ANNO XVII NUMERO 5 - PAG 4 IL FOGLIO QUOTIDIANO VENERDÌ 6 GENNAIO 2012 La Giornata L’anima tedesca non si rispecchia nello spirito della Merkel * * * In Italia PIAZZA AFFARI CHIUDE IN ROSSO E LO SPREAD SCHIZZA A 520 PUNTI. Il FtseMib ha perso il 3,65 per cento, mentre il differenziale tra Bund e Btp in chiusura ha segnato 520 punti. Unicredit è il titolo italiano più colpito: ha ceduto il 17 per cento. L’euro chiude in calo a 1,27 sul dollaro. Il presidente della Repubblica rassicura: “Il decreto approvato dal Parlamento è la prova di come l’Italia sia, anche dal punto di vista del debito pubblico, affidabile”. * * * “Siamo pronti a siglare un nuovo patto, ma l’articolo 18 non si discute”, ha dichiarato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, in un’intervista alla Repubblica all’indomani del faccia a faccia con il ministro del Lavoro, Elsa Fornero. La prossima settimana continueranno gli incontri con le parti sociali. * * * Sale il tasso di disoccupazione giovanile. A novembre è arrivato al 30,1 per cento, il livello più alto dal 2004. Secondo i dati dell’Istat, il tasso di disoccupazione complessivo è invece all’8,6 per cento, 0,4 punti percentuali in più rispetto al 2010, comunque al di sotto della media Ue. Il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni: “Bisogna puntare su un piano per l’occupazione giovanile”. * * * “La pazienza di Roma è finita”. Lo ha detto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, parlando del duplice omicidio avvenuto a Roma. “Ci sono belve criminali che devono essere fermate a tutti i costi”. L’ufficio stampa del Campidoglio ha comunicato il lutto cittadino per il giorno delle esequie. Il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri: “Lo stato è presente”. * * * Invito a comparire per Lassini e Di Capua. L’ex candidato del Pdl alle comunali di Milano e il responsabile della segreteria del coordinatore regionale Pdl sono indagati per la vicenda dei manifesti anti- pm comparsi a Milano lo scorso aprile. Nel mondo IN IRAQ, UNA SERIE DI ATTENTATI HA PROVOCATO ALMENO 72 MORTI in zone a prevalenza sciita. La strage più grave è stata a Nassiriya, dove un attentatore suicida ha causato la morte di 45 pellegrini sciiti. Altre esplosioni si sono verificate a Baghdad e Sadr City. Gli attacchi in Iraq sono aumentati dopo la partenza delle truppe americane e il mandato di cattura spiccato nei confronti del vicepresidente sunnita al Hashemi, accusato di terrorismo. In Bahrein, nuovi scontri tra manifestanti antigovernativi e forze di polizia sono avvenuti in diverse città. * * * I ribelli siriani aprono alla “no fly zone”. Il leader del Consiglio nazionale siriano, Ghalioun, ha chiesto alla comunità internazionale di imporre una “parziale no fly zone per proteggere rifugiati e disertori”. “Sono stati commessi alcuni errori nella missione degli osservatori in Siria, ma il loro compito non è quello di fermare le uccisioni”, ha detto l’emiro del Qatar. * * * Wulff non autorizza la divulgazione di un messaggio con cui avrebbe tentato di esercitare pressioni sulla Bild per evitare la pubblicazione di un articolo non gradito. Al direttore - Dice Edwige Fenech che quei film degli anni 70 erano molto umilianti. Se non allora, quando? Maurizio Crippa Al direttore - “Noi siamo un popolo dall’anima potentemente tragica, contrario alle cose prosaiche e consuete, e tutto il nostro amore va al destino, un destino pur che sia, magari la rovina che infiamma il cielo con la rossa vampa d’un crepuscolo degli Dei!”