ACIDO URICO E RISCHIO CARDIOVASCOLARE :
MARKER o CONCAUSA?
Dr.Leotta Vincenzo ASL 2 Olbia
L’acido urico (AU) rappresenta il prodotto finale del metabolismo purinico e dell’attività della
xantino-ossidasi;questo enzima tende ad aumentare lo stress ossidativo e la produzione di
radicali liberi dell’ossigeno che sono direttamente responsabili della produzione di citochine e
dell’apoptosi e disfunzione endoteliale.
Il percorso di produzione dell’AU inoltre può favorire l’ossidazione delle lipoproteine e
l’aggregazione piastrinica,con ovvio potenziamento dell’attività aterotrombotica e facilitazione
nell’insorgenza e nella progressione della malattia coronarica e dello stato ipertensivo.
La tendenza dell’iperuricemia cronica con e senza deposito di cristalli di urato a combinarsi con
i diversi fattori di rischio cardiovascolare, dall’ipertensione all’obesità, al diabete, e con le
malattie cardiovascolari e renali è nota da oltre un secolo.
A partire dagli anni Cinquanta-Sessanta un numero crescenti di studi epidemiologici ha
dimostrato la stretta associazione tra i livelli circolanti di acido urico e malattie cardiovascolari.
L’importanza di questa associazione è però controversa alcuni gruppi di esperti come quelli del
Framingham Heart Study non considerano l’AU un fattore di rischio,invitando i medici a
considerare solo i fattori di rischio classici nella valutazione del paziente,e linee guida
autorevoli, come la JNC 7 non lo considerano un fattore di rischio cardiovascolare.
Nata come malattia prevalentemente delle articolazioni, l’iperuricemia cronica con deposito di
cristalli di urato nel corso degli ultimi anni è stata associata sempre più spesso alle malattie
cardiovascolari, cerebrali e renali di cui condiziona in modo rilevante la prognosi: cardiopatia
ischemia, scompenso cardiaco, ictus, deterioramento cognitivo, insufficienza renale.
Luigi XIV
Sebbene il ruolo dell’AU non sia stato ben definito,è ipotizzabile che questa sostanza possa
essa stessa costituire un fattore di rischio cardiovascolare o divenire un mediatore di altri
fattori di rischio come l’ipertensione,il diabete e la dislipidemia può inoltre avere una parte
Importante nell’incidenza dello stroke,nel peggioramento dello scompenso cardiaco e
nell’insorgenza della malattia renale. I valori di AU tendono ad essere significativamente
piu’elevati nell’uomo che nella donna, gli episodi gottosi sono cinque volte piu’ frequenti
nell’uomo .La maggioranza dei pazienti con iperuricemia non sviluppa gotta conclamata:
l’incidenza annuale di questa dolorosa artrite è stata stimata essere solo il 5%nei pazienti con
livelli di AU superiori a 9mg/dl.
L’aumento di rischio cardiovascolare osservato nei gruppi etnici che assumono uno stile d
vita Occidentale,che emigrano nelle nazioni occidentali,o che si spostano da aree rurali a
urbane,correla con l’aumento dell’AU.
Il brusco incremento di ipertensione,obesità,diabete e malattia renale osservato negli USA
negli ultimi 100 anni è stato pure associato a un progressivo aumento dell’uricemia: da meno
di 3.5 negli anni venti a 6-6.5 mg/dl negli anni settanta,con valori inferiori di 0.5-1mg circa nelle
donne,probabilmente per effetto uricosurico degli estrogeni.
Già nel 1897 Davis, nella suo discorso presidenziale alla American
Medical Association scriveva “High arterial tension in gout is due in
part to uric acid or other toxic substances in the blood which increase
the tonus of the [renal] arterioles” pur non avendo mai potuto
dimostrare nella sua carriera un ruolo causale dell’acido urico in
quanto a quei tempi non erano ancora disponibili farmaci efficaci nel
ridurre l’uricemia.
