ELEMENTI DI FISIOLOGIA CARDIOVASCOLARE ........................................... 2
La portata cardiaca .......................................................................................................... 2
I determinanti dello stroke volume ................................................................................. 2
La pressione del sangue.................................................................................................... 4
Portata cardiaca e pressione arteriosa. .......................................................................... 5
LO SHOCK......................................................................................................... 6
Segni di inadeguata perfusione dei tessuti. .................................................................... 6
Segni di disfunzione degli organi. ................................................................................. 11
I tipi di shock. .................................................................................................................. 12
Shock a bassa portata. ................................................................................................... 12
Shock ad alta portata. .................................................................................................... 13
ELEMENTI DI MONITORAGGIO CARDIOVASCOLARE NEL PAZIENTE
CRITICO. .......................................................................................................... 14
La misurazione della pressione arteriosa. .................................................................... 14
Il catetere arterioso polmonare o catetere di Swan-Ganz. ......................................... 15
La misurazione della portata cardiaca. ......................................................................... 17
La diagnosi emodinamica dei 3 tipi principali di shock. .............................................. 18
TERAPIA DELLO SHOCK. .............................................................................. 19
2
Elementi di fisiologia cardiovascolare
La portata cardiaca
Il volume di sangue eiettato da un ventricolo ad ogni battito si definisce gittata pulsatoria o stroke
volume (SV). Lo SV per la frequenza cardiaca (FC) è la misura della quantità di sangue che il cuore
pompa in un minuto, definita portata cardiaca o cardiac output (CO):
CO = SV x FC
Il CO è quindi una misura di flusso (volume/tempo).
In media nei soggetti sani lo SV è circa 70 ml e la frequenza cardiaca circa 75/min. Ne consegue che il
CO è circa 5-5.5 l/min. Il CO è però diverso in individui con differenti dimensioni corporee. Per tale
motivo si preferisce esprimere il CO per m2 di superficie corporea, definito anche indice cardiaco o
cardiac index (CI). In un soggetto normale la superficie corporea è circa 1.8 m2 e quindi il CI circa 3
l.min-1.m-2.
I determinanti dello stroke volume
Lo SV è classicamente influenzato da 3 variabili principali:
1. precarico (preload)
2. postcarico (afterload)
3. contrattilità o inotropismo
Precarico.
In fisiologia il precarico è la lunghezza della fibra muscolare prima dell'inizio della contrazione. Nel
cuore il precarico cardiaco è rappresentato dal volume del ventricolo alla fine della diastole. La
relazione tra precarico cardiaco e SV è mostrata nella figura sottostante.
3
All'aumentare del precarico aumenta lo SV. Se aumenta il ritorno venoso al cuore quindi aumenta il
precarico e di conseguenza lo SV. Questo meccanismo consente di mantenere uguali la quantità di
sangue che arriva al cuore (il ritorno venoso) e quella che esce dal cuore (CO).
Postcarico.
Il postcarico è il carico contro il quale il cuore deve eiettare lo SV o, più precisamente, è lo stress della
parete ventricolare: (Pressione x raggio ventricolari)/spessore della parete. Il postcarico è aumentato
in tutte le condizioni che aumentano la pressione aortica, dalla stenosi della valvola aortica o dalla
dilatazione del ventricolo. L'aumento del postcarico riduce la portata cardiaca a parità di precarico
e contrattilità.
.
4
Inotropismo.
L'inotropismo è la contrattilità del muscolo cardiaco, che consente al cuore di modificare la forza
generata indipendentemente dal precarico. Il meccanismo più importante che regola l'inotropismo è il
sistema nervoso autonomo, in particolare l'attivazione del sistema nervoso simpatico aumenta
l'inotropismo ventricolare, che viene lievemente ridotto dalla stimolazione del sistema parasimpatico.
La contrattilità viene anche ridotta dall’ischemia miocardica e dall’acidosi.
Un aumento dell’inotropismo consente di aumentare lo SV a parità di precarico.
Lo stroke volume efficace è influenzato anche dalla sincronia della contrazione ventricolare e dalla
presenza di insufficienza di valvole cardiache.
