sforzo, assenza di aritmie e la spirometria eseguita prima e dopo test da sforzo non mostra variazioni significative dei parametri spirometrici (FEV 1). Per la persistenza del quadro, il ragazzo esegue esami infettivologici, immununologici ed il test del sudore che risultano nei limiti della norma. La HRTC polmonare non evidenzia alterazioni di rilievo. Le patologie polmonari di tipo restrittivo in età pediatrica sono poco frequenti, sebbene siano comuni a patologie respiratorie parenchimali polmonari, pleuriche o extrapolmonari. Sono caratterizzate da una ridotta compliance toraco-polmonare, aumento del lavoro respiratorio e rapporto ventilazione/perfusione inadeguato. All’età di 14 anni, con un quadro clinico polmonare in via di definizione, durante una visita pediatrica, viene rilevato un ridotto volume testicolare rispetto all’età (< 4 ml); pertanto il ragazzo è sottoposto ad una valutazione endocrinologica dove esegue studio del cariotipo che consente di fare diagnosi di sindrome di Klinefelter. Nei pazienti affetti da questa anomalia cromosomica, che ha una prevalenza di 1 su 500 neonati maschi, si osservano frequentemente patologie croniche polmonari, soprattutto di tipo restrittivo. Le cause più frequenti di questa associazione sono: l’obesità, che può portare ad ipossiemia per alterazione del rapporto ventilazione/perfusione e le anomalie come cifoscoliosi o pectus escavatum che possono alterare la compliance della parete toracica. Tuttavia nel nostro paziente il deficit restrittivo potrebbe essere correlato ad una diminuita elasticità della matrice del polmone con riduzione della compliance polmonare, ad una maggiore rigidità della gabbia toracica e alla debolezza muscolare, fenomeni verosimilmente legati al deficit di Testosterone. 177 8 P - DESCRIZIONE DI UN CASO DI PSEUDOLITIASI BILIARE REVERSIBILE DA CEFTRIAXONE (CFTX) IN UN LATTANTE DI 5 MESI G.Parisi, M. Grasso Introduzione: Schaad nel 1986 ha descritto il primo caso di calcolosi colecistica reversibile in associazione a terapia con CFTX, scoperta per caso in un adolescente sottoposto ad un “follow-up” ecografico per un ascesso splenico. Da allora, numerosi altri casi analoghi sono stati descritti in età pediatrica ed adulta. Ne riportiamo un caso venuto alla nostra osservazione. Case-report: C.B., di mesi 5 e gg 18, convocato a controllo ecografico per una condizione di malattia da reflusso gastro-esofageo ecograficamente di entità “lieve” e che aveva presentato, dopo una fase lunga di apparente normalizzazione, vomito e lievi segni dispeptici. L’anamnesi familiare è positiva per litiasi renale nella madre (di anni 23) e litiasi colecistica in 2 prozie materne. Il bambino aveva praticato terapia con CFTX im al proprio domicilio, al dosaggio di 75mg/Kg/die (750mg/die) per 10 gg per una riferita “bronchite diffusa”, terapia conclusa 10gg prima del controllo ecografico sopra riportato. Non si sono praticati esami di laboratorio o consulenze particolari, dato l’immediato orientamento verso la giusta diagnosi (pseudolitiasi biliare reversibile), a causa della richiamata memoria di un precedente caso già descritto anni prima e di cui gli aspetti ecografici coincidevano con quelli rilevati sul paziente oggetto della presente descrizione. A conferma di ciò, gli esami ecografici di controllo, praticati 8, 15 e 22 gg dopo il primo, mostrano graduale riduzione di volume ed ecogenicità della formazione calcolotica fino alla sua completa scomparsa, accompagnata da un rapido recupero dell’abituale benessere personale. Risulati-discussione:l’andamento clinico e l’evoluzione ecografica, mentre dimostrano incontrovertibilmente l’esattezza della diagnosi, richiamano nel contempo molte riserve nei riguardi della tesi di Shiffmann, che ha sostenuto (1990) con dati extrapolati da studi “in vitro” su bile umana che il rischio di sviluppo di calcoli biliari indotto da CFTX aumenta linearmente per un problema di solubilità, passando da una solubilità totale nella bile per dosaggi ≤ 1g/die, in corrispondenza dei quali il sale CFTX-calcio ionizzato viene espulso dal lume colecistico completamente prima della dose successiva, ad una insolubilità a dosi superiori ( 2g), per le quali il sale precipiterebbe nella bile, formando granuli di varia dimensione. I pseudo calcoli sono nella maggior parte dei casi asintomatici, comparendo in media 9 giorni dall’inizio della terapia (4-22gg) e scomparendo in media 15gg (2-63gg) dalla sua sospensione. Il meccanismo di formazione consiste nell’interferenza del farmaco ad alte dosi con la secrezione degli acidi biliari, riducendone la concentrazione a livello colecistico e legandosi competitivamente il CFTX con la maggiorata quota di calcio ionizzato libero (che normalmente si lega agli acidi biliari), con conseguente precipitazione sotto forma di pseudo calcoli di CaCFTX per superamento del quoziente di solubilità. I precipitati possono avere o non avere “cono d’ombra” in rapporto alle loro dimensioni. La comunemente asserita sostanziale benignità della condizione è stata messa in dubbio dalla segnalazione di Robertson et al. del primo caso (Pediatrics, 1996) di coledocolitiasi ostruente associato a pseudolitiasi da CFTX, che ha richiesto rimozione chirurgica del calcolo incuneato nel coledoco con colecistectomia, rendendo reale – in termini di emergenza chirurgica- un rischio non percepito come effettivo nella pratica clinica giornaliera. A prescindere da questo elemento, che comunque è meglio conoscere, il pediatra che intraprenda un trattamento antibiotico con CFTX, deve essere consapevole dell’entità clinica-ecografica descritta, al fine di evitare interventi diagnostici e terapeutici invasivi, disturbanti e non necessari. È ancora opportuno curare una adeguata idratazione ed evitare il digiuno prolungato e/o la sottoalimentazione durante il trattamento, considerando inoltre che i dosaggi riferiti nel nostro caso (così come quelli relativi alla segnalazione di Benedetti et al., che hanno verificato la comparsa di pseudolitiasi per un dosaggio di CFTX di 800mg/die) rendono più ampia la fascia di pazienti a cui estendere il concetto di rischio per la condizione in questione, soprattutto in caso di contemporanea presenza, singola o combinata, di fattori “favorenti” la colelitiasi, a cominciare dalla familiarità. L’ampio spettro di azione, la sua lunga emivita plasmatica, la buona distribuzione nei liquidi e tissutale, il superamento della barriera emato-liquorale, la facilità di somministrazione hanno contribuito a rendere il CFTX, cefalosporina di III generazione, molto utilizzato, particolarmente in età pediatrica. Questi innegabili vantaggi non esimono il pediatra dal continuarne l’impiego, ma gli segnalano l’opportunità durante lo stesso di un atteggiamento “di vigilanza” nei confronti e dell’insorgenza e dell’evoluzione dell’entità clinico-ecografica descritta. Bibliogafia essenziale: -Benedetti M, Michielutti F, Bergamo A et al.: “Pseudolitiasi reversibile durante terapia con CFTX in età pediatrica: descrizione di un caso clinico”. R.I.P., 1993; 19:688-690 -Parisi G, Rojo S, Mancinelli C, et al: “Descrizione di un caso di pseudolitiasi biliare reversibile da CFTX in età pediatrica: è opportuna una maggiore attenzione al problema?”. Min. Ped., 1997; 49: 499-504 178 9 P - MAI FERMARSI AL PRIMO RISULTATO, MA COMPLETARE L’ITER DIAGNOSTICO Paola Maggi, Amalia Napoli, Marina Testa, Luciano Beccaria SC Pediatria, Ospedale Alessandro Manzoni, Lecco Introduzione: Descrizione di un caso (maschio, 9a) condotto alla nostra osservazione per ipostenia e parestesie all’emilato sinistro preceduto da cefalea. Risultati: In anamnesi familiare parente di terzo grado con ictus, non familiarità per cardiopatie ischemiche, coagulopatie ereditarie, ipercolesterolemia, epilessia e diabete. In anamnesi patologica remota riferiti dall’età di 5 anni episodi di cefalea frontale gravativa senza aura, responsivi a terapia analgesica. All’obiettività buone le condizioni generali, parametri cardiaci e respiratori normali, PA 107/58 mmHg (50-75 percentile), obiettività cardiaca, toracica ed addominale normale, deficit stenico arto superiore ed inferiore sinistro con slivellamento alla manovra di Mingazzini. E’ stata eseguita TAC cerebrale con evidenza di aree ipodense ischemiche a sede temporo-basale dx e talamica omolaterale. Il quadro ecocardiografico, l’ecodoppler transcranico con bubble test, l’ecodoppler tsa sono risultati negativi come pure lo screening trombofilico, infettivologico metabolico (EAB, assetto lipidico), reumatologico, immunologico. Le analisi molecolari per alfa galattosidasi e Melas sono risultate negative. L’AngioRMN cerebrale ha mostrato lesioni ischemiche subacute, bilaterali, nel territorio di distribuzione del circolo posteriore. Da considerare la genesi trombo-embolica. E’ stata intrapresa terapia con acido acetilsalicilico. Dopo alcuni giorni dal ricovero comparsa di episodi di disorientamento, amnesia e parestesie interpretate come equivalenti epilettici, per cui si è intrapresa terapia antiepilettica con oxcarbazepina. La valutazione dell’AngioRMN di controllo (ad una settimana dall’episodio acuto) ha evidenziato ricanalizzazione del tratto distale dell’arteria cerebrale posteriore. Dopo quindici giorni sono comparsi disartria, rallentamento dell’eloquio, atassia cerebellare con impossibilità a deambulazione autonoma. E’ stata pertanto eseguita nuova angioRM dei vasi del collo che ha evidenziato una dissecazione dell’arteria vertebrale destra con nuova area di lesione ischemica cerebellare destra (in tale fase iniziata terapia con enoxaparina sodica e successivamente con warfarin). A seguire si è osservato miglioramento neurologico con ripresa del linguaggio, della parola scandita e della deambulazione autonoma. Alla dimissione sono persistiti emiparesi sinistra ed atassia. La dissecazione delle arterie cervicali è una delle possibili cause di stroke ischemico come riportato nella classificazione di Wraige 2005 (1). In campo pediatrico (2) Fullerton ha evidenziato che su 102 pazienti pediatrici con stroke da dissecazione dei vasi cervicali il 69% era di origine traumatica, mentre nel 31% dei casi era spontanea. Condizioni predisponenti riconosciute sono: S.di Marfan ,S.di Enhelrs Danlos, Osteogenesi imperfetta, displasia fibromuscolare, deficit di alfa 1 antitripsina, coartazione dell’aorta, S. di Moya-Moya, emicrania, estrema tortuosità delle arterie, aterosclerosi, infezioni, LES, rene policistico, necrosi cistica della media. La diagnostica comprende anche accertamenti di neuroimaging. La terapia si avvale dell’uso di eparina (3). Discussione: L’insegnamento che ci ha dato questo caso è che il paziente con stroke ischemico deve essere sottoposto ad un completo work up diagnostico in quanto possono sussistere più cause e/o fattori di rischio a giustificare il quadro. Bivbliografia: (1) Wraige E. et al Dev Med Child Neurol 2005;47:252-256; (2) Fullerton HJ et al Arterial dissection and stroke in children Neurology 2001; 57: 1155-1160; (3) Diagnosi e terapia dello stroke ischemico pediatrico in fase acuta Linea guida SIP-SIMEUP-SINP 2007 179 10 P - CROMOSOMI ED IPOTONIA Martignoni Laura1, Pietrangiolillo Zaira 1, Zagni Giulia 1, Predieri Flavia1, Iughetti Lorenzo 1,2. (1) Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Modena e Reggio Emilia (2) U.O. Pediatria, Az. Osp. Universitaria, Policlinico Modena Con il termine “floppy infant” si intende un quadro di ipotonia generalizzata a riscontro precoce (alla nascita o nei primi mesi di vita), dove l’ipotonia è definita come la resistenza alla mobilizzazione passiva. Tale quadro emerge facilmente attraverso un semplice esame neurologico sul neonato/lattante, a cui va affiancata una valutazione più globale di reattività, suzione e movimenti spontanei. Molto più complesso è scoprire la causa dell’ipotonia, soprattutto per le numerose variabili anamnestiche da valutare. Tra i dati prenatali sono fondamentali la qualità/quantità dei movimenti attivi fetali, la parte presentata al parto, la presenza di poli/oligoidramnios. Tra i parametri perinatali invece va indagata la presenza di traumi da parto, di ipossia/encefalopatia ipossico-ischemica o di acidosi cordonale. Fondamentale è inoltre l’anamnesi familiare per malattie neuromuscolari. Un accorgimento fondamentale infine consiste valutare l’ipotonia neonatale dopo la stabilizzazione del paziente e soprattutto al raggiungimento del termine di età post-concezionale, per evitare di incorrere in bias da fattori di confondimento. Descriviamo il caso di M., nato a 35 settimane di età gestazionale da taglio cesareo urgente per tracciato cardiotocografico non rassicurante e liquido lievemente tinto di meconio (M1). In anamnesi gravidica emergeva una condizione di malnutrizione durante la gravidanza causata da pregresso intervento di bendaggio gastrico per obesità eseguito due anni prima, con conseguenti vomiti ricorrenti. Non venivano rilevati altri fattori di rischio intrapartum. Alla nascita il neonato appariva vigoroso con necessità unicamente di aspirazione dalle prime vie aeree di esigue quantità di liquido amniotico lievemente tinto di meconio (Apgar 1’:8; 5’:9). Il peso alla nascita risultava essere pari a 1910 g, all’8° percentile per età gestazionale. Durante i primi giorni di degenza veniva riscontrata ipotonia assiale, associata a cute lievemente marezzata e difficoltà di suzione al biberon. Visto il quadro di malnutrizione materna e l’emoconcentrazione riscontrata agli esami ematici si attendeva il termine di età post-concezionale per intraprendere ulteriori approfondimenti diagnostici. A 37 settimane di età post-concezionale persisteva moderato ipotono assiale e ai cingoli, con motilità spontanea povera e atteggiamento in prevalente estensione degli arti. La suzione era inoltre esauribile con necessità di completare i pasti mediante sondino oro-gastrico a caduta. Abbiamo deciso pertanto di avviare accertamenti in merito all’ipotonia persistente. L’ecografia cerebrale eseguita alla nascita e ripetuta a 38 settimane di età post-concezionale risultava nella norma. Per escludere cause infettive e infezioni congenite venivano eseguiti screening settico e ricerca di antigene precoce CMV su urine, risultati negativi. Dalla 38° settimana di età post-concezionale abbiamo assistito ad un graduale miglioramento della suzione per cui è stato possibile rimuovere il sondino oro-gastrico con completamento del pasto al biberon. Tale miglioramento era accompagnato da una lieve risoluzione dell’ipotonia, seppur persisteva atteggiamento in iperestensione e cute lievemente marezzata. La restante obiettività era nella norma e il neonato iniziava a crescere in peso, per cui abbiamo proceduto alla dimissione a domicilio. L’esito del cariotipo, avuto in post-dimissione, è risultato patologico per presenza di cariotipo maschile con polisomia X omogenea (47, XXy), compatibile con diagnosi di sindrome di Klinefelter. La sindrome di Klinefelter è il più comune disordine a carico dei cromosomi sessuali, che colpisce 1:500-1:1000 pazienti di sesso maschile. Grazie agli attuali strumenti di diagnosi prenatale si possono oggi valutare in maniera retrospettiva segni clinici più o meno aspecifici, che possono contribuire ad una diagnosi post-natale precoce. Il fenotipo della sindrome di Klinefelter si sta infatti dimostrando sempre più ampio e comprensivo di segni clinici che esulano anche completamente dalla sfera endocrino-sessuale. Da uno studio di coorte pubblicato sulla rivista Pediatrics nel 2008 è emerso che 42 su 55 pazienti pediatrici con sindrome di Klinefelter arruolati (76%) presentavano riduzione del tono muscolare, senza correlazione tra grado dell’ipotonia e livelli in circolo di testosterone. Da un altro studio retrospettivo (Visootsak et al, 2001) si è concluso che segni precoci della Sindrome di Klinefelter, riscontrabili anche in età neonatale e nei primi mesi di vita, possono essere ridotta circonferenza cranica, ipotonia lieve-moderata, ipospadia e criptorchidismo. In uno studio retrospettivo in cui veniva valutata la percentuale di determinati segni clinici in bambini con diagnosi prenatale di sindrome di Klinefelter (Samango-Sprouse and Rogol, 2002) è emerso che il 68% di questi pazienti presentava ipotonia del tronco. Di fronte pertanto ad un quadro di ipotonia persistente nel neonato/lattante, è fondamentale non dimenticare i disordini dei cromosomi sessuali, a fronte soprattutto di un quadro lieve-moderato. - John B. Bodensteiner et al: The Evaluation of the Hypotonic infant. Semin Pediatr Neurol, 2008 Martha et al: Effect of Ascertainment and Genetic Features on the Phenotype of Klinefelter Syndrome, The Journal of Pediatrics, 2008 Aksglaede et al: 47,XXY Klinefelter Syndrome: Clinical characteristics and Age-Specific Recommendations for Medical Management, American Journal of Medical Genetics Part C, 2013 R Vaan Torn: Clinical approach to the floppy child, 2004 180 11 P - IPERTENSIONE ARTERIOSA SEVERA TRANSITORIA E SOSPETTA PATOLOGIA REUMATOLOGICA Valeria Pansini (1), Ugo Giordano (2), Ippolita Rana (1), Maria Rosaria Marchili (1), Giuseppe Merico (3), Alberto Villani (1). 1 - Dipartimento di Medicina Pediatrica – UOC Pediatria Generale e Malattie Infettive; Ospedale Pediatrico Bambino Gesu’ IRCCS – Roma 2 - Dipartimento di Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica; Ospedale Pediatrico Bambino Gesu’ IRCCS – Roma 3 - Ospedale SS Annunziata, Taranto INTRODUZIONE - Giunge a ricovero PG di anni 11 per riferito prurito intenso ai palmi delle mani comparso il 03/06. I genitori riferiscono che dal 30/05 il bambino aveva manifestato dolore alle mani che si risolveva dopo assunzione di ibuprofene. In seguito alla risoluzione del dolore comparsa di prurito, per cui sono stati somministrati dapprima cetirizina, poi oxatomide e betametasone senza beneficio sulla sintomatologia. Precedente accesso al ns DEA (09/06) dove sono stati eseguiti esami ematochimici risultati nella norma; dimesso con terapia antistaminica ed indicazione ad eseguire visita reumatologica eseguita in data 10/06 che ha escluso condizioni di interesse reumatologico e ha confermato la necessità di eseguire terapia antistaminica, proseguita sempre senza beneficio. I genitori riferiscono la costante assenza di lesioni cutanee ai palmi delle mani. Il bambino trae giovamento solo con l'immersione delle mani in acqua fredda. Nei giorni precedenti al ricovero riferita deprivazione di sonno a causa del prurito, con scosse agli arti della durata di pochi secondi per cui è stata intrapresa terapia con Diazepam senza miglioramento clinico. MATERIALI E METODI – Nel corso del ricovero sono stati eseguiti i seguenti esami diagnostici: ECOGRAFIA ADDOME COMPLETO: negativa tranne per piccola milza accessoria al polo inferiore splenico. Regolare la distribuzione dei segnali vascolari al completamento color-Doppler in sede intraparenchimale. Non campionabili le arterie renali all'origine dall'aorta addominale per il meteorismo. IR a livello intraparenchimale lievemente più bassi che di norma (0.4). ECOGRAFIA TIROIDEA: negativa. TC CEREBRALE: negativa tranne per la presenza di materiale flogistico che occupa parzialmente i seni mascellari. TC TORACE: Negativa. TC ADDOME SUP. E INF. (SENZA E CON CONTRASTO): Doppia arteria renale bilateralmente, con regolare calibro e opacizzazione, esenti da stenosi focali. Vena renale sinistra a decorso anteriore rispetto all'aorta con aspetto appena stirato allo sbocco in vena. Reni e surreni nella norma. V.DERMATOLOGICO: bambino con astenia muscolare marcata, mani calde al termotatto, leggermente in flessione, edematose, unghie a vetrino d'orologio. Non si osserva infiammazione periungueale. All'esame capillaroscopico si osserva: numero normale delle anse capillari; anomalie delle anse che appaiono allungate con ectasia apicale; flusso ematico corpuscolato. Il quadro non presenta neoangiogenesi. Le alterazioni presenti, seppur compatibili anche con acrocianosi, potrebbero essere spia di un esordio di patologia reumatica. Da rivedere tra 6 mesi. ECOCARDIOGRAMMA: Esclude anomalie congenite. Evidenza di ventricolo sinistro di aspetto ipertrofico con spessori parietali ai limiti superiori. Ai limiti superiori le dimensioni dell'aorta ascendente. MONITORAGGIO PA 24 ORE: Evidenza di ipertensione arteriosa sisto-diastolica di grado severo, costante nel corso della registrazione. Rialzo pressorio notturno. Si segnala ritmo cardiaco tachicardico (FC media 24 ore: 140 bpm). Inizia quindi terapia medica con Amlodipina, Metoprololo e Doxazosina fino a normalizzazione dei valori. RISULTATI - Durante il ricovero le condizioni cliniche di Pietro sono progressivamente migliorate con risoluzione graduale della sintomatologia a carico delle mani e ripresa del normale ritmo sonno-veglia. Per il riscontro di valori pressori persistentemente elevati è stato sottoposto a valutazioni cardiologiche seriate ed è stata impostata una terapia antipertensiva variata nel corso della degenza fino alla normalizzazione dei parametri pressori. Nel corso della degenza sono stati eseguiti esami laboratoristici e strumentali volti alla definizione eziologica che hanno messo in evidenza livelli di metanefrina ai limiti alti della norma e livelli di normetanefrina superiori alla norma per cui si è posta indicazione a ripetere il dosaggio. In data 03/07 eseguita flebografia selettiva delle vene renali con prelievo di renina, risultata uguale sia a dx che a sx. Il bambino è stato dimesso con triplice terapia antiipertensiva con programma di follow-up multi specialistico. CONTROLLO AMBULATORIALE DOPO SETTE GIORNI: Viene ripetuto il monitoraggio PA 24 ore che consiglia riduzione dell’Amlodipina per valori diurni inferiori al 50° centile. Ripetizione di tutti gli esami ematochimici risultati alterati nel corso del ricovero risultati poi nella norma (renina, aldosterone, catecolamine urinarie risultati nella norma). Nel corso dell’estate è stata progressivamente ridotta la terapia sulla base di regolari misurazioni domiciliari fino a nuovo controllo ambulatoriale a due mesi dalla dimissione dopo COMPLETA sospensione della triplice terapia che conferma la normalità dei valori pressori e l’assenza di sintomatologia alle mani (pruriginosa/dolorosa). DISCUSSIONE - In letteratura non esistono descrizioni di casi di ipertensione arteriosa severa associata a prurito incoercibile limitato alle mani. E’ evidente la presenza di anomalie della vascolarizzazione renale che, in età pediatrica, sono state associate ad ipertensione arteriosa [1], confermata in questo caso anche dalla presenza di ipertrofia ventricolare sinistra e iniziale dilatazione dell’aorta ascendente. Al momento il paziente, senza alcuna terapia, presenta valori pressori nella norma. Il follow-up al momento è trimestrale. Speculiamo che fattori esterni (virali? ambientali?) possano avere contribuito al marcato, temporaneo, incremento dei valori pressori e di frequenza cardiaca, verosimilmente accentuato dalle anomalie vascolari renali congenite. BIBLIOGRAFIA [1] Giordano U et al: Relationships between renal vasculature abnormalities and arterial hypertension in children and adolescents. Cardiology in the Young 2014; 24: S1 pag S59 181 12 P - UNA DIAGNOSI IMMEDIATA DI UNA CARDIOPATIA MOLTO RARA Luigi Mesuraca, Antonio Belcastro, Massimo Bisceglia, Giuseppe Frandina, Anastasia Cirisano, Caterina Crugliano, Vincenzo Antonio Poerio, Francesco Paravati U.O.C. Pediatria Neonatologia T.I.N., Ospedale “S. Giovanni di Dio”, Crotone Introduzione : Il Tronco arterioso comune (TAC) è una malformazione cardiaca rara (il 2% delle cardiopatie congenite) ed è il risultato della mancata settazione del tronco arterioso primitivo, dal quale normalmente originano l’aorta e l’arteria polmonare. Sulla base dell’origine dei rami polmonari rispetto al tronco comune, si distinguono quattro tipi di Truncus (I-IV). E’ sempre presente un ampio D.I.V. sottoaortico e la valvola truncale è spesso displasica e presenta steno- insufficienza della stessa. L’instaurarsi della malattia vascolare polmonare è assai precoce e la correzione chirurgica deve essere effettuata nel periodo neonatale. Le anomalie del tratto di efflusso del cuore sono una caratteristica frequente nella Sindrome di Di George (SDG), contraddistinta da una specifica alterazione genetica riconosciuta in una delezione in emizigosi del cromosoma 22, al locus 22q11.2, che comporta un difetto embriogenetico delle strutture derivate dalla terza e quarta tasca branchiale. La SDG è caratterizzata da ipo/aplasia del timo, ipo/aplasia delle paratiroidi, anomalie cardiache e dismorfismi facciali. Caso clinico: Descriviamo il caso del piccolo Pasquale, nato a termine (peso: 2,900 Kg) da parto spontaneo e gravidanza normocondotta (diagnostica fetale riferita nella norma) con primi atti fisiologici nella norma. Per la presenza di scarsa reattività con tono muscolare valido e di un soffio mesosistolico di 3/6 sul mesocardio, viene effettuato esame emogasanalitico che mostra valori nei limiti della norma (SatO2 98% ; pH 7.4; pO2 65 mm hg; pCO2 30mm hg), Rx Torace che evidenzia “modesta cardiomegalia” ed ecocardiogramma che mostra: Situs solitus, normali ritorni venosi sistemici e polmonari, D.I.V. sottoaortico con ampiezza di 6 mm, Tronco arterioso unico con valvola displasica (quattro lembi) insufficiente con arterie polmonari destra e sinistra che nascono molto ravvicinate tra loro dalla parete dorsale del tronco. Posta diagnosi di Truncus tipo II, il piccolo quindi viene trasferito presso il più vicino Centro di Cardiochirurgia pediatrica, dove dopo dieci giorni viene sottoposto ad intervento di correzione chirurgica. Contestualmente vengono effettuate indagini genetiche che permettono di porre diagnosi di SDG Conclusioni: Il Tronco arterioso comune ha un ‘incidenza di 1:11.000 nati (nati vivi, nati morti e interruzioni di gravidanza dopo diagnosi prenatale), può associarsi nel 10% dei casi ad interruzione dell’arco aortico, il trattamento chirurgico precoce permette di conseguire un basso tasso di morbilità e mortalità (5%) nelle casistiche selezionate, invece senza l’intervento di correzione chirurgica l’exitus avviene quasi sempre nel primo anno di vita. Pur considerando una malformazione cardiaca molto rara ed in assenza di una diagnosi prenatale, è importante una diagnosi tempestiva dopo la nascita, anche in presenza di segni e sintomi clinici sfumati come nel nostro caso, al fine di poter garantire l' intervento di correzione chirurgica in tempi rapidi. Bibliografia - Barata IA, (Aug 2013). ”Cardiac emergencies.” .Emergency medicine clinics of North America 31 (3): 677-704. - “Persistent Truncus Arteriosus: Congenital Cardiovascular Anomalies : Merck Manual Professional” Retrieved 2007-11-04 - “eMedicine-Truncus Arteriosus : Article by Doff Mc Elhinney, MD” Retrieved 2009-10-02 - Rodefeld M, Hanley F (2002).”Neonatal Truncus Arteriosus repair: surgical tecniques and clinical management. “ Semin Thorac Cardiovasc. Surg Pediatr Card Surg Annu 5 (1) : 212-7. 182 13 P - ENCEFALOPATIA ACUTA SU BASE VEROSIMILMENTE IMMUNOLOGICA: DESCRIZIONE DI UN CASO Anastasia Cirisano, Paola Chiarello, Giuseppe Frandina, Nicola Lazzaro, Luigi Mesuraca, Concetta Rosso, Raffaele Falsaperla**, Ferdinando Scalia**, Salvatore Bagalà*, Francesco Paravati UOC Pediatria Neonatologia T.I.N., *U.O.C: Neuropsichiatria Infantile, Ospedale S. Giovanni di Dio, Crotone *Unità Operativa di Pediatria e P.S.P. Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico Vittorio Emanuele, Catania PREMESSA L’encefalite: è una malattia infiammatoria acuta dell'encefalo dovuta a invasione virale diretta o ad un processo di ipersensibilità causato da un virus. Può essere primitiva o costituire la complicanza secondaria di un'infezione virale. CASO CLINICO Sara, 2 anni e 6 mesi, giunge alla nostra osservazione per stato soporoso ed esantema generalizzato. La piccola aveva presentato nei 3 giorni precedenti febbre elevata, vomito ed un probabile breve episodio convulsivo la sera precedente il ricovero, trattato a domicilio con diazepam endorettale. All'ingresso la paziente presentava marcata ipotonia generalizzata e stato soporoso senza segni di irritazione meningea. Venivano eseguiti TC encefalo (negativa), EEG che mostrava segni di alterazione corticosottocorticale diffusa, esame chimico-fisico e colturale del liquor (negativi), ricerca virologica allargata (negativa), esami di routine nella norma.. Inizia terapia con ceftriaxone + desametazone+ acyclovir nel sospetto di encefalite. Nelle giornate successive si assisteva ad un graduale miglioramento della vigilanza, ma persistevano ipotonia generalizzata marcata con ipostenia (la piccola non reggeva il capo, nè manteneva la posizione seduta, non riusciva a girarsi nel letto), quasi assente la partecipazione all'ambiente, erano presenti movimenti stereotipati di apertura della bocca con protrusione della lingua. Dopo 12 gg di degenza, per il persistere della sintomatologia, la piccola veniva trasferita presso centro di Neurologia pediatrica. In tale sede venivano eseguiti RM encefalo , PCR per Herpes virus, amminoacidemia, aminoaciduria, aminoacidorachia, organicoaciduria, EMG, ricerca degli anticorpi CASPR2, VOKCs, NMDA, risultati nella norma. Stante la negatività degli esami, veniva intrapresa terapia con gammaglobuline e.v. alla dose di 2 gr/kg (due cicli a 7 giorni di distanza). Dopo tale terapia la piccola presentava lento ma progressivo miglioramento delle condizioni generali fino ad una quasi completa restitutio ad integrum delle funzionalità neuromotorie. Dopo un mese di degenza, la paziente veniva rinviata presso la nostra U.O. con diagnosi di encefalopatia acuta su base verosimilmente immunologica, per il proseguo del follow-up e della terapia riabilitativa. Negli ultimi controlli clinici la piccola non presenta alterazioni neurologiche significative tranne un lieve ritardo del linguaggio. DISCUSSIONE Segnaliamo questo caso in cui la diagnosi di encefalite su base verosimilmente immunologica è stata formulata in base alla negatività degli esami e per la rapida risposta clinica in seguito alla somministrazione delle immunoglobuline. Bibliografia Spatola M, Du Pasquier RA. Immune system's role in viral encephalitis. Rev Neurol (Paris). 2014;170(10):577-83 Britton PN, Dale RC, Booy R, Jones CA. Acute encephalitis in children: Progress and priorities from an Australasian perspective. J Paediatr Child Health. 2014 Jun 22. 183 14 P - IL CERCHIO DI GESSO DEL CAUCASO: GENITORI AGGUERRITI E BAMBINI CONTESI Parisi Goffredo, Grasso Mario Introduzione “Il cerchio di gesso del Caucaso” è un’opera teatrale di B. Brecht del 1944, trasposizione di un’antica leggenda orientale incentrata sull’amore genitoriale e la saggezza e sagacia del verdetto di un giudice, chiamato a riconoscere la vera madre di un figlio conteso. Il riferimento artistico-letterario ben si presta ad introdurre la problematica sottesa alla c.d. “Sindrome di Alienazione Parentale” o P.A.S., codificata nel 1985 da R. Gardner, psichiatra forense alla Columbia University, e da allora più croce che delizia di famiglie, tribunali, psicologi e società civile. Tematica Si sono passati in rassegna gli scritti più significativi prodotti sull’argomento dal mondo scientifico (contesto legale, giudiziario, medico pediatrico, psicologico, psichiatrico, sociologico) ed i principali riferimenti legislativi (legge 54/2006 sull’affido condiviso e successive proposte di legge modificative), nonché il tema della struttura familiare post-separazione o divorzio da considerare “golden-standard” per l’affidamento del minore, alla luce del suo diritto alla bi genitorialità e con riguardo a spazi, tempi e modalità di fruizione pratica realizzabili. L’analisi e la chiave di lettura riflettono–pur nel rispetto delle esigenze di obiettività legate all’incandescenza della materia- uno “stile di approccio” ermeneutico, euristico ed antropologico che promana dalla fondamentale funzione di “advocacy” nei confronti del bambino (e la sua famiglia) che la moderna cultura dell’infanzia assegna e sollecita al pediatra, assieme alla richiesta di un suo ruolo più attivo nella vicenda umana familiare e giudiziaria, dalla sua insorgenza fino agli estremi sviluppi (fatti saldi ovviamente gli obblighi di legge relativi a denuncia e segnalazione di reati). Risultati-discussioni Il destino finale della concettualizzazione di Gardner (relazione per versificata fra 3 attori principali, di cui 2 – un genitore e un figlio- coalizzati ad escludere e “vilificare” l’altro genitore, in un intreccio relazionale spinto “in extremis” fino all’assunzione da parte del figlio di un crudele non giustificato ruolo autonomo di “pensatore indipendente” e “perverso polimorfo”, e col persistente contributo materno estremizzato al punto da meritarle la attribuzione di “madre malevola”, definizioni che nella loro crudezza ed icasticità ripudiano totalmente una volontà di estrema introspezione alla ricerca di un terreno psico-analitico e psico-dinamico in cui possa avvertirsi un alito di sofferente solidarietà o un afflato di umana pietas, che illuminino e rendano comuni e degni di memoria i destini dei “perdenti” e dei “battuti”) si può datare in tempi recentissimi (marzo 2014) alla ultima edizione DSM-V della American Psychiatric Association, che sancisce in maniera netta ed irreversibile quello che immaginificamente si può definire come il “crollo e disgregazione” di un monolito psico-giudiziario, che per quasi 30 anni ha imperversato nelle aule dei tribunali col suo “malefico” manicheismo e con la sua granitica compattezza, che tende a individuare sempre “due vittime ed un carnefice”, oppure “due carnefici ed una vittima”, informando di sé e dei suoi devastanti effetti la sfera personale psicologica, sociale ed economica degli attori coinvolti nella disputa. Oggi, finalmente, grazie alla incorporazione nel DSM-V della alienazione parentale (A.P., terminologia da preferirsi), non più integrale come strutturata da Gardner ma scomposta in frazioni, categorie e subspecificazioni, la lettura del fenomeno risulta più esatta ed aderente alle dinamiche individuali ed interattive tra i singoli individui, che vengono a collidere e colludere in un incastro relazionale misconosciuto, complesso, sfaccettato e più genuinamente e veridicamente specchio di una realtà che ci sensibilizza alle differenze e rende più comprensibili a noi stessi ed agli altri il senso di quella umanità fragile, cangiante, multipla e continuamente refratta che ci rende fratelli e sorelle o, all’occorrenza, nemici mortali. Metafore a parte, nella pratica è facile prevedere di poter affrontare da oggi in maniera più efficace e produttiva la problematica, secondo una modalità di approccio “caso per caso” che utilizza le diverse componenti di volta in volta esprimenti il coinvolgimento e la qualità delle reazioni emotivo-comportamentali del figlio e le pulsioni legate ad una condizione psicopatologica del genitore che alimenta le reazioni stesse, con effetto disgregante. Un approccio “multi assiale”, quindi, del fenomeno che sacrifica ogni riferimento ad una definizione e, di conseguenza, ad una “prassi unificante” che, nei tempi, si è dimostrata inadatta a descrivere, integrare e comporre le controversie, contenendone gli esiti distruttivi immediati (fenomeno della “nuova povertà” o vera e propria indigenza in cui versano oggi quasi un milione di ex-coniugi, madri e soprattutto padri, ridotti in miseria e non più in grado di garantire né il figlio co-affidato né se stessi) e a distanza (“outcomes” evolutivi sfavorevoli, ampiamenti dimostrati nel figlio di genitori separati ed altamente conflittuali dalla letteratura scientifica più qualificata). Conclusioni La P.A. è un chiaro esempio di problematica per il cui trattamento è indispensabile una stretta cooperazione tra sistema giuridico, psicologico e Stato. Gli psicologi hanno bisogno del potere del tribunale perché le loro raccomandazioni siano attuate; i tribunali, invece, hanno bisogno che i professionisti mettano in atto le terapie adeguate. Gli uni e gli altri hanno bisogno dello Stato per garantire sul piano del pensiero, legislativo ed attuativo più ampi progetti/programmi di sostegno e recupero delle ex-parti in causa, in primis il bambino, prima vittima, che non devono essere abbandonati a se stessi dopo la tempesta che ne ha sconvolto le vite. In quest’ottica, è del tutto indispensabile lavorare per pervenire al tanto atteso Tribunale Unico per la Famiglia ed i Minori, sede potenziale di centralizzazione, velocizzazione, specializzazione ed umanizzazione dei procedimenti (e questa è una competenza squisitamente legislativa). 184 È auspicabile un maggior ricorso all’istituto della mediazione legale, se non pre-separazione/divorzio, almeno certamente pre-affido condiviso, utile a cercare di ridurre il contenzioso e il disallineamento tra livelli diversi di qualità di patrocinio assistenziale tra le parti, legati a livelli diversi di rappresentatività professionale e disponibilità economiche. Tale sperequazione troppo spesso esita in logiche di “truth of triumph”, anziché in “triumph of truth”, come nelle parole di un avvocato americano: “la P.A.S. è il sogno dell’avvocato della difesa: più grande è la prova del crimine, più grande sarà la prova della difesa”. È da ricercare un più maturo, responsabile e condiviso sforzo di giudici, avvocati e consulenti CTU e CTP, teso al rinvenimento di un “collante etico comune”, finalizzato a fare emergere dal “deserto” della conflittualità (che proprio in tribunale trova la sede naturale di estremizzazione di quella “guerra ritualizzata” tra ex-coniugi, in ragione delle sue intrinseche caratteristiche di struttura e funzionamento) eventuali spazi residuali di genitorialità positiva, su cui puntare per una azione “salvifica” e di recupero del diritto primario del bambino a ricevere attenzione, sostegno, cure ed amore lungo tutto l’arco del suo cammino evolutivo, ed oltre. È da sollecitare che le Istituzioni approntino sostanziali programmi di accompagnamento, supporto e indirizzo sul piano psicologico, sociale ed economico per i c.d. “reduci” della P.A., finalizzati non ad astratti aspetti di redenzione, perdonismo, socialitarismo ma semplicemente ad edificare un sistema di welfare più avanzato e protettivo. Sarà opportuno infine non “perdere d’occhio” l’esistenza e le competenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sempre presente a rivalutare e spesso ribaltare le sentenze dei singoli Stati ed infliggere sanzioni, e rivolgere massimo ascolto ed attenzione ad organizzazioni sovranazionali ed associazioni di volontariato non governative più o meno note, come UNICEF, Colibri, Telefono Arcobaleno e – “last but not least”- Papi- gump, recentemente scesa in campo per la tutela appassionata della bi-genitorialità e dei diritti dei Padri ex-coniugi, passati attraverso l’esperienza devastante vissuta tra alienazione, tribunali ed esiti processuali, “più grigi ma non domi”, come canta (il poeta) Claudio Baglioni, in difesa di principi e diritti comuni. Bibliografia essenziale - Gardner R.A.: “Recent trends in divorce and custody litigation”. Academy Forum (A Publication of the American Academy of Psychoanalysis) 1985; 29: 3-7 - Kelly J.B., Johnston J.R.: “The alienated child: a reformulation of parental alienation syndrome”. Family Court Review, 2001; 39: 249-67 - Bernet,W.: “Parental alienation disorder and DSM-V”. American Journal of Family Therapy, 2008; 36: 349-66 - Verde A., Passoni E.: “la consulenza tecnica di parte nelle cause di separazione e divorzio fra psicologia forense e psicologia clinica”. Rassegna Italiana di Criminalogia, fasc. 3 n. 3/2009: 1-23 - Camerini G.B., Magro T., Sabatella U., Volpini L.: “La parental alienation: considerazioni cliniche, nosografiche e psicologico-giuridiche alla luce del DSM-5”. Giorn. Neuropsich. Età Evolut., 2014; 341: 1-xxx - Parisi G.: “Una pediatria per la società che cambia: criticità assistenziali attuali, “New-Morbidity”, Sindrome di alienazione parentale. II Convegno Nazionale “Papi gump”- Diritti dei minori tra tutela e violazione; Vasto, 6/09/2014 (Atti). 185 15 P - POLMONITI RICORRENTI E BRONCHIECTASIE (BE) NON CORRELATE A FIBROSI CISTICA: STUDIO PEDIATRICO RETROSPETTIVO CASO-CONTROLLO Mara Lelii, Benedetta Longhi, Claudio Codecà, Claudio Pelucchi1, Claudia Tagliabue, Maria Francesca Patria, Susanna Esposito Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura, Dipartimento di Fisiopatologia e dei Trapianti, Università degli Studi di Milano, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano; 1Dipartimento di Epidemiologia, IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano. Introduzione Le BE sono caratterizzate da una dilatazione bronchiale permanente, su base prevalentemente infiammatoria. La loro frequenza risulta in costante aumento, anche per le migliorate capacità diagnostiche. Tra le cause che sottendono lo sviluppo delle BE, le infezioni ricorrenti delle basse vie aeree, patologia relativamente frequente anche nel bambino sano, costituiscono un importante fattore di rischio. Tuttavia non tutti i bambini affetti da polmoniti ricorrenti sviluppano successivamente questa complicanza bronchiale. Scopo del lavoro è descrivere le caratteristiche cliniche di bambini con polmoniti ricorrenti e BE e valutare la presenza di eventuali condizioni che ne predispongono lo sviluppo. Metodi Abbiamo quindi studiato 21 casi (14 maschi, età media: 12.2 4.5 a) e 21 controlli affetti da polmoniti ricorrenti, senza evidenzia di BE alla TC torace (13 maschi, età media: 9.2 3.9 a, p=0.03). I bambini affetti da fibrosi cistica sono stati esclusi dallo studio. Tutti i soggetti esaminati sono stati indagati per deficit immunitario, allergopatia, sinusite con sindrome rino-discendente, asma, discinesia ciliare primitiva (DCP), reflusso gastroesofageo (GERD), cardiopatia; i dati clinici (età gestazionale, peso neonatale, età prima polmonite, n° polmoniti ed episodi di wheezing prima della diagnosi, i valori di FEV1, FVC, FEF25-75 alla prima spirometria) e demografici (n° fratelli, età inserimento in comunità) sono stati riportati in un database appositamente sviluppato. Risultati Le BE erano di tipo cilindrico nell’ 85.7% ed avevano una distribuzione focale in 14/21 casi (66.6%), unilaterale in 2/7 e bilaterale in 5/7. Una patologia predisponente è stata trovata nel 95% dei casi: sinusite cronica nell’81%, wheezing/asma nel 71.4%, allergia nel 61.9%, GERD nel 28.6%, immunodeficit, cardiopatia congenita e prematurità nel 14.3%. Solo un paziente era affetto da DCP. Nessun paziente presentava malformazioni delle vie aeree o ritenzione di corpo estraneo. Non sono state trovate differenze nella prevalenza della patologia predisponente tra casi e controlli. La spirometria, eseguita ad un’età media di 7 anni (range 5-12 anni) nei casi e di 6.8 anni (range 5-11 anni) nei controlli, mostrava valori di FEV1 e FEF 25-75 significativamente più bassi nei casi (FEV1: 77.9%, vs 96.8%, p=0.004; FEF 25-75: 69.3% vs 89.3% p= 0.048) con reversibilità farmacologica nel 31% dei casi e nel 9% dei controlli. Conclusioni La sinusite cronica, la patologia ostruttiva delle vie aeree (asma/wheezing) e l’allergia sono le patologie più rappresentate sia nei casi sia nei controlli. Rispetto ai controlli i casi sembrano avere una spirometria alterata, prevalentemente in senso restrittivo, probabilmente preesistente allo sviluppo delle BE e verosimilmente non correlata all’estensione del danno bronchiale, che nella nostra casistica è relativamente contenuto. Bibliografia: 2) Chang AB, Brown N, Toombs M, Marsh RL, Redding GJ. Lung disease in indigenous children. Pediatr Respir Rev 2014 doi: 10.1016/j.prrv.2014.04.016. [Epub ahead of print] 3) Patria MF, Longhi B, Tagliabue C, Tenconi R, Ballista P, Ricciardi G, Galeone C, Principi N, Esposito E. Clinical profile of recurrent community-acquired pneumonia in children. BMC Pulm Med 2013; Oct 10;13:60. doi: 10.1186/1471-2466-13-60. 186 16 P - UNA FEBBRE CHE NON PASSA Pietrangiolillo Z. 1 , Predieri F.1, Martignoni L.1, Zagni G. 1, Di Biase A.R. 2, Iughetti L. 1,2 (1) Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Modena e Reggio Emilia (2) U.O. Pediatria,Az. Osp. Universitaria, Policlinico Modena X.Y., 14 mesi, veniva trasferito presso il nostro Ospedale per febbre da 10 giorni ed epatosplenomegalia, trattata con amoxicillina senza beneficio. All’ingresso in Reparto, il piccolo si presentava febbrile con pallore cutaneo, soffio sistolico 2/VI, più accentuato all’apice, fegato palpabile a 3 cm dall’arcata e milza a 2 cm. Gli esami ematici mostravano un quadro di pancitopenia (GB 5.28 migl/ul; N 24.7%, GR 3.47 mil/ul; Hb 7,3 g/dl, PLT 91 migl/ul), con incremento degli indici di epatocitolisi (GOT 106 U/l; GPT 171 U/l) e di flogosi (PCR 3,16 mg/dl); l’ecografia addome evidenziava epatosplenomegalia con milza disomogenea per presenza di diffuse lesioni nodulari ipoecogene; ECG, ecocardiografia ed Rx torace nella norma. In considerazione al quadro di epatosplenomegalia, febbre persistente e pancitopenia abbiamo effettuato: sierologia microbiologica negativa per Borrelia, Bartonella, Leptospira, Toxoplasma, Leishmania Infantum; mieloaspirato: “cellularità ridotta, serie midollari equilibrate, maturanti. Non si osservano immagini riferibili a Leishmanie”; PCR su sangue midollare positiva per EBV (compatibile con riattivazione in corso di altra infezione) e per Leishmania spp. negativa per CMV, HSV1, HHV6, Parvovirus B19, HHV8; PCR per Leishmania su sangue periferico positiva. Fatta diagnosi di Leishmaniosi, è stata impostata terapia con Amfotericina B liposomiale (Ambisome): 5 mg/kg/die ev il giorno 1 + 3 mg/kg/die ev nei giorni 2-7 e 14 e 21 con sfebbramento a 48 ore dall’inizio della terapia e miglioramento dell’epatosplenomegalia. La leishmaniosi è una parassitosi, causata da protozoi del genere Leishmania trasmessi all’uomo da insetti ematofagi, che trovano il serbatoio d’infezione in diversi mammiferi (cani, roditori, ecc). Interessa 12 milioni di persone al mondo, principalmente nei Paesi in via di sviluppo e si può manifestare in 4 forme cliniche: cutanea, muco cutanea, viscerale e cutanea diffusa. La Leishmaniosi viscerale o Kala-azar, è sostenuta principalmente da L. infantum nel bambino e L. donovani nell’adulto. Dopo l’inoculo nell’uomo i promastigoti perdono il flagello e vengono fagocitati dalle cellule del reticolo-endoteliale in forma di amastigoti, si moltiplicano e, dopo aver distrutto la cellula ospite, diffondono nei tessuti, trasportati dai macrofagi, localizzandosi a livello delle cellule reticolo-endoteliali di fegato, midollo osseo, linfonodi, milza e reni. Sequestro splenico, emopoiesi inefficace per infiltrazione midollare e produzione di IL-10 da parte dei macrofagi parassitati sono i principali meccanismi patogenetici alla base della pancitopenia. A tali manifestazioni si possono associare ipergammaglobulinemia, epatosplenomegalia, aumento delle transaminasi, e sintomi sistemici come febbre intermittente, perdita di peso, astenia, linfadenopatia, diarrea ematica, ritardo di crescita ed elevato rischio di sovrainfezioni. Più frequentemente colpisce bambini al di sotto dei 2 anni di età con sistema immunitario ancora immaturo, oppure soggetti immunodepressi. Gli amastigoti di Leishmania possono essere identificati direttamente o dopo cultura da campioni biologici: nelle forme viscerali si esaminano l'aspirato splenico (esame più sensibile) o il midollo osseo (meno sensibile del puntato splenico ma impiegata più spesso perché ritenuta meno pericolosa). Altra possibilità è la PCR su striscio midollare o su sangue periferico. La conferma indiretta di infezione tramite ricerca di anticorpi specifici ha sensibilità variabile e percentuale non trascurabile di falsi positivi. Attualmente, in Italia, la terapia di scelta si basa sull’impiego di amfotericina B liposomiale. Gli schemi di trattamento proposti in letteratura sono diversi: 3 mg/kg/die nei giorni 1-5, 14 e 21, oppure 3 mg/kg/die ev nei giorni 1-5 e 10 oppure 10 mg/kg/die ev per 2 giorni, oppure 5 mg/kg/die ev il giorno 1 poi 3 mg/kg/die ev nei giorni 2-7, 14 e 21. Il miglioramento clinico e la scomparsa di febbre si possono già osservare dopo una settimana dall’inizio del trattamento, mentre la guarigione completa si ha generalmente dopo 4-6 settimane, con progressiva normalizzazione del quadro ematologico e riduzione della splenomegalia. - Singh S (2006): New developments in diagnosis of leishmaniasis. Indian J Med Res 123: 311-330 Elmahallawy EK, Sampedro Martinez A et al (2014): Diagnosis of leishmaniasis. J Infect Dev Ctries Aug 13;8(8): 961-972 Dionisio MT, Dias A et al (2011): Paediatric visceral leishmaniasis. Experience of a Paediatric referral Center: 1990-2009. Acta Med Port 24:399-404 Cascio A, Di Martino L et al. (2004): A 6 day course of liposomal amphotericin B in the treatment of infantile visceral leishmaniasis: the Italian experience. J Antimicrob Chemother 54;217 187 17 P - MORBO DI GRAVES E PERDITA DI PESO: SOLO IPERTIROIDISMO? (Un caso di malattia di Graves e carcinoma papillare tiroideo in età pediatrica) Moira Alessandra Pinotti 1, Francesca Cortinovis, 1, Fabiana Codazzi2, Ilenia Pirola3, Cesare Antonio Ghitti1 1 Unità Operativa di Pediatria A.O Bolognini di Seriate, 2 Unità Operativa di Radiologia A.O Bolognini di Seriate, 3 Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali, Unità Endocrina e Metabolica, Università di Brescia INTRODUZIONE. L’ipertiroidismo è un'entità clinica rara in età pediatrica ed ancora più rari sono i casi segnalati in letteratura di carcinoma tiroideo nel contesto di malattia di Graves in pazienti pediatrici. CASE REPORT: Un ragazzo rumeno di 15 anni, portatore di HBs antigene, viene ricoverato presso il nostro reparto per un grave calo ponderale negli ultimi 3 mesi (circa 20 Kg), già indagato dal curante mediante esami ematici di routine, risultati negativi. Nella sua storia familiare e personale non vi è nulla di significativo da annotare, fatta eccezione per l’epatite B della madre. L’obiettività clinica all’ingresso risulta apparentemente nella norma, ma i parametri vitali evidenziano tachicardia a riposo (FC 124 bpm) ed ipertensione arteriosa (P.A 147/88 mmHg). Gli esami di laboratorio vengono estesi alla funzionalità tiroidea con dimostrazione di un quadro di ipertiroidismo conclamato associato alla presenza di anticorpi anti recettore del TSH (TRAb): viene posta diagnosi di malattia di Graves ed intrapresa terapia con metimazolo, ben tollerata. L'ecografia tiroidea mostra tuttavia la presenza di linfonodi cervicali a destra con caratteristiche sospette per malignità (figura): mentre il quadro clinico è in progressivo miglioramento, il follow-up diagnostico prosegue con l'esecuzione di una citologia agosaspirativa (FNAC) a carico di un linfonodo a livello VI destro, che evidenzia la localizzazione di metastasi di tumore primitivo tiroideo papillare. Il ragazzo viene sottoposto a tiroidectomia totale associata a linfoadenectomia cervicale destra ed a distanza di 2 mesi viene eseguita terapia con iodio 131 a scopo di radicalizzazione della tiroidectomia e completamento della stadiazione. Il ragazzo gode attualmente di buona salute ed è in terapia sostitutiva con levotiroxina associata a calcio carbonato e calcitriolo per ipoparatiroidismo secondario transitorio. DISCUSSIONE: gli insegnamenti offerti da questo caso clinico sono fondamentalmente due: innanzitutto il percorso diagnostico di un calo ponderale in un adolescente non può prescindere dalla valutazione della funzione tiroidea anche in assenza dei tipici fattori di rischio (sesso femminile, familiarità per tireopatie, coesistenza di altre patologie autoimmuni) e dei segni classici (gozzo). In secondo luogo accanto al pediatra anche il radiologo svolge un ruolo chiave nella gestione di questi casi: le caratteristiche ecografiche tipiche della malattia di Graves possono rendere più complessa l’interpretazione e quindi il riconoscimento di quei caratteri indicatori di malignità istologica. Questa difficoltà, in aggiunta alla dibattuta associazione tra malattia di Graves e carcinoma tiroideo ampiamente dibattuta nella popolazione adulta, impone un approccio diagnostico aggressivo nei confronti di questi pazienti con l’esecuzione di FNAC nei casi dubbi. Figura Linfonodi laterocervicali con componenti cistiche intranodali, tipiche del carcinoma papillare tiroideo BIBLIOGRAFIA 1) Franklyn J.A, Boelaert K. Thyrotoxicosis. Lancet 2012; 379: 1155-1166. 2)Baldini M, Orsatti A, Bonfanti MT, Castagnone D, Cantalamessa L. Relationship between the sonographic appearance of the thyroid and the clinical course and autoimmune activity of Graves’ disease. J Clin Ultrasound 2005;33:381–5 3)Pazaitou-Panayoutou K, Michalakis K, Pascke R. Thyroid cancer in patients with hyperthyroidism. Horm Metab Res 2012; 44:255-62. 4)Yano Y, Shibuya H, Kitagawa W, et al. Recent outcome of Graves' disease patients with papillary thyroid cancer. Eur J Endocrinol 2007; 157:325-9. 5)Niedziela M, Korman E. Thyroid carcinoma in a fourteen -year-old boy with Graves disease. Med Pediatr Oncol 2002;38:290-1. 6)Kanako KI, Kenji I, Kazuhiro O et al. Thyroid follicular carcinoma in a fourteen-year-old girl with Graves' disease 7) C. Cappelli , I. Pirola, E. De Martino et al. The role of imaging in Graves’ disease: A cost-effectiveness analysis EurJ Radiol 2008; 65: 99–10 188 18 P - UN CASO RARO DI CONFUSIONE MENTALE IN UN ADOLESCENTE Marco Pitea (1), Francesca Garbarino (2), Chiara Chantal Figini (1), Elisabetta Veronelli (1), Giovanni Montrasio (1) (1) Dipartimento Materno Infantile – UO di Pediatria - Azienda Ospedaliera Ospedale di Busto Arsizio – Presidio di Saronno (2) Unità di Terapia Intensiva Neornatale – Dipartimento Materno Infantile - Università degli Studi di Milano Fondazione IRCCS ‘Ca Granda Ospedale Maggiore Policlinico Milano INTRODUZIONE L’incidenza dello stroke in età pediatrica è di 3-10 casi/100.000 bambini l’anno, in aumento negli ultimi decenni; sebbene sia considerato raro ha una frequenza superiore ai tumori cerebrali ed è una delle prime 10 cause di morte in età infantile. METODI E RISULTATI A.G. è un ragazzo di 16 anni, condotto in pronto soccorso per confusione mentale ed afasia. Alla visita si presentava in lieve stato confusionale, spaventato: riferiva difficoltà nel pronunciare adeguatamente le parole lette. L’eloquio era rallentato con lacune mnesiche, afasia e disfasia per alcuni vocaboli. L’esame neurologico è risultato nella norma, così come la restante obiettività e i parametri vitali. Venivano eseguiti esami ematochimici in urgenza, ricerca di sostanze stupefacenti sulle urine e TAC encefalo, risultati negativi. A. è stato quindi successivamente sottoposto ad Angio-RM intracranica e RMN cerebrale con contrasto, che mostravano due aree riferibili a lesioni ischemiche recenti. L’Ecocolordoppler TSA, l’ECG e l’ecocardiogramma transtoracico erano privi di alterazioni. L’EEG basale rilevava modesti rallentamenti theta, talora di aspetto irritativo aspecifico, prevalenti a livello emisferico sinistro. Veniva pertanto intrapresa terapia con Cardioaspirina ed Eparina a basso peso molecolare (Enoxaparina). Lo screening trombofilico ha mostrato iperomicisteinemia ed elevazione del fattore VIII (203%, v.n. 65-140%). Screening autoanticorpale nella norma. La ricerca di mutazioni della MTHFR C667T è risultata positiva in omozigosi. Il bubble test è risultato patologico per cui ha eseguito ecocardiogramma color-doppler transesofageo che evidenziava presenza di cribrosità del setto interatriale, con shunt destro-sinistro. A breve distanza è stata ripetuta RMN encefalo con contrasto con quadro precedente notevolmente migliorato e riscontro a livello dell’emisfero cerebellare sinistro di alterazioni compatibili con antichi esiti ischemici. Durante la degenza A. mostrava un progressivo miglioramento delle condizioni cliniche: l’eloquio era più fluente, nonostante permanessero piccoli errori nella lettura. Dimesso con terapia antiaggregante al domicilio e presa in carico in Centro di III livello. DISCUSSIONE I più frequenti fattori di rischio di stroke in età pediatrica sono rappresentati da cardiopatie, vasculopatie, disordini ematologici e infezioni. L’associazione di più fattori predisponenti può determinare un aumento del rischio di recidiva e di mortalità. E’ necessario, quindi, indagare tutte le possibili cause e intervenire su quelle potenzialmente trattabili. BIBLIOGRAFIA 1. Mackay MT, Gordon A. Stroke in children. Aust Fam Physician. 