Se si considera che la clinica della iperuricemia non si esaurisce nella
classiche manifestazioni da deposito articolare (artrite) o
extraarticolare (tofi) appare evidente come debba essere posta
particolare attenzione alla iperuricemia cronica oltre che alla gotta per
sè. Per questo motivo si parla sempre più spesso di iperuricemia
cronica con e senza deposito di urati ad indicare che anche
indipendentemente dai segni clinici della gotta il monitoraggio dei
livelli di acido urico, nel contesto del quadro cardiovascolare e renale
globale del paziente, sia decisamente opportuno.
Iperuricemia e Gotta:
una relazione “complessa”
Non necessariamente un iperuricemico è anche un gottoso nè un
gottoso è necessariamente iperuricemico.
Frequenza dell’iperuricemia: 20 –25%
Frequenza della gotta: 1-3% (paesi occidentali)
Rapporto Iperuricemia : gotta = 10 : 1
La dieta ha un ruolo non trascurabile, sia pur meno importante di
quanto ipotizzato nel passato, nel favorire l’iperuricemia. Il consumo di
carne, pesce, frutti di mare e di cibi ad alto contenuto di fruttosio e
l’assunzione di birra e, più in generale, di alcolici aumentano i livelli di
acido urico sia pur in modo non clamoroso. Ciò rende ragione di come
nei paesi occidentali l’uricemia media sia sostanzialmente raddoppiata
dagli inizi del Novecento ai giorni nostri con un trend in ulteriore
aumento.
Sebbene l’uricasi (urato-ossidasi), che trasforma l’acido urico nella
più solubile allantoina, sia presente in quasi tutti gli organismi viventi,
(vertebrati, invertebrati, batteri, funghi, piante), è assente in molti
primati (in particolare nell’uomo) e nei cani dalmata. Nel genoma
umano è presente un gene per l'urato ossidasi, reso non funzionale
da due mutazioni.
Secondo alcuni studi di paleontologia genetica la perdita del gene
dell’uricasi, probabilmente verificatasi nel Miocene, in un periodo
quindi compreso fra 10 e 20 milioni di anni fa, avrebbe rappresentato
un vantaggio evolutivo in un momento in cui i primati che si
alimentavano con cibi vegetali, e quindi poveri di sale, stavano
assumendo la posizione eretta. L’aumento dell'uricemia conseguente
alla scomparsa dell'uricasi avrebbe compensato l'iponatremia
favorendo il mantenimento o l’innalzamento della pressione arteriosa
rendendola, quindi, più adeguata all'ortostatismo. Un ulteriore
beneficio deriverebbe dal fatto che l'acido urico, essendo un potente
antiossidante, sarebbe in grado di contrastare i radicali liberi,
aumentando l'aspettativa di vita e riducendo l'incidenza dei tumori.
Il metabolismo
dell’acido urico
Sintesi dell’acido urico
Glucosio 6-fosfato
Glucosio 1-fosfato
Fruttosio 6-fosfato
Ribosio 5-fosfato
Fosforibosilpirofosfato
Fosforibosilamina
Acido guanilico
Acido inosinico
Acido adenilico
Guanina
Ipoxantina
Adenina
Xantina
Acido urico
Alessandro Magno
L’acido urico rappresenta, nell’uomo, il prodotto finale urinario del
metabolismo delle purine. La concentrazione di acido urico nei liquidi
corporei è il risultato dell’equilibrio tra ritmo di produzione e velocità
di escrezione.
Nell’uomo la quantità di acido urico è di 1,2 grammi (poco più della
metà nella donna), con un turnover giornaliero di circa 0,7 grammi, di
cui circa 2/3 escreti per via urinaria ed 1/3 per via intestinale
(secrezione biliare, gastrica e intestinale). La forma circolante di
acido urico è costituita quasi interamente dallo ione urato. A pH
fisiologico ed a normale temperatura il limite di solubilità dell'urato è
6,8 mg/dl. A livello intestinale, la flora batterica residente degrada
l’acido urico mediante un processo di uricolisi. Le purine endogene
rappresentano la principale fonte di acido urico, con incremento nella
produzione dipendente dall’attività sintetica e dal riciclo delle stesse.