La pressione del sangue.
La pressione del sangue è la pressione del sangue contro le parete dei vasi sanguigni. Come si vede
nell'immagine che segue, la pressione aumenta durante la sistole e diminuisce durante la diastole. La
pressione arteriosa sistolica (systolic arterial pressure, SAP) è il valore massimo raggiunto durante il
ciclo cardiaco, mentre la pressione arteriosa diastolica (diastolic arterial pressure, DAP) il minimo. La
5
pressione arteriosa media (mean arterial pressure, MAP) è la pressione che in media si rileva in un vaso
durante tutto il ciclo cardiaco. Quando è disponibile la misurazione invasiva della pressione arteriosa,
la MAP è calcolata come la media delle rilevazioni di pressione arteriosa effettuate durante un ciclo
cardiaco. La MAP può essere grossolanamente stimata sommando 1/3 della differenza SAP-DAP alla
DAP:
MAP = DAP + 1/3 (SAP-DAP)
Portata cardiaca e pressione arteriosa.
La portata cardiaca è quindi un flusso (F) e, come tutti i flussi, è direttamente proporzionale alla
pressione che lo genera ed inversamente proporzionale alle resistenze (R) delle strutture che attraversa:
flusso=pressione/resistenza
(1).
Nella circolazione sistemica il flusso è il CO e la pressione è la differenza tra la pressione a monte
(pressione aortica) e quella a valle (pressione venosa centrale, central venous pressure, CVP). La
pressione aortica viene approssimata al valore della MAP. Le resistenze sono la somma delle resistenze
dei vasi arteriosi, capillari e venosi e sono definite resistenze vascolari sistemiche (systemic vascular
6
resistance, SVR). Possiamo quindi descrivere la relazione (1) come segue:
CO = (MAP – CVP)/SVR
(2).
Considerando relativamente costante e trascurabile la CVP, la relazione (2) può essere semplificata:
CO = MAP/SVR
(3)
L’equazione 3 può essere riscritta per la MAP:
MAP = CO/SVR
(4).
L’equazione 4 è fondamentale per la comprensione delle diverse forme di shock. Infatti ci dice che la
pressione (MAP) può ridursi perché si riduce il CO, quindi l’apporto di sangue ai tessuti. Uno shock
che si verifica in questo contesto viene definito uno shock a bassa portata cardiaca e si associa ad una
riduzione del flusso di sangue (e ossigeno) ai tessuti.
La pressione può però anche ridursi con il CO normale (o anche più elevato del normale) se si
riducono sufficientemente le SVR. Se in un caso simile si produce shock, questo sarà definito ad alta
portata cardiaca e non sarà caratterizzato da una riduzione del flusso di sangue ai tessuti.
Lo shock.
Lo shock può essere definito come una sindrome caratterizzata da una inadeguata perfusione dei
tessuti che determina disfunzione degli organi.
Segni di inadeguata perfusione dei tessuti.
- Tempo di riempimento capillare allungato.
Per eseguire il test, si comprime il letto unguale fino a farlo diventare pallido. Quindi,
tenendo l'arto al di sopra del livello del cuore, si rilascia la pressione e si rileva il tempo
necessario per vedere ritornare roseo il letto unguale. Se questo tempo è > di 2 secondi,
7
il test è positivo e potrebbe essere segno di ipoperfusione.
- Cute pallida e marezzata.
- Aumento dei lattati.
In condizioni di normalità la concentrazione dei lattati plasmatici è < di 1 mmol/L, nel
paziente critico si può considerare normale una concentrazione fino a 2 mmol/L.
L'incremento dei lattati è segno sia di una loro aumentata produzione, come può
avvenire negli stati di ipossia tissutale con attivazione della glicolisi anaerobica, che di
una ridotta clearance epatica, causata sia dalla ipoperfusione del fegato che da una sua
disfunzione.
- Oliguria: diuresi inferiore a 0.5 ml.kg-1.h-1 in conseguenza di una ridotta perfusione tissutale
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- Ridotta saturazione venosa. Per chi volesse capire la spiegazione del fenomeno, segue una
spiegazione dettagliata (in corsivo).
