C ORRIERE
DELLA
S ERA U M ARTEDÌ
9
M AGGIO
Corriere Eventi
2006
LA
7
S TORIA
Tutti a casa di Scipione, il collezionista
La Galleria Borghese nasce dal «vizio» di un cardinale del Seicento
I
1527
Il sacco
Il 6 maggio l’esercito di Carlo
V conquista Roma.
I lanzichenecchi mettono fine
alle ambizioni di grandezza
di Giulio II e Leone X
che legarono il potere della
Chiesa alla ricostruzione
monumentale della città.
Il sogno papale si conclude
invece con la fuga degli
artisti: da Parmigianino
a Giulio Romano, da Rosso
Fiorentino a Michelangelo
l sogno di un uomo del Seicento, tanto
amante della vita e dell’arte da voler erigere alla sua passione un monumento, a metà strada tra una camera delle meraviglie e
un giardino delle delizie. La storia della Galleria
Borghese comincia da qui: siamo nei primi anni
del secolo barocco quando Scipione Borghese,
figlio di una delle famiglie più illustri di Roma,
cardinale, nipote di un papa e grande estimatore
delle arti decide di regalare alla sua straordinaria collezione di opere antiche e moderne una
cornice degna del suo valore.
«Conosciamo molto bene Scipione — spiega
Claudio Strinati, storico dell’arte e soprintendente del Polo museale romano — perché le fonti del tempo ce ne parlano diffusamente. È a lui
che dobbiamo il primo nucleo della collezione
che ammiriamo oggi e con lui ci troviamo di
fronte a un tipico caso di nepotismo. Suo zio,
papa Paolo V, lo aveva destinato all’attività politica e diplomatica ma lui preferì sempre i piaceri
della vita mondana e l’arte: una passione che in
pochi anni lo portò a mettere insieme una collezione ricchissima». Un personaggio eccezionale
ma anche un uomo del suo tempo: «Scipione —
continua Strinati — non è il primo né l’unico
collezionista nella Roma di quegli anni: segue
una linea di tendenza allora molto radicata. Già
nell’ultimo ventennio del Cinquecento l’interesse per le arti aveva avuto un’impennata, specialmente a Roma, dove il gusto per il collezionismo si era fatto strada già nel secolo precedente.
Erano soprattutto gli uomini di Chiesa a raccogliere e comprare vestigia dell’antichità: statue,
busti, monete, lapidi. In seguito si diffuse il gusto per la collezione "integrata", cioè mista di
pittura e scultura. Com’era quella di Scipione,
ricca di opere dell’antichità classica ma anche di
arte moderna, soprattutto di artisti suoi contemporanei». Per assecondare al meglio la sua passione il cardinale aveva assunto una doppia funzione di acquirente e mecenate che in pochi anni
lo portò a diventare il più importante collezionista del suo tempo: «Sceglieva gli artisti più quotati e aveva fiuto nel riconoscere il talento, come
nel caso di Bernini che prese sotto la sua ala ap-
IL BUSTO
E LA STATUA
In alto il Cardinale
Scipione Borghese
(1579-1633), il più
importante
collezionista della
sua epoca, che
acquistò molti
capolavori classici e
moderni. A sinistra,
il ritratto marmoreo
di Paolina Borghese
voluto dal marito
Camillo e realizzato
dal Canova
(1757-1822)
pena ventenne e trasformò nel grande artista
che sappiamo, commissionandogli opere come
l’Apollo e Dafne, ancora oggi conservate nella
Galleria». Un fiuto, quello di Scipione, che non
si limitava alle belle arti: «A quei tempi avere
una collezione era un fatto di mondanità, ti dava l’occasione di invitare viaggiatori illustri e
grandi personalità. Portava prestigio ma era anche un efficace strumento politico. Anche oggi i
grandi collezionisti sono sempre in contatto con
le persone che contano. Così era allora: tutti dovevano andare a casa di Scipione». E la sua non
era certo una casa qualunque: Villa Borghese,
una distesa di verde interrotta qua e là da esedre,
fontane, tempietti e, fiore all’occhiello, la palazzina che a tutt’oggi ospita la collezione. «Scipio-
Il principe Aldobrandini, erede di una grande famiglia di mecenati
ne fece costruire la villa per farne un luogo di
benessere e d’incontro. All’ingresso aveva fatto
mettere un’iscrizione in latino che oggi non esiste più, in cui si raccomandava di lasciar fuori le
contese e i dolori della vita quotidiana per varcare la soglia di un mondo di pace. Lui e i suoi
contemporanei prendevano a modello le ville ro-
LE SCELTE
Antichità classiche accanto ad autori
del suo tempo. Un altro impulso alla
fine del ’700 con Marcantonio IV
mane che conoscevano attraverso i testi classici.
