I Laboratori della luce
La diffrazione degli
elettroni
Scheda informativa
La diffrazione degli elettroni
La diffrazione delle onde
La diffrazione è un particolare fenomeno di interferenza che si verifica quando un'onda elettromagnetica
incontra nel suo percorso un ostacolo come ad esempio un foro circolare o rettangolare (fenditura), praticato
su uno schermo. L'interferenza è una sovrapposizione di onde emesse da due o più sorgenti coerenti (due
sorgenti si dicono coerenti se la differenza di fase tra le onde da loro emesse è in un qualsiasi punto
costante), mentre nella diffrazione questa interferenza è causata dall'ostacolo posto sul cammino delle onde:
infatti, nello spazio oltre l'ostacolo le onde si propagano lungo direzioni diverse da quella di incidenza e
hanno origine differenze di cammino che si sovrappongono in un dato punto. I fenomeni di interferenza che
così si originano generano le caratteristiche figure di diffrazione, come quella riportata in fig. 1. Qualsiasi
tipo di onda può fare interferenza e quindi produrre fenomeni di
diffrazione.
Cosa si osserva se invece di una semplice fenditura si utilizza un
reticolo di diffrazione? Un reticolo di diffrazione è uno schermo su cui
si sono praticate N fenditure parallele rettilinee e molto sottili,
ciascuna di larghezza a ed equispaziate di una distanza d. Un'onda che
incide normalmente su tale reticolo, genera una figura di diffrazione,
come quella schematizzata in fig. 2. In particolare, da questa figura di
diffrazione, caratterizzata da massimi o picchi di intensità, si può
risalire a informazioni geometriche sull'oggetto che l'ha generata, a
patto che le dimensioni che siamo interessati a misurare siano
Fig. 1: Diffrazione di un raggio laser
confrontabili con la lunghezza d'onda λ
attraverso una fenditura di forma
dell'onda utilizzata. Se infatti facessimo
quadrata.
incidere
dei
raggi
X
(onde
-9
elettromagnetiche con λ < 10 m) su un normale reticolo di diffrazione ottico,
dove d ≥ 10-6m, non potremmo osservare alcuna diffrazione.
Esistono tuttavia altri tipi di reticoli spaziali adatti a produrre la diffrazione dei
raggi X: si tratta dei reticoli cristallini, cioè di quelle strutture reticolari alla base
di tutti i cristalli e generate dalla disposizione periodica e regolare degli atomi al
loro interno. Le distanze atomiche tra i vari piani cristallini sono dell'ordine di
10-10m e sono quindi confrontabili con le lunghezze d'onda dei raggi X. Un'onda
di raggi X di lunghezza d'onda λ, che incide con un angolo θ su un insieme di
piani reticolari che si trovano a distanza d all'interno di un cristallo, genera una
specifica figura di diffrazione, i cui massimi rispettano la seguente legge,
chiamata legge di Bragg:
sin θ =
mλ
, m = 0, ±1, ±2, ±3, ...,
2d
Fig. 2: Schema di una figura di
diffrazione ottenuta da un reticolo
ottico. L'intensità del fascio
diffratto è in funzione della
distanza. Lo zero indica la
direzione del fascio incidente.
dove m è l'ordine del massimo che sto osservando (m = 0 è il picco centrale, m = 1 è il picco
immediatamente successivo e così via). Nota la figura di diffrazione, l'angolo θ di incidenza e la lunghezza
d'onda λ, la legge ci permette di calcolare la distanza d tra i piani cristallini in quella direzione.
Il primo ad eseguire esperimenti di questo tipo fu il fisico tedesco Max von Laue, che nel 1912 ottenne la
figura di diffrazione dei raggi X di un cristallo di solfuro di zinco, riportata in
fig. 3, nella quale ogni punto rappresenta una direzione lungo cui si ha un
massimo del fascio diffratto. In generale, infatti, in un cristallo esistono
diverse coppie di valori di θ e d per i quali è soddisfatta la legge di Bragg a
diversi ordini m. La figura di diffrazione così ottenuta è caratteristica di
quella struttura cristallina.
Fig. 3: Figura di diffrazione
ottenuta da von Laue
A partire dagli esperimenti di von Laue, la diffrazione di raggi X è stata
ampiamente sfruttata nella prima metà del 1900 per “vedere” strutture
atomiche di molti cristalli e successivamente anche per lo studio di strutture microscopiche di molecole
biologiche complesse, come il DNA. Se invece di un cristallo si utilizza una polvere contenente un gran
numero di microcristalli, la condizione di Bragg può essere soddisfatta contemporaneamente da un numero
anche molto elevato di famiglie di piani reticolari appartenenti a diversi microcristalli e, al posto di punti
discreti, la figura di diffrazione è caratterizzata da circonferenze concentriche (figura di diffrazione di
Debye-Scherrer, fig 4).