→ La saturazione dell'emoglobina per l'ossigeno. L'ossigeno nel sangue è principalmente trasportato
legato all'emoglobina. La molecola di emoglobina ha 4 siti di legame per l'ossigeno (gruppi eme) e può
quindi trasportare un massimo di 4 molecole di ossigeno.
Ogni grammo di emoglobina può trasportare al massimo
1.36 ml di O2. Questo accade quando tutti i siti di legame per
l'O2 sono occupati da molecole di O2. Per saturazione
dell'emoglobina per l'ossigeno si intende la quantità di O2
trasportato dall'emoglobina in percentuale alla sua massima
capacità di trasporto di O2. Ad esempio, quando un grammo
di emoglobina trasporta 1.36 ml di O2, la saturazione sarà
del 100%, cioè tutti i siti di legame per l'ossigeno sono legati ad O2. Questa condizione è molto simile a
quella che abbiamo nel sangue arterioso di un soggetto sano. Una saturazione del 50% significa che la
metà dei siti di legame per l' O2 è legato all'O2, essendo l'altra metà “vuota”. In questo caso ogni
grammo di emoglobina trasporterà 0.68 ml di O2 (cioè il 50% di 1.36). Nel sangue venoso normalmente
la saturazione è del 75%, il che significa che mediamente tre gruppi eme su quattro sono legati all'O2. Il
contenuto di O2 di un grammo di emoglobina sarà in questo caso 1.02 ml (cioè il 75% di 1.36).
→ Il contenuto di ossigeno del sangue.
1)
Ossigeno disciolto nel sangue. L'ossigeno, come tutti i gas, può rimanere disciolto in un liquido
(pensiamo alla CO2 nell'acqua gassata). La quantità di ossigeno che rimane disciolto nel sangue
dipende dalla sua solubilità. Alla temperatura di 37 °C il coefficiente di solubilità dell'ossigeno nel
sangue è circa 0.003 ml.dl-1.mmHg-1. Questo significa che ogni mmHg di PO2 fa sciogliere 0.003 ml/100
ml di sangue. Nel sangue arterioso di un soggetto sano la PO2 è circa 95 mmHg: in questo caso saranno
disciolti in 100 ml di sangue circa 0.29 ml di O2 (cioè 95 mmHg x 0.003 ml.dl-1.mmHg-1), che
equivalgono a 2.9 ml in un litro di sangue. Nel sangue venoso normalmente la PO2 è 40 mmHg e la
quantità di ossigeno disciolta nel sangue sarà quindi circa 0.12 ml ogni 100 ml (1.2 ml in ogni litro).
2)
Ossigeno legato all'emoglobina. La saturazione dell'emoglobina dipende dalla PaO2:
all'aumentare della PaO2 aumenta anche la saturazione seguendo la relazione espressa dalla curva di
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dissociazione dell'emoglobina. Come si può vedere nella figura sottostante alla PaO2 arteriosa normale
di 95 mmHg, si ha una saturazione di circa 98 %. Come descritto nel paragrafo della saturazione
dell'emoglobina, questo significa che ogni grammo di emoglobina avrà un contenuto di O2 di 1.33 ml
(=1.36 x 0.98). Un soggetto sano ha circa 14 g di emoglobina in 100 ml di sangue, ne consegue che il
contenuto di O2 legato all'emoglobina in 100 ml di sangue arterioso è circa 18.7 ml (187 ml di O2 in un
litro di sangue). Nel sangue venoso la PO2 è circa 40 mmHg e la saturazione è 75% (vedi grafico).
Questo implica che nel sangue venoso la quantità di O2 legata all'emoglobina è di circa 14.3 g ogni 100
ml di sangue (143 ml di O2 in un litro di sangue).
Ricapitolando: In un litro di sangue arterioso di un soggetto normale sono contenuti circa 190 ml di O2.
