Summer School “L’impresa culturale nel mediterraneo” Procida 27 – 30 settembre 2012 Sessione: La politica per l’occupazione e la politica sociale dell’Europa I giovani e il lavoro. Sistemi di welfare a confronto Maria Luisa Aversa, ISFOL Obiettivi Europa 2020: - portare il tasso di occupazione al 75% per coloro con un’età compresa tra i 20 e i 64 anni; - investire il 3% del PIL in Ricerca e Sviluppo (R&S); - portare al 20% la quota delle fonti di energia rinnovabile; - migliorare del 20% l’efficienza energetica; - ridurre il tasso di abbandono scolastico al 10%; - portare al 40% la quota di laureati nella fascia di età compresa tra i 30 e i 34 anni; - far uscire dalla povertà (o dal rischio di povertà) più di 20 milioni di persone. Cosa indicano le Guidelines Europee sull’occupazione: - necessità di accrescere l’integrazione dei giovani nel mercato del lavoro; - rendere maggiormente efficaci i percorsi di primo inserimento e le caratteristiche dell’istruzione e della formazione iniziale, comprese le diverse forme di apprendistato (EGL 8). Strategia di Lisbona: ha rivolto una attenzione specifica all’occupazione giovanile, considerando come strutturali per molti paesi europei i problemi connessi alla difficoltà dei giovani nelle transizioni, a cominciare da quella tra scuola e lavoro. Raccomandazioni specifiche relative alla: - necessità di adottare misure per facilitare le transizioni verso il lavoro; - rafforzare l’efficacia dei Servizi per il lavoro; - migliorare la capacità di integrazione dei giovani immigrati; - promuovere riforme nel campo dell’istruzione e della formazione; - ridurre gli abbandoni scolastici; - contrastare la segmentazione dei mercati del lavoro. Nel 2010 i giovani disoccupati nell’area OCSE sono circa 4 milioni in più rispetto al 2007. L’aumento della disoccupazione giovanile ha interessato tutti i principali Paesi dell’Unione Europea ed è risultata particolarmente significativa in Spagna, dove nel 2010 il tasso di disoccupazione raggiunge quota 41,6% (da 18,2% del 2007), in Irlanda (da 8,9% a 27,8%), in Grecia (da 22,9% a 32,9%). Dal 2007 al 2010 il tasso di inattività (15-24 anni) cresce in quasi tutti i Paesi europei tranne che in Francia, dove diminuisce sia nella componente maschile che in quella femminile, mentre resta stabile in Germania. In Italia l’aumento è imputabile più alla componente femminile che a quella maschile. Nel 2010 cresce il numero dei NEET (Not in education, employment or training). I tassi più alti si registrano in Italia, Irlanda e Spagna, mentre la più bassa percentuale di giovani non inseriti in attività lavorative o di formazione si riscontra in Olanda, Danimarca, Svezia, Germania. Focus Italia L’Italia si distingue per essere il paese con: • minore incidenza di giovani, • maggiore incidenza di anziani, • basso tasso di fertilità (anche se nel 2009 si registra un incremento della natalità grazie all’apporto dei cittadini immigrati). Se da un lato la popolazione in età lavorativa è destinata a diminuire, dall’altro si innalzerà il numero della popolazione anziana: Eurostat prevede che nel 2060 una persona su tre sarà in età pensionistica. L’Italia si distingue per: • una maggiore durata della fase di ingresso nel mercato del lavoro, • la permanenza prolungata dei giovani in famiglia, • una quota non irrilevante di disoccupazione intellettuale • i numerosi abbandoni scolastici durante il percorso formativo. L’aumento dei tempi di ricerca di un lavoro (ampliati ulteriormente dalla congiuntura economica sfavorevole) genera: • una dispersione di risorse economiche personali e familiari, • un deterioramento del capitale umano accumulato. La fase di ingresso nell’occupazione che i giovani sperimentano è caratterizzata generalmente da un elevato livello di flessibilità e di alternanza tra condizioni di lavoro e di non lavoro. Il mercato