Plinio il Giovane ad esempio, all’epoca autore
di culto: nelle sue lettere si trovano descrizioni
delle dimore patrizie che Villa Borghese voleva
emulare».
Alla morte del cardinale, nel 1633, la collezione gode di una fama straordinaria. Gli eredi raccolgono il testimone, preservandola e arricchendola. Alla fine del Settecento vive un’altra tappa
fondamentale della storia quando Marcantonio
IV Borghese fa ristrutturare la palazzina dandole l’aspetto che conosciamo oggi. Ma la storia
non è sempre facile, neanche per le grandi famiglie papaline: «Ai primi dell’Ottocento i Borghese sono in declino e Napoleone costringe il principe Camillo — suo cognato — a cedergli diversi
pezzi della collezione, soprattutto statue antiche
destinate a costituire una sezione del Louvre. Si
tratta di opere che non saranno mai recuperate,
Camillo però riesce a limitare i danni acquisendo qualche pezzo in più. E fa ritrarre sua moglie
Paolina, sorella di Bonaparte, da Antonio Canova, lo scultore all’epoca più in voga. Ne nasce un
capolavoro moderno che oggi è forse il pezzo
più amato dai visitatori della Galleria».
Da allora in poi il declino della famiglia è inarrestabile. All’inizio del secolo i Borghese avviano le trattative per vendere la collezione e la villa
allo Stato italiano, che le acquista nel 1901. La
villa viene affidata al Comune di Roma, lo Stato
tiene per sé la palazzina e la collezione, che viene
arricchita e riorganizzata nel rispetto della collocazione antica. Tra i tanti direttori che da allora
ad oggi si susseguiti, Strinati ricorda Paola Della Pergola, autrice di uno storico catalogo: «È a
lei che dobbiamo la creazione della moderna
Galleria Borghese», dice. Da allora sono luci e
ombre: per circa dieci anni la Galleria resta chiusa a causa di un temuto crollo («anche se — precisa il soprintendente — non lo fu mai del tutto:
il piano terreno è rimasto fruibile e molte opere
sono state trasferite in altre sedi»). Fino al 1997,
quando, dopo un restauro accuratissimo, la Galleria Borghese riapre. E il sogno di Scipione torna a vivere.