Il 98.5 % dell'O2 (183 ml) è contenuto nell'emoglobina e solo il 1.5% (poco meno di 3 ml) è quello
libero nel sangue. In un litro di sangue venoso il contenuto di O2 è di circa 144 ml di O2, 143 ml legati
ai gruppi eme dell'emoglobina e poco più di 1 ml libero nel sangue.
Mettendo in formula quanto finora detto, il contenuto arterioso di O 2 per 100 ml di sangue (CaO2) è
uguale a: [Hgb] x 1.36 x SaO2 + PaO2 x 0.003. Il contenuto venoso di O2 per 100 ml di sangue (CvO2) è
uguale a: [Hgb] x 1.36 x SvO2 + PvO2 x 0.003. [Hgb] è la concentrazione dell'emoglobina in g/dl e S è
la saturazione.
→ Il trasporto di ossigeno. L'ossigeno contenuto nel sangue arterioso viene trasportato ai tessuti per
mezzo del flusso di sangue generato dal cuore, cioè la portata cardiaca (CO). Quindi il trasporto di
ossigeno (oxygen delivery, DO2) è uguale a CaO2 x CO. La portata cardiaca a riposo in un adulto sano
10
è circa 5.4 l/min. Se in un litro di sangue arterioso sono contenuti 190 ml di O2, nei 5.4 litri di sangue
che ogni minuto il cuore spinge nei tessuti ci saranno 1026 ml di O2. Gli stessi 5.4 litri di sangue che
ogni minuto sono passati attraverso i tessuti ed il circolo capillare, tornano al cuore attraverso la
circolazione venosa. Come abbiamo calcolato, il contenuto di 1 litro di sangue venoso ammonta a circa
144 ml di O2. Ne consegue che nei 5.4 litri di sangue venoso che tornano al cuore saranno contenuti
circa 778 ml di O2.
→ L'estrazione di ossigeno. L'ossigeno estratto e consumato dai tessuti (V'O2) sarà evidentemente
uguale alla differenza tra l'ossigeno trasportato nel sangue arterioso e quello trasportato nel sangue
venoso:
V'O2= (CaO2 x CO) – (CvO2 x CO) = (CaO2 – CvO2) x CO (5).
Applicando questa formula ai risultati ottenuti nei paragrafi precedenti, possiamo calcolare un V'O2 di
248 ml di O2 al minuto: questo è il normale consumo di O2 di un organismo sano a riposo. Il quoziente
di estrazione di O2 (O2ER) è il rapporto tra l'O2 consumato e quello trasportato dal sangue arterioso:
O2ER=V'O2/DO2 (6)
I calcoli del nostro esempio ci hanno condotti ad un V'O2 di 248 ml ed un DO2 di 1026 ml. Il loro
rapporto è 0.24: ciò significa che il 24% dell'O 2 trasportato nel sangue arterioso viene estratto
normalmente consumato dai tessuti.
Entro certi limiti la quantità di O2 consumato dai tessuti è costante e indipendente dal trasporto di
ossigeno. Se si riduce il DO2 e resta costante il V'O2, aumenterà inevitabilmente il O2ER. Se nel nostro
soggetto sano la portata cardiaca si riducesse a da 5.4 a 4 l/min, il DO 2 scenderebbe da 1026 a 760
mlO2/min. Rimanendo costante il VO'2, la riduzione del CO avrebbe come conseguenza inevitabile un
aumento del O2ER da 0.24 a 0.33. Quindi l'estrazione di ossigeno aumenta tutte le volte che si riduce la
portata cardiaca.
Abbiamo visto in precedenza che CaO2 e CvO2 dipendono per circa il 99 % dall'emoglobina e dalla sua
saturazione e solo per circa il 1% dall'O2 disciolto nel sangue. Non commettiamo certo un errore
rilevante se omettiamo la parte relativa all'O2 disciolto. Con questa semplificazione la formula del CaO 2
diventa: [Hgb] x 1.36 x SaO2, e quella del CvO2 diventa: [Hgb] x 1.36 x SvO2. Riscriviamo ora in
maniera semplificata anche la formula del V'O2 (eq. 5):
V'O2 = ([Hgb] x 1.36 x SaO2 - [Hgb] x 1.36 x SvO2) x CO
11
che, raccogliendo i fattori comuni, diventa
V'O2 = (SaO2-SvO2) x ([Hgb] x 1.36 x CO).