2007 Nov;36(11):896-902. 2. Palmieri A, Savasta S, Zampogna S, Cama A, Gandolfo C, Rossi A, Molinari A.C, Moscatelli A, Tumolo M, Rimini A, Agostini M, Laverda A, Raucci U, Tozzi A, Longhi R, Di Pietro P. Diagnosi e terapia dello stroke ischemico pediatrico in fase acuta. 3. Haywood S, Liesner R, Pindora S, Ganesan V. Thrombophilia and first arterial ischaemic stroke: a systematic review. Arch Dis Child 2005; 90: 402-405. 4. Cerrato P, Grasso M, Imperiale D, Priano C, Baia C, Girardo M, Rizzuto A, Azzaro C, Lentini A, Bergamasco B. Stroke in young patients: etiopathogenesis and risk factors in different age classes. Cerebrovascular Dis 2004; 18(2): 154-159. 5. Brankovic-Sreckovic V, Milic-Rasic V, Jovic N, Milic N, Todorovic S. The recurrence risk of ischemic stroke in childhood . Med Princ Prac 2004; 13(3): 153-158. 6. Barnes C, deVeber G. Prothrombotic abnormalities in childhood ischaemic stroke. Thrombosis Research 2006; 118:67-74. 7. Shellhaas RA, Smith SE, O’Tool E, Licht DJ, Ichord RN. Mimics of childhood strokes: characteristics of prospective cohort. Pediatrics 2006; 118: 704-709. 8. Nowak-Gottl U, Strater R, Heinecke A, et al. Lipoprotein (a) and genetic polymorphisms of clotting factor V, prothrombin, and methylenetetrahydrofolate reductase are risk factors of spontaneous ischemic stroke in childhood. Blood 1999; 94:3678-3682 9. Kirkham FJ. Stroke in childhood. Arch Dis Child 1999; 81: 85-89. 10. Kirkham F, Sébire G, Steinlin M, Strater R. Arterial ischaemic stroke in children. Thromb Haemost 2004; 92:697-706. 189 19 P - POLIURIA E POLIDIPSIA... MA NON DIABETE! Predieri F.1, Martignoni L.1, Pietrangiolillo Z. 1, Zagni G. 1, Guerra A. 1,2, Dozza A. 1,2, Iughetti L. 1,2 (1) Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Modena e Reggio Emilia (2) U.O. Pediatria, Az. Osp. Universitaria, Policlinico Modena XY, 10 anni, accedeva al PS per polidipsia (circa 3.5 – 4 litri/die) associata ad enuresi dall’età di 3 anni, con riscontro agli esami ematici di alterazione degli indici di funzionalità renale (creatinina 2.6 mg/dl, urea 99 mg/dl). Anamnesi famigliare negativa per patologie di pertinenza nefrologica. All’arrivo X si presentava in buone condizioni generali e di idratazione, con obiettività generale nella norma. Crescita staturale ai percentili superiori, in linea con il target genetico, lieve eccesso ponderale (peso 40 kg, altezza 142 cm, BMI 19.8, BSA 1.25 m2), prepubere. Gli esami ematochimici hanno confermato il quadro d’insufficienza renale con GFR calcolato pari a circa 30 ml/min (insufficienza renale di grado moderato/severo) e hanno inoltre evidenziato moderata anemia (Hb 11.1 g/dl, MCV 75.6 fl, sideremia 52 mcg/dl), incremento del valore di paratormone (PTH 409.7 pg/ml) con insufficienti livelli di vitamina D (11.7 ng/ml), iperuricemia (7.6 mg/dl), iperaldosteronismo (> 1000 pg/ml) e iper reninemia (310.2 microU/ml), nella norma gli elettroliti sierici. All’EGA venosa riscontro di lieve acidosi metabolica con bicarbonati nella norma (pH 7.26, bicarbonati 25.7 mmol/L). All’esame urine ipostenuria (PS 1005), iposmolarità (201 mOsm/kg), incremento della beta 2 microglobulina urinaria (16.30 mg/L). La raccolta urinaria delle 24 ore ha inoltre evidenziato la presenza la presenza di natriuria (FeNa 2.59), potassiuria (FeK 48.4), UNa/UK 2.1, proteinuria (810 mg/die, 648 mg/m2/die, PrU/CrU 1.1), microalbuminuria (> 70 mig/ml). Il monitoraggio pressorio si è mantenuto al di sotto del 90° percentile, l’holter pressorio è risultato nella norma, la diuresi era di circa 4 ml/kg/h con corrispondente apporto idrico. L’ecografia renale ha evidenziato la presenza di bilaterale diffusa ed uniforme iperecogenicità della componente corticale, suggestiva di nefronoftisi, con reni di dimensioni nei limiti di norma. Il fondo oculare è risultato nella norma. Alla luce dei dati anamnestici, laboratoristici e strumentali è stato posto il sospetto di nefronoftisi associata a quadro di insufficienza renale cronica di grado moderato-severo. L’analisi genetica ha confermato mutazione a carico del gene NPHP1. E’ stata impostata terapia con bicarbonato di sodio, eritropoietina, calcitriolo, solfato ferroso; dieta iposodica e controllato apporto proteico. La nefronoftisi (NPH) o malattia cistica autosomica recessiva della midollare renale è una nefropatia tubulointerstiziale cronica, principale causa di insufficienza renale cronica in bambini di età superiore ai 5 anni. La prevalenza è 1/100.000 individui con un’incidenza del 10-15%. Condivide caratteristiche cliniche e anatomopatologiche con altre malattie cistiche del rene, da cui tuttavia differisce per le ridotte dimensioni renali e per la predominanza dei fenomeni fibrotici. Tutte le varianti di NPHP sinora descritte hanno in comune il caratteristico pattern istologico di un diffuso infiltrato cellulare, con presenza di fibrosi, disintegrazione della membrana basale tubulare, atrofia dei tubuli e formazione di cisti corticomidollari. La modalità di trasmissione è autosomica recessiva e ad oggi sono stati identificati 9 geni responsabili di diverse forme (NPH1-NPH9) di tubulo-interstiziopatie associate a varie manifestazioni extrarenali. La malattia è eterogenea sia dal punto di vista clinico che genetico, ne sono descritte tre forme principali: La nefronoftisi giovanile, denominata anche nefronoftisi tipo 1 (NPH1), costituisce la forma più frequente. Il locus del gene è localizzato sul cromosoma 2q12-q13. Evolve verso l'insufficienza renale terminale prima dei 15 anni ed è la causa del 15% dei casi di insufficienza renale terminale infantile. I primi segni compaiono dopo i 2 anni, con un difetto di concentrazione dell'urina, responsabile della poliuria e della polidipsia, del ritardo della crescita e del deterioramento progressivo della funzione renale, senza segni di malattie glomerulari. L'ecografia renale evidenzia reni di dimensioni normali. Si possono associare sintomi extrarenali: degenerazione retinica, deficit cognitivo, atassia cerebellare, anomalie ossee o coinvolgimento epatico. La nefronoftisi infantile, denominata anche nefronoftisi tipo 2 (NPHP2), il cui gene è stato localizzato sul cromosoma 9q22-q31, è una nefropatia tubulo-interstiziale cronica che si associa a microcisti corticali che evolvono verso l'insufficienza renale terminale prima dei 5 anni. La forma a esordio tardivo, detta anche nefronoftisi adolescenziale o di tipo 3 (NPHP3), è quella più rara, con segni clinici e istologici simili a quelli della forma giovanile, ma l'insorgenza dell'insufficienza renale terminale si verifica più tardi, mediamente a 19 anni. L’ecografia è il mezzo diagnostico strumentale migliore per porre un sospetto diagnostico: nei casi in cui le cisti sono assenti sono indicative immagini di reni iperecogeni, di dimensioni lievemente ridotte. Nel 70% dei casi sono visibili cisti di diametro variabile da 1 a 15 mm, soprattutto alla giunzione corticomidollare e nella midollare. Le cisti compaiono tardivamente, ma possono essere osservate anche in fase precoce di malattia. Non sono al momento disponibili terapie specifiche, pertanto è importante effettuare una precisa diagnosi con un attento follow-up presso centri specialistici per ritardare la progressione verso l'insufficienza renale terminale e minimizzare le complicazioni secondarie. - A gene for familial juvenile nephronophthisis (recessive medullary cystic kidney disease) maps to chromosome 2p. Antignac C, Arduy CH, Beckmann JS, et al. Nat Genet 1993; 3: 342-5 - Genetica e nosografia delle malattie renali cistiche, Izzi C.,SottiniL. et al., G Ital Nefrol 2010; 27 (S50): S63S69 - Mechanisms of Nephronophthisis and Related Ciliopathies. Toby W. Hurd, Friedhelm Hildebrandt, Nephron Exp Nephrol 2011;118:e9–e14 - Pathogenic NPHP5 mutations impair protein interaction with Cep290, a prerequisite for ciliogenesis. Marine Barbelanne, Jenny Song et al. Hum Mol Genet. 2013 June 15; 22(12): 2482–2494 190 20 P - UNO NESSUNO CENTOMILA: UN CASO DI ERITEMA MULTIFORME Mario Rubino(1), Monica Airoldi(1), Rosaria Longo(1), Moira Pinotti(1), Rita Pulvirenti(1), Silvia Rossi(1), Alberto Rossi(2) Maria L. Scognamiglio(1), Cesare Ghitti(1). (1)U.O. Pediatria, Azienda Ospedaliera Bolognini Seriate (BG). (2)U.O. Medicina Interna Ospedale Alzano L.do (Bg), Azienda Ospedaliera Bolognini Seriate (BG). INTRODUZIONE L'eritema multiforme (E.M.) è una malattia infiammatoria immunomediata, caratterizzata clinicamente da un'eruzione cutanea simmetrica con estensione delle lesioni sparse su tronco, volto e gambe, il più delle volte ad esordio con una macula rossa o placche orticaroidi presenti anche sulle mucose in particolar modo sul margine vermiglio delle labbra. Tale sintomatologia appartiene ad un ampio spettro clinico di malattie. [1] MATERIALE E METODI Nel febbraio 2014 giunge alla nostra osservazione Matteo 14 anni, di origine caucasica, in anamnesi neonatale e patologica remota nulla di rilevante; con presenza di congiuntivite bilaterale, lesioni a bersaglio nelle regioni palmo-plantare con elementi presenti in regione dorsale, sul viso e scrotale, mucosite al cavo orale, chelite e fissurazione labiale (Vedi Figure). In anamnesi patologica prossima comparsa di febbre e tosse 4 giorni prima e posto in trattamento con amoxicillina + ac clavulanico prima, ceftriaxone poi, e come antipiretico Metamizolo Sodico. Riferito anche unica assunzione di paracetamolo-clorfeniramina (Zerinol). Gli esami di laboratorio mostrano normalità di emocromo, Hb, PLT, elettroliti, marker epatici, fibrinogeno, ves, coagulazione, tampone auricolare; virologici (HbsAg, EBV, HCV, HAV, CMV, HSV, Coxakie IgM dubbie, IgA ed IgG neg), toxoplasma. Positivi invece PCR, IgM anti mycoplasma, esame colturale del tampone congiuntivale per staphilococcus aureus. Per quanto riguarda gli esami strumentali: RX Torace, ECG, Ecocolor doppler cardiaco negativi, all'Eco addome presenza di fegato ai limiti superiore di norma per dimensione e con ecostruttura a caratteristico aspetto “a cielo stellato”, negativo il resto. Il ragazzo nel dubbio di una infezione batterica veniva sottoposto a diversi trattamenti nel tentativo di risolvere il quadro clinico; pertanto come terapia veniva praticata Azitromicina, Vancomicina, Netildex collirio, Vigamox collirio. Venivano eseguita anche consulenza dermatologica che indirizzavano verso un E.M. e consulenze oculistiche per coinvolgimento oculare. RISULTATI Durante la degenza si è assistito ad un costante miglioramento delle condizioni generali e della sintomatologia clinica, con lento ma costante miglioramento della congiuntivite e dell'E.M. anche a livello orale e scrotale. DISCUSSIONE Le ipotesi diagnostiche iniziali hanno preso in considerazione una staphylococcal scalded skin syndrome (SSSS), non escludendo però una sindrome di Stevens-Johnson (SJ), o una Epidermiolisi bollosa tossica (EBT). Nel caso di SSSS in realtà la non gravità della sintomatologia clinica, il non coinvolgimento sistemico, e nel nostro caso il coinvolgimento della mucosa orale, (peraltro assente in corso di SSSS) , l'assenza di dolorabilità cutanea, o del segno di Nikolsky [1], ci hanno fatto abbandonare tale ipotesi, orientandoci più su un SJ o EBT. Pertanto abbiamo sospeso la terapia antibiotica intrapresa continuando con emollienti cutanei e durante la degenza abbiamo assistito ad un lento ma costante miglioramento clinico. Nel corso degli anni, in base all'andamento clinico, sono state identificate 3 varianti di E.M.: Classica, Ricorrente e Persistente.[2] Nel nostro caso si tratta di una forma classica legata nel 90% dei casi ad infezioni di HSV o Mycoplasma. Non ci sono allo stato test diagnostici specifici per E.M.; la diagnosi è puramente clinica e supportata, se necessario, dalla biopsia cutanea. Il trattamento è sintomatico. Nei casi attribuibili a virus o batteri è utile l'utilizzo di antivirali o antibiotici; nei casi attribuibili a reazioni avverse ai farmaci è necessaria invece l'immediata sospensione del farmaco ritenuto responsabile [3]. Nel nostro caso è risultato positivo gli Ab-anti mycoplasma è stato riscontrato l'utilizzo di un farmaco potenzialmente responsabile per E.M. Il paracetamolo-clorfeniramina. E' dunque probabile che nel nostro paziente l'associazione temporanea di entrambi possa aver dato origine alla risposta immuno-mediata responsabile dell' eritema multiforme. BIBLIOGRAFIA [1] Nelson, Pediatria di Nelson XVIII Ed., Vol. 2 cap. 653; 2747-48. [2] Olayemi S, Wetter D. Clinical features, diagnosis, and treatment of erythema multiforme: a review for the practicing dermatologist. International Journal of Dermatology 2012:51;889-902. [3] Farthing, Bagan, Scully. Mucosal disease series. Number IV – Erythema Multiforme: oral diseases (2005) 11:261-67. 191 21 P - IL METODO DELLA CONTA DEI CARBOIDRATI NELLA GESTIONE DEL DIABETE DI TIPO 1 Ernesto Saullo (1), Mimma Caloiero (1), Anna Cerchiaro (2), Francesca Saullo (3), Raffaella Pulice (4) (1) U.O. Pediatria, Presidio Ospedaliero “Giovanni Paolo II”, Lamezia Terme ASP CZ (2) Servizio Dietetico, Direzione Sanitaria A.O. “Pugliese-Ciaccio”, Catanzaro (3) Centro Regionale di Documentazione e Informazione sul Farmaco, Policlinico Universitario “Mater Domini”, Catanzaro (4) Corso di Laurea in Dietistica, Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche INTRODUZIONE: la terapia nutrizionale riveste un ruolo essenziale nella gestione della malattia diabetica e del suo autocontrollo, numerosi studi, infatti, hanno dimostrato che, se una corretta alimentazione si associa alla terapia farmacologica ed educazionale può rappresentare un’ importante strumento per il raggiungimento di un buon compenso metabolico. Nel 1994, l’American Diabetes Association (ADA), evidenzia l’importanza della terapia dietetica (Medical Nutrition Therapy), non più vista come un rigido schema, spesso povero di carboidrati ed uguale per tutti, ma come una terapia individuale e personalizzata, necessaria al paziente diabetico per ottenere e mantenere il compenso metabolico ottimale, migliorare lo stato di salute e raggiungere i fabbisogni nutrizionali individuali. Nel corso degli ultimi anni l’alimentazione del paziente diabetico è radicalmente cambiata, si è passati da diete estremamente ipoglucidiche, per altro prive di benefici per il compenso glicometabolico specie nei diabetici di tipo 1, a schemi dietetici caratterizzati da quote costanti di carboidrati; i nuovi approcci nutrizionali, come la “conta dei carboidrati”, si basano invece sulla pianificazione dei pasti e del loro contenuto glucidico. I carboidrati rappresentano il principale nutriente che determina il fabbisogno insulinico per ogni pasto effettuato, infatti, anche se parte delle proteine e dei grassi vengono metabolizzate in glucosio, il loro apporto alla quantità di carboidrati assorbiti nel periodo post-prandiale è relativamente scarsa. Pertanto, il calcolo dell’apporto glucidico di ogni pasto è di grande importanza per stimare in modo preciso il fabbisogno insulinico, che viene adattato ai fabbisogni del paziente. MATERIALE E METODI: l’U.O. di Pediatria del Presidio Ospedaliero di Lamezia Terme, avvalendosi del supporto esterno di volontari esperti in Farmacologia e Dieteticqa, ha avviato un progetto di formazione rivolto ai giovani pazienti diabetici afferenti al proprio reparto, ai quali sono state impartite le nozioni base relative alla conoscenza dei carboidrati, al loro contenuto nei vari cibi ed all’individuazione del giusto bolo insulinico calcolato in base alle necessità individuali e sulla risposta metabolica ai carboidrati, col fine di poter mettere il pratica il metodo della “conta dei carboidrati”. Per lo svolgimento del progetto sono stati reclutati; tenendo conto della compliance, del controllo glicemico ed escludendo i nuovi esordi, 11 pazienti su 18, di età compresa tra i 3 ed i 18 anni, tra questi 6 sono portatori di microinfusore. Per poter stabilire quanto, questo approccio nutrizionale, possa influire sul controllo della glicemia post-prandiale e sulla qualità della vita dei nostri giovani pazienti abbiamo valutato: l’aderenza terapeutica, il controllo glicemico e la compliance. RISULTATI: in 9 hanno attuato una buona conta dei carboidrati, hanno partecipato con interesse alle attività formative ed applicato con diligenza quanto imparato mostrando un’ottima compliance ed una buona aderenza terapeutica, al contrario, 2 pazienti, entrambi in terapia multiniettiva, hanno mal gestito e rifiutato la metodica, dimostrandosi spesso poco collaborativi. Il compenso metabolico è stato studiato mediante il valore dell’Emoglobina glicata (Hbc), rilevato dopo 3 mesi dall’inizio del progetto, quest’ultimo, in chi ha seguito con precisione e costanza la conta dei carboidrati si è notevolmente abbassato, non superando in generale il valore di 7.50. Nei pazienti non partecipanti il valore dell’Hbc si è dimostrato più alto, superando in alcuni casi il valore di 10. DISCUSSIONE: la conta dei carboidrati si è dimostrata un utile strumento per un buon compenso metabolico di bambini e giovani diabetici, la maggior parte dei partecipanti al progetto ha mostrato un’ottima compliance, più evidente nei paziente più grandi. Alla luce dei risultati ottenuti, è in programma nel nostro centro uno studio atto a valutare se la metodica della conta dei carboidrati possa essere attuata con maggiore facilità se ha inizio all’esordio della patologia. 192 22 P - MONITORAGGIO 4 CANALI PER DIAGNOSI DEI DISTURBI RESPIRATORI DEL SONNO NEI BAMBINI: CASISTICA del REPARTO di PEDIATRIA di CHIERI (ASLTO5) Dottor Gian Maria Terragni - Inf. Donatella Ottonello, Inf. Elite Rotondo S.C. di Pediatria- Osp. Maggiore di Chieri (TO) INTRODUZIONE: Nei bambini la causa più comune dei disturbi respiratori nel sonno è l’ostruzione delle vie aeree. Questi disturbi possono essere classificati in: a) russamento primario (russamento senza alterazione degli scambi gassosi); b) UARS: sindrome da aumentate resistenze delle vie superiori (russamento con aumento del lavoro respiratorio ed arousal notturni senza alterazione degli scambi gassosi); c) OSAS: sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (associata a ipossia e/o ipercapnia). La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno è definita come un disturbo della respirazione durante il sonno caratterizzato dall'ostruzione parziale prolungata e/o completa ma intermittente delle alte vie aeree (apnee ostruttive) che interrompono la normale ventilazione durante il sonno1. E’ associata a sintomi notturni (russamento, respiro affannoso durante il sonno, episodi di apnea, enuresi, dormire con collo iperesteso, sudorazione), a sintomi diurni (cefalea al risveglio, sonnolenza durante il giorno, deficit di attenzione e problemi di apprendimento, iperreattività) e a segni come ipertrofia tonsillare, facies adenoidea, scarso accrescimento, sovrappeso/obesità, ipertensione..2. Il gold standard per la diagnosi di OSAS è la polisonnografia standard notturna ma se questa non è disponibile altre metodiche sono utilizzate come screening come ad esempio la polisonnografia ridotta a 4 canali. Uno studio italiano descrive una prevalenza delle OSAS dell'1.8% nella popolazione pediatrica 3. Il reparto di Pediatria di Chieri dal 2008 esegue monitoraggi a 4 canali per valutare bambini con sospetto OSAS; dall’inizio in collaborazione con il Centro Regionale di riferimento dell’OIRM poi con il reparto di ORL dell’Ospedale di Moncalieri (ASLTO5) infine dal Giugno 2012 autonomamente. MATERIALI e METODI Il paziente viene inviato in ambulatorio della Pediatria di Chieri dal medico curante o dallo specialista ORL per russamento e/o apnee notturne, previo appuntamento telefonico. Il posizionamento dell’apparecchiatura sul paziente viene effettuato nelle ore pomeridiane da parte del personale infermieristico dell’ambulatorio che istruisce i genitori sull’utilizzo dell’apparecchio. La registrazione viene avviata a domicilio la sera , dopo l’addormentamento del bambino, e si conclude il mattino successivo. Per la registrazione viene utilizzato apparecchio VITAGUARD 3100 (curva respiratoria impedenzometrica toracica, ECG, saturimetria, pletismogramma). RISULTATI Sono stati eseguiti 228 monitoraggi dal Giugno 2012 ad Agosto 2014 Sono stati classificati secondo i criteri di Brouilette4 e in caso di positività la severità dell’OSAS è stata classificata secondo il McGill oximetry score5. Sono risultati : Negativi 162 monitoraggi (71%) Intermedi 55 monitoraggi (24%) Positivi 21 monitoraggi (9,2%) DISCUSSIONE I dati della nostra casistica permettono di affermare che l’invio del bambino che russa durante la notte per eseguire un monitoraggio notturno è una giusta indicazione come riportato da Marcus et al. su Pediatrics 2012 6 e rinnovato dalla Società Italiana di Pediatria sulla sua rivista “pediatria” gennaio – febbraio 2013. BIBLIOGRAFIA: 1) American Academy of Pediatrics. Clinical practice guideline: diagnosis and management of childhood obstructive sleep apnea syndrome. Pediatrics 2002;109: 704-12; 2)Villa MP et al. Linee guida per la diagnosi della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno in età pediatrica. Minerva Pediatr 2004;56:239-53; 3)Brunetti L, Rana S, Lospalluti ML et al. Prevalence of Obstructive Sleep Apnea Syndrome in a Cohort of 1,207 Children of Southern Italy. Chest 2001;120:1930-1935; 4)Brouillette RT et al: Nocturnal pulse oximetry as an abbreviated testing modality for pediatric obstructive sleep apnea. Pediatrics 2000;105(2):405-12 ; 5)Gillian M. et al: Planning adenotonsillectomy in Children With Obstructive Sleep Apnea: the Role of Overnight Oximetry Pediatrics 2004;113; 6)Marcus CLet all.Diagnosis and Management of Childhood Obstructive Sleep Apnea Syndrome.Pediatrics 2012;130;576. 193 23 P - UN CASO DI ASCESSO POLMONARE DA CANDIDA ALBICANS Angelina Vaccaro, Francesco Vierucci, Raffaele Domenici S.C. Pediatria, Ospedale San Luca, Lucca Introduzione. L’ascesso polmonare è una condizione rara in età pediatrica. L’incidenza è di circa lo 0,7 per mille. Gli organismi responsabili dell’ascesso polmonare sono batteri aerobi gram positivi e negativi, anaerobi e funghi. Gli agenti batterici più frequenti negli ascessi primari sono lo streptococcus pneumoniae e lo stafilococco aureus, mentre negli ascessi secondari sono lo pseudomonas aeruginosa, la candida albicans e l'aspergillus. Recentemente è stato segnalato anche un caso da mycoplasma pneumoniae. Lo sviluppo di un ascesso polmonare può essere favorito da fattori predisponenti quali aspirazione polmonare in bambini con anomalie di sviluppo neurologico, immunodeficienze congenite, immunosoppressione farmacologica, alterazioni strutturali del polmone, fibrosi cistica, deficit di alfa-1-antitripsina. La mortalità si aggira intorno al 5% ed è predominante in bambini con fattori predisponenti. Caso clinico. Descriviamo il caso di un paziente di 20 anni, affetto da encefalopatia e tetraparesi spastica con epilessia, accolto comunque nel reparto pediatrico per la patologia di base e la grave iposomia conseguente. All’anamnesi emerge come da circa 15 giorni sia insorta febbre, persistente nonostante la terapia antibiotica prescritta (azitromicina e ceftriaxone). All’ingresso il ragazzo presenta un quadro clinico di insufficienza respiratoria acuta, con reperto ascoltatorio toracico caratterizzato dalla riduzione del murmure vescicolare sull'emitorace destro con presenza di rantoli crepitanti diffusi. Gli esami ematochimici eseguiti evidenziano una PCR elevata e leucocitosi neutrofila. Gli esami colturali su sangue ed aspirato bronchiale, le indagini sierologiche, il quantiferon risultano normali. All’Rx torace si evidenzia un'area estesa e disomogenea di addensamento parenchimale a livello del campo medio-inferiore destro con segni di disventilazione del parenchima contiguo e innalzamento dell’emidiaframma omolaterale (Figura 1). Viene iniziata terapia antibiotica con ciprofloxcina, teiclopenina e meropenem, quest'ultimo sostituito dopo qualche giorno con piperacillina/tazobactam per scarso miglioramento clinico. La successiva TC torace evidenzia la presenza di una grossolana lesione disomogenea di aspetto rotondeggiante del diametro di 9 cm che interessa il segmento posteriore del lobo superiore destro ed il segmento apicale del lobo inferiore sempre a destra. La lesione presenta multiple aree ipodense necrotico-colliquative ed escavazioni interne con associato ispessimento-versamento intrascissurale. Addensamenti parenchimali sono presenti anche a sinistra (Figura 2). Le condizioni del ragazzo si mantengono sempre molto gravi con febbre persistente e dispnea. Viene quindi eseguita una broncoscopia con aspirazione di secrezioni purulente dal segmento apicale del BLISx, dal bronco intermedio/BLIDx. Data la severità del quadro clinico non è possibile eseguire drenaggio dell'ascesso. Gli esami colturali sul BAL risultano ancora negativi per germi comuni e BK, ma risultano positivi per la candida albicans. Alla terapia antibiotica in atto viene associato il fluconazolo per via endovenosa e successivamente per os con netto miglioramento del quadro clinico e radiologico. Al follow-up a distanza di tre mesi si conferma la normalizzazione dei test di flogosi e del quadro radiologico. Bibliografia - Tan TQ, Seilheimer DK, Kaplan SL. Pediatric lung abscess. Clinical management and outcome. Pediatr Infect Dis 1995; 14:51-5. - Patradoon-Ho P, Fitzgerald DA. Lung abscess in children. Pediatric respir reviews 2007; 8: 77-84. - Chan PC, Huang LM, Wu PS, Chang PY, Yang TT, Lu CY, Lee PI, Chen JM, Lee CY, Chang LY. Clinical management and outcome of childhood lung abscess: a 16 year experience. J microbiol immunol infect 2005; 38: 183-8. - Yen CC, Tang RB, Chen SJ, Chin TW. Pediatric lung abscess: a retrospective review of 23 cases. J microbiol immunol infect 2004; 37: 45-9. - Ruffini E, De Petris L, Candelotti P, Tulli M, Sabatini MR, Luciani L, Carlucci A. Lung abscess in a child secondary to Mycoplasma pneumoniae infection. Pediatr Med Chir 2014; 36: 87-9. Figura 1 Figura 2 194 24 P - CODICE ROSA: DUE ANNI E MEZZO DI ESPERIENZA R. Domenici1, P. Banti2, F. Vierucci1, A. Vaccaro1, C. Papini3, M. Cavani3, M. Lenci4, L. Berti5 1. S.C. Pediatria, Ospedale San Luca, ASL 2 Lucca 2. S.C. Pronto Soccorso, Ospedale San Luca, ASL 2 Lucca 3. U.O. Assistenza Sociale Piana di Lucca, ASL 2 Lucca 4. S.C. Ostetricia e Ginecologia, Ospedale San Luca, ASL 2 Lucca 5. U.O. Neuropsichiatria Infantile, Ospedale San Luca, ASL 2 Lucca Introduzione. Il Codice Rosa identifica un percorso di accesso al Pronto Soccorso riservato a tutti i soggetti che, senza distinzione di genere o età, più facilmente possono diventare vittime di violenza altrui a causa della loro condizione di fragilità, in particolare nell’ambito delle relazioni affettive e/o di fiducia. Rientrano in tale categoria donne (circa l’80% delle vittime), uomini, bambini, anziani, immigrati, portatori di handicap, vittime di discriminazioni razziali, religiose o omofobiche, etc. Il Codice Rosa prevede l’attivazione sinergica di un gruppo operativo interforze composto dai rappresentati di ASL (118, Dipartimento Ospedaliero Emergenza Urgenza, Dipartimento Materno Infantile, Dipartimento Salute Mentale, UUFF Consultoriali), Procura, Forze dell’Ordine, Comune, Centro Antiviolenza, Centro per il recupero dei soggetti maltrattanti e Case rifugio. Metodi. Registrazione dei casi di Codice Rosa attivati presso la ASL2 di Lucca. Risultati. Il Codice Rosa è attivo presso la ASL di Lucca dal 1° gennaio 2012. Nell’anno 2012 sono stati registrati 250 Codici Rosa, dei quali 28 (11%) riguardanti soggetti in età pediatrica (16 casi di maltrattamento + 12 casi di abuso). Nel 2013 i Codici Rosa attivati sono stati 353 (+41.2% rispetto al 2012). La percentuale dei casi riguardanti i bambini è risultata in lieve aumento (46 casi, pari al 13% del totale, di cui 35 casi di maltrattamento e 11 casi di abuso). Infine, nel primo semestre del 2014 sono stati registrati 189 Codici Rosa, di cui 19 (10%) riguardanti i bambini (18 casi di maltrattamento ed 1 caso di abuso). Discussione. L’attivazione del Codice Rosa ha il triplice scopo di tutelare e mettere in sicurezza le vittime di violenza ed assicurare alla giustizia gli autori dei reati stessi. Come dimostrano i dati della nostra realtà, il ricorso al Codice Rosa è frequente (nel 2013 mediamente quasi un caso al giorno) ed in aumento. In particolare, i bambini rappresentano una percentuale considerevole delle vittime di violenza. L’attivazione di un percorso dedicato che comprende spazi appositi (la vittima accede in Pronto Soccorso nella “stanza rosa”, ambiente protetto nel quale viene accolta con solerzia e discrezione per il tempo necessario per ricevere le prime cure e consentire una solida e professionale acquisizione del quadro probatorio) e soprattutto la presenza di una task force multidisciplinare operativa 24 ore su 24 rappresentano uno strumento fondamentale per la gestione dei casi di violenza che avvengono nel nostro territorio. 