Giulia Ziino
in collaborazione con
«Si è perso il gusto del salotto
Ora l’arte è un piacere privato»
U
n suo avo, il cardinale Pie- no commissionate dagli Strozzi anche se ciò che è veramente diffitro Aldobrandini, riva- — spiega il principe Camillo —, cile è conservare i contenitori di
leggiava con Scipione poi fu Francesco Borghese Aldo- queste collezioni», cioè i palazzi,
Borghese per conquistare la pal- brandini ad acquistarle ai primi le ville, i parchi. Come la palazzima di più grande collezionista del- dell’Ottocento». Gli Strozzi ap- na di Villa Borghese dove Scipiola Roma del Seicento («erano partenevano alla nobiltà fiorenti- ne riceveva i suoi ospiti abbaglianacerrimi nemici, poi le loro due na ma come tutte le grandi fami- doli con le meraviglie della sua
stirpi finirono per fondersi»); la glie avevano una sede anche a Ro- collezione. Anche Villa Aldosua famiglia, di antica nobiltà, ha ma, la loro era a Palazzo Besso in brandini è stata a lungo aperta al
alle spalle una nutrita tradizione piazza Argentina: «Tutti a quei pubblico, fino agli anni Settanta,
di collezionismo, lui stesso è un tempi avevano "casa" a Roma, in «poi la paura dei furti ha costretgrande estimatore d’arte («spe- città c’erano decine di ville che og- to i collezionisti di oggi a trasforcialmente antica, in particolare gi non esistono più, rase al suolo marsi in cerberi», dice a malincuoneoclassica»). Se siamo in cerca durante la ristrutturazione um- re il principe, che però non si tira
di moderni Scipione Borghese, bertina». Ma splendide erano an- indietro quando i suoi tesori venabituati a maneggiare da vicino che le ville fuori porta, come la gono chiesti in prestito per importesori d’arte straordinari, il princi- Villa Aldobrandini a Frascati, tanti mostre o istituzioni come
pe Camillo Aldobrandini fa al ca- scrigno di gioielli come la camera «Italia nostra» che gli chiedono
di aprire le porte delso nostro: la Villa di
la sua dimora.
Frascati, dove risieCerto, il gusto
de, custodisce tra le
del collezionismo
sue stanze secoli
come occasione
d’arte e di storia.
mondana oggi non
«In realtà — ci tiene
è più lo stesso che
a precisare — il veera nel Seicento, e
ro collezionista di
non solo per paura
famiglia è mio frateldei ladri: «Oggi si aclo Francesco, spequistano opere d’arcialmente sul verte più che altro per
sante contemporatrarne una soddisfaneo. Il suo nome si
zione privata, per
lega anche a una moavere la possibilità
stra, Vitalità del nedi godere ogni giorgativo, che ha fatto SPETTACOLARE Villa Aldobrandini a Frascati
no di capolavori
storia nella Roma
degli anni Sessanta. Io e gli altri cinese: «Nel Settecento chiunque straordinari. Esistono ancora
miei fratelli collezioniamo opere doveva avere una sala arredata in grandi collezioni e grandi collestile cinese (e spesso si faceva con- zionisti, ma è cambiato il modo di
d’arte, ma su scala più ridotta».
Vero è che per il principe il col- fusione tra Cina e Giappone). Ne intendere la questione». Resta un
lezionismo è una questione di fa- esistono in tutta Italia, dai palaz- po’ di nostalgia per lo sfarzo e il
miglia. Nel tempo, le vicende de- zi sabaudi in Piemonte alla Favo- gusto del ricevere dei grandi sigli Aldobrandini si sono intreccia- rita di Palermo. Molte sono anda- gnori barocchi, eppure non è tutte a quelle dei Borghese, di cui so- te distrutte alla fine dell’Ottocen- to oro quel che luccica: «I cardinano un ramo secondario: le due fa- to: a quei tempi non si aveva il sen- li come Scipione — conclude il
miglie si sono fuse a fine Ottocen- so della conservazione e quando principe Aldobrandini — amavato. Gli Aldobrandini, fedeli al- si affermava una nuova moda no fare sfoggio di ricchezza e di
l’esempio del cardinale Pietro, so- non si esitava a fare piazza pulita cultura ma soprattutto avevano
qualcosa da farsi perdonare. Prono sempre stati mecenati e acqui- di quella precedente».
Custodire il patrimonio eredi- teggevano le arti e, così facendo,
renti. Un esempio illustre del loro
operato sono le Quattro stagioni: tato e costruito nel corso degli an- dimostravano di fare buon uso
due a firma di Pietro Bernini, due ni è forse il lavoro più duro per un dei tanti soldi che avevano a didel figlio Gian Lorenzo, il «ma- collezionista: «Il più duro e il più sposizione».
go» della Roma barocca: «Furo- oneroso — spiega il principe —
G. Zi.
ENEL VI GUIDA
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