del lavoro italiano presenta spiccati caratteri del dualismo insiders/outsiderds, con una componente stabile di lavoratori protetti ed una componente giovanile in ingresso sottoposta a elevata flessibilità occupazionale. L’estensione del lavoro flessibile ha contribuito a rendere più accessibile il mercato del lavoro per i giovani ma, parallelamente, ha posto il problema della trappola della precarietà. Due importanti riforme hanno ridotto la rigidità nei rapporti di lavoro: • la legge 196 del 1997, il cosiddetto pacchetto Treu; • la legge 30 del 2003, conosciuta come legge Biagi. A tale contesto si è aggiunta l’abolizione da parte della Commissione europea (2003) del contratto di formazione e lavoro. 20,0% 18,0% Tasso di disoccupazione di lunga durata (oltre 12 mesi) 16,0% 14,0% 12,0% 10,0% tot 2007 8,0% tot 2011 6,0% 4,0% 2,0% 0,0% 15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 15-64 Fonte: elaborazione Isfol su dati RCFL – ISTAT (2012) 20,0% Tasso di disoccupazione di lunga durata (oltre 12 mesi) 18,0% 16,0% 14,0% 12,0% 10,0% uomini 2007 8,0% uomini 2011 6,0% 4,0% 2,0% 0,0% 15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 15-64 Fonte: elaborazione Isfol su dati RCFL – ISTAT (2012) 25,0% Tasso di disoccupazione di lunga durata (oltre 12 mesi) 20,0% 15,0% donne 2007 donne 2011 10,0% 5,0% 0,0% 15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 15-64 Fonte: elaborazione Isfol su dati RCFL – ISTAT (2012) Tasso di disoccupazione età e sesso 2007-2011 fasce età Tot. 2007 Tot. 2011 uomini 2007 uomini 2011 Donne 2007 donne 2011 15-19 31,5% 48,4% 27,8% 43,9% 37,8% 55,5% 20-24 17,9% 26,0% 16,1% 24,2% 20,6% 28,5% 25-29 10,4% 14,4% 8,6% 12,7% 12,7% 16,6% 30-34 6,8% 9,6% 5,3% 8,3% 8,8% 11,4% 35-39 5,0% 7,1% 3,5% 6,1% 7,0% 8,6% 40-44 4,2% 6,2% 3,0% 5,2% 6,1% 7,7% 45-49 3,6% 5,4% 2,7% 5,1% 4,9% 6,0% 50-54 2,5% 4,6% 2,1% 4,4% 3,2% 4,8% 55-59 2,4% 3,9% 2,5% 4,6% 2,1% 2,7% 60-64 2,5% 3,9% 2,8% 4,4% 2,0% 2,8% 6,2% 8,5% 5,0% 7,7% 7,9% 9,7% 15-64 Fonte: RCFL – ISTAT (2012) Tasso di disoccupazione - età e area geografica 2007-2011 fasce età Nord ovest Nord ovest Nord est% Nord est% % 2007 % 2011 2007 2011 Centro % 2007 Centro % 2011 Sud e isole Sud e isole % 2007 % 2011 15-19 27,4% 45,7% 19,7% 37,7% 27,8% 49,8% 41,7% 56,7% 20-24 11,0% 18,0% 7,5% 16,5% 16,2% 26,2% 30,2% 37,7% 25-29 5,8% 8,9% 4,4% 7,9% 8,2% 13,4% 19,8% 24,5% 30-34 3,8% 6,5% 3,5% 5,7% 6,4% 8,8% 12,6% 16,2% 35-39 2,9% 5,1% 2,6% 3,7% 4,7% 6,1% 9,2% 12,9% 40-44 2,7% 5,2% 2,4% 3,6% 3,7% 5,6% 7,8% 10,1% 45-49 2,6% 4,5% 2,5% 3,4% 3,3% 5,4% 5,6% 8,2% 50-54 1,8% 4,2% 1,6% 3,1% 2,2% 4,5% 4,0% 6,2% 55-59 1,8% 3,9% 1,3% 2,5% 2,4% 3,4% 3,4% 5,0% 60-64 1,7% 4,6% 1,3% 2,6% 2,9% 3,3% 3,6% 4,5% 15-64 3,8% 6,4% 3,2% 5,1% 5,4% 7,8% 11,1% 13,7% Fonte: RCFL – ISTAT (2012) Il divario occupazionale tra le diverse aree geografiche in Italia dipende: • dai problemi strutturali ed economici; • dall’attuazione e dall’efficacia delle politiche (interventi messi in campo dallo stato centrale e dalle singole regioni per arginare il fenomeno). Le differenziazioni territoriali hanno spinto le Amministrazioni centrali e regionali a promuovere una vasta integrazione delle politiche proprio su scala locale. Tale passaggio è rappresentato da: - Legge n. 59 del ’97 (che ha attribuito alle Regioni e alle Province autonome il ruolo di organismi programmatori e di governo dei sistemi territoriali di pianificazione socio-economica e di valorizzazione delle risorse umane); - Legge quadro n.328 del 2000 (che pone l’accento su una strategia integrata tra le politiche sociali e le politiche del lavoro); - revisione del Titolo V della Costituzione (che attribuisce alle Regioni, alle Province e agli Enti locali la responsabilità per lo sviluppo integrato delle politiche per favorire la transizione sociale dei giovani). A soluzione del divario territoriale, da