350 300 250 200 150 100 50 0 2012 Bambini (abuso) 2013 Bambini (maltrattamento) 2014 (I semestre) Adulti 195 25 P - LA PERTOSSE NEI LATTANTI DI ETÀ INFERIORE AI 90 GIORNI DI VITA: UN’INFEZIONE POCO RICONOSCIUTA Anna Chiara Vittucci1, Isabella Tarissi de Jacobis1, Valentina Spuri Vennarucci2, Annalisa Grandin1, Cristina Russo2, Laura Lancella1, Alberto E. Tozzi3, Alberto Villani1. 1 U.O.C. di Pediatria Generale e Malattie Infettive, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma 2 Unità di Virologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma 3 Unità di Epidemiologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma Introduzione: Nonostante la vaccinazione, la pertosse continua a essere un’infezione diffusa in tutto il mondo nella popolazione pediatrica e adulta con picchi ogni 3-5 anni e una stagionalità estivo-autunnale. Negli ultimi anni in molti paesi Europei e degli Stati Uniti sono state segnalate numerose epidemie con un incremento dell’incidenza di tale infezione. In Italia, invece, sebbene la notifica per infezione da Bordetella Pertussis sia soggetta a notifica obbligatoria, dal 1998 non sono state riportate nuove epidemie e l’incidenza della pertosse risultata in continua riduzione. E’ probabile quindi che molti casi di pertosse siano misconosciuti e non diagnosticati. I lattanti al di sotto dei 3 mesi di vita, non avendo ancora ricevuto la vaccinazione sono a maggior rischio di sviluppare tale infezione. Inoltre, in questa fascia di età, la severità del quadro clinico può essere rilevante. Scopo del nostro studio è stato quello di valutare il ruolo della Bordetella Pertussis (BP) nei lattanti di età ≤ ai 3 mesi ricoverati presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù per sintomi respiratori e/o apnea e di valutare in quanti di questi soggetti era stato posto il sospetto clinico all’ingresso. Materiali e metodi: Con uno studio retrospettivo, abbiamo analizzato le cartelle di tutti i lattanti con età inferiore ai 90 giorni di vita ricoverati da Marzo 2011 a Settembre 2013 presso il Dipartimento di Medicina Pediatrica dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma per sintomi respiratori e/o apnea a cui era stato effettuato l’aspirato rinofaringeo per BP. Di ciascun paziente sono stati rilevati: sesso, età, manifestazioni cliniche all’esordio, diagnosi all’ingresso e diagnosi di dimissione. In tutti i pazienti arruolati era stato eseguito anche l’aspirato rinofaringeo per la ricerca dei principali virus respiratori (VR): Adenovirus, virus Influenza, virus Parainfluenzae, Virus respiratorio sinciziale, Metapnemovirus, Coronavirus, e Rhinovirus. Risultati: Nel periodo di studio, 215 pazienti ricoverati con età ≤ ai 3 mesi hanno eseguito l’aspirato rinofaringeo per BP e VR. Di questi 53 sono risultati positivi per BP; 119 sono risultati positivi per VR (48 Virus Respiratorio Sinciziale; 37 Rhinovirus; 9 Parainfluenzae; 4 Adenovirus; 4 Metapneumovirus; 3 Influenzae; 3 Coronavirus; 4 Rhinovirus + Adenovirus; 2 Rhinovirus + Coronavirus; 2 Virus Respiratorio Sinciziale + Adenovirus; 2 Parainfluenzae + Metapmeumovirus; 1 Virus Respiratorio Sinciziale + Coronavirus). In 43 lattanti l’ aspirato rinofaringeo è risultato negativo. Nella tabella è riportata la diagnosi di ammissione dei pazienti: il sospetto clinico di pertosse all’ingresso, è stato posto solo in 22 soggetti. Di questi 16 sono risultati positivi per BP (16%), 5 sono risultati positivi per VR, un paziente è risultato negativo sia per VR che BP. In tutti gli altri soggetti con aspirato positivo per BP, invece, era stata posta all’ingresso diagnosi di bronchiolite (20 pz), apnea non associata ad altra sintomatologia (8 pz), tosse (8 pz), febbre in lattante (1 pz). Diagnosi di ingresso N° pazienti (215) BP+ (53) % Bronchiolite 101 20 19,8 Apnea 41 8 19,5 Febbre in lattante 23 1 4,3 Sospetta pertosse 22 16 72,7 Tosse 19 8 42,1 Polmonite 4 0 0 ALTE 5 0 0 Discussione: I nostri dati dimostrano che la pertosse è un’infezione ancora presente in questa fascia di età non coperta dalla vaccinazione e che le manifestazioni cliniche sono spesso atipiche e possono sovrapporsi con quelle causate da altre infezioni respiratorie. La diagnosi clinica, quindi, può essere difficile e può sfuggire al pediatra. La ricerca della PCR per BP su aspirato rinofaringeo è un test rapido e relativamente poco costoso; per tale motivo riteniamo utile effettuare la ricerca della BP in tutti i lattanti ricoverati con sintomi respiratori e/o apnea per poter trattare tempestivamente con terapia antibiotica tutti i soggetti con pertosse ed evitarne le complicanze. Numerose strategie sono state proposte per prevenire tale infezione in questa fascia di età tra cui: la rivaccinazione di adulti e adolescenti, la vaccinazione della gestante nel terzo trimestre di gravidanza ed infine la “strategia cocoon” (guscio) che prevede la protezione indiretta del neonato attraverso l’immunizzazione della popolazione che lo circonderà durante i primi mesi di vita. Tali strategie, una volta inserite concretamente nella pratica clinica, permetteranno di incrementare notevolmente la protezione di neonati e lattanti e dunque un miglior controllo della malattia. Bibliografia 1. Noulivirta K, Kopen P, He Q et al. Bordetella pertussis infection is common in non vaccinated infants admitted for bronchiolitis. Pediatr Infect dis J. 2010; 29:1013-1015. 2. Gonfiantini MV, Villani A, Gesualdo F, Pandolfi E, Agricola E, Bozzola E, Arigliani R, Tozzi AE. Attitude of Italian physicians toward pertussis diagnosis. Hum Vaccin Immunother. 2013;9(7):1485-8 196 26 P - SCREENING DELLE EMOGLOBINOPATIE NEI NEONATI A RISCHIO Sabrina Colombo (1), Matteo Castagno (1), Roberta Rolla (2), Mauro Zaffaroni (1),Barbara Grigollo (2), Carlo Dellora (2), Gianni Bona (1), Giorgio Bellomo (2) (1) Clinica Pediatrica e (2) Laboratorio Analisi, Sezione Ematologia Azienda Ospedaliero-Universitaria “Maggiore” di Novara INTRODUZIONE Le emoglobinopatie (Hbpatie), in particolare drepanocitosi e talassemia, hanno assunto in Italia un’importanza sempre maggiore negli ultimi anni per effetto dei flussi migratori provenienti da aree endemiche: Africa, Asia, America Latina, Medio-Oriente, Caraibi, bacino del Mediterraneo, Italia e in particolare delta del Po, Sicilia e Sardegna [1,2,3]. Scopo del presente studio è stato quello di valutare il razionale dell’esecuzione di uno screening neonatale mirato ai neonati a rischio per Hbpatie, per identificare precocemente i soggetti omozigoti affetti da queste patologie e quelli eterozigoti portatori di anomalie dell’emoglobina. Figura 1 - Aree endemiche per Hbpatie. MATERIALI E METODI Presso il Punto Nascita di Novara, sono stati inclusi nello studio i neonati con almeno un genitore straniero, proveniente da aree ad alta prevalenza per Hbpatie e/o con anamnesi familiare positiva per queste patologie. (Figura 1) Sono stati arruolati 337 neonati (pari al 13,8% dei 2447 bambini nati nel periodo Dicembre 2012-Gennaio 2014, e pari al 47,6% dei 710 neonati con almeno un genitore straniero). I campioni ematici, raccolti in provetta micrometodo da emocromo (400µL), previo consenso informato dei genitori tradotto in diverse lingue, sono stati analizzati mediante metodica HPLC Biorad Variant II. RISULTATI Dei 337 neonati arruolati, 35 (10,4%) sono stati esclusi in quanto il campione ematico non era processabile. Tra i rimanenti 302 soggetti, 72 provenivano dall’Africa SubSahariana, 103 dal Nord Africa, 84 dall’Asia, 20 dall’America Latina e 19 dall’Italia. 232 soggetti (76,6%) presentavano un assetto emoglobinico fisiologico. 20 (6,6%) neonati presentavano la variante HbS allo stato eterozigote e 2 (0,7%) la variante HbC allo stato eterozigote. Altri 48 (15,9%) soggetti presentavano un livello di HbA0 <15%, in assenza di varianti emoglobiniche anomale, suggestivo di eterozigosi per β talassemia, con indicazione ad Figura 2 - Risultato screening un ulteriore controllo a 6 mesi (Figura 2). In nessuno dei soggetti studiati è stata identificata una variante Hbpatie emoglobinica in omozigosi. In una famiglia con entrambi i genitori portatori di drepanocitosi, il test ha permesso di escludere nel neonato la presenza di emoglobina S. Considerando i risultati degli esami eseguiti durante la gravidanza dalle madri dei 337 neonati arruolati, 254 di esse (75,4%) non presentavano alcuna variante emoglobinica patologica, 2 (0,6%) erano risultate portatrici della variante HbS allo stato eterozigote, 1 (0,3%) eterozigote per emoglobina C e 80 (23,7%) erano le madri portatrici di β talassemia. DISCUSSIONE Uno screening neonatale mirato, di facile esecuzione e a basso costo, permette la diagnosi precoce delle Hbpatie nei neonati a rischio, ma i risultati ottenuti finora devono essere supportati da un’attenta analisi costo/beneficio, per riuscire a identificare la metodica più efficace, sicura ed economicamente sostenibile per diagnosticare precocemente queste importanti patologie. BIBLIOGRAFIA [1] Modell B et al, Bull World Health Organ. 2008; 86: 480-487. [2] Roberts I et al, Haematologica 2007; 92: 865-871. [3] Chang TP et al, Pediatr. Emerg. Care. 2013; 29: 781-786. 197 27 P - LIVELLI DI VITAMINA D MATERNI E NEONATALI: CORRELAZIONI TRA FOTOTIPO, APPORTO DIETETICO E FARMACOLOGICO IN GRAVIDANZA Erica Pozzi1, Mauro Zaffaroni1, Francesco Cadario1,2, Silvia Savastio1, Corrado Magnani3, Tiziana Cena3, Severo Pagliardini4, Marco Bagnati5, Matteo Vidali5, Stella Pamparana1, Gianni Bona1 1 Clinica Pediatrica, Dipartimento di Scienze della Salute, UPO “A. Avogadro”, Novara, Italia; 2IRCAD (Interdisciplinary Research Center of Autoimmune Diseases), Novara, Italia; 3Unità di Statistica Medica ed Epidemiologia dei Tumori, Dipartimento di Medicina Traslazionale, UPO e CPO-Piemonte, Novara, Italia; 4Clinica Pediatrica, Centro screenings neonatali, Università di Torino, Torino, Italia; 5Laboratorio analisi, Dipartimento di Scienze della Salute, UPO “A. Avogadro”, Novara, Italia INTRODUZIONE: la vitamina D viene principalmente sintetizzata a livello cutaneo tramite esposizione a raggi UV a una particolare lunghezza d’onda (290-315 nm) e in parte viene assunta con la dieta. Il deficit di vitamina D (<20 ng/ml) correla con un rischio aumentato di rachitismo ed osteoporosi, infezioni e malattie autoimmuni, tra cui il diabete mellito di tipo 1 [1;2]. Molti studi dimostrano una stretta correlazione tra i livelli di vitamina D durante la gravidanza e quelli nei neonati [3]. Il nostro studio ha lo scopo di analizzare i livelli di vitamina D (25OHD) nelle donne italiane e straniere, e nei rispettivi neonati, che hanno partorito a Novara (Italia, 45°N di latitudine). MATERIALE E METODI: dal 1 aprile 2012 al 30 marzo 2013 sono state arruolate, previa firma del consenso informato, mamme italiane e straniere e i loro rispettivi neonati. Criteri di inclusione: madri e neonati in buona salute, a termine di gravidanza fisiologica e neonati con peso adeguato per l’età gestazionale. Sono state arruolate 533 coppie mamma-neonato. I livelli di vitamina D sono stati valutati nella madre tramite prelievo ematico e nel neonato tramite gocce di sangue raccolte su cartoncino e analizzate tramite spettrometria di massa [4]. Il Paese di origine della madre, il fototipo cutaneo, l’apporto di vitamina D tramite la dieta e la supplementazione durante la gravidanza sono stati valutati tramite questionari standardizzati sottoposti alle madri durante la degenza. RISULTATI: l’analisi di regressione multivariata, aggiustata per stagione, Paese di origine ed età materna, ha mostrato associazione tra i livelli materni e neonatali di 25OHD (R-square:0.664). I neonati italiani e le rispettive madri mostrano più elevati livelli di vitamina D (34.4±19.2 and 44.9±21.2nmol/L), rispetto ai bambini nati da madre straniera (rispettivamente 34.4±19.2 and 44.9±21.2nmol/L). Tutte le madri che hanno assunto supplementi vitaminici contenenti vitamina D hanno mostrato livelli più elevati di vitamina D rispetto alle madri che non hanno eseguito supplementazione (p<0.0001) e lo stesso è stato osservato nei loro rispettivi neonati (p<0.0001). DISCUSSIONE: lo studio ha confermato una stretta correlazione tra i livelli materni e neonatali di vitamina D. L’insufficienza di vitamina D, soprattutto nella popolazione migrante, è molto rappresentata in Piemonte. La supplementazione durante la gravidanza, in particolare nell’ultimo mese, è risultata efficace per determinare i livelli materni e neonatali di 25OHD, indipendentemente dall’apporto tramite la dieta. Possiamo concludere affermando che nel nostro studio sono stati evidenziati tre fattori strettamenti correlati a deficit di 25OHD: fototipo cutaneo, tradizioni culturali e mancata supplementazione nell’ultimo trimestre di gravidanza. Occorre pertanto sottolineare la necessità della profilassi con Vitamina D in tutte le madri e i bambini, con particolare riguardo per quelli di origine straniera, non potendo influire sugli altri determinanti. BIBLIOGRAFIA: 1. Wacker M. et al, Nutrients 2013;5(1): 111–148. 2. Kinder B. et al, Expert Rev Clin Immunol 2011;7:255-7. 3. Thorne-Lyman A. et al, Pediatr Perinat Epidemiology 2012, 26 (suppl. 1), 75-90. 4. Eyles DW et al, Paediatr Perinat Epidemiol. 2010;24(3):303-8. doi: 10.1111/j.1365-3016.2010.01105.x. 198 28 P - OUTCOME DEL NEONATO DA PARTO IN ANALGESIA Valentina Chierici (1), Erica Pozzi (1), Agostina Marolda (1), Sandra Esposito (1), Alessia Pagani (1), Mauro Zaffaroni (1), Gianni Bona (1) (1) Clinica Pediatrica, AOU Maggiore della Carità, Novara, Italia. INTRODUZIONE: presso il Punto Nascita di Novara il percorso nascita prevede che il parto possa essere espletato in analgesia epidurale 24 ore su 24, su richiesta della madre, salvo indicazioni ostetrico-ginecologiche. La primissima fase di vita extrauterina è di fondamentale importanza per il successivo sviluppo neurocomportamentale del neonato. Contatto precoce e suzione nelle prime 2 ore conferiscono un forte legame reciproco tra madre e neonato. L’efficacia e l’esclusività dell’allattamento al seno alla dimissione dall’ospedale rappresentano possibili misure indirette dell’intensità di tale legame [1]. Il presente studio è stato condotto allo scopo di valutare se l’induzione dell’analgesia al parto può influire sul contatto precoce madre-bambino o sull’outcome neonatale. MATERIALI E METODI: sono stati considerati 374 bambini nati nel periodo 2013-2014, suddivisi in 2 gruppi rispetto al ricorso o meno dell’analgesia materna al parto. Per ciascun neonato sono stati valutati: tipo di parto (eutocico, V.O., cesareo), età gestazionale, peso alla nascita, indice di Apgar, adattamento post-natale, allattamento alla dimissione, allattamento al controllo (7-10 giorni), nazionalità della madre. Sono stati esclusi i nati da parti cesarei di elezione e la presenza di patologie materne o fetali che non permettevano l’opzione del parto in analgesia. RISULTATI: si sono analizzati i dati di 187 bambini nati da parto in analgesia e 187 nati da parto senza analgesia. Fra i parti in analgesia il 51.9% è stato eutocico (EU), il 12,5% distocico (VO) e il 35.6% cesareo (TC), mentre nel gruppo senza analgesia epidurale i parti sono stati per l’84,6% EU, per il 5,8% VO e per il 9,6% TC [Figura 1]. Per quanto riguarda l’allattamento, al momento della dimissione il 74% dei nati da parto in analgesia era allattato esclusivamente al seno (LM) e l’11,5% presentava un allattamento misto; i bambini nati da parto non in analgesia erano allattati esclusivamente al seno per l’86,5%, nell’11,6% dei casi avevano un allattamento misto e l’1,9% era allattato artificialmente [Figura 2]. Alla visita di controllo post-dimissione il 61,5% dei nati da parto in analgesia proseguiva allattamento con LM esclusivo, il 19.2% presentava un allattamento misto (LM+LA1), mentre il 4,8% dei casi era alimentata con LA1. Tra i nati da parto non in analgesia il 78,8% proseguiva LM esclusivo, il 17,4% LM+LA1 e il 3,8% LA1. Dei nati da parto in analgesia il 25,9% è nato da madre straniera (di cui solo 8 madri di origine Africana), mentre tra i nati da parto non in analgesia il 42,3% è di origine straniera. 100 100 80 80 60 60 40 40 20 20 0 0 EUTOCICO CON ANALGESIA VO CESAREO SENZA ANALGESIA Figura 1. Modalità di espletamento del parto MATERNO CON ANALGESIA MISTO ARTIFICIALE SENZA ANALGESIA Figura 2. Allattamento alla dimissione DISCUSSIONE: l’induzione dell’analgesia al parto nel presente studio non ha mostrato variazioni significative rispetto all’outcome del neonato. Le madri straniere sono rappresentate in minore percentuale nel gruppo che ha ricorso all’analgesia rispetto a quello non in analgesia, questo potrebbe influenzare il dato di un più diffuso allattamento materno esclusivo riscontrato sia durante il ricovero che al controllo post-dimissione fra i bambini nati da parto non in analgesia. La disponibilità di un servizio di analgesia in sala parto 24 ore-24 ore rappresenta un indiscutibile vantaggio nell’ambito del percorso nascita, ma ancora non viene fruito da molte donne straniere sia per la difficoltà di comunicazione, sia per influenze tradizionali e culturali. 199 29 P - SCREENING ECOGRAFICO MIRATO PRECOCE DELLA DISPLASIA CONGENITA DELL’ANCA Mauro Zaffaroni, Alessia Pagani, Erica Pozzi, Valentina Chierici, Agostina Marolda, Sabrina Colombo, Alice Spano, Gianni Bona. Clinica Pediatrica – Azienda Ospedaliero-Universitaria “ Maggiore” di Novara INTRODUZIONE La Displasia Congenita dell’Anca (DCA) è tra le malformazioni osteoarticolari più frequenti in età neonatale (0,15% dei neonati); deriva da un alterato sviluppo dell’articolazione, specialmente dell’acetabolo. È più frequente nel sesso femminile; la razza caucasica presenta una certa familiarità nei discendenti diretti (circa 10%). Le principali cause sono di tipo genetico (alterazioni di sviluppo della testa femorale, lassità della capsula articolare, sindrome di Down o disordini neuromuscolari) oppure di tipo meccanico (macrosomia, posizione assunta dalle anche durante la vita intrauterina, parto podalico, oligoidramnios) [1]. Se non trattata provoca un’artrosi secondaria entro la III decade di vita. Lo screening ecografico consente pertanto di fare diagnosi precoce; l'esame dovrebbe essere eseguito su tutti i neonati entro il terzo mese di vita, specie su quelli che presentano fattori di rischio o segni clinici quali: manovra di Ortolani o di Barlow positiva e malformazioni degli arti inferiori [2]. MATERIALI E METODI Presso il Punto Nascita dell’AOU Maggiore della Carità di Novara nel periodo compreso tra Gennaio 2011 e Agosto 2013, i neonati, che presentavano segni clinici o rischio anamnestico di Displasia Congenita, sono stati sottoposti ad ecografia precoce (durante la degenza ospedaliera oppure entro il primo mese di vita). I bambini risultati positivi allo screening secondo stadiazione di Graf sono stati poi sottoposti a successivo controllo strumentale all’età di 1-2 mesi o a valutazione specialistica ortopedica in presenza di anche patologiche. RISULTATI Su un totale di 5.553 bambini nati nel periodo preso in esame, 553 neonati (278 maschi e 275 femmine) presentavano fattori di rischio clinico-anamnestici per DCA ed hanno eseguito ecografia precoce. Indicazione all’esecuzione dell’esame ecografico precoce: manovra di Ortolani positiva o dubbia in 22 casi (4%), presentazione podalica in 205 bambini (37%), macrosomia 114 neonati (20%), gemellarità in 73 casi (13%), piede torto o altre anomalie ortopediche in 78 bambini (14%), oligoidramnios in 6 neonati (1%), familiarità di primo grado per DCA in 91 casi (16%). I risultati dello screening ecografico sono mostrati in Figura 1. Nel 2% dei casi l’ecografia mostrava uno stadio di Graf patologico (IIB, D, III), nella metà dei quali in entrambi gli arti. Per tutti i neonati con anche immature (stadio IIA) è stata data indicazione di postura in abduzione degli arti inferiori con panno morbido o valutazione ortopedica e successivo controllo ecografico a un mese. 21 bambini con DCA sono stati trattati fino a completa risoluzione della displasia. DISCUSSIONE Lo screening per la DCA è sempre stato oggetto di dibattito. L’elevata percentuale di risoluzioni spontanee ha portato a una notevole incertezza riguardo alla reale necessità di utilizzare uno screening per tutti i neonati. I risultati ottenuti nel presente studio rilevano come l’indagine ecografica è la sola procedura che consente di identificare le anche displasiche o instabili in età precoce per permettere un adeguato trattamento [3,4]. L’indagine ecografica va eseguita da operatori esperti per decidere le cure idonee. L’ottima prognosi osservata a seguito del trattamento fin dalle prime settimane di vita rappresenta uno stimolo a eseguire lo screening dell’anca il più precocemente possibile allo scopo di porre diagnosi e trattamento già in età neonatale con riduzione dei tempi di cura e minori esiti a distanza. BIBLIOGRAFIA 1. Shorter D, Hong T, Osborn DA, Evid Based Child Health 2013;8(1):11-54. 2. Roposch A, Liu LO, Protopapa E, Clin Orthop Relat Res. 2013;471(6):1946-1954. 3. Arti H, Mehdinasab SA, Arti S, J Res Med Sci. 2013;18(12):1051-5. 4. Omeroğlu H, J Child Orthop. 2014;8(2):105-13. 200 30 P - UN CASO DI PRIAPISMO POST-TRAUMATICO Zagni Giulia 1, Martignoni Laura1, Pietrangiolillo Zaira 1, Predieri Flavia1, Repetto Paolo 3, Iughetti Lorenzo 1,2 . (1) Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università di Modena e Reggio Emilia (2) U.O. Pediatria,Az. Osp. Universitaria, Policlinico Modena (3) U.O. Chirurgia Pediatrica, Az. Osp. Universitaria, Policlinico Modena Tommaso, 12 anni, giungeva alla nostra attenzione per priapismo persistente da 6 giorni, comparso in seguito a trauma perineale avvenuto mentre si trovava in bicicletta, non associato a particolare sintomatologia di rilievo, in particolare non riferiti dolore o disuria. All'esame obiettivo, si evidenziava pene prepubere in erezione, in assenza di ematomi evidenti alla cute dell'asta o dello scroto; si segnalava solo minimo rigonfiamento alla base dell'asta, come da verosimile lieve ematoma; inoltre, non si evocava dolore alla palpazione. Il piccolo veniva, pertanto, valutato dal Chirurgo Pediatra, che poneva indicazione all'esecuzione di ecocolordoppler del pene in urgenza, con riscontro di area di alterata vascolarizzazione con flusso turbolento come da fistola artero-venosa a carico del corpo cavernoso di sinistra, con conservata vascolarizzazione in sede distale. Si eseguiva, quindi, angiografia tramite accesso transfemorale destro e cateterizzazione dell'arteria ipogastrica sinistra, con conferma della presenza di fistola artero-venosa ed embolizzazione della stessa mediante Spongostan. Al termine della procedura, sia l'esame ecocolordoppler ripetuto nel tempo che l'esame arteriografico dimostravano l'esclusione della fistola arterovenosa. A distanza, tuttavia, di 7 giorni, Tommaso presentava recidiva di fistola: si eseguiva, quindi, in elezione, nuova cateterizzazione dell'arteria ipogastrica sinistra, con successiva cateterizzazione super selettiva dell'arteria cavernosa rifornente la fistola, riembolizzata con Spongostan. In seguito, durante la procedura, si tornava sull'arteria ipogastrica sinistra, osservando precoce rivascolarizzazione della fistola: si decideva, infine, di embolizzare il vaso arterioso afferente con colla acrilica diluita in Lipiodol. L'esame ecocolordoppler ripetuto nel tempo e due controlli arteriografici successivi non hanno dimostrato ulteriore rifornimento della fistola arterovenosa e, ad oggi, Tommaso è in buona salute e non ha presentato recidive. Si definisce priapismo la completa o parziale erezione che persiste a più di 4 ore di distanza dallo stimolo sessuale o che si verifica in assenza dello stesso. Nonostante il priapismo rappresenti una entità estremamente rara all'interno della popolazione pediatrica, la causa principale è rappresentata dalle emoglobinopatie, prima fra tutti l'anemia falciforme (67%), e disordini ematologici quali leucemie (15%). In particolare, in questo contesto il 50% dei casi è attribuibile alla Leucemia Mieloide Acuta e, seppur in percentuali nettamente inferiori, alla Leucemia Linfoblastica Acuta e Mieloblastica Acuta. Il priapismo è causato da uno squilibrio tra afflusso e deflusso venoso a livello dei corpi cavernosi; esiste il priapismo a basso flusso (priapismo ischemico) o ad alto flusso (priapismo non ischemico). Il priapismo a basso flusso è il risultato di fenomeni di congestione venosa e si manifesta come erezione rigida e profondamente dolorosa. E' la variante più comune e rappresenta un'emergenza, in quanto può verificarsi danno cellulare irreversibile con successiva fibrosi se non si interviene entro 24-48 ore. Le cause di priapismo ischemico possono essere idiopatiche, secondarie a disordini ematologici, infiltrazione tumorale o iatrogene. Il priapismo ad alto flusso, invece, differisce dal precedente in quanto si manifesta in seguito ad un aumentato flusso arterioso all'interno dei sinusoidi dei corpi cavernosi. Questo tipo di priapismo si verifica spesso in seguito a traumatismi che esitano in danni a carico delle arterie cavernose o elicine, con formazione di fistole arterovenose con successiva disregolazione del flusso all'interno dei corpi cavernosi. Quasi tutti i pazienti si presentano con anamnesi positiva per trauma a carico della regione perineale ed una erezione incompleta e non dolorosa. L'esame ecocolordoppler rappresenta il glod-standard per la diagnosi, in quanto altamente sensibile alla ricerca di fistole arterio-lacunari/sinusoidali, con evidenza di flusso turbolento associato al caratteristico stravaso di sangue da parte dell'arteria danneggiata. La gestione conservativa per il priapismo ad alto flusso mediante compressione locale con ghiaccio, agonisti alfa-adrenergici ed iniezione intracavernosa di fenilefrina o blu di metilene consente risultati limitati e solo temporanei. La legatura chirurgica e la corporotomia esplorativa con chiusura microchirurgica delle fistole arteriose rappresentano tecniche difficili e spesso associate ad elevate complicanze post-operatorie. Lo standard care è rappresentato dalla angiografia pelvica con embolizzazione super selettiva dell'arteria rifornente la fistola. - Chung E., McKnight J., Hosken B.: “Post-traumatic prepubertal high-flow priapism: a rare occurrence” - Pediatr Surg Int (2008) – 24: 379-381 Volkmer BG., Nesslauer T., Kraemer SC. Et al. : “Prepubertal high flow priapism: incidence, diagnosis and treatment” - Journal of Urology (2001) – Vol. 66, 1018-1022 201 31 P - TRATTAMENTO MININVASIVO DEL PNEUMOTORACE RICORRENTE NELL’ADOLESCENTE E. Zolpi, S.F. Chiarenza, U.O.C di Chirurgia Pediatrica Centro di Chirurgia Mininvasiva , Dipartimento materno-pediatrico, Ospedale San Bortolo, Vicenza INTRODUZIONE. Il pneumotorace spontaneo primitivo ( PPS): accumulo di aria nel cavo pleurico in assenza di una causa traumatica o iatrogena o apparente patologia polmonare. Ha un’incidenza nella popolazione generale abbastanza elevata (1.8-18 casi per 100000 abitanti per anno); in quella pediatrica è un fenomeno non comune; nonostante la presentazione sia tipica, aspetti come l’epidemiologia, la patofisiologia e il trattamento di questa condizione in età pediatrica rimangono ancora dibattuti. OBIETTIVO. Quattro casi di PPS ricorrente (3 bilaterale 1 monolaterale) recentemente trattati presso il nostro reparto ci hanno indotto ad una revisione della più recente letteratura. MATERIALE E METODI. 