Il O2ER è dato dal rapporto tra V'O2 e DO2 Il DO2 scritto trascurando l'O2 disciolto nel sangue è:
(SaO2-SvO2) x ([Hgb] x 1.36 x CO)
O2ER
=
[Hgb] x 1.36 x SaO2 x CO
che semplificando diventa:
SaO2 - SvO2
O2ER =
SaO2
In altri termini, quando si riduce la SvO2 aumenta l'estrazione di O2, a parità di SaO2.
Ogni volta che si riduce la portata cardiaca quindi aumenta l'estrazione di O2 e
diminusice la SvO2. Per questo motivo il calo di SvO2 può essere un segno di
ipoperfusione tissutale.
Segni di disfunzione degli organi.
- sistema nervoso centrale: alterazioni del sensorio (sopore, agitazione)
- reni: oliguria ed aumento della creatinina
- apparato cardiocircolatorio: ipotensione (MAP < 65 mmHg o SAP < 90 mmHg) e/o necessità di
farmaci vasoattivi (adrenalina, noradrenalina, dobutamina, dopamina)
- apparato respiratorio: ipossiemia (PaO2/FIO2 < 300)
- fegato: aumento di bilirubina (>4 mg/dl) e lattati (> 2 mmol/L)
- apparato digerente: ileo paralitico
- coagulazione: piastrinopenia (<100.000 μL-1), aumento del INR (>1.5), aumento del aPTT (> 60”)
La gravità delle disfunzioni d'organo può essere misurata con uno punteggio: il SOFA (Sequential
Organ Failure Assessment) score:
12
I tipi di shock.
Si può classificare lo shock in funzione della portata cardiaca. Si distinguono quindi due tipi di shock:
a bassa portata, quando la portata cardiaca è ridotta (indice cardiaco è inferiore a 2.2-2.5 l.min1
.m-2)
ad alta portata, quando la portata cardiaca è superiore al normale (ricordiamo che normalmente
l'indice cardiaco è circa 3 l.min-1.m-2).
Shock a bassa portata.
Esistono tre principali tipi di shock a bassa portata:
shock ipovolemico. In questa condizione si ha una riduzione del volume di sangue
intravascolare (volemia) e quindi una riduzione della portata cardiaca conseguente ad una
riduzione del precarico. La causa dello shock ipovolemico possono essere una perdita acuta di
una elevata quantità di sangue (shock emorragico) oppure una perdita più graduale e prolungata
di liquidi (vomito, diarrea, ustioni,ecc.): in entrambi i casi il risultato finale è una riduzione
della volemia.
shock cardiogeno. E' caratterizzato dalla riduzione della contrattilità del cuore e che causa la
riduzione della portata cardiaca. La causa più frequente è l'infarto miocardico acuto.
shock ostruttivo. La riduzione della portata cardiaca può essere dovuta ad un'ostruzione della
circolazione, come ad esempio un'embolia polmonare massiva. In questo caso ad essere
coinvolto nel meccanismo dello shock è un aumento del postcarico.
13
Shock ad alta portata.
Negli shock ad alta portata la causa dello shock si verifica una grave vasodilatazione che determina
induce un ipotensione. La vasodilatazione causa una riduzione del postcarico e ne consegue l'aumento
della portata cardiaca. Lo shock ad alta portata di gran lunga più frequente è lo shock settico. Un altro
esempio di shock ad alta portata è lo shock anafilattico. Negli shock ad alta portata si verifica una
inadeguata perfusione degli organi nonostante l'elevata quantità di sangue che arriva ai tessuti. I
meccanismi di questo fenomeno non sono ancora ben compresi, ma si ritiene che siano importanti tre
fattori principali:
la maldistribuzione della circolazione periferica. La massiva vasodilatazione annulla infatti
l'equilibrata distribuzione del flusso ematico tra gli organi e all'interno dei singoli organi. In
condizioni normali infatti il nostro organismo distribuisce in maniera oculata e secondo
necessità il flusso ematico ai tessuti, privilegiandone alcuni (cuore, encefalo, reni, fegato). La
vasodilatazione generalizzata aumento il flusso anche in aree meno “nobili” (cute, muscoli,
tessuto adiposo) a discapito dei tessuti più importanti. Inoltre anche la distribuzione del flusso
ematico all'interno di un singolo organo diventa più omogenea, senza tenere conto delle diverse
necessità metaboliche.