varie parti viene auspicata la nascita di nuovi modelli di intervento sociale e territoriale, fondati su politiche integrate per target e territori specifici, e di trasferimento delle buone prassi in un’ottica di mainstreaming verticale e orizzontale. La mancanza e/o l’inefficacia di politiche di sostegno nei confronti di giovani al Sud fanno sì che la maggior parte delle volte essi siano costretti ad adattarsi o a trasferirsi altrove. Con particolare riferimento al tasso di disoccupazione femminile la mancanza di servizi per l’infanzia e ai familiari influenza la scelta delle donne di rinunciare a cercare un lavoro, oppure di uscire dal circuito dell’occupazione. Modelli di welfare europei Le difficoltà di accesso al lavoro variano all’interno di ciascun paese e dipendono: • dalla struttura del mercato del lavoro; • dal tessuto economico; • dalle fasi di congiuntura economica; • dal contesto territoriale; • dalle caratteristiche istituzionali che lo regolano; • dal profilo del sistema formativo e scolastico. Anni ’80: difficoltà dei sistemi di welfare in termini di • sostenibilità finanziaria (invecchiamento della popolazione); • differente allocazione della spesa pubblica, determinata sia da difficoltà congiunturali che da modifiche strutturali che ha portato ad una riduzione delle risorse destinate al lavoro sotto forma di sussidi di disoccupazione e di specifiche misure rivolte alla popolazione giovanile (contratti formativi di inserimento, prestiti, sostegno all’imprenditoria, ecc.). Le riduzione di tali spese ha penalizzato per lo più i giovani residenti nell’Europa meridionale (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo). Area mediterranea (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo) Assenza di un sistema di protezione universale minimo. Sussidi di disoccupazione e programmi di inserimento solo a chi ha perso un lavoro dipendente. La Spagna e il Portogallo per far fronte a tale genere di situazione investono maggiori risorse nell’occupazione e nelle politiche di sostegno al mercato del lavoro. Area continentale (Austria, Belgio, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi) Presenta caratteri del sistema di istruzione e formazione diversi rispetto ai paesi della fascia mediterranea, basandosi su meccanismi maggiormente integrati tra scuola e formazione al lavoro e su politiche attive del lavoro in favore di chi abbandona la scuola. Area anglosassone (Regno Unito e Irlanda) Modello di welfare di tipo universalistico, ma con un intervento del settore pubblico limitato che offre un’assicurazione minima contro i rischi sociali della disoccupazione, invalidità e povertà. Nel Regno Unito, vengono garantite misure di politica attiva ai giovani svantaggiati in tempi più precoci rispetto alle altre tipologie di disoccupati. L’Irlanda ha un tasso di fecondità superiore rispetto agli altri Stati membri, investe molto nei settori della salute e della famiglia e adotta misure volte a combattere la disoccupazione e l’esclusione sociale. Per facilitare l’entrata dei giovani nel mercato del lavoro i governi degli Stati membri hanno adottato una politica volta ad una maggiore flessibilizzazione del mercato del lavoro. La Spagna si caratterizza per una flessibilità più accentuata che ha condotto spesso alla precarietà delle esperienze lavorative ed ha risentito più di altri paesi europei delle recenti scosse economiche e di mercato, a conferma della maggiore esposizione della componente giovanile del mercato del lavoro alle fluttuazioni congiunturali. In Germania la disoccupazione giovanile è cresciuta solo di poco rispetto agli altri paesi. Ciò potrebbe dipendere dalle transizioni particolarmente elastiche fra scuola e lavoro e al sistema di apprendistato di massa, ma anche alla messa a punto di strumenti specifici (network istituzionali con le imprese).