1° caso : ragazza di 15 anni, la sua storia clinica esordisce con PNX sinistro dopo attività fisica, trattato con posizionamento di drenaggio toracico; recidiva dopo 45gg. La TAC torace di approfondimento non evidenzia anomalie del parenchima. La paziente viene sottoposta a decorticazione della pleura per via toracoscopica senza evidenziare alterazioni del parenchima; dopo 4 mesi recidiva di PNX sinistro, persistenza di air leak dopo 15 giorni. La TAC di rivalutazione evidenza piccola bolla subpleurica apice polmonare. Eseguita pleurodesi chimica in toracoscopia. Dopo 1 mese episodio di PNX destro. Trattato con posizionamento di drenaggio toracico; recidiva dopo 30 giorni con persistenza di air leak. Eseguito intervento di apicectomia destra con scarificazione della pleura: evidenza di bolle subpleuriche all’apice polmonare. 2° caso: ragazzo di 17 anni esordisce con PNX destro comparso a riposo trattato con posizionamento di drenaggio toracico, persistenza dopo 6 giorni di air leak; eseguita TAC torace con evidenza all’apice polmone destro e sinistro di bolle subpleuriche. Eseguito intervento di apicectomia polmonare destra con scarificazione della pleura. Dopo 16 giorni recidiva di PNX destro risolto con drenaggio toracico. Dopo 1 mese episodio di PNX controlaterale non drenato. Eseguito intervento di apicectomia sinistra con exeresi di alcune bolle a carico del lobo inferiore sinistro con scarificazione pleurica. Recidiva di PNX sinistro con falda apicale di 42mm, trattato conservativamente. 3° e 4° caso di 13 e 15 anni che al terzo episodio di PNX spontaneo e valutazione radiologica con evidenza di bolle apicali, sono stati sottoposti ad apicectomia toracoscopica. RISULTATI. Non recidive a distanza nel follow-up (6mesi-6anni). Durata del drenaggio toracico: 3- 15gg. Durata del ricovero: da 4 a 13gg. CONCLUSION E DISCUSSIONE I. Il 70% dei pazienti con PPS non necessita di chirurgia ulteriore. In letteratura pediatrica esistono ancora controversie riguardo il tipo di chirurgia per il PPS ricorrente. Nella letteratura pediatrica vengono riportate casistiche piccole di PPS nei quali le tecniche chirurgiche adottate per la prevenzione della ricorrenza, apicectomia del polmone, exeresi delle bolle, pleurodesi meccanica o chimica o la combinazione di queste tecniche, sia per via open che attraverso accesso mininvasivo, dimostrano indici di successo diversi. La toracoscopia per il trattamento del PPS ricorrente è stato riportato in età pediatrica già nel 1986. In un recente lavoro l’exeresi delle bolle associata a pleurodesi, sia meccanica che chimica è associata ad outcome favorevole; la pleurodesi chimica appare avere meno rischi di ricorrenza ma un periodo di ospedalizzazione più lungo. 202 32 P - NETWORK EPIDEMIOLOGICO PEDIATRICO ITALIANO IN MERITO A PREVENZIONE INCIDENTI (SINIACA, INTEGRIS, JAMIE) Carla Debbia, Alessio Pitidis*, …INFERMIERE …………….., Emanuela Piccotti, Salvatore Renna, Piero Scarsi**, Piero Buffa**, Pasquale Di Pietro, Paolo Petralia*** Pronto Soccorso e Accettazione, Medicina d’Urgenza- IRCCS Istituto “G. Gaslini” Genova *Direttore Responsabile Scientifico progetto CCM SINIACA-IDB Reparto Ambiente e Traumi Dipartimento Ambiente e Prevenzione Primaria - Istituto Superiore di Sanità Roma **UO Chirurgia - IRCCS Istituto “G. Gaslini” Genova *** Direttore Generale -IRCCS Istituto “G. Gaslini” Genova Introduzione Il Pronto Soccorso (PS) del IRCCS “G Gaslini” (IGG) è coinvolto dal 2006 con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) nelle raccolte dati di PS inerenti gli incidenti domestici e stradali; integrato nel 2014 con intossicazioni, violenze ed autolesionismo. Gli infortuni sono un problema prioritario di sanità pubblica, poiché rappresentano la 4.ta causa di morte in Europa dopo le malattie cardiovascolari, oncologiche e respiratorie. In età pediatrica gli infortuni sono la 1.ma causa di morte in Europa e la 2.da in Italia (20,3%), dopo le neoplasie ( 30,9%). Materiali e metodi SINIACA è un sistema rilevazione dati nazionale informatizzato costituito dall’ISS sulla base della Legge n. 493 del 3 Dicembre 1999, G.U. n. 303 del 28 Dicembre 1999, che indica le "Norme per la tutela della salute nelle abitazioni e istituzione dell'assicurazione contro gli infortuni domestici" Di questa Rete l’unico PS Pediatrico è l’IRCCS “G. Gaslini” che fornisce dati per circa il 40% dei dati nazionali sugli incidenti in età pediatrica. La rete SINIACA è collegata al sistema Injury Database (IDB) Europeo, a cui confluiscono tutti i dati forniti dalle Nazioni Europee. L’ IDB è un database europeo consultabile su internet, sviluppato dalla DG SANCO (Salute e Protezione del Consumatore) nell’ambito del Programma di Prevenzione degli Infortuni partito nel 1999, allo scopo di fornire un accesso centralizzato ai dati rilevati dagli Stati Membri dell’Unione Europea (Raccomandazione Europea sulla Prevenzione degli Infortuni). Alla rete di sorveglianza IDB contribuiscono oltre 100 ospedali in 22 Paesi europei; in Italia coinvolge 11 Regioni. I PS collegati forniscono trimestralmente, attraverso il sito informatico dedicato ISS, i propri dati e da questo possono scaricare dati generali. Nell'ambito di un accordo con il Dipartimento Centrale di Programmazione Sanitaria del Ministero della Salute sono state studiate le informazioni sanitarie contenute nelle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) con i referti del PS, onde avere elementi sulla causa esterna dell’incidente, ovvero il nuovo Progetto INTEGRIS http://www.rp/integris.eu, studio pilota condotto in 6 Paesi membri UE (A, DE, DK, IE, IT, UK) . Risultati Il SINIACA ha stimato che in Italia ogni anno accedano in PS per incidente (o violenza) oltre 1.160.000 bambini (età 0-14) all'anno. Di questi circa il 31% cioè 365.000 bambini accedono al PS a causa di un incidente domestico. Il tasso medio di accesso in PS per infortunio domestico è nei bambini <5 anni d'età ( maschi>femmine): 8.137 casi ogni 100 mila/anno. Il 50% degli incidenti domestici sono dovuti a caduta (cadute dal fasciatoio 50% età 0-1 anno). <5 anni d'età: contatto corpo estraneo 4,8%; ustione 3,1%, avvelenamento/intossicazione 2,8%). 10-14 anni: ferite 10,8%, fratture 9,8%. Attività svolta dal bambino infortunato: gioco (40%). Oltre il 7% degli incidenti avvengono all'atto del nutrirsi. Luogo domestico di maggior frequenza: < 5 anni d'età 40,0% camera da letto/soggiorno, il 16,4% in cucina e il 13,8% nelle altre pertinenze interne dell'abitazione. Riguardo ai traumi in Pronto Soccorso si registra il 92,8% delle dimissioni a domicilio: lesioni superficiali (24,2% contusioni, 15,3% fratture lievi e chiuse, principalmente a carico degli arti superiori, 11,4% traumi cranici, 7,4% ferite al volto). La proporzione dei ricoveri è pari al 7,5% degli accessi in PS. Una nota a parte merita il problema emergente dell’ingestione delle pile al litio, come evento raro, ma straordinariamente pericoloso, se non letale, in continuo aumento per la straordinaria diffusione di questi strumenti e le loro piccole dimensioni. Discussione Il 16 e 17 Maggio 2014 l’ IRCCS IGG, con la collaborazione dell’AOPI (Associazione Ospedali Pediatrici Italiani), dell’ISS ed il Ministero della Salute ha organizzato il Convegno Nazionale : “La sorveglianza ospedaliera degli incidenti in Italia ed in Europa- I risultati del progetto CCM DSINIACA-IDB e proposta di avvio di una rete di sorveglianza degli Ospedali Pediatrici Italiani”. Per prevenire questi incidenti evitabili e loro morbosità è necessario rafforzare la sorveglianza epidemiologica. Durante il Convegno sono intervenuti i Rappresentanti di tutti i PS Pediatrici dell’AOPI che intendono integrarsi nelle rete di SINIACA e nella Rete Europea IDB. Parte dal Gaslini quindi la realizzazione di una Rete Pediatrica Epidemiologica dei Pronto Soccorso degli Ospedali Pediatrici Italiani finalizzata alla sorveglianza degli incidenti, costituendo insieme all' ISS un vero e proprio gruppo permanente di lavoro integrato a livello europeo. Durante il Convegno inoltre si sono presi gli accordi per l’elaborazione delle Raccomandazioni Internazionali per la Prevenzione Incidenti in età Pediatrica, con i Rappresentanti delle importanti Società Scientifiche convenute Bibliografia http://www.iss.it/casa/?lang=1&tipo=11 http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=503&area=incidenti%20domestici&menu =vuoto http://www.ccm-network.it/dettaglioEvento.jsp?id=node/1901 203 33 P - MALARIA IN ETÀ PEDIATRICA: LA NOSTRA ESPERIENZA Marta Odoni*, M.Cristina Villa*, Daniela Messina, Jorge Ruocco, Gloria Pianon, Ahmad Kantar* *U.O. di Pediatria, Istituti Ospedalieri Bergamaschi, Policlinico San Pietro, Ponte San Pietro (BG) Introduzione Nel mondo si contano più di 200 milioni di casi di malaria all’anno; il 40% della popolazione mondiale vive in aree in cui la malaria è endemica (gran parte dell’Africa, sub continente indiano, sud est asiatico, America latina, parte dell’America centrale). Il contagio avviene attraverso la puntura di zanzare anofele; e’ provocata nell’uomo da 4 tipi di plasmodi: Falciparum, Vivax, Malariae ed Ovale. Per la malaria non esiste alcun vaccino; per prevenire l’infezione è necessario rispettare adeguate misure di prevenzione comportamentale ed effettuare la profilassi farmacologica antimalarica. La malaria è scomparsa dal nostro paese a partire dagli anni 50; i casi di malaria attualmente registrati in Italia sono di importazione. Negli ultimi anni l’incremento degli spostamenti internazionali ha provocato un aumento dei casi di malaria in tutti i paesi europei, inclusa l’Italia. Descriviamo l’epidemiologia dei casi di malaria diagnosticati presso la nostra UO di pediatria negli ultimi 8 anni. Materiali e metodi Analisi retrospettiva dei ricoveri per malaria presso la nostra UO di Pediatria dal Gennaio 2006 al Gennaio 2014; sono stati analizzati i seguenti dati: soggiorno o provenienza da paesi endemici, presentazione clinica, diagnosi, trattamento, eventuale utilizzo di chemioprofilassi antimalarica. Risultati Nel periodo compreso tra Gennaio 2006 al Gennaio 2014 sono stati diagnosticati 16 casi di malaria, tutti di importazione. L’agente eziologico principale è il Plasmodium Falciparum (81%), seguito da Plasmodium Vivax (12,5%) e Plasmodium Malariae (6,25%). La mediana dell’età dei bambini affetti è 9,7 anni; 10 bambini (62,5%) erano residenti in Italia ed avevano effettuato un viaggio nel paese di origine con i genitori; 6 bambini erano migranti (37,5%). I più comuni paesi di infezione erano Burkina Faso, Costa d’Avorio, Senegal e Nigeria. La mediana della parassitemia alla diagnosi è 1,5%, con valore massimo del 11%. La profilassi antimalarica era stata effettuata nel 60% dei pazienti residenti in Italia, che avevano effettuato soggiorno in Africa. I sintomi di presentazione sono risultati del tutto aspecifici (febbre nel 100 % dei casi, vomito nel 46%, tosse nel 30%, astenia nel 30%). La durata del ricovero in media è stata di 7,2 gg. I pazienti hanno in media iniziato il trattamento, differenziato a seconda del tipo di plasmodio, entro i 2 giorni dall’ingresso in reparto. Quattro pazienti con grave quadro clinico (malaria cerebrale, parassitemia elevata, concomitante infezione tubercolare e severa piastrinopenia) sono stati trasferiti presso altro Centro, provvisto di UO di rianimazione pediatrica. Discussione I bambini sono ad alto rischio di contrarre la malaria, possono ammalarsi rapidamente ed in modo grave; i sintomi iniziali della malattia sono spesso aspecifici e possono essere confusi con quelli di una banale forma influenzale; pertanto la semplice febbre in un bambino di ritorno da un viaggio in zona malarica (effettuato negli ultimi 6 mesi) deve esser sempre considerata come potenziale sintomo di infezione malarica. La diagnosi viene fatta mediante identificazione del parassita su striscio ematico; la terapia varia in base alla specie infettante, allo stato clinico del bambino e alla suscettibilità presunta del parassita in base alla regione geografica di origine. La specie piu’ aggressiva risulta essere il Falciparum, in linea con i dati della letteratura. Le famiglie non devono sottovalutare il pericolo di infezione e in caso di viaggio in paesi endemici devono sottoporre i bambini ad una corretta profilassi antimalarica. Bibliografia - WHO: 10 facts on malaria. Geneva: WHO Health Organisation; 2013 - Feachem RG et al. Shrinking the malaria map: progress and prospect. Lancet 2010; 376: 1566-1578 204 34 P - PROTOCOLLO STRATEGICO SPECIFICO PER IL TRATTAMENTO DI SINTOMI PSICOSOMATICI CAUSATI DA UN ATTEGGIAMENTO IPERPROTETTIVO DEI GENITORI IN BAMBINI CON SUPPOSTE AFFEZIONI DELL’APPARATO RESPIRATORIO Francesca Lecce e Ahmad Kantar Centro di Terapia Strategica di Arezzo Introduzione: Nel modello familiare iperprotettivo la coppia di genitori ha un superinvestimento nel figlio in termini di cure e attenzioni. La risultanza è che i figli conducono le loro vite come se fossero rinchiusi in “prigioni dorate” da cui è faticoso uscire sia per gratitudine che per inadeguatezza. In queste condizioni, i pazienti sviluppano sintomi, quali la tosse persistente o il bisogno di schiarirsi la gola, che vengono talvolta diagnosticate come patologie respiratorie. Materiali e Metodi: Per risolvere tale problema, abbiamo applicato un protocollo innovativo basato su terapie indirette (in assenza del paziente) da noi sviluppate. I risultati della nostra esperienza condotta in tre Ospedali italiani su circa 100 soggetti con diagnosi di asma allergico o bronchiale dimostrano che agendo sui genitori è possibile utilizzare un intervento efficace, rappresentato da manovre orientate a rompere quel meccanismo autopoietico stabilitosi tra tentate soluzioni e persistenza del problema. Procedendo con la modalità di indagine strategica (dialogo strategico) si rilevano le tentate soluzioni che i genitori mettono in atto per cercare di far fronte al problema. Le ristrutturazioni eseguite in seduta hanno avuto il fine di far percepire ai genitori come i loro comportamenti stavano costruendo proprio ciò che volevano evitare, ossia far sentire il proprio figlio malato e inabile alla vita; inoltre si sono focalizzate nel trasmettere che solo attraverso un “osservare senza intervenire” avrebbero potuto costruire un fronte genitoriale comune ed efficiente in grado di responsabilizzare e far sperimentare un senso di capacità al figlio. Alla fine della seduta l’incontro si chiudeva con le seguenti tre prescrizioni: a) squalificare il sintomo al fine di eliminare il vantaggio secondario, b) la congiura del silenzio (evitare di parlare del problema) e c) la compilazione di un “diario della tosse” in cui vengono monitorati tutti i sintomi nel tempo e nelle varie situazioni quotidiane. Risultati: Dopo aver smontato, una ad una, le tentate soluzioni- nel giro di poche settimane la sintomatologia scompare. Discussione: Spesso questi genitori raccontano con voce pacata e serena, che se dovessero rivolgere lo sguardo ai mesi passati non riuscirebbero a rivedere, oggi, quel tunnel senza via d’uscita. Infatti, come la nostra esperienza ci suggerisce <<Più rapida è la soluzione –più i problemi appaiono lontani>>. Bibliografia: Nardone G. e coll. (2012), Aiutare i genitori ad aiutare i figli, Ponte alle Grazie, Milano. Nardone, G. (1993), Paura, Panico, Fobie, Ponte alle Grazie, Firenze. Nardone, G. (2003), Cavalcare la propria tigre, Ponte alle Grazie, Milano. Nardone, G., Balbi, E. 2007, Solcare il mare all'insaputa del cielo, Ponte alle Grazie, Milano. Nardone, G., De Santis, G. (2011), Cogito ergo soffro, Ponte alle Grazie, Milano. Nardone, G., Giannotti, E., Rocchi R. (2001) Modelli di famiglia, Ponte alle Grazie, Milano. Nardone, G., Salvini, A. (2004), Il dialogo strategico, Ponte alle Grazie, Milano. Nardone, G., Salvini, A. (2012), Dizionario internazionale di psicoterapia, Garzanti, Milano. Nardone, G., Watzlawick P. (1990), L'Arte del Cambiamento: manuale di terapia strategica e ipnoterapia senza trance, Ponte alle Grazie, Firenze. Watzlawick, P., Beavin J.H.., Jackson Don D. (1971) Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, Roma. Watzlawick, P., Nardone G., (1997) (a cura di), Terapia breve strategica, Raffaello Cortina Editore, Milano. 205 35 P - MANAGEMENT DELLA TUBERCOLOSI INFANTILE: LA NOSTRA ESPERIENZA M.Cristina Villa, Marta Odoni, Daniela Messina, Camillo Lovati, Ahmad Kantar U.O. Pediatria Istituti Clinici Bergamaschi – Policlinico San Pietro (Ponte San Pietro, BG) INTRODUZIONE La tubercolosi (TBC) in età pediatrica rappresenta il maggior problema di sanità pubblica nel mondo: secondo la World Health Organization (WHO) circa un milione di bambini di età inferiore ai 15 anni sviluppa la TBC ogni anno nel mondo e i bambini contribuiscono per il 3-6% dei casi di TBC nei paesi sviluppati e per il 25% dei casi nei paesi in via di sviluppo. E’ dunque una problematica clinica che anche in Italia dobbiamo essere pronti a riconoscere e ad affrontare, possibilmente con un management diagnostico terapeutico condiviso. MATERIALI E METODI Abbiamo voluto analizzare i casi di diagnosi di TBC avvenuti negli ultimi 6 anni nella nostra U.O. di Pediatria analizzando dalle cartelle cliniche i dati anagrafici e anamnestici dei pazienti, il motivo di ricovero e il percorso diagnostico-terapeutico effettuato. Nella nostra U.O. sono stati diagnosticati 6 casi di infezione tubercolare dal gennaio 2008 al settembre 2014 su un totale di 6376 ricoveri (0.1%) RISULTATI L’età dei nostri pazienti con diagnosi di TBC varia dai 4 ai 12 anni, 5 dei 6 bambini hanno origini africane, uno è italiano. Tutti hanno un’anamnesi familiare muta per TBC o comunque per infezione respiratoria cronica, in un caso un fratello era stato screenato per TBC per un caso scolastico ma era risultato negativo. Il motivo di ricovero è stato diverso per ciascun paziente: 1) POLITRAUMA: all’RX torace calcificazioni linfonodali mediastiniche 2) FEBBRE PERSITENTE: eseguito RX torace ambulatoriale con riscontro di incremento dell’ilo dx 3) ADDOMINALGIA E STIPSI: all’anamnesi riferito che un mese prima aveva eseguito RX torace per TORACALGIA con riscontro di incremento dell’ilo, in attesa di eseguire TC torace ambulatoriale 4) LINFOADENOPATIA LATEROCERVICALE : all’Rx torace riscontro di tumefazione mediastinica 5) MALARIA+BCP DX: all’Rx torace impegno mediastinico-ilare 6) TUMEFAZIONE DITA MANO DA MESI :all’esame obiettivo linfoadenopatia ascellare omolaterale La diagnosi si è basata per tutti i pazienti sull’esecuzione del test cutaneo della tubercolina (intradermoreazione di Mantoux) risultata positiva in 5/6 casi (diametro trasverso >10mm) e dubbia in un solo caso (diametro 510mm) , associata all’esecuzione di IGRA test (T-SPOT, Quantiferon) risultati positivi in tutti i casi. Gli aspirati gastrici sono invece risultati tutti negativi. L’esame colturale su materiale bioptico linfonodale eseguito in un caso è risultato positivo per PCR del M.tubercolare. La TC toracica è stata eseguita in tutti i casi con conferma del quadro di malattia evidenziato all’RX ad accezione che nel caso di TBC ossea; un caso presentava anche la TC addome patologica. Sono state quindi poste rispettivamente diagnosi di TBC: MEDIASTINICA (2casi) – PRIMITIVA POLMONARE- MILIARE-POLMONARE BACILLIFERA-OSSEA. La terapia per ciascun paziente (concordata con il Centro di riferimento dell’Istituto di Villa Marelli dell’Ospedale Ca’Granda di Milano) è stata l’associazione di isoniazide+rifampicina+pirazinamide peri primi due mesi. Due pazienti sono poi stati trasferiti presso strutture specializzate per il quadro infettivo complicato. DISCUSSIONE Dalla nostra esperienza emerge come la presentazione clinica dei casi di TBC nei bambini può essere varia e spesso sovrapponibile a diagnosi ben più frequenti in età infantile, a carico ad esempio dell’apparato respiratorio, linfonodale, osseo. I dati anamnestici, le origini dei pazienti e spesso le immagini radiologiche ci possono aiutare nell’indirizzare il nostro percorso diagnostico verso il sospetto di infezione tubercolare: la TBC deve quindi rientrare anche nei nostri Reparti in diagnosi differenziale con le altre patologie pediatriche. In accordo con le maggiori linee guida internazionali il test cutaneo con la tubercolina è un valido mezzo diagnostico di TBC: nei paesi con alte risorse economiche è indicato utile essere associato all’esecuzione di un IGRA test . L’esame colturale sarebbe necessario sempre per confermare la diagnosi di infezione tubercolare e per la tipizzazione e sensibilizzazione del Micobattere:è noto però che i bambini sono scarsamente bacilliferi. La TC torace è indicata in ogni caso di diagnosi di TBC. L’approccio terapeutico con triplice terapia in età infantile è condiviso a livello internazionale, ad eccezione di casi di confezione HIV o di TBC meningea/ossea (quadruplice terapia). In considerazione del possibile continuo incremento della diffusione dell’infezione tubercolare nella popolazione anche infantile in Italia sono auspicabili Linee Guida Pediatriche Italiane di management della TBC per ottimizzare le risorse diagnostiche e terapeutiche nei nostri Reparti. BIBLIOGRAFIA Berti E,Galli L, Venturini E, De Martini M, Chiappini E BMC Infectious Diseases 2014,14 (S1:S3) Piccini P, Chiappini E, Tortoli E, De Martino M, Galli L BMC Infectious Diseases 2014,14 (S1:S4) 206 1 R - LA GESTIONE OSPEDALIERA DEL DIABETE DI TIPO 1 ALL’ESORDIO NETWORK PEDIATRICO NAZIONALE DI MONITORAGGIO Mariangela Bosoni°, Elisabetta Racchi°, Dante Cirillo°, Alessandra Giovanna Perduca°, Gianluigi Gargantini*, Patrizia Calzi§ Luciana Parola° e i componenti del Network Pediatrico °UO Pediatria e Neonatologia, Ospedale “G.Fornaroli”, Magenta * A.O della provincia di Lodi § U.O di Pediatria e Neonatologia ,Ospedale di Vimercate “A.O. Vimercate INTRODUZIONE L'esordio clinico del diabete di tipo1 avviene in genere acutamente e spesso con un grave squilibrio metabolico (chetoacidosi diabetica) caratterizzato da iperglicemia e acidosi. Secondo gli attuali criteri la diagnosi si basa sul riscontro di:glicemia > 11 mmol/L (200 mg/dl), pH venoso < 7,3 o bicarbonati < 15 mmol/L, chetonemia e chetonuria. Una diagnosi tempestiva, prima che si instauri il quadro metabolico di acidosi, è auspicabile e deve essere perseguita. Nell’ambito del Progetto NETWORK PEDIATRICO è stata elaborata una scheda raccolta dati sulla gestione ospedaliera dei pazienti pediatrici con diabete di tipo 1 all’esordio al fine di valutare quanto le indicazioni fornite dalle linee guida vengano applicate nella pratica clinica ospedaliera. METODI Sono stati inseriti nello studio pazienti di età pediatrica (inferiore ai 18 anni)con diabete di tipo 1 all’esordio. La raccolta dati è stata effettuata tramite compilazione di schede online. RISULTATI Sono state raccolte 234 schede compilate da 28 Centri italiani. La popolazione era costituita da 126 maschi e 108 femmine di età compresa tra i 7 mesi e i 15 anni e 5 mesi . La durata dei sintomi pre diagnosi varia da 0 a 150 giorni con una media di 20 giorni. Il pH rilevato all’ingresso risultava inferiore a 7,30 (chetoacidosi) nel 37,2% dei pazienti, con 4,3% di casi di chetoacidosi severa (pH<7). Nella casistica raccolta non è riferito alcun decesso, ma un caso di edema cerebrale. I più significativi dati raccolti comprendono la mancata rilevazione di parametri vitali in molti soggetti indipendentemente dalla gravità clinica (frequenza cardiaca rilevata nel 84% dei pazienti, frequenza respiratoria nel 36%); lo scarso utilizzo (36%) della determinazione della chetonemia; l’utilizzo dei bicarbonati nel 4,7% dei casi, compresi soggetti con pH>7,1 nonostante questa pratica sia sconsigliata dalle Linee Guida; il riscontro di ipopotassiemia nel 10% dei casi, come da gestione non ottimale della terapia;la dimissione con terapia insulinica multiiniettiva in quasi tutti i pazienti: il microinfusore è stato utilizzato infatti in 4/234 pazienti (1,7%). DISCUSSIONE I dati raccolti sono descrittivi della diagnosi e trattamento del diabete tipo I all’esordio in ospedali periferici italiani. I dati confermano la gravità della chetoacidosi diabetica, ancora oggi un grave problema diagnostico e gestionale per i pronto soccorsi e le divisioni pediatriche. Dal confronto tra i quadri clinici di chi si presenta in chetoacidosi diabetica e chi giunge all'osservazione con pH venoso > 7,30 è evidente come è nel primo gruppo che si ha la grande maggioranza delle situazioni di shock, disidratazione, ipopotassiemia e coma. Fondamentale quindi è giungere a un sospetto diagnostico e al conseguente accesso alle cure prima del deterioramento metabolico. I nostri dati mostrano una durata dei sintomi prericovero ancora elevata. Una capillare azione educativa sulla popolazione e sulla medicina territoriale potrebbe ridurre al minimo i casi clinici più severi gravati da maggiori complicanze e che richiedono assistenza intensiva. . Si ritiene inoltre che un quadro iniziale meno grave possa associarsi a un andamento anche successivo del diabete meglio controllabile e quindi, a cascata, minor numero di ricoveri e minor gravità di complicanze. Questi dati indicherebbero inoltre la necessità di un aggiornamento dei pediatri e informazione alla popolazione generale in modo da favorire una diagnosi precoce. BIBLIOGRAFIA Wolfsdorf J et alDiabetic ketoacidosis in children and adolescents with diabetes. (ISPAD Clinica Practice Consensus Guidelines 2009 Compendium) Pediatric Diabetes 10 (suppl 12): 118-133; 2009 207 2 R - LA GESTIONE OSPEDALIERA DELLA GASTROENTERITE ACUTA: NETWORK PEDIATRICO NAZIONALE DI MONITORAGGIO Alfredo Guarino*, Andrea Del Vecchio*, Mariangela Bosoni°, Elisabetta Racchi°, MT Ortisi§, Riccardo Longhi§, Luciana Parola° e i componenti del Network Pediatrico Dipartimento di Pediatria, Università Federico II°, Napoli °UO Pediatria e Neonatologia, Ospedale “G.Fornaroli”, Magenta, A.O. “Osp. Civile di Legnano” § A.O S. Anna, Como INTRODUZIONE La gastroenterite acuta (GEA) è una patologia ad alta incidenza in età pediatrica ed è causa di numerosi ricoveri ospedalieri, visite mediche, indagini strumentali e prescrizione di farmaci. Nell’ambito del Progetto NETWORK PEDIATRICO è stata elaborata una scheda raccolta dati sulla gestione ospedaliera dei pazienti pediatrici con gastroenterite acuta. Lo strumento ha permesso di valutare quanto le indicazioni fornite dalle Linee Guida ESPGHAN/ESPID siano state applicate nella pratica clinica ospedaliera. Le Linee Guida sottolineano in particolare come nei pazienti con GEA senza altri fattori di rischio non siano indicate indagini laboratoristiche, coprocolture, interruzione dell’alimentazione o cambiamento della dieta, né generalmente l’uso di farmaci. METODI Sono stati inseriti nello studio pazienti di età inferiore ai 6 anni ricoverati o trattenuti in osservazione breve intensiva (OBI)per gastroenterite acuta. La raccolta dati è stata effettuata tramite compilazione di schede online. L’aderenza alle Linee Guida è stata calcolata considerando come violazioni maggiori quelle che potevano modificare negativamente il decorso della patologia, aumentare in maniera non necessaria il costo del trattamento o che non rispettavano le raccomandazioni di alto grado. Sono state considerate invece violazioni minori tutti gli interventi in contrasto con le raccomandazioni di basso grado. RISULTATI Sono state raccolte 612 schede compilate da 31 Centri italiani. La popolazione era costituita da 328 maschi e 284 femmine di età media 22.8±15.4 mesi. L’appropriatezza dei ricoveri è stata particolarmente bassa (346/602, 57.5%). Solo il 21% dei bambini (126/612) è stato gestito nel completo rispetto delle Linee Guida mentre nel 45% (274/612) l’aderenza alle indicazioni è stata solo parziale. Le principali violazioni delle Linee Guida comprendevano la richiesta di indagini microbiologiche (>70%), cambiamenti della dieta (310; 27.6%), prescrizione di antibiotici (17 %) e antidiarroici (6%). DISCUSSIONE Il network pediatrico si è rivelato un ottimo sistema di monitoraggio della gestione clinica del bambino con gastroenterite, facendone emergere i punti di forza e le criticità su cui indirizzare interventi di miglioramento. I nostri dati mostrano che, nonostante venga eseguito un adeguato inquadramento clinico della gravità di patologia, i pazienti con gastroenterite acuta siano eccessivamente medicalizzati, ricoverati anche quando non necessario e sottoposti in modo non adeguato a indagini diagnostiche, somministrazione di farmaci e reidratazione endovenosa. Un percorso di miglioramento porterebbe non solo a benefici per i pazienti ma anche a un notevole risparmio economico. BIBLIOGRAFIA 1) Guarino A et al. European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition/European Society for Paediatric Infectious Diseases Evidence-based Guidelines for the Management of Acute Gastroenteritis in Children in Europe, J PediatrGastroenterolNutr. 