. E’ un passo del “Doctor Faustus” di Thomas Mann. Come osservava Cesare Garboli, a questa rappresentazione dell’anima tedesca – in termini insieme nibelungici e dionisiaci – deve molto la mitologia del teutonico che si è creata nel corso del tempo. Si pensi alla sordità come alla cecità di Angela Merkel e della destra bavarese di fronte alla crisi europea. Difficile vedervi la passione del sublime, l’idolatria del destino, le fiamme della catastrofe, il naufragio degli Dei. Facile leggervi, invece, una fredda e inflessibile difesa degli interessi nazionali della Germania, che non esprime nessuna fatalità e nessuna tragedia. Che cosa c’è, infatti, di più “prosaico e consueto”? Michele Magno Al direttore - Talvolta lo snobismo prelude a un inutile ricorso alla trivialità. Così sem- brava ieri leggendo sulla Repubblica l’articolo di Francesco Merlo da Cortina d’Ampezzo: anche perché poi, alla fine, tutto si risolveva in un pretestuoso e ingiusto attacco alla cinematografia dei fratelli Vanzina… Luigi Compagna tiacque storico della politica, che è divenuta ininfluente, inefficace e forse una remora allo sviluppo economico dei popoli. Alle prossime elezioni i partiti che sostengono Monti scompariranno. Luca Sorrentino Detesto il mito di Cortina più di Merlo. Solo le Maldive possono equipararsi. L’appello di Michel Rocard, che abbiamo cercato di rilanciare, di questo parla. Se si trovano i soldi allo 0,01 per cento a favore della salvezza bancaria, bisogna trovare quelli necessari all’arginamento dell’aggressione finanziaria ai bilanci degli stati. Quanto alla sconfitta della politica, è un lungo discorso che, per l’Italia laboratorio d’Europa, comincia dall’assassinio di Bettino Craxi. E non è casuale che la seconda puntata dell’orrendo thriller politologico l’abbia scritta un vecchio amico e sodale di Craxi (e nostro), Berlusconi. Al direttore - Perché non si può applicare agli stati quello che la Fed ha fatto con le banche? Perché gli stati possono fallire, e le banche no? Il sistema finanziario è il vero impero sovranazionale; se crolla è l’apocalisse, mentre se gli stati falliscono vengono incistati nella sorveglianza dei poteri dominanti e se sono periferici e politicamente irrilevanti come ora la Grecia e l’Italia possono essere abbandonati al loro destino. In Italia non si è avvertito che il governo Monti segna uno spar- Alta Società Indiani in Engadina. Il supermiliardario Lakshmi Mittal scia di giorno e festeggia di notte nella sua immensa villa. Con famiglia. Numerosa. Al direttore - Impeccabile, il suo editoriale “Campagna d’Ungheria” fotografa alla perfezione l’Europa delle tecnocrazie internazionaliste. Animate da un’oscura volontà livellatrice, si sono impegnate a costruire un’Europa burocratica, dove qualsiasi riferimento alla cultura, religione o anche solo sessualità degli individui fosse cancellato. Si è visto dove questa politica ci ha portato: alla sospensione delle democrazie, alla recessione economica e alla decrescita demografica. Federico Dezzani Al direttore - Non ho portato acqua sul sagrato del Duomo perché era lontano, ma porterò fiori bianchi al Giardino degli Angeli e accompagnerò con una preghiera queste creature mai nate, angeli senza un nome che finalmente riposano in questa Spoon river romana che li accoglie salvandoli dal rito inumano della discarica dei rifiuti ospedalieri. Sono anche il frutto e l’esito indesiderato di storie diverse fra loro, sono tutto e niente, e possono o dovrebbero provocare qualche rimorso. Questo giardino è un limbo indefinito, una declinazione del Cortile dei gentili, dove tutti possano incontrarsi, a prescindere dalle idee e dalle religioni. Io sono solo un cronista nemmeno laureato al quale la vita non ha concesso il privilegio di essere padre e voglio dirle grazie, per quel che può servire. Ho visto tanto verde, il colore liturgico della speranza e delle ferie del tempo ecclesiale