GIUGNO 2013 Anno CXLVI SPED. IN ABB. POSTALE ROMA - D.L. 353/03 (CONV. IN L. ART. 1 COMMA 1 N°46 DEL 27/02/04 ) - PERIODICO MENSILE 6,00 € RIVISTA MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868 All’interno: PRIMO PIANO La Marina Militare oggi Giuseppe De Giorgi Corea del Nord: Pioggia di primavera o preludio di tempesta? Alessio Patalano RIVISTA MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868 GIUGNO 2013 - anno CXLVI REGISTRAZIONE TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N. 267 31 LUGLIO 1948 CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÀ AUTORIZZATA 3 S COMUNICAZIONE CORSO BUENOS AIRES, 92 20124 - MILANO Tel. 02 2043561 Fax. 02 20242118 [email protected] Fotolito e stampa ROSSI S.r.l. VIA BOSCOFANGONE - ZONA INDUSTRIALE A.S.I. 80035 NOLA (NAPOLI) TEL. 081 3151040 - 3151041 FAX 081 8210439 www.rossiprint.it Gentili abbonati, Molto probabilmente buona parte di loro riceveranno il numero di giugno prima di alcuni fascicoli precedenti. Il disservizio è stata causato dalla necessità di cambiare il regime amministrativo e burocratico con cui avveniva fino a oggi la stampa e la distribuzione della Rivista Marittima e dalla decisione presa sotto la mia diretta responsabilità di andare avanti comunque senza attendere lo sblocco della situazione, pena il rischio di accumulare anche un ritardo di 6 mesi, come già accaduto anni fa. Sono convinto che dai prossimi numeri, con il nuovo assetto che prevede il ritorno completo all’inserzione della pubblicità, ogni problematica amministrativa verrà superata e che la Rivista Marittima potrà tornare a essere un mensile che esce puntuale tutti i mesi e non a singhiozzo con ampi margini di crescita e miglioramento. I numeri precedenti al numero di giugno saranno comunque distribuiti, seppur con ritardo, a tutti gli abbonati con cui mi scuso personalmente per il disservizio. Patrizio Rapalino La collaborazione alla Rivista è aperta a tutti. Il pensiero e le idee riportate negli articoli sono di diretta responsabilità degli Autori e non riflettono il pensiero ufficiale della Forza Armata. Rimaniamo a disposizione dei titolari dei copyright che non siamo riusciti a raggiungere. Gli elaborati non dovranno superare la lunghezza di 12 cartelle e dovranno pervenire in duplice copia dattiloscritta e su supporto informatico (qualsiasi sistema di videoscrittura). Gli interessati possono chiedere alla Direzione le relative norme di dettaglio. È vietata la riproduzione anche parziale, senza autorizzazione, del contenuto della Rivista. 2 Rivista Marittima-Giugno 2013 EDITORIALE SUFFICIT ANIMUS appiamo tutti che ogni 10 giugno la Marina Militare celebra la ricorrenza dell’affondamento della corazzata austro-ungarica Santo Stefano al largo dell’isola di Premuda, avvenuta proprio il 10 giugno del 1918 da parte del MAS 15, al comando del comandante Luigi Rizzo. Man mano, però, che entriamo nei particolari relativi all’impiego degli uomini e dei mezzi della Marina nella Grande Guerra, diminuisce il numero di coloro che sono a conoscenza di altre importanti imprese. Non tutti sanno, anche se non certo i lettori della Rivista Marittima, che L’eroe di Milazzo, non era al suo primo successo: nella notte tra il 9 e il 10 dicembre 1917 aveva già affondato in porto a Trieste la corazzata Wien. Il successo, quando è ripetuto, non è frutto di solo eroismo e fortuna, ma soprattutto di professionalità, di una attenta analisi della situazione, dell’aerea geografica e della scelta dei mezzi più idonei per contrastare la minaccia. Ossia, dietro al successo dell’azione di Rizzo, c’è il successo della pianificazione dell’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Capo di Stato Maggiore dell’epoca. Pochi sanno, anche tra di noi, che sempre grazie all’impulso dato dal Grande Ammiraglio, un nuovo mezzo stava muovendo i primi passi nella guerra sul mare: l’aereo. L’aviazione navale di cui oggi, in occasione della festa della Marina, festeggiamo i suoi 100 anni stava facendo grandi progressi. Dall’esame dei numerosi rapporti di volo possiamo prendere atto che già durante la prima guerra mondiale l’aviazione di Marina attaccava regolarmente, di notte, le basi navali di Pola, Durazzo e Cattaro migliorando i propri sistemi d’arma e le tecniche di attacco, compreso l’impiego di idrovolanti siluranti. Da un rapporto del tenente di vascello Casagrande su una missione speciale di infiltrazione in territorio nemico leggiamo: «in volo alle ore 3 dirigo per Cortellazzo. Giunto a Piave vecchio vedo accendere successivamente i proiettori di Caorle, Grado, Salvore e Parenzo; continuo in rotta per Punta Tagliamento […] Il motore, regolato con rallenty a soli 200 giri non produce nessun rumore […] Riesco così a portarmi sulla verticale del tratto di canale scelto per l’ammaraggio, a 10 km entro terra. La luna completamente coperta ostacola il riconoscimento della località e mi lascia molto incerto sulla possibilità di ammarare; a 200 metri di quota passo su Casoni Fumolo, che riconosco […] viro e riesco, lasciandomi cadere alla minima velocità, a prendere acqua senza incidenti […] approfittando dell’abbrivio dell’apparecchio attracco a terra alle ore 03.38. Sbarca a terra il tenente che compie una breve perlustrazione, mentre io aiuto il caporale a sbarcare il materiale e i piccioni. Alle 3.50 ridecollo allontanandomi basso, verso il Tagliamento. Sulla palude Sindacale faccio quota, indi dirigo per il ritorno […] Ammaro a S. Andrea alle 04.30». Quindi, se dopo la guerra fosse stato possibile fare tesoro di tutta questa esperienza aeronavale, i Britannici avrebbero avuto possibilità inferiori di sorprenderci la notte del 11 novembre del 1940 a Taranto. Del resto in guerra l’audacia non è mai sufficiente. Lo stesso Gabriele D’Annunzio che combatté tra le fila degli aviatori di Marina spese ogni energia per migliorare l’efficacia degli apparecchi così come risulta in una sua lettera del 8 giugno 1918 al capitano di fregata Giulio Valli: «Tutte le mie sollecitazioni e tutti i miei sforzi a cui si uniscono quelli, sinceri, del Commissario non valgono ancora a ottenere gli apparecchi promessi […] Un apparecchio 600HP fornito di motori Isotta Fraschini V8 è pronto al collaudo. Si lavora a collocare gli stessi motori sul secondo apparecchio […] Non posso non congratularmi di avere insistito, e d’avere ottenuto il cambio dei motori. Il risultato supera la mia stessa aspettativa». In una sua lettera del 22 giugno 1918 congratulandosi dell’audacia dei piloti assegnati alla Prima Squadriglia Navale nonostante la «troppo lunga attesa dei nuovi strumenti di guerra» chiude la lettera con il famoso motto «SUFFICIT ANIMUS» Patrizio Rapalino S Rivista Marittima-Giugno 2013 3 SOMMARIO PRIMO PIANO RUBRICHE La Marina Militare oggi Giuseppe De Giorgi 8 Cipro: un segnale per l’Europa Alessandro Corneli 30 Pioggia di primavera o preludio di tempesta? 38 Lettere al Direttore Osservatorio internazionale Marine militari Nautica da diporto Ambiente marino Scienza e tecnica Che cosa scrivono gli altri Recensioni 100 104 113 123 133 142 152 156 Alessio Patalano L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi Maurizio Bettini 46 Turchia, il Kemalismo è al capolinea Massimo Iacopi 54 Il riscatto Curdo Giuseppe Lertora 58 PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE Le isole del tesoro Ezio Ferrante 62 L’Università di Genova e la Marina Militare 71 Massimo Figari - Arcangelo Menna SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE La Marina mercantile dell’Impero asburgico 80 Mario Veronesi Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese Gilles Malvaux 86 STORIA E CULTURA MILITARE Hanno rubato un sommergibile Umberto Burla Rivista Marittima-Giugno 2013 94 5 RIVISTA MARITTIMA Mensile della Marina dal 1868 DIREZIONE E REDAZIONE Via Taormina, 4 - 00135 Roma Tel.: 06 3680 7248-54 Telefax: 06 3680 7249 Internet:www.marina.difesa.it/documentazione/ editoria/marivista/Pagine/default.aspx e-mail redazione: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE Capitano di Vascello Patrizio Rapalino REDAZIONE E UFFICI Attilio De Pamphilis Giovanni Ioannone Vito Nicola Netti Antonio Campestrina Francesco Rasulo Tiziana Patrizi Gaetano Lanzo Immagine tratta dal dipinto «Vittoria su cielo e mare» (Onori all’Aviazione di Marina Italiana nel Centesimo anniversario) Olio su tela del pittore di Marina Allan O’Mill. A questo numero hanno collaborato UFFICIO ABBONAMENTI E SERVIZIO CLIENTI Vito Nicola Netti Tel.: 06 3680 7252-1-5-7 e-mail abbonamenti: [email protected] SEGRETERIA AMMINISTRATIVA Tel.: 06 3680 7252 Codice fiscale: 80234970582 Partita IVA: 02135411003 6 Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi Professor Alessandro Corneli Dottor Alessio Patalano Dottor Maurizio Bettini Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante Generale (ris) Massimo Iacopi Ammiraglio di Squadra (aus) Giuseppe Lertora Capitano di fregata Arcangelo Menna Professor Massimo Figari Dottor Mario Veronesi Tenente di vascello Gilles Malvaux Dottor Umberto Burla Dottor Enrico Magnani Dottor Luca Peruzzi Contrammiraglio (aus) Stephan Jules Buchet Dottor Marcello Guadagnino Contrammiraglio Claudio Boccalatte Capitano di fregata Gianlorenzo Capano Dottor Fulvio Aviani Rivista Marittima-Giugno 2013 PRIMO PIANO LA MARINA MILITARE OGGI Il 19 giugno alle 14:30, presso l’Aula Commissione Difesa Camera, le Commissioni riunite Difesa di Camera e Senato hanno svolto l’audizione del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare L’Ammiraglio di Squadra Giuseppe De Giorgi. GIUSEPPE DE GIORGI (*) La Marina ha in forza: — 30.923 militari, di cui 1.037 donne, e 9.981 civili (1); — 60 navi; — 26 unità del naviglio minore; — 70 aeromobili. (*) Dal 28 gennaio 2013 ha assunto la carica di Capo di Stato Maggiore della Marina Militare. Dal 23 febbraio 2012 l’ammiraglio di Squadra De Giorgi ha ricoperto l’incarico di Comandante in Capo della Squadra Navale della Marina Militare. È stato Capo di Stato Maggiore del Comando Operativo di Vertice Interforze della Difesa dal 2007 al 2009. Dal 28 agosto al 19 ottobre 2006 è stato Comandante dell’Operazione Leonte per l’immissione in Libano del contingente nazionale nella missione UNIFIL e, successivamente, dell’Interim Maritime Task Force sotto egida ONU, per questo è stato insignito della Medaglia d’Argento al Merito Militare, conferitagli dal Governo Libanese, per la stessa Operazione, il 20 marzo 2007 è stato premiato quale «Militare dell’anno» presso lo Smithsonian National Air and Space Museum di Washington D.C.. 8 Rivista Marittima-Giugno 2013 La Marina Militare oggi La sua presenza si sviluppa principalmente su 3 poli aeronavali (La Spezia, Taranto e Augusta) e comporta un ritorno economico sul territorio di 2,4 Mld€ annui, come riportato di seguito: — Liguria Toscana - Militari 7.483 - Civili 3.068 - 842,5M€; — Sardegna - Militari 896 - Civili 495 61,8M€; — Centro Italia -Militari 5.334 - Civili 908 - 317,9M€; — Sicilia - Militari 3.866 - Civili 997 267,5M€; — Puglia - Militari 12.501 - Civili 4.181 897,4M€; — Adriatico - Militari 843 - Civili 332 55,8M€. L’attuale organizzazione prevede una struttura centrale, che comprende lo Stato Maggiore, gli uffici centrali e gli ispettorati, e una struttura periferica che comprende i comandi operativi, gli alti comandi periferici e i comandi militari marittimi autonomi, nonché l’Istituto Idrografico. Al fine di razionalizzare la struttura e ottimizzare le risorse disponibili, per meglio supportare lo strumento operativo, nel 2012 è stato avviato un processo di radicale ristrutturazione, che è destinato a concludersi entro l’inizio del 2014. La nuova organizzazione si basa sulle tre funzioni preminenti: operativa, logistica e formazione. Conseguentemente, accanto ai comandi operativi già esistenti, vengono costituiti un Comando Logistico (COMLOG) e un Comando Scuole (COMSCUOLE), che assorbono rispettivamente le funzioni dei due ispettorati omonimi. Con la creazione del Comando Logistico, ubicato a Napoli, i Comandi Dipartimentali di La Spezia, Taranto e Augusta diventano Comandi Logistici di Area, rispettivamente Nord, Sud e Sicilia, assumendo la responsabilità dell’intera funzioRivista Marittima-Giugno 2013 ne logistica che insiste nella loro giurisdizione, garantendo in tal modo l’unicità del comando. Il Comando della Sardegna viene chiuso, mentre il supporto agli Enti Centrali è assicurato dal Comando Logistico Area Capitale. La riorganizzazione territoriale consentirà una riduzione dell’alta dirigenza e un trasferimento verso l’area operativa del 25% del personale impiegato. Il personale L a Marina ha in servizio 30.923 militari a fronte dei 34.000 previsti (2), suddivisi come segue: — Ufficiali: 4.417 a fronte di un organico di 4.500 (-1,8%); — Sottufficiali: 16.730 a fronte di un organico di 13.576 (+23,2%); — Graduati: 7.081 a fronte di un organico di 10.000 (-29,2%); — Truppa: 2.695 a fronte di un organico di 5.924 (-54,5%). Le criticità che riguardano il personale militare sono riassunte di seguito: — insufficienza delle retribuzioni, specie per i gradi più bassi, cui si aggiunge il blocco degli stipendi, che determina una forbice tra responsabilità associate all’avanzamento di carriera e trattamento economico; — limitata disponibilità di alloggi dell’amministrazione, aggravata dall’occupazione abusiva di coloro che non hanno più titolo per abitarvi, con conseguente difficoltà di trasferimento delle famiglie e un incremento significativo del pendolarismo; — collocazione sotto la soglia di povertà del personale divorziato, specie quello che percepisce gli stipendi più esigui e che deve corrispondere gli assegni di mantenimento all’ex coniuge, cui spesso si sommano i debiti contratti a vario tito9 La Marina Militare oggi Un immagine del CAVOUR e del GARIBALDI con altre unità navali. lo (per esempio, il mutuo per la prima casa); — cronica insufficienza di copertura finanziaria per conferire il cd Compenso Forfettario di Impiego (CFI) per le navigazioni protratte per più giorni; l’impossibilità di corrisponderlo in misura adeguata penalizza particolarmente la Marina, perché limita di fatto la possibilità di far navigare le navi, con una conseguente riduzione dell’addestramento che si ripercuote sul morale, oltre che sulla capacità di operare in sicurezza; — inadeguatezza delle indennità compensative per la condizione usurante e la peri10 colosità dell’attività svolta, in particolare per il personale specialista come i sommergibilisti, gli incursori, i subacquei, i piloti e gli anfibi; — difficoltà d’impiego del personale, per l’insufficienza della copertura finanziaria della Legge 86/2001, che stabilisce la corresponsione dell’indennità di trasferimento al personale trasferito d’autorità; — vincolo degli arruolamenti, finalizzato al contenimento della spesa, che ha comportato un generale invecchiamento della Marina, la cronica insufficienza numerica del ruolo truppa e un sottoimpiego qualitativo dei Sottufficiali. Rivista Marittima-Giugno 2013 La Marina Militare oggi Non meno critica è la situazione dei quasi 10.000 impiegati civili, per il mancato riconoscimento della specificità del loro ruolo, che è complementare a quello del personale militare ed è fondamentale per l’efficienza complessiva della Marina. Gli arsenali Come accennato, le principali basi della Marina sono ubicate a La Spezia, Taranto e Augusta. Nelle stesse sedi sono collocati gli arsenali, che impiegano complessiva- Rivista Marittima-Giugno 2013 mente 2.500 addetti, così suddivisi: — La Spezia, 796 addetti; — Taranto, 1.434 addetti; — Augusta, 270 addetti. Gli obiettivi in questo settore sono quelli di svilupparne pienamente le funzioni e di rilanciarne la produttività, aprendoli al mercato civile e facendo ampio ricorso allo strumento delle permute. È inoltre importante stimolare una sana competizione tra gli arsenali stessi che, concentrando i loro sforzi sulle manutenzioni maggiori e valorizzando le risorse umane organiche, potrebbero riacquisire una maggiore autonomia d’intervento. 11 La Marina Militare oggi Figura 1 – Ripartizione delle risorse d’investimento, comprensive del contributo MiSE, nel periodo 2007-2012. Per conseguire questi obiettivi è tuttavia necessario superare le seguenti criticità: — mancato riconoscimento delle specificità professionali delle maestranze, con conseguente difficoltà nella corresponsione di indennità e incentivi idonei, in particolare per i gruisti, i pontonisti e i palombari; — blocco del turn over del personale, che determinerà a breve il pensionamento senza sostituzione di quello più qualificato, con la conseguente dispersione di un ingente patrimonio di competenze tecniche, assai difficile da ricreare; — carenza di operai specializzati (è il caso dei soli 3 palombari, indispensabili per impiegare i bacini di carenaggio, e dei soli 2 equipaggi di pontoni sollevatori); — innalzamento dell’età media (52 anni), con conseguente carenza di manovalanza per eseguire i lavori usuranti; — obsolescenza delle infrastrutture e del naviglio di supporto. In merito, le priorità d’intervento sono: 12 — sbloccare il turn over (D.Lgs. 248/12), per assicurare l’immissione di personale più giovane in grado di acquisire le necessarie conoscenze prima del pensionamento del personale più esperto, garantendo la continuità nel tempo; — avviare nuovamente la formazione, riaprendo le scuole allievi operai, promulgando il decreto attuativo sull’apprendistato, contemplato dalla legge Fornero (L. Nr. 92 del 28 giugno 2012); — reperire ulteriori risorse per finanziare l’attività formativa a carico della Marina, che al momento è limitata ai soli corsi di sicurezza obbligatori (art. 6 del D.L. 78/2010); — ridare impulso al piano di rinnovamento del naviglio di supporto portuale; — accelerare il processo di adeguamento del patrimonio infrastrutturale, snellendo i processi burocratici che rallentano il piano di rinnovamento (il cd «Piano Brin», che è appena al 61% d’avanzamento dopo 6 anni). Rivista Marittima-Giugno 2013 La Marina Militare oggi La flotta L’attuale consistenza della Flotta è di 60 navi. Si tratta di 1 portaerei, 4 unità anfibie (di cui una portaelicotteri), 4 cacciatorpediniere, 11 fregate, 3 rifornitrici, 6 corvette, 10 pattugliatori, 10 cacciamine, 3 idrografiche (di cui 2 minori), 6 sommergibili (di cui 2 di nuova generazione), 1 unità supporto subacquei e 1 unità per ricerca elettronica e telecomunicazioni. Questa Flotta ha un’età media troppo elevata, a fronte della vita operativa utile delle navi militari che si attesta su 20 anni. In particolare, il Garibaldi ha 28 anni, le 3 navi anfibie hanno in media 26 anni, i 2 cacciatorpediniere Classe «Durand de La Penne» 20, le fregate 31, le rifornitrici 30, le corvette 25, i pattugliatori Classe «Cassiopea» 23, la prima serie dei cacciamine 30, mentre la seconda ne ha 21. La nave idrografica maggiore ha 38 anni, così come l’unità di supporto subacqueo, mentre i sommergibili della Classe «Sauro», ancora in servizio, hanno in media 24 anni. In estrema sintesi, la Flotta, già lontana dalla consistenza ottimale, presenta le seguenti problematiche: — 80% delle navi oltre la fine della loro vita utile operativa; — mancato adeguamento nel tempo dei sistemi imbarcati; — sviluppo non organico della linea operativa, con un continuo assottigliamento dovuto alle dismissioni senza sostituzione; — rarefazione della presenza di navi nazionali nei bacini di interesse. Un terzo della Flotta sopra descritta non è normalmente disponibile, perché è soggetta all’esecuzione di manutenzioni programmate, cosa che riduce a circa 40 le unità teoricamente impiegabili. A ciò si aggiunge l’indisponibilità a seguito di avaRivista Marittima-Giugno 2013 rie, che cresce all’aumentare dell’età e che l’insufficienza dei fondi d’esercizio rende sempre più arduo fronteggiare. Prendendo a riferimento anche la media dell’indisponibilità di unità per avarie nell’ultimo quinquennio, il numero di navi pronte si riduce a circa 20. Le risorse Col tempo, il problema di non ricevere finanziamenti proporzionati alle reali necessità è divenuto cronico e ha finito col penalizzare gravemente i settori dell’investimento, ovvero l’innovazione tecnologica, il ricambio dei mezzi (Figura 1) e del funzionamento della Marina (Figura 2), inteso come l’addestramento del personale, l’acquisizione del munizionamento e la manutenzione dei mezzi. Il fabbisogno per assicurare il livello addestrativo e d’efficienza necessario è di 851M€. A fronte dei 417,5M€ allocati nel 2013 alla Marina in questo settore, si rileva un deficit di oltre 400M€. Tale carenza di fondi incide direttamente sull’addestramento e sul mantenimento in efficienza della Flotta, determinando un precoce invecchiamento dei mezzi e una maggiore onerosità dello strumento nel suo complesso. La Marina fronteggia oggi una sostanziale emergenza: la contrazione del potenziale operativo dello strumento, l’insufficienza delle scorte di munizionamento, la progressiva riduzione della prontezza e della disponibilità delle navi, il loro precoce invecchiamento, unito al progressivo incremento dei costi di manutenzione e allo scarso addestramento, influiscono in maniera determinante sulla capacità di assicurare l’efficace svolgimento delle attività fondamentali. 13 La Marina Militare oggi Figura 2 – Evoluzione delle assegnazioni dei fondi assegnati alla Marina per il funzionamento e il supporto diretto allo strumento aeronavale, comprensivi del cd «fuori area». I compiti della Marina L a Marina è chiamata a svolgere le seguenti attività fondamentali: — il controllo integrato degli spazi marittimi; — l’attività di presenza e sorveglianza; — la proiezione di capacità dal mare. Per quanto attiene il controllo integrato degli spazi marittimi, la Centrale Nazionale Interagenzia di Sorveglianza Marittima, ubicata presso il Comando della Squadra Navale (3), costituisce il cervello del Dispositivo Integrato Interministeriale di Sorveglianza Marittima (DIISM), voluto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2007. La Marina, su delega della Difesa, ha assunto l’ègida dello sviluppo tecnologico del sistema, finalizzato alla condivisione delle informazioni raccolte a vario titolo da tutte le amministrazioni dello Stato che hanno interessi e responsabilità 14 sul mare, senza modificarne né limitarne le competenze, ma razionalizzando e ottimizzando l’impiego delle risorse. Per garantire la sicurezza marittima nazionale, è necessario che alla raccolta delle informazioni corrisponda un’adeguata presenza e sorveglianza. Si tratta di un’attività svolta quotidianamente per garantire la difesa dal mare del territorio nazionale, delle navi mercantili e delle rotte di accesso ai porti; il libero uso delle linee di comunicazione marittime, il controllo dei flussi migratori, la vigilanza pesca, la sorveglianza anti-inquinamento, quella dei siti archeologici sottomarini e la protezione degli obiettivi strategici, quali le piattaforme offshore e le infrastrutture energetiche d’interesse nazionale, anche nelle acque di Nazioni straniere, in collaborazione con le loro Marine. Un’altra attività fondamentale che la Marina è chiamata a svolgere è rappresenRivista Marittima-Giugno 2013 La Marina Militare oggi tata dalla proiezione di capacità. Alle peculiari caratteristiche di prontezza, d’autosufficienza logistica e d’elevata capacità di comando e controllo, le navi uniscono l’intrinseca libertà di movimento in alto mare, non dovendo ottenere alcuna autorizzazione per l’attraversamento di uno spazio aereo o di un territorio di un Paese terzo. Né hanno bisogno della costruzione di aeroporti o di campi militari a terra, in prossimità della zona di operazioni. Esse possono invece liberamente dislocarsi nelle acque prospicienti un’area di crisi, dove la loro presenza svolge di per sé un’azione di deterrenza e dissuasione, per essere pronte se del caso ad agire e a modulare il loro intervento secondo la volontà del Governo, per proiettare capacità militari. Grazie alle intrinseche caratteristiche duali, le navi militari possono esprimere una molteplicità di capacità a supporto della collettività: — assistenza sanitaria alla popolazione nazionale o di Paesi amici in caso di calamità, utilizzando il personale e le strutture sanitarie di bordo; — posto di comando della Protezione Civile, grazie alla disponibilità di postazioni operative e di comunicazioni satellitari; — fornitura di energia elettrica, acqua potabile e pasti caldi alle popolazioni delle zone sinistrate; — trasporto di traumatizzati, con elicotteri imbarcati e mezzi navali; — trasporto di aiuti umanitari; — evacuazione della popolazione da zone pericolose; — snodo di smistamento dei soccorsi e degli aiuti, indipendente dall’uso delle infrastrutture della zona sinistrata; — ricerca e soccorso; — sorveglianza e intervento antinquinamento. Il tutto, in maniera autosufficiente e Rivista Marittima-Giugno 2013 senza gravare sul territorio. Le capacità sopra menzionate sono espresse pienamente dalla Portaerei che, per caratteristiche e dimensioni, rappresenta la nave militare con capacità di supporto alla collettività per antonomasia. Esse sono tuttavia peculiari di tutte le navi della Marina e tendono a essere potenziate nelle nuove costruzioni. Le missioni L e peculiari capacità che sono state brevemente descritte sono state tutte efficacemente impiegate nelle operazioni che hanno coinvolto la Marina negli ultimi 35 anni: — Vietnam (1979) – salvataggio in mare dei profughi sfuggiti alla persecuzione politica; — Irpinia (1980) – assistenza umanitaria e distribuzione aiuti alla popolazione terremotata della Campania e Basilicata; — Libano 1 (1982) – inserimento di una forza di mantenimento della pace, a garanzia dell’incolumità della popolazione di Beirut e del consolidamento del Governo libanese; — Libano 2 (1982-84) – inserimento di una forza d’interposizione per ristabilire la pace dopo il massacro di Sabra e Chatila; protezione della forza di pace dal mare; — Canale di Suez (1984) – sminamento e bonifica del Canale di Suez, per ristabilire la sicurezza della navigazione, interrotta a seguito di alcune esplosioni subacquee; — Girasole (1986) – difesa aerea avanzata del territorio nazionale, a seguito dell’attacco missilistico libico contro Lampedusa; — Golfo 1 (1987-88) – difesa delle nostre navi mercantili in Golfo Persico, dopo l’attacco subito dalla Motonave italiana Jolly Rubino, durante il conflitto Iran15 La Marina Militare oggi Gli uomini del San Marco mentre pattugliano un area a rischio. Iraq; — Golfo 2 (1990-91) – protezione della forza multinazionale impegnata nella guerra di liberazione del Kuwait e bonifica dai campi minati nel Golfo Persico; — Somalia (1992-95) – assistenza umanitaria alla popolazione e inserimento di una forza di pace per il ripristino della legalità, impiegando per la prima volta un gruppo Portaerei nazionale; — Alba (1997) – assistenza umanitaria alla popolazione e inserimento di una forza di pace per scongiurare il rischio di una guerra civile; — DINAK (1999) – proiezione di capacità aeree dalla Portaerei Garibaldi, per fermare l’aggressione alla popolazione islamica 16 del Kosovo da parte della Serbia; — Timor Est (1999) – assistenza umanitaria alla popolazione, colpita dalla guerra civile; — Enduring Freedom (2001-06) – proiezione di capacità dalla Portaerei Garibaldi sull’Afghanistan, nell’ambito della guerra al terrorismo, a seguito dell’attacco dell’11 Settembre; — Antica Babilonia (2003-05) – mantenimento della pace e assistenza umanitaria alla popolazione irachena al termine della 2a Guerra del Golfo; — ISAF (2005-continua) – assistenza umanitaria alla popolazione, sostegno al Governo afghano e contrasto al terrorismo internazionale, con l’impiego degli IncurRivista Marittima-Giugno 2013 La Marina Militare oggi sori, del «Reggimento San Marco» e degli elicotteri delle Forze Aeree della Marina; — Leonte (2006) – rafforzamento del contingente di pace in Libano e rimozione del blocco navale israeliano impiegando il gruppo Portaerei Garibaldi; — White Crane (2010) – assistenza umanitaria alla popolazione di Haiti, colpita dal sisma, impiegando la Portaerei Cavour; — Unified Protector (2011) – protezione della popolazione libica, nell’ambito dell’insurrezione contro il regime di Gheddafi, impiegando il gruppo Portaerei Garibaldi. Appare interessante approfondire alcune delle missioni citate, in quanto veri e propri case studies, perché significative del ruolo della Portaerei con la sua componente aerea imbarcata e, più in generale, degli effetti della proiezione di capacità della Flotta su terra. È il caso dell’operazione Enduring Freedom (2001), nella cui fase iniziale il gruppo portaerei Garibaldi è stato l’unico assetto nazionale impiegato in teatro, in relazione all’indisponibilità di aeroporti o basi terrestri. Gli «AV-8B» imbarcati hanno sviluppato oltre 900 ore di volo, partecipando alla campagna aerea sull’Afghanistan e operando da una distanza di oltre 1.500 Km dalla nave madre. L’operazione Leonte (2006) è una chiara prova dell’intrinseca prontezza, rapidità di posizionamento, versatilità operativa e autosufficienza logistica delle Forze Navali. Nata come una missione di rafforzamento del contingente di pace dell’ONU in Libano, con l’inserimento di 1.000 uomini della Forza di Proiezione dal Mare, essa è rapidamente evoluta in un’attività di controllo delle acque libanesi, consen- Il CAVOUR in navigazione diretto ad Haiti, sul ponte di volo si vedono tutti i materiali (container e mezzi) per l’assistenza alla popolazione dopo il sisma. Rivista Marittima-Giugno 2013 17 La Marina Militare oggi tendo la rimozione del blocco navale israeliano e il conseguente consolidamento della tregua tra Hezbollah e Israele. Anche in questo caso, la disponibilità della Portaerei si è rivelata determinante per proteggere la forza da sbarco, per difendere la Forza Navale e per estendere la capacità di controllo dal mare, consentendo di avviare alla normalità le condizioni di vita di una popolazione stremata dagli effetti del blocco navale, disinnescando in tal modo una seria minaccia alla stabilità del governo libanese. L’operazione in Libia (2011) rappresenta un ulteriore concreto esempio della versatilità e flessibilità d’impiego delle Forze Navali. Nonostante la distanza relativa- mente breve dall’Italia, la possibilità di posizionare la Portaerei a ridosso delle coste libiche ha reso assai più vantaggioso l’impiego dei velivoli imbarcati rispetto a quelli provenienti dalle basi a terra, sia per il minor costo orario in area d’operazioni, sia per la possibilità di rimanervi più a lungo. Gli elicotteri a lungo raggio della portaerei hanno rappresentato l’unico assetto Combat SAR della NATO in grado di intervenire in tutta l’area d’operazioni. Nei 78 giorni trascorsi continuativamente in mare, il Garibaldi ha così potuto lanciare 8 sortite di «AV-8B» al giorno, per un totale di 1.218 ore di volo, assicurando il 62% delle missioni di ricognizione e il 53% delle missioni di attacco al L’approntaggio di un velivolo «AV-8B» sul ponte di volo di nave GARIBALDI. 