2008 May;46(5):619-21 2) Longhi R, Ortisi MT, Gargantini G, Minasi G, Matera N, Parola L. The Italian Pediatric Network, Italian Journal of Pediatrics 2014, 40(Suppl 1):A38 208 3 R - QUANDO È IL CANE A FARLA DA PADRONE…L’ ECHINOCOCCOSI Giuseppe Frandina, Paola Chiarello, Clara Chiarello, Anastasia Cirisano, Maurizio Cretella, Concetta Rosso, Salvatore Sisia, Francesco Paravati U.O.C. Pediatria Neonatologia T.I.N., Ospedale “S. Giovanni di Dio”, Crotone INTRODUZIONE. L’Echinococcosi o idatidosi è una malattia causata dallo stadio larvale di un cestode appartenente alla specie Echinococcus granulosus. Il suo ciclo biologico è caratterizzato dalla formazione di cisti larvali in vari organi di bovini,equini,caprini e ovini; allo stadio adulto è parassita dell’intestino tenue dei cani. La malattia si trasmette all’uomo tramite contatto diretto o per ingestione di alimenti contaminati da feci infestate. Nell’uomo, la larva determina la formazione di grosse cisti che coinvolgono il fegato (55-70%) e il polmone (15-35%) con sede elettiva nel lobo inferiore destro ma anche, di rado, muscoli, reni, milza e SNC. La sintomatologia è dovuta sia ad un’ azione compressiva locale sia a fenomeni generali di tipo allergico: grave rischio è lo shock anafilattico in seguito a rottura delle cisti e disseminazione. Per la diagnosi assume grande importanza la diagnostica strumentale oltre ai test immunologici. Il trattamento farmacologico prevede l’uso di antiparassitari. Il farmaco d’elezione è l’Albendazolo. Riportiamo 2 casi di echinococcosi cistica afferiti presso l’U.O. di Pediatria dell’Ospedale Civile di Crotone. CASO 1 – LS , di anni 4, giunge alla nostra osservazione per eseguire ecografia addominale per tumefazione in sede epigastrica, riferita in prima istanza ad ernia della parete addominale. L’esame evidenzia 4 cisti epatiche e 1 cisti splenica (Fig.1). All’anamnesi i genitori riferiscono che il bambino ha spesso giocato con un piccolo cane randagio. Per sospetta idatidosi si eseguono Ab anti echinococco che risultano positivi (1:256). Si esegue TAC Torace (Fig.2) - addome – encefalo che evidenzia: …presenza in campo polmonare sup. dx di formazione rotondeggiante di 3.7 x 3.8 cm adesa alla parete anteriore a margini regolari a densità sovra liquida - …presenza di grossolane formazioni a densità liquida nel parenchima epatico (4 cisti delle dimensioni medie di 3-4 cm) e una a livello splenico di 9 cm.. Si instaura trattamento a lungo termine con Albendazolo per un periodo complessivo di tre anni e tuttora in corso fino al prossimo controllo ecografico a distanza di un mese dall’asportazione delle cisti epato-spleniche. Figura 1 Figura 2 CASO 2 - G.P., di anni 10, giunge per difficoltà respiratoria, tosse, dolore emitorace dx, alitosi, condizioni cliniche generali scadute. All'anamnesi: febbre per 3 gg la settimana precedente, ricomparsa di febbre a 41° C dopo alcuni gg con tosse, vomito e secrezioni maleodoranti. L'RX torace eseguito esternamente evidenziava pleuro-polmonite dx trattata a domicilio con amoxicillina da 5 gg. L'obiettività toracica evidenzia ridotta penetrazione d'aria in regione medio-basale dx con gemiti, rantoli crepitanti e sfregamenti. Gli esami ematochimici evidenziano leucocitosi neutrofila e PCR elevata. Si intraprende terapia con ceftriaxone e claritromicina con miglioramento delle condizioni cliniche generali ma reperto toracico invariato. Si decide di eseguire :TAC torace: ...lobo medio di area di consolidazione parenchimale D-max 70x78x75 mm, disomogenea per la presenza nel contesto di strie iperdense e di immagini, aerea in apparente comunicazione con il bronco segmentale mediale nel lobo medio…..Reazione pleurica a dx che assume aspetto saccato in sede posterobasale. Adenopatie mediastiniche. Eco addome: ampio versamento pleurico che risale in alto a camicia.Ecocardiografia: modico versamento a livello della parete posteriore del ventricolo sinistro; Un supplemento di anamnesi rivela che il paziente ha avuto spesso contatti con cani. Si decide di ricercare gli Ab anti echinococco che risultano presenti (1:64).Si intraprende terapia con mebendazolo e cefixima e si invia il pz per valutazione chirurgica presso centro di III livello extraregionale che conferma la necessità di intervento chirurgico dopo terapia con albendazolo per 90 gg. Sottoposto ad intervento di lobectomia polmonare dx. viene dimesso proseguendo la terapia antiparassitaria fino al controllo degli Ab anti-echinococco dopo 30 e 60 gg risultati assenti. DISCUSSIONE. La localizzazione multi-organo e al lobo polmonare sin dell’infezione è poco frequente in età pediatrica. L’anamnesi si dimostra ancora una volta fondamentale per giungere in tempi brevi alla diagnosi. L’indagine ecografica con il conforto dei test sierologici si conferma di grande utilità per una corretta diagnosi nelle forme a localizzazione addominale fornendo dati simili a quelli rilevabili con la T.C. Bibliografia: Schipper HG, Kager PA: Diagnosis and treatment of hepatic echinococcosis: an overview. Scand J Gastroenterol Suppl 2004; 50-5. Schantz PM, Kern P & Brunetti E. "Echinococcosis". Capitolo 114 in: Tropical Infectious Diseases: Principles, Pathogens & Practice, RL Guerrant, DH Walker & PF Weller, Eds. Churchill Livingstone/Elsevier, 2nd ed., 2006, pp. 1304-1 209 4 R - FUNZIONALITÀ RESPIRATORIA IN BAMBINI CON DREPANOCITOSI: CONFRONTO TRA SPIROMETRIA ED OSCILLOMETRIA AD IMPULSI Pasquale Comberiati, Sofia Donatoni, Michele Piazza, Attilio L. Boner, Diego G. Peroni Clinica Pediatrica, Università di Verona, Verona, Italia. INTRODUZIONE L’oscillometria ad impulsi (IOS) è una metodica non invasiva e validata per lo studio delle resistenze polmonari, che a differenza della spirometria non necessita di un espirazione forzata e può quindi essere impiegata nei bambini poco collaboranti od in età prescolare per studiare la funzionalità respiratoria [1]. Obiettivi dello studio: confrontare i parametri dell’IOS e della spirometria nello studio della funzionalità respiratoria di bambini con drepanocitosi (DP) e valutare l’eventuale influenza della durata della DP sulla funzionalità respiratoria. METODI In 28 bambini affetti da DP [n= 12 maschi, 43%; età mediana 9.5 anni, intervallo interquartile (IQR) 7-13] è stata valutata la funzionalità respiratoria basale e 15 minuti dopo la somministrazione di 400µg di salbutamolo, sia mediante IOS che spirometria. Per l’IOS i valori medi di resistenza sono stati calcolati alle frequenze da 5 a 20 Hz, nello specifico R5 ed R20. RISULTATI E’ emersa una significativa correlazione inversa tra i valori pre-β2 di FEV1 (mediana (M) 72.25; IQR 61.3-78.8) e di R5 (M 125.3; IQR 104.7-159.4) (p=0.0003), cosi come tra i valori pre-β2 di FEV1 e di R20 (M 121.4; IQR 102.7-139.6) (p=0.018). Analogamente, è emersa una significativa correlazione inversa tra i valori post-β2 di FEV1 (M 74.60; IQR 62.8-83.3) e di R5 (M 112.4; IQR 94.05-138.9) (p=0.0028), cosi come tra i valori post-β2 di FEV1 e di R20 (M 113.1; IQR 89.35-131.9) (p=0.0068). Infine, confrontando la durata della DP intesa come l’età dei bambini, è emersa una significativa correlazione diretta tra i valori pre-β2 (M 107; IQR 98.7-131.7) e post-β2 di R5 (M 99.3; IQR 80.1-115.3) e l’età (p=0,019 e p=0.002 rispettivamente). Simile correlazione si è vista anche tra i valori pre-β2 (M 111.5; IQR 96.8-122.6) e post-β2 di R20 (M 99.1; IQR 86.50-122.4) e l’età (p=0,0076 e p=0,0014, rispettivamente). DISCUSSIONE Si tratta del primo studio di confronto tra IOS e spirometria in bambini con DP. I nostri dati confermano la sovrapponibilità di spirometria ed IOS per lo studio della funzionalità respiratoria nei pazienti con DP, già evidenziata nei bambini asmatici [2]. Dal nostro studio è inoltre emerso un aumento delle resistenze oscillometriche R5 e R20 correlato con la durata della DP. Al momento non ci sono studi longitudinali che valutino la DP mediante l’oscillometria e la variazione delle resistenze R5 e R20 da noi osservata potrebbe essere il punto di partenza per futuri studi di intervento terapeutico. BIBLIOGRAFIA [1] Beydon N, et al. J Resp Crit Care Med 2007;175:1304. [2] Komarow HD, et al. Pediatr Pulmonol. 2012;47:18-26. 210 5 R - LUNG ULTRASOUND: A USEFUL TOOL IN DIAGNOSIS AND MANAGEMENT OF BRONCHIOLITIS Di Mauro Antonio1, Basile Vincenzo2, Scalini Egisto2, Comes Paolo3, Lofù Ignazio2, Tafuri Silvio4, Manzionna Mariano2 1. Pediatric Unit, Department of Biomedical Science and Human Oncology, University of Bari “Aldo Moro”, Bari, Italy 2. Pediatric Unit, Maternal and Child Health Department, “S. Giacomo” Hospital, ASL BA, Monopoli (Bari), Italy 3. Radiodiagnostic Unit, “S. Giacomo” Hospital, ASL BA, Monopoli (Bari), Italy 4. Section of Hygiene, Department of Biomedical Sciences and Human Oncology, University of Bari “Aldo Moro”, Bari, Italy INTRODUZIONE: This was an observational cohort study of infants admitted to our Pediatric Unit with suspected bronchiolitis, aimed to evaluate the accuracy of lung ultrasonography in the diagnosis and management of bronchiolitis in infants. MATERIALI E METODI: A physical examination and lung ultrasound assessment were performed on each patient. An exploratory analysis was used to assess correspondence between the lung ultrasound findings and the clinical evaluation and to evaluate the inter-observer concordance between the two different sonographs. RISULTATI: 106 infants were studied (average age 71 days). According to our clinical score, 74 infants had mild bronchiolitis, 30 had moderate bronchiolitis and 2 had severe bronchiolitis. 25 infants composed the control group. Agreement between the clinical and sonographic diagnosis was good (90.6%) with a high inter-observer ultrasound diagnosis concordance (89.6%). Lung ultrasound permits the identification of infants who are in need of supplementary oxygen with a specificity of 98.7 %, a sensitivity of 96.6 %, a positive predictive value of 96.6% and a negative predictive value of 98.7%. An aberrant ultrasound lung pattern in posterior chest area was collected in 86% of infants with bronchiolitis. In all patients clinical improvement at discharge was associated with disappearance of the previous LUS findings. Subpleural lung consolidation of 1 cm or more in the posterior area scan and a quantitative classification of interstitial syndrome based on intercostal spaces involved bilaterally, good correlate with bronchiolitis severity and oxygen use. DISCUSSIONE: The lung ultrasound findings strictly correlate with the clinical evaluations in infants with bronchiolitis and permit the identification of infants who are in need of supplementary oxygen with high specificity. Scans of the posterior area are more indicative in ascertaining the severity of bronchiolitis. Up to date, LUS has to be considered as a rapidly expanding field and its use in pediatric care has to be implemented, in order to minimize the use of ionizing radiation and the risk of cancer. At present, LUS is not included in the management of bronchiolitis but if our results are further upholded in larger, multicentric studies, the use of LUS could be routinely recommended in infants with clinical signs and symptoms of suspected bronchiolitis. BIBLIOGRAFIA: The role of chest ultrasonography in the management of respiratory diseases. Multidisciplinary Respiratory Medicine 2013. 211 6 R - ANALISI DELLE SOTTOPOPOLAZIONI LINFOCITARIE DA SANGUE PERIFERICO IN PAZIENTI CON BEHCET PEDIATRICO: UN NUOVO STRUMENTO DIAGNOSTICO? Chiara Gorio, Paola Poli, Stefano Ghirardelli, Antonella Meini, Marco Cattalini, Daniele Moratto, Manuela Baronio, Alessandro Plebani, Vassillos Lougaris INTRODUZIONE: La malattia di Behçet è una vasculite sistemica, che esordisce più frequentemente in soggetti giovani adulti, ma può manifestarsi anche in età pediatrica. I criteri diagnostici utilizzati per i pazienti adulti non sempre sono applicabili ai casi con esordio in età pediatrica e negli ultimi anni sono stati creati dei nuovi criteri diagnostici specifici per questa categoria di soggetti (PED-BDIC). La patogenesi della malattia di Behçet non è nota. Studi recenti mostrano che alla base di tale patologia possa esserci un disturbo del sistema immunitario e vi sono alcune evidenze di un coinvolgimento dell’immunità adattativa. Dati sulle sottopopolazioni linfocitarie in pazienti con malattia di Behçet sono riportati in un numero limitato di pazienti adulti, ma i dati in ambito pediatrico sono ad oggi molto scarsi. L'obiettivo del nostro studio è stato quello di valutare il profilo delle sottopopolazioni linfocitarie da sangue periferico di pazienti con Behçet ad esordio pediatrico, con lo scopo di verificare l’eventuale presenza di anomalie del sistema immunitario. MATERIALI E METODI: Nello studio sono stati reclutati 30 pazienti pediatrici con malattia di Behçet, afferenti al nostro Centro. I pazienti sono stati divisi in 2 gruppi, in base all'età :< di 12 anni (gruppo 1) o > 12 anni (gruppo 2). Per ogni paziente sono stati determinati i valori assoluti delle sottopopolazioni linfocitarie, mediante citometria a flusso FACSCalibur (Becton Dickinson, CA). I dati ottenuti sono stati poi analizzati con il software “Cell Quest Pro” (Becton Dickinson, CA) e processati con il software “FlowJo” (Tree Star , OR). I risultati ottenuti sono stati comparati con controlli sani di età corrispondente. RISULTATI: Lo studio delle sottopopolazioni linfocitarie nei pazienti con Malattia di Behçet ha evidenziato notevoli differenze rispetto ai controlli sani. Nei pazienti del Gruppo 1, sono state riscontrate delle alterazioni rispetto ai controlli sani, sia a carico del comparto T, con una riduzione delle cellule CD4+ Naive, Central Memory ed Effector Memory, delle cellule CD8+ totali ed Effector Memory, che a carico del comparto B, con un aumento delle cellule B Switched memory. Nei pazienti appartenenti al Gruppo 2 si è evidenziata una riduzione delle cellule CD4+ Naive e Central Memory, dei CD3+CD8+ totali e delle cellule T naive, mentre i valori dei linfociti B sono risultati sovrapponibili ai controlli. DISCUSSIONE: In questo studio abbiamo per la prima volta dimostrato la presenza di alterazioni delle sottopopolazioni linfocitarie nel sangue periferico di pazienti pediatrici affetti da malattia di Behçet. Tali anomalie sono più significative nel gruppo di pazienti di età inferiore a 12 anni, e sembrano essere caratteristiche dei pazienti pediatrici. Questi dati, se confermati in casistiche più ampie, potrebbero portare alla creazione di un’utile strumento diagnostico per corroborare la diagnosi di Behçet pediatrico e suggerire nuovi modelli patogenetici. BIBLIOGRAFIA: Koné-Paut I. et al. “Registries in rheumatological and musculoskeletal conditions. Paediatric Behçet's disease: an international cohort study of 110 patients. One-year follow-up data”, Rheumatology (Oxford). 2011 Jan;50(1):184-8. Pineton de Chambrun M. et al.: “.New insights into the pathogenesis of Behçet's disease”, Autoimmun Rev. 2012 Aug;11(10):687-98. 212 7 R - RESISTENZA AI MACROLIDI IN BAMBINI CON POLMONITE ACQUISITA IN COMUNITÁ DA MYCOPLASMA PNEUMONIAE: STUDIO DI 43 CASI Maria Felicia Mastrototaro¹, Fabio Cardinale² ¹Ospedale SS Annunziata - Taranto; ²Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico-Giovanni XXIII - Bari INTRODUZIONE: Il MP è uno dei più comuni agenti eziologici di CAP in bambini in età scolare e giovani adulti ed i macrolidi rappresentano gli antibiotici di I scelta. I macrolidi inibiscono la sintesi proteica legandosi al dominio V di 23S rRNA in corrispondenza dei codoni 2063 e 2064; queste posizioni sembrano fondamentali per il legame (figura n°1); infatti, da tempo si sa che i meccanismi che conferiscono la più alta resistenza consistono in una mutazione a carico di questi codoni, in particolare in una sostituzione di un residuo di A con un residuo di G o C nei codoni 2063 e 2064. In realtà dal 2000 in poi si è assistito ad un’autentica esplosione di segnalazioni di resistenza ai ML nel mondo, con percentuali che variano assai considerevolmente, dall’1% in Germania al 8090% in Cina e nell’est asiatico Lo scopo di questo studio è stato valutare la prevalenza in Italia di ceppi di MP con mutazioni A2063G/A2064G e l’eventuale associazione delle mutazioni che conferiscono resistenza ai macrolidi con i genotipi del Mycoplasma. Infine è stata valutata l’eventuale correlazione tra resistenza ai macrolidi e outcome clinico e parametri di laboratorio e strumentali. MATERIALI E METODI: Oggetto di studio sono stati 43 bambini con tampone nasofaringeo positivo per Mycoplasma Pneumoniae afferiti per IBVR c/o la UO di Pneumologia dell’Ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari; 22 M (51%) e 21 F (49%); range di età: 15 mesi – 16 anni. Le manifestazioni cliniche presentate sono state polmonite in 39 bambini (91%) e bronchite catarrale in 4 (9%). Le mutazioni A2063G/A2064G e i sottotipi di MP sono stati individuati rispettivamente attraverso l’analisi molecolare del gene 23SrRNA di MP ed utilizzando come target il nucleotide sottotipo-specifico del gene MPN528a in posizione 650584 del genoma M129 (una A nei ceppi genotipo 1 e una C nei ceppi genotipo 2), mediante real-time-PCR. RISULTATI: Le mutazioni che conferiscono resistenza ai macrolidi sono state rinvenute in 11 bambini (26%); 3 pazienti hanno acquisito la mutazione A2063G durante la terapia antibiotica. Non è emersa alcuna correlazione tra la resistenza ai macrolidi ed il genotipo di MP (P > 0.05) e i parametri di laboratorio e i patterns radiologici (P > 0.05). Infine i casi associati a resistenza alla claritromicina hanno presentato outcomes clinici meno favorevoli rispetto a quelli osservati nei pazienti infettati da ceppi sensibili. DISCUSSIONE: In questo studio abbiamo rilevato la circolazione anche in Italia di ceppi di Mycoplasma Pneumoniae resistenti ai macrolidi, evidenziandone anche un'alta prevalenza rispetto ai dati riportati in altri Paesi europei. Un risultato interessante di questo studio è l'acquisizione della mutazione A2063G in tre pazienti durante il corso della terapia antibiotica. In teoria la resistenza ad un determinato antibiotico può dipendere dalla esposizione dell’agente infettante a dosi subottimali dell’antimicrobico impiegato. Questa ipotesi non è valida, visto che tutti e tre i pazienti hanno ricevuto una dose di 15 mg/Kg/die di claritromicina per os per almeno 10 giorni. Tuttavia, è possibile che le infezioni respiratorie siano dovute a una popolazione mista di ceppi resistenti e sensibili e che la somministrazione del macrolide abbia selezionato le specie resistenti. Questo sottolinea l’importanza di un test diagnostico rapido per individuare la resistenza ai macrolidi, ma anche la necessità di ripetere il test in pazienti con infezioni gravi e con sintomi persistenti nonostante la terapia con macrolide in modo tale da cambiare antibiotico al fine di ottenere una risposta clinica e microbiologica favorevole. 213 8 R - MUCORMICOSI RINO-OCULO-CEREBRALE RECIDIVANTE IN UN PAZIENTE AFFETTO DA LEUCEMIA: CASE REPORT Teresa Perillo (1), Francesco De Leonardis (2), Gianfranco Favia (3), Daniele RM (2), Koronoca R (1), Giuseppe Giudice (4), Nicola Santoro (5) (1) Medico in formazione specialistica Biomedicina Età Evolutiva, Università degli studi di Bari; (2) Dirigente Medico Oncologia Pediatrica Policlinico di Bari; (3) Responsabile Odontostomatologia Policlinico di Bari (4) Responsabile Chirurgia Plastica Policlinico di Bari; (5) Responsabile Oncologia Pediatrica Policlinico di Bari Introduzione La mucormicosi è un'infezione fungina rara ma mortale causata da alcuni organismi dell'ordine Mucorales. Dopo l’aspergillosi, è la seconda forma di micosi in ordine di frequenza che colpisce soggetti immunocompromessi.Una diagnosi tempestiva, il trattamento immediato con antifungini ed un approccio chirurgico aggressivo sono essenziali per prevenire eventuali disseminazioni, sebbene la sopravvivenza sia tuttora bassa.1 Case Report Descriviamo il caso di una ragazza di 12 anni affetta da Leucemia Linfoblastica Acuta tipo T (LLA-T) che stava effettuando chemioterapia secondo la Fase di Reinduzione del protocollo AIEOP-BFM ALL 2009 per LLA-T. Nei giorni successivi alla somministrazione della II dose di VCR+ADM, la piccola progressivamente ha sviluppato le seguenti tossicità: ematologica di grado IV, metabolica di grado IV( trigliceridemia 2891 mg/dl ed iperglicemia > 500 mg/dl scarsamente responsiva alla terapia insulinica), epatica di grado III (bilirubina tot. 4.5 mg/dl, yGT 1055 U/L), neuroendocrina di grado IV ( SIADH con Na+ <120 mEq/l), neurologica periferica grado III e tossicità muscolo scheletrica di grado III (sindrome mialgica/miositica con rabdomiolisi acuta (CPK 1082 U/L, mioglobina 258 ng/ml). Le indagini microbiologiche effettuate hanno rilevato una riattivazione del virus di Epstein Barr, una positività dell’antigene sierico della Candida ed un Escherichia Coli di tipo ESBL a livello del sangue, delle urine e del tampone faringeo. Sulla scorta dell’ABG ha iniziato terapia antibiotica con meropenem e amikacina (introdotti inoltre L-Amb 3 mg/kg ed aciclovir). Nelle successive 48 ore si evidenziava una tumefazione edematosa dei tessuti periorbitari a sinistra come da iniziale cellulite orbitaria con presenza di deficit dell’abduzione e dell’elevazione (si aggiungeva teicoplanina). Nelle 24 ore successive a tale reperto la piccola presentava un episodio critico generalizzato susseguito da brevi episodi critici parziali subentranti a tipo mioclonie. Eseguiva angio-RM encefalo e Tac del massiccio facciale che evidenziavano aree di alterato segnale in corrispondenza della sostanza bianca sottocorticale frontale destra ed emisferica cerebellare bilaterale, edema dei tessuti molli perioculari a sinistra, sinusite macellare a sinistra con concomitante erosione ossea ed etmoidite. Nei giorni successivi, nonostante la negativizzazione degli esami colturali, si è assistito ad un rapido peggioramento delle condizioni cliniche con comparsa agli esami radiologici di estensione del tessuto flogistico in sede retro-orbitaria sinistra ed aumento del numero e dell’estensione delle lesioni della sostanza bianca in sede bilaterale. (Fig 1) E’ stato quindi effettuato un duplice intervento di debridment rino-endoscopico del seno mascellare, delle cellette etmoidali, seguito da dacriorinocistostomia. Le indagini istopatologiche effettuate a livello dell’abbondante tessuto necrotico prelevato, hanno confermato il sospetto clinico di Mucormicosi rino-oculo-cerebrale. Si incrementava il dosaggio del L-Amb a 7,5 mg/kg e si associava caspofungina. Un mese dopo, si iniziava terapia antifungina di mantenimento con Posaconazolo per via orale e, per remissione clinica di malattia a livello midollare, si passava chemioterapia di Mantenimento. Le rivalutazioni radiologiche evidenziavano progressiva lenta risoluzione dell’edema dei tessuti molli dell’ala del naso e peri-orbitario. Sei mesi dopo, abbiamo tuttavia assistito ad una brusca riattivazione dell'infezione a livello palatale con massiva necrosi del mascellare ed avulsione spontanea di 3 denti permanenti. (Fig 2) E’ stato quindi ripresa la terapia antifungina ev, interrotta la chemioterapia ed effettuato intervento di emimaxillectomia sinistra con plastica ricostruttiva dell’emipalato e della base dell’orbita. Attualmente, a distanza di 6 mesi da tale intervento, la paziente appare in buone condizioni generali, senza esiti funzionali/estetici di rilievo ed il quadro infettivo appare sotto controllo. (Fig 3) Conclusione Sebbene rara, la mucormicosi va inserita nella diagnosi differenziale dei dolori a livello del volto nei pazienti pediatrici immunocompromessi. Il nostro caso dimostra che una diagnosi tempestiva, un approccio multidisciplinare ed un rapido e radicale intervento terapeutico possono risultare essenziali in termini di efficacia. Tuttavia tali sforzi non proteggono dal rischio di recidiva, che può comunque beneficiare dello stesso approccio, sebbene in tal caso è spesso necessaria interruzione della chemioterapia ed intervento chirurgico radicale. Figura 1 Figura 2 Figura 3 1. Lewis RE, Kontoyiannis DP. Epidemiology and treatment of mucormycosis. Future Microbiol. September 2013;8(9):1163-75. 214 9 R - VALUTAZIONE DELL’IMMUNOFENOTIPO PERIFERICO ALL'ESORDIO DI LINFOMA DI HODGKIN IN ETÀ PEDIATRICA: IMPATTO PROGNOSTICO. Teresa Perillo°, Paola Muggeo*, Giampaolo Arcamone*, Chiara Novielli*, Rosamaria Daniele*, Nicola Santoro^ Medico in formazione specialistica Pediatria, Università degli studi di Bari *Dirigente Medico Oncologia Pediatrica Policlinico di Bari, ^Responsabile Oncologia Pediatrica Policlinico di Bari Introduzione Il linfoma di Hodgkin (LH) è tra le neoplasie maligne che hanno registrato un più significativo miglioramento in termini di prognosi negli ultimi decenni, con probabilità di guarigione che raggiungono il 90%. La precoce identificazione dei pazienti a maggior rischio di malattia resistente consente di ottimizzare l'intensità delle cure. In pt adulti sono state recentemente descritte come variabili prognostiche indipendenti all’esordio di malattia la conta linfocitaria periferica (in particolare il rapporto CD4/CD19 (<10 vs >o= 10), il rapporto tra conta assoluta di linfociti e monociti ed il loro singolo valore assoluto. 