dopo l’Epifania, intorno a quel Giardino degli Angeli mai nati. “Il regno dei cieli appartiene a coloro che assomigliano a loro”, sta scritto nel Vangelo di Marco (10, 1316) a proposito dei piccoli. Forse anche di quelli mai nati. Gino Roca L’Agenda Monti per una “fase due” diplomatica non più a trazione tedesca L’ avvio del nuovo anno presenta l’occasione per un salto di qualità nei rapporti con l’Europa, attraPENNSYLVANIA AVENUE verso il quale riequilibrare strategicamente il rapporto del nostro paese con i partner comunitari e imprimere maggiore simmetria nelle prossime riforme dell’Eurozona. Il mese di gennaio coincide con una fitta agenda internazionale per il presidente del Consiglio che oggi incontra a Parigi il presidente francese Nicolas Sarkozy, mercoledì il cancelliere tedesco Angela Merkel a Berlino, e, nella terza settimana del mese, il premier britannico David Cameron e il presidente Barack Obama. Subito dopo, è prevista una nuova riunione dell’Eurogruppo in preparazione del summit europeo di fine mese e il vertice tripartito con Francia e Germania che si terrà per la prima volta a Roma a cavallo fra le due scadenze europee. A questi appuntamenti internazionali l’Italia si presenta in una posizione di relativa forza grazie al consolidamento fiscale già avviato e all’introduzione, a breve, di un nuovo pacchetto di provvedimenti che, come annunciato, dovrebbero affrontare l’annoso problema della crescita, confermando il percorso riformista del governo e delle forze parlamentari che lo sostengono. Vi è, nell’agenda dei prossimi incontri, un’insidia da schivare e, insieme, un’opportunità da cogliere. L’insidia è data dalle riforme che si stanno concordando in questi giorni a livello europeo che rischiano di collocare l’economia dell’Eurozona su una traiettoria stabilmente deflattiva, specialmente per quei suoi membri, come l’Italia, ad alto debito pubblico. Per esempio, l’Italia dovrebbe impegnarsi a una riduzione annua pari a un ventesimo del proprio debito in eccesso rispetto al 60 per cento del pil. Tradotto in cifre, l’impegno comporterebbe un onere di 40-50 miliardi di euro l’anno, almeno il doppio della correzione del saldo annuale di bilancio previsto dal decreto “salva Italia”. Oltre agli impegni scritti, la condizione pesantemente asimmetrica in cui i programmi di riforma sono stati concepiti agevola la tentazione tedesca di eserci- tare un’indebita pressione politica sull’Italia per un’ulteriore manovra correttiva, qualora il significativo deterioramento delle prospettive economiche per l’anno in corso non consentisse il raggiungimento dei saldi di bilancio concordati in sede europea. In assenza di una mutualizzazione del rischio della moneta unica ripartito in modo più equilibrato fra i paesi dell’Eurozona, l’euro comporterà una forbice crescente tra i costi di aggiustamento che le economie debitrici dovranno sostenere e i benefici che la moneta unica fornirà alle economie creditrici agevolandone la penetrazione delle esportazioni nelle altre regioni del mondo sospinte dalle economie di scala rese possibili dal mercato unico e da un tasso di cambio, per loro, particolarmente competitivo. Per riequilibrare la sua condizione di svantaggio nella ridefinizione delle regole dell’euro, l’opportunità per l’Italia consiste nell’allargare il suo raggio di azione consolidando il rapporto transatlantico da contrapporre strategicamente alla morsa franco-tedesca, facendo leva sulla crescente preoccupazione con cui la Casa Bianca vede l’orientamento acriticamente rigorista che si va materializzando sotto la sapiente regia di Berlino. Gli Stati Uniti, che esportano nel continente europeo circa un decimo dei propri prodotti e vantano