18 Rivista Marittima-Giugno 2013 La Marina Militare oggi suolo. Tutto questo, impiegando solo 4 aerei, 11 piloti, 60 specialisti e 6 addetti alle informazioni intelligence. L’operazione svolta ad Haiti (2010) merita una menzione particolare, perché rappresenta la prima missione operativa della portaerei Cavour: una missione in soccorso della popolazione locale, che ha evidenziato le straordinarie capacità duali di quella nave e, più in generale, dello strumento aeronavale. Il Cavour è in grado d’imbarcare un posto comando della Protezione Civile, in collegamento interattivo con il centro di coordinamento nazionale «Sala Situazione Italia». La nave può accogliere 700 persone oltre l’equipaggio e offrire ottime sistemazioni alloggiative, postazioni di lavoro, energia elettrica, mense e acqua potabile; essa assicura un’elevata mobilità e reattività all’emergenza, l’indipendenza logistica dal territorio sinistrato, una spiccata capacità di trasporto di mezzi ruotati e cingolati oltre ai mezzi aerei imbarcati; una struttura ospedaliera con due sale operatorie, diagnostica, gabinetto odontoiatrico e tre sale degenza, oltre a un ampio eliporto mobile. Il tutto senza costi aggiuntivi derivanti dal cambio di configurazione della nave. Si tratta di capacità che possono rivelarsi determinanti in qualunque tipo d’emergenza, anche sul territorio nazionale, che può essere raggiunto in ogni sua località, grazie agli elicotteri imbarcati che estendono il raggio d’azione della nave di oltre 200 km. Queste caratteristiche intrinseche, unite alla velocità di trasferimento in zona, hanno fatto della portaerei l’opzione ideale per aiutare concretamente la popolazione haitiana martoriata dal sisma. Tutto questo potenziale è stato sviluppato in tempi rapidissimi. Il Cavour si è infatti approntato in appena 48 ore ed è giunto in Rivista Marittima-Giugno 2013 area di operazioni dopo soli 10 giorni dalla partenza, passando anche da Fortaleza, in Brasile, per imbarcare un team di medici ed elicotteri di quel Paese. In virtù dell’esperienza di Haiti, che ha dimostrato sul campo la validità delle capacità della componente sanitaria del Cavour, è nata una durevole collaborazione tra la Marina e la Onlus Operation Smile Italia, specializzata in interventi chirurgici a favore di bambini affetti da malformazione facciale. Questa collaborazione, di cui la Marina è particolarmente orgogliosa e che rappresenta un ulteriore esempio della versatilità delle navi al servizio della collettività, offre alla Onlus l’opportunità di operare ovunque sia presente la nave, in Italia e all’estero, portando l’aiuto dove serve e concentrando i propri sforzi sulle sole attività chirurgiche, senza disperdere energie nella creazione del supporto logistico, che a bordo è sempre disponibile. Il soccorso alla popolazione in caso di calamità è una funzione che ogni nave, in proporzione alle proprie capacità, è in grado di assolvere. Tutte le navi, infatti sono caratterizzate da autosufficienza logistica, rapidità di movimento e possibilità di fornire assistenza senza gravare sul territorio. Un esempio significativo è rappresentato dall’intervento in soccorso delle popolazioni della Campania e della Basilicata colpite dal terremoto del 1980. La Marina ha fatto convergere nel porto di Napoli 3 navi, che vi sono rimaste per 4 mesi offrendo: — 6 elicotteri imbarcati; — gli unici eliporti funzionanti in Campania, costituiti dai ponti di volo delle unità; — assistenza sanitaria a bordo e a terra; — trasporto traumatizzati; — trasporto aiuti umanitari. 19 La Marina Militare oggi Lo scenario di riferimento a) Dopo aver descritto le attività fonda- mentali della Marina, assieme ad alcune criticità che la affliggono, inerenti in particolare lo strumento operativo, appare utile alzare lo sguardo e mettere a fuoco le caratteristiche dello scenario futuro. La situazione internazionale è stata recentemente segnata da profondi e diffusi cambiamenti, alcuni dei quali si sono verificati in prossimità dell’Italia, con l’avvento della «Primavera Araba». Cambiamenti non del tutto compiuti, ma epocali nella loro portata e sostanza, che si sono sviluppati nell’intero bacino del Mediterraneo e non solo, interessando sia la già delicata area medioorientale, sia la regione sub-sahariana. Completano il quadro l’acuirsi della crisi nel Golfo Persico, l’ascesa di nuove potenze regionali e lo spostamento del focus operativo statunitense verso l’Oceano Pacifico, che ha comportato una significativa riduzione della presenza della US Navy nel Mediterraneo, con la conseguente necessità di un’assunzione di maggiori responsabilità e di un più gravoso impegno in termini di presenza e sorveglianza marittima, da parte dell’Italia. In tale contesto s’innesta una crescente competizione internazionale per le risorse energetiche e un prevedibile incremento dei flussi migratori a causa di spinte demografiche, conflitti etnici e tribali e mutamenti climatici, provocati dalla progressiva desertificazione del nord Africa, che acuisce le contese per l’accesso alle fonti d’acqua potabile. b) L’economia globale è destinata ad accrescere la sua dipendenza dal mare. Già oggi, il 90% dei beni e delle materie prime transitano lungo le vie di comunicazione marittime. La popolazione mondiale è inoltre concentrata per oltre l’80% in una fascia distante meno di 200 km dalla costa, con la conseguenza di renderla facilmente accessibile dal mare, sia per inFigura 3 Opportunità e minacce nell’area d’interesse. 20 Rivista Marittima-Giugno 2013 La Marina Militare oggi Figura 4; Il rischio di marginalizzazione del Mediterraneo. fluenzare in maniera favorevole una crisi, sia per portare aiuto in caso di calamità. Vi è infine un’accelerazione del fenomeno della territorializzazione di ampie porzioni dell’alto mare, finalizzata a sfruttarne le risorse in maniera esclusiva. L’Italia è una Nazione a forte vocazione marittima. Essa s’immerge con i suoi 8.000 km di coste al centro del Mediterraneo, un bacino che rappresenta appena l’1% della superficie acquea globale ma che è attraversato dal 20% del traffico marittimo mondiale. Attraverso il mare, il nostro Paese scambia il 54% delle merci e importa il 75% del petrolio e il 42% del gas necessario al proprio fabbisogno energetico; siamo i primi in Europa per quantità di merci importate via mare (185 milioni di tonnellate); abbiamo la 11a flotta mercantile del mondo per stazza (4) e la 3a flotta peschereccia in Europ (5), con oltre 12.700 pescherecci e 60.000 addetti. Il cluster marittimo nazionale genera da Rivista Marittima-Giugno 2013 solo il 3% del PIL(6) con un moltiplicatore economico d’investimento pari a 2,9 volte il capitale investito (7). L’area d’interesse strategico nazionale include le regioni da cui provengono le risorse necessarie al nostro fabbisogno energetico (Golfo Persico, Mozambico, Golfo di Guinea, Nord Africa e Medio Oriente) e le vie di comunicazione marittime lungo le quali viaggiano le materie prime che importiamo e i nostri prodotti da esportazione. Si tratta di un’area molto estesa, densa di opportunità per la nostra realtà commerciale, ma anche di minacce che mettono a repentaglio i nostri interessi (Figura 3). È il caso della pirateria. È sotto gli occhi di tutti la gravità degli attacchi sferrati anche contro le nostre navi mercantili. Tendiamo tuttavia a sottovalutarne la conseguenza indiretta, assai più grave, del rischio di una marginalizzazione del Mediterraneo: senza un contenimento di questo fenomeno, gli armatori potrebbero optare 21 La Marina Militare oggi per rotte più sicure, circumnavigando l’Africa per evitare le acque della Somalia e del Golfo di Aden, dove il fenomeno è particolarmente attivo. Lo spostamento in Atlantico delle rotte mercantili avvantaggerebbe i porti commerciali nordeuropei, a scapito di quelli nazionali (Gioia Tauro, Taranto, Trieste, Genova e La Spezia), che oggi rappresentano il punto d’ingresso di significativi traffici commerciali verso l’Europa (Figura 4). Lo scenario delineato nella figura 4 conferma che il futuro centro di gravità operativo ed economico è inequivocabilmente marittimo. È dunque sul mare che si giocherà il destino dell’Italia: — sul piano nazionale; — come membro attivo e responsabile della comunità europea e internazionale. L’evoluzione della flotta L e sfide appena descritte richiedono una Marina in grado di farvi fronte. Tuttavia, da troppi anni l’assegnazione dei fondi non ha consentito di sostituire le navi al termine naturale della vita operativa, né di eseguirne in maniera adeguata le necessarie manutenzioni. Nello scorso decennio, sono state radiate 20 unità, sostituite da sole 10, mentre entro il 2025 verranno radiate: — 47 unità navali; — 4 sommergibili; — 14 unità del naviglio minore; — 4 velivoli da pattugliamento marittimo, per un totale di 51 unità (senza considerare il naviglio minore) e degli ultimi 4 velivoli da pattugliamento marittimo a lungo raggio, a fronte del previsto ingresso in linea di sole 8 fregate, 1 unità di supporto subacqueo polivalente (USSP) e 2 sommergibili. 22 Nello stesso periodo, il programma non ancora finanziato dallo Stato Maggiore Difesa prevede l’entrata in linea di due sole altre navi (1 logistica e 1 anfibia). Senza interventi correttivi e pur considerando l’acquisizione di quest’ultime due navi, entro il 2025 la Flotta si contrarrà dalle attuali 60 unità a 22 (Figura 5). Tale consistenza, già di per sé inadeguata per i compiti che l’attenderanno, si ridurrà a meno di una ventina di navi mediamente impiegabili, a causa della fisiologica indisponibilità di quelle sottoposte alle manutenzioni programmate. Sottraendo da tale numero le navi non disponibili a seguito di avarie, destinate a divenire più frequenti in relazione sia all’età, sia alla carenza dei fondi per le manutenzioni, le navi pronte all’impiego si attesteranno su un valore medio di 10-13 unità. In sintesi, entro il prossimo decennio la Marina perderà la capacità di operare con continuità nella maggioranza delle missioni e di assolvere i compiti d’istituto. Considerazioni sull’evoluzione della flotta Per mantenere l’attuale consistenza della Flotta, già in «sofferenza» a fronte dei compiti (tralasciando per il momento le considerazioni relative al naviglio minore), occorrerebbe introdurre in servizio 4-5 navi all’anno per 12 anni. Per lo stesso periodo, è invece prevista in media la costruzione di 1 nave all’anno, con una riduzione della Flotta del 63% entro il 2025. Appare quindi ineludibile adottare idonei provvedimenti correttivi mirati al mantenimento della sopravvivenza della Marina e più in generale della capacità marittima nazionale, intesa anche come cantieriRivista Marittima-Giugno 2013 La Marina Militare oggi 80 70 60 50 40 30 20 10 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 2021 2022 2023 2024 2025 Figura 5 – La consistenza della Flotta negli anni. stica navale. Nonostante i vantaggi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle grandi organizzazioni internazionali di riferimento, quali la NATO e l’UE, permane la necessità di disporre delle capacità essenziali per la tutela degli interessi nazionali, per poter fronteggiare le emergenze in cui non si possa fare sicuro affidamento sul concorso diretto degli Alleati. Peraltro, una credibile partecipazione a iniziative multinazionali a difesa della pace e della sicurezza non può prescindere dalla disponibilità di assetti pregiati, che consentano di esprimere, anche se in forma limitata, tutte le capacità necessarie al contrasto delle diverse minacce prevedibili nel futuro. È inoltre importante conservare la capacità d’assumere il comando di quelle operazioni internazionali che, in raRivista Marittima-Giugno 2013 gione della rilevanza degli interessi nazionali, richiedono che l’Italia svolga un ruolo di primo piano. Ne consegue la necessità di mantenere in linea una Flotta bilanciata in tutte le sue componenti, anche se di consistenza ridotta. Tale Flotta dovrà inoltre poter esprimere con maggior efficacia le sue intrinseche capacità duali, per consentire alla collettività di sfruttare l’investimento dello Stato in navi, non solo nelle operazioni militari, ma in tutte le situazioni di necessità e urgenza (soccorso umanitario, intervento per calamità naturali, ecc.). Riflessi sull’industria Al di là della necessità di garantire la so- pravvivenza della Marina, investire in na23 La Marina Militare oggi vi comporta comunque dei notevoli vantaggi per il Paese. La cantieristica militare è, infatti, fra i settori più redditizi nei quali investire, perché rappresenta un volano economico, industriale, culturale e sociale difficilmente eguagliabile. Essa coinvolge una vasta gamma di settori industriali (metalmeccanico, siderurgico — il 90% dell’acciaio utilizzato proviene da industrie italiane — meccanica di precisione, elettronico, armamenti, robotica, ecc.). La cantieristica militare rappresenta, inoltre, un patrimonio di competenze che merita di essere salvaguardato: si tratta di competenze funzionali alla produzione d’avanguardia anche in settori civili, grazie al travaso delle conoscenze e delle capacità pregiate, necessarie alla produzione di equipaggiamenti militari navali, di per sé complessi e densi di tecnologia. Essi richiedono inoltre un importante impegno nella ricerca e un severo controllo della qualità, per garantire la necessaria sicurezza di funzionamento anche in condizioni di impiego proibitive. Queste competenze estremamente preziose, di cui ancora la nostra cantieristica dispone, sono difficilmente recuperabili una volta abbandonate. I cantieri navali generano un indotto qualitativamente variegato e ben distribuito sul territorio nazionale, specialmente nel caso di navi tecnologicamente avanzate come quelle militari, con un moltiplicatore d’occupazione calcolato in 1 a 6 (8) (includendo il settore industriale relativo al sistema di combattimento, comando e controllo, ecc.) e con un moltiplicatore di reddito di 3,43 (9). Le navi sono un ottimo integratore d’innovazione, ma l’innovazione non s’improvvisa: ha bisogno di una forte progettualità a lungo termine ed è un investimento per il futuro. Il settore della cantieristica 24 militare è caratterizzato da una forte concorrenza internazionale ed è quindi importante gestire il margine di vantaggio nei confronti delle nuove realtà industriali (Corea, Spagna e Turchia), rimanendo competitivi nei confronti dei concorrenti storici (Francia, Germania, Gran Bretagna e Olanda), in un momento che registra una crescente domanda di navi militari, soprattutto da parte dei paesi emergenti. Pertanto, se da un lato un programma di costruzioni navali scongiurerebbe la scomparsa della Flotta, dall’altro rappresenterebbe un validissimo strumento antirecessivo e un contributo alla soluzione della crisi economica da inserire nel quadro di rilancio dello sviluppo del Paese, in un settore made in Italy per il 90% e le cui capacità cantieristiche sono impegnate appena per il 50% delle potenzialità. Un ipotetico piano per la sopravvivenza della capacità marittima nazionale, per un investimento di 10 Mld€ spalmati in 10 anni, si tradurrebbe pressoché integralmente in PIL, trattandosi di produzione nazionale, e comporterebbe: — 25.000 posti di lavoro; — 5 Mld€ di ritorno fiscale per lo Stato (tasse e contributi), pari al 50% dell’investimento; — 6,8 Mld€ di risparmio per le casse dello Stato, per il mancato ricorso alla cassa integrazione guadagni (CIG) per circa 20.000 occupati; — impatto di grande valore economico, sociale e tecnico in via diretta e indiretta (industrie collegate e commesse estere), grazie alla distribuzione geografica del lavoro, 55% al nord e 45% al centro-sud (Figura 6); — mantenimento e incremento di conoscenze ad alto contenuto tecnologico in un settore di eccellenza nazionale; — sostegno all’esportazione, attraverso la Rivista Marittima-Giugno 2013 La Marina Militare oggi Figura 6 – Distribuzione sul territorio dei benefici del programma navale. promozione di prodotti innovativi e avanzati, sostenibili logisticamente nel tempo e forti del connubio Marina Militare/cantieristica nazionale; — coinvolgimento di un ampio spettro di realtà imprenditoriali, incluse le piccole e medie imprese, non solo nella fase di costruzione, ma anche in quella di supporto in esercizio delle unità, per un periodo di almeno 30 anni. In sintesi: — investimento -10 Mld€: — tasse e contributi +5 Mld€: — CIG non erogata +6,8 Mld€=: — TOTALE +1,8 Mld€. Rivista Marittima-Giugno 2013 Oltre a una ricchezza prodotta pari a 34,3 Mld€, di cui 18,86 Mld€ al nord e 15,44 Mld€ al centro-sud. Le risorse necessarie potrebbero essere reperite: — nell’ambito della Difesa, modificando la ripartizione delle assegnazioni fra le Forze Armate, in conseguenza della ristrutturazione dello strumento militare e dell’evoluzione dello scenario; — nell’ambito degli altri dicasteri interessati (MIUR, MISE, Protezione Civile, Ambiente ecc.), in ragione delle finalità duali dei progetti e dell’alta valenza antirecessiva dell’intero programma; 25 La Marina Militare oggi — mediante un provvedimento legislativo pluriennale ad hoc, mirato al rilancio dello sviluppo economico e sociale di settori trainanti per il PIL, quale appunto la cantieristica militare (Fincantieri/Finmeccanica, assieme alle piccole e medie imprese dell’indotto, tutte italiane). Il ricorso a un provvedimento legislativo appare fondamentale per garantire un continuum temporale all’investimento necessario per la sopravvivenza della Marina. Ciò infatti: — offrirebbe all’industria nazionale le indispensabili garanzie per investire in sviluppo tecnologico e in occupazione, scongiurando la perdita delle capacità produttive, qualitative e quantitative, a favore della concorrenza internazionale; — impegnerebbe i cantieri al 100% delle loro potenzialità, evitando riduzioni nella forza lavoro e scongiurando la perdita delle capacità produttive; — terrebbe conto dei lunghi tempi di costruzione delle navi e d’addestramento dei loro equipaggi; — darebbe continuità d’indirizzo allo sviluppo dello strumento aeronavale. La razionalizzazione dello strumento navale C ome già fatto con il Cavour, nelle nuove costruzioni verrà data grande enfasi alle capacità duali. La Marina sta sviluppando una famiglia di navi innovative che, superando gli schemi tradizionali, assolveranno i compiti di una varietà di navi diverse. Un esempio è il progetto del pattugliatore d’altura multiruolo, destinato a sosti- Figura 7 – La sostituzione di più classi di navi con un unico tipo di unità multiruolo. 26 Rivista Marittima-Giugno 2013 La Marina Militare oggi Figura 8 (in alto) – Pattugliatore d’Altura multiruolo in configurazione standard. Figura 8 – Pattugliatore d’Altura multiruolo in configurazione per soccorso alla popolazione. tuire le navi appartenenti a 6 classi diverse (Figura 7), realizzando in tal modo delle significative economie di scala, attraverso: — standardizzazione dell’addestramento del personale (corsi, ausili didattici, simulatori); — unificazione linee logistiche, con ottimizzazione delle scorte; — standardizzazione delle manutenzioni (unica linea di supporto, ottimizzazione impiego personale tecnico); — interscambiabilità del personale appartenente a navi diverse. Esso sarà caratterizzato da un basso costo realizzativo, una spiccata modularità operativa e una notevole economicità di gestione. La caratteristica duale dell’unità sarà recepita sin dalle fasi di progettazione così come la possibilità d’integrare agevolmente nuove capacità. Più in dettaglio, la nave sarà caratterizzata da ampi spazi Rivista Marittima-Giugno 2013 dedicati all’imbarco di materiali e impianti shelterizzati, che le conferiranno anche una grande capacità di trasporto di aiuti umanitari, oltre ad ampliare significativamente la sua flessibilità operativa (Figura 8). Inoltre, quando impiegata in operazioni di assistenza umanitaria, questa unità potrà produrre energia elettrica e acqua potabile in quantità tali da supportare una piccola cittadina. Una nave di elevate prestazioni di piattaforma, con un notevole potenziale di crescita e un’intrinseca facilità di modificarne l’allestimento dei sistemi d’arma secondo i requisiti operativi più diversi, sarebbe molto appetibile anche alle Marine estere. Questa nave sarebbe inoltre particolarmente adatta ad assicurare la presenza e la sorveglianza, avendo anche buone capacità di intervento, nelle aree d’interesse e lungo le linee di comunicazione marittime, 27 La Marina Militare oggi con un costo d’esercizio molto contenuto: un compito che rappresenta uno dei core business delle Marine. Analoghe considerazioni valgono per le nuove unità anfibie, di supporto logistico e di supporto subacqueo polivalente, anch’esse innovative nella concezione, con una forte connotazione duale e caratterizzate da semplicità delle soluzioni costruttive, manutentive e d’allestimento, tali da rendere anch’esse appetibili al mercato estero. Conclusioni A ppare evidente come quello attuale sia uno dei periodi più difficili della storia post bellica della Marina. Tutti i settori risentono infatti di anni di sottofinanziamento, a partire dal personale e includendo le infrastrutture e gli arsenali. Ma il problema di fondo, ormai ineludibile, è la graduale scomparsa della Flotta. Da molti anni l’esiguità dell’assegnazione dei fondi ha precluso la possibilità di sostituire le navi dismesse per vetustà. Nell’ultimo decennio sono entrate in linea solo 10 navi, a fronte della radiazione di 20. Entro il 2025, si prevede la dismissione di altre 51 navi, con il rischio concreto della pressoché completa estinzione della Flotta come forza combattente. Contestualmente, la cantieristica nazionale militare, già oggi operante a solo il 50% della sua capacità produttiva, rischia di veder disperdere irreversibilmente la sua competitività e le conoscenze pregiate di cui ancora dispone, con ripercussioni drammatiche sull’occupazione. Un eventuale piano di costruzioni navali concorrerebbe non soltanto alla sopravvivenza della Flotta, ma salverebbe al contempo il settore strategico della cantieristica militare, scongiurando il rischio della cassa integrazione per circa 20.000 lavoratori e rilanciando una realtà d’eccellenza italiana. Occorre pertanto avviare detto piano di costruzioni con ogni possibile urgenza, vincolandone l’attuazione a un provvedimento legislativo, sì da fornire affidabili garanzie alle aziende coinvolte, affinché possano a loro volta investire in occupazione e ricerca. NOTE (1) Situazione al 31 marzo 2013. (2) Art. 799 del D.L. 15 marzo 2010 Nr. 66 – COM (Codice dell’Ordinamento Militare). (3) A regime è prevista la connessione con la Sala Crisi della PCM, l’Unità di Crisi del MAE, la Sala Operativa del Dipartimento della Protezione Civile, la Sala Crisi e Centrale Antimmigrazione del Ministero dell’Interno, la Centrale Operativa del Comando Generale delle Capitanerie di Porto per conto del Ministero dei Trasporti, la Centrale del Comando Generale della Guardia di Finanza e la Centrale dell’Agenzia delle Dogane in ambito MEF, le Centrali Operative dei Carabinieri e della Polizia di Stato e le Sale Situazioni dell’AISE e dell’AISI. (4) Dati Lloyd's Register of Shipping e IMO. (5) Dati Ministero Politiche Agricole, Alimentari e Forestali. (6) Anno 2011. (7) Dati Unioncamere-Camcom, «Secondo Rapporto sull’Economia del Mare 2013». (8) Dati Fincantieri. (9) «IV Rapporto sull’economia del mare» 2011 di Confitarma/Censis. 28 Rivista Marittima-Giugno 2013 PRIMO PIANO CIPRO: UN SEGNALE PER L’EUROPA ALESSANDRO CORNELI (*) La crisi finanziaria di Cipro, cresciuta per tutto il 2012 e culminata nel marzo 2013 con il piano di salvataggio messo a punto dall’Eurogruppo, non solo ha scosso l’area dell’euro, ma per una modalità particolare dell’uscita dalla crisi, e cioè una temporanea sospensione del principio di liberalizzazione del movimento dei capitali, ha suscitato un più ampio dibattito su come far superare all’Eurozona la crisi in cui è caduta da anni e che ne fa l’area meno dinamica rispetto agli Stati Uniti e all’Asia sinocentrica. Su questo si innesta un principio di rinnovata guerra monetaria, stimolata dalle decisioni dalle autorità politiche e monetarie degli Stati Uniti e del Giappone di immettere grandi quantità di liquidità per stimolare l’economia: politica non seguita, almeno per il momento, dalle autorità dell’Eurozona. La crisi finanziaria 2012-2013 La Repubblica di Cipro, membro del- l’Unione europea dal 1° maggio 2004, ha attirato su di sé l’attenzione internazionale tra la fine del 2012 e i primi mesi del 2013 per la grave crisi finanziaria che l’ha colpita e ha indotto i Paesi europei della zona euro (Eurogruppo) ad approvare un piano di salvataggio. Si tratta di una crisi economica, dovuta alla caduta di settori produttivi (immobiliare, turismo), che si è ripercossa sul sistema finanziario a causa, principalmente, delle perdite subite dalle banche causato dal deprezzamento dei titoli di Stato della Grecia che esse avevano accumulato nei loro depositi. A ciò si è aggiunto un forte aumento del deficit pubblico che aveva provocato un declassamento dei titoli ciprioti sul mercato finanziario internazionale. Per tamponare la situazione, il governo di Cipro aveva ottenuto, nel gennaio 2012, un prestito di 2,5 miliardi di euro dalla Russia per finanziare il suo debito e rifinanziare quello a lungo termine. Invano: il 13 marzo 2012, l’agenzia di rating Moody’s aveva declassato Cipro, seguita il 25 giugno dall’agenzia Fitch, spingendo, lo stesso giorno, il governo di Nicosia a chiedere l’intervento a proprio sostegno del meccanismo europeo di stabilità e del fondo europeo di stabilità finanziaria. Dal 25 luglio, la cosiddetta Troika (Commissione europea, Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea) iniziava a discutere di un possibile piano di salvataggio. Il 30 novembre, d’intesa con la (*) Esperto di geopolitica, autore di diversi volumi in materia, collabora a Il Foglio, È collaboratore della Rivista Marittima dal 1982. 30 Rivista Marittima-Giugno 2013 Cipro: un segnale per l’Europa Troika, Cipro annunciava alcune misure di austerità: taglio nei salari dei servizi pubblici, aumenti dell’IVA, delle tasse sul tabacco, l’alcol, la benzina, i giochi d’azzardo, il settore immobiliare e i contributi per la sicurezza sociale. Queste misure provocavano proteste e accenni di rivolta, denunziando un forte disagio sociale che spingeva le autorità cipriote a tergiversare nei negoziati con l’Eurogruppo il quale, d’altra parte, modificava più volte il proprio piano di salvataggio. Finalmente, nella notte tra il 15 e il 16 marzo 2013, l’Eurogruppo elaborava un piano di salvataggio del settore finanziario dell’isola del valore di 17 miliardi di euro. Il piano prevedeva un aiuto di 10 miliardi di euro, pari al 55% del Pil cipriota, e un prelievo straordinario sui depositi bancari del 6,75% sui depositi fino a 100.000 euro e di 9,9% su quelli superiori per arrivare a 5,8 miliardi di euro. Questo piano veniva rifiutato dai governanti dell’isola, ma il 22 marzo il Parlamento cipriota accettava la ristrutturazione della seconda banca del Paese, la Laiki Bank, attraverso la creazione di una bad bank sulla quale far confluire i titoli tossici. Seguiva così un secondo piano il 25 marzo: garanzia per i depositi inferiori a 100.000 euro, come nel resto dell’Eurozona, trasferimento dei depositi inferiori a 100 euro e degli attivi di buona qualità della Laiki Bank (di fatto liquidata) alla Banca di Cipro, trasformazione in azioni dei depositi di più di 100 euro della Banca di Cipro nella misura del 37,5% di tali depositi mentre il 22,5% restavano bloccati e gli uni e gli altri sarebbero stati tassati, ovvero avrebbero subito un prelievo fino al 60% o anche oltre per arrivare al traguardo di 5,8 miliardi di euro. Entro 90 giorni sarebbe stato stabilito l’ammontare del prelievo. Il restante 40% dei depositi resterà bloccata per sei mesi Rivista Marittima-Giugno 2013 onde evitare prelievi massicci e il loro eventuale trasferimento all’estero. Rapidamente è stato tentato un calcolo delle conseguenze di queste misure sull’economia del Paese. Secondo diversi istituti di analisi, esse comporteranno una recessione del 20%. È stato iniziato lo studio dei provvedimenti atti a contenere questa caduta e a rilanciare l’economia, come per esempio vantaggi fiscali per le imprese i cui utili verranno reinvestiti nell’isola. Tutto questo si è svolto e si svolge in un clima pesante di accuse di corruzione e favoritismi a personaggi politici e loro prossimi che sarebbero avvenuti durante i momenti peggiori della crisi e ciò con la complicità delle banche prima dell’approvazione del piano di ristrutturazione. Sono state promesse indagini approfondite, le cui conclusioni, quando verranno, difficilmente saranno accolte con piena soddisfazione. Nel frattempo sono state poste forti limitazioni al movimento dei capitali. Solo le imprese potranno procedere con le normali transazioni purché approvate da una commissione. I singoli potranno prelevare fino a 300 euro al giorno, i pagamenti all’estero con le carte limitati a 5.000 euro al mese, rimesse bancarie all’estero vietate, i Ciprioti che lasciano l’isola non potranno portare con sé più di mille euro in banconote. La Banca centrale di Cipro ha assicurato un costante monitoraggio e la modificazione delle regole in funzione della situazione. Come è stato riferito dai giornali, buona parte dei depositi facevano capo a cittadini russi e Cipro era diventata un paradiso fiscale all’interno dell’Eurozona, una piattaforma finanziaria nel Mediterraneo, a ridosso del Medio Oriente e meta preferita di operatori finanziari russi. Mosca, infatti, ha protestato contro le misure imposte dalla Troika, ma le proteste, dopo i primi 31 Cipro: un segnale per l’Europa giorni, sono scemate: le imprese russe operanti nell’isola, infatti, hanno subito perdite, come i titolari di conti di deposito, ma per le imprese a partecipazione statale sono previsti aiuti, anche se caso per caso. Secondo dati pubblicati dalla stampa, la maggior parte dei 19 miliardi di euro di depositi non bancari e non appartenenti a cittadini dell’Eurozona apparterebbe a cittadini russi. Sul totale dei 38 miliardi di euro di depositi stranieri detenuti dalle banche cipriote, 13 miliardi apparterrebbero a istituzioni esterne all’Unione europea. Il dibattito sulle ricette D i per sé, la crisi finanziaria di Cipro ha dimensioni modeste, ma viene dopo quelle dell’Irlanda, del Portogallo, della Grecia, della Spagna e, in parte, dell’Italia. Bisogna poi distinguere tra crisi del sistema bancario, che riguarda anche Germania e Francia, e crisi economica. La prima è stata tamponata con l’assicurazione che la BCE sarebbe intervenuta, praticamente senza limiti, in caso di nuovi attacchi speculativi contro i debiti pubblici dei diversi Paesi dell’Eurozona, ma questa assicurazione, che ha mantenuto relativamente bassi gli spread, non si è tradotta in un sostegno delle banche alla ripresa economica: il 16-17 aprile, sia Mario Draghi, presidente della BCE, sia Christine Lagarde, direttore del FMI, hanno sottolineato questa anomalia. Anzi, la loro è stata una vera e propria accusa. Ma le banche, che hanno visto diminuire il valore dei titoli pubblici in deposito, che hanno subito perdite con i titoli spazzatura e che hanno un volume di crediti considerati inesigibili ancora elevato, restano prudenti: non solo concedono poco credito alle imprese, ma lo fanno a tassi elevati, scoraggiando la domanda e 32 mettendo in difficoltà chi, comunque, sottoscrive quei