1,2 Lo scopo del nostro studio è stata la valutazione del valore prognostico di parametri biologici quali conta periferica dei monociti, cellule Natural Killer, linfociti B, rapporto CD3/CD19 e CD4/CD19 e linfociti/monociti alla diagnosi di malattia in 22 pt trattati presso il nostro Centro tra il 2005 ed il 2014 per LH secondo protocollo AIEOP LH 2004 a cui è stato eseguito immunofenotipo periferico alla diagnosi. Materiali e metodi Abbiamo analizzato retrospettivamente i dati relativi a 21 pt (10 maschi, 11 femmine) affetti da LH (età media alla diagnosi di 7 anni e 20 mesi). (Tabella 1). Al fine di stimare l’eventuale impatto prognostico delle variabili da noi considerate, le abbiamo rapportate per ciascun pt all’esito della PET eseguita dopo i primi due cicli di chemioterapia (INT-PET), all’eventuale intensificazione del programma terapeutico, all'ottenimento dello stato di remissione (risposta completa (RC) o parziale (RP)) durante e al termine della chemioterapia. Risultati Dei parametri biologici da noi studiati, l’unico che influenza la prognosi di malattia in maniera statisticativamente significativa nel nostro gruppo di pt è il rapporto CD4/CD19.Tale rapporto infatti, è risultato inferiore a 10 (cut-off descritto in letteratura su pt adulti) in 18/21 pt, di cui 16/21 con risposta precoce all’intPET e remissione completa dopo terapia di prima linea. Al contrario, dei 3 pt con rapporto CD4/CD19>10 due avevano una int-pet positiva ed uno dei due ha avuto anche necessità di chemioterapia intensificata (2 cicli IEP + 2 cicli DHAP), autotrapianto di cellule staminali, Radioterapia+ Bendamustina e successiva terapia con brentuximab. Conclusioni Il rapporto CD4/CD19, espressione dell’omeostasi immunologica, potrebbe avere un valore prognostico nel LH pediatrico. La disponibilità di un marcatore biologico semplice che aiuti ad individuare precocemente una malattia a comportamento più aggressivo può migliorare le possibilità di cura di quella percentuale di pazienti attualmente a rischio prognosi infausta. I nostri dati preliminari sarebbe auspicabile che fossero validati e confermati su una casistica pediatrica più ampia. References 1 Peripheral blood CD4/CD19 cell ratio is an independent prognostic factor in classical Hodgkin lymphoma. Gaudio F, Perrone T, Mestice A et al. Leuk Lymphoma. 2014 Jul;55(7):1596-601. 2 Peripheral blood lymphocyte/monocyte ratio at diagnosis and survival in classicalHodgkin's lymphoma. Porrata LF, Ristow K, Colgan JP et al. .Haematologica. 2012 Feb;97(2):262-9. PT1 PT2 PT3 PT4 PT5 PT6 PT7 PT8 PT9 PT10 PT11 PT12 PT13 PT14 PT15 PT16 PT17 PT18 PT19 PT20 PT21 STADIO 2A 2A 3A 4 3B 2A 2A 2A 2A 4 2B 4A 3B 3A 2A 2A 2B 3B 3B 2A 2B GT 2 1 3 3 2 2 2 1 1 3 3 3 3 3 3 2 3 3 3 3 3 LINFOCITI 10310 2657 6883 1448 3706 1971 3342 2911 3117 1597 1272 1559 15631 9930 3487 1736 892 10350 4145 1804 1274 MONOCITI 3436 2656 292 304 506 1407 835 717 427 783 529 759 2188 509 917 560 460 598 482 812 910 NK 285 82 1598 101 392 157 vedi 116 138 311 50,8 218 276 281 104 209 71 1656 88 514 19,8 L/M 3,04 1 23,7 4,9 7,3 1,4 4 4 7,3 2 2,4 2,2 7,2 19,5 3,8 3,4 1,9 17,2 8,6 2,2 1,4 CD4/CD19 2 3.03 12,6 0,2 4,4 3 2,6 3,1 3,5 2,4 0,8 2,5 1,3 0 15 2,5 6 9,8 4,8 3,3 10,3 cd3/cd19 3,7 5,7 24,3 0,56 10,5 5,1 5 6,2 6,9 3,7 1,3 6 2,29 2,8 47,5 5,1 14,2 15,8 6 6,7 14,8 CD19 342 152 4030 869 144 295 232 349 416 261 522 218 594 234 69 257 44 7224 737 162 23 PET NEG NEG POS NEG NEG POS NEG NEG POS POS NEG NEG NEG NEG NEG NEG POS NEG NEG NEG POS INTENS NO NO NO SI NO NO NO NO SI NO NO NO NO NO NO NO NO no NO NO SI OUTCOME RC RC RC TMO RC RC RC RC RC RC RC RC RC RC RC RC RC RC RC RC TMO 215 10 R - IDENTIFICAZIONE DI FATTORI INDICATIVI DI ARTRITE IDIOPATICA GIOVANILE IN UNA COORTE DI BAMBINI CON DOLORI OSTEOARTICOLARI Paola Poli, Chiara Gorio, Elena Tononcelli, Antonella Meini, Alessandro Plebani, Marco Cattalini Unità di Immunologia e Reumatologia Pediatrica, Spedali Civili di Brescia e Università degli Studi di Brescia INTRODUZIONE I dolori osteoarticolari sono un’evenienza comune nell’età pediatrica, una delle principali cause di riferimento al pediatra di famiglia, che frequentemente richiede in seguito una valutazione reumatologica pediatrica. La diagnosi differenziale dei dolori osteoarticolari è ampia, spaziando da condizioni benigne (come i “dolori di crescita”) a condizioni potenzialmente letali (come le leucemie), ciò nonostante nella maggior parte dei casi una corretta raccolta anamnestica permette di orientare la diagnosi differenziale nella maggior parte dei pazienti. Scopo principale dello studio è stato il reclutamento di un gruppo di bambini inviati al nostro Centro per dolore osteoarticolare, con lo scopo di identificare parametri ottenibili tramite la raccolta anamnestica in grado di predire la diagnosi finale, in particolare la diagnosi di Artrite Idiopatica Giovanile (AIG). Obiettivo secondario è stata la valutazione delle differenti eziologie del dolore osteoarticolare in una coorte di bambini inviati per valutazione reumatologica pediatrica. MATERIALI E METODI I dati clinici di tutti i bambini inviati per artromialgie alla Reumatologia Pediatrica degli Spedali Civili di Brescia tra il giugno 2011 e il dicembre 2013 sono stati registrati al momento della prima visita. È stato costruito un database considerando: caratteristiche del dolore (frequenza, pattern, fattori precipitanti), tumefazione articolare, rigidità mattutina, sintomi costituzionali (febbre, calo ponderale, sudorazione notturna e astenia), esami di laboratorio (VES, PCR, ANA, Fattore Reumatoide), storia familiare per malattie autoimmuni. In seguito alla formulazione della diagnosi finale, sono state costruite tre categorie: AIG, artrite post-infettiva, cause non infiammatorie (es. dolori di crescita, anomalie posturali). Le tre categorie sono state quindi paragonate rispetto ad ognuno dei parametri registrati, per verificare eventuali differenze nelle tre categorie. Infine è stato costruito un modello, mediante regressione logistica multipla di tutti i parametri studiati, per identificare le caratteristiche associate ad una diagnosi di AIG. RISULTATI In questo studio sono stati presi in considerazione 178 bambini valutati per dolore osteoarticolare. Le diagnosi finali erano AIG (20%-36 bambini), artriti post-infettive (16%-28 bambini), cause non infiammatorie (64%-114 bambini). Il paragone fra le tre differenti categorie ha identificato un pattern di segni e sintomi specifici per ognuna delle tre categorie. In particolare sono risultate altamente significative: la tumefazione articolare persistente, il riposo come fattore precipitante, la presenza di rigidità mattutina ed il dolore persistente in associazione alla diagnosi di AIG (p<0.001 per tutti i parametri); al contrario l’assenza di tumefazione articolare, l’attività fisica come fattore precipitante, il dolore ricorrente pomeridiano o serotino sono risultati statisticamente associati con la diagnosi di patologie non infiammatorie ( p<0.01 per tutti i parametri). Successivamente, concentrando l’attenzione sulla diagnosi di AIG, è stata condotta una regressione logistica multipla per analizzare l’impatto di ognuno dei parametri identificati sulla diagnosi finale, ottenendo la formula: y = k + b1x1 + b2x2 + b3x3 + b4x4 (y= probabilità di ricevere una diagnosi di AIG; k=15.735; x1= pattern tumefazione articolare; x2= fattori precipitanti; x3= rigidità mattutina; x4= frequenza dolore). Applicando questa formula in un bambino con dolore osteoarticolare è possibile calcolare la probabilità che questi riceva una diagnosi finale di AIG, con una sensibilità del 90.9% ed una specificità del 95,35%. DISCUSSIONE Il nostro studio ha evidenziato che, nonostante il dolore osteoarticolare sia una causa frequente di richiesta di valutazione reumatologica, solo una minoranza di pazienti con questo disturbo riceverà una diagnosi finale di AIG e che nella maggior parte dei bambini la causa dei dolori è non infiammatoria. Una valutazione dettagliata della storia clinica è risultata uno strumento essenziale nell’approccio alla diagnosi differenziale. Con questo studio è stata costruita una formula che permette di calcolare la probabilità che un bambino con dolore osteoarticolare riceva una diagnosi finale di AIG. Naturalmente questa formula non può essere considerata come sostituto di una valutazione medica specialistica, ma se i nostri risultati fossero confermati su più ampie casistiche, potrebbe essere considerata come uno strumento utile ai pediatri di libera scelta per guidare gli accertamenti necessari nel bambino che giunge per dolore osteoarticolare. Uno studio multicentrico, atto alla validazione del presente score, è attualmente in corso. 216 11 R - WHEEZING RICORRENTE IN ETA’ PEDIATRICA POLIMORFISMI GENETICI E RISCHIO ASSOCIATO Claudia Tagliabue1, Valentina Ierardi1, Cristina Daleno1, Alessia Scala1, Leonardo Terranova1, Walter Peves Rios1, Claudio Pelucchi2, Nicola Principi1, Susanna Esposito1 1 Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura, Dipartimento di Fisiopatologia e dei Trapianti, Università degli Studi di Milano, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano; 2Dipartimento di Epidemiologia, IRCCS Istituto Mario Negri per la Ricerca Farmacologica, Milano Introduzione: Durante i primi anni di vita il wheezing rappresenta una patologia comune ma le ragioni alla base dei diversi fenotipi non risultano completamente chiarite. Lo scopo di questo studio è stato quello di analizzare le potenziali correlazioni tra il rischio di sviluppo di wheezing ricorrente e la presenza di specifici polimorfismi di alcuni geni che regolano le funzioni del sistema immune e di studiare il ruolo che i diversi virus hanno e la loro importanza, in associazione ai polimorfismi genetici, nel determinare la ricorrenza degli episodi. Materiali e Metodi: Nello studio sono stati arruolati 119 bambini senza patologie croniche sottostanti che sono stati ricoverati per il primo episodio di bronchiolite (74 dei quali hanno poi presentato wheezing ricorrente) e 119 soggetti di pari sesso ed età con un’anamnesi silente per patologia respiratoria e che sono stati selezionati all’interno di un gruppo di pazienti ambulatoriali durante il periodo dello studio. Le due popolazioni in studio sono state seguite per due anni; è stata eseguita, su campioni di sangue intero, la genotipizzazione di 47 polimorfismi nucleotidici in 33 geni. Risultati: IL8-rs4073AT, VEGFA-rs833058CT, MBL2-rs1800450CT e IKBKB-rs3747811AT erano associati ad un rischio significativamente aumentato di sviluppare wheezing (p=0,02, p=0,03, p=0,05 e p=0,0018), mentre CTLA4-rs3087243AG e NFKBIB-rs3136641TT erano associati ad un rischio significativamente ridotto di sviluppare wheezing (p=0,05 e p=0,04). IL8-rs4073AT, VEGFA-rs2146323AA e NFKBIA-rs2233419AG erano associati ad un rischio significativamente aumentato di sviluppare wheezing ricorrente (p=0,04, p=0,04 e p=0,03), mentre TLR3-rs3775291TC era associato ad un rischio significativamente ridotto di sviluppare wheezing ricorrente (p=0,03). Nello studio relativo alle interazioni tra geni e ambiente, i rinovirus erano associati a wheezing ricorrente in presenza di IL4Ra-rs1801275GG e G (odds ratio 6,03, 95% IC: 1,21-30,10, p=0,03) e di MAP3K1-rs702689AA (OR 4,09, 95% IC: 1,14-14,61, p=0,03). Discussione: Questo studio evidenzia una chiara relazione tra il rischio di wheezing ricorrente e i polimorfismi di alcuni geni coinvolti nella risposta immune. Benchè siano necessari ulteriori studi per confermare questi risultati, questi dati potrebbero risultare utili per una precoce identificazione dei soggetti a più alto rischio per lo sviluppo di episodi ricorrenti di wheezing e, almeno in alcuni casi, di asma successivamente. Bibliografia 1) Martinez F, Wright A, Taussig L, Holberg CJ, Halonen M, Morgan WJ: Asthma and wheezing in the first six years of life. N Engl J Med 1995, 332:133-138. 2) Jackson DJ: Early-life viral infections and the development of asthma: a target for asthma prevention? Curr Opin Allergy Clin Immunol 2014, 14:131-136. 3) Halfhide C, Smith RL: Innate immune response and bronchiolitis and preschool recurrent wheezing. Pediatr Resp Rev 2008, 9:251-262. 4) Daley D, Park JE, He JQ, Yan J, Akhabir L, Stefanowicz D, Becker AB, Chan-Yeung M, Bossé Y, Kozyrskyj AL, James AL, Musk AW, Laprise C, Hegele RG, Paré PD, Sandford AJ: Associations and interactions of genetic polymorphisms in innate immunity genes with early viral infections and susceptibility to asthma and asthma-related phenotypes. J Allergy Clin Immunol 2012, 130:1284-1293. 5) Borrego LM, Arroz MJ, Videira P, Martins C, Guimarães H, Nunes G, Papoila AL, Trindade H: Regulatory cells, cytokine pattern and clinical risk factors for asthma in infants and young children with recurrent wheeze. Clin Exp Allergy 2009, 39:1160-1169. 217 12 R - NECROTIZING GRANULOMAS OF THE LIVER CAUSED BY A SYSTEMIC BARTONELLA VINSONII INFECTION: FROM CAT TO CHILD ML Melzi1, G Bovo2, S Foresti3, A Cavallero4, R Corso5, A Ciervo6, F Mancini6, G Ferrari1, A D’Adda1, A Biondi1 1. Pediatric Department, Università Milano Bicocca, Fondazione MBBM, Monza, Italy 2. Anatomical pathology, Ospedale S.Gerardo, Monza 3. Infectious Diseases Department, Ospedale S.Gerardo, Monza 4. Microbiology Laboratory, Ospedale S.Gerardo, Monza 5. Radiology Department, Ospedale S.Gerardo, Monza 6. Department of Infectious, Parasitic and Immune-mediated Diseases, Istituto Superiore di Sanità, Rome, Italy Introduction. Cat-scratch disease (CSD) is a benign disease manifested in most cases by self-limiting lymphadenitis after an inoculation, usually inflicted by a cat. Bartonella henselae or Bartonella quintana are generally the causative agents of the disease and laboratory confirmation of the diagnosis is possible by testing the specific antibody response. Systemic infection has been reported in small series of immunocompetent and immunocompromised children and generally has initial symptoms of prolonged fever and multiple granulomatous lesions in liver and spleen. We describe the case of atypical and rare systemic Bartonella vinsonii infection with liver involvement in a 11 years old girl in which the diagnosis was difficult because the negativity of serological markers. The molecular detection of the Bartonella vinsonii sub. arupensis on liver specimen and on cat blood sample, permitted the diagnosis of the etiologic agent and identification of the source of infection. Case description. A girl, 11 years and 5 months old, was admitted to the Pediatric Department because of fever lasting three weeks and multiple hepatic hypoechogenic lesions on abdominal ultrasound. NMR revealed fibrotic-granulomatosis aspect of the lesions, more than ten, sized between 5-15 mm, except one in S6 of 45 mm. General conditions of the girl were not compromised, she only suffered of abdominal pain. There was no adenomegaly, whereas the liver was moderately enlarged with completely normal liver enzyme. Laboratory test showed microcytic (69/fl) anemia (hemoglobin 10 g/dl), leukocytosis (12000 mm3) with neutrophilia (80%), high sedimentation rate (93 mm/h) and high C reactive protein level (12 mg/dl, nv < 0.5), hypergammaglobulinemia (2.1 g/dl) and hyper-IgG (2150 mg/dl). Multiple serologies for bacterial, mycotic and viral infection were negative. Two serum samples, collected at the admission and two weeks later, were examined for the presence of anti-B. henselae and anti-B. quintana IgG and IgM by using a commercial immunofluorescence assay and resulted negative. Mantoux test and Quantiferon analysis were negative too. The girl had a kitten at home and she has been scratched several times. The patient was treated with azithromycin ev 500 mg qd and doxycycline po 100 mg bid after culture of the blood, resulted negative. The girl underwent liver niddle biopsy of the biggest lesion four days after the hospital admission. The histological examination revealed inflammatory deposits, but no signs of granulomas. We performed also a bone marrow examination that excluded hematological malignancies. After ten days persisting fever we decided to repeat the liver biopsy and two new samples were got one in the healthy liver, the other through one of the more little lesions. The histological examination this time revealed a stellate necrotizing granuloma surrounded by palisading epitheliod cells. These results convinced us about the infective etiology of the lesions. Deparaffinized sections cut containing representative samples of the lesions and the blood of the kitten were sent to the Istituto Superiore di Sanità Department of Infectious Parasitic and Immune-Mediated Diseases of Rome for specific PCR assays of Bartonella. The qualitative PCR analysis revealed specific DNA of B. vinsonii sub. arupensis in clinical and in cat blood samples. The child continued antibiotic treatment with azithromycin ev 500 mg qd until fever resolution, occurred four weeks since the beginning of symptoms, and with doxycycline po 100 mg bid for six weeks. At the last followup, after six months, the hepatic lesions are improving, decreasing in number and dimensions. The particularity of our case is in the unusually Bartonella species found that does not permit the diagnosis with the conventional serological methods and the possibility to identify the bacteria with molecular tools in the tissue and in the animal that gave the infection. Bibliography 1. Systemic Bartonella henselae infection with hepatosplenic involvement. A.Ventura, F.Massei, T.Not, M.Massimetti, R.Bassani, G.Maggiore. JPGN, 29 (1): 52-56, 1999. 1. Ciervo A, Ciceroni L (2004). Rapid detection and differentiation of Bartonella spp. by a single-run realtime PCR. Mol Cell Prob 18, 307-312. 2. Morick D, Baneth G, Avidor B, Kosoy MY, Mumcuoglu KY, et al. (2009). Detection of Bartonella spp. in wild rodents in Israel using HRM real-time PCR. Vet Microbiol 139: 293–297. 218 13 R - DALLA SPLENOMEGALIA ISOLATA ALLA DIAGNOSI DI MALATTIA DI GAUCHER Francesca Lotti°, Clementina Calabrese°, Giuseppina D'angelo°, Maria Pia Falcone°, Andrea Ciliberti*, Raffaela De Santis*, Angela Maggio*, Matteo Maruzzi*, Lucia Miglionico*, Anita Spirito*, Massimo PettoelloMantovani°, Saverio Ladogana* °Scuola di Specializzazione in Pediatria, Università degli Studi di Foggia *U.O.C. Oncoematologia Pediatrica IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza-San Giovanni Rotondo S.D., 3 anni e 3 mesi, di sesso femminile, giunge alla nostra osservazione per approfondimento diagnostico in merito al rilievo lieve epatomegalia (fegato a 1-2 cm dall’arcata) e splenomegalia (milza a 4 cm). Riferita vaga dolorabilità addominale, febbre saltuaria, tosse e positività della sierologia per Mycoplasma pneumoniae, per cui ha effettuato terapia antibiotica. All’ingresso in reparto buone condizioni cliniche generali, non dolorabilità addominale. Esame obiettivo: epatosplenomegalia. Anamnesi familiare positiva per trait talassemico. Emocromo: Hb 11, GR 4.580000, Hct 35%, MCV 76,4, Piastrine 119000 (ricontrollate 149000) GB 10470; formula leucocitaria: N 45%, L 48%, M 4%, E 1%, B 2%, SR: anisopoichilocitosi ++/-, rari dacriociti. Funzionalità epatica, renale, elettrolitica e coagulativa normali. Bilancio marziale normale, ferritina 156 , reticolociti 72000. Abbiamo indagato sulle varie cause che sottendono una splenomegalia, in particolare negativo lo screening infettivologico (HBV-HCV-HIV, EBV DNA, CMV DNA, Sierodiagnosi, TORCH) ed immunologico (elettroforesi proteica, dosaggio Ig, autoanticorpi, complemento, IC), normali sottopopolazioni linfocitarie, sierologia per celiachia, VES e PCR. Abbiamo escluso anche emoglobinopatie e anemie emolitiche congenite che potessero giustificare una splenomegalia. Nel complesso non segni di ipersplenismo. Gli esami strumentali eseguiti (RX, ETG, TAC total-body) confermavano lieve epatomegalia e splenomegalia (diametro longitudinale 12 cm), assenza di altri reperti. Abbiamo infine eseguito una biopsia ossea e un aspirato midollare: punctio sicca, si aspira midollo osseo con emopoiesi normale e note di displasia eritroide: si notano alcune cellule istiocitarie con citoplasma schiumoso, spesso con aspetto lamellare, raramente in attività emofagocitica. Il quadro citologico era sospetto per possibile malattia d’accumulo, in primis malattia di Gaucher. La biopsia ossea evidenziava una cellularità del 70% in gran parte rappresentata da elementi istiocitari di grossa taglia con nucleo globoso, striature citoplasmatiche e fenotipo CD68KP1+, PGM1+, S-100 +/-, CD1a negativo, CD4 negativo. Il quadro è ben compatibile con il sospetto clinico di malattia di Gaucher. Abbiamo richiesto la valutazione della beta glucosidasi presso laboratorio di riferimento che ha confermato il sospetto ponendo diagnosi di Malattia di Gaucher. La Malattia di Gaucher, identificata per la prima volta nel 1882, è una patologia genetica rara da accumulo lisosomiale causata dalla riduzione/mancata produzione della glucocerebrosidasi, enzima coinvolto nel catabolismo dei glicosfingolipidi in zuccheri e grassi con conseguente accumulo del substrato, la glucosilceramide, nei lisosomi dei macrofagi che, cosi ingrossati (cellule di Gaucher), si accumulano in diversi organi, in particolare milza, fegato e midollo osseo, alterandone le normali funzioni. Trasmessa con carattere autosomico recessivo la patologia è estremamente variabile con pazienti che possono manifestare sintomi lievi fino a sviluppare condizioni incompatibili per la vita. Si può avere interessamento e sintomatologia addominale, digestiva, osteoarticolare, ematologica, neurologica, polmonare, cutanea, renale, metabolica con almeno tre fenotipi clinici: il tipo I (cronico, non neuropatico), il tipo II (acuto, neuropatico), il tipo III ( subacuto, neuropatico). La diagnosi precisa, spesso difficile quando la forma è paucisintomatica, è indispensabile per impostare un trattamento sostitutivo. E’ importante considerare la malattia di Gaucher tra le possibili cause di splenomegalia infantili anche in assenza di altri sintomi o segni clinici. 219 1 I - INTERCETTAZIONE PEGGIORAMENTO CLINICO NEL PAZIENTE PEDIATRICO Silvana Zacco (1), Laura Guido (1), Elena Musso (1), Michela Uras (1), Anna Maria Sattanino (1) (1) Struttura complessa Pediatria - Ospedale Maggiore di Chieri (TO), ASL TO5 Introduzione Le evidenze scientifiche indicano che il peggioramento delle condizioni dei pazienti ricoverati talvolta non è riconosciuto perché segni e sintomi vengono sottovalutati o perché non vengono messe in atto risposte in tempi sufficientemente rapidi. Materiali e Metodi La Regione Piemonte con la D.G.R. n. 5-9887 del 27/10/2008, definisce le linee guida per l’organizzazione dei sistemi di risposta alle emergenze intraospedaliere e demanda alle singole ASL l’attivazione di un piano specifico relativo al miglioramento della risposta alle emergenze e alla prevenzione di eventi critici. Il sistema “Met-Al” consente di riconoscere una situazione critica sulla base di criteri definiti e permette di attivare la risposta operativa all’emergenza. Purtroppo il sistema “Met-Al” non trova applicazione nell’emergenza/urgenza pediatrica per le caratteristiche peculiari dell’età. Tra gli infermieri della SC Pediatria Chieri (TO) si è costituito un gruppo che, formatosi sulla base del “Pediatric Alarm” sviluppato dall’O.I. Regina Margherita di Torino, ha elaborato un proprio sistema che permette di attivare un coerente piano di monitoraggio e l’eventuale catena dell’emergenza. I punti di forza del progetto sono: la preparazione specifica in ambito pediatrico, l’approccio multidisciplinare, l’utilizzo di strumenti di lavoro specifici come la scheda parametri appropriata e personalizzata ed il metodo algoritmico. ( vedi immagine) Il progetto è in fase di attuazione e prevede un corso di formazione specifico con accreditamento ecm, riservato al personale medico-infermieristico della S. C. di Pediatria di Chieri, con proposta di estenderlo a livello aziendale. Risultati Al termine della formazione tutto il personale della SC Pediatria parteciperà alla sperimentazione della scheda mediante l’applicazione del metodo sul campo. Discussione Le evidenti difficoltà di applicazione del Met-Al in ambito pediatrico hanno stimolato il gruppo infermieristico ad elaborare un progetto utilizzando la scheda di rilevazione parametri già presente nella cartella aziendale senza apportare cambiamenti radicali ma solo opportune modifiche per dare il senso del miglioramento della qualità assistenziale. Bibliografia D.P.R. n. 5-9887 del 27/10/2008; Pediatri Alarm, A.O. Città della salute e della scienza, Torino; Quaderno ARESS2/09 Emergenza Intraospedaliera: un progetto regionale di miglioramento del percorso clinico – organizzativo. 