un’esposizione finanziaria maggiore, hanno interesse ad assicurare il dinamismo in uno dei loro principali mercati così da ridimensionare, per quanto possibile, l’accresciuta dipendenza dagli umori di Pechino. Sino a poco tempo fa, tale preoccupazione era in parte frenata dalla consapevolezza, a Pennsylvania Avenue, che le economie europee, prima fra tutte l’Italia, non avessero avviato un percorso riformista sufficientemente credibile su cui incanalare un’azione di pressione politica per favorire un’evoluzione della posizione tedesca in senso più costruttivo. Per l’Italia, questo dovrebbe rappresentare l’obiettivo di una “fase due” nell’ambito di una ridefinizione, ormai non più rinviabile, dei rapporti con i partner europei e internazionali. Domenico Lombardi Senior Fellow della Brookings Institution Perché il Pd tosco-emiliano teme la libertà di bottega? Chiedere alle Coop Roma. Favorevoli a liberalizzare le farmacie e i benzinai, contrari, contrarissimi, a dare libertà ai negozianti perché possano scegliere autonomamente gli orari di apertura delle loro botteghe. Matteo Renzi osserva cauto ma sempre più perplesso le fluide evoluzioni di Enrico Rossi, cui vengono attribuite ambizioni nazionali da sinistra antibersaniana, e di Vasco Errani, entrambi suoi colleghi del Partito democratico, rispettivamente presidenti di Toscana e di Emilia Romagna. Al sindaco rottamatore di Firenze la battaglia dei governatori rossi contro le liberalizzazioni del commercio volute da Mario Monti – e già bandiera (strappata) del segretario Pier Luigi Bersani – appare come un documento straordinario sull’antropologia del Pd, partito che rischia di essere “dominato dalla quasità”, pensa il sindaco: quasi liberale, quasi moderno, quasi socialdemocratico. Così se la regione Toscana fa ricorso alla Consulta contro il governo (“non è il consumismo la risposta giusta alla crisi”, ha detto Rossi), e la maggior parte dei comuni toscani non sa ancora bene come muoversi, a Firenze invece Renzi applicherà subito la legge Monti, lui che aveva già garantito libertà di apertura dei negozi in città per il Primo maggio incorrendo nella censura di Susanna Camusso, segretario generale della Cgil. “Per il nostro paese le liberalizzazioni in tanti settori dell’economia non possono che essere un valore. Siamo il paese più arretrato in Europa, legato da corporazioni e gruppi di potere che continuano a crescere vivendo di rendita e impedendo l’accesso al mercato di nuovi compe- titori”, dice il vicesindaco renziano di Firenze Dario Nardella. Ma se Renzi ne fa una questione culturale e politica interna al Pd “liberale a intermittenza”, e con le sue mosse (intende anche ignorare la circolare regionale della Toscana che invita i comuni a rispettare le normative regionali e non le nuove regole nazionali) vuole rottamare riflessi da vecchia sinistra quasi bolscevica, c’è anche chi sospetta più prosaici interessi di potere dietro la durissima difesa dello status quo messa in campo dal Pd tosco-emiliano (e anche umbro) contro le liberalizzazioni. “Vogliono difendere il sistema delle Coop rosse”, dice Sergio Pizzolante, deputato romagnolo del Pdl, che aggiunge: “E’ lobbismo, assolutamente legittimo, ma è lobbismo. La questione è semplice: la legge Mon- ti riduce le prerogative degli enti locali nel rilasciare concessioni commerciali. E’ evidente che questo indebolisce il rapporto storico tra le Coop e i Ds che in Emilia Romagna e in Toscana sono un sistema integrato e a porte girevoli, si passa dal partito all’azienda e viceversa”. Secondo Pizzolante, “il complesso del provvedimento approvato dal governo tecnico attacca i monopoli, che nelle regioni governate da Rossi ed Errani sono ‘il’ monopolio