crediti. Ciò che dimostra quanto siano collegate finanza e industria, o attività produttiva in genere. Con la differenza, non secondaria, che la finanza ha un largo margine di autonomia a livello globale, mentre l’attività produttiva, che dipende in buona misura dalle scelte di politica fiscale dei singoli governi, subisce gli orientamenti di questi che, nell’Eurozona, sono ancora impostati sulla linea dell’austerità. La Germania, come è noto, sostiene che ciascun Paese deve mettere in ordine i conti in casa propria, tagliando anzitutto la spesa pubblica per riportarla sotto il limite del 3% del Pil e, per questa via, ridurre il bisogno di indebitamento. Il punto è che ogni singolo Paese è una «casa» diversa con caratteristiche proprie per cui una regola generale — orizzontale, come si dice — può non risultare la più efficace a livello complessivo. L’Italia, per esempio, ha un debito pubblico elevato ma un debito privato più ridotto della Germania o della Francia o del Regno Unito per cui la stessa ricetta non ha gli stessi effetti. Riducendo la spesa pubblica, al di là della lotta contro le inefficienze e egli sprechi, che è una battaglia giusta e va combattuta comunque, si riduce anche un flusso di potere d’acquisto che si trasforma in una minore domanda di beni e servizi e provoca una contrazione dell’offerta degli stessi, cioè a livello produttivo, con la conseguenza che i risparmi si trasformano in erogazioni della cassa integrazione e simili forme assistenziali. I risparmi pubblici che escono dalla porta rientrano dalla finestra, ma in questo circuito il sistema produttivo continua a indebolirsi e si allontanano i presupposti di una ripresa economica che dovrebbe consentire di rimettere i conti a posto attraverso le maggiori entrate dello Stato Rivista Marittima-Giugno 2013 Cipro: un segnale per l’Europa per le imposte sulle attività produttive, commerciali e previdenziali. In questi anni è prevalsa la teoria che un Paese con un debito pubblico superiore al 90% del Pil va in recessione. Non c’è dubbio che se il debito pubblico comporta un alto servizio del debito, cioè un elevato esborso per gli interessi (che dipende dallo spread, ovvero dalla credibilità complessiva del Paese), si sottraggono risorse agli investimenti produttivi e, se non la recessione, almeno la stagnazione economica è assicurata. Ma se il debito pubblico elevato (negli Stati Uniti è al 100% del Pil, in Giappone oltre il 250%, in Francia al 92%, in Germania all’80%) non è legato ad alti tassi di interesse, la crescita non è automatica: è molto bassa in Francia, modesta in Giappone, un po’ più consistente negli Stati Uniti, si sta indebolendo in Germania. La critica alla politica dell’austerity L a teoria è quindi controversa e proprio ad aprile essa è stata contestata da altri studi che, in fondo, rilanciano la teoria generale dello sviluppo che poggia su due elementi: gli investimenti e la produttività. Ne segue, per quanto riguarda gli investimenti, che si trovano in migliori condizioni i Paesi che hanno investito e non quelli che hanno usato il debito pubblico per la spesa corrente (caso dell’Italia, della Spagna, della Grecia e in parte della Francia) e per i quali il problema è di riorientare la spesa, cosa comunque difficile per le conseguenze sociali e politiche. Poi c’è l’elemento della produttività, che dipende da numerosi fattori: la capacità di innovare delle imprese (decisioni di tipo manageriale ma legate alle disponibilità finanziarie e alle dimensioni delle imprese stesse), il 34 mercato del lavoro (più o meno flessibile), il regime fiscale (è annosa, in Italia, la questione della riduzione del cuneo fiscale), l’efficienza burocratico-amministrativa dell’ambiente in cui le imprese operano, i vari input governativi. In Italia, è all’inizio la soluzione dell’annoso problema dei ritardi con cui la Pubblica Amministrazione salda i crediti alle imprese che le hanno fornito beni e servizi e che hanno raggiunto un volume compreso tra i 90 e i 110 miliardi di euro: una situazione che ha stressato decine di migliaia di imprese, costrette comunque a fare fronte alle scadenze fiscali, a chiedere prestiti sempre più onerosi alle banche, a rinviare ammodernamenti e nuovi investimenti e, non ultimo, a innescare pratiche più o meno corruttrici. Questo handicap puramente italiano si sarebbe potuto evitare anche perché ha aggravato la già consistente moria di aziende che ha portato la disoccupazione al preoccupante livello di oltre il 12%. Sta di fatto, comunque, che la crisi ha colpito tutti, anche se in diversa misura, indipendentemente dai sistemi politicoistituzionali e dal colore dei partiti al governo. Gli elevati debiti pubblici, in alcuni Paesi gonfiati dalla necessità di venire in soccorso del sistema bancario (Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, e più recentemente Spagna, Grecia, Portogallo e Cipro), hanno escluso le ricette keynesiane: non si può stimolare la ripresa con altro debito pubblico. Da qui la scelta (americana e ora anche giapponese) di rifinanziare le banche nella convinzione che esse, riempite di denaro fresco, finiranno per prestarlo a chi vuole fare investimenti produttivi, con i conseguenti benefici di crescita dell’occupazione, aumento della domanda di beni e servizi e quindi anche dell’offerta: in breve, mettere in moto il circolo virtuoso dell’espansione economica. Rivista Marittima-Giugno 2013 Cipro: un segnale per l’Europa Questa ricetta non sembra dare i frutti nella misura sperata poiché questo flusso di denaro viene utilizzato ancora in larga parte per fare investimenti speculativi sul mercato finanziario, valutario e delle materie prime, che non produce occupazione né sviluppo, ma arricchisce pochi poiché il denaro si sposta dove ottiene i maggiori (e più rapidi) profitti. È evidente che la causa principale risieda nella mancata regolazione dei mercati finanziari, nella persistenza del sistema bancario ombra (shadow banking), nella espansione dei paradisi fiscali. Un recente studio ha sostenuto che i capitali depositati nei paradisi fiscali di tutto il mondo raggiungono l’enorme volume di 20-30.000 miliardi di dollari, cioè da un quinto a un terzo dell’intero Pil mondiale di un anno. Non solo sfuggono all’imposizione fiscale, riducendo le entrate degli Stati e costringendoli a fare debito pubblico, ma non si indirizzano agli investimenti produttivi e quindi non contribuiscono a intaccare la disoccupazione. Aggiungiamo che il presidente della UE, Van Rumpuy, ha denunciato un’evasione fiscale nella UE pari a circa 1.000 miliardi di euro: l’Italia, quindi, è in buona compagnia con i maggiori Paesi europei poiché questi volumi di evasione non si raggiungono certo nei piccoli Paesi. Si cerca di correre ai ripari anche se gli interessi da contrastare sono, come indicano le cifre, enormi. Il Lussemburgo — principale paradiso fiscale nel cuore della UE — ha deciso di ridurre il segreto bancario. Il caso di Cipro — che ha coinvolto cifre irrisorie — è stato quindi un segnale importante. Ma in Europa i paradisi fiscali sono numerosi: Svizzera, Paesi Bassi, Austria, Monaco, Andorra, Liechtenstein. Ci sono poi le dipendenze ex coloniali o ancora sotto la Corona del Regno Unito. Le Isole Caymans, celeberRivista Marittima-Giugno 2013 rimo paradiso fiscale, hanno annunziato la creazione di una banca di dati sulle società che prendono la sede legale nel loro territorio. Diversi Stati, come il Lussemburgo e Monaco, stanno trattando accordi bilaterali con i Paesi da cui proviene la maggiore parte dei capitali. Grandi flussi dalla Cina e dall’India si rivolgono ai paradisi fiscali sparpagliati negli Oceani Pacifico e Indiano. Ma altri Stati recalcitrano: tra questi, Svizzera, Libano, Panama ed Emirati Arabi Uniti. D’altra parte, ogni Paese cerca di sfruttare al meglio le opportunità che si presentano. Numerosi paradisi fiscali non potrebbero sopravvivere solo grazie al turismo se chiudessero le loro attività bancarie compiacenti. Siamo solo all’inizio di un processo poiché le resistenze non vengono solo dai piccoli Paesi che offrono comodi rifugi, ma dai soggetti che svolgono i loro affari nei grandi Paesi dove si producono profitti ma scarseggiano opportunità di ulteriori investimenti, quali sono i nostri Paesi di antica industrializzazione. Analizzata sotto questo profilo finanziario, la crisi economica si presenta come di difficile soluzione e conferma che la ricetta basata sul «mettere in ordine i conti in casa propria» è debole nella sua impostazione poiché nessuno è completamente padrone in casa propria. Una conversione ad alto rischio L a forza propulsiva della globalizzazione, a partire dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso, ha avuto numerosi propellenti, ma quello decisivo è stato la progressiva liberalizzazione della circolazione dei capitali anche perché i capitali, più delle persone e degli impianti industriali, sono mobili per natura: prima all’interno di uno Stato, poi attraverso le frontiere. 35 Cipro: un segnale per l’Europa Questa liberalizzazione ha avuto numerosi effetti positivi e risponde a un principio logico: investire dove si può ottenere il massimo profitto; disinvestire dove i profitti calano o le condizioni ambientali diventano meno favorevoli. La principale conseguenza è che gli Stati, in particolare quelli dell’Europa continentale, in cui i governi erano abituati a gestire la politica monetaria ed economica, e l’opinione pubblica ancora si attende questo da essi, hanno perduto gran parte del loro potere e trovano grande difficoltà a legittimarsi, rinviando la responsabilità al «mercato». Fino a quando l’economia tira, non resta che elogiare la situazione e sostenere il principio «meno Stato, più mercato». Ma quando, per una serie di vicende, e non ultima l’applicazione rigorosa della logica della libertà di movimento dei capitali, nonché l’emersione di nuovi grandi e forti concorrenti, le cose cominciano ad andare male, emergono i dubbi sulla bontà di quel principio. L’Unione europea sarebbe la struttura adeguata per affrontare lo sviluppo di un insieme di Paesi già fortemente integrati e interdipendenti. Ma, paradossalmente, non c’è un organismo che abbia la responsabilità di una vera e propria politica economica supernazionale (europea) mentre lo Statuto della BCE impone a questa il solo obiettivo di impedire il sorgere di spinte inflazionistiche. Allora: gli Stati presi singolarmente non hanno più il potere di fare politica economica ma devono (o sono spinti a) contenere la spesa pubblica; l’Europa come tale non ha una politica economica e non mette a disposizione strumenti finanziari comuni quali potrebbero essere gli Eurobond. Invece è costretta a mettere a punto dei meccanismi di intervento straordinario, qual è il Fondo salva-Stati, che obbliga tutti a partecipare al salvataggio ora 36 di questo ora di quel Paese in difficoltà. Da qui due tesi divergenti. Secondo la prima tesi, occorre più Europa, occorre una politica fiscale e bancaria unica e uniforme, occorre un governo europeo a pieno titolo che gestisca la politica economica e non solo quella monetaria, che finisce, quest’ultima, per scontrarsi con quella degli Stati Uniti e del Giappone (e forse in futuro anche con quella della Cina). Che cosa ostacola la realizzazione di questo obiettivo? La risposta è: la diversità delle diverse «case». I problemi variano da Paese a Paese, ciò che è bene e possibile per uno non lo è per un altro. Così risorgono i nazionalismi, per fortuna disarmati, ma non meno devastanti; i sospetti reciproci e le accuse; le pressioni ritenute indebite; gli interessi definiti egoistici, che ora si addensano principalmente sulla Germania dove però l’opinione pubblica è ferma sulla convinzione che «i Tedeschi non devono pagare per gli errori e gli sprechi degli altri», cui si risponde che la Germania ha tratto dall’unione più vantaggi degli altri e quindi dovrebbe mostrarsi generosa e solidale. Per la seconda tesi, l’adozione dell’euro è stata un errore: bloccando la possibilità di svalutazioni competitive, e togliendo ai governi la gestione della politica economica, ha rafforzato i più forti e indebolito i più deboli: i primi, custodi della gabbia, i secondi dentro la gabbia. Così non se ne esce. Sono in molti a sperare che, dopo le elezioni politiche tedesche del prossimo settembre, il governo di Berlino farà quelle concessioni che, per motivi elettorali, non ha potuto ancora fare. Ma è solo una speranza. Una chiara volontà tedesca — non in negativo, ma in positivo — non è ancora chiaramente emersa. Ne è prova la riluttanza di Berlino a formalizzare una unificazione del sistema fiscale e bancario che comporterebbe una Rivista Marittima-Giugno 2013 Cipro: un segnale per l’Europa radicale ristrutturazione del sistema bancario tedesco. Ma questa riluttanza è diffusa anche in altri Paesi dove i poteri politici hanno come principali interlocutori ormai quasi esclusivamente i propri sistemi bancari nazionali, avendo partiti, sindacati e imprenditori perso gran parte del loro potere contrattuale. Qualcosa comunque deve cambiare e proprio dalla soluzione del caso cipriota è venuto un segnale. Per la prima volta, e comunque con applicazione a una realtà economica molto modesta, è stato sospeso, temporaneamente, il principio della libertà Rivista Marittima-Giugno 2013 di movimento dei capitali, offrendo al governo di Nicosia l’opportunità di riprendere a gestire, almeno in parte, la politica economica attraverso piani di sviluppo per uscire dalla recessione. Se si collega questa decisione alla denunzia di Van Rumpuy sull’evasione fiscale e ai dati sulla consistenza dei paradisi fiscali, è possibile che qualcosa cominci a muoversi anche perché la posta in gioco è molto elevata: la legittimità stessa di governi e quindi la loro capacità di raccordarsi con l’opinione pubblica prima che tendenze irrazionali e violente prendano il sopravvento. 37 PRIMO PIANO PIOGGIA DI PRIMAVERA O PRELUDIO DI TEMPESTA? La Corea del Nord tra Retorica Militarista e Insicurezza Nucleare ALESSIO PATALANO (*) N ella penisola coreana, l’arrivo della primavera è stato segnato da una pioggia di provocazioni da parte del governo della Repubblica democratica popolare. In una mossa senza precedenti, il regime Pyongyang ha, in pochi giorni, ripudiato il cessate il fuoco del 1953, tagliato ogni forma di comunicazione diretta con Seul, e minacciato di far uso del proprio arsenale missilistico per colpire la capitale del Sud e altri bersagli sensibili, incluse le basi militari americane nella regione (1). Le autorità nord coreane hanno accusato gli Stati Uniti di aver causato l’approntamento delle batterie missilistiche, da sessant’anni ragione primaria della persistente frattura della penisola col sostegno offerto al regime sud coreano. In quest’occasione, una serie di manovre condotte annualmente dagli Stati Uniti con la Corea del Sud cui quest’anno hanno partecipato anche due bombardieri nucleari «B-2» avrebbero forzato Pyongyang a minacciare rappresaglie (2). Indipendentemente dalle pretese di Pyongyang, la pioggia di provocazioni è arrivata alla fine di un inverno in cui una coltre di freddo era già calata tra il regime stesso, Seul, e Washington. Il successo di un terzo test nucleare condotto il 12 febbraio 2013, nonché il lancio due mesi prima di un missile balistico «Unha-3» per la messa in orbita di un satellite, avevano costituito agli occhi della comunità internazionale i due allarmanti atti all’origine delle più vigorose esercitazioni congiunte tra forze americane e sud coreane (3). I test missilistico e nucleare, condannati con fermezza da autorità politiche nella regione, hanno spinto la comunità internazionale a rispondere con rinnovata risolutezza al comportamento nord coreano. Il 7 marzo 2013, il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha appoggiato l’inasprimento delle sanzioni contro il Paese, passando all’unanimità la risoluzione 2094. Il principale obiettivo dell’iniziativa è stato il blocco delle attività economico-finanziarie e l’accesso a beni di lusso da parte (*) Insegnante di Sicurezza e Strategia Militare dell’Asia Orientale presso il Departimento di War Studies del King’s College di Londra. Le sue aree d’interesse primario riguardano la storia militare e la strategia del Giappone e della Cina dalla fine del XIX secolo. Ha pubblicato su riviste scientifiche e professionali in italiano, inglese e giapponese; il suo libro più recente è intitolato Maritime Strategy and National Security in Japan and Britain: From the First Alliance to 9/11 (Brill/Global Oriental, 2012). Può essere contattato via email al: [email protected]. 38 Rivista Marittima-Giugno 2013 Pioggia di primavera o preludio di tempesta? d’individui e società ritenute vicine alle Forze Armate coreane (4). Gli Stati Uniti e la Cina, che in precedenza aveva costantemente manifestato supporto al governo di Pyongyang, hanno avuto un ruolo primario nella redazione della risoluzione. A questo proposito, secondo autorevoli accademici cinesi, il diverso atteggiamento cinese sarebbe stato sintomatico di un crescente senso di frustrazione di Pechino nei confronti del regime e di un crescente isolamento politico dello stesso (5). L’escalation delle tensioni di questi ultimi mesi ha suscitato domande sulla sostanza della retorica militarista nord coreana, spingendo osservatori e analisti a temere una possibile ripresa delle ostilità sulla penisola. Quanto reale è il rischio di una nuova guerra in Corea? Qual è il rapporto tra l’attuale accresciuta aggressività di Pyongyang e le provocazioni del recente passato? E quale significato bisogna attribuire agli eventi degli ultimi quattro mesi? Lo scopo di questo contributo è di fornire una risposta «a caldo» a queste domande sulla base delle prime informazioni disponibili in merito. In particolare, l’obbiettivo è quello di cercare di contestualizzare gli avvenimenti degli ultimi mesi nell’ambito dell’evoluzione della diplomazia militare e nucleare nord coreana dall’ascesa del nuovo leader, Kim Jong-un. La penisola coreana non è certamente al riparo dal rischio di un conflitto armato, ma le ultime provocazioni coreane non vanno interpretate come il possibile preludio di una nuova guerra. Il regime di Pyongyang sta attraversando una delicata fase di transizione. I toni abrasivi e le azioni aggressive della Corea del Nord sono da considerarsi più come delle «scosse d’assestamento», espressione del consolidamento di potere del nuovo leader, Kim Jong-un, e di una grammatica diplomaticoRivista Marittima-Giugno 2013 militare già praticata in passato, che di una rinnovata volontà di guerra. Riscattare l’immagine militare del Paese: il test di aprile 2012 I n questo senso, il primo elemento da considerare riguarda il contesto nel quale è avvenuto il test di dicembre scorso. Il significato del lancio va, infatti, compreso in relazione a un simile test avvenuto il 13 aprile 2012, fallito clamorosamente a seguito della prematura caduta in mare del vettore andato in pezzi dopo poco più di un minuto dal lancio (6). Il fallimento tecnico del vettore a lunga gittata, noto nella versione missilistica armata testata in aprile come Taepodong-2, aveva di fatto danneggiato l’immagine del Paese e della politica del Songun (priorità dell’Esercito). Questa politica, adottata nel 1994 dall’allora leader Kim Jong-il, si fonda sulla messa a disposizione delle risorse economiche nazionali per lo sviluppo della capacità bellica coreana dando alla possanza militare priorità assoluta negli affari di Stato. Il fallimento del lancio di aprile, preceduto dall’insuccesso di altri due test dello stesso tipo di vettore nel 2006 e nel 2009, rischiava di consolidare i dubbi sulla sostanza del programma missilistico coreano, e sull’efficienza militare del Paese (7). Sin dall’adozione della politica del Songun, l’arsenale missilistico di Pyongyang — insieme al programma nucleare del Paese — ha rappresentato il fiore all’occhiello della diplomazia militare del regime. La mancanza di successi nei diversi lanci, e il fatto che il test di aprile avesse avuto luogo in occasione delle celebrazioni della nascita di Kin Jong-il, principale promotore della diplomazia missilistico-nucleare del Paese, avevano contri39 Pioggia di primavera o preludio di tempesta? buito a indebolire la credibilità militare coreana e a incrementare la pressione sull’establishment. Alla pressione già accumulata, il fallimento del lancio di aprile ha aggiunto un’ulteriore dimensione. Il test era stato il primo condotto sotto la direzione del nuovo leader, aggiungendo alle incertezze sulle capacità militari coreane, quelle sulla figura di Kim Jong-un, sulla sua giovane età, e sulle sue capacità di offrire una leadership militare all’altezza di quella paterna. Nei mesi subito successivi al lancio di aprile, indiscrezioni sullo stato di transizione del regime coreano e di una possibile crisi politica interna sono state confermate da una serie di improvvisi cambi ai vertici militari. A metà luglio, le incertezze sul rapporto tra Kim Jong-un e l’establishment militare avevano ritrovato slancio nella stampa internazionale all’inaspettata notizia di un cambio ai vertici delle Forze Armate. Il congedo del capo di Stato Maggiore dell’Esercito, il generale Ri Yong-ho, per «ragioni di salute» è stato seguito dalla nomina dello generale Hyon Yong-chol. Poco conosciuto tra gli osservatori internazionali, il general Hyon era stato scelto principalmente poiché ritenuto politicamente vicino al nuovo leader (8). A questa nomina hanno fatto seguito ulteriori cambi, confermando le ipotesi della volontà di Kim Jung-un di consolidare la propria posizione e rafforzare l’obbedienza delle alte sfere di comando delle Forze Armate. Alla luce di questa parabola evolutiva, il test di dicembre ha rappresentato un momento particolarmente significativo per il regime e il nuovo leader. Un successo in tempi brevi dal fiasco di aprile erano condizioni essenziali per il giovane dittatore. La riuscita del lancio del 12 dicembre 2012, avvenuto solo due giorni dopo l’annuncio di problemi tecnici con il vettore 40 missilistico, ha offerto la risposta più efficace alle incertezze dei mesi precedenti. In particolare, giunto a quasi un anno di distanza dalla morte di Kim Jong-il, il test ha simbolicamente confermato la centralità della famiglia di dittatori nella vita politico-militare del Paese, e contribuito a marcare il passaggio del testimone tra padre e figlio. L’indomani del test, Kim Jung-un aveva dimostrato all’opinione pubblica internazionale, e soprattutto alle sfere militari e la popolazione nord coreana che il regime era forte e capace come non mai. Dal punto di vista prettamente tecnico, il successo del test non ha solo riscattato gli scarsi risultati dell’aprile precedente, provando l’evoluzione del programma missilistico coreano, ma ne ha anche rinnovato il valore politico-diplomatico, riaprendo il dibattito internazionale sulla pericolosità del deterrente convenzionale del Paese. In particolare, il successo nel lancio di un vettore missilistico multistadio estenderebbe di fatto la capacità convenzionale coreana in termini di gittata dei propri ordigni. Infatti, la versione militare del vettore lanciato in dicembre, il «Taeponding-2», permetterebbe alla Corea del Nord di raggiungere obiettivi fino a un massimo di 6.000 km, ponendo di fatto parte dell’Australia e dell’Alaska all’interno del proprio raggio d’azione (9). La retorica militarista e la dialettica delle provocazioni nucleari: l’escalation di febbraio 2013 Circostanze interne a parte, le provoca- zioni militari di tipo convenzionale non hanno mai cessato di far parte della dialettica nord coreana. Tuttavia, nel corso degli anni Novanta l’equilibrio militare tra Nord e Sud si è modificato a netto vantaggio di Rivista Marittima-Giugno 2013 Pioggia di primavera o preludio di tempesta? Seul. In uno studio dettagliato di quarant’anni di diplomazia militare coreana, lo specialista Narushige Michishita ha evidenziato come i risultati sud coreani negli scontri a fuoco lungo la Zona Demilitarizzata Coreana (ZDC) del febbraio 1997, e nelle azioni navali nelle vicinanze della Linea Limite del Nord (LLN) del giugno 1999 e 2002, siano stati sintomatici di una presa di coscienza nord coreana del crescente divario tecnologico militare (10). D’altra parte, l’affondamento della corvetta sud coreana Cheonan nel marzo 2010 e il bombardamento dell’isola di Yeonpyeong nel dicembre successivo, hanno confermato la volontà di Pyongyang di non voler perdere nessuna opportunità per dare prova della propria risolutezza e preparazione militare, della propensione del regime ad accettare scelte rischiose, e del ruolo della diplomazia militare nelle interazioni esterne. In questo contesto, la scelta di accelerare il programma nucleare ha, in parte, svolto la funzione di controbilanciare il progressivo disequilibrio in ambito convenzionale. L’alleanza della Corea del Sud con gli Stati Uniti e la protezione militare, e soprattutto nucleare, offerta da Washington, hanno da sempre contribuito a esasperare il problema della sicurezza per la Corea del Nord. L’enfasi posta dal regime sulla necessità di munirsi di un dispositivo nucleare nel corso degli ultimi due decenni, per quanto difficile da comprendere e condividere da parte di un osservatore esterno, è tuttavia il riflesso di una percezione della sicurezza in cui l’esistenza stessa della Corea del Nord è, da sempre, stata sotto costante minaccia. Con lo sgretolarsi del margine relativo in termini di capacità militari convenzionali, specialmente sul piano tecnologico, non ha fatto che contribuire ad accentua42 re le ansie del regime. Basti pensare che nel 1994, le assicurazioni dell’amministrazione Clinton di non avere alcuna intenzione di attaccare la Corea del Nord militarmente erano state necessarie per convincere il regime ad accettare di compiere i primi passi verso la denuclearizzazione. Nel 2001, l’irrigidimento delle posizioni dell’amministrazione di George W. Bush dovuto ai sospetti rispetto al reale impegno coreano nei confronti del processo di denuclearizzazione ha portato Pyongyang a riconsiderare la propria posizione ufficiale. Nel 2003, il regime ha denunciato i trattati di non-proliferazione e ripreso con slancio il programma nucleare — che in realtà, non era mai stato completamente interrotto. Nella primavera dello stesso anno, fonti attendibili avevano infatti riportano che il Paese aveva completato il riprocessamento di 8.000 barre di combustibile, una quantità sufficiente per realizzare diverse bombe (11). Dal 2003, la perseveranza di Pyongyang nel perseguire il disegno di uno scudo protettivo nucleare è stata dimostrata dai test sotterranei del 2006, del 2009 e del 12 febbraio 2013. In particolare, secondo gli osservatori dell’Organizzazione per il Trattato sul Bando Complessivo dei Test Nucleari di Vienna, le tre esplosioni avrebbero mostrato dei segni di progresso, avendo generato esplosioni progressivamente sempre più importanti. Tale progresso spiegherebbe in parte la decisione del governo nord coreano di cambiare, nel maggio 2012, la costituzione specificando che è un Paese nucleare. In particolare, il test di febbraio sembrerebbe avere generato un’esplosione sotterranea del doppio della potenza del test del 2006, nonostante l’ordigno fosse più contenuto (12). Secondo parte dei servizi dell’intelligence americana, l’esplosione di febbraio Rivista Marittima-Giugno 2013 Pioggia di primavera o preludio di tempesta? contribuirebbe ad avvalorare la tesi che la Corea del Nord è sempre più vicina a possedere le capacità tecniche per miniaturizzare il proprio materiale nucleare in una testata nucleare (13). L’agenzia di stampa nord coreana KCNA ha dichiarato che il test era stato condotto in risposta all’atteggiamento «incautamente ostile» degli Stati Uniti nei confronti della Corea del Nord. In particolare, nei giorni successivi all’esplosione, le autorità nord coreane hanno ulteriormente precisato che la decisione di condurre le esercitazioni annuali con la Corea del Sud, denominate Key Resolve e Foal Eagle, sarebbe stata considerata come un’ulteriore espressione delle ostilità americane nei confronti di Pyongyang e avrebbe provocato nuove ritorsioni. La decisione di Washington e Seul di proseguire con il programma delle esercitazioni, e quella di Washington di rigettare la retorica militarista nord coreana quale premessa alle evoluzioni della sicurezza nella penisola dispiegando i bombardieri «B-2» durante le esercitazioni hanno contribuito a infiammare ulteriormente la situazione. Infatti, nelle settimane successive, la Corea del Nord ha minacciato di colpire gli Stati Uniti, ha annunciato la chiusura dell’area di sviluppo congiunto con la Corea del Sud e fatto evacuare i lavoratori sud coreani, ha notificato alle rappresentanze diplomatiche straniere dell’imminenza delle ostilità, e ha annunciato nuovi lanci missilistici spostando alcune batterie di missili «Musudan» (ritenuti capaci di) lungo la costa orientale del Paese. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti, hanno inviato l’incrociatore anti-missile USS John McCain e la piattaforma radar «SBX-1» in prossimità della costa nord coreana per monitorare il movimento delle batterie missilistiche, e annunciato il rischieramenRivista Marittima-Giugno 2013 to di un’unità anti-missile del tipo THAAD (Terminal High Altitude Area Defence) a Guam per fare fronte alla minaccia missilistico nucleare coreana (14). Il 18 aprile scorso, in un’azione volta a rallentare la spirale di tensioni, il regime di Pyongyang ha annunciato di essere pronto a riaprire il dialogo sulla sicurezza nella penisola coreana. Le precondizioni date per intavolare il dialogo sono state la rimozione delle nuove sanzioni delle Nazioni Unite, la fine delle esercitazioni militari congiunte tra Corea del Sud e Stati Uniti. In riferimento a queste ultime, la nota ufficiale nord coreana ha specificato che gli Stati Uniti avrebbero dovuto impegnarsi a non farsi coinvolgere in nessuna «prova generale per una guerra nucleare» poiché «il dialogo e le simulazioni di guerra non possono mai andare d’accordo» (15). Rigettate da Seul e Washington come incomprensibili, le richieste nord coreane sembrerebbero confermare l’idea che, a guidare le azioni del regime, sarebbero più le ansie sull’insicurezza del Paese, che un vero e proprio desiderio di guerra. L’idea sarebbe comprovata dalla richiesta della Corea del Nord, riportata dalla stampa il 23 aprile, di voler essere riconosciuto come un Paese nucleare dagli Stati Uniti, rifiutando richieste di rinunciare al programma nucleare quale gesto preliminare per riprendere il dialogo (16). Conclusioni: Nuovo regime, nuovo statuto, vecchia strategia È la penisola coreana più vicina oggi al rischio di una guerra di quanto non lo fosse un anno fa? Probabilmente no. La Corea del Nord ha, nel tempo, fatto uso costante di strategie rischiose e di una retorica spavalda e aggressiva. La minaccia dell’uso 43 Pioggia di primavera o preludio di tempesta? della forza è una componente essenziale della diplomazia di Pyongyang. In questo senso, la spirale di tensioni degli ultimi mesi va valutata nell’ambito dei termini della dialettica tra le due coree e gli Stati Uniti, una dialettica in cui la percezione di vulnerabilità e di «accerchiamento militare» della Corea del Nord sono essenziali per comprenderne le azioni. Per questo stesso motivo, le minacce nord coreane di azioni e ritorsioni militari non vanno sminuite come espressioni di sola retorica. La perseveranza dei lanci missilistici, dei test nucleari, nonché le azioni militari e navali dell’ultimo decennio, sono una prova evidente della volontà del regime di continuare nel solco tracciato dalla politica del songun. Ciò suggerisce che in futuro Pyongyang continuerà a mettere in atto azioni militari se e quando il regime si sentirà minacciato, ovvero se avrà l’occasione o la necessità di mostrare la risolutezza del proprio strumento militare. Data la natura contestata della LLN dal punto di vista del diritto internazionale, è probabile che la frontiera marittima occidentale tra le due Coree rimarrà un’area primaria di azioni e scontri, mentre le esercitazioni congiunte annuali tra Stati Uniti e Corea del Sud continueranno a rappresentare un fattore irritante nella sicurezza della penisola. Allo stesso tempo, sul piano politico interno, questo è stato un anno delicato per la Corea del Nord. Il cambio della guardia alla direzione del regime e l’ascesa di Kim Jong-un, accelerata dalla morte improvvisa del padre, ha probabilmente con- tribuito a manifestazioni di forza più enfatizzate. In particolare, la necessità di consolidare la propria leadership e di confermare le proprie credenziali militari e quelle del Paese, sono stati due importanti fattori che hanno condizionato il suo bellicoso comportamento. C’è tuttavia un cambiamento importante che va registrato in relazione agli avvenimenti degli ultimi due test. Entrambi si sono conclusi con successo, e la Corea del Nord ha provato di essere capace di mettere in orbita un satellite, e di aver prodotto un ordigno nucleare più potente e compatto di quelli testati in passato. La posizione ferma del regime di non voler negoziare l’abbandono del programma nucleare quale precondizione per il dialogo con le controparti americane e sud coreane è oggi l’espressione di una sicurezza ritrovata, e della possibilità di poter contare su di un più forte terreno negoziale. Per queste ragioni, il destino delle due Coree e la sicurezza della penisola coreana resteranno ancora in bilico nel prossimo futuro e continuerà a essere difficile avanzare previsioni precise sul percorso che il nuovo leader Kim Jong-un sceglierà per il proprio Paese. Ciò che sembra certo è che il regime di Pyongyang continuerà a perseguire la logica del detto latino si vis pacem, para bellum. Fino a quando questo stesso non avrà garanzie sicure di essere al riparo della potenza militare e nucleare americana, la sicurezza delle armi — convenzionali e non — continuerà a rappresentare un obbiettivo primario nel calcolo politico della sua leadership. NOTE (1) «North Korea ends armistice with South amid games on both sides of the border», in The Guardian, 11 marzo 2013, http://www.guardian.co.uk/world/2013/mar/11/north-korea-declares-end-armistice (28 marzo 2013); BBC News, 27 marzo 2013, http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-21950139 (28 marzo 2013); 44 Rivista Marittima-Giugno 2013 Pioggia di primavera o preludio di tempesta? «North Korea threats: US move missile defences to Guam», BBC News Asia, 04 aprile 2013, http://www.bbc.co.uk/news/world-us-canada-22021832 (04 aprile 2013). (2) Choe Sang-hun, «North Korea threatens US over joint military drill» «North Korea cuts military hotline with south», in International Herald Tribune, 23 febbraio 2013, http://www.nytimes.com/2013/ 02/24/world/asia/north-korea-threatens-us-over-military-drill.html?_r=0 (23 febbraio 2013); Tom Shanker e Choe Sang-hun, «US runs practice sortie in South Korea», in The New York Times, 28 marzo 2013, http://www.nytimes.com/2013/03/29/world/asia/us-begins-stealth-bombing-runs-over-southkorea.html?_r=0 (28 marzo 2013). (3) «North Korea’s nuclear tests», BBC News Asia, 12 febbraio 2013, http://www.bbc.co.uk/news/worldasia-17823706 (28 marzo 2013). (4) «UN adopts tough new North Korea sanctions after nuclear test», BBC News Asia, 7 marzo 2013, http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-21704862 (28 marzo 2013). (5) Zhu Feng, «North Korea’s step too far?», China US Focus, 10 aprile 2013, http://www.chinausfocus .com/foreign-policy/north-koreas-step-too-far/ (14 aprile 2013). (6) Choe Sang-hun, «North Korean rocket fails moments after liftoff», in The New York Times, 12 aprile 2012, http://www.nytimes.com/2012/04/13/world/asia/north-korea-launches-rocket-defying-world-warnings.html?pagewanted=all (28 marzo 2013). (7) A questo proposito, uno recente studio della propaganda nord coreana suggerirebbe che la retorica del regime avrebbe quale ispirazione primaria il militarismo giapponese piuttosto che il marxismo-leninismo. B. R. Meyers, The Clearest Race: How North Koreans See Themselves and Why it Matters, New York, Melville House, 2010). (8) «North Korea: “Purge” sees general confirmed as army chief», BBC News Asia, 18 luglio 2012, http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-18897142 (18 luglio 2012). (9) Jonathan Marcus, «Key step in North Korea’s missile ambitions», BBC News Asia, 12 dicembre 2012, http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-20694331 (28 marzo 2013); «North Korea’s missile programme says», CNN, 12 aprile 2013, http://edition.cnn.com/2013/04/11/world/asia/koreas-tensions (12 aprile 2013). (14) Barbara Starr, Jethro Mullen e K.J. Kwon, «US moves warship, sea-based radar to watch North Korea», CNN, 2 aprile 2013, http://edition.cnn.com/2013/04/01/world/asia/us-north-korea-radar (2 aprile 2013); «North Korea threats: US move missile defences to Guam», op. cit; Ewen MacAskill e Justin McCurry, «North Korea nuclear threats prompt US missile battery deployment to Guam», The Guardian, 4 aprile 2013, http://www.guardian.co.uk/world/2013/apr/03/us-missile-defence-system-guam-north-korea (4 aprile 2013). (15) «North Korea lists terms for talks with US and S Korea», BBC News Asia, 18 aprile 2013, http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-22195453 (18 aprole 2013). (16) «North Korea demands to join nuclear club», The Guardian, 23 aprile 2013, http://www.guardian.co.uk/world/2013/apr/23/north-korea-demands-nuclear-club (23 aprile 2013). Rivista Marittima-Giugno 2013 45 PRIMO PIANO L’APPLICAZIONE DI UNA STRATEGIA MARITTIMA PER USCIRE DALLA CRISI 8.500 7.000 5.500 4.000 2.500 1.000 1997-99 2000-02 2003-05 Crediti 2006-08 Debiti Bilancia dei pagamenti italiana dei trasporti marittimi prima della crisi del 2009 (Fonte Confitarma su dati Banca d’italia). MAURIZIO BETTINI (*) Per un Paese come l’Italia, che registra il 54% del proprio commercio estero circolare sulle rotte marittime, dovrebbe essere una «vocazione naturale» quella di dotarsi di una strategia marittima integrata. Si in- tende una strategia che tenga unite la politica portuale, l’armamento, la cantieristica, la logistica, la pesca, le attività estrattive marine e lo sviluppo della Marina Militare. La questione è decisiva in quanto la (*) È phd (Doctor of Philosophy) in Storia della società europea. Esperto di economia marittimo-portuale ha collaborato con istituzioni pubbliche e private e con le autorità portuali di Livorno e Bari. Autore di numerosi libri e saggi sui porti e la logistica, ha pubblicato articoli sulle riviste Porti&Logistica e Portonuovo. 46 Rivista Marittima-Giugno 2013 L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi strategia marittima ha un peso significativo nella costruzione del quadro macroeconomico sia per quanto concerne l’equilibrio della bilancia dei pagamenti (di cui fa parte la bilancia dei noli); sia per quanto concerne la crescita strutturale di capitale sociale fisso; sia per quanto concerne la formazione dei prezzi alla produzione e al consumo; sia per quanto concerne — infine — la composizione e lo stimolo della domanda interna. Al contrario, la politica pubblica ha da tempo intrapreso il progressivo abbandono di interi settori della strategia marittima al loro destino, alla morte per consunzione. Basti osservare, in Europa, il diverso comportamento di Italia, Francia e Germania in un settore strategico come quello cantieristico. La Germania era ben piazzata nella costruzione di medie e piccole navi porta contenitori, ma essa è da sempre minacciata e costantemente cerca di resistere. Dal 1998, essa ha visto passare la sua quota di mercato dal 14 al 6%. Quanto alla costruzione di navi per il trasporto di gas naturale liquefatto GPL, naviglio molto sofisticato, dove l’Europa aveva un vantaggio significativo, la Corea e la Cina hanno assunto quote significative. Il governo francese reagì, dal canto suo, al via libera dato dalla commissione europea all’acquisizione della quota di controllo (39,2%) dei cantieri norvegesi Aker Yards da parte dei Coreani della STX Shipbuilding. Il governo francese non ha esitato a acquistare quote dei Chantiers de l’Atlantique di Saint Nazaire (gli Chantiers fanno parte del gruppo AKER). E un altro colosso, il gruppo Alstom, partecipato anch’esso dallo Stato, ha mantenuto il 25%. Nel novembre 2008 Parigi dichiarò che avrebbe assunto una partecipazione grazie a un aumento di capitale (che difficilmente sarebbe stato approvato in sede europea) del Rivista Marittima-Giugno 2013 33,3% con una contemporanea riduzione della quota dei Coreani al 50,01% e di Alstom al 16,7%. In altre parole si tratta della difesa pubblica di un know how. Diversa la situazione in Italia dove, a differenza dei cantieri STX per esempio che producono navi speciali a elevato contenuto tecnologico, Fincantieri si è ridotta a essere una società di gestione nella quale la parte navale è ridotta al 20%. Un assemblatore di impianti alberghieri e cabine su nave. La progettazione si è ridotta e si è circoscritta alla nicchia delle navi da crociera, lasciando da parte ciò di cui oggi si chiede di più nel mondo: bulk carrier, chimichiere, portacontenitori, navi off shore per l’energia. Si tenga presente che una grande nave off shore costa di più e il valore è all’80% navale. Con le navi da crociera invece si produce in cantiere solo il 20% il resto sono mobilio, rubinetterie, accessori; mentre la produzione ad alto valore aggiunto (impiantistica, motori, compressori), che rappresenta il 40%, è importato dalla Germania. La progettazione navale di Fincantieri si mantiene viva solo nel settore militare. Anche in un settore strategico come quello dei porti, la carenza di una azione programmatica si fa sentire. Il settore portuale italiano potrebbe essere solo l’ultimo tassello, che viene a mancare, in un puzzle sempre più complicato da ricostruire. Sulla carte le idee ci sarebbero. Ma tra il dire e il fare manca la concretezza. L’alternativa è il fiorire di iniziative locali più o meno guidate dalle interessate mani delle grandi compagnie di navigazione. E per capire quanto siano grandi basti pensare che l’86% della flotta portacontenitori è detenuta dai primi 20 gruppi mentre solo dieci anni fa tale quota era del 56%. Da solo, il colosso Maersk detiene il 16% della flotta mondiale. 47 L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi Vi è un rischio in più: organi di governo centrale e locale, ora nell’ansia di recuperare atavici ritardi infrastrutturali ora soccombendo a interessi clientelari e localistici, potrebbero inciampare, con progetti infrastrutturali sovradimensionati, in un eccesso di capacità produttiva che rischia di moltiplicare e consolidare gli effetti della crisi sui traffici, poiché oggi la questione vera non è più come un tempo quella di rispondere «ai grandi traffici» con i «grandi porti». La questione è un’altra e può essere posta così: servono grandi porti, duplicati di porti, sovrapposizioni di terminal contenitori, oppure servono porti più efficienti all’interno di una catena logistica? Le scelte infrastrutturali faraoniche sembrano condizionate ancora da analisi ottimistiche sulla ripresa futura dei traffici contenitori, per esempio. Stime elaborate da Drewry prevedono nel periodo 2011-2015 una crescita a tassi medi annui del 7,1% (cfr. Cassa Depositi e Prestiti, Porti e logistica, maggio 2012). Solo a pochi osservatori sembra, invece, non sfuggire che la crisi che stiamo attraversando non sia congiunturale, ma strutturale e che, a essa, le principali compagnie di navigazione — come la Maersk — stiano reagendo con il ritiro di navi dal servizio, con il low steaming e con la demolizione di quelle più vecchie. In realtà, gli armatori prevedono una crescita del settore intorno al 3-4% annuo per molti anni a venire rispetto ai tassi del 9-10% del periodo pre-crisi. E se i porti di transhipment italiani sono soggetti (come tutti gli altri presenti nel bacino del Mediterraneo) a subire le scelte strategiche dei grandi trasportatori internazionali che scalano i porti meno costosi, modificando le proprie rotte se necessario (si ricordi nel 2011 l’abbandono di Gioia Tauro da parte di Maersk a favore di Tangeri e Port 48 Said nonostante la riduzione delle tasse di ancoraggio nello scalo calabrese); così non è per i porti gateway. Questi porti giocano la propria competitività su elementi strutturali. Solo per citarne due: la dimensione del mercato economico di riferimento; le reti di connessione stradale, ferroviaria, fluviale, aeroportuale. È un dato tanto noto da non far più clamore, ormai; anche quando i colli di bottiglia e le pecche strutturali minacciano proprio la competitività dei nostri maggiori scali. Ora, osservando i dati del traffico contenitori a livello mondiale e nazionale, possiamo constatare che l’andamento del movimento dei containers in Italia crolla assai prima della crisi internazionale, iniziata nel 2009, (nel 2008: -0,6% in Italia; +4,3% nel mondo), si acuisce di più nell’anno della crisi (nel 2009: -9,8% in Italia, -8,9% nel mondo) e recupera meno nell’anno della ripresa (nel 2010: +2,55 in Italia; + 12,3% nel mondo). E se questo può essere spiegato con la contrazione dei consumi interni, la riduzione del Pil industriale e quindi la riduzione della domanda aggregata, ciò, tuttavia, non può costituire un alibi e non è sufficiente per spiegare il quadro completo, poiché molto risiede anche nella performance logistica italiana. Nonostante la vexata qæstio circa la reale relazione di concorrenza tra i porti del Northern Range e i porti gateway dell’Italia settentrionale, è pur vero che una porzione di mercato — posto appena oltre l’arco alpino — può essere contesa dai porti italiani a quelli nord europei. Un ruolo chiave sembra poter essere svolto da Genova verso la Svizzera, la Germania meridionale e l’Austria e da Trieste verso l’Austria e i Paesi dell’Europa baltica e centrale. I dati positivi sul movimento dei contenitori nel 2008-2011 sembrano fornire alcuni elementi di coerenza con questo Rivista Marittima-Giugno 2013 L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi Tabella 1 MOVIMENTO CONTAINER PORTI GATEWAY ITALIANI 2008-2011 (TEU) 2008 2009 2010 2011 Var % Var % 2011/10 2011/09 1.766.605 1.533.627 1.758.858 1.847.102 5,02 20,44 Genova La Spezia 1.246.139 1.046.063 1.285.155 1.307.000 1,70 24,94 Livorno 778.864 592.050 628.489 637.798 1,48 7,73 Venezia 379.072 369.474 393.913 458.363 16,36 24,06 Trieste 335.943 277.245 281.629 393.000 39,55 41,75 Italia 10.449.783 9.426.321 9.669.692 9.449.437 -2,28 0,25 Fonte: relazioni annuali di Confitarma. quadro (vedasi Tabella 1). Questa valutazione è confortata dalla scelta — compiuta in modo perspicace nel 1998 — di un grande terminal operator, come Port of Singapore Authority (uno dei tre GTO puri, non europei, con Hutchison Port Holding di Hong Kong e Dubai Port Authority), di insediarsi nei porti di Genova VTE (Voltri Terminal Europa), Venezia VeCon (Venice Container Terminal) e Civitavecchia RTC (Roma Terminal Container). Quando PSA acquisisce il 60% del terminal genovese, lo fa con volumi di throughput molto prossimi al piano di impresa iniziale (547.000 teu su 750.000). L’ingresso della società di Singapore in Italia, a Genova, avviene quindi osservando le potenzialità di crescita del terminal e conferma l’orientamento dei GTO mondiali a investire nel Mediterraneo. Dopo una prima fase di radicamento del contenitore, Genova giocava la carta della internazionalizzazione. PSA era infatti in contatto con un numero notevole di porti con traffici container fortemente in crescita e all’epoca PSA Corporation poteva vantare un volume di contenitori lavorati che era passato da 7.550.000 teu nel 1992 a 14.120.000 nel 1997. Del resto, la strategia di posizionamento nel Mediterraneo poggiava sulla centralità del bacino lungo le rotte internazionaRivista Marittima-Giugno 2013 Var % 2011/08 4,56 4,88 -18,11 20,92 16,98 -9,57 li e, poiché si stimava da parte di tutti i commentatori, all’inizio del nuovo millennio, che il flusso mondiale dei containers fosse in aumento per oltre il 6% l’anno, si riteneva che il bacino potesse riceverne una quota parte significativa. La crescita del traffico di containers, infatti, avrebbe dovuto superare — nei porti nord-europei — i 50 milioni di teu nel 2010; mentre nell’Europa mediterranea l’aumento del traffico avrebbe dovuto superare i 40 milioni di teu, con circa 13 milioni di transhipment (tra Nord e Sud Europa). Le stime sono state parzialmente smentite, complice la crisi, in quanto il traffico container nei principali porti europei ha raggiunto nel 2010 i 64.350.000 teu di cui 22.162.000 (34,4%) nei porti dell’Europa mediterranea. E se oggi si discute se il Mediterraneo abbia ancora un peso e un ruolo da giocare lungo le rotte Far East-Europa, che conferirebbero a esso una nuova centralità (particolarmente dubbioso pare Sergio Bologna nel suo libro Le multinazionali del mare 2010; più ottimista appare invece lo studio della CDP, Porti e logistica 2012), oppure in realtà non sia ormai tagliato fuori da una nuova logistica dei traffici, che privilegerebbe sia la rotta di Capo Buona Speranza (Maersk e car carriers) sia — in ulteriore alternativa — la rotta Far East49 L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi West Coast USA (via Panama allargato)Nord Europa, appare del tutto evidente che il sistema portuale italiano non possa attendere e rassegnarsi a non competere anche sui traffici residuali che verso il Mediterraneo si orienteranno. Una competizione, però, che sembra dover essere centrata non più sul gigantismo portuale come specchio del gigantismo navale, ma sulla maggiore integrazione della catena logistica e con recuperi di produttività lungo tutto il flusso produttivo (non solo sul tratto del terminal portuale). Sulla relativa centralità del Mediterraneo, in relazione con alcuni porti italiani e la domanda espressa dai loro retroterra, qualche conforto destano le cifre del movimento del traffico contenitori nel medio periodo. I dati di Trieste con il suo retroterra orientato verso l’Europa centro-orientale. Ma pure Venezia. In questo scalo il 5860% del traffico è operato dal PSA-VeCon il quale riceve (import) per il 71% da: Far East (55%), mar Rosso-Golfo Persico e India; e invia (export) per l’89% nel: Far East (73%), India e mar Rosso-Golfo Persico. Tutto questo movimento in importexport è concentrato per circa l’85% nel raggio di 100 km dal porto, quindi a servizio del sistema produttivo della piccola media impresa veneta, e per la parte restante verso quello lombardo. L’intermodalità si fonda sulla gomma essendo assolutamente concorrenziale su queste brevi tratte. Il treno viene invece utilizzato soprattutto per riposizionare i contenitori vuoti delle compagnie. Un sistema produttivo macro-regionale servito, però, in aspra concorrenza con un altro piccolo terminal contenitori veneziano — il VIT — collegato con Mantova attraverso un sistema di chiatte portacontenitori fluviali. Nel VIT pesa molto l’apporto di traffico conferito dal socio (Marinvest srl) legato a 50 un grande ocean carrier come MSC. Se il movimento dei contenitori a Venezia nel 2012 conforta dal punto di vista della crescita (+17%), disegna inequivocabilmente una sovrapposizioni e una frammentazione di offerta portuale tra piccoli. È fatto noto il molteplice passaggio da VeCon a VIT di un carrier importante come COSCO. Ma è di questa competitività che il sistema ha bisogno per recuperare sulle percentuali residuali di traffico che confluirà nel Mediterraneo? Anche a Genova il traffico contenitori è in buona ripresa dopo il tonfo del 2009. Ed è proprio Genova che traina i traffici contenitori italiani nel 2012 (+12%); mentre nel mar Ligure è uno stillicidio di segni negativi: da Savona (-56%), a La Spezia (4,6%) a Livorno (-14%). Un ruolo fondamentale, sotto la Lanterna, è giocato dal VTE che movimenta dal 58 al 60% del volume complessivo del porto, manipolando (import/export) i contenitori diretti soprattutto verso il Far East (30%), l’America settentrionale (23%) e l’America meridionale e centrale (12%). E molto, quindi, del destino del porto contenitori genovese si gioca proprio sulla banchina di Voltri, la quale recentemente non solo ha accolto la prima nave da oltre 13.000 teu (Maersk Eindhoven), ma si è anche dotata di due nuove cranes (un investimento da 14 milioni di euro) con le quali sarà possibile lavorare fino alla diciottesima fila di containers sulle navi, realizzando importanti indici di produttività: 23,5 movimenti/h (25/h al VeCon di Venezia). Una produttività che sembra sostenuta — a livello di sistema genovese — anche dal recentissimo processo di rilascio informatico dei buoni di consegna (delivery orders) che ottimizzerà e velocizzerà il lavoro degli agenti marittimi e spedizionieri. Lo scatto di reni del terminal genovese Rivista Marittima-Giugno 2013 L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi Tabella 2 MOVIMENTO TRAFFICI CONTENITORI NEL PORTO DI GENOVA E DI VENEZIA (TEU) Genova-VTE Genova-totale VTE% Venezia-VeCon Venezia-totale VeCon% 1.070.093 1.855.026 58 210.682 329.512 64 2007 2008 1.009.485 1.766.605 57 221.902 379.072 58 2009 885.276 1.533.627 58 215.466 369.474 58 2010 980.948 1.758.858 56 232.967 393.913 59 2011 1.140.123 1.847.102 62 269.126 458.363 59 2012 1.242.947 2.064.806 60 207.406 429.893 48 sembra tuttavia non aiutato da problemi infrastrutturali (il cono aereo sul terminal) e dai colli di bottiglia ferroviari che appaiono disegnare un lay out produttivo che produce diseconomie: una grande bocca che è capace di ingoiare navi (quasi mille l’anno) e carichi; ma uno stomaco piccolo che è incapace di digerire rapidamente tutto il traffico. È del 20% la quota di contenitori che lascia il terminal su ferro. Il resto si nuove su gomma: 1.500/.2000 camion al giorno, nei giorni di massimo lavoro. Sono 9 i binari presenti dentro il terminal; ma è uno quello che collega il terminal alla stazione ferroviaria di Voltri. E questo non è un problema di PSA ma di chi governa le banchine. Però questa insufficienza, per altro nota da lustri, permette di lavorare solo 22 treni al giorno, a causa dell’ora di tempo necessaria alla manovra. La soluzione sarebbe costruire un secondo binario che dovrebbe elevare almeno al 30% la quota su rotaia, per essere in linea con gli standard europei. Quanto traffico in più potrebbe indirizzare verso Voltri la presenza di un sistema ferroviario efficiente? Molto, probabilmente. Di più, se su Genova si concentrasse la precisa scelta politica di specializzazione nei traffici container. Scelta inesistente e contraddetta dalle costruzione di nuove infrastrutture, a poche centinaia di chilometri, pagate dallo Stato, che semplicemente dupliRivista Marittima-Giugno 2013 cheranno e frantumeranno l’offerta. Una antica perplessità, quella sulla dannosa duplicazione di offerta di servizio lungo la costa ligure (Savona-Vado; Genova-Voltri, La Spezia), che aleggiava già sul «Progetto Pilota» dei porti liguri agli inizi degli anni Ottanta. Non può far meraviglia allora se gli indicatori di performance logistica siano molto negativi per il sistema portuale italiano. È stato calcolato il tempo di consegna delle merci sui flussi intercontinentali sulla tratta Singapore-Milano via Genova o via Anversa. Nonostante le 800 miglia marine risparmiate esiste una variabilità maggiore nei tempi di consegna (20-28 giorni via Genova; 25-27 giorni via Anversa) causati dai 3-11 giorni necessari all’attraversamento del porto ligure, rispetto ai 3-5 giorni del porto di Anversa. Questo non è poca cosa a fronte di quanto detto in precedenza sulla strategia anti-ciclica degli ocean carriers: low steaming per risparmiare sui costi del carburante con l’idea di recuperare tempo sul lavoro a terra. In sintesi, se prendiamo per buone le ipotesi interpretative (che corrispondono poi a strategie precise, molto concrete delle grandi compagnie di navigazione), che vedono nella attuale fase i segni di una crisi strutturale non congiunturale con un effetto sui trasporti mondiali dovuto alla diversa divisione del lavoro mondiale e a 51 L’applicazione di una strategia marittima per uscire dalla crisi una nuova logistica dei traffici internazionali, allora è plausibile attendersi tassi di crescita del trasporto marittimo assai meno entusiasmanti rispetto ai pronostici: 3-4% contro 7% l’anno. Ciò significa che le risposte, sul piano della competitività, non possono essere né il «gigantismo» portuale, né la frammentazione dell’offerta; ma la programmazione pubblica. Un porto grande può essere un porto inefficiente. Oggi i dati ci parlano di medi porti in grande difficoltà sui traffici contenitori; porti che tuttavia progettano allargamenti o nuovi piattaforme destinate ai contenitori o che, addirittura, si vorrebbero affacciare su questo mercato. È il dramma della lacuna della politica pubblica che non governa la specializzazione a livello di cluster, pensando che sia la mano invisibile del mercato ad allocare razionalmente le risorse laddove servono («la nave va dove è la merce»), giocando spesso su una consueta agguerrita concorrenza tra piccoli, su flussi di poche centinaia di migliaia di teu, senza pensare che il porto 52 è un bene pubblico che non si ammortizza rapidamente. Esiste una sottoutilizzazione di capacità produttiva che deve essere recuperata prima di fantasticare nuove opere che pesano sulla spesa pubblica, specie in tempo di crisi, e che drenano risorse da interventi infrastrutturali significativi sulle reti vecchie e inadeguate: strade, canali, ferrovie. Terminal con collegamenti ferroviari inadeguati (a Genova), terminal senza collegamento diretto della rete ferroviaria alle banchine (a Livorno). Il costo della logistica tradizionale è oggi superiore dell’11% in Italia rispetto alla media europea, con un gap di competitività di sistema stimato intorno ai 12 miliardi di euro. È qui che devono essere recuperati i margini di miglioramento. Sarebbe illusorio concentrare l’attenzione unicamente alla produttività banchina, alla sua capacità operativa, senza equilibrare ciò che sta dietro: una grande bocca, appunto, con uno stomaco piccolo; questo è oggi l’insieme dei porti italiani (con qualche rara eccezione). Rivista Marittima-Giugno 2013 PRIMO PIANO TURCHIA, IL KEMALISMO È AL CAPOLINEA Kemal voleva laicizzare la Turchia per poterla modernizzare. Ma non poteva cancellare in un sol colpo una tradizione millenaria. Racconto di un fallimento. MASSIMO IACOPI (*) I l XX secolo sarà ricordato per la Turchia come quello di un lungo periodo di scontro fra la tradizione islamo-ottomana e il nazionalismo-modernista. I fatti degli ultimi tempi mostrano segni evidenti che la tradizione islamica, lungi dall’essere stata battuta, sta uscendo vittoriosa dal lungo confronto e allo stesso tempo trasformata. A partire dal XVII secolo il vecchio impero ottomano era entrato in pieno declino. Il secolo seguente è stato quello della sua agonia e della sua dissoluzione, fenomeno che provoca una reazione nazionalista all’interno del suo Esercito, quella dei «Giovani Turchi», fondati intorno al 1895. Il loro scopo era quello di salvare quello che rimaneva dell’Impero, prendendo esempio dall’Occidente. Nel 1908, l’annessione della Bosnia Erzegovina da parte dell’Austria e l’indipendenza della Bulgaria vengono vissute dai Giovani Turchi come un’intollerabile umiliazione. Nell’apri- le 1909, il generale Enver Pashà costringe il Sultano Abdul Hamid II ad abdicare e dà inizio alla modernizzazione del Paese, facendo appello all’aiuto dei Tedeschi. Ma i disastri per la Turchia sono ben lungi dall’essere terminati. Nel 1911, gli Italiani occupano la Libia, nel 1912, i Serbi, i Bulgari, i Greci e i Montenegrini scacciano le ultime vestigia della presenza ottomana sul territorio europeo. Entrati nella prima guerra mondiale dall’ottobre 1914 a fianco dei Tedeschi, i Turchi ottengono un significativo successo sui Dardanelli, ma successivamente essi sono costretti a ritirarsi ovunque, nel Caucaso, in Armenia (dove perpetrano orribili massacri) e ancora, successivamente, in Siria. Coinvolti nella sconfitta, nell’ottobre 1918, i Giovani Turchi sono costretti a scomparire dalla scena politica. Il nuovo Sultano Mehemet VI, più preoccupato della sua incolumità e dei suoi beni personali, accetta il disastro- (*) Generale dell’Esercito Italiano in riserva. Laureato in Scienze Strategiche e specializzato in Geopolitica, socio di numerosi sodalizi tra i quali l’Istituto di Storia nautica portoghese e Reggente di un sistema premiale riconosciuto dal Ministero della Difesa. Autore di pubblicazioni a carattere Storico Militare e di numerosi articoli di stampa su argomenti di carattere vario, pubblicati su periodici a livello nazionale e su giornali e periodici a livello regionale. Insignito del Premio Giornalistico Internazionale INARS Ciociaria, sezione scrittori nel 2007, collabora con la Rivista Marittima dal 2008. 