la disfunzione cellulare (nello shock settico). La sepsi, attraverso la produzione di mediatori
che si riversano nel circolo, porta ad un danno cellulare che si esprime principalmente con una
difetto del metabolismo mitocondriale. Quindi anche le cellule che ricevono una buona
perfusione si possono trovare nell'incapacità di utilizzare l'ossigeno loro fornito dal sangue
capillare.
la coagulopatia (nello shock settico). L'attivazione dei sistemi infiammatori dell'organismo
porta ad innescare anche fenomeni di coagulazione intravascolare con microtrombosi capillari e
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difetti di perfusione dei tessuti. La manifestazione clinicamente più evidente di questo
fenomeno è la coagulopatia da consumo che sviluppa frequentemente durante la sepsi.
I fenomeni descritti configurano un quadro quindi di perfusione periferica che, seppur abbondante, è
inadeguata perchè maldistribuita o inutilizzata. Una conseguenza è il riscontro di elevati livelli di
saturazione del sangue venoso: il trasporto di O2 (DO2) è elevato, l'utilizzazione tissutale di O2 non è
particolarmente elevata, il sangue ritorna al cuore destro (dopo essere passato dai tessuti) con ancora
una elevata quantità di ossigeno legata all'emoglobina.
Elementi di monitoraggio cardiovascolare nel paziente critico.
La misurazione della pressione arteriosa.
La pressione arteriosa nel paziente critico stabile e normoteso può essere misurata con il metodo
oscillometrico utilizzato dai comuni monitor che forniscono una rilevazione automatica noninvasiva
della pressione arteriosa. Il metodo si basa sulle oscillazioni rilevate dal bracciale durante la
progressiva desufflazione al suo interno. Quando la pressione all'interno del bracciale scende
leggermente sotto la pressione sistolica, dal bracciale si può iniziare a rilevare un'oscillazione legata
alla pulsazione dell'arteria. Mentre progressivamente il bracciale si sgonfia, l'ampiezza della pulsazione
arteriosa aumenta e con essa l'oscillazione rilevata nel bracciale. Dopo una fase di progressivo aumento
dell'oscillazione, questa inizia a ridursi man mano che il bracciale si allenta ed aderisce sempre meno
all'arto in cui si misura la pressione: anche se la pulsazione dell'arteria aumenta, viene trasmessa
sempre meno al bracciale che progressivamente si allenta.
Con questo metodo la massima ampiezza di oscillazione corrisponde alla pressione arteriosa media,
mentre una certa similitudine esiste tra la pressione arteriosa sistolica e la comparsa dell'oscillazione
nel bracciale, mentre la diastolica viene fatta corrispondere alla cessazione della oscillazione rilevata
15
nel bracciale.
I metodi di misurazione noninvasiva della pressione arteriosa sono tuttavia molto imprecisi durante
lo shock. In questi casi è bisogna ricorrere al monitoraggio invasivo della pressione arteriosa, che
consente anche di rilevare il valore di pressione arteriosa in continuo e di potere eseguire prelievi
arteriosi senza la necessità di pungere ogni volta un vaso.
Il catetere arterioso polmonare o catetere di Swan-Ganz.