Coop e crea invece competizione di mercato, non solo per l’orario di apertura libero ma anche perché avvia una deregulation sulle concessioni”. Conclusione: “Potranno arrivare altri grandi operatori a fare concorrenza alle Coop, e non dovranno presentarsi ai politici che governano province e regioni rosse con il cappello in mano”. * * * In Israele, Olmert è stato incriminato per corruzione nell’ambito di uno scandalo edilizio. L’ex premier è accusato di aver ricevuto tangenti. * * * “Ho tentato io di assassinare Saleh”, ha ammesso un alto ufficiale della Guardia presidenziale yemenita. Nell’attentato del 3 giugno in cui l’allora presidente Saleh rimase ferito, morirono 13 persone. * * * Ankara minaccia ritorsioni diplomatiche contro Parigi se il testo contro il negazionismo del genocidio armeno diventerà legge. * * * In Birmania, via libera al partito di Aung San Suu Kyi, che potrà presentarsi alle elezioni legislative suppletive del 1° aprile. INNAMORATO FISSO di Maurizio Milani La mia caserma è a Fossano (Cuneo). Il maresciallo ci aveva insegnato un messaggio cifrato: “Ragazzi, se anche tra 30 anni sentite al telegiornale ‘Il gallo cedrone canta male ma nemmeno tanto’, piantate lì tutto e correte alla vostra caserma: la Repubblica è in pericolo”. Il problema è che magari l’han già detto, ma io non sto tutto il giorno davanti alla tv. Per sicurezza domani vado a Fossano a controllare. Già che ci sono mi faccio dare 3 mimetiche, 2 anfibi e 4 buste di grappa cordiale. IL RIEMPITIVO di Pietrangelo Buttafuoco Approfitto sfacciatamente della rubrica per fare anch’io gli auguri di buon compleanno a Umberto Eco. Nel festeggiarlo, però, professore qual è, gli chiedo un’intervista, un incontro, insomma: una chiacchierata da mettere in pagina con tutto il comodo e quando ne avrà voglia. Lui è un autore Bompiani e non mi sono mai permesso di disturbarlo negli incontri della casa editrice. Non mi sembra proprio il caso di adire alle “vie comuni”, uso dunque questo spazio e magari gli rivolgo la prima domanda: perché non mi ha mai dato il permesso di mettere in scena, a teatro, “La misteriosa fiamma della regina Loana”, il romanzo pronto a essere spettacolo di rivista e varietà? Sociologa sviluppista spiega i virtuosi effetti dei negozi aperti in libertà Roma. Non mancano certo le reazioni sopra le righe alla liberalizzazione in corso degli orari dei negozi. C’è chi, come il governatore della Toscana, Enrico Rossi (Pd), ha tirato in ballo la chiesa, sostenendo che dovrebbe protestare per una sorta di attentato alla “nostra identità culturale”; e c’è qualche teorico della decrescita felice, come il sociologo Domenico De Masi, il quale ritiene che “il presupposto di partenza è sbagliato: produciamo di più per consumare di più. Per vivere meglio non è necessario lavorare incessantemente, occorre anche vivere bene”. Molti invocano poi lo spettro di un’Italia desertificata di piccole botteghe ed egemonizzata solo da grandi ipermercati. Maura Franchi, docente di Sociologia dei consumi all’Università degli studi di Parma, ha idee un po’ diverse. “Mi piacerebbe sgombrare il campo da un po’ di equivoci”, dice in una conversazione con il Foglio. “Innanzitutto io sono assolutamente contraria a una cultura dell’ipermercato, anzi più precisamente a una cultura solo dell’ipermercato, perché le nostre città non devono perdere i piccoli esercizi, i negozi di prossimità gestiti dalle famiglie. Essi costituiscono un elemento di sicurezza ma anche di vitalità delle città, oltretutto in un paese in cui l’età media è in aumento e la popolazione anziana non può certo andare a fare la spesa in macchina in grossi centri commerciali”. Però, attenzione a due elementi. “La liberalizzazione – aggiunge Franchi – potrebbe avere effetti positivi soprattutto sui piccoli esercizi. Alcuni di questi, e non solo nelle grandi città, hanno da tempo modificato i propri orari, per esempio abolendo la pausa pranzo, e questo ha dato risultati molto positivi. Gli esercizi famigliari, proprio in quanto tali, possono inoltre essere favoriti nell’applicare quella flessibilità di orari senza necessità di ricorrere ad assunzione di nuovo personale, cosa che invece potrebbe toccare alle grandi catene”. Ma occhio anche a non demonizzare la grande distribuzione: “Storicamente la diffusione dei supermercati ha portato a una diminuzione dei prezzi del 10-15 per cento, che dal punto di vista dei consumatori equivale a una tredicesima in più”. C’è chi sostiene che questa nuova flessibilità richiesta ai negozianti favorisca alcune cate- Libertà tra Catricalà e Pitruzzella (segue dalla prima pagina) Secondo una bozza della segnalazione che il Garante manderà al governo e alle Camere, Pitruzzella chiederà la separazione effettiva e più stringente del Bancoposta. Chissà se il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, creatore del Bancoposta quando era capo azienda di Poste, accoglierà il suggerimento. Gli addetti ai lavori hanno notato pochi giorni fa che Passera in Parlamento ha difeso il ruolo positivo del Bancoposta nell’allargare la competizione del settore creditizio, tra le critiche, passate e presenti, delle banche. Gli istituti di credito, a differenza di Poste o forse del Tesoro, di sicuro accoglieranno con favore i suggerimenti di Pitruzzella e dei commissari antitrust. Ma nella bozza delle proposte per la legge annuale per il mercato che ha in preparazione l’esecutivo, i commissari dell’authority si soffermano su settori sui quali il governo è già attivo: in particolare sull’ulteriore liberalizzazione dei servizi pubblici locali a discapito delle società in house di regioni ed enti locali. Incisivo, secondo una prima lettura, appare il capitolo in cui si auspica una revisione restrittiva delle tariffe per le concessionarie autostradali. Più sfumato, invece, il passaggio sulla rete del gas e degli stoccaggi che riguarda l’Eni capitanata da Paolo Scaroni. Michele Arnese twitter@Michele_Arnese gorie precise: banalmente, i cinesi. Ma anche qui siamo nell’equivoco: “Certo la concorrenza cinese c’è nel commercio come nella produzione, basti pensare che il 75 per cento dei regali dell’ultimo Natale sono stati prodotti, a livello mondiale, in Cina. E non c’è dubbio che in diverse città italiane la presenza cinese nel commercio sia forte. Ma è la globalizzazione, è giusto così e non possiamo farci niente, e anche nel commercio si vince puntando sulla qualità, non sulla quantità”. “I nostri tempi – sostiene Franchi – non sono più tempi collettivi, sociali, delle uscite dalle grandi fabbriche. Ormai viviamo su traiettorie mobili e molti di noi hanno ritmi di vita individuali, e l’idea di non essere vincolati da orari rigidi di acquisto rende la vita più facile. Anche non necessariamente per acquistare, perché passeggiare per una città italiana la sera o la domenica con i negozi aperti è comunque un’esperienza più piacevole, oltre che più sicura”. Ma i consumi come cambieranno? “Per quanto riguarda quelli primari come l’alimentare, si avrà una facilitazione ma non un cambiamento di segno. Diverso discorso per i consumi voluttuari e/o culturali, come libri o prodotti artigianali, o i cosiddetti consumi di impulso, che possono aumentare se associati a un’idea di premio, di vacanza, come potrebbe avvenire di domenica”. Già, eppure c’è chi condanna questa tendenza all’aumento dei consumi. Franchi non condivide, spiega che “già si andrà verso un periodo