54 Rivista Marittima-Giugno 2013 Turchia, il Kemalismo è al capolinea so Trattato di Sevres che, siglato in Francia il 10 agosto 1920, sanziona la dissoluzione dell’Impero, a beneficio delle Potenze alleate. È proprio in questo momento che viene a imporsi sulla scena politica ottomana il generale Mustafà Kemal, brillante ufficiale che ha conseguito autonomamente il controllo dell’Anatolia. Forte della nomina a Generalissimo e a Capo del Governo da parte di un’Assemblea Nazionale, appositamente riunita, egli dichiara decaduto il sultano. Di fronte a questi fatti gli Alleati lasciano mano libera ai Greci, che lanciano un’offensiva militare in Anatolia, ma, contro ogni aspettativa, Kemal riporta una serie di vittorie sugli Ellenici, tanto da riuscire persino a cacciarli da Smirne, in mezzo a una nuova serie di massacri. Riuscito in tal modo a riconquistare un territorio coerente con i propri obiettivi, Kemal ottiene nell’ottobre del 1922 la firma di un armistizio favorevole alla Turchia e nel 1924, mentre il Sultano Mehemet VI fugge all’estero, decreta anche l’abolizione del Sultanato. Proclamato Ghazi (Vittorioso), dopo la sua vittoria di Smirne, Kemal dà inizio a una rivoluzione, il cui scopo è quello di estirpare ogni traccia della religione mussulmana, considerata un ostacolo insormontabile sulla strada della modernizzazione del Paese. Il 3 marzo 1924 viene abolito il Califfato e Kemal, diventato presidente della Repubblica e Ataturk (Padre dei Turchi), ma esercitando di fatto una dittatura appoggiata sull’Esercito, conduce con energia una campagna di laicizzazione dello Stato in tutti i settori. Le Confraternite religiose vengono abolite, così come viene interdetto l’uso del Fez. Nel 1926, viene adottato il calendario occidentale, nel 1928 è introdotto l’uso dell’alfabeto latino, mentre nel Rivista Marittima-Giugno 2013 1931 entra in uso il sistema metrico decimale. La condizione delle donne è, in linea di principio, notevolmente modificata con l’abolizione della poligamia, l’adozione del divorzio e l’introduzione del diritto di voto (1934). Tuttavia il laicismo di Kemal presentava aspetti di una certa ambiguità. Esso, a differenza dei repubblicani francesi con il cattolicesimo, non ripudiava effettivamente l’Islam, ma voleva solamente che lo Stato fosse completamente indipendente dalla religione e che anzi fosse in condizione di controllarne la sua struttura, nominandone i capi. Il regime crea, a tal fine, un Ufficio degli Affari Religiosi, il Diyanet, in modo da controllare il clero, anche nella segreta speranza di rendere la religione compatibile con i valori della nuova Repubblica turca. In effetti, la storia ha sempre evidenziato che non si può cancellare in un solo colpo una tradizione millenaria. L’Islam riesce a sopravvivere a due diversi livelli: in quello della religione formale, controllata dallo Stato, ma soprattutto in quello della religione popolare delle masse. L’insegnamento religioso, proibito, diviene clandestino, riuscendo comunque a sopravvivere. La morte di Kemal nel 1938 non influisce minimamente sulla situazione di fatto, perché i suoi discepoli rimangono al potere nell’Esercito e nello Stato. Bisognerà attendere l’introduzione del multipartitismo degli anni Cinquanta, per assistere a un ritorno progressivo delle Confraternite nello spazio pubblico e politico turco, fra le tante: la Naqsbandiya e la Nurçu. I partiti politici emergenti sono costretti a fare i conti con i movimenti religiosi, per poter beneficiare del loro sostegno e proprio da quel momento comincia a crescere un processo di clientelismo elettorale favorevole ai religiosi mussulmani. Il decennio se55 Turchia, il Kemalismo è al capolinea guente, vede la comparsa delle fondazioni religiose, le Takif. Questo ritorno in forze dell’Islam si accompagna a delle importanti modificazioni, conseguenza dell’influenza (economica) del fondamentalismo islamico d’origine saudita. Frantumando l’Hanbalismo o la scuola prevalente dell’Islam dell’Impero ottomano, Kemal aveva di fatto e indirettamente aperto la via a un’altra scuola molto più dura e soprattutto più tradizionalista. Dopo la parentesi della laicità kemalista, prodotto d’esportazione occidentale, completamente estraneo alla tradizione popolare turca, vengono a riaffacciarsi sulla scena elettorale nazionale una generazione di reislamizzati che, per certi aspetti, giustificano il successo elettorale islamista del 1996 e del 2002. È il fenomeno detto delle «Generazioni Madrasa» (le scuole coraniche di villaggio o di quartiere). Il colpo di Stato militare del 1980 segna un momento marcante della storia turca quello della sintesi islamo-nazionalista. Da questo momento la laicità kemalista comincia a essere solo un ricordo. Il decennio del primo ministro Ozal (19831993), segna lo sviluppo economico, sempre più crescente, delle Confraternite nella società turca e tale fenomeno si accompagna alla reintroduzione ufficiale dell’insegnamento della religione (proprio nel momento in cui l’Occidente lo rende facoltativo) e alla creazione di potenti mezzi mediatici, sottoposti alla loro influenza: il giornale Turkiye e la catena televisiva TRGT, principali veicoli dell’ideologia islamista. Il nuovo dato geopolitico degli anni Novanta, il crollo del comunismo e il risveglio mondiale dell’Islam, accelerano la reislamizzazione della società turca. L’identità nazionale viene a essere ridefinita su delle basi decisamente etiche e religio56 se. Un’attenzione tutta nuova viene rivolta in direzione del mondo turcofono, nei Balcani, nel Caucaso, in Asia Centrale e persino in Cina. L’Islam, un tempo religione dell’antico impero ottomano, viene ormai impiegata come strumento politico da parte di un regime rimasto ufficialmente laico. Dal 1995 il Diyanet invia dei consiglieri religiosi in tutte le Ambasciate dell’Asia centrale, del Caucaso e dei Balcani. Il Gruppo di Contatto dell’Organizzazione della Conferenza islamica, creata nel 1992, è stato diretto da Mustafà Aksin, che è stato anche il rappresentante permanente della Turchia presso le Nazioni Unite. Nel corso del conflitto bosniaco, quest’organismo ha giocato un intenso ruolo di lobbying a danno dei Serbi e dei Croati. Questo riposizionamento politico del governo turco verso l’esterno contribuisce a modificare la percezione che i Turchi hanno del loro pensiero ottomano. Questo non viene più visto e sentito come un fattore d’arretramento o di decadenza ma, anzi al contrario, come un modello glorioso e da ammirare. Ormai gli islamisti turchi non hanno più bisogno di un collegamento elettorale in Turchia. Essi sono sufficientemente potenti per conseguire autonomamente i loro obiettivi con un loro partito. Il Refaah Partisi o Partito della Prosperità, fondato da Necmettin Erbakan, riesce a vincere una prima volta le elezioni del 1996. I militari intervengono qualche mese più tardi, per cercare di frenare un movimento che ormai non sono più in grado di controllare. Fatica quasi sprecata. Gli islamisti fanno un ritorno trionfale alle urne del 2002 sotto i colori dell’AK Partisi (Partito della Giustizia e della Prosperità) di Recyyp Erdogan. La società turca in pochi decenni è stata nuovamente reislamizzata e si può Rivista Marittima-Giugno 2013 Turchia, il Kemalismo è al capolinea pertanto concludere che il tentativo kemalista di laicizzazione dello Stato è ormai al capolinea e la sua storia viene pertanto a confermarsi come appena una parentesi nella lunga e millenaria tradizione islamica della Turchia. L’ultimo atto di questo processo può essere individuato nella recente modifica, tramite referendum, della Costituzione turca, con la pietosa scusa di voler aderire alle richieste europee. Con questo atto gli islamisti hanno tolto di mezzo l’unico strumento che ancora si opponeva sulla loro strada per pieno controllo dello Stato: l’Esercito, al quale Kemal aveva attribuito la scrupolosa difesa della Costituzione e della laicità dello Stato. La successiva epurazione dei vertici delle Forze Armate, perché considerati responsabili di complotto contro lo Stato non è stata che la logica conseguenza del referendum. La questione armena G li Armeni, eredi di una ricca e lunga storia, occupano nel XIX secolo la regione, spartita fra gli imperi ottomano, russo e persiano, che va da Dyarbakir ed Erzurum a Ovest fino a Gandja oltre il lago Sevan a Est. Frammischiati fra i Kurdi, i Turchi, i Georgiani o gli Azeri, essi sono maggioritari solamente nella regione del lago Van e l’unità del popolo armeno nasce primariamente dalla comunione di lingua e di religione, piuttosto che dall’occupazione di un territorio chiaramente delimitato. La progressione a Sud del Caucaso dell’Impero degli Zar porta alla formazione di un’Armenia russa, distinta da quella ottomana. Dopo la guerra russo-turca del 1877-1878, le autorità ottomane percepiscono come una minaccia la presenza di una minoranza armena nell’Est anatolico. Rivista Marittima-Giugno 2013 Nel periodo 1894-1896 numerose rivolte dei partiti rivoluzionari armeni scatenano l’intervento della gendarmeria turca, che massacra 300.000 Armeni, mentre altri 100.000 cercano scampo nella Transcaucasia russa. Un violento pogrom anti armeno si scatena contemporaneamente anche a Istambul. A partire dal 1905 Armeni e Azeri si oppongono in Azerbaigian in territorio russo, ma la rivoluzione dei Giovani Turchi e il loro programma riformatore fanno nascere delle speranze nel 1908, subitamente deluse. Una volta iniziata la guerra del 1914, la situazione degli Armeni d’Anatolia orientale diventa drammatica. La rivolta che scoppia nell’aprile 1915 e le vittorie riportate dai Russi nella regione, inducono il governo ottomano ad applicare una repressione massiccia. Le elites locali vengono eliminate e la massa della popolazione diventa oggetto di una deportazione generale verso la Siria che provoca almeno 800.000 vittime, conseguenza dei massacri perpetrati dai Kurdi e delle spaventose condizioni in cui avviene la deportazione della popolazione. Le vittorie russe del 1916-1917 riportano nelle regioni di Erzurum, di Trebisonda e di Erzincan una parte degli Armeni che erano fuggiti, ma il ritorno degli Ottomani costringe gli Armeni a un nuovo esodo verso la Transcaucasia. Il Movimento kemalista, impegnato nella riconquista di tutta l’Asia Minore, non tiene in alcun conto delle promesse contenute nel Trattato di Sevres (agosto 1920), che prevedeva la costituzione di una Grande Armenia fra la Cilicia e l’Est anatolico. L’Armenia dovrà attendere la fine dell’Unione Sovietica per ritrovare la liberta e la piena sovranità nazionale che, di fronte alla Turchia e a un Azerbaigian ostile, appare alquanto precaria, costringendola di fatto a rivolgersi verso il suo protettore naturale russo. 57 PRIMO PIANO IL RISCATTO CURDO Nel pentagono dell’Iraq e della guerra siriana GIUSEPPE LERTORA (*) A distanza di poco più di un anno da quando le forze Statunitensi hanno lasciato l’Iraq, ed esattamente a 10 anni dalla caduta di Saddam Hussein e del suo feroce regime, la situazione sociale e civile nel paese non è certo delle migliori sotto il nuovo e contestato governo di al-Maliki. Appena la NATO e gli Stati Uniti sono partiti, si sono scatenate vendette nei confronti delle varie etnie e della popolazione civile, con una pericolosa deriva verso la situazione di Stato fallito. Il premier presiede un sistema corrotto e violento che reprime senza scrupoli i pregressi oppositori e anche la popolazione, impiegando in modo surrettizio le forze istituzionali di sicurezza e la polizia di stato. Il sogno di un Iraq governato da politici retti e obiettivi, eletti dal popolo, sta scomparendo; mancano spesso i servizi sociali basilari, compresa l’energia elettrica, l’acqua potabile, l’assistenza sanitaria; le sparatorie e gli attacchi faziosi continuano senza sosta, creando un clima di paura e di latente terrore per il futuro: l’Iraq è così spinto, ogni giorno che passa, verso una nuova guerra civile. Obama si è preoccupato di garantirsi la benevolenza e i buoni rapporti con le autorità di Bagdad, specialmente col primo Ministro, per assicurarsi un’uscita onorevole e in parte un ritiro sicuro delle sue forze da quel teatro, ma del resto che ha lasciato, non gliene importa granché. La corruzione e l’illegalità galoppano; gli attentati kamikaze, anche quelli nella stessa Bagdad, si moltiplicano; recentemente un commando suicida ha causato oltre trenta morti nel Ministero della Giustizia, e gli attentati sono dell’ordine di decine il giorno (dall’inizio dell’anno si stimano oltre 800 vittime): quasi peggio di quando c’erano gli occupanti Americani! L’acrimonia fra i politici, i gestori della cosa pubblica e la violenza nelle città crea un effetto destabilizzante a tutto campo; il primo responsabile è Maliki, ma anche l’opposizione fa di tutto per portare l’Iraq nel caos incontrollato. Il partito religioso sciita mostra tutta la sua animosità per vendicarsi e anche il partito sunnita, integralista e nazionalista, è sempre più intollerante nei confronti degli uomini religiosi e avversari politici. Il triangolo si chiude con i Curdi che aspirano a mantenere la loro autonomia nella parte settentrionale del paese, contrastando la nascita di un potente governo centrale che, per i notevoli interessi in gioco, potrebbe tentare di impossessarsi delle loro riserve energetiche e minerarie usando la forza come già fatto negli ultimi vent’anni. In pratica la coesione governativa è spaccata in più parti; ogni politico tenta di accaparrarsi (*) Ammiraglio di squadra in ausiliaria che ha culminato la carriera da Comandante in Capo della Squadra Navale. Il suo profilo professionale è caratterizzato da impieghi marcatamente operativi, sia navali che nel settore areonavale, con alterne destinazioni finalizzate alla formazione degli Ufficiali, nonchè periodi dedicati alla progettazione, costruzione e allestimento di nuovi bastimenti. È laureato in Scienze Marittime e Navali presso l’Università di Pisa e collabora con la Rivista Marittima dal 2003. 58 Rivista Marittima-Giugno 2013 Il riscatto Curdo quanto più potere possibile, ignorando le conseguenze del proprio comportamento, lontano dal tutelare le nuove Istituzioni e dal sostanziare una società dei diritti e delle libertà fondamentali. Che sono sempre più limitate; da quella di potersi muovere liberamente per le incrementate aree off-limits come la blindata «Zona Verde» intorno alla capitale, alle recinzioni di filo spinato, ai posti di blocco assurdi che impongono soste infinite con il traffico impazzito che paralizza il centro; alla censura che imperversa in particolare sui libri stranieri che sono banditi, all’abbigliamento femminile castigato, ecc.. Oltre alla minaccia del terrorismo, sta crescendo la protesta sunnita — minoranza religiosa — nella parte occidentale del Paese, con evidenti sconfinamenti e presenza attiva nella guerra civile siriana: sussiste l’elevata probabilità che l’ostilità crescente tra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita, scoppi da un momento all’altro in un aperto e devastante conflitto. L’Iraq è tornato prigioniero di Rais diversi da Saddam, con una serie di gravi problemi sociali e di una forte corruzione: un pantano generalizzato che è difficile da superare. Tuttavia, man mano che ci si sposta verso Nord nella regione curda, l’atmosfera cambia e si percepiscono una maggiore serenità sociale e una certa stabilità, anche per la crescente fiducia nell’economia da parte di grandi società petrolifere (Exxon, Total, Chevron, Gazprom, ecc.) che avevano siglato importanti contratti di esplorazione con il Kurdistan. Ciò ha innescato un trend verso una maggiore autonomia dal governo centrale e centralizzato di Maliki, rendendo tesi i rapporti con il Presidente regionale curdo Barzani, e allontanando le possibili soluzioni nelle dispute sull’energia, sul territorio in generale, e sulle risorse. I tentativi separatisti curdi iniziano da lontano, nei secoli, propendendo sempre verso una dipendenza turca, piuttosto che da Rivista Marittima-Giugno 2013 Bagdad; la loro vita non è stata facile, essendo sparpagliati anche nell’ultimo secolo fra quattro Nazioni, la Turchia, l’Iran, la Siria e l’Iraq, e vessati soprattutto sotto il regime di Saddam durante la guerra con l’Iran, con un accanimento particolare contro quel popolo oggetto di genocidio, distrutto sistematicamente a decine di migliaia, con l’impiego di gas velenosi. Solo nel ’91 ebbero un pò di tregua, con la guerra del Golfo, in cui furono stabiliti una no Fly-zone e un santuario di sicurezza nel Nord dell’Iraq, garantendo loro, per la prima volta, una sorta di protezione internazionale. Nel ’92 i Curdi riescono quindi a organizzare elezioni parlamentari con una legislazione pressoché autonoma, anche se tale esperimento, oltre a non piacere agli Iracheni, non andava a genio neppure ai Turchi che temevano una negativa influenza sulle minoranze curde nel loro paese. Un’altra grande occasione per l’indipendenza e l’instaurazione di uno Stato democratico decentralizzato curdo, avviene nel 2003, quando gli Stati Uniti occuparono l’Iraq; ma la cosa non andò in porto perché furono loro offerte posizioni sensibili e di rilievo nel nuovo governo iracheno, come il Presidente e il Premier curdo, ingabbiandoli. Nonostante abbiano sempre sostenuto che sarebbero rimasti in quel governo a condizione che fosse attuato uno stato federale e democratico, rispettoso della piena dignità delle minoranze, come la loro, curda: la loro aspirazione restava comunque quella di uno Stato indipendente, con una propria costituzione. Con l’avvento di al-Maliki lo stato di conflitto con i Curdi separatisti si è fatto più forte ed evidente per diversi motivi, anche perché Washington spingeva per costruire un governo unitario a Bagdad. Ma le risorse e l’economia hanno giocato un ruolo ancora più importante e prevalso sui principi; contro l’unificazione politica dell’Iraq giocava la scoperta d’ingenti giacimenti di 59 Il riscatto Curdo petrolio e gas, specie nella zona di Kirkuk che consentiva ai curdi di operare autonomamente nel loro sfruttamento in contrasto con i piani del governo centrale. In un’alternanza di situazioni complicate del «come» trasferire il petrolio, se attraverso l’oleodotto che da Kirkuk arriva sulle coste del Mediterraneo Orientale a Ceyhian, oppure verso Bagdad per interessi di parte, resta il fatto che i Curdi, con il loro controllo diretto sulle compagnie Statunitensi, hanno raggiunto una produzione di petrolio di assoluto rilievo. Da un lustro ormai, dal 2008, il Governo di Erdogan ha cambiato strategia nei confronti del Kurdistan, fino allora visto, da un lato, come una necessaria barriera contro l’influenza iraniana, dall’altro come un «invito» secessionista alle frange di etnia curda in Turchia. Da quel momento, proprio il governo turco, ha stabilito relazioni economiche con il Governo Regionale Curdo, incoraggiando gli investimenti nella regione stessa, creando così ulteriori attriti con l’Iraq di Maliki, convinto sempre di più che lo stesso sia una «lunga manu» dell’Iran. Anche la crisi siriana ha spinto sempre più la Turchia ad abbracciare la causa curda fino al punto che Ankara ha promesso a Barzani che le forze turche avrebbero protetto i Curdi in caso di attacco di Bagdad. La situazione si presenta davvero ancora più fluida dopo che Maliki ha annunciato piani per costituire un nuovo comprensorio militare a Kirkuk per tenere sotto controllo la regione; mentre Barzani si spinge sempre più lontano da Bagdad colloquiando con Ankara per sfruttare al meglio le proprie risorse petrolifere. In effetti, esiste un flusso regolare di oltre un milione di barili di petrolio l’anno che, attraverso un oleodotto in costruzione verso la Turchia, rappresenta un buffer sunnita curdo contro gli sciiti di Maliki; di più, c’è una promessa non troppo larvata da parte curda di bloccare i terroristi iraniani e 60 quelli di al-Qaeda provenienti dall’Iraq, verso il conflitto siriano. Per ora gran parte del greggio è trasferito con camion-autobotti a Mersin in Turchia, senza che nulla transiti più negli oleodotti iracheni. Restano in piedi, tuttavia, per il Governo turco almeno due pericoli: la disintegrazione dell’Iraq potrebbe rafforzare il dominio iraniano nella regione e un Kurdistan indipendente darà fiato e forza alla minoranza curda in Turchia. In particolare, nel corso degli anni, soprattutto Damasco ha sempre avversato l’ipotesi della creazione di un’entità autonoma curda, poiché pericolosa per la stessa sicurezza della Siria, nonostante l’asilo offerto a suo tempo al leader del PKK, Partito dei Lavoratori Curdi, Ocalan. La caduta del regime di Assad avrebbe potuto dare maggiori spazi di manovra allo stesso PKK, con la possibilità che, con la nuova ristrutturazione del paese, la minoranza curda avrebbe potuto mutuare un’entità autonoma simile a quella creata nel Nord Iraq, dopo la caduta di Saddam. È ovvio che una simile circostanza, con la possibilità di «fusione» delle due province autonome in un’entità esclusivamente curda, abbia messo in allarme soprattutto la Turchia. Da qui si comprendono, fra gli altri motivi strategici ed economici, i comportamenti di Erdogan nei confronti della Siria: da un lato Ankara non ha mai svolto un ruolo di mediazione fra le parti nel conflitto siriano, dall’altro — anche dopo l’abbattimento dell’aereo dell’aviazione militare turca in spazi internazionali — minaccia ritorsioni di ogni tipo, ma poi sta a guardare cosa dice la NATO, l’ONU, ecc.. Non più tardi della scorsa estate, durante una serie di movimenti di truppe curde provenienti dall’Iraq per unirsi ai rivoltosi siriani, Ankara ha formalmente ribadito la totale contrarietà alla nascita di uno stato curdo, a prescindere che questo fosse collocato nel Nord dell’Iraq o della SiRivista Marittima-Giugno 2013 Il riscatto Curdo ria. La crisi in Siria, con i pesanti ma ondivaghi riflessi sulla Russia e sugli Stati Uniti, sembra essere assai più complessa di quanto appare sui giornali, e anche le mosse turche appaiono articolate e spesso contraddittorie, anche con riferimento alla situazione curda. Sembra che l’approccio ultimo di Erdogan sia quello di dividere le varie frange curde per evitare che si coagulino anche se in regioni autonome nei diversi Stati. Da ultimo l’accordo di pace, del tutto imprevisto e controverso, firmato a Marzo e ora operativo, fra il governo turco e la guerriglia curda, il PKK. Esso rappresenta una rivoluzione epocale nella politica di Ankara, visto che i quasi 2.000 guerriglieri curdi vengono lasciati liberi — ora alla luce del sole- di scendere dalle montagne e unirsi ai curdi dell’enclave autonoma del Nord Iraq. Tale approccio e accordo col PKK è contestato soprattutto dagli ultranazionalisti che paventano possibili fratture nello Stato se ai Curdi, che sono circa il 20% della popolazione turca, sarà concessa una forma di autonomia, oltre a pieni diritti linguistici e politici. Non sono mancati gli scossoni; attentati vari si sono registrati, fra cui quello occorso a Maggio nel villaggio di Reyhanil, ai confini con la Siria, che ha provocato 40 morti e oltre 100 feriti: un tempismo sospetto e sembra che gli attentatori fossero tutti cittadini Turchi, e non Curdi! Gli equilibri dell’intero Medio Oriente, nella viscosità siriana e nei tentativi di autonomia curda, sono in gioco, con le grandi potenze che stanno alla finestra, preoccupate e inette. La Siria, e con essa il Kurdistan, rappresentano realtà d’importanza strategica non solo per la stabilità del Medio Oriente e del Golfo Persico, ma anche per una possibile presenza di gruppi terroristici o «cani sciolti» che operano su scala internazionale. Russia e Stati Uniti, ma anche la Turchia non può chiudere gli occhi di fronte alla crisi siriana e alle ambizioni di Rivista Marittima-Giugno 2013 riscatto curde. La palla è quindi, soprattutto, in mano turca e le scelte non appaiono per niente facili, considerato anche il contesto della guerra civile siriana, e senza dimenticare il turbolento scenario quadrilatero delle nazioni che ospitano i curdi. È un dato di fatto che le città curde, a ogni buon conto e nonostante tutto, stiano rifiorendo; Kirkuk ed Erbil con i loro ottomila anni di storia, in pochi anni hanno raddoppiato la propria popolazione e hanno quasi un volto occidentale dove s’incontrano i capi delle compagnie petrolifere, contractors, giornalisti e perfino turisti; gli hotel di lusso, i centri commerciali e nuovi villaggi residenziali crescono come funghi. Specialmente Erbil, come altre città curde, ha conquistato — al prezzo di grandi sofferenze — la propria indipendenza economica, culturale e identitaria. In due parole, il Kurdistan è infinitamente più sicuro del resto dell’Iraq; qualcuno pensa addirittura che gli Stati Uniti siano andati a occupare l’Iraq per creare uno Stato curdo, separato dalla supremazia turca e irachena! Comunque un ruolo fondamentale avrà l’aspetto geo-economico; la Turchia spinge per togliersi l’incomodo PKK e per aver accesso alle risorse energetiche, mentre le relazioni con Bagdad restano, «impantanate» e, nel frattempo, Ankara compra il petrolio direttamente dai Curdi anche senza l’autorizzazione di Bagdad. Tali mosse produrranno, anche se forzosamente, una maggiore autonomia da Bagdad e un’importante leva nei confronti di Ankara, ma in questo modo non si realizzerà uno Stato indipendente. Ciò rappresenta certamente un notevole progresso, ma alla fine i Curdi resteranno nell’Iraq in uno stato federale sempre più proteso verso una propria autonomia, che potrebbe non tardare a concretarsi, pur con qualche tremendo scossone, non limitato alla sola bilateralità turco-irachena! 61 PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE LE ISOLE DEL TESORO La disputa geopolitica sulle Falkland/Malvinas alla luce del recente referendum L’arcipelago delle Falkland, dipendenza britannica d’oltremare, è costituito da due isole maggiori, West/East Falkalnd e da ben 776 isolotti per una superficie totale di 12.173 km2. EZIO FERRANTE (*) G li abitanti delle isole Falkland hanno deciso di continuare a essere fedeli alla Corona britannica! Il referendum, indetto per l’11 e 12 marzo scorso dal «Consiglio Es- ecutivo delle Isole» (1) sul futuro dello status politico dell’arcipelago nell’Atlantico del Sud, ha sortito il suo esito scontato. I Falklanders quasi all’unanimità (99,8%) (*) Contrammiraglio della riserva, esperto di Storia navale, geopolitica e diritto internazionale marittimo, collabora attivamente con vari istituti di ricerca/formazione e riviste specializzate. In particolare sulla Rivista Marittima dal 1980 ha pubblicato numerosi articoli e ben otto supplementi. 62 Rivista Marittima-Giugno 2013 Le isole del tesoro hanno deciso di rimanere un territorio d’oltremare britannico (i voti contrari sono stati appena tre su 1.517). L’orgoglio britannico ha trionfato ancora una volta, al pari delle analoghe vicende referendarie che hanno visto protagonista Gibilterra nell’ultimo mezzo secolo (2). La stampa britannica esulta (3), mentre quella argentina si ostina a non demordere dalle rivendicazioni politiche e storiche sull’arcipelago, pur di fronte al clamoroso esito del sacrosanto principio dell’autodeterminazione dei popoli. Il referendum-quasi plebiscitario viene infatti definito con toni accesi «parodia», «messinscena», «farsa, illegale e irrilevante» perché si aggiunge, in maniera a dir poco speciosa, «quelli che hanno potuto esprimersi sono soltanto gli abitanti coloniali di una terra che appartiene all’Argentina, ma dove non ci possono essere Argentini a votare per la riunione alla madrepatria, visto che a loro è precluso risiedere là!». Una contesa infinita Sono ormai 180 anni che, tra alti e bassi, si trascina la disputa anglo-argentina sulla sovranità degli arcipelaghi sub-antartici (non solo Falkland, ma anche South Georgia e South Sandwich). Cioè da quel lontano 1833, anno dell’occupazione britannica, a ridosso della fine della lotta per l’indipendenza dalla Spagna dei Paesi latino-americani, alla quale Londra, peraltro, aveva indirettamente contribuito in nome certo dei suoi interessi imperiali. Rivendicazioni basate sui diritti della storia, invero «claudicanti» (4), che dal piano diplomatico si sono poi tragicamente tradotte, nel 1982, nei 74 giorni di conflitto aperto (5) all’insegna dello slogan «Las Malvinas son argentinas!». Ma nemmeno dopo la sconfitta Buenos Aires si è dimenticata delle Malvinas, come persistono a chiamarle. Dalla disposizione transitoria della Costituzione del 1994, in cui si ribadisce come «la Nazione Argentina ratifica la sua legittima e imprescindibile sovranità sulle isole Malvinas, considerandole parte integrante del territorio nazionale», alla dichiarazione della «presidenta» Cristina Fernández de Kirchner, proprio in occasione della sua investitura presidenziale del 10 dicembre 2007, nella quale si riafferma «ancora una volta, il nostro irrinunciabile e indeclinabile re- Entusiasmo dei Kelpers (nickname degli abitanti dell’arcipelago derivato da un’alga locale, kelp appunto) per l’esito del referendum. Rivista Marittima-Giugno 2013 63 Le isole del tesoro Le campagne di prospezioni offshore nella zona economica esclusiva delle Falkland da parte delle varie major petrolifere. clamo alla sovranità sulle nostre isole Malvinas». Più recentemente poi abbiamo assistito al crescere delle tensioni geopolitiche con una vera e propria offensiva diplomatica e mediatica da parte della Casa Rosada che ha dato luogo a una sorta di «guerra fredda» con il Regno Unito. Dal reclamo presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla «militarizzazione» dell’arcipelago e sul loro possibile uso nucleare, all’accusa di un inaccettabile «neocolonialismo fuori tempo massimo», dall’imposizione dell’embargo alle navi che battono bandiera delle Falkland (ma si tratta solo di 25 unità per lo più pescherecci!), adottato anche da quasi tutti i Paesi del Mercosur (6), al «permesso speciale» richiesto a tutte le navi «in navigazione da e per le Malvinas che attraversano le acque giurisdizionali argentine». Le ragioni del rinnovato «irri64 gidimento» di Buenos Aires deve essere ricercato soprattutto in motivazioni geopolitiche applicate alle risorse energetiche in esito alle campagne di prospezioni offshore che si trascinano ormai dagli anni Novanta. Tanto più che, il 14 settembre 2011, la compagnia britannica RockHopper Exploration ha rivelato un piano di investimenti nella zona economica esclusiva delle Falkland da 2 miliardi di dollari, destinati alla realizzazione di infrastrutture offshore su quattro aree in concessione per un totale di 1.500 kmq, col dichiarato obiettivo, tanto per cominciare, di produrre 120.000 barili al giorno entro il 2018. La posta in gioco è altissima e, sebbene le stime siano al momento ancora variabili e peraltro non condivise, si parla, in linea generale, nientemeno che del doppio del potenziale petrolifero di cui Londra dispone nel Mar del Nord. Le FalkRivista Marittima-Giugno 2013 Le isole del tesoro land, «quel pezzo di terra ghiacciato laggiù», come aveva detto il presidente Reagan a suo tempo, sembrano trasformarsi così nelle «nuove isole del tesoro» ai confini meridionali del pianeta! Denominazione che sinora competeva, più propriamente e certo in maniera meno prosaica, all’arcipelago di Juan Fernández, sempre nel «cono sud» del mondo, ma sul versante pacifico, al largo del Cile, sia per il tesoro leggendario dei Vicerè delle Indie (7) che per quello, forse altrettanto leggendario, dell’incrociatore tedesco Dresden, autoaffondatosi proprio lì il 14 maggio 1915, otto mesi dopo la celebre battaglia delle Falkland! E l’Argentina non ci sta, inviando al London Stock Market e al suo omologo newyorkese una diffida a non trattare idrocarburi provenienti dalle acque delle Falkland, in quanto, secondo Buenos Aires, si tratterebbe di petrolio estratto «illegalmente» a seguito di concessioni «unilaterali». E all’uopo cerca anche la solidarietà del Gruppo di Rio, che raccoglie i Paesi sudamericani e caraibici, in un comune piano di «contenimento», economico e politico, delle influenze inglesi (e statunitensi), nel comune intento di tenerle lontane dai «tesori» energetici dell’Atlantico del Sud, in una sorta di rediviva «dottrina Monroe» al contrario, in salsa latino-americana (8). Il fronte giuridico Le acque delle Falkland si aggiungono co- sì alla «sconsolata lista» delle aree marittime «contese» per motivazioni geoeconomiche e finalità geopolitiche, in ragione delle ricchezze energetiche contenute nella sottostante piattaforma continentale (9). Una lunga lista invero che comprende, all’attualità, il Mediterraneo orientale, il Mar Caspio, il Mar Cinese Meridionale e Orientale, il Mar Rivista Marittima-Giugno 2013 Glaciale Artico. Lontano dal clamore dei media infatti, già nel 2009, sia l’Argentina che