Il catetere arterioso polmonare ha due lumi intravascolari: uno distale ed uno prossimale a 30 cm dalla
punta. E’ inoltre dotato di un palloncino posto in prossimità dell’estremità distale. Il palloncino può
essere gonfiato all’occorrenza con 1 ml di aria attraverso una porta dedicata: questo viene fatto durante
l’introduzione del catetere per facilitarne l’avanzamento sfruttando il flusso ematico. Una volta
posizionato correttamente il catetere, il palloncino deve essere mantenuto sgonfio ed riempito di aria
solo per brevi periodi (della durata di circa 1 minuto) per consentire di misurare la pressione di
incuneamento dell’arteria polmonare (pulmonary capillary wedge pressure, PCWP).
Il catetere arterioso polmonare viene introdotto attraverso una vena centrale (succlavia, giugulare
interna, femorale) ed avanzato fino a posizionare l’estremità distale in arteria polmonare. L’estremità
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distale del catetere è collegata ad un trasduttore di pressione e durante l’avanzamento del catetere si
possono riconoscere le strutture da esso attraversate dal peculiare profilo dell’onda pressoria nell’atrio
destro, nel ventricolo destro, nell’arteria polmonare. L’avanzamento del catetere arterioso polmonare
viene interrotto quando il palloncino gonfio giunge in una diramazione dell’arteria polmonare le cui
dimensioni sono uguali a quelle del palloncino gonfio. Anche in questo caso è la caratteristica
modificazione della curva di pressione a fornire l’informazione sul corretto posizionamento del catetere
in arterioso polmonare (vedi figura).
A quel punto si occlude il flusso in quel ramo dell’arteria polmonare e si misura la pressione a valle di
esso, cioè la pressione che si ha nelle vene polmonari (come mostrato nella figura successiva). La
pressione del sistema venoso polmonare è molto simile alla pressione atriale sinistra e quindi alla
pressione di fine sistole del ventricolo sinistro (in assenza di insufficienza mitralica).
vene polmonari
atrio sinistro
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Una volta terminato il posizionamento del catetere, si sgonfia e si mantiene sgonfio il palloncino.
La misurazione della portata cardiaca.
La portata cardiaca può essere misurata con il metodo della termodiluizione. Il principio su cui si basa
questa metodica è quello della diluizione di un indicatore, in cui una quantità nota di una sostanza
tracciante è iniettata nel circolo ematico ed il suo cambio di concentrazione è misurato nel tempo in un
sito a valle. In pratica viene iniettato un fluido (10 ml) con temperatura preferibilmente < 10 °C nel
lume prossimale del catetere arterioso polmonare (cioè in atrio destro): in questo caso utilizziamo
quindi un indicatore termico. Il risultante cambio di temperatura è misurato distalmente dal termistore
posto sull’estremità del cateretere arterioso polmonare: nel metodo della termodiluizione non si misura
quindi una variazione di concentrazione ma di temperatura dal momento che utilizziamo un tracciante
termico.
La portata cardiaca è inversamente proporzionale alla variazione della temperatura del sangue indotta
dall’iniezione di un bolo di acqua fredda:
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CO =
VI (TB – TI) K1K2
TBdt
(CO: Cardiac output; VI: volume iniettato; TB: temperatura sangue; TI: temperatura iniettato; TBdt:
variazione della temperatura del sangue nel tempo).
La misurazione della portata cardiaca consente di operare una prima distinzione sul tipo di shock: se
l’indice cardiaco è superiore a 2.2-2.5 l.min-1.m-2 la portata cardiaca è appropriata e possiamo escludere
uno shock a bassa portata. La valutazione della saturazione del sangue prelevato dall’arteria polmonare
(saturazione venosa mista, SvO2) ci consente di confermare la presenza di una bassa portata cardiaca se
il suo valore è inferiore a 60-65%.
La diagnosi emodinamica dei 3 tipi principali di shock.
Se portata cardiaca e SvO2 sono normali o elevati ed il paziente ha segni di ipoperfusione tissutale e
disfunzione d’organo , si avrà uno shock ad alta portata (es. shock settico)
Se la portata cardiaca e la SvO2 sono ridotte, avremo uno shock a bassa portata.