L ’ altra fonte di acido urico, quantitativamente minore, è
rappresentata dalle purine esogene, introdotte con la dieta, mentre
una piccola quota è di derivazione catabolica tissutale.
La clearance renale
dell’acido urico
Acido urico
Glomerulo
Aspartato
Secrezione
50%
Tubulo
prossimale
Glicina
CO2
Escrezione
6-12%
Riassorbimento
40-45%
Riassorbimento
98-100%
Filtrazione
100%
Tubulo distale
Glutamina
L’acido urico è una molecola idrosolubile, con un basso legame con
le proteine plasmatiche (circa 5%). Viene eliminato dal rene per
mezzo di un complesso meccanismo. L’urato è filtrato liberamente
dal glomerulo e oltre il 90% della quota filtrata viene attivamente
riassorbito nel tubulo prossimale, in gran parte grazie ad uno
specifico trasportatore denominato URAT-1. Nelle porzioni
successive del tubulo, l’urato va incontro a secrezione attiva e a
nuovo riassorbimento attivo, cosicché il risultato finale è una
secrezione urinaria di urato pari a circa il 6-12% della quantità filtrata.
I fenomeni di secrezione e riassorbimento attivi sono sensibili a
numerosi molecole.
Fattori che influenzano la clearance renale dell’urato:
riassorbimento tubulare di glucosio, fosfati, calcio,
bicarbonato
secrezione di acidi organici
estrogeni (riducono l’escrezione di acido urico)
flusso plasmatico renale
sodio,
Iperuricemia cronica
e rischio cardiovascolare
Enrico VIII
Numerose evidenze scientifiche suggeriscono come l’iperuricemia
cronica con e senza deposito di cristalli di urato sia un fattore di
rischio indipendente per lo sviluppo di ictus, infarto del miocardio e
malattia arteriosa periferica.
L’iperuricemia si colloca in una posizione di rilievo nello scenario
fisiopatologico delle malattie cardiovascolari in ragione della
frequente associazione con altri fattori di rischio cardiovascolare e di
una probabile lesività diretta a livello vascolare dell’acido urico nel
paziente iperuricemico.
Alcune interessanti evidenze scientifiche hanno dimostrato in modo
convincente l’esistenza di una relazione tra i livelli circolanti di acido
urico e la presenza di disfunzione endoteliale, ossia di una
compromissione della capacità delle arterie di modulare il proprio
tono vasomotore, espressione precoce di danno vascolare.
EFFETTI TOSSICI DELL’AU SUL SISTEMA
VASCOLARE:STUDI SPERIMENTALI
In un modello sperimentale nel ratto,reso iperuricemico mediante la
somministrazione di acido oxonico, un inibitore dell’enzima uricasi,rende i ratti
incapaci di metabolizzare l’AU ad allantoina. I ratti cosi’ trattati non solo diventano
iperuricemici, ma sviluppano anche ipertensione con un meccanismo legato da un
lato allo sviluppo di arteriosclerosi con inibizione della liberazione di ossido nitrico
(ON) e attivazione del RAS, dall’altro allo sviluppo di sodio-sensibilità. Esami
autoptici dimostrano lo sviluppo di un danno vascolare renale, caratterizzato da
vasocostrizione corticale,ispessimento dell’arteriola afferente e ipertensione
glomerulare. Tali alterazioni risultavano almeno parzialmente reversibili dopo
somministrazione di un inibitore del RAS: infatti,cellule muscolari lisce vascolari
incubate con AU andavano incontro a proliferazione, produzione di angiotensina II
e incremento dello stress ossidativo,effetti che venivano prevenuti dal trattamento
con captopril o losartan che aumenta l’escrezione urinaria di urato inibendo
l’assorbimento renale mediato dall’URAT-1.L’AU può esercitare un effetto
vasocostrittore mediato dall’endotelina-1.