il Regno Unito, nel tentativo di avvalersi delle possibilità offerte dal diritto del mare in tema di allargamento della piattaforma continentale oltre le 200 miglia dalle proprie coste, hanno ingaggiato — è il caso proprio di dire — una vera e propria battaglia «sottomarina», per fortuna solo cartacea, che si può riassumere nei termini seguenti. Il 21 aprile 2009 l’Argentina ha presentato alla «Commissione sui limiti della piattaforma continentale» (CLPC) (10) una propria submission (11), in cui tenta di farsi attribuire una mega piattaforma continentale che, in buona sostanza, si protenderebbe dalle proprie coste nazionali, inglobando sic et simpliciter i tre arcipelaghi britannici, sino addirittura alle coste dell’Antartide stesso (dove peraltro la porzione di territorio rivendicata dall’Argentina si sovrappone in parte a quella britannica!). A detta istanza l’11 maggio ha fatto seguito quella analoga del Regno Unito (12), relativa ai «suoi» tre arcipelaghi australi. Quindi è iniziato un vero e proprio «balletto» di note di protesta che vedono ancora Londra versus Buenos Aires con note verbali di protesta del 6 agosto, e viceversa, del 20 agosto (13). Il fatto nuovo è che l’istanza argentina, andando a toccare la piattaforma continentale dell’Antartide, protetto, ricordiamo, dal Trattato di Washington del 1959, viene contestata, oltre che dal Regno Unito, anche da Stati Uniti, Russia, India, Giappone e Olanda. Il risultato è che entrambe le submissions, quella inglese e quella argentina, confliggenti in tema di sovranità territoriale, vengono «congelate» dalla CLPC, in attesa che la problematica venga al riguardo in qualche modo chiarita. E non è affatto escluso che, dopo l’esito eclatante e univoco del referendum che ne rafforza indubbiamente la sovranità, Londra faccia tali passi chiarificatori di fronte alla 65 Le isole del tesoro La mega-piattaforma continentale che l’Argentina ha richiesto con la propria submission alla Commissione sui limiti della piattaforma continentale (CLPC), suscitando un vespaio di proteste internazionali oltre a quella inglese. Commissione al fine di allargare de jure la piattaforma continentale, magari solo delle Falkland, che sono poi quelle che più la interessano per i motivi già esposti (anche perché gli arcipelaghi sub-antartici «inglesi» della South Georgia e South Sandwich ricadono nell’«area marittima a Sud del parallelo con lat. 60°S», parimenti protetta dal citato trattato antartico). A meno che non si decida, una volta per tutte, di avvalersi della panoplia di strumenti che il diritto internazionale offre proprio per la soluzione delle controversie, secondo quanto disposto dal66 l’art. 287 della Convenzione stessa (14). Ma non è questa la strada che Londra vuole seguire, tanto più che ha sempre negato qualsiasi trattativa negoziale pur proposta, anche di recente, da Baires. Un nuovo conflitto? Al culmine delle rinnovate tensioni con l’Argentina, lo scorso 6 gennaio, il premier inglese ha dichiarato (e senza mezzi termini) (15) che l’Inghilterra è disposta a difenRivista Marittima-Giugno 2013 Le isole del tesoro dere, se necessario, ancora una volta le Falkland con le armi e che ne ha tutti i mezzi, disponendo ancora del quarto budget della Difesa su scala mondiale. Ma le cose stanno proprio così nel clima dei severissimi tagli imposti dalla spending review militare britannica? Spigolando infatti nelle 75 pagine del documento Securing Britain in an Age of Uncertainty: The Strategic Defence and Security Review (2010), il quadro che emerge delle Forze Armate inglesi nel prossimo futuro non appare molto roseo! La Royal Navy, in particolare, dopo il declassamento della PA Illustrious a portaelicotteri e la demolizione della gemella Ark Royal, punta a mettere in linea una sola portaerei, la Queen Elizabeth, che però dovrà essere modificata a seguito della decisione di non impiegare più la versione a decollo corto (Stovl) dell’«F35 Joint Strike Fighter» (16). Il che comporta lo slittamento dell’entrata in servizio dell’ammiraglia dal 2016 al 2020. Il risultato è che, in caso di crisi alle Falkland, l’aeroporto esterno più vicino si troverebbe a ben 6.034 km di distanza, nell’isola di Ascension! E se l’Argentina di oggi appare lontana dagli standard offensivi del 1982 (17), sono proprio i veterani della guerra del 1982, capeggiati dal Major-General (ca) Julian Thompson dei Royal Marines (18), a «impazzare» sulla stampa e sul web con i loro scenari pessimistici. In estrema sintesi, l’ipotesi di fondo è che, se gli Argentini riuscissero a impadronirsi con un colpo di mano dell’aeroporto di Mount Pleasant, contrastando con successo le forze britanniche presenti nelle isole, data la lentezza e i tempi lunghi dei rinforzi via mare, senza poter contare sul sostegno dell’aviazione imbarcata in mancanza di portaerei, Gli spazi marittimi secondo la Terza Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. 68 Rivista Marittima-Giugno 2013 Le isole del tesoro Londra questa volta non potrebbe più riconquistare le isole, una volta perdute, con buona pace delle conclamate razionalizzazioni imposte dalla spending review. Nel contesto internazionale poi non v’è chi non veda come l’atteggiamento dell’amministrazione Obama sia ben differente da quello assunto a suo tempo dalla presidenza Reagan. Non solo ha evitato di prendere posizione sulla questione della sovranità dell’arcipelago, ma le recenti dichiarazioni del segretario di Stato Kerry (Gli Stati Uniti riconoscono de facto l’amministrazione inglese delle Falkland) hanno suscitato un vero vespaio nella stampa britannica (19). Ma le ipotesi di conflitto appaiono remote con l’Argentina, al momento, tutta compresa dall’entusiasmo per l’elezione di Papa Francesco. Ma chissà che non venga alla fine in mente a qualcuno di rispolverare il tradizionale ruolo di arbi- trato internazionale della Santa Sede, da ultimo esercitato da Giovanni Paolo II negli anni 1978-1985 per dirimere la controversia tra Cile e Argentina sulla sovranità delle isole Picton, Lennox e Nueva nel Canale di Beagle e degli spazi marittimi adiacenti, scongiurando così un conflitto armato che sembrava inevitabile. Tanto più che la presidenta Kirchner nell’udienza privata col pontefice, appena cinque giorni dopo la sua elezione, gli ha già chiesto di «favorire il dialogo» tra Baires e Londra sulle isole contese. Ma il premier Cameron, giocando d’anticipo, si era già premurato, a ogni buon fine, di far rilevare «con rispetto» al neoeletto pontefice di non concordare con le affermazioni rese lo scorso anno proprio dall’ex-arcivescovo di Buenos Aires circa le isole Malvinas «usurpate» (20). E la partita sulle «isole contese» continua. NOTE (1) L’arcipelago delle Falkland è uno dei 14 Territori d’Oltremare (OTs) del Regno Unito, ciascuno dei quali ha una propria costituzione, un proprio governo e un corpus di leggi locali; i rapporti con Londra sono basati sui principi dell’autonomia locale e della mutua assistenza, in cui difesa e affari esteri sono demandati al governo di Londra. In tale contesto il quesito referendario è stato formulato nei termini seguenti: «Volete che le isole Falkland mantengano il loro status politico attuale come Territorio Oltremare del Regno Unito?». (2) In un primo referendum del 1967, i cittadini di Gibilterra infatti votarono, con maggioranza schiacciante, a favore del mantenimento dello status di dipendenza britannica, ignorando le pressioni di Madrid, che non ha mai abbandonato «la guerra delle carte», per riottenerne la sovranità, anche se invero nel Trattato di Utrecht del 1713 la cessione alla Corona britannica venne dichiarata «totale e definitiva». Scelta enfatizzata poi nel novembre 2002, allorché oltre il 98% dei votanti rigettò persino la proposta di «condivisione di sovranità» tra Regno Unito e Spagna. (3) «Bullying Argentina is to told to play fair after Falklands vote» e «Falklanders follow referendum with charm offensive» (The Times e The Guardian, March 13th), quindi «Loud and Clear» in The Economist (March 16th). (4) La denominazione stessa di Malouines si deve al francese Louis-Antoine de Bougainville che così le ha chiamate nel 1764 per quel porto di Saint Malò dal quale era salpato, creandovi anche il primo insediamento. Da sottolineare inoltre, come le isole (forse già avvistate da Vespucci e Magellano) erano state «scoperte» nel 1592 proprio da un inglese, John Davis, al quale competerebbe quindi lo jus inventionis, il diritto cioè di scoperta e che un altro inglese, John Strong, le aveva poi dedicate nel 1690 al tesoriere della Marina britannica, visconte di Falkland appunto. Nel 1767 la base francese viene venduta alla Spagna che ne mantiene il controllo sino all’indipendenza argentina del 1811. Ma gli Inglesi, che nel 1774 vi avevano sgombrato un proprio insediamento, pur lasciando una targa di rivendicazione dei loro diritti, ritornano nel 1833, questa volta per restarci. La South Georgia e South Sandwich vennero annesse da Londra nel 1908 e rivendicate dall’Argentina, rispettivamente, solo nel 1925 e nel 1937; attualmente costituiscono di per sé un «territorio d’oltremare britannico», con basi scientifiche del British Antartic Survey a Bird Island e King Edward Point. (5) Rievocato sulle pagine di questa Rivista da Domenico Vecchioni, «Trent’anni fa la guerra per le Falk- Rivista Marittima-Giugno 2013 69 Le isole del tesoro land-Malvine», fasc. 4/2012, pp. 11-19 e, dal punto di vista argentino, dalla monografia di Leonardo Arcadio Zarza, Malvinas. The Argentine Perspective of the Falkland Conflict, School of Advanced Military Studies, Fort Leavenworth, N.AY 09-10. (6) Mercato comune del Sud, cioè dell’America meridionale, istituito con il Trattato di Asunción del 26 marzo 1991. Ne sono Stati-membri Argentina, Brasile, Uruguay, Venezuela e Paraguay (sospeso però dal 2012), mentre Stati-associati Bolivia, Cile, Perù, Colombia ed Ecuador. (7) Tant’è che, ancora nel 1998, l’imprenditore americano Bernand Kaiser ha investito ben dieci milioni di dollari nelle ricerche di quel tesoro degli Incas che vi avrebbe nascosto il corsaro Juan de Ubilla y Echevarria, dopo aver saccheggiato il galeone spagnolo Nuestra Seňora del Monte Carmelo, diretto da Veracruz a Siviglia. (8) In particolare il Venezuela «chavista» con la sua revoluciόn bonita contro ogni imperialismo yankee (arrivando a esortare la regina Elisabetta a restituire le Malvinas agli Argentini «perché gli imperi sono tramontati») e il Brasile, la cui presidente Dilma Rousseff ha minacciato Londra di non concedere più scalo alle navi britanniche provenienti dall’arcipelago, qualora continuasse le esplorazioni nell’Atlantico Meridionale. Se infatti il Venezuela galleggia di per sé sul petrolio, in Brasile le recenti scoperte di giacimenti offshore nella propria piattaforma continentale a circa 190 km tra Niteroi, vicino Rio de Janeiro, e San Paolo potrebbero rendere il Paese stesso, entro il 2017, non solo autosufficiente dal punto di vista petrolifero, ma anche in grado di esportare un milione di barili di greggio al giorno! (9) Che comprende «il fondo e il sottosuolo delle aree sottomarine che si estendono al di là del suo mare territoriale attraverso il prolungamento naturale del suo territorio terrestre fino all’orlo esterno del margine continentale o fino a una distanza di 200 miglia marine dalle linee di base dalle quali si misura la larghezza del suo mare territoriale, nel caso che l’orlo esterno del margine territoriale si trovi a una distanza inferiore» (unclos III, art. 76). (10) Unclos III, art. 76.8; La Commissione, composta da 21 esperti internazionali di chiara fama, assume poi al riguardo le proprie determinazioni sulla base dell’Annesso II alla Convenzione stessa e delle proprie Rules of Procedures. (11) http://www.un.org/Depts/los/clcs_new/submissions_files/submission_arg_25_2009.htm. (12) http://www.un.org/Depts/los/clcs_new/submissions_files/submission_gbr_45_2009.htm. (13) In cui l’Argentina si oppone alla pretesa de Regno Unito di proporre un allargamento della piattaforma continentale sia delle Falkland (che degli arcipelaghi della Georgia del Sud e delle Sandwich del Sud) con la generica motivazione que pertenecen en su entegritad a la soberanìa de la Repùblica Argentina. (14) Cioè il Tribunale internazionale per il diritto del mare, la Corte internazionale di giustizia ovvero tribunali arbitrali, vuoi ordinari che speciali, come è giù successo per numerosi altri contenziosi sui «confini del mare» legati a sovranità in conflitto. (15) «UK will fight for the Falklands, says David Cameron»/guardian.co.uk. e «Falkland, è già guerra di parole: Noi inglesi pronti a combattere», /ilgiornale.it. (16) In particolare, Part Two, Defence, pp. 21-23 e quindi, sul filo della critica, Malcolm Chalmers «A Question of Balance? The Deficit and Defence Priorities», in Future Defence Rewiew, RUSI, wp n. 7, june 2010 (www.rusi.org/fdr), G. Gaiani, «I Tagli alla Difesa britannica» e A. Tani, «Londra: le portaerei senza aerei di David Cameron», in Analisi Difesa, a. 11, nn. 112 e 113. (17) Soprattutto in tema di navi e aerei, pur potendo sempre mettere in campo una brigata di Marines, una di paracadutisti e ottime forze speciali. All’uopo è doveroso ricordare come, nell’immediato secondo dopoguerra, gli hombres ranas argentini furono addestrati proprio dal nostro tenente di vascello Eugenio Wolk (1914-2006) che, dopo l’esperienza della scuola sommozzatori di Livorno, presso l’Accademia Navale, diretta dal 1° tenente di vascello (rich.) Angelo Belloni, divenne poi, a La Spezia e a Valdagno, comandante del «Gruppo Gamma» della X Flottiglia MAS (1943-45). Semmai la stampa inglese paventa il pericolo dei rockets argentini (non solo Condor II ma anche gli sperimentali Gradicom I e II), al riguardo «Missile Threat on Falkland Horizon», in The Sunday Times, February 24th 2013. (18) «Defence cuts means UK would lose a new Falklands war, Veterans claim» (businessinsider.com); «UK can’t win’ future Falklands conflict» (bfbs.com); «Argentina to invade Falklands after 30th anniversary furore dies down» (telegraph.co.uk); «Falkland could not be re-captured» (defencemanagement.com); «Falkland in the worst danger since 1982» (express.co.uk) e infine «Thompson issues warning over future Argentina invasion» (huffingtonpost.com). (19) «In latest insult to Britain, the Obama administration kowtows to Kirchner on the Falklands referendum» in world.time.mc.com, independent.co.uk e guardian.co.uk. (20) «Pope Francis is wrong on Falkands»/guardian.co.uk e «Cameron says Pope he is wrong on the Falklands», in /thetimes.co.uk, entrambi March 15th, 2013. 70 Rivista Marittima-Giugno 2013 PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE L’UNIVERSITÀ DI GENOVA E LA MARINA MILITARE ITALIANA La formazione degli ingegneri navali MASSIMO FIGARI (*) - ARCANGELO MENNA (**) L e attività legate al mare sono sempre state fondamentali per l’Italia. La nave è un elemento centrale delle attività marittime, sia come mezzo di trasporto, sia come mezzo di protezione e difesa, sia come strumento di proiezione della capacità tecnologica. Essere in grado di progettare, costruire, gestire e dismettere correttamente una nave, è un elemento distintivo e qualificante di un paese in quanto consente di realizzare una strategia marittima in maniera autonoma. In questo ambito la figura dell’ingegnere navale risulta determinante in quanto tecnico qualificato a progettare, realizzare e gestire il complesso iter di vita di una unità navale, sia essa di proprietà pubblica che privata, contribuendo non poco alla creazione di ricchezza per il pae- se. In particolare nella Marina Militare Italiana gli ingegneri navali sono inquadrati nel Corpo del Genio Navale con compiti che vanno dalla conduzione degli impianti di bordo fino ad arrivare all’incarico di Direttore di Macchina, durante il periodo di imbarco, alla gestione della flotta e progettazione delle nuove unità, durante il periodo di servizio a terra. Mentre in ambito non militare l’ingegnere navale normalmente non svolge servizio a bordo ma solitamente opera nella progettazione, realizzazione, gestione tecnica e dismissione. Scopo di questo articolo è mettere in luce alcuni degli aspetti chiave dell’iter formativo degli ingegneri navali e della sua evoluzione nel corso dei decenni, partendo dalla nascita dell’Italia ai giorni nostri. (*) Laureato in Ingegneria Navale e Meccanica presso l’Università di Genova, nel 1989. Nel 1990 ha frequentato il Corso Allievi Ufficiali di Complemento Laureati, Genio Navale, presso l’Accademia Navale di Livorno e successivamente ha prestato servizio a bordo di una unità della MMI con l’incarico di Ufficiale GN. Dall’Agosto 1991 al Luglio 1994 ha lavorato come ricercatore nel Gruppo Strutture del CETENA SpA. Il 1 Agosto 1994 ha preso servizio come ricercatore presso il Dipartimento di Ingegneria Navale e Tecnologie Marine dell’Università degli Studi di Genova. Dal 2002 è Professore Associato, docente delle materie impiantistiche navali. Ha prodotto oltre cento pubblicazioni su riviste o congressi internazionali. Coordina il gruppo di ricerca di simulazione degli impianti propulsivi delle navi che ha collaborato con ABB, Fincantieri, Seastema, MMI, per la portaerei Cavour e per le FREMM. (**) Capitano di Fregata del Genio Navale, ha frequentato l’accademia di Livorno dal 1991 al 1995. Nel 1998 si è laureato in Ingegneria Navale e ha conseguito l’abilitazione alla professione presso l’Università di Genova. Direttore di Macchina di Nave Aviere dal 2002 al 2004 e di Nave Etna dal 2007 al 2009, è impiegato presso lo Stato Maggiore Marina dal 2005 dove si specializzato in Architettura Navale e Logistica Integrata. Attualmente svolge l’attività presso il 5° Ufficio «Progetti unità navali di superficie e speciali» del 7° Reparto SPMM ed è docente incaricato presso l’Università di Genova Facoltà di Ingegneria Navale per l’Insegnamento «Progetto della Nave Militare». Rivista Marittima-Giugno 2013 71 L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana Effige che campeggia fra i corridoi dell’attuale Università di Ingegneria Navale di Genova. Strategia nazionale post-unitaria sull’indotto navale N elle fasi immediatamente successive all’unificazione italiana i politici dell’epoca cercarono di affrontare in maniera sistematica alcune problematiche legate alle professioni marittime con lo scopo di sviluppare il Paese. In particolare vi era l’esigenza di formare i costruttori delle navi, per i quali non vi erano in Italia né scuole né rilevanti competenze tecnico-scientifiche; inoltre, per quanto riguarda la Marina Militare, stava emergendo il problema della preparazione tecnica degli Ufficiali del Genio Navale per le nuove unità a propulsione meccanica. All’epoca, gran parte delle navi, sia degli armatori privati sia delle marine militari piemontese e napoletana, erano state ac72 quistate all’estero e i costruttori, più che veri e propri ingegneri, erano dei pratici la cui esperienza, valida per i velieri tradizionali, era inadeguata per le navi a motore e per l’uso del nuovo materiale, l’acciaio, che cominciava a essere adottato nelle costruzioni navali. Per conseguire lo scopo di indipendenza nel settore navale dagli altri paesi, Benedetto Brin, Generale del Genio Navale e ministro dell’epoca, reputò innanzitutto di primaria importanza che fosse istituita un’apposita scuola, orientata prevalentemente alla preparazione degli ingegneri costruttori previsti nel loro ruolo dall’art. 28 del Codice per la Marina Mercantile e degli ingegneri navali, che avrebbero dovuto provvedere alla progettazione, alla costruzione e al mantenimento delle navi della Regia Marina. Tale iniziativa risulRivista Marittima-Giugno 2013 L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana tava perfettamente organica nel complesso operato del Generale Brin, ingegnere navale di fama mondiale e uomo politico cresciuto nella stima e nel pensiero di Camillo Benso conte di Cavour, che fu infatti fautore di alcune strategie e politiche fondamentali ai fini della costruzione e del consolidamento di quel potere nazionale auspicato dai padri fondatori dell’Unità d’Italia. A tale scopo, valorizzando la vocazione marittima della nostra penisola e la sua posizione geostrategica nel Mediterraneo, in particolare a seguito dell’apertura del canale di Suez, il Generale Brin promosse: — un processo di rinnovamento dello strumento navale militare, mercantile e delle relative infrastrutture, — l’indipendenza e l’autonomia dell’industria nazionale con la nascita e crescita di basilari poli produttivi, — la ricerca tecnologica e la formazione specialistica delle nuove generazioni (punto di nostro interesse). 1871: la Regia Scuola Superiore Navale di Genova Per iniziativa del Generale Brin (ricorda- to in una effige Foto pagina accanto) e per iniziativa congiunta di eminenti cittadini genovesi, col sostegno anche finanziario di enti locali (Comune, Provincia, Camera di Commercio), con un contributo dello Stato e sotto la vigilanza del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio, venne fondata in Genova la Regia Scuola Superiore Navale (ingresso principale Foto in basso). Il mandato di costituire la Scuola fu affidato, nel 1871, al Generale Mattei, Ispettore Generale del Genio Navale coadiuvato dal professor Felice Fasella. La Scuola fu in origine alle dipendenze del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio proprio per sottolineare l’importanza che si voleva dare alla componente industriale, dando un aspetto ben definito, sul piano tecnico, alla figura del costruttore di navi. Ingresso Principale Università di Ingegneria Navale di Genova. Rivista Marittima-Giugno 2013 73 L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana La Regia Scuola Navale Superiore doveva diventare la struttura dedicata alla didattica e alla ricerca nelle discipline di Ingegneria Navale. Per determinare la strutturazione della scuola furono prese in esame quelle che già avevano cominciato a funzionare all’estero: — la Scuola del Genio Marittimo di Parigi, — la Scuola delle Costruzioni e delle Macchine navali annessa al Politecnico di Berlino, — la scuola di Kensington in Inghilterra, ognuna delle quali era ordinata in relazione alle necessità del rispettivo paese. Lo scopo ufficiale della nuova Scuola era: — formare ingegneri di costruzioni navali e di macchine a vapore marine, — istruire coloro che aspiravano all’insegnamento della nautica e delle costruzioni navali negli istituti nautici. 2012: la Scuola Politecnica e il Dipartimento di Ingegneria Navale, Elettrica, Elettronica e delle Telecomunicazioni (DITEN) A partire dalla sua fondazione la Regia Scuola ha avuto diverse ristrutturazioni, assumendo varie denominazioni e diverse forme istituzionali confluendo nell’Università degli Studi di Genova: — 1871-1905 Regia Scuola Navale Superiore, — 1905-1932 Regia Scuola d’Ingegneria Navale, — 1932-1936 Regia Scuola d’Ingegneria, — 1936-1972 Facoltà di Ingegneria, Istituti di Architettura Navale e di Costruzioni Navali, — 1972-1993 Facoltà di Ingegneria, Istituto Policattedra di Ingegneria Navale, — 1993-2010 Facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Ingegneria Navale e Tecno- 74 logie Marine, — 2010-2011 Facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Ingegneria Navale ed Elettrica, — dal 2012 Scuola Politecnica, Dipartimento di Ingegneria Navale, Elettrica, Elettronica e delle Telecomunicazioni (DITEN). Dal 1871 al 1897 la Scuola laureò 236 ingegneri navali e meccanici, tra i quali vi furono uomini come Rota, Mengoli, Cuniberti, i fratelli Orlando, le cui opere sono ancora ben vive nel ricordo degli ingegneri navali di oggi e delle comunità che li ospitarono. I primi direttori della scuola furono Felice Fasella nel periodo 1873-1896 e Carlo De Amezaga, dal 1897 al 1899. L’Ammiraglio Carlo De Amezaga fu anche Presidente dal 1894 al 1899, di lui rimane il ritratto nel salone della presidenza di Villa Giustiniani Cambiaso, storica sede della Facoltà di Ingegneria di Genova. Negli anni immediatamente precedenti alla guerra del 1914-18 gli allievi iscritti al triennio di applicazione di ingegneria navale e meccanica erano circa un centinaio, gli ufficiali del Genio Navale comandati a frequentare la Scuola erano in numero limitato: da cinque a otto (per tutto il triennio). Il numero degli iscritti crebbe fino a raggiungere nel 1919-20 il massimo di 321, più 7 ufficiali del Genio Navale. In seguito alle nuove disposizioni per il reclutamento degli ufficiali della Regia Marina, il numero degli ufficiali del Genio Navale comandati alla Scuola di Genova andò aumentando, nel 1929-30 essi erano in numero di 46. Nel 1930, come è stato detto, cominciarono a funzionare in Genova i primi corsi di ingegneria civile e industriale e di seguito è riportata in Tabella 1 (pagina precedente) una statistica dell’andamento della popolazione scolastica di quegli anni. I dati della penultima colonna figurano nelle statistiche ufficiali della Facoltà, Rivista Marittima-Giugno 2013 L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana quelli dell’ultima sono stimati. L’alta affluenza di Ufficiali del Genio Navale, in questo periodo, é facilmente spiegabile considerando che, tra il 1930 e il 1940, la flotta nazionale venne fortemente incrementata e, in aggiunta alle navi esistenti, entrarono in servizio o si trovarono in allestimento quelle di nuova costruzione. Dopo gli scompensi dell’immediato dopoguerra, il numero degli studenti si è stabilizzato, mantenendosi compreso tra 30 e 40 laureati per anno, inclusi gli ufficiali del Genio Navale. Dai primi anni 2000, con l’istituzione, anche in Italia, del percorso formativo 3+2 (Laurea + Laurea Magistrale) il numero degli studenti iscritti è aumentato fino a un massimo di 130 unità all’anno. Gli ultimi dati sulle immatricolazioni sono in flessione rispetto al picco degli anni 2008/2009, la percentuale femminile con il 23% di donne rimane stabile, mentre gli Ufficiali del Genio Navale sono invece scesi a 2-3 all’anno. Nella Tabella 2 seguito è riportata la ripartizione degli iscritti per corsi di studio, riferita all’anno accade- Dipinto dell’ammiraglio Carlo De Amezaga Università di Ingegneria Navale di Genova. Anno scolastico Allievi iscritti alle sezioni di ingegneria triennio Civili Industriali Navali 1930-31 4 8 73 1931-32 12 15 71 1932-33 16 35 54 1933-34 23 45 46 1934-35 24 47 50 1935-36 29 68 44 1936-37 39 73 21 1937-38 42 75 16 1938-39 33 67 29 1939-40 39 75 26 1940-41 44 138 66 Rivista Marittima-Giugno 2013 Tabella 1 Ufficiali del Genio Navale 4°e 5° anno Iscritti Laureati 54 35 35 19 44 16 55 18 20 17 13 3 27 10 29 17 69 12 98 57 70 41 Totale 245 75 L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana mico 2012/2013, 1° anno della Scuola Politecnica dell’Università di Genova. Il Corso di Studi I l corso di studi indirizzato alla formazione degli Ingegneri Navali, sia di primo sia di secondo livello, è suddiviso in maniera molto bilanciata tra materie di base e materie caratterizzanti. L’offerta formativa di Ingegneria Navale ha un tronco principale molto robusto e consolidato nel tempo (praticamente invariato dalla costituzione e simile alle analoghe istituzioni formative europee) su cui vengono innestate le discipline innovative. Un esempio di recenti innesti innovativi è certamente la specializzazione elettrica degli ingegneri navali che consiste in un corpus formativo di 4 insegnamenti (2 nella Laurea e 2 nella Laurea Magistrale) finalizzati all’approfondimento delle macchine elettriche e dell’impiantistica elettrica navale, sempre più importante nelle nuove costruzioni. Un esempio invece di discipline tradizionalmente presente nei programmi della Scuola è certamente quello delle navi mili- Corso di Studi Iscritti meccanica 247 civile ambientale 164 biomedica 140 informatica 102 elettronica 96 industriale 89 navale 89 nautica 72 elettrica 50 chimica 46 edile-architettura 49 Per un totale di 1.124 iscritti. 