Se la pompa cardiaca ha una normale funzione, il ventricolo sinistro riesce a eiettare efficientemente il
sangue verso l’aorta e non si accumula sangue a monte del ventricolo sinistro. Se invece il ventricolo
sinistro riduce la propria efficacia contrattile, il sangue tenderà ad accumularsi a monte, nell’atrio
sinistro e nel circolo polmonare. Per questo motivo si ritiene che la PCWP, che è molto simile alla
pressione atriale sinistra, in caso di insufficienza ventricolare sinistra aumenti oltre i 18 mmHg. In
questi casi, se contemporaneamente si ha una condizione di bassa portata (indice cardiaco inferiore a
2.2-2.5 l.min-1.m-2), si può fare la diagnosi di shock cardiogeno.
In caso di ipovolemia, invece, il ventricolo sinistrò riesce facilmente a pompare la ridotta quantità di
sangue che riceve e quindi la pressione a monte (in atrio sinistro) sarà bassa, come bassa sarà la
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pressione nel ventricolo sinistro a fine diastole poiché l’ipovolemia condiziona un ridotto riempimento
cardiaco e quindi basse pressioni tele diastoliche. Quindi in caso di shock a bassa portata (indice
cardiaco inferiore a 2.2-2.5 l.min-1.m-2) si pone la diagnosi di shock ipovolemico se la PCWP è
chiaramente inferiore a 18 mmHg.
Terapia dello shock.
Una volta chiarito il tipo di shock da curare, la terapia diviene molto semplice. Ovviamente il
trattamento definitivo comprende la risoluzione della condizione che ha determinato lo shock. Ad
esempio, nello shock emorragico si dovrà eliminare la fonte di sanguinamento, nello shock settico si
dovrà eradicare il focolaio settico (con antibiotici e, se indicato, con l’evacuazione chirurgica), nello
shock cardiogeno ripristinare le condizioni per la ripresa di una buona funzione cardiaca (ad esempio la
rivascolarizzazione coronarica se un infarto miocardico acuto è la causa dello shock).
Lo shock ipovolemico viene trattato con la somministrazione di fluidi:
-
Cristalloidi (es. NaCl 0.9%, più conosciuta come soluzione fisiologica): sono i fluidi che
richiedono più tempo per ripristinare il volume ematico. Infatti sono costituiti da acqua e
cloruro di sodio, molecole che diffondono liberamente attraverso le pareti vascolari. Ne
consegue che quando somministrati per via endovenosa si distribuiscono in tutto lo spazio
extracellulare, che comprende sia l’interstizio e che le strutture vascolari. Per questo motivo
solo approssimativamente il 30% del volume somministrato di cristalloidi rimane entro i vasi
sanguigni, aumentando efficacemente la volemia, ed il restante 70 % diffonde negli spazi
interstiziali. Solitamente sono preferiti quando non è necessaria una rapidissima correzione
dell’ipovolemia.
-
Colloidi (es. amido idrossietilico o gelatine, cioè Voluven o Emagel): sono composti da
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macromolecole che rimangono entro i vasi, trattenendo anche tutti liquidi nei quali sono
disciolte. Quindi circa il 100% di queste sostanze rimane entro i vasi ematici (per periodi
variabili a seconda del tipo di molecola) ed espande efficacemente la volemia. Sono preferiti
quando è necessaria una correzione molto rapida dell’ipovolemia.
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Emoderivati: vengono utilizzati per correggere l’anemia (emazie concetrate) o in concomitanza
di difetti della coagulazione (plasma).
Lo shock cardiogeno si tratta con la somministrazione di farmaci che aumentano l’inotropismo
cardiaco. Il più utilizzato tra questi è la dobutamina, una catecolamina con una attività prevalente sui
recettori β-adrenergici. Data la sua breve emivita, deve essere somministrata in infusione continua.
Lo shock settico, che ha la vasodilatazione come causa principale dell’ipotensione, viene affrontato
con farmaci vasocostrittori. Tra questi il più comunemente utilizzato è la norepinefrina
(noradrenalina) che agisce prevalentemente sui recettori α-adrenergici. Anch’essa, come la dobutamina,
deve essere somministrata in infusione endovenosa continua.
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elementi di fisiologia cardiovascolare