di diminuzione degli acquisti, a causa della crisi. La retorica della decrescita, predicata da studiosi come Serge Latouche, oltre che minoritaria, mi sembra ideologica. Semmai si tratta di consumare senza sprecare, di sostituire la qualità alla quantità, come già sta avvenendo, o di sostituire beni status symbol con consumi di tipo esperienziale”. A chi invoca addirittura la chiesa contro i negozi aperti 24 ore su 24 la studiosa risponde che è comprensibile che alcuni gruppi abbiano avversità contro il consumo, da una parte perché “il cattolicesimo guarda naturaliter all’ascesi, dall’altra parte perché certe culture politiche storicamente diffidano di esperienze individuali che non rientrino nel collettivismo, e i consumi sono una di queste”. (mmas) Lavoro fra Nerozzi e Camusso (segue dalla prima pagina) Quel che conta è che la proposta di Nerozzi è la trasposizione in forma di legge di una riforma ideata da due dei massimi esperti di economia del lavoro, Tito Boeri e Pietro Garibaldi. Il primo è oggi editorialista di Repubblica, il secondo è stato a lungo collega del ministro Fornero all’Istituto Carlo Alberto di Torino, e non è un mistero che proprio la responsabile del dicastero del Lavoro, nella sua precedente vita accademica, abbia apprezzato il loro modello contrattuale (anche più di quello avanzato da Ichino). Al ministero, che oggi è “in fase di ascolto” con le parti sociali, non c’è ancora una bozza dettagliata di riforma. Ma è indubbio che una delle strategie percor- se dal governo Monti possa essere quella, da sempre sostenuta anche da Nerozzi, di lavorare prima di tutto a una riforma degli ammortizzatori sociali. Né sono senza significato i riferimenti della Fornero all’introduzione di un “salario minimo garantito”, proposta oggi difficilmente realizzabile ma anch’essa contenuta nella proposta di legge Nerozzi. Poi, certo, arriverà il momento di toccare il tabù dell’articolo 18, ovvero la flessibilità in uscita (leggi: libertà di licenziare). A quel punto prevarrà la tesi di Nerozzi e Damiano (non si tocca l’articolo 18 dopo il terzo anno di contratto), o quella di Ichino (più radicale)? Forse, a quel punto, verrà fuori una “cosa nuova”. Marco Valerio Lo Prete Bombe finanziarie Non ci sono solo le sanzioni a svalutare la moneta iraniana: a marzo si vota senza “riformisti” (segue dalla prima pagina) Durante i sei anni e mezzo della presidenza di Mahmoud Ahmadinejad sono entrati nelle casse del Tesoro almeno 475 miliardi di dollari grazie al prezzo alto del greggio, che il governo vende alla Banca centrale in cambio di rial per tenere il valore della moneta nazionale a livelli dignitosi. La moneta straniera funziona essenzialmente da controvalore per il rial. Ora che l’Unione europea e gli Stati Uniti si sono accordati “in principio” su nuove, micidiali sanzioni che bloccano l’acquisto di petrolio, il fiume di moneta straniera in arrivo da fuori è destinato a diventare un rivolo insufficiente. Il governo dell’Iran sta anche accaparrando oro, in quantità molto superiori a quelle dichiarate al Fondo monetario internazionale, nel tentativo accelerato di diversificare le proprie riserve con qualcosa che non sia il dollaro americano. Negli ultimi dieci anni Teheran è stato uno dei compratori maggiori di lingotti sul mercato mondiale dopo Cina, Russia e India (paesi di dimensioni maggiori) e ora è una tra le prime venti riserve auree al mondo. Il governatore della Banca centrale Bahmani sostiene di avere abbastanza valuta straniera e oro da fare fronte a qualsiasi domanda interna per i prossimi 10 o anche 15 anni, ma non dice a quale ritmo di richieste e a quale prezzo. Alle condizioni attuali – dice Amir Naghshineh-Pour, analista iraniano