220 2 I - PREVENZIONE DELLE CADUTE IN AMBITO PEDIATRICO Laura Guido(1), Mara Frison (1), Silvia Di Lauro (1), Michela Marzolla (1), Anna Maria Sattanino(1) SC Pediatria e Neonatologia Chieri (TO), ASL TO5 Introduzione Il Ministero della Salute, tramite la raccomandazione n.13/2011, fornisce uno strumento per la prevenzione e la gestione delle cadute in ambito sanitario. Materiale e metodi Tale raccomandazione ha fornito agli operatori sanitari uno strumento per evitare o minimizzare il rischio di caduta del paziente. Nella nostra ASL si è quindi predisposto un protocollo per la prevenzione delle cadute. La pubblicazione del protocollo (nel cui gruppo di lavoro non figurano operatori dell’Area Pediatrica) ha suscitato perplessità, in quanto per bambini e neonati il rischio di caduta e la sua prevenzione presentano considerazioni, valutazioni e precauzioni molto peculiari, che nella stesura del protocollo non sono state incluse. Le S.C di Pediatria e Neonatologia di Chieri e Moncalieri dell’ASL TO5 hanno proposto di costituire un gruppo di lavoro ad hoc per elaborare una procedura "mirata" a bambini e neonati per integrare il protocollo aziendale attualmente limitato agli adulti. La gestione dell’evento caduta nel paziente pediatrico dovrebbe prevedere l’impiego di strumenti e scheda di reporting dell’evento specifici per l’età. Nel frattempo la SC Pediatria Chieri ha avviato i seguenti provvedimenti: Utilizzo della procedura infermieristica dell’anno 2007 (Rev. 2008 e 2012) per la corretta scelta del tipo di letto in base all’età del bambino. Cartellonistica nelle stanze di degenza e regolamento di reparto che richiamano alla responsabilità di chi presta assistenza Risultati Il gruppo aziendale sta lavorando per integrare la parte pediatrica nel protocollo già esistente;negli incontri del gruppo del lavoro si è pensato di elaborare anche un documento informativo/educativo per i genitori per prevenire le cadute sia in ospedale che a domicilio. Discussione Il confronto tra gli operatori ha evidenziato che il problema delle cadute è ampiamente trattato in ambito geriatrico; con questo lavoro vorremmo sensibilizzare l’ambiente sanitario dei Presidi Ospedalieri non dedicati specificamente all’infanzia alle necessità dell’area materno infantile. Bibliografia “Raccomandazione n°13, 2011 per la prevenzione e la gestione della caduta del paziente nelle strutture sanitarie” Ministero della salute DDR n° 45 27/01/2014 della Regione Piemonte Protocollo aziendale “Prevenzione e gestione delle cadute della persona assistita in ospedale” Asl To5. Protocollo SC Pediatria “L’assegnazione del posto letto al momento del ricovero, in base a età ed altezza del bambino”. www.infermieristicapediatrica.it 221 3 I - URGENZA PSICHIATRICA IN PEDIATRIA PROTOCOLLO D’INTERVENTO INFERMIERISTICO Maria Cristina Pappalardo1, Laura Longoni2 Simonetta Oriani2, Silvia Fiori3, Giuliana Trifirò4, Alberto Martelli1 1 UOC Pediatria. Ospedale di Garbagnate Milanese. Azienda ospedaliera G. Salvini 2 UONPIA. Azienda ospedaliera G. Salvini 3 SITRA. Area salute mentale. Azienda ospedaliera G. Salvini 4 UOC Pediatria. Ospedale di Rho. Azienda ospedaliera G. Salvini INTRODUZIONE Da alcuni anni l’assistenza pediatrica in P.S. è anche rivolta a ragazzi/e, dai 14 ai 18 anni, che possono giungere all’osservazione con patologia psichiatrica acuta. Purtroppo le UOC con letti di NPI in Lombardia sono solo tre e pertanto il frequente successivo ricovero in Pediatria genera numerose criticità, anche in ambito infermieristico, di difficile soluzione. METODI i Seguendo esperienze analoghe in altri Paesi , in accordo con Regione Lombardia, è stato realizzato un progetto innovativo attraverso cui sono state messe a disposizioni risorse che hanno consentito di comporre un team di operatori costituito da un medico con specialità in NPI, due psicologi, un terapista della riabilitazione psichiatrica e un’assistente sociale. Le UOC di Pediatria della nostra Azienda coinvolte in questo progetto sono state quella di Garbagnate Milanese e quella di Rho. E’ stato realizzato un piano formativo, per il personale infermieristico, che ha previsto l’utilizzo di lezioni tradizionali e di supporti realizzati con video mirati agli aspetti principali d’intervento. E’ stato stilato un protocollo condiviso che ha previsto l’attivazione di questo team ogni volta che il Pediatra di guardia, intercetta, in P.S., un caso con urgenza psichiatrica acuta. Il progetto è attivo dal 1.2.2012 fino ad oggi ma la nostra osservazione è mirata a tutto l’anno 2013. RISULTATI Nel 2013, nelle due UOC di Pediatria, sono stati ricoverati n° 21 pazienti con età media di 15,4 anni (range da 11 a 18 anni). Le diagnosi principali di ricovero sono state: disturbi d’ansia, della personalità, della condotta alimentare e del comportamento. La media delle giornate di ricovero è stata di 10,2 giorni. Dei 21 pazienti ricoverati il 71% era di sesso femminile. Sono state anche effettuati N° 9 osservazioni breve intensive (OBI) per pazienti con età media di 15,5 anni (range da 11 a 18 anni), per il 78% di sesso femminile. DISCUSSIONE La nostra esperienza ha permesso di migliorare la gestione infermieristica del ragazzo/a che giunge in P.S. con urgenza psichiatrica acuta e viene successivamente ricoverato nel reparto di Pediatria. In particolare i vantaggi riscontrati sono stati: - inizio di un percorso diagnostico-terapeutico per l’evento psichiatrico acuto già nei giorni di ricovero in Pediatria; la possibilità di concordare, con la struttura afferente nei casi di successivo trasferimento in NPI, un intervento condiviso per una migliore gestione del caso, anche da un punto di vista infermieristico; la presa in carico da parte di operatori sanitari che, non rispondendo a turnazioni, hanno garantito la continuità nell’assistenza; una valida collaborazione con il personale infermieristico della Pediatria che ha avuto modo di iniziare un percorso di crescita nelle competenze professionali nella gestione di ragazzi/e in acuzia psichiatrica; lo stesso team di operatori prende in carico il ragazzo/a nella fase del post-ricovero garantendo ii continuità assistenziale e determinando un considerevole risparmio di risorse . Nella speranza e nell’attesa che vengano istituite nuove UOC di NPI con posti letto per ricovero ospedaliero, auspichiamo che altre esperienze, analoghe alla nostra, possano incrementare la casistica osservata per poter meglio verificare l’efficacia di tale intervento. BIBLIOGRAFIA 1 Adkins-Bley K, et al. Stop the escalation before it begins by using the pediatric Behavior Response Team protocol. J Healthc Risk Manag. 2012;32:30-3. 1 Hamm MP,et al. A systematic review of crisis interventions used in the emergency department: recommendations for pediatric care and research. Pediatr Emerg Care. 2010;26:952-62. 222 4 I - MONITORAGGIO WEB DI PAZIENTI AFFETTI DA PATOLOGIE COMPLESSE RESIDENTI IN STRUTTURA DEDICATA: CASA DI GABRI. G. Bortolami1, St. Besseghini1, S. Besseghini2, F. Meroni1, M. Colonna3, A. Selicorni4 3 1 Infermiere presso Casa di Gabri, 2 Responsabile coop. Agorà 97, Challeng engineering s.r.l. Como, 4 Clinica Pediatrica Fondazione MBBM, H S.Gerado Monza. Casa di Gabri è una comunità socio-sanitaria accreditata con la Regione Lombardia a partire dal 2009. Sperimenta un modello di accoglienza intermedia tra casa e ospedale, si rivolge a bambini ad alta complessità assistenziale (sindromi, gravi sofferenze ipossico-ischemiche) e tecnologicamente dipendenti. Obiettivi principali sono l’accoglienza costante per impossibilità di domiciliazione, l’eventuale accompagnamento all’exitus, accompagnamento a domicilio o training per uso di device, periodi di ‘sollievo temporaneo’ alle famiglie. Nel corso di questi 4 anni sono stati ospitati 18 bambini di cui 4 attualmente residenti. Le diagnosi appartengono alle seguenti categorie: patologia sindromica/malformativa 8 pz (44,4%), sofferenze perinatali e prematurità 8 pz (44,4%), cardiopatie 2 (11,2%). 9 bambini sono di nazionalità italiana e 9 provenienti da famiglie di nazionalità straniera. 5 bambini (27,8%) sono stati accompagnati sino all’exitus, 9 (50%) sono stati invece affidati alle loro famiglie o a famiglie adottive, 4 (22,2%) sono attualmente residenti . Utilizzando il modello dei bisogni di assistenza secondo Marisa Cantarelli, prima teorica italiana di assistenza infermieristica, abbiamo identificato 11 aree di necessità per ogni paziente: i bambini ospitati mostrano in media la necessità di supporto per 7,4 bisogni (67,2%). La struttura è gestita da infermieri h24, medico e rianimatore a chiamata. Peculiarità è l’utilizzo di un particolare sito web per il monitoraggio delle condizioni dei piccoli pazienti e per la comunicazione tra infermieri e medici: la Telemedicina. La Telemedicina consente il ‘monitoraggio’ dei pazienti a distanza, in tempo reale (smartphone, tablet, pc...), permette un rapido recupero dello storico del bambino e delle osservazioni infermieristiche, garantisce una comunicazione più accurata con il personale infermieristico e consente una migliore comprensione della necessità di valutazione diretta. Le informazioni presenti nel sito sono disponibili per i medici del 112 di Como, quindi dati più dettagliati e immediati in caso di emergenza. È possibile la consulenza a distanza con specialisti tramite l’osservazione di foto e video in diretta o in differita. In caso di visite extra ospedaliera garantisce il recupero di informazioni e immagini. La Telemedicina è uno strumento integrativo, di supporto, chiaramente non sostitutivo dell’intervento medico diretto. Le prospettive che si pone riguardano ipotesi di sperimentazione e/o adattamento del software nella gestione domiciliare di bambini ‘complessi’ con coinvolgimento diretto anche dei genitori. 223 5 I - CARE DEL NEONATO Stefania Vrenna, Antonia Attinà, Serafina Barberio, Teresa Turrà, Natalina Corapi, Rita Fiorella Cortese, Daniela Tudisco, D. Prestinice, Giovanna Annunziato, Simona Mosca, Teresa Oliverio, M. Adamo, Ornella D’Oppido, Adriana Vizza, Antonella Lopez, Francesca Alessio, Daniela Passero, Maria Teresa Bennardi,*Sara Battaglia, *Francesca Balzano, *Maria Paola Mazza. Infermiere, *Puericultrice U.O.C. Pediatria Neonatologia T.I.N., Ospedale “S. Giovanni di Dio”, Crotone Introduzione: “Care” vuol dire prendersi cura del neonato riducendo al minimo gli effetti negativi legati al distacco innaturale dalla mamma. Oltre il 90% dei neonati richiede scarsa o nessuna assistenza, il restante 10% dei necessita, invece, di assistenza e aiuto per iniziare a respirare per cui è necessaria la presenza almeno di una persona in grado di avviare la rianimazione neonatale.Assistere il neonato significa offrirgli un supporto tecnico avanzato ed innovativo ed entrare nel suo mondo, comprenderlo, rispettarlo, accompagnarlo verso la maturazione, consapevoli di operare su un soggetto in divenire che, giorno dopo giorno, si organizza e cresce a livello psico-relazionale oltre che fisico. Un significativo contributo alla comprensione e conoscenza del neonato lo hanno dato, negli anni ’60, il Dr. Brazelton, pediatra americano, con la sua scala di valutazione del comportamento neonatale e, successivamente nell’82, la dott.ssa Heidi Als, neuropsicologa, che elaborò la teoria sinactiva che conferisce una vera “dignita” al neonato fino ad allora considerato un “contenitore passivo di stimoli esterni”. Tale opinione era determinata dalla convinzione che il neonato possedesse terminazioni nocicettive ancora immature. Oggi, invece, sappiamo che, i neonati non solo percepiscono dolore, ma anzi lo avvertono in modo più intenso rispetto ai bambini più grandi. La psicologa americana Heidelise Als ha dimostrato che le varie aree cerebrali del neonato che riceve un’assistenza “coccolata” sviluppano meglio rispetto ad un’assistenza effettuata con i metodi tradizionali. Nasce così la necessità di individualizzare l’assistenza, integrandola di umanizzazione per garantire il rispetto della dignità del neonato restituendogli “il diritto alla miglior qualità di vita possibile”. Obiettivi: Pianificare percorsi assistenziali individualizzati in base alla tipologia di nascita ed alle problematiche legate ad essa. Assistere il neonato minimizzando i traumi ed accompagnando, nelle fasi successive del primo mese di vita, i genitori facendogli vivere così l’esperienza di vita familiare serena e consapevole. ASSISTENZA GLOBALE E CONDIVISA: Tutto inizia nell’ambiente sala parto caratterizzato da un’atmosfera silenziosa, confortevole ed intima, con luci soffuse ed adeguata temperatura in relazione ai bisogni della partoriente. E’ fondamentale la presenza di un parente e auspicabile avere una musica di sottofondo scelta della donna. Unico fragore sarà quello del neonato che con il pianto annuncerà la sua nascita. E’ quello il momento del miracolo della vita che, tutti gli operatori presenti, avranno come unico obiettivo: rispettare l’evento e l’unicità mamma-bambino iniziando con lo skin to skin, durante il quale il contatto fisico mamma-neonato avvierà la produzione dei feromoni, “gli ormoni dell’amore”, prima primordiale forma di intensa comunicazione. Altro momento importante è il taglio del cordone, praticarlo rapidamente provocherebbe un forte dolore al neonato al pari di un’amputazione, inoltre, alcuni ricercatori hanno calcolato che dopo un minuto dalla nascita al bambino arrivano dal cordone circa 80 ml di sangue e dopo tre minuti circa 100 ml, basterebbe quindi contare fino a 60....! Le manovre successive assistenziali sull’isola neonatale prima ed in reparto poi, dovranno essere ispirati dalla delicatezza e dolcezza ed accompagnati da voci e gesti dolci. Carezze prima, durante e dopo le manovre caratterizzeranno un’assistenza coccolata che determinerà più tranquillità con conseguente minore incidenza di pianto ed irritabilità rispettando il ritmo sonno-veglia del neonato stesso. Se le manovre non sono tollerate (segni comportamentali di stress / alterazione dei parametri vitali) sarà necessario offrire intervalli di riposo (care posturale, contenimento cutaneo, holding e wrapping, handling, gentle handling e minimal handling, esperienze sensoriali –tattili). Importante la regolazione della temperatura ed umidita’ dell’ambiente e dell’incubatrice che devono risultare adeguate ai bisogni del neonato. Queste metodiche si basano su riconosciuti concetti neuro-fisiologici: il cervello del neonato filtra gli stimoli periferici, sarà quindi utile stimolare dolcemente i sensi del neonato riducendo invece lo stimolo doloroso delle procedure assistenziali. Il bambino alla nascita deve continuare a restare un unico essere con la madre, come durante la gravidanza. Infatti si parla di gravidanza di 18 mesi: 9 dentro e 9 fuori. La cura del neonato deve tener presente che egli è parte di una famiglia (diade /triade). Nell’ottica del “family centered intervention” è fondamentale prendersi cura immediata della famiglia curandone l’accoglienza in reparto. La mamma, durante l’esperienza della maternità, piena di dubbi e paure, dovrà essere accompagnata e istruita sull’allattamento, l’accudimento del neonato, etc. CONCLUSIONI: Il bambino alla nascita appartiene ancora al mondo dal quale proviene, per cui lo si deve aiutare ad entrare dolcemente nel mondo della materia. La care del neonato è un dovere assistenziale dell’operatore sanitario che ha la responsabilità dello sviluppo psico-neurologico non solo del neonato ma di tutta la famiglia. La sinergia, la collaborazione ed il confronto sulle nuove procedure assistenziali con tutte le figure professionali che lavorano intorno alla mamma ed al nascituro (professionisti del reparto di Ostetricia e della Sala parto) saranno fondamentali per conferire coerenza e credibilità a tutti gli atti assistenziali ma, soprattutto, riuscendo ad istruire in modo efficace la nuova famiglia nascente. 224 6 I - IL LATTE MATERNO FORMULA DIVINA PER IL CUCCIOLO DELL’UOMO TRA MITO, STORIA E SCIENZA Vincenzo Antonio Poerio - Antonia Attinà* - Maria Pia Adamo* - Francesca Alessio* - Giovanna Annunziato* - Francesca Balzano** - Serafina Barberio* - Sara Battaglia** - Maria Teresa Bennardi* - Teresa Cannatelli* - Francesca Cerrelli* – Daniela Clausi* - Natalina Corapi* - Rita Fiorella Cortese* - Maria D’Agostino* Pietro Del Libano* - Ornella D’Oppido* - Ivana Gualtieri* - Antonella Lopez* - Maria Paola Mazza** - Teresa Oliverio* - Daniela Passero* - Donatella Prestinice* - Giuseppina Ribecco* - Costanza Rugna* - Teresa Turrà* - Adriana Vizza* - Stefania Vrenna*- Francesco Paravati Infermieri*, Puericultrici** U.O.C. Pediatria Neonatologia T.I.N., Ospedale San Giovanni di Dio, Crotone “Egli mise in braccio alla sposa il figlio suo; ed ella lo strinse al seno odoroso, sorridendo fra il pianto; s’intenerì lo sposo a guardarla, l’accarezzò con la mano”. In questi versi dell’Iliade di Omero che celebrano l’addio tra Ettore e Andromaca sulle Porte Scee di Troia risiede il gesto poetico primigenio dell’allattamento del cucciolo dell’uomo. Prima della scienza, prima della religione c’è il mito greco col suo splendore fantastico a spiegare l’origine della cose e degli uomini, gli usi, i costumi e le leggi, l’origine della Medicina. Se volgiamo lo sguardo indietro nel tempo, nel corso dei secoli, la superiorità dell’allattamento materno, riconosciuta da tutti i popoli antichi e moderni, è stata ora decantata nei poemi, ora registrata nelle storie, ora consacrata nei riti religiosi, ora sancita nei codici, sempre e dovunque elogiata, sostenuta e difesa da ogni classe di scrittori sacri e profani. Nella preistoria l’allattamento al seno era l’unico modo conosciuto presso il genere umano di alimentare i figli. Da quando Lucy, il più antico fossile umano scoperto, camminava accompagnata da altri ominidi in una piccola valle del triangolo di Afar (Hadar, Etiopia) sono trascorsi tre milioni e mezzo di anni. La vita sociale e le abitudini di Lucy ci sono completamente sconosciute ma di una cosa possiamo essere assolutamente sicuri: per i suoi figli nel primo anno e probabilmente anche nel secondo anno di vita l’alimento base era il latte che le sue mammelle erano capaci di fornire. Le narrazioni mitologiche sono assai ricche di riferimenti all’allattamento al seno materno. Allorché la divina Era si accorse che il lattante attaccato al suo seno era Eracle, nato da uno dei tanti amori adulterini del suo sposo Zeus con la bella ninfa Alcmena, lo allontanò da sé con rabbia. Ma il latte continuò a sgorgarle dal seno lasciando una striscia bianca nell’universo. Da qui l’immaginosa e suggestiva genesi della Via Lattea. Omero in Ecuba che allatta Ettore, in Euriclea che allatta Ulisse, in Penelope che allatta Telemaco, in Era che allatta Efesto, in Andromaca che allatta Astianatte e in Afrodite che allatta Eros, fa nei suoi versi immortali l’apoteosi del latte materno. La Bibbia sublimizza l’allattamento in Maria che allatta Gesù, nella moglie di Abramo, Sara, che allatta Isacco e in Rebecca che allatta Giacobbe. Presso i Lacèdemoni allattare il proprio figlio era un obbligo imposto dalle leggi di Licurgo e presso gli Ateniesi, secondo Demostene, era tacciata di infamia la donna che allattava il figlio di un’altra donna. Nell’Età Imperiale Romana alle intrepide donne Sabine che si gettavano sui campi di battaglia col piccolo attaccato al seno, si sostituiscono le languide matrone imperiali che non si sognano nemmeno di nutrire col proprio latte il “Puer”. A tal proposito Giulio Cesare è furibondo tanto che sbotta: “Le donne romane non hanno più dunque come un tempo dei bambini da allattare e portare in braccio? Io vedo ovunque solo cani e scimmie”. Scemato di pregio con la corruzione e la decadenza dell’Impero Romano, l’allattamento al seno torna in auge col Cristianesimo e vi si mantiene fino al XVIII secolo. Nel Medioevo anche l’allattamento si impregna della nuova cultura cristiana. San Tommaso elabora una teoria tanto interessante quanto fantasiosa sulla formazione del latte: dal momento che il ricco alimento prodotto dal seno nutre il lattante così come il sangue lo ha nutrito nei “recessi segreti” del ventre materno, il latte non è che sangue che ha subito una forte cottura e che poi ha preso un’altra strada sbiancando all’aria. Tra il XII il XV secolo tornano in auge le balie soprattutto nelle famiglie agiate di ambiente urbano. I moralisti come il celebre Savonarola si scagliano con violenza contro questa moda. L’allattamento baliatico era molto diffuso presso la Corte di Francia. Pare che il solo Re allattato dalla madre sia stato Luigi IX detto il Santo. Alla Nursery Reale, comunque, era difficilissimo accedere. La selezione del personale era piuttosto severa come si intuisce dal profilo della “Ideale Regal Balia” tramandatoci da Alfonso Le Roy: età dai 29 ai 30 anni, temperamento sanguigno, capelli neri o castano scuro, pelle bianca, costituzione forte e robusta, grassa e di buono appetito ma di bocca buona, gaia e sempre pronta al riso e allo scherzo, alito, pelle e piedi ben olezzanti, denti sani. E un seno all’altezza della situazione, soprattutto bella e piena di buon latte. Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’’800 l’allattamento al seno torna ancora una volta in auge sia per i ragionevoli moniti di una cultura più attenta all’infanzia, sia per gli sforzi della letteratura del tempo tesi a rappresentare l’immagine della donna nella rassicurante versione borghese di “angelo del focolare”. Nel 1874 l’Assemblea Nazionale Francese votò una legge per la promozione dell’allattamento al seno materno il cui relatore fu il grande Jean Jacques Rousseau. Con la Rivoluzione Industriale, agli albori del XX secolo, si riduce drasticamente la percentuale di bambini allevati al seno e ancor più si accorcia la durata dell’allattamento materno. Sulla falsariga di questo percorso intrecciato di mitologia, leggenda e storia nasce spontaneo l’interrogativo riguardo la modernità del latte materno nel Terzo Millennio. Attualmente si conoscono più di duecento componenti contenuti nel latte di mamma e altri ne vengono individuati continuamente. Recente è la scoperta di acidi grassi in seno alla sua formula che favoriscono la crescita del cervello e della retina con riflessi favorevoli sull’aumento dello sviluppo cognitivo e della vista del bambino. Il latte materno è un alimento specie-specifico, della specie umana per il cucciolo dell’uomo, rispondente alle sue esigenze biologiche e psicologiche secondo i dettami delle leggi della natura e delle teorie evoluzionistiche. Solo nella specie umana, durante l’allattamento, mamma e bambino si guardano negli occhi costituendo la “mirabile diade” madre-bambino rappresentata nei secoli in versi sublimi e nella iconografia impeccabile e divina delle Madonne del Latte. L’allattamento al seno materno, quindi, è un atto 225 d’amore che sconfina nella spiritualità e il latte materno una “formula biologica” che anche nel Terzo Millennio affascina per la sua perfezione. Una “formula divina” intesa come progetto inimitabile, insostituibile, insuperabile la cui composizione è virtualmente impossibile da replicare dal pur grande genio dell’uomo. Pochi eventi della storia umana hanno un fascino paragonabile agli eterni sforzi dell’uomo di curare i pazienti, guarire i feriti, assistere i sofferenti. A tal riguardo le testimonianze delle conquiste dell’arte medica sono, nel loro insieme, di una ricchezza davvero stupefacente. In questo ambito il latte materno con l’insieme delle sue peculiarità, come una navicella, ha attraversato indenne i mari tempestosi della vicenda umana. Questo coacervo di pensieri ci incita a proseguire nella promozione dell’allattamento al seno materno e nello studio della sua formula alla ricerca di altri componenti sconosciuti in seno alla sua fantastica costellazione. Bibliografia 1) A. Morelli, Dei e Miti - Fratelli Melita Editori, La Spezia 1987 2) A. Baricco, Omero, Iliade - Feltrinelli, Milano 2004 3) K. Kèrenyi, Gli Dei e gli Eroi della Grecia - Il Saggiatore S.p.A., Milano 2002 4) B. Strauss, La Guerra di Troia - Editori Laterza, Roma-Bari 2007 5) G. Bartolozzi Pediatria, Principi e Pratica Clinica - Edizioni Edra Masson, Milano 2013 226 INDICE DEGLI AUTORI 227 Adamo M. (223) Adamo M.P. (224) Addis C. (2, 170) Agosti M. (53) Airoldi M. (171, 190) Alessio F. (223, 224) Annunziato G. (223, 224) Antonucci L. (57) Antonucci R. (57) Arcamone G. (214) Attinà A. (223-224) Bagalà S. (182) Bagnati M. (197) Balzano F. (223-224) Banti P. (194) Barbaglio A. (138) Barberio S. (223, 224) Baronio M. (211) Basile V. (119, 210) Battaglia S. (223-224) Beccaria L. (2, 172, 178) Belcastro A. (83, 174, 181) Bellomo G. (196) Belvisi M.G. (100) Bennardi M.T. (223, 224) Bertamino M. (16) Bertelli L. (31) Berti L. (194) Besseghini S. (222) Besseghini St. (222) Biondi A. (217) Birring S.S. (108) Bisceglia M. (83, 173, 174, 181) Bolognini S. (171) Bona G. (196, 197, 198, 199) Bonati M. (171) Bondì V. (138) Boner A.L. (209) Borghesi A. (149) Bortolami G. (222) Bosoni M. (206, 207) Bovo G. (217) Buffa P. (202) Cadario F. (197) Calabrese C. (218) Caloiero M. (191) Calzi P. (206) Caminiti L. (42) Cannatelli T. (224) Cardinale F. (212) Carlino E. (79) Casagranda S. (92) Cassisi A. (138) Castagno M. (196) Cattalini M. (153, 211, 215) Cavallero A. (217) Cavani M. (194) Cazzato S. (31) Cena T. (197) Cerchiaro A. (191) Cerrelli F. (224) Chang A.B. (76, 113) Chiarello C. (208) Chiarello P. (83, 173, 182, 208) Chiarenza S.F. (201) Chierici V. (198, 199) Ciervo A. (217) Ciliberti A. (218) Cirillo D. (206) Cirisano A. (83, 174, 181, 182, 208) Clausi D. (224) Clavenna A. (171) Codazzi F. (187) Codecà C. (185) Cogliardi A. (172) Colombo S. (196, 199) Colonna M. (222) Comberiati P. (209) Comes P. (210) Corapi N. (223, 224) Corso R. (217) Cortese R.F. (223, 224) Cortinovis F. (171, 187) Cretella M. (208) Crisafulli G. (42) Crugliano C. (173, 181) Cutrera R. (35) D’Adda A. (217) D’Agostino M. (224) D’Agostino P. (168) D’angelo G. (218) D’Oppido O. (223, 224) Daleno C. (216) Daniele R.M. (213, 214) De Castro G. (176) De Leonardis F. (213) De Santis R. (218) De Vittori V. (176) Debbia C. (202) Del Libano P. (224) Del Vecchio A. (207) Del Vecchio G.C. (85) Dellora C. (196) Di Biase A.R. (186) Di Coste A. (176) Di Lauro S. (220) Di Mauro A. (210) Di Palmo E. (31) Di Pietro P. (202) Dicpinigaitis P.V. (104) Domenici R. (193, 194) Donatoni S. (209) Dozza A. (189) Drera B. (72) Duse M. (176) El Hachem M. (81) Esposito S. (198) Esposito Su. (154, 185, 216) Everard M.L. (110) Falcone M.P. (218) Falsaperla R. (182) Favia G. (213) Ferrari G. (217) Figini C.C. (188) Fiocchi A. (36) Fiori S. (221) Foresti S. (217) Frandina G. (174, 181, 182, 208) Frison M. (220) Garbarino F. (188) 228 Gargantini G. (156, 206) Garini L. (170) Gerloni V. (9) Ghezzi M. (175) Ghirardelli S. (211) Ghitti C.A. (171, 187, 190) Giardelli A. (172) Giordano U. (180) Giudice G. (213) Gorio C. (211, 215) Grandin A. (195) Grasso M. (177, 183) Grigollo B. (196) Gualtieri I. (224) Guardamagna O. (133) Guarino A. (207) Guerra A. (189) Guido L. (219, 220) Ierardi V. (216) Indinnimeo L. (176) Iughetti L. (179, 186, 189, 200) Jankovic M. (21) Kantar A. (203, 204, 205) Koronoca R. (213) Ladogana S. (218) Lambiase C. (176) Lancella L. (195) Lazzaro N. (83, 173, 182) Lecce F. (204) Lelii M. (185) Lenci M. (194) Li Destri M. (171) Lofù I. (210) Longhi B. (185) Longhi R. (207) Longo R. (190) Longoni L. (221) Lopez A. (223, 224) Lotti F. (218) Lougaris V. (211) Lovati C. (205) Maggi P. (178) Maggio A. (218) Magnani C. (197) Mancini F. (217) Mangili G. (44) Mannarino S. (26) Manzionna M. (119, 210) Marchili M.R. (180) Marchisio P. (89) Marolda A. (198, 199) Martelli A. (221) Martignoni L. (179, 186, 189, 200) Maruzzi M. (218) Marzolla M. (220) Mastrototaro M.F. (212) Mazza M.P. (223, 224) Meini A. (211, 215) Melzi M.L. (217) Memeo A. (147) Mercuri M. (176) Merico G. (180) Meroni F. (222) Messeri A. (78) Messina D. (203, 205) Mesuraca L. (83, 173, 181, 182) Miglionico L. (218) Minarini A. (167) Minasi D. (4) Minghetti D. (44) Miraglia del Giudice M. (88) Monaco P. (118) Montrasio G. (188) Moratto D. (211) Morice A.H. (102) Mosca S. (223) Muggeo P. (214) Musso E. (219) Napoli A. (178) Negro M. (171) Nosetti L. (34) Novielli C. (214) Nucci P. (145) Odoni M. (203, 205) Oliverio T. (223, 224) Oriani S. (221) Ortisi M.T. (207) Ottonello D. (192) Pacati I. (171) Pagani A. (198, 199) Pagliardini S. (197) Pajno G.B. (42) Pamparana S. (197) Panigada S. (175) Pansini V. (180) Panuccio E. (147) Panzeri D. (170) Papini C. (194) Pappalardo M.C. (221) Paravati F. (83, 173, 174, 181, 182, 208, 224) Parisi G. (177, 183) Parola L. (160, 206, 207) Passero D. (223, 224) Patria M.F. (185) Pelucchi C. (185, 216) Perduca A.G. (206) Perillo T. (213, 214) Peroni D.G. (209) Petralia P. (202) Pettoello-Mantovani M. (218) Peves Rios W. (216) Pianon G. (203) Piazza M. (209) Piccotti E. (124, 202) Pietrangiolillo Z. (179, 186, 189, 200) Pinotti M.A. (171, 187, 190) Pirola I. (187) Pitea M. (188) Pitidis A. (202) Pitrolo E. (4) Plebani A. (153, 211, 215) Poerio V.A. (83, 173, 174, 181, 224) Poggiani C. (72) Poli P. (211, 215) Pozzi E. (197, 198, 199) Pozzi M. (149) Predieri F. (179, 186, 189, 200) Prestinice D. (223, 224) Previtali S.C. (94) Principi N. (216) 229 Puccio A. (138) Pulice R. (191) Pulvirenti R. (190) Racchi E. (206, 207) Rana I. (180) Renna S. (16, 202) Repetto P. (200) Ribecco G. (224) Riva D. (98) Rolla R. (196) Rossi A. (190) Rossi G.A. (175) Rossi S. (190) Rosso C. (174, 182, 208) Rotondo E. (192) Rubino M. (190) Rugna C. (224) Ruocco J. (203) Ruscitti F. (138) Russo C. (195) Saccani M. (95) Sacco O. (175) Sadou Y. (64) Salerno T. (35) Santoro N. (85, 213, 214) Sattanino A.M. (219, 220) Saullo E. (191) Saullo F. (191) Savastio S. (197) Scala A. (216) Scalia F. (182) Scalini E. (210) Scarsi P. (202) Sciuto C. (170) Scognamiglio M.L. (190) Selicorni A. (92, 222) Silvestri M. (175) Sisia S. (208) Spada M. (56) Spano A. (199) Spirito A. (218) Spuri Vennarucci V. (195) Stronati M. (149) Tafuri S. (210) Tagliabue C. (185, 216) Tagliaferri B. (128) Tancredi G. (176) Tarissi de Jacobis I. (195) Terragni G.M. (192) Terranova L. (216) Testa M. (178) Tononcelli E. (215) Torre M. (139) Tozzi A.E. (195) Trifirò G. (221) Tudisco D. (223) Turrà T. (223, 224) Uras M. (219) Vaccaro A. (193, 194) Verduci E. (132) Veronelli E. (188) Vidali M. (197) Vierucci F. (193, 194) Villa M.C. (203, 205) Villani A. (180, 195) Vittucci A.C. (195) Vizza A. (223, 224) Vrenna S. (223, 224) Zacco S. (219) Zaffaroni M. (196, 197, 198, 199) Zagni G. (179, 186, 189, 200) Zicari A.M. (176) Zolpi E. (201)