Cellule muscolari liscie provenienti dall’aorta umana,incubate con crescenti
concentrazioni di AU,vanno incontro a proliferazione e a un’accresciuta
espressione di endotelina-1, monocyte chemoattractan che richiama macrofagi a
infiltrare la parete dei vasi aterosclerotici.
Osservazioni simili sono state riprodotte su fibroblasti di origine umana.
Acido urico e ipertensione
Svariati studi di popolazione hanno stabilito un’associazione abbastanza forte
fra livelli di uricemia e ipertensione nell’uomo. Anche se non si può escludere
l’effetto di fattori di confondimento,nella maggior parte degli studi i risultati
sono stati aggiustati per covariate,quali l’uso di diuretici,fattori dietetici e
consumo di alcool.
In uno studio 30 adolescenti con ipertensione essenziale,non sottoposti in
precedenza ad alcuna terapia farmacologica,e con uricemia >6.0 mg/dl sono
stati randomizzati a ricevere allopurinolo o placebo.
Nel gruppo trattato,si assisteva ad una riduzione dei valori pressori(valutati
mediante monitoraggio ambulatoriale) con normalizzazione in circa il 70% dei
casi,mentre, nel gruppo di controllo, i valori si normalizzavano in un solo
paziente. Inoltre, l’attività reninica plasmatica si riduceva solo nel gruppo
sottoposto a trattamento attivo, fornendo supporto all’ipotesi che l’azione
tossica dell’AU possa esplicarsi attraverso il RAS.
Lo studio LIFE condotto su soggetti ipertesi con ipertrofia del VS,ha
dimostrato la superiorità di losartan vs atenololo nella riduzione di morbilità e
mortalità cardiovascolare. Alla fine dello studio l’AU è risultato maggiore nei
soggetti trattati con atenololo rispetto a quelli trattati con losartan;
trattamento con quest’ultimo farmaco ha ridotto del 29%gli endpoint compositi
con evidenza statistica significativa per il sesso femminile. Sembra dunque
che il trattamento con losartan sia efficace nel ridurre l’iperuricemia,
determinando così un effetto protettivo a livello cardiaco e renale.
EFFETTI DEL FRUTTOSIO
Negli ultimi 200 anni c’è stato un grande aumento di consumo di fruttosio nei paesi
sviluppati,contemporaneo all’aumento di ipertensione e obesità. Il fruttosio,rispetto
ad altri zuccheri,induce iperuricemia stimolando la conversione di ATP epatico ad
ADP tramite la fruttochinasi; al consumo di ATP corrisponde un accumulo di AMP
che attivando l’AMP deaminasi porta alla sintesi di AU.
Dati sperimentali sostengono l’ipotesi di un collegamento tra assunzione di
fruttosio iperuricemia e aumento dei valori pressori.
Studi epidemiologici hanno pure collegato l’assunzione di fruttosio, e aumentato
rischio di iperuricemia e sindrome metabolica.
La somministrazione di diete ricche di fruttosio può indurre molte caratteristiche
della sindrome metabolica,compreso un aumento acuto dei valori pressori. Quindi,
l’iperuricemia indotta da fruttosio potrebbe avere un ruolo nell’aumento mondiale di
prevalenza dell’ipertensione. Anche l’ingestione di altri alimenti ( come pasti ricchi
di purine) bevande ( birra) o l’esposizione a tossici ( piombo )possono contribuire
ad aumentare i valori dell’AU,e portare a ipertensione”iperuricemica”.
Iperuricemia cronica
ed ipertensione arteriosa
Il paziente iperteso ipeuricemico mostra spesso un più evidente danno
d’organo rispetto al normouricemico (Figura tratta da Viazzi F, et al.
Hypertension 2005;45:991-6).
Una recente metanalisi che ha incluso 18 studi per un totale di oltre
55.000 partecipanti ha dimostrato per ogni mg/dl di incremento di
uricemia un parallelo aumento del rischio di sviluppare ipertensione
pari a 1.13 (intervallo di confidenza al 95% compreso tra 1.06 e 1.20).