Comportamento ondulatorio della materia e diffrazione di elettroni
Nel 1924, il fisico francese Louis de Broglie, di fronte all'evidenza degli aspetti
corpuscolari della radiazione elettromagnetica, avanzò l'ipotesi che in natura vi
fosse una simmetria di comportamento tra radiazione e materia. Come ad
un'onda elettromagnetica di frequenza ν viene associata una particella di massa
nulla, il fotone, avente energia E = hν e quantità di moto p = hν/c, così de
Broglie propose di associare ad una particella di massa m e quantità di moto p
proprietà ondulatorie e in particolare una lunghezza d'onda λ e frequenza ν date
dalle seguenti relazioni:
λ =
h
,
p
ν =
E
,
h
−34
con h = 6.626⋅10
Fig. 4: Figura di diffrazione
di Debye-Scherrer
J⋅s (costante di Planck )
Per questo, ad un elettrone di massa m e carica e, accelerato da una differenza di potenziale (d.d.p.) V = 10 4V,
−10
è associata un'onda con
λ ( Å ) = 12.24 / √ V ( volt ) = 0.1224 Å = 0.1224 · 10 m . Poiché la
lunghezza d'onda ottenuta è dello stesso ordine di grandezza dei raggi X, le onde elettroniche dovrebbero
subire gli stessi effetti di questi ultimi, se attraversano un reticolo cristallino.
Questo è infatti quello che osservarono per la prima volta Clinton J. Davisson e Lester H. Germer nel 1927
nei laboratori Bells in New Jersey, facendo incidere un fascio di elettroni accelerato con d.d.p. comprese tra
40V e 68V, su un cristallo di nichel. Oltre il cristallo, un rivelatore di elettroni, che poteva essere ruotato per
osservare i fasci diffratti in diverse direzioni, permise ai due fisici di osservare picchi di intensità degli
elettroni emessi in corrispondenza di determinati angoli, ottenendo una figura di diffrazione simile a quella
di von Laue. Tali picchi potevano essere interpretati tramite la legge di Bragg per calcolare la spaziatura
reticolare del cristallo di nichel, arrivando a risultati analoghi a quelli della diffrazione di raggi X.
Nello stesso periodo G.P. Thomson ritrovò, usando una polvere cristallina, qualcosa di analogo alla figura di
Debye-Scherrer.
La prima importante conseguenza della diffrazione degli elettroni fu quindi la possibilità di superare il limite
ottico del potere risolutivo di un microscopio e permetterci di “vedere” strutture cristalline altrimenti
inaccessibili. Inoltre, la possibilità di osservare figure di diffrazione con fasci di elettroni confermò
definitivamente l'ipotesi del comportamento ondulatorio della materia, così come esperimenti precedenti
avevano dimostrato che le onde possono avere un comportamento corpuscolare, sotto opportune condizioni
(come, ad esempio, emerge dall'effetto Compton, osservato da A. Compton nel 1922 o dall'effetto
fotoelettrico, spiegato nel 1905 da A. Einstein). Infine, poiché le proprietà ondulatorie di una particella (come
ad esempio la diffrazione di elettroni) sono tanto più visibili quanto più la lunghezza d'onda ad essa associata
ha dimensioni confrontabili con l'oggetto che si usa nell'esperimento, si comprende facilmente perché non si
possono mettere in evidenza alla scala macroscopica.
Naturalmente a qualsiasi tipo di particella è possibile associare un'onda e perciò osservare la diffrazione da
essa prodotta. Ad esempio, la diffrazione di neutroni è stata largamente sfruttata per lo studio di strutture di
corpi solidi in generale.
L'esperimento della diffrazione degli elettroni presso i “Laboratori della Luce”
Nell'esperimento realizzato presso i “Laboratori della Luce” si osserva la figura di diffrazione ottenuta con
un fascio di elettroni incidente su una polvere di cristalli. La strumentazione utilizzata è schematizzata in
figura 5: è costituita essenzialmente da un generatore per il fascio elettronico e da una bolla di vetro, alla cui
base è posta la polvere cristallina e all'interno della quale è fatto il vuoto per evitare la dispersione dei fasci
diffratti. Inizialmente, un filamento riscaldato di tungsteno produce elettroni, che vengono collimati. Il fascio
elettronico così ottenuto viene accelerato, grazie al generatore di tensione, applicando una d.d.p. tra il
filamento e il collimatore, e va ad incidere normalmente sul bersaglio (polvere cristallina). Il fascio diffratto
ottenuto viene proiettato sul fondo della bolla di vetro, ricoperto
da una sostanza fluorescente che si illumina nei punti in cui è
colpita da elettroni. Se il fascio elettronico subisce diffrazione, su
tale schermo vedremo quindi la figura di diffrazione prodotta
dagli elettroni, simile a quella ottenuta da Thomson. Inoltre,
grazie ad una griglia conduttrice, posta dopo il fascio diffratto e
sulla quale è possibile applicare un potenziale più o meno intenso,
è possibile focalizzare meglio questa figura di diffrazione.
Naturalmente è necessario regolare il generatore ad un potenziale
dell'ordine di qualche volt per avere fasci elettronici di energia
sufficiente e con una lunghezza d'onda che sia confrontabile con
le distanze tra i piani cristallini.
Tuttavia anche quando il fascio ha un'intensità molto bassa, si
continua ad osservare diffrazione: ciò porta a concludere che essa
Fig 5: strumentazione per la diffrazione
sia dovuta all'interferenza dell'onda elettronica relativa ad ogni
di elettroni
singolo elettrone con sé stessa, invece che all'interferenza fra
elettroni diversi, come erroneamente si potrebbe pensare, dato che la lunghezza d'onda elettronica è molto
maggiore rispetto al raggio dell'elettrone (~ 10 -15m). Come può dunque l'onda caratteristica di ogni singolo
elettrone interessare una regione di spazio molto maggiore delle dimensioni dell'elettrone stesso? Questa
apparente incongruenza verrà risolta elegantemente dalla meccanica quantistica, formulata in termini
sistematici da Erwin Schrödinger e da W.K. Heisenberg nella seconda metà degli anni '20.
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