AA ATTUALITÁ EDI TO RIALE Di Massimo Vallini Vero amore Il più rispettoso contributo allo spettacolo, dopo i ciclisti, l’hanno dato senz’altro i tifosi colombiani N on che le bici e i campioni del Giro d’Italia debbano (né possano) essere difesi da rugbisti nerboruti (come nella pubblicità televisiva di una nota assicurazione svizzera), ma ricordo di aver osservato con una punta di soddisfazione che in tutte le salite del Tour de France c’è un gendarme a ogni curva. Allo Zoncolan una catena umana di 120 alpini e personale della Protezione civile si sono messi in mostra all’ultimo chilometro e basta. Non sono per la strade blindate o supertransennate, ma dove i tifosi dimostrano poca responsabilità, occorre intervenire. Il ciclismo è sport gratuito, i tifosi non pagano il biglietto, certo, ma devono raggiungere la posizione a piedi e con la bicicletta (e poi tornarsene indietro). Alcuni si “accontentano” di godersi la giornata. Altri pretendono di mettersi in mostra nei modi più assurdi e grotteschi, tanto che il diavolo rosso tedesco Didi Senft resta roba da ridere. Anzi, degno di rispetto perché lui di gare ne segue tante in tutta Europa, dal 1992, ed è un vero appassionato. L’immagine del Giro esportata all’estero può averne patito. Più internazionale non s’è mai visto il Giro d’Italia: 3 Paesi attraversati; 30 diverse nazionalità dei corridori; 171 i Paesi in cui è stato trasmesso giornalmente. Soprattutto, nessun leader della classifica generale europeo, per la prima volta nei grandi giri. Il più rispettoso contributo allo spettacolo, dopo i ciclisti, l’hanno dato senz’altro i tifosi colombiani che si commuovono per la prima doppietta in un grande Giro, con l’inno nazionale e la bandiera. Hanno saputo celebrare degnamente un Giro in cui è stata spazzata via, per tanti motivi, ma soprattutto per prestazioni, una generazione intera di ciclisti. Nairo Quintana e Fabio Aru sono sono nati nel 1990, Rigoberto Uran Uran nel 1987. Pierre Rolland, il quarto, è del 1986, il sesto, Rafal Majka del 1989, Wilco Kelderman è addirittura del 1991. Il quinto, Domenico Pozzovivo, del 1982, è l’unico che appartiene alla generazione dei Cadel Evans (comunque ottavo alla fine), Joaquim Rodriguez, Michele Scarponi e Ivan Basso che si aspettavano in migliori posizioni. Quanto al bilancio nazionalistico, senz’altro Aru è una bella realtà che si è manifestata e direi anche imposta all’attenzione di tutti nel modo migliore, come specialista delle corse a tappe. Diego Ulissi, con due vittorie d’autorità, si candida per le classiche da un giorno con finale difficile. Qualche altra buona individualità dalla wild card Bardiani-Csf: Enrico Battaglin, Marco Canola, Francesco Manuel Bongiorno. Atleti moderni che dalla edizione numero 97 del Giro hanno forse trovato la motivazione e la consapevolezza giuste. Gli sprinter devono ancora lavorare, ma sono sulla buona strada: Elia Viviani e Giacomo Nizzolo hanno collezionato piazzamenti, ma si sono confrontati con l’élite mondiale. Anche da loro è lecito attendersi risultati migliori.