Lo studio PIUMA condotto su 1720 ipertesi seguiti in follow up per
12 anni, ha evidenziato che un valore di AU elevato( 4° quartile vs
2° quartile) determina un incremento di eventi fatali e di morte per
tutte le cause.
Lo studio WORKSITE TREATMENT PROGRAM ha valutato il
rapporto tra AU ed eventi cardiovascolari nel soggetto iperteso su
8690 ipertesi. La riduzione dell’uricemia di 1 mg/dl era associata ad
una riduzione di eventi del 32% ed era comparabile ad un calo del
colesterolo totale di 46 mg/dl o della PA di 10 mmHg.
Iperuricemia, obesità e
dismetabolismo glucidico
Lorenzo il Magnifico
La prevalenza di sindrome metabolica è significativamente aumentata nei pazienti
con iperuricemia cronica con deposito di cristalli di urato (Figura tratta da Choi HK,
et al. Arthritis Rheum 2007; 57:109-15.).
Il frequente riscontro di elevati livelli di acido urico nei pazienti con sindrome
metabolica è stato attribuito alla presenza di iperinsulinemia in quanto l’insulina
riduce l’escrezione renale di acido urico. L’iperuricemia, tuttavia, spesso precede la
comparsa dell’iperinsulinemia, dell’obesità e del diabete e può essere presente
anche nei pazienti con sindrome metabolica non obesi.
La presenza di livelli di uricemia anche solo moderatamente aumentati (>5.3 mg/dL
nelle donne e >7.0 mg/dL negli uomini) è associata anche a un significativo aumento
del rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2 (hazard ratio: 2.78 con un intervallo
di confidenza al 95% compreso tra 1.35 e 5.70, p = 0.0054).
In un recente studio epidemiologico condotto su soggetti diabetici, l’AU elevato si
dimostrava come importante predittore di mortalità. In questa coorte di 535 diabetici,
seguiti dal 1998 al 2004, un incremento di 1 mg/dl di AU era associato a un
incremento di mortalità del 41%, e una maggiore predittività di mortalità si aveva per
valori di HbA1c < 9 mg/dl mentre lo era meno per valori >9 mg/dl.
ACIDO URICO E RENE ( IRC )
Nel 1928 Gudzent descriveva una “ nefropatia gottosa” che veniva riscontrata nel
79-99% dei pazienti all’autopsia, caratterizzata da fibrosi interstiziale,glomerulosclerosi
e ispessimento delle pareti arteriolari con fibrosi intimale. Diversi studi epidemiologici
hanno stabilito un legame fra elevati livelli serici di AU e successivo sviluppo di CKD.
Due studi di popolazione giapponese hanno dimostrato una significativa relazione
fra livelli di AU e CKD:
Nel primo condotto su 6403 soggetti, livelli di uricemia superiori a 8.0 mg/dl
conferivano un rischio di sviluppare CKD 2.9 volte superiore negli uomini e
10.4 volte nelle donne, rispetto ai soggetti con valori basali <5.0 mg/dl.
Nel secondo studio a cui prendevano parte 48177 soggetti, con un follow up
di 7 anni, un’uricemia superiore a 7.0 mg/dl comportava un significativo
rischio di sviluppare una malattia renale terminale pari a 2.31 negli uomini e
a 5.87 nelle donne. Studi recenti mostrano che la riduzione dei valori uricemia
trattando l’iperuricemia asintomatica , può rallentare la progressione della
malattia renale, e migliorare la funzionalità renale. In un altro studio, la sopensione
di allopurinolo a gruppi di soggetti con CKD stabilizzata, ha peggiorato l’ipertensione
e accelerato l’insufficienza renale nei pazienti che non assumevano ACEI.
Iperuricemia cronica e
malattia renale
Evidenze
ottenute
in
modelli
sperimentali
dimostrano
che
concentrazioni elevate di acido urico
sono in grado di indurre lo sviluppo di
un
danno
renale,
soprattutto
rappresentato da glomerulosclerosi,
fibrosi interstiziale e danno arteriolare,
o di aggravare una preesistente
nefropatia anche in assenza di
deposizioni di cristalli di urato.
La nefropatia uratica (rene gottoso), caratterizzata dalla deposizione
di cristalli di urato monosodico a livello dell’interstizio, può
manifestarsi con proteinuria e ridotta capacità di concentrazione delle
urine e può essere causa di insufficienza renale.
Cesare
Il danno renale da iperuricemia è rappresentato anche da:
Litiasi renale, estremamente frequente nei gottosi ed è proporzionale
alla quantità di acido urico escreto.
Nefropatia da acido urico, appannaggio dei pazienti in chemioterapia,
è un quadro di insufficienza renale acuta provocato dalla massiccia
precipitazione di cristalli di urato monosodico a livello dei tubuli, dei
dotti collettori, dei bacinetti e degli ureteri. Generalmente è
reversibile.
In uno studio di recentissima pubblicazione i soggetti affetti da
iperuricemia cronica con deposito di urato hanno mostrato
un’incidenza dell’insorgenza di End State Renal Disease significativamente più alta (p<0.001) rispetto a quelli che non presentavano
tale condizione clinica. Il rischio dell’insorgenza di insufficienza renale
terminale è risultato soprattutto aumentato nei soggetti con età >45
anni (Kuang-Hui Yu et al. Arthritis Research & Therapy 2012).
Iperuricemia cronica ed
eventi cardiovascolari
Karl Marx
Nel Preventive Cardiology Information System (PreCIS) Database
Cohort Study sono stati osservati livelli sierici di acido urico
significativamente maggiori nei pazienti con pregressa diagnosi di
coronaropatia rispetto al resto dei pazienti studiati (6.3±1.7 mg/dL
versus 5.9±1.6 mg/dL; p < 0.001).
Analizzando i dati degli oltre 3000 pazienti arruolati nello studio
PreCIS è risultato evidente come il rischio di mortalità crescesse
gradualmente all’aumentare dell’uricemia, risultando significativamente superiore nel gruppo di pazienti appartenenti al quartile
più alto (7.1-13.9 mg/dL) rispetto a quelli appartenenti al quartile più
basso (0.4-4.9 mg/dL) di uricemia (Figura tratta da Ioachimescu AG
et al. Arthirtis & Rheumatism 2008: 58: 623-30.).
Già a partire dal terzo anno di follow-up è stato osservato un
incremento del rischio di mortalità per tutte le cause pari al 39% per
ogni singolo incremento di 1 mg/dL di acido urico sierico (intervallo di
confi denza al 95% compreso tra 1.28 e 1.50; p < 0.001) .
Iperuricemia cronica e
mortalità cardiovascolare
Clemente VII
Lo studio NHANES I ha dimostrato una più elevata mortalità
cardiovascolare nei pazienti con più elevati livelli di uricemia (Figura
tratta da Fang J, et al. JAMA 2000; 283: 2404-10).
È interessante notare come la relazione tra acido urico e malattie
cardiovascolari sia evidente non solo in condizioni di franca
iperuricemia ma anche per livelli di uricemia nel range di normalità o
ai limiti alti della norma, sia in nei soggetti sani che in quelli con
anamnesi positiva per malattie cardiovascolari.
L’iperuricemia cronica è associata
ad aumentata mortalità
nello scompenso cardiaco
L’iperuricemia rappresenta anche un predittore indipendente di
prognosi sfavorevole nei pazienti con scompenso cardiaco lievemoderato (Figura tratta da Anker SD, et al. Circulation 2003; 107:
1991-97.).
La presenza di depositi di cristalli di urato rappresenta un importante
determinante dell’aumentato rischio cardiovascolare nei pazienti con
iperuricemia cronica. Nello studio di Framingham, nei pazienti
iperuricemici cronici la presenza di deposito di cristalli di urato era
associata a un aumento di due volte del rischio di sviluppare eventi
coronarici rispetto ai pazienti senza depositi.
Trattamento dell’iperuricemia cronica:
gli inibitori della xantino-ossidasi
Carl von Linnè
La xantina ossidasi, enzima flavinico che catalizza la conversione
della xantina in acido urico, è il target enzimatico dei farmaci che
interferiscono con la sintesi di acido urico.
Gli inibitori della xantina ossidasi arrestano il metabolismo delle
purine alla formazione di ipoxantina e di xantina, intermedi metabolici
che vengono quindi eliminati come tali.
Proprio in ragione del loro meccanismo di azione questi farmaci
possono essere utilizzati nell’iperuricemia indipendentemente dalle
cause di iperproduzione di acido urico e si sono dimostrati efficaci sia
negli iperproduttori che negli ipoescretori e rappresenta di fatto il
trattamento abituale del'iperuricemia.
Allopurinolo
Per lunghi anni l’inibitore della xantina ossidasi di riferimento è stato
l’allopurinolo, analogo purinico che inibisce competitivamente la
xantina ossidasi .
La dose giornaliera necessaria per portare l'uricemia ai valori
desiderati è compresa tra 100 e 600 mg. La maggior parte dei pazienti
assumono la dose di 300 mg/die anche se nella generalità dei casi
questa dose non è sufficiente a portare l’uricemia a target.
Nei pazienti con normale funzionare renale si potrebbe arrivare ad una dose
giornaliera di 800 mg. L'effetto inizia entro 2 giorni e si stabilizza in una-due
settimane; la stabilizzazione è di regola più lenta nei soggetti con gotta tofacea.
Napoleone Bonaparte
Allopurinolo viene metabolizzato ad ossipurinolo, metabolita attivo
che viene eliminato dal rene, cosa che impone una netta riduzione
della dose di allopurinolo in presenza di insufficienza renale.
Allopurinolo è efficace nel prevenire le ricorrenze di gotta e nel
favorire la regressione dei tofi, a condizione che il target terapeutico
venga raggiunto.
L’uso di allopurinolo può essere gravato da reazioni indesiderate
soprattutto a carico dell’apparato gastroenterico (nausea, vomito,
diarrea), della cute (eruzioni cutanee ma anche casi di necrolisi
epidermica tossica e di sindrome di Stevens-Johnson) e del sistema
emopoietico (leuco- e trombocitopenia). Sono stati descritti anche
vasculiti, nefriti interstiziali e casi di urolitiasi e di cristalluria (cristalli di
xantina e di ossipurinolo) in soggetti con uricuria particolarmente
elevata e una sindrome da ipersensibilità molto rara, ma con una
letalità del 25% dei casi, che sembra favorita dalla presenza di
insufficienza renale e dall'uso di diuretici.
Febuxostat
A differenza dell’allopurinolo e del suo metabolita attivo ossipurinolo il
febuxostat non è un analogo della purine, cosa che permette al
farmaco di inibire soltanto la xantina ossidasi e non altri enzimi
coinvolti nel metabolismo delle purine e delle pirimidine.
L’assorbimento di febuxostat dopo somministrazione orale è molto
rapido (circa l’85% si ritrova in circolo dopo 1 ora dall’assunzione) e
non viene influenzato in modo significativo dall’assunzione di cibo e
antiacidi. Il farmaco ha un’emivita di circa 12 ore, caratteristica questa
che ne consente la monosomministrazione giornaliera.
Pio III
Febuxostat viene principalmente metabolizzato a livello epatico
mediante glucuronidazione e presenta una doppia via di eliminazione,
epatica e renale. Ciò ne consente l’uso senza dover prevedere
aggiustamenti posologici anche nei pazienti con insufficienza renale
di grado moderato e negli anziani
Febuxstat non presenta interazioni clinicamente rilevanti con il
citocromo P450 e quindi con i farmaci metabolizzati da questo
sistema enzimatico.
Come per l’allopurinolo anche per febuxostat va considerata la
possibilità di una interazione con le 6-mercaptopurina e l’azatioprina
in ragione della metabolizzazione di questi farmaci attraverso la
xantina ossidasi.
Febuxostat vs allopurinolo:
Studio FACT
Giovanni Calvino
Nei diversi studi clinici di confronto febuxostat ha sempre mostrato
nei confronti di allopurinolo una maggiore efficacia nel ridurre i livelli
di acido urico. Nel Febuxostat Allopurinol Controlled Trial (FACT)
Study 762 pazienti con iperuricemia (≥ 8.0 mg/dL) cronica e deposito
di cristalli di urato sono stati randomizzati a ricevere febuxostat (80
mg o 120 mg) oppure allopurinolo (300 mg) in monosomministrazione giornaliera per 52 settimane.
L’endpoint primario era rappresentato dal conseguimento di una
uricemia <6.0 mg/dL nelle ultime 3 misurazioni mensili. L’endpoint
primario è stato raggiunto nel 53% dei pazienti trattati con febuxostat
80 mg, nel 62% di quelli trattati con febuxostat 120 mg e nel 21% dei
pazienti randomizzati a ricevere allopurinolo 300 mg al giorno (p
<0.001 per entrambe le dosi di febuxostat versus allopurinolo) (Figura
tratta da Becker MA, et al. New Engl J Med 2005;353:2450-61).
Analogamente, nello stesso studio la riduzione dell’area interessata
da tofi risultava superiore nei pazienti trattati con febuxostat 80 mg (83%) e 120 mg (-66%) rispetto a quella osservata nei pazienti trattati
con allopurinolo (-50%).
Febuxostat vs allopurinolo:
Studio APEX
La manegevolezza di febuxostat anche nei pazienti con inziale danno
renale ha trovato conferma nello Febuxostat, Allopurinol and
Placebo-Controlled (APEX) Study nel quale 1.072 pazienti con
iperuricemia (≥8.0 mg/dL) cronica e deposito di cristalli di urato e
creatininemia normale oppure moderatamente elevata (>1.5 e ≤2.0
mg/dL) sono stati randomizzati al trattamento per 28 settimane con
febuxostat (80 mg/die, 120 mg/die o 240 mg/die), allopurinolo (300
mg/die o 100 mg/die, in relazione alla funzione renale) o placebo.
L’endpoint primario, rappresentato da una uricemia <6.0 mg/dL nelle
ultime 3 misurazioni mensili, è stato osservato in una percentuale
significativamente più elevata di pazienti assegnati al trattamento con
febuxostat (80 mg = 48%; 120 mg = 65%; 240 mg = 69%) rispetto a
quanto osservato nei pazienti assegnati ad allopurinolo (22%) o
placebo (0%) (Figura tratta da Schumacher HR, et al. Arthritis Rheum.
2008; 59:1540-48).
La gotta è una condizione clinica che vede nel MMG il protagonista
assoluto della sua gestione completa, dalla precisazione diagnostica,
al trattamento degli attacchi acuti, alla prevenzione delle recidive
gottose, prevendendo, ovviamente, la stretta collaborazione con lo
specialista.
La patologia è tipicamente cronica e richiede, quindi, un monitoraggio
continuo al fine di controllare l’aderenza alla prescrizioni terapeutiche
farmacologiche e non di cui la letteratura scientifica ha dimostrato
chiaramente l’efficacia nel prevenire le riacutizzazioni.
La crescente evidenza di una associazione sempre più solida tra
iperuricemia, fattori di rischio cardiovascolare ed eventi
cardiovascolari suggerisce l’opportunità di tenere sempre nella giusta
considerazione i livelli di acido urico allorquando si approccia ad una
strategia di prevenzione cardiovascolare. Stando a quanto suggerito
dalle evidenze scientifiche parrebbe, infatti, alquanto miope limitare
l’attenzione sul dismetabolismo dell’acido urico alla sola gotta.
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