dell’americana Vesta capital, un’agenzia di consulenza su moneta e settore energetico – “potrebbero consumarsi in un lampo se la gente perdesse di colpo la fiducia nel rial, come tutti gli indicatori segnalano con chiarezza”. Lo spread tra la valutazione ufficiale del cambio tra rial e dollaro e la valutazione fatta dai cambiavalute in strada – anche se ora è legalmente congelata – cresce e lambisce un governo che non ha contromisure a disposizione. I motivi della svalutazione arrivano da fuori, sono legati alle nuove sanzioni promesse dal presidente americano, Barack Obama, contro il programma nucleare e anche all’avvicinarsi delle elezioni parlamentari, il prossimo due marzo, da cui i partiti cosiddetti “riformisti” sono stati esclusi e in cui s’affrontano due schieramenti entrambi conservatori e che percepiscono l’inequivocabile montare del malumore popolare. Daniele Raineri twitter@DanieleRaineri Faccia da Fidesz Il partito social-liberale è diventato interprete del nazionalismo ungherese. La manovra di Orban (segue dalla prima pagina) “Il nostro è un programma di tipo social-liberale”, insisteva un anno dopo in un’altra intervista il trentenne Zoltán Rockenbauer: etnologo, figlio del maestro del documentario naturalista ungherese, e candidato, dopo che la Fidesz aveva deciso di presentarsi alle prime elezioni pluraliste del 24 marzo del 1990. “Diremo ben chiaro che ci opponiamo a tutti coloro che favoleggiano di una inesistente terza via tra capitalismo e socialismo. Noi pensiamo che l’Ungheria abbia davanti a sé una strada sola: quella dell’occidente”. Il riferimento polemico era rivolto al Forum democratico ungherese, accreditato di un’ideologia nazional-populista. Finì con 164 deputati al Forum, 92 ai Liberi democratici, 44 al partito precomunista dei Piccoli proprietari, 33 ex comunisti, 21 dc e 21 della Fidesz. Tra questi c’era anche l’allora ventisettenne Viktor Orban, che avrebbe però disertato il Parlamento per sei mesi per studiare a Oxford con una borsa di studio di George Soros. Dopo il ’94, il “fondatore” Hegedüs tornò alla politologia: i suoi studi più importanti sono quelli che spiegano come la Fidesz da partito di sinistra social-liberale libertario-libertino e ultra-occidentalista si sia trasformato in un movimento populista, nazional-religioso e euroscettico. La svolta è nel 1994. Con il Forum precipitato a 38 seggi e gli ex comunisti saliti a 209, i Liberi democratici ridimensionati a 69 ma sempre secondo partito decisero di fare una coalizione di governo proprio con gli ex comunisti, piuttosto che guidare l’opposizione. Quasi stabile, da 21 a 20 deputati, la Fidesz scelse di fare non solo un’opposizione aggressiva, ma anche di occupare lo spazio di destra lasciato libero da un Forum allo sbando. Lo stratega era Orban. Nel 1995 la Fidesz aggiunse al suo nome l’ulteriore definizione di Partito democratico civico. Nel 1998 vinse le elezioni, con Orban premier; tra il 2000 e il 2002, con Rockenbauer ministro della Cultura. Nel 2000 la Fidesz lasciò l’Internazionale liberale per il Partito popolare europeo. Nel 2002 e 2006 si confermò primo partito, ma fu messa all’opposizione da una coalizione tra ex comunisti e Liberi democratici. Dal 2010 ha la maggioranza assoluta. Hegedüs oggi scrive sui giornali occidentali editoriali in cui definisce il suo ex sodale Orban un pericolo per la democrazia. Orban si richiama a una terza via di quelle che il suo ministro Rockenbauer irrideva. Nella nuova e contestata Costituzione, Orban si è richiamato ai valori eterni della Corona di Santo Stefano, ma lui è calvinista. E la Fidesz ha mandato a Strasburgo Lívia Járóka: seconda rom a diventare membro del Parlamento europeo. Maurizio Stefanini