76 Tabella 2 % del totale 22 15 12 9 8 8 8 6 4 4 3 tari. L’approfondimento sulle navi militari è sempre stato considerato indispensabile in relazione agli obiettivi della Scuola, rivolti sia alla cantieristica sia al Corpo del Genio Navale. Attualmente l’insegnamento sulle navi militari risulta suddiviso tra «Navi militari» (insegnamento obbligatorio del terzo anno della Laurea) e «Progetto della nave militare» (insegnamento a scelta della Laurea Magistrale per gli studenti civili, obbligatorio per gli studenti militari). Nell’insegnamento obbligatorio vengono forniti i contenuti di base inerenti le varie tipologie di unità militari, la classificazione, i metodi di calcolo standard. Nell’insegnamento a scelta vengono invece forniti contenuti specifici sulle metodologie di progettazione, prevalentemente per le navi militari di superficie, applicati dai maggiori attori nazionali (Enti, Stato Maggiore Marina e partners governativi e industriali). Una magnifica biblioteca nel comprensorio dell’Università custodisce la storia e la cultura navale e fornisce un indispensabile supporto sia allo studio sia alla ricerca anche mediante progetti multimediali come il portale DuilioShip. La collaborazione con la Marina Militare Insegnamento di Progetto della Nave Militare P er offrire agli studenti contenuti sempre aggiornati e appropriati ai futuri ambiti occupazionali, grazie agli accordi fra il Corpo del Genio Navale e il corso di studi in Ingegneria Navale, è stata attivata una Convenzione tra lo Stato Maggiore Marina e la Facoltà di Ingegneria (oggi Scuola Politecnica) dell’Università di Genova che, a partire dall’Anno Accademico 2009-2010, prevede Rivista Marittima-Giugno 2013 L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana la docenza dell’insegnamento di «Progetto della nave militare» da parte di un Ufficiale Superiore del Genio Navale appartenete al 7° Reparto SPMM di Maristat. Oltre ai contenuti, anche le modalità didattiche si possono considerare innovative. Infatti, al fine di rendere efficace il risultato dell’insegnamento e perseguendo la logica win-win, alla base della convenzione, una parte delle lezioni viene svolta in videoconferenza tra SPMM (Roma) e Aula informatica (Genova) ove gli studenti seguono il docente militare sia su grande schermo, sia su singolo PC, avendo la possibilità di interloquire con esso in tempo reale. Le iscrizioni all’insegnamento (a scelta) di Progetto della nave militare hanno visto, in fasi altalenanti, un crescendo e nell’ultimo anno accademico (2012/2013) gli studenti frequentatori dell’insegnamento sono stati ventidue sia militari che civili (4 studentesse e 18 studenti). In particolare i principali argomenti in esso trattati sono: storia della progettazione navale militare italiana; — storia dell’elica navale; — processo di acquisizione dello strumento militare in ambito Dicastero Difesa e Marina Militare; — prima spirale di progetto e suoi elementi; — determinazione delle dimensioni di massima della nave e primo sketch del progetto; — scelta della carena e stima della resistenza al moto; — studio della stabilità e della compartimentazione; — tipologia dei propulsori e loro progettazione; — scelta dell’apparato motore e accoppiamento con il propulsore; — energie alternative: approccio Dicastero Difesa e Marina Militare; Rivista Marittima-Giugno 2013 — il progetto delle strutture; — il progetto logistico; — la survivability e la conseguente architettura del progetto; — studio della generazione e distribuzione elettrica; — cenni sulla progettazione dei sommergibili. Inoltre, per focalizzare praticamente l’attenzione su alcuni argomenti topici sono state effettuate dagli studenti 4 esercitazioni pratiche di calcolo: — scrittura di un Requisito Operativo Preliminare partendo da una Esigenza Operativa assegnata (prima spirale di progetto); — studio dell’aumento della resistenza al moto dovuto allo stato del mare; — determinazione della resistenza di una carena assegnata a diversi dislocamenti; — verifiche di stabilità su una carena assegnata utilizzando uno specifico codice di calcolo. Al fine di amalgamare tutti gli argomenti, trattati nell’ottica dello Stato Maggiore Marina, con quello che è l’approccio dei maggiori partner industriali, sono state effettuate due conferenze da parte di relatori esterni. Fincantieri Divisione Navi Militari ha trattato «l’approccio industriale alla progettazione del naviglio militare di superficie» e il RINA ha trattato «l’inquadramento normativo e la classificazione delle navi militari». Visita su Nave Fasan presso il Cantiere del Muggiano Per stimolare ancor più praticamente tale approccio, grazie al personale interessato della MMI, di Occar PD Fremm e di Fincantieri, gli studenti del corso di Progetto della Nave Militare hanno avuto, il 27 novembre 2012, la possibilità di poter visita77 L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana Universitari UNIGE in Plancia di nave FASAN. re Nave Fasan , Unità attualmente in costruzione presso il Cantiere Navale di Muggiano (La Spezia). La visita in cantiere ha offerto la possibilità ai futuri «ingegneri navali» di interfacciarsi con quella che è la realtà produttiva del settore e rendersi conto delle dinamiche con cui si porta a termine il progetto e la realizzazione di una nave militare. Inoltre essa è risultata particolarmente istruttiva e utile, non solo perché le navi militari presentano particolarità impiantistiche e strutturali che ovviamente non si trovano in ambito mercantile, e comunque rappresentano in genere le soluzioni ingegneristiche del settore più all’avanguardia, ma soprattutto perché è stata data agli studenti la possibilità di partecipare in maniera attiva a una 78 lezione sul campo, dove le conoscenze e le competenze trasmesse dal docente risultano più facilmente assimilabili. La visita è iniziata con la presentazione delle attività svolte dal cantiere per conto della Marina Militare e in dettaglio sono state descritte le attività di produzione e trasporto della componentistica utile alla produzione e le attività di collaudo che abitualmente si svolgono. Successivamente durante il giro conoscitivo su Nave Virginio Fasan (una delle 6 fregate classe «Fremm», in allestimento e frutto della cooperazione italo-francese, peraltro già sperimentata con successo per la realizzazione dei due cacciatorpedinieri classe «Orizzonte», «Andrea Doria» e «Caio Duilio») sono state illustrate le caRivista Marittima-Giugno 2013 L’Università di Genova e la Marina Militare Italiana ratteristiche tecniche della piattaforma per quanto concerne l’apparato propulsivo, la generazione elettrica e il controllo di tutti i sistemi di bordo. È stata posta l’attenzione sulla capacità della nave di far fronte in maniera attiva a condizioni di emergenza, anche molto significative, senza comprometterne l’operatività; sono state illustrate le capacità del sistema di combattimento di affrontare una guerra elettronica, sia in maniera attiva che passiva e di occuparsi della lotta antisommergibili. Dal punto di vista tecnico per gli studenti è stato oltremodo interessante e coinvolgente poter vedere realizzato concretamente quanto si studia in Università e, nel caso specifico, la visita è risultata necessaria per comprendere appieno le soluzioni progettuali, del tutto non standard, di un prodotto che è un sistema particolarmente complesso come la Nave Militare. Dal punto di vista didattico è risultato sicuramente importante dare ai futuri ingegneri navali, che un giorno saranno la classe dirigente dell’indotto dell’Ingegneria Navale italiana e quindi dei maggiori partners industriali della Marina Militare, la possibilità di avere una formazione che preveda momenti di apprendimento sul campo mirati sia alla comprensione delle problematiche specifiche sia delle dinamiche peculiari della progettazione e della costruzione navale militare che quotidianamente si presentano negli uffici e in cantiere. Conclusioni L’opportunità di avere un docente mili- tare dello Stato Maggiore Marina direttamente impiegato nella progettazione navale rappresenta un importante valore aggiunto che la Marina Militare Italiana fornisce agli studenti di Ingegneria Navale. Negli atenei si studiano i concetti per poter dare soluzione a problemi di ordine progettuale e pratico, ma è negli uffici di progettazione e in cantiere che il tecnico deve prendere decisioni rapide, efficaci e tante volte innovative rispetto a quanto studiato. È di strategica importanza altresì far approcciare e familiarizzare in modo proattivo i futuri ingegneri navali non militari, che saranno in futuro il nerbo dei maggiori partners industriali della Marina Militare, con il mondo della progettazione navale militare, con i suoi processi e con gli Enti e le Istituzioni in essa coinvolti. Tirando le somme e analizzando i frutti della collaborazione fra Università di Genova e Corpo del Genio Navale della Marina Militare è sicuramente auspicabile che la collaborazione tra le Università, la Marina Militare e i maggiori patners industriali, a partire dalla formazione, continui e si intensifichi per dare la possibilità ai futuri ingegneri navali di essere formati in modo idoneo alle esigenze dettate dal mondo del lavoro. BIBLIOGRAFIA M. Elisabetta Tonizzi, Il «Politecnico del mare» alle origini della Facoltà di Ingegneria, La Regia Scuola Superiore Navale, Genova, 1997. Sergio Marsich, La scuola per l’ingegneria a Genova, L’Ingegneria Navale, Università degli Studi di Genova, Genova, 2004. http://www.duilioship.it/. Rivista Marittima-Giugno 2013 79 SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE LA MARINA MERCANTILE DELL’IMPERO ASBURGICO MARIO VERONESI (*) I compiti storici della monarchia austriaca erano fatalmente segnati dalla sua posizione geografica. In politica interna consistevano nella riunione in un unico stato di numerosi popoli che abitavano i suoi territori. Verso l’esterno la monarchia danubiana aveva costituito un baluardo contro gli aggressivi popoli orientali e poi il naturale intermediario tra Oriente e Occidente, fra l’Europa e il Levante. Dopo il congresso di Berlino del 1878, in cui si stabiliva alla monarchia austro-ungarica l’occupazione della Bosnia e dell’Erzegovina, il diritto all’occupazione del Sangiaccato di Novibazar e alla marcia verso Salonicco per la via di Mitrovizia e la polizia costiera del Montenegro, avevano portato alla duplice monarchia vaste zone di coste adriatiche. Non dimentichiamo che l’Austria-Ungheria era l’unica potenza europea a non avere colonie e per questa mancanza di possessi coloniali la sua flotta mercantile e militare, non disponeva in nessun punto del globo di porti, nei quali le navi potessero trovarsi in condizioni di superiorità nel regime di concorrenza con le marine straniere. Su questo fondamento fu eretto l’edificio della Marina mercantile nazionale, la quale dovette sempre tener presente che il trasporto delle merci esercita una sensibile influenza su tutti i fenomeni di produzione e di distribuzione dell’economia di uno stato. Il primo obiettivo della politica marittima dell’Impero Asburgico doveva pertanto essere quello di assicurare alla Marina mercantile nazionale tutto il traffico marittimo della monarchia con l’estero, traffico che nel 1911 era ancora effettuato per 4/5 da navi battente bandiera estera. La Marina mercantile asburgica si trovava a fronteggiare compiti poderosi. Il raggiungimento di questo obiettivo richiedeva un appoggio statale, attuato su vasta scala. Un sistema di sovvenzioni, basato su accordi particolari con le grandi società armatoriali di linea e sulle leggi del 1893 e del 1907 in appoggio alla marina mercantile, sistema che comprendeva contributi annui, premi di costruzione e sussidi di esercizio e di traversata. Il rigoglioso sviluppo avuto dalla Marina mercantile austro-ungarica, nei riguardi sia del numero delle unità, come del loro dislocamento attestava che tale marina aveva una profonda vitalità e costituiva una necessità economica per la monarchia danubiana. Nel 1902 il materiale della Marina mercantile contava fra piroscafi, velieri, unità costiere, imbarcazioni a vela e da pesca, 24.756 unità, per una stazza lorda di (*) Pavese classe 1949, è docente all’UNITRE di Pavia. Ricopre, inoltre, la carica di Assessore alla Cultura, Istruzione, Ecologia e Ambiente nel comune di residenza, Cura Carpignano (Pavia). Collabora con i mensili Marinai d’Italia, Lega Navale e Rivista Militare, con il settimanale Il Ticino di Pavia e con il quotidiano La Provincia Pavese. È collaboratore della Rivista Marittima dal 2005. 80 Rivista Marittima-Giugno 2013 La Marina mercantile dell’impero Asburgico 417.566 tonnellate. Nel 1912 tale quantitativo era salito a 32.266 unità per 639.349 tonnellate, e alla metà del 1914 comprendeva 445 piroscafi di tonnellaggio superiore alle 100 tonnellate e aveva un dislocamento globale di 1.055.719 tonnellate di stazza lorda. Nel periodo 1902-1912 il commercio marittimo con l’estero crebbe del 25% mentre il tonnellaggio nazionale aumentò del 50%. L’efficienza di questa marina e il prestigio della sua bandiera erano rappresentati soprattutto dalle grandi società armatoriali. La più antica e la più grande fra queste era il «Lloyd austriaco» (1) la cui flotta nel 1914 comprendeva 61 unità della stazza lorda di 234.758 tonnellate; il quale nel 1911 celebrò il 75° anniversario della sua fondazione. Le tradizionali e più importanti linee di navigazione di questa società si svolgevano nel Levante e nelle acque orientali del Mediterraneo, traffico profondamente aiutato dal fatto che la monarchia danubiana aveva una rilevante funzione commerciale in Turchia, Grecia; ed Egitto. Per i traffici mediterranei e in mar Nero, il Lloyd aveva istituito complessivamente 15 linee; mentre per i servizi oceanici e per il commercio con l’India, la Cina e il Giappone aveva creato tre linee, che soffrivano della concorrenza della ferrovia transiberiana, ma nonostante questo tenevano bravamente testa alle concorrenti europee di navigazione. I servizi adriatici furono esercitati in maniera insufficiente dalla società ungherese di navigazione «Ungaro-croata» e dalla società italiana «Puglia», e soltanto l’introduzione di moderni piroscafi postali aveva permesso un miglioramento anche in questo campo. La società «Austro-americana» (2) e la «Fratelli Cosulich», la quale più tardi prese la denominazione di «Unione Austriaca di Navigazione» avevano scelto come sfera d’azione l’oceano Atlantico. Questa azienda disponeva di una flotta di 31 navi per una Rivista Marittima-Giugno 2013 stazza lorda di 141.532 tonnellate, fra le quali si annoveravano i maggiori piroscafi della marineria austriaca. Il criterio fondamentale al quale si ispirò la società «Austroamericana», fu quello di avviare verso i porti nazionali l’afflusso sempre crescente delle materie prime che provenivano dall’America. Una politica di tariffe genialmente concepita e attuata sulla base della legge del 1893 a sussidio della Marina mercantile, permise effettivamente a quella società di attrarre a se una parte del movimento mercantile fra gli Stati Uniti e importanti porti mediterranei. Mentre nel 1896 fra l’AustraUngheria e l’America del nord erano stati trasportati per via mare soltanto 11.000 quintali di merci, nel 1913 tale traffico era salito a 2.069.000 quintali per il solo transito di Trieste, 2/3 dei quali erano arrivati tramite «l’Austro-americana». Il traffico marittimo verso l’America del sud (Brasile, Argentina, Uruguay; Paraguay) che nel 1907 era stato di soli 95.500 quintali, sei anni dopo era salito a 1.855.790 quintali. Il 95% di questo traffico globale era svolto dalla «Austro-americana». Nel 1909 questa società venne obbligata da un contratto con il governo austriaco a istituire una linea con l’America del sud (Trieste-Rio de Janeiro-Santos-Buenos Aires). La «Austro-americana» istituì a proprio rischio e pericolo una linea passeggeri Trieste-Nuova York, introducendo traversate regolari e istituendo nel porto di Trieste un ricovero per emigranti. Nel 1913 trasportò in servizio di emigrazione e di rimpatrio da e per l’America del nord, Canada e America del sud 40.295 passeggeri, corrispondenti al 61% del traffico globale di emigrazione del porto di Trieste. Questo servizio fu ostacolato da una fortissima concorrenza da parte della «Canadian Pacific» e della «Cunard Line». Fra l’amministrazione statale e questa società di navigazione, vigeva una convenzione navale sol81 La Marina mercantile dell’impero Asburgico tanto per i servizi di navigazione con l’America del sud. I sussidi garantiti da questa convenzione erano scaglionati in tre periodi e aumentarono nel periodo 1910-1915. Si devono poi aggiungere i rimborsi per il servizio postale, per il servizio radiotelegrafico, e i rimborsi di noli per determinate merci sia d’importazione che d’esportazione. Mentre per le nuove costruzioni marittime era assicurata una sovvenzione statale di 4.000.000 di corone. La più grande azienda nel campo della marina libera, era la società «D. Tripovich e C.», la quale possedeva una flotta di 17 unità per una stazza lorda di 63.377 tonnellate. Anche la Marina mercantile ungherese aveva avuto uno sviluppo simile a quello della Marina austriaca. Subito dopo il compromesso del 1867 l’Ungheria si era energicamente dedicata alla creazione di una propria flotta mercantile, prendendo come suo emblema il motto: Tengerre Magyar (Al mare Ungheria). Mentre nel 1900 la flotta mercantile disponeva di una stazza lorda di sole 69.317 tonnellate, dodici anni più tardi il suo dislocamento complessivo si era più che raddoppiato, e a metà del 1914 contava 227.863 tonnellate. La maggior società ungherese armatoriale era l’«Adria», che all’inizio della guerra disponeva di 34 unità. Sino al 1911 fu legata alla compagnia inglese «Cunard Line» da una convenzione finanziariamente vantaggiosa per le due parti contraenti, ma svantaggiosa per l’Ungheria e per la Marina mercantile austriaca, secondo la quale gli emigranti che passavano per Fiume erano lasciati al monopolio della società inglese. Le principali e più importanti zone di attività della «Adria» erano l’America del sud e la parte occidentale del Mediterraneo. Il traffico costiero della Dalmazia era effettuato dalla società ungherese «Ungaro-croata» che disponeva a metà del 1914 di 46 piroscafi per un totale di 17.432 tonnellate di stazza lorda. In se82 guito alle forti sovvenzioni avute dal governo ungherese questa società riuscì a dare alle proprie linee di navigazione lungo le coste dalmate, trascurate dal «Lloyd austriaco», uno sviluppo così favorevole che l’importazione a Fiume delle merci, proveniente da quelle regioni, nel periodo di tre anni aumentò di oltre il 50%. Anche Fiume era stato adattato all’accresciuto movimento di naviglio mercantile. In correlazione con una politica di tariffe da parte del governo ungherese, crearono al porto di Fiume una posizione eminente tra i porti del Mediterraneo. Lo sviluppo di quel porto fu, ovviamente, dovuto più a fattori politici che economici. Se il porto fiumano era stato fino al 1860 sacrificato dall’Austria per favorire lo sviluppo del vicino porto triestino, dal 1868 in poi, col passaggio di Fiume all’Ungheria accadde un’inversione di tendenza. L’importanza della Marina mercantile nei riguardi dell’economia nazionale era anche caratterizzata dalla circostanza che nel 1910 erano impiegate in questo ramo di attività circa 13.000 persone, divenute 16.000 qualche anno dopo. Assorbiva un capitale azionario di circa 200 milioni di corone e trasportava 70 milioni di quintali di merci all’anno. Riusciva a introitare annualmente circa 200 milioni di corone come compenso per noli a vantaggio quasi competo dell’economia nazionale. Era diventata in pochi anni, una delle più importanti fonti di ricchezza della monarchia asburgica. Questo sviluppo del commercio marittimo e della Marina mercantile, non sarebbe stato possibile senza la contemporanea sistemazione dei porti e delle reti di traffico. Trieste era prevalentemente un porto d’importazione, costituiva un emporio per tutti i prodotti del Levante, per l’importazione del caffè, per le merci provenienti dall’Estremo Oriente, per i prodotti agricoli italiani, per i prodotti dell’Africa del nord e dell’Egitto e per il cotone proveRivista Marittima-Giugno 2013 La Marina mercantile dell’impero Asburgico niente dall’America del nord. Il quantitativo delle merci importate superava di due volte e mezza, il quantitativo delle merci esportate. Pola risultava il miglior porto dell’Adriatico, ma era saturo dai suoi compiti di base militare-marittima per poter servire anche gli interessi del commercio marittimo. Il golfo di Cattaro costituiva un ancoraggio molto spazioso, ma il suo montuoso entroterra e l’insufficienza di collegamenti, ne impedivano lo sviluppo. Le poco favorevoli condizioni ambientali dell’entroterra dalmato avevano portato una certa importanza, al solo porto di Spalato. In esso erano risposte le speranze della Dalmazia per il futuro, e per questo vi furono dedicati per il suo miglioramento cospicui mezzi. La floridezza della Marina mercantile aveva costituito la naturale premessa per un rafforzamento dell’industria cantieristica dell’Impero. L’Austri-Ungheria, che aveva dovuto ordinare la maggior parte delle sue navi in Inghilterra, poté nel 1913, grazie alla creazione e al perfezionamento dei cantieri navali nazionali raggiungere il settimo posto nella graduatoria dei paesi costruttori di naviglio. La crescente importanza del porto di Trieste e le esigenze della Marina da Guerra austriaca furono gli elementi determinanti per la nascita di una nuova attività cantieristica. Il 12 agosto 1839, venne inaugurato, lo Squero San Marco che in seguito sarebbe diventato, dopo esser confluito nel 1897 nello Stabilimento Tecnico Triestino, il più grande cantiere navale dell’Austria-Ungheria e uno dei più importanti di tutto il Mediterraneo. Nel 1857 la Fabbrica Macchine Sant’Andrea e il Cantiere San Rocco confluirono nello Stabilimento Tecnico Triestino. Qui vennero costruite la maggior parte delle navi da guerra (corazzate, incrociatori, fregate e corvette) della Marina imperiale e moltissime navi destinate a servire nella Marina mercantile. Tra Rivista Marittima-Giugno 2013 il 1884 e il 1914 vennero costruite, tra le molte altre, 13 delle 16 navi da guerra della KuK Kriegsmarine incluse le tre navi della classe «Habsburg», le tre navi della classe «Arciduca Francesco Ferdinando» e tre delle quattro navi della classe «Tegetthoff». Dal 1907 si aggiunse un nuovo impianto, progettato e finanziato dalla famiglia Cosulich. Il cantiere sorse sugli acquitrini di Panzano, presso Monfalcone, dopo che, negli anni precedenti, lo scavo di sabbia e di ghiaia necessario per le colmate nel nuovo punto franco di Trieste, nella zona di Sant’Andrea, determinò la disponibilità di due grandi bacini, con buoni fondali, a pochi chilometri da Monfalcone e a sole 16 miglia marine dal porto di armamento della flotta dei Cosulich. Per la gestione del nuovo cantiere inaugurato il 3 aprile 1908, venne costituita la società per azioni «Cantiere navale triestino di Monfalcone». L’attività del cantiere portò a un rapido sviluppo della cittadina di Monfalcone e in pochi anni lo stabilimento divenne il più importante del Mediterraneo. I cantieri della Ganz e C «Danubius», società per la costruzione di navi, locomotive e vagoni, vennero ampliati poco prima della grande guerra e formati da un cantiere principale a Fiume e da uno stabilimento a Porto Re. I cantieri «Lazarus» e lo stabilimento per la costruzione di sommergibili della ditta «“Whitehead e C»” (3) a Fiume, rappresentavano gli interessi ungheresi e che assicuravano alla monarchia danubiana la completa indipendenza dall’estero nel campo della costruzione sia del naviglio mercantile, come in quello militare. Tali aziende occupavano circa 12.000 dipendenti e interessavano con l’indotto, l’attività di molte aziende dell’industria dell’intero paese. Così la Marina mercantile, le reti interne del traffico, i porti, gli arsenali contribuirono nelle rispettive sfere d’azione, 83 La Marina mercantile dell’impero Asburgico a dare alle coste della monarchia asburgica la caratteristica di uno dei suoi più preziosi possessi, la cui importanza risul- tava ancora accresciuta per l’effetto della passione per il mare che si stava evolvendo ovunque. NOTE (1) L’Osterreichischer Lloyd o Lloyd Austriaco fu la più importante Società di Navigazione dell’Austria, e poi, dell’Austria-Ungheria, fondata nel 1833. Una curiosità di questa società di navigazione era la lingua parlata, la lingua di servizio, era l’italiano; non si trattava dell’italiano parlato di oggi, ma una o più lingue di radice veneta tra quelle parlate a Trieste, sulle coste dell’Istria, a Fiume, in Dalmazia e in Veneto. La prima nave che venne consegnata al Lloyd fu l’Arciduca Lodovico, di 310 t, costruita a Londra. Il primo viaggio organizzato per il trasporto di passeggeri avvenne il 16 maggio 1837; a bordo si trovavano 53 passeggeri, che dopo un viaggio di 14 giorni con soste nei porti di Ancona, Corfù, Patrasso, Pireo, Syra e Smirne, giunsero a Costantinopoli. Un altro fattore responsabile della crescita del Lloyd Austriaco fu l’accordo con l’Erste Donau Dampfschifffahrt Gesellschaft (DDSG). Veniva così realizzata una formidabile rete di distribuzione di merci e movimenti di passeggeri che univa le linee operanti nel bacino del Danubio con il mar Nero e da qui verso le altre destinazioni. Poco tempo dopo, l’apertura del canale di Suez vennero attivate le rotte per Port Said (1869), Bombay (1870), Colombo, Singapore (1880), Hongkong (1880), Shangai (1881), Nagasaki (1892), e Yokohama (1892). Nel 1914 all’inizio della prima guerra mondiale, molte navi del Lloyd Austriaco erano in navigazione sugli Oceani. Così qualche nave cercò rifugio in porti neutrali, molte furono utilizzate dalla kuk Kriegsmarine (Imperial Regia Marina da Guerra) come navi da trasporto o navi ospedale. All’inizio di novembre del 1918, le truppe del Regno d’Italia entrarono a Trieste, e il 28 novembre la Banca Commerciale Italiana acquistò la Compagnia dal precedente proprietario, al prezzo di 1.000 lire per ogni azione. Il 3 gennaio 1921 venne deciso di cambiare la denominazione del Lloyd Austriaco in quella di Lloyd Triestino. (2) La società Austro-Americana, venne fondata nel 1895 da Gottfried Schenker, August Schenker-Angerer e William Burell, spedizionieri e fondatori della «Schenker Spedition» (Spedizioni Schenker) con lo scopo di realizzare un collegamento marittimo per il trasporto delle merci tra l’Austria-Ungheria e il Nord America. Nel 1902 William Burell si ritirò dalla Società e la sua quota venne ceduta ai Fratelli Cosulich, e nel 1903 la Società assunse la denominazione di «Unione Austriaca di Navigazione dell’Austro Americana e dei Fratelli Cosulich». Nel 1904 per la prima volta, vennero organizzati viaggi per il trasporto dei passeggeri (emigranti) verso gli Stati Uniti d’America. Nel 1910 la Società ottenne l’incarico per il trasporto della corrispondenza sulle rotte del nord e sud dell’Atlantico, e venne inaugurata, la linea Trieste-Rio de Janeiro-Santos-Buenos Aires. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, l’Austro-Americana andò incontro a un destino simile a quello del Lloyd Austriaco. Le navi che si trovavano nei porti stranieri o in navigazione al di fuori delle acque territoriali vennero catturate o affondate dagli Stati nemici. Un certo numero di navi venne requisito e destinato a essere utilizzato come navi ospedale. La famiglia Cosulich, che ne faceva parte, acquisì la Società e dal marzo 1919 questa venne denominata «Cosulich Società Triestina di Navigazione». Dal 1932 al 1936 la Società prese il nome di «Italia Flotte Riunite» (Cosulich, Lloyd Sabaudo, Navigazione Generale Italiana). (3) Le origini della «Whitehead e C», risalgono al 1875 quando l’ingegnere inglese Robert Whitehead inaugurò a Fiume, un impianto per la produzione di siluri la «Torpedo Fabrik von Robert Whitehead». Il primo prototipo, presentato il 21 dicembre 1866 presso una commissione di valutazione della Marina Austro-Ungarica venne valutato in modo positivo e iniziò la produzione a scopo sperimentale. Nel 1871 anche la Marina Britannica decise l’acquisto dei siluri fiumani e l’anno successivo fu la Marina Francese. Nel 1891 ad acquistare i siluri Whitehead fu l’US Navy. Nel 1907 il gruppo sottoscrisse un accordo con il governo italiano per l’ingrandimento e il completamento dell’officina siluri di La Spezia. Dall’inizio del primo conflitto mondiale il Silurificio di Fiume lavorò esclusivamente per gli Imperi Centrali e in seguito all’entrata in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa, le attrezzature di produzione vennero trasferite da Fiume a St. Polten, vicino Vienna. I timori si rivelarono fondati in quanto il 2 agosto 1916, la fabbrica, venne bombardata da aerei italiani. BIBLIOGRAFIA Hans Sokol - La guerra marittima dell’Austra.Ungheria 1914-1918 - Istituto Poligrafico dello Stato Libreria, Roma 1931. P. Campodonico - La Cantieristica italiana - Genova 2007. G. Gerolami - Cantieri Riuniti dell’Adriatico, Origini e sviluppo 1857-1907, 1957 - Trieste, 1957. E. Gellner, P. Valenti - Storia del Cantiere San Marco - ed. Luglio Trieste 2002. P. Valenti - Storia del Cantiere Navale di Monfalcone: 1908-2008 - ed. Luglio Trieste 2007 M. Martinuzzi - Cantiere 100 anni di navi a Monfalcone - Fincantieri, Trieste, 2008. 84 Rivista Marittima-Giugno 2013 SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE ALLE ORIGINI DEI LEGAMI TRA LA MARINA ITALIANA E FRANCESE Durand de La Penne - Forbin - Doria L’ANDREA DORIA, unità della Marina Militare Italiana della classe «Orizzonte» GILLES MALVAUX (*) A ttualmente, i legami tra la Marine Nationale francese e la Marina Militare italiana sono particolarmente testimoniati dalle fregate europee multimissioni FREMM e dalle navi della classe «Orizzonte», Andrea Doria — Caio Duilio & Forbin — Chevalier Paul. Tuttavia la Storia è ricca d’avvenimenti che testimoniano come la vicinanza geografica di questi due Paesi abbia permesso che si tessessero dei legami già dal Medioevo. Dopo un breve ripasso storico che sottolinea in particolare l’importanza di Genova, vedremo alcuni aneddoti poco (*) Tenente di vascello nella Marine Nationale francese, è stato imbarcato per un anno, da giugno 2012 a giugno 2013, sulla nave Francesco Mimbelli, classe «Durand De La Penne», nell’ambito di uno scambio tra la Marina italiana e francese. 86 Rivista Marittima-Giugno 2013 Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese conosciuti o ignoti ove appare il nome Doria nella storia della Francia, a volte assieme e in modo piuttosto curioso al nome Forbin; vedremo anche una breve presentazione delle origini provenzali dell’ammiraglio Luigi Durand de La Penne. Il regno di Francia e i marinai genovesi L ’alleanza della Francia e di Genova è antica e risale fino alle Crociate. Durante la Guerra dei Cent’anni tra la Francia e l’Inghilterra, Egidio Boccanegra, e poi suo figlio Ambrogio Boccanegra, fornirono ai re francesi l’appoggio marittimo di cui essi avevano bisogno (battaglia di l’Ecluse nel 1340 — battaglia di La Rochelle nel 1372). Mezzo secolo prima, il re di Francia Philippe IV le Bel creava il primo cantiere navale dello Stato, le clos des galées, e assunse come consigliere il genovese Benedetto Zaccaria, che fu pure nominato ammiraglio. In seguito l’influenza italiana del Rinascimento in Francia (la Renaissance) si palesò anche negli italianismi, messi di moda dalla Corte e dai poeti. In ambito Marina, quest’influenza era preponderante già dal Medio Evo (galées sopracitato viene da galea). Per esempio, la drisse è la cima che serve a drizzare le vele sulla misaine (mezzana), la coursive (corsia) è il corridoio all’interno della nave, le brigantin è una barca a due vele (brigantino), e la carène è la carena. Un corsaire è in realtà un corsaro, che può indossare un caban (cabbanu in siciliano), magari dandosi coraggio con il canto marinaresco assai licenzioso Allons à Messine (andiamo a Messina); senza dimenticare che i marinai e i soldati sono pagati con la solde . Invece, se tribordo e babordo derivano dal francese bâbord e tribord, questi due ultimi termini hanno una radice olandese La FORBIN unità navale francese appartenente alla classe «Orizzonte». Rivista Marittima-Giugno 2013 87 Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese Il villaggio di La Penne (a sinistra) e il castello della famiglia Durand de La Penne (a destra) Le Pavillon, castello della famiglia Durand de La Penne, nel paese di La Penne. È stato costruito da Joseph-Alexandre Durand, marchese di La Penne, ufficiale di Marina. Il castello è appartenuto alla famiglio sino al 2001. Luigi Durand de La Penne ci stava soggiornando, prima che la guerra scoppiasse. (bakboord e stierboord). In quel tempo, la Francia era ancora sprovvista di una vera Marina e doveva ricorrere al savoir-faire e alla potenza marittima italiana per affermarsi sul mare. Per esempio, Francesco I affidò a Giovanni da Verazzano una spedizione sulle coste americane, durante la quale egli scoprirà nel 1524 l’Hudson e l’isola di Manhattan. Il navigatore italiano battezzò questa parte della costa atlantica la Francescane in onore del re di Francia, denominazione sfortunatamente senza posterità. Francesco I strinse pure una alleanza marittima con Genova per combattere Carlo V sul mare. Infatti, durante il conflitto tra il regno di Francia e l’impero spagnolo, l’ammiraglio Andrea Doria fu incaricato nel 1524 di liberare Marsiglia — e dunque la Provence — assediata via mare e via terra dagli Spagnoli. È questa regione, la Provence, che ci interessa. Oltre ad aver fornito il nome a una FREMM francese, la Provenza è pure la culla di due casate le cui origini risalgono 88 al Medioevo e al Rinascimento: la famiglia Forbin e la stirpe Durand, divenuta poi Durand de La Penne. La Provenza accolse anche un ramo dei Doria di Genova, di cui parleremo. La famiglia Durand de La Penne e la Provenza Durand era un semplice barbiere (anche chirurgo a quei tempi) che visse nella piccola città d’Annot nel 1504. Annot e La Penne sono due paesini, distanti tra di loro circa 30 km, tutti e due a meno di 40 km dall’attuale confine della Francia con l’Italia. I Durand man mano si elevarono come ceto sociale. Nel 1560 Claude Durand divenne il primo notaio della famiglia e l’incarico si trasmise attraverso le generazioni seguenti. Joseph Durand si aggregò alla nobiltà nel 1673, sposando Christine de Castellane d’Alluys, dalla quale ebbe quattro figli, Jean Baptiste, Louis, Jean e Jean-Joseph, quest’ultimo all’origine del Rivista Marittima-Giugno 2013 Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese ramo Durand de La Penne. Di fatto, Jean-Joseph Durand sposò nel 1752 Françoise-Gabrielle d’Authier, erede del feudo di La Penne, nella contea di Nizza. Nel 1778 fu riconosciuto signore di La Penne dal re di Sardegna. Suo figlio, Joseph-Alexandre Durand, era un ufficiale di Marina, che si sposò a Tolone nel 1791 con Marie-Agnès de Burgues de Missiessy. Pare che Joseph-Alexandre Durand prese per primo il titolo di marchese di La Penne. Egli fu anche il padre di Jean-Baptiste Durand, marchese di La Penne (17991874), il quale prese la nazionalità italiana dopo l’annessione di Nizza alla Francia nel 1860. Louis Durand, terzo marchese di La Penne (1838-1921) fu l’ultimo a essere seppellito nella tomba di famiglia del castello. La storia racconta che stava soggiornando a La Penne nel 1938 quando stava per scoppiare la Seconda Guerra Mondiale. Ci sarebbe tornato per la prima volta 30 anni dopo, nel 1968. Luigi a quel tempo aveva gia abbracciato la carriera delle armi nella Marina Regia. Nel 1938, anno dell’ Accordo di Monaco, a 24 anni, rientrò immediatamente in Italia, non per causa della Francia (la dichiarazione di guerra tra i belligeranti avvenne due anni dopo) ma per raggiungere la sua base e mettersi a disposizione della sua armata, della sua patria e del suo re. La sua condotta durante la guerra fu esemplare e un modello di coraggio. Quest’articolo tuttavia non pretende di richiamare i dettagli di un’epopea che è in tutte le memorie e che si svolse nel dicembre 1941, cioè la missione di Alessandria d’Egitto. Antonio Doria, ammiraglio di Francia durante la guerra dei Cent’anni . I l cacciatorpediniere della classe «Orizzonte» Andrea Doria ricorda uno dei più L’ammiraglio Luigi Durand de La Penne (1914-1992), fu il quarto marchese di La Penne. Rivista Marittima-Giugno 2013 89 Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese Il cacciatorpediniere lanciamissili LUIGI DURAND DE LA PENNE, sullo sfondo nave GARIBALDI. famosi membri della famiglia Doria, antica e illustrissima casata di Genova, ma bisogna sapere che la storia della Francia nel XIV secolo annovera un Antonio Doria che fu pure Ammiraglio di Francia, e che due rami di questa numerosa famiglia si stabilirono in Francia probabilmente alla fine del Medioevo, l’uno a Tarascon e l’altro a Marsiglia. Ritorniamo alla guerra dei Cent’anni tra Francesi e Inglesi. Ambrogio Boccanegra, ammiraglio di Castiglia, combatteva al servizio della Francia (allora alleata alla Castiglia), e sconfiggeva gli inglesi alla battaglia di La Rochelle nel 1372. Ma 30 anni prima, un altro genovese, Antonio Doria, incalzava gli Inglesi nella Manica, e con il francese Quiéret saccheggiava la città inglese di Southampton nel 1338 (e avrebbe perfino imboccato il Tamigi). A questo proposito, lasciamo la parola a Jean Froissart, uno storico francese (13371405) le cui Chroniques ci offrono degli aneddoti dilettevoli, tanto più ameni quanto l’antico francese presenta delle parole oggi in disuso ma molto vicine all’italiano: Or vous parlerons un petit de […] messire Charles Crimaut*, de messire Othe Doria, qui étaient pour le temps amiraux de la mer à huit gallées, treize barges et trente nefs chargées de Gennevois […] et se tenoient sur mer entre Bretagne et Angleterre; et portèrent plusieurs fois grands dommages aux Anglois […]. Messire Hue Kieret et ses compagnons vinrent un dimanche matin au hâvre de Hantonne** entrementes que les gens étoient à messe; et entrèrent les dits Normands et Gennevois en la ville, et la pillèrent et robèrent tout entièrement et y tuèrent moult gens et violèrent plusieurs (*) Carlo Grimaldi. Il re di Francia Philippe VI si era alleato con dei ghibellini di Genova e dei guelfi di Monaco. (**) Hantonne : Southampton 90 Rivista Marittima-Giugno 2013 Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese femmes et pucelles […]. «Oramai vi parleremo un poco di […] messer Charles Crimaut*, di messer Othe Doria, che erano in quel tempo ammiragli del mare con otto galee, tredici chiatte e trenta navi caricate di Genovesi […] e stavano sul mare tra Bretagna ed Inghilterra; e arrecarono parecchie volte grandi danni agli Inglesi […]. Messer Hue Kieret e i suoi compagni vennero una domenica mattina nella città di Hantonne** mentre la gente era alla messa; ed entrarono i suddetti Normanni e Genovesi e la saccheggiarono e rubarono tutto e ci uccisero molta gente e violentarono parecchie donne e pulzelle[...]». Per quanto sopra — atto di pirateria per gli Inglesi, prodezza e fatto d’arme per i Francesi — Antonio Doria fu perfino premiato e ricevette 100 livres tournois (100 lire della città di Tours), somma promessa «ai primi che sarebbero entrati nella città di Hantonne». Nel 1339, quarant’anni dopo il genovese Beneddeto Zaccaria, Antonio Doria — o Aithon, Ottone, Othes Dorie — fu ammiraglio di Francia. La propria squadra era composta di 20 galee, ma ne comandava circa 40. Tra i comandanti alle sue dipendenze (o piuttosto i padroni — les patrons – come scritto nei documenti in quell’epoca) figuravano molti altri Doria (Georges, Aubert, Bavaresque, Ascelin, Philippe, Conradin, tutti nomi francesizzati nei documenti) nonché alcuni Spinola. Se si vuole avere un ordine di grandezza del costo di una marina di guerra a quell’epoca, secondo il contratto stabilito nel ottobre 1337 tra Antonio Doria e il re di Francia Philippe VI, quest’ultimo doveva pagare 900 florins d’or de Florence al mese per ogni galea, ciascuna armata di 210 uomini (di cui 180 marinai, 25 balestrieri e 6.000 viretons, cioè una specia di quadrello per le balestre). Tre anni dopo, impegnato nella guerra Battaglia di La Rochelle, 1372. L'ammiraglio genovese Ambrogio Boccanegra era in inferiorità numerica (22 galere castigliane contro 36 navi inglesi che proteggevano 14 navi di trasporto) ma era favorito dalla marea, da un pescaggio minore e utilizzò ingegnosamente i brulotti rimorchiati dalle sue galere. Gli Inglesi smarrirono uno anno di stipendio dei loro mercenari. Peraltro questo ammiraglio era contemporaneo dell'ammiraglio francese Jean de Vienne, il cui nome è attualmente quello di una fregata antisommergibile basata a Tolone. Rivista Marittima-Giugno 2013 91 Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese di successione del ducato di Bretagna che opponeva Francesi e Inglesi, egli ricevette anche come ricompensa dei suoi servizi la signoria di Châteaulin, piccola città all’estremità ovest della Bretagna. Questa città è senza grande importanza strategica, sennonché essa è situata a meno di 40 km da Brest, città portuale destinata a divenire tre secoli più tardi un porto militare, oggi gemellato con Taranto. Oggi un quadro del XVIII secolo raffigurante Antonio Doria è conservato a Versailles, intitolato Aithon Doria, amiral de France en 1339. Doria & Forbin. Matrimoni e combattimenti tra Marsiglia e Tolone . L uigi Doria, ciambellano e consigliere del re Renato d’Angiò, fu colui che si stabilì nella città di Marsiglia, probabilmente verso la fine del Quattrocento. Egli era senza erede e fece venire suo nipote Lazzaro Doria per succedergli. Lazzaro Doria fu padre di Blaise (Biagio) Doria, che fu tre volte primo console di Marsiglia, l’autorità più ragguardevole della città (15171535-1547). La storia diventa aneddoto quando Blaise Doria si sposò con Marguerite de Forbin, un’antenata di Claude de Forbin, ammiraglio di squadra sotto Luigi XIV, la cui memoria oggi è ricordata con il caccia francese della classe «Orizzonte» Forbin, sistership del Doria… Queste due famiglie, che daranno nel XXI secolo il loro nome a queste unità capoclasse del programma «Orizzonte», si unirono parecchie volte: Lazzaro Doria, figlio primogenito di Blaise e Marguerite, comandò una galera regia francese e suo pronipote Jean si sposò con Hélène de Forbin. Vincent de Forbin sposò nel 1527 Catherine Doria e fu anch’egli primo console di Marsiglia. Il loro figlio sposò Claire de Peruzzi; presumibilmente lei discendeva da un ramo dei Peruzzi di Firenze, costretti all’esilio oltr’Alpe dopo la Congiura dei Pazzi. Gli intrecci nella genealogia sono veramente sorprendenti! Peraltro, in quella stessa epoca delle guerre d’Italia, il conflitto tra Francia e Spagna imperversava. Nel 1524, la squadra spagnola comandata dal vice-re di Napoli Ugo di Moncada minacciava le coste della Provenza, mentre Marsiglia era assediata dal conestabile di Borbone, lo stesso che saccheggerà Roma tre anni più tardi. Intervenne allora con le sue sei galere Andrea Doria, in quanto général des galères de France, assieme a una decina di navi proveniente dai porti di Marsiglia e di Tolone e comandate da Antoine de La Fayette. Costui era amiral des mers du Levant, ma sopratutto era un lontano antenato del marchese di La Fayette, che combatté con gli insurgents durante la guerra d’indipendenza degli Stati Uniti e lasciò il suo nome alla classe delle fregate furtive «La Fayette». Doria, Forbin, Durand de la Penne: queste tre famiglie hanno dato il loro nome a navi da guerra, però la loro storia offre qualche curiosità che è solamente accennata in questo articolo ma meriterebbe di essere studiata più precisamente. BIBLIOGRAFIA Medioevo e Rinascimento Duc de Levis Mirepoix – «Philippe le Bel» – éditions de Crémille, 1989. 92 Rivista Marittima-Giugno 2013 Alle origini dei legami tra la Marina italiana e francese Georges Bordonove – «Jean II Le Bon» – éditions Pygmalion - 2007. Georges Bordonove – «Charles V Le Sage» – éditions Pygmalion - 2007. André Castelot – «François 1er» – éditions Famot – 1985. Amiral Auphan – «la Marine dans l’Histoire de France Plon» – 1955. De Witt – «Vieilles histoires de la Patrie» – Hachette, 1905. Lagarde et Michard – «XVIème siècle» – Bordas, 2006. Dr Gustave Lambert – «Histoire de Toulon. Partie 2, tome 3» – 1899 (http://gallica.bnf.fr). ANTONIO DORIA Froissart, par J-A-C «Buchon Choix de chroniques et mémoires sur l’histoire de France», avec notices biographiques, par J-A-C Buchon. Tome 1 – 1867 - (http://gallica.bnf.fr). Philippe le Bas – «Dictionnaire encyclopédique de la France». Tome 1 – 1840 (http://gallica.bnf.fr). Auguste et Emile Molinier – «Chronique normande du XIV siècle – 1882» (http://gallica.bnf.fr). Anne Chazelas – «Documents relatifs au Clos des galées de Rouen et aux armées de mer du roi de France de 1293 à 1418». T1 & T2 – 1977 (http://gallica.bnf.fr). http://www.culture.gouv.fr/public/mistral/joconde_fr?. http://www.treccani.it. DORIA & FORBIN Inventaire analytique des titres de la maison de Forbin recueillis au château de Saint-Marcel par M. le Mis de Forbin d’Oppède et d’autres titres provenant de diverses archives, le tout analysé par M. le chanoine Albanès, avec une introduction de M. Louis Blancard – imprimerie marseillaise – 1900 – (http://gallica.bnf.fr). «Supplément au dictionnaire historique, géographique, généalogique». Tome 2 1745 pag. 557 (google.books). FAMIGLIA DURAND DE LA PENNE «Histoire héroïque et universelle de la noblesse de Provence». Tome 3 1786 (http://gallica.bnf.fr). de La Chenaye-Desbois et Badier «Dictionnaire de la noblesse : contenant les généalogies, l’histoire et la chronologie des familles nobles de France». Tome 7 1865 (http://gallica.bnf.fr). M. de Saint-Allais «Nobiliaire universel de France, ou Recueil général des généalogies historiques des maisons nobles de ce royaume». Tome 2 1872-1878 (http://gallica.bnf.fr). Chaix d’Est-Ange «Dictionnaire des familles françaises anciennes ou notables à la fin du XIXe siècle». Tome 15 1917 (http://gallica.bnf.fr). www.lapenne.fr. L’Autore ringrazia particolarmente il marchese Luigi de La Penne, nipote dell’ammiraglio Luigi Durand de La Penne, per i suoi consigli e le precisioni apportate per quanto riguarda la famiglia Durand de La Penne. Rivista Marittima-Giugno 2013 93 STORIA E CULTURA MILITARE HANNO RUBATO UN SOMMERGIBILE UMBERTO BURLA (*) L ’articolo pubblicato su questa Rivista nel mese di giugno dello scorso anno, relativo a un episodio della vita del tenete di vascello Angelo Belloni, mi ha stimolato a descriverne un altro, assai clamoroso, avvenuto nell’ottobre 1914 e conclusosi nel marzo 1915 con una sentenza del Tribunale Penale di Sarzana, che assolse il Belloni, imputato del furto di un sommergibile varato al Muggiano, una località sul litorale ovest del Golfo della Spezia. Tra l’altro, credo di poter affermare che una imputazione del genere (anche se declassata dal Tribunale a semplice «esportazione non autorizzata di sommergibile») non ha precedenti in alcuna Corte di Giustizia del mondo, ponendo pertanto il Tribunale sarzanese nel Guiness dei primati! Ed ecco qui di seguito narrati i fatti, di cui al titolo. L’allora sottotente di vascello Angelo Belloni, milanese, classe 1882, posto nella riserva dalla RM, aveva preso servizio nel 1911 presso il Cantiere Navale Fiat-San Giorgio del Muggiano, ed era stato incaricato nel maggio del 1914 di consegnare al Governo brasiliano tre sommergibili classe «F», costruiti nel Cantiere, i primi battelli subacquei di serie della Regia Marina. Rientrato in patria dal Brasile, era stato incaricato di seguire le prove tecniche in mare della «Costruzione 43», un sommergibile costruito per la Russia (1), Nazione che dal 1° agosto era in guerra con la Germania, il che creava problemi per la consegna del battello, considerando che all’epoca l’Italia, neutrale, era tuttavia ancora nella Triplice, alleata quindi con gli Imperi tedesco e austro-ungarico. Ricordo, di passaggio, che il Cantiere era negli anni Dieci del XX secolo famoso nel mondo per la qualità dei suoi sommergibili della serie «Foca», progettati dal 1907 per la RM dal direttore tecnico del San Giorgio, l’ingegner Cesare Laurenti, titolare di un brevetto internazionale (i sommergibili a «doppio scafo centrale»). Non soltanto il Brasile, ma anche la Marina svedese aveva ordinato al Muggiano un battello Laurenti, lo Hwalen (2), che per quel tempo aveva compiuto una vera impresa nautica, percorrendo 4.000 miglia per trasferirsi dal golfo della Spezia a Stoccolma, attraversando senza assistenza il Mediterraneo e risalendo l’Atlantico e il Mare del Nord! Il 43 era un sommergibile della nuova classe «Medusa», versione migliorata, dei (*) Avvocato alla Spezia, autore di cinque volumi di Storia locale e ligure, articolista su quotidiani e conferenziere (Storia, Etica sportiva). Cofondatore e past Presidente dell’Associazione Amici del Museo Navale della Spezia e Amici della Storia. 94 Rivista Marittima-Giugno 2013 Hanno rubato un sommergibile Foca, e dopo il varo (5 luglio 1914) e le necessarie prove in mare era stato affidato al comandante Belloni, perché i tecnici russi presenti al Muggiano erano stati obbligati a rientrare in patria, su pressioni dei Governi nostri alleati, ed erano stati sostituiti da operai del Cantiere e da nostri marinai.. In particolare per il sabato 3 ottobre era stata prevista una ulteriore uscita per le prove all’apparato radiotelegrafico «Marconi» (3). Il comandante Belloni era un ardente patriota, interventista dal profondo del cuore: faceva parte di quegli Italiani che mal sopportavano la nostra alleanza con la nemica storica, l’Austria, e chiedevano l’entrata in guerra a fianco di Gran Bretagna, Francia e Russia, per «liberare le città irredente», come allora erano chiamate Trento e Trieste. Egli si era già fatto notare perché in Brasile aveva chiesto, prima della consegna ufficiale dei sommergibili, che almeno il terzo fosse riportato in Italia e venduto alla Regia Marina. Fallita l’iniziativa, egli propose alla sezione milanese della Lega Navale Italiana una raccolta di denaro per acquistare dalla Fiat-San Giorgio la Costruzione 43, per donarla alla RM… La proposta non ebbe seguito, ma ora era circolata in Cantiere la voce che il battello sarebbe stato trasferito a Marsiglia, dove i Francesi lo avrebbero consegnato alla Marina zarista. Belloni covava invece un progetto diverso, che mise in atto quando il 3 ottobre prese il mare con il sommergibile per le prove dell’apparato RT: sta di fatto che quella sera fu consegnata al Direttore del Cantiere, ingegner Boselli, una lettera a lui indirizzata, che l’ufficiale aveva lasciato in ufficio, disponendo che venisse consegnata dopo le ore 17,00, orario previsto per il rientro del 43. Rivista Marittima-Giugno 2013 Angelo Belloni (fonte dottor Angelo Maria Belloni da Rivista Marittima, giugno 2012). Nel testo, di tono esaltato, l’ufficiale spiegava di dover risolvere il contrasto fra il suo dovere verso la Ditta e l’amore per la Patria e la sua Famiglia, scagionando nel contempo l’equipaggio, otto operai e nove marinai, all’oscuro delle proprie intenzioni (4)… che non spiegava quali fossero! La lettera, e il mancato rientro del battello, del quale l’unica notizia era stata il regolare passaggio la mattina al traverso dell’isola del Tino, in rotta per Capo Mele, misero tutti in allarme, temendo chissà quale colpo di testa di Belloni. Subito informato, il Ministero ordinò immediate 95 Hanno rubato un sommergibile indagini all’Ammiraglio Comandante in Capo del Dipartimento e l’avvio di un’inchiesta, che provocherà l’apertura di un fascicolo penale al Tribunale di Sarzana, competente per territorio (all’epoca il Tribunale non aveva ancora sede alla Spezia). Anche perché il proprietario dell’Azienda, avvocato Giovanni Agnelli, sporse a sua volta denuncia-querela contro il Belloni, per il grave danno causato alla Fiat-San Giorgio. Per il momento, come si vede nella copia, il processo fu incardinato non solo a carico del Belloni, ma anche del direttore amministrativo del cantiere, cavalier Giuseppe Boselli, e di quello tecnico, Cesare Laurenti, successivamente scagionati in istruttoria, per cui andrà a processo il solo Angelo Belloni. Intanto venne diramata, a uso della stampa e dei Governi esteri, una versione ufficiale, che parlava di improvviso attacco di follia di quest’ultimo. Dopo due giorni senza notizie, nei quali si era temuto il peggio, era giunto al Cantiere uno scarno telegramma dalla Corsica dell’ingegner Rocchi, il quale comunicava l’arrivo del 43 a Ile Rousse: si saprà successivamente che l’equipaggio poté scendere a terra ad acquistare del cibo, mentre il com.te Belloni otteneva il permesso di proseguire per Ajaccio la mattina del 6 ottobre. Alle ore 10,00 circa di quel giorno il sommergibile salpò, ma venne fermato dal CT francese Chasseur, che lo scortò nel porto di Ajaccio, dove Belloni cambiò cento lire per acquistare cibo e olio per i motori del battello, ottenendo con facilità dalle compiacenti Autorità portuali il permesso di proseguire… per Malta! Quello stesso pomeriggio il sommergibile ripartì, facendo rotta per sud, ma le mutate condizioni del mare, diventato im96 provvisamente molto mosso, costrinsero Belloni a rientrare ad Ajaccio, anche su pressioni dell’ing. Rocchi, che intanto egli aveva messo a conoscenza delle sue intenzioni. Gli spiegò che voleva ottenere dagli inglesi carburante e due siluri, per poi risalire l’Adriatico, portarsi davanti a Pola e qui tentare il siluramento di una delle dreadnoughts austriache della base, al fine di creare un casus belli che avrebbe provocato una rottura delle relazioni Italia-Austria e la conseguente entrata in guerra del nostro Paese contro gli ex alleati. Rocchi preciserà al suo rientro (5) che il comandante, quando il 43 era giunto all’altezza di Capo Mele, aveva dato ordine di dirigere il sommergibile verso la Corsica, in base a ordini «segreti» impartitigli dal Governo italiano. Ad Ajaccio giunsero in contemporanea istruzioni dal Governo di Parigi, allertato da quello italiano, mentre Rocchi persuadeva l’equipaggio a ribellarsi contro l’attuazione del progetto, e frattanto il Governo russo premeva su quello francese per impedire la restituzione all’Italia del sommergibile. Roma e Parigi avviarono immediate trattative, mentre Austria e Germania ricordavano all’Italia i suoi doveri di alleata… e alla fine il Governo francese, che non aveva interesse in quel momento ad avere contrasti con l’Italia, possibile futura alleata — come in effetti poi sarà, di lì a qualche mese — consentì a restituire il 43, che rientrerà nel Golfo della Spezia a fine mese, scortato dal rimorchiatore Italia e con un nuovo equipaggio. Angelo Belloni rimase invece in Francia, godendosi l’aureola di eroismo e le attenzioni della stampa, mentre in Italia lo attendevano i Reali Carabinieri; in seguito egli farà sapere che sarebbe rientrato solRivista Marittima-Giugno 2013 Hanno rubato un sommergibile Il regio sommergibile ARGONAUTA (fonte Marina Militare Italiana). tanto con l’assicurazione che avrebbe avuto il trattamento previsto per gli Ufficiali in servizio: niente carcere, trattamento in fortezza! Ebbe molto di più: dopo il 24 maggio rientrò in servizio attivo. Al rientro in Italia Belloni fu interrogato a Sarzana dal GI dotor. Pietro Pagani, cui narrò di avere avuto notizia nell’agosto precedente dal Direttore del Cantiere che a causa della guerra il sommergibile, per disposizione del Governo russo, doveva rimanere al Muggiano sino alla fine del conflitto. Raccontò poi dell’iniziativa in Brasile e successivamente presso la Lega Navale, della sua contrarietà per la nostra neutralità, e della sua conoscenza della situazione in Istria e Dalmazia per avervi abitato anni prima, per motivi di studio. Nelle quattordici pagine del verbale, rivelò anche di avere avuto contatti con diplomatici russi per riuscire a consegnare il Rivista Marittima-Giugno 2013 sommergibile a quel Governo in una località segreta: la precauzione di far issare al battello la bandiera russa avrebbe, a suo dire, sollevato l’Italia da ogni responsabilità. E finalmente svelò il progetto finale, falliti i precedenti: il suo intento, come si è già scritto, era quello di impadronirsi del 43 per risalire con esso l’Adriatico per tentare di silurare una nave della Imperiale Marina austro-ungarica. «Non mi nascondevo — queste le sue precise parole verbalizzate dal Magistrato — il pericolo inerente alla impresa di essere affondato col sommergibile, ma questo rischio comune ai miei uomini non mi distoglieva dal disegno, che era questo: sia in caso di esito felice che di esito infelice l’atto mio e del mio equipaggio avrebbe avuto tale eco nell’opinione pubblica italiana e slava… per cui il Governo italiano sarebbe stato tratto naturalmente a prendere parte attiva nel conflitto europeo…». Spiegò anche 97 Hanno rubato un sommergibile l’intenzione di raggiungere una base francese o inglese, di ottenere un paio di siluri e il carburante (6) necessario per il lungo viaggio sino all’Istria. Va sottolineato che Belloni durante l’istruttoria seppe convincere i magistrati che dei vari suoi progetti, nessuno, men che mai la Direzione del Cantiere, ma neppure l’equipaggio e i tecnici a bordo del sommergibile, ne era stato messo a conoscenza. In tal modo i due iniziali coimputati, Boselli e Laurenti, vennero depennati dal procedimento aperto col n° 1194/15 Reg. Gen. dall’Ufficio d’Istruzione di Sarzana, e soltanto Belloni affrontò il dibattimento nel marzo successivo. E il 24 marzo (due mesi dopo l’Italia avrebbe dichiarato guerra all’Austria-Ungheria e alla Germania), come si legge nella sentenza n° 162, il Tribunale di Sarzana (vedasi immagine pagina accanto), «in nome Sua Maestà Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia» assolse Belloni Angelo di Cesare e Rossi Aurelia, nato ecc.. ecc.. «imputato per l’infrazione agli articoli 1 e 3 del Regio Decr. 1 agosto 11915 n° 758 in relazione all’art. 93 e seguenti della Legge Doganale e alle tariffe allegate, per avere, nel 3 ottobre 1914 in Muggiano di Arcola (7), esportato da quel Cantiere Navale il battello sommergibile n° 43». La formula assolutoria fu piena: «perché il fatto addebitatogli non costituisce reato». Nella motivazione in realtà si spiega che «il fatto addebitato non costituisce reato, dal momento che manca la correlata sanzione penale, e non può darsi reato senza una pena che lo colpisca». La difesa (Avvocato Giovanni Bevilacqua, uno stimato e valoroso professionista spezzino) aveva invece sostenuto l’incostituzionalità dell’accusa. Il Tribunale in sette lunghe paginate di puntigliose dissertazioni, sorvolò molto opportunamente sulle motivazioni dell’azione del Belloni, che pure aveva ammesso la volontarietà e il fondamento del suo operato, nonché la conoscenza del divieto di «esportazione». L’Italia era ancora neutrale e ancora legata alla Triplice Alleanza, e il Collegio giudicante disquisì invece sulla circostanza che anche i sommergibili rientravano nella categoria dei «bastimenti» (8), ma che per calcolare il danno da evasione doganale mancava la tariffa specifica, e non si poteva rilevarlo calcolando ogni singolo pezzo dei materiali che compongono il battello! Il 43 con l’entrata in guerra dell’Italia entrò a far parte della nostra flotta, e assunse il nominativo di Argonauta. NOTE (1) Dove avrebbe preso il nominativo di Svyatoi Giorgi, ovvero San Giorgio. (2) Negli anni Dieci il Muggiano costruì anche un sommergibile per la Danimarca, tre per la Spegna e quattro per il Portogallo. (3) Collaudo necessario perché la società Marconi aveva sollecitato alla Fiat il pagamento dell’impianto RT. (4) A bordo vi erano anche l’ingegner Rocchi della San Giorgio e il tecnico Vassallo della Marconi, che nulla sapevano. (5) Rocchi e Vassallo pochi giorni dopo questi fatti, giunsero col postale Golo da Bastia a Livorno, dove furono interrogati dalla R. Questura e quindi fermati e inviati sotto scorta a Sarzana, al Procuratore del Re. (6) Aveva tentato di fare il «pieno» di carburante, ma — come ebbe a spiegare — il direttore Boselli gli aveva ordinato di sbarcarlo, trattenendo sul sommergibile soltanto la modesta quantità per la breve prova. (7) Una località e un Comune oggi facenti parte della Provincia della Spezia (all’epoca questa Città era soltanto una Sotto-prefettura della Provincia di Genova). (8) Si consideri che i sommergibili tutto sommato erano ancora una «novità». Rivista Marittima-Giugno 2013 99 RUBRICHE Lettere al Direttore Gentili lettori, la Rivista Marittima, come noto, è una pubblicazione scientifica che pubblica saggi su vari temi di carattere marittimo. Tuttavia ci sono pagine di prosa di autori come Conrad e Melville che toccano i cuori dei marinai e che meriterebbero di essere di tanto in tanto rievocate. Pensiamo per esempio alla descrizione magistrale dell’«incaglio» della nave quale ferita mai più rimarginabile per il suo Capitano, di Cuore di tenebra di Joseph Conrad. Fa venire i brividi a chiunque abbia esperienza di navigazione. Nel pubblicare sul numero di aprile l’articolo dell’ambasciatore Vecchioni sull’affondamento del Lusitania durante la prima guerra mondiale ci siamo soffermati sul fatto che a prescindere dalle circostanze di tempo e di luogo, sia in pace sia in guerra, un insieme di eventi e circostanze negative possono a un tratto ricordarci la nostra umana fragilità di fronte al destino soprattutto quando pensiamo con superbia di essere immuni e inaffondabili grazie alla tecnologia. Il destino avverso può presentarsi sotto forma di un Iceberg che provocò l’affondamento di una nave sicura come il Titanic, di un siluro lanciato da un sommergibile causato dalla sottostima di una nuova minaccia per il caso Lusitania, oppure da uno scoglio come è avvenuto di recente per il Costa Concordia a causa di un errore di apprezzamento della distanza in una manovra evitabile. Tutti questi eventi lontani nel tempo sono accomunati soltanto dal fatto che dei passeggeri innocenti hanno perso la vita. A tutti loro quindi dedichiamo i versi della poesia della poetessa e pittrice romana Wanda Faraoni nostra abbonata. Patrizio Rapalino Rivista Marittima-Giugno 2013 ADDIO NAVE CONCORDIA, REGINA DEL MARE IN QUELLA NOTTE TRAGICA BACIATA DAL CHIARORE DELLA LUNA TI SEI ADAGIATA FERITA A MORTE A RIDOSSO DELLA ROCCIA DEI GABBIANI. IL TUO INCAUTO NOCCHIERO QUELLA SERA TI AVVICINÒ TROPPO ALLA SCOGLIERA DI QUELL’ISOLA, ORGOGLIO DEL TUO MARE. A LEI TI INCHINASTI VELOCE E RIVERENTE. MA UNO SCOGLIO TROPPO SPORGENTE COME UN GIGANTE PETALO DI GIGLIO TI GHERMÌ E TI TRAFISSE IL CUORE! SIMILE A UN GUERRIERO SCONFITTO DALLA FURIA DI NETTUNO TI ARRENDESTI AL TUO FATALE DESTINO E TI AGGRAPPASTI AL PROVVIDO GRADINO PER NON SCIVOLARE NELL’ABISSO CON IL TUO CARICO UMANO IGNARO E COINVOLTO IN DANZE SFRENATE, BRINDISI E ALLEGRIA RIEMPIVANO LE TUE LUSSUOSE SPONDE 100 Lettere al Direttore Il relitto della CONCORDIA, come siamo abituati a vederlo da oltre un anno, mentre fervono i lavori di preparazione dello scafo e del fondale circostante. E TU IMPOTENTE UDIVI ….. TUTTO UDIVI…. E INGHIOTTIVI LACRIME DI SALE UDIVI IL TUO FUMAIOLO GIALLO CHE EMETTEVA LUGUBRI SUONI DI EMERGENZA POI FOSTI AVVOLTA DA UN BUIO INFERNALE. E TU UDIVI … UDIVI… GRIDA TERRORIZZATE DI BAMBINI URLA D’AIUTO E RICHIAMI DI PASSEGGERI DISPERATI. E TU AGONIZZANTE UDIVI…. E INGHIOTTIVI 101 SEMPRE PIÙ LACRIME DI SALE E UDIVI… LO STRIDERE DELLE LANCE CHE SCIVOLAVANO IN MARE. E UDIVI …. TONFI SINISTRI! E TU SEMPRE PIÙ RECLINAVI SU DI UN FIANCO. LE ORE PASSAVANO CONVULSE E VELOCI NEL FRASTUONO DEI MOTORI DEI SOCCORRITORI. CON LA GOLA SQUARCIATA AVRESTI VOLUTO GRIDARE “PRESTO! PRESTO! SALVATELI, SALVATELI TUTTI!” Rivista Marittima-Giugno 2013 Lettere al Direttore E NELLA NOTTE SENZA PIÙ LA LUNA GRAZIE AI SACRIFICI ED ATTI EROICI DI TANTA SOLIDARIETÀ UMANA SI CONTARONO I SUPERSTITI. PIÙ DI QUATTROMILA NE FURONO SALVATI, SOLO POCHI NON RISPOSERO ALL’APPELLO. PER TE, AMATA CONCORDIA, REGINA DEL MARE, È RIMASTA NEL CUORE SOLO MISERICORDIA! IL TUO DESTINO ERA GIÀ SCRITTO QUEL MATTINO Rivista Marittima-Giugno 2013 CHE FOSTI BATTEZZATA. LA TUA MADRINA GETTÒ SUL TUO FIANCO UNA BOTTIGLIA DI CHAMPAGNE MA NON SI RUPPE NON TI BAGNÒ CON IL SUO NETTARE AUGURALE ROTOLÒ E SI INABBISSÒ NEL MARE! ADDIO, NAVE CONCORDIA, REGINA DEL MARE. ADDIO! Wanda Faroni 13 gennaio 2013 102 RUBRICHE Osservatorio Internazionale (Aprile 2013) LA «NUOVA» LIBIA ALIMENTA CONFLITTI IN SIRIA, MALI E ALTROVE La relazione del Gruppo di esperti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite incaricato di controllare l’embargo sulle armi imposto alla Libia all’inizio della rivolta nel 2011, che ha spodestato leader di Muammar Gheddafi ha rilevato che lo Stato nordafricano è diventato una fonte incontrollata di diffusione di armi nel Nord Africa, Sahel e Medio Oriente. Gli enormi arsenali accumulati in anni di acquisti sconsiderati negli anni del regime del colonnello Ghaddafi, non sono stati posto sotto controllo dal governo legittimo e sono praticamente nelle mani di milizie di ogni tipo e colore, da gruppi tribali, gruppi armati islamici e vere e proprie organizzazioni criminali. Il rapporto dell’ONU indica che vi sono prove concrete di almeno 12 casi di trasferimento di armamenti di ogni tipo (incluse armi pesanti, antiaeree, munuzioni, esplosivi, mine, pezzi di artiglieria e lanciarazzi) mentre quelli sui quali non si è potuto raccogliere prove concrete — e per quelli le indagini sono ancora in corso — sono molti di più. Il rapporto, pronto alla metà di febbraio ma reso noto solo nella meta di aprile, afferma che «la proliferazione di armi dalla Libia continua a un ritmo allarmante». Gli esperti hanno rilevato che i trasferimenti di armi