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Sandro Botticelli
e Jan Van Eyck
Sandro Filipepi, chiamato Botticelli, fu uno dei maggiori esponenti della pittura fiorentina nel XV secolo.
Il nome d’arte Botticelli gli venne conferito a causa dell’apprendistato intrattenuto presso la bottega del maestro orafo Botticello.
Egli può essere considerato l’artista più legato all’ambiente intellettuale della corte di Lorenzo il Magnifico.
Dopo l’esperienza con Botticello, ebbe la fortuna di frequentare due botteghe importanti: quella di Lippi e quella del Verrocchio. Da questi
due pittori artisticamente ereditò l’utilizzo di colori delicati e il dolce linearismo dei contorni.
La frequentazione di questo ambiente lo portò alla realizzazione di opere di soggetto molto aulico e colto, tra cui ricordiamo La Primavera e
La Nascita di Venere.
Si tratta di opere ispirate e dedicate al mito della dea Afrodite.
Sandro Botticelli lavorò inoltre per i Medici, favorendone la politica culturale e a Roma dipinse nella Cappella Sistina. In seguito a una crisi
mistica, profondamente influenzata dal movimento religioso di fra Gerolamo Savonarola, lo stile delle sue opere si differenziò da quello
abituale, prediligendo le iconografie medievali alle rappresentazioni mitologiche e prospettiche del periodo precedente.
La Primavera
Autore: Sandro Botticelli
Tecnica: tempera su tavola
Dimensioni: 203x314 cm
Epoca: 1482 circa
Conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
Le tre grazie si intrecciano in una danza armoniosa.
Possiamo considerare La Primavera uno dei
quadri più affascinanti del rinascimento perché ne
incarna gli ideali estetici e culturali.
L’opera non è destinata al pubblico, ma ad una
committenza privata d’alto livello: la famiglia
fiorentina de’ Medici.
Il dipinto fu infatti destinato alla residenza in Via
Larga di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici.
Successivamente trasportato nella Villa di
Castello di Giorgio Vasari, da quest’ultimo gli fu
dato il titolo “La Primavera”, che tuttavia non
rispecchia pienamente la realtà del soggetto.
Il genere di linguaggio utilizzato è quello aulico,
come dimostrano il soggetto mitologico e la
complessità dei rimandi alla letteratura e alla
filosofia.
La trasfigurazione della realtà è evidente: il
giardino raffigurato nell’opera è un fantastico
tappeto di fiori dove le figure si muovono sull’erba
senza calpestarla, n quanto immagini incorporee,
evanescenti.
Su questo tappeto i fiori sono curati in ogni
minimo dettaglio; si tratta infatti di un prato
realistico: sono raffigurate più di trenta specie di
fiori.
Questa è una caratteristica che ritroviamo anche
nella pittura fiamminga.
La lettura più attendibile del dipinto è quella dove
partendo da destra troviamo Zefiro che afferra
Clori. La ninfa viene raffigurata una seconda volta
sotto forma di Flora, personificazione della
Primavera, per via della veste fiorita e dalle
ghirlande che le cingono la testa.
Al centro, la Venere vestita si staglia dinnanzi ad
una pianta di mirto e incede con passo danzante
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e Cupido bendato al di sopra della sua testa
volteggia preparandosi a scagliare una freccia in
direzione di una delle tre grazie.
Alla destra di Venere le tre grazie si intrecciano in
una danza armoniosa e Mercurio, riconoscibile dai
calzari e dal copricapo dei viaggiatori, si protende
al fine di allontanare le nubi col suo caduceo.
Secondo questa lettura si ha graficamente un
passaggio dall’amore passionale (Zefiro e Clori)
all’amore come contemplazione del divino
(Mercurio) attraverso l’amore platonico (Venere
vestita).
Altra tesi credibile sul senso dell’opera è che
rappresenti il raggiungimento della ragione
attraverso le varie fasi e i diversi aspetti
dell’amore: da quello terreno a quello platonico.
Venere rappresenta l’Humànitas e in quanto tale
svolge la funzione di mediatrice fra questi estremi.
Inoltre in quanto dea dell’amore casto, ella è
emblema del matrimonio.
Le Grazie sono allegoria della concordia e delle
facoltà intellettuali. Non si esclude rappresentino
tre aspetti dell’amore: castità al centro, bellezza
sulla destra e voluttà a sinistra.
Altra interpretazione è che esse siano le ore e la
loro danza il tempo che fugge portandosi via la
giovinezza.
La nascita di Venere
Autore: Sandro Botticelli
Tecnica: tempera su tela di lino
Dimensioni: 172×278 cm
Epoca: 1482-1485 circa
Conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
Il dipinto fu realizzato dopo il soggiorno a Roma
grazie agli studi lì compiuti. L’artista iniziò a
formare e a scrivere gli ideali di bellezza del
neoplatonismo per il quale la perfezione esteriore
era manifestazione di quella interiore.
Venere, nata dalla schiuma del mare, raggiunge
l’isola di Cipro su una conchiglia, sospinta dal
vento Zefiro e dalla brezza Aura. Viene accolta da
Flora, una delle Ore, ninfe che presiedono le
stagioni, che le offre un mantello fiorito per
coprirsi.
Il paesaggio è essenziale: le onde del mare sono
appena accennate con delle increspature a “V” la
costa segue una linea semplice a picchi. Per
questo motivo la concentrazione si intensifica sui
personaggi: i corpi dei venti che si avviluppano, la
ninfa sulla sponda, ma soprattutto su Venere che
è il soggetto principale al centro della
composizione.
La Venere si presenta con espressione
malinconica che poi diventerà una caratteristica di
tute le figure femminili di Botticelli.
Egli la rappresenta in maniera pudica in quanto
incarnazione dell’Humanitas, cioè degli aspetti
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spirituali e razionali dell’animo e dell’amore
sublime non che simbolo della purezza dell’anima.
Questi ideali sono resi attraverso la scelta di colori
terracei, il linearismo dei profili netti, l’incresparsi
delle onde, la sinuosità del panneggio e dei
capelli. Mentre il lato sinistro del corpo della dea
segue una linea morbida e continua, quello destro
è caratterizzato dal movimento dei lunghi biondi
capelli sospinti dal vento.
Nella raffigurazione del corpo, risaltano diverse
scelte anatomiche che possono risultare
innaturali, come per esempio le spalle spioventi, il
collo esageratamente lungo e il braccio sinistro
che presenta una conformazione impossibile.
Il Botticelli si concentra principalmente sull’intento
allegorico e filosofico e sul raggiungimento di una
forma raffinata e astratta.
Jan Van Eyck
Nel 400 nelle Fiandre la borghesia mercantile diventa sempre più ricca e riesce a finanziare una produzione artistica paragonabile a quella
fiorentina.
Mentre la pittura fiorentina studia la rappresentazione spaziale e l’equilibrio compositivo, gli artisti fiamminghi indagano minuziosamente
sulla realtà, soffermandosi con estrema precisione su ogni particolare, come se osservassero le cose attraverso una lente di ingrandimento.
Ai fiamminghi viene attribuita l’invenzione della tecnica della pittura ad olio, che permette una miglior resa naturalistica, una nuova
brillantezza cromatica. Nei loro dipinti non è la prospettiva a dare l’effetto di profondità, ma le venature di colore che si diffondo sfumando il
paesaggio.
I fiamminghi giunsero in Italia passando per Napoli e grazie al loro massimo esponente Van Eyck si diffonde in Italia la loro pittura,
permettendo così la nascita di un confronto fra pittori italiani e fiamminghi e, come sempre avviene, reciproci scambi.
Gli italiani (fra cui Botticelli, Piero della Francesca, Antonello da Messina) apprendono la tecnica a olio e l’attenzione nell’analisi
particolareggiata della realtà, i fiamminghi l’impostazione spaziale più rigorosa.
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Coniugi Arnolfini
Autore: Jan Van Eyck
Tecnica: olio su tavola
Dimensioni: 82x59 cm
Epoca: 1434
Conservato alla National Gallery di Londra
Il dipinto descrive il momento cruciale del giuramento
matrimoniale nel momento in cui si uniscono le mani
dei coniugi Arnolfini.
Il luogo dove si svolge la scena è l’ambiente
domestico. L’abitazione è di tipo borghese poiché
riccamente arredata.
Lo specchio alla parete in fondo alla camera svela
ciò che non si vede, cioè un testimone alle nozze: il
pittore stesso, che addirittura per ribadire la sua
presenza si firma sotto di esso col suo nome.
Una caratteristica fiamminga sono gli elementi
simbolici, infatti sono visibili il letto e una candela
accesa, simboli del matrimonio stesso.
Ai piedi degli sposi si trova un cane, simbolo della
fedeltà matrimoniale.
Lo specchio significa la purezza dell’unione tra i due.
In fine, gli zoccoli, rievocano la frase biblica “Levati
le scarpe perché il luogo dove stai è terreno
consacrato”, in riferimento allo spazio del
sacramento matrimoniale.
Si tratta di una pittura che ha la funzione di esaltare i
personaggi importanti e il loro stile di vita.
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La Madonna del cancelliere Rolin
Autore: Jan Van Eyck
Tecnica: olio su tavola
Dimensioni: 66×62 cm
Epoca: 1435
Conservato al museo del Louvre, Parigi
Lo stile del dipinto è immediatamente riconducibile a
quello fiammingo per via dell’attenzione ai particolari.
Tutti gli elementi della composizione sono raffigurati
con chiarezza.
Il passaggio della città fluviale è riprodotto in ogni
minuzia con una chiarezza espositiva
impressionante.
Gli uomini sul fondo sono ben particolareggiati,
persino nelle pieghe delle vesti.
C’è una perfezione maniacale anche nelle
architetture, che grazie al confronto con la pittura
italiana, vengono riprodotte seguendo le rigorose
regole della prospettiva.
Gli elementi in primo piano sono caratterizzati dalla
ricchezza dei dettagli nei vestiti e nei gioielli.
L’angelo che porge una corona di manifattura
complessissima, frutto di una ricerca impressionante
della bellezza.
Non si trovano figure o elementi semplicemente
abbozzati.
I capitelli delle colonne, ad esempio, sembrano quasi
ricamati, tanto sono rifiniti.
Per quanto riguarda i colori, la luminosità dei gialli
brillanti è una delle caratteristiche formali e
compositive fiamminghe.
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Uomo con turbante rosso
Autore: Jan Van Eyck
Tecnica: olio su tavola
Dimensioni: 25.5x19 cm
Epoca: 1433
Conservato alla National Gallery di Londra
Questo dipinto è esempio dell’evoluzione nel ritratto,
da quello di profilo a quello di tre quarti o anche detto
“a scorcio”.
La caratteristica forte che subito balza all’occhio è la
scelta dello sfondo: il colore scuro uniforme serve a
dare luce al ritratto.
La posa di tre quarti ha la funzione di mettere in
evidenza il profilo psicologico così da darci
informazioni sul personaggi per mezzo del suo
atteggiamento.
L’uomo col turbate ha un’espressione seria e decisa.
È abbigliato con una veste sobria e un vistoso
turbante rosso, che crea un complesso insieme di
pieghe, sulla quale la luce incede rendendo con
precisione la morbidezza della stoffa.
Il linguaggio utilizzato dal pittore, quello fiammingo, è
realistico: l’artista intensifica anche gli aspetti più
minuti della realtà a partire dalle vene e dalle rughe,
fino alla barba rasata che rispunta.
È il contrasto fra viso e sfondo che concorre al
risalto dei particolari.
Più in generale, i fiamminghi non amano né sono in
grado di idealizzare le immagini, l’aspetto che li
interessa è principalmente quello psicologico, atto a
presentare la grandezza d’animo del soggetto.
Ritratto d’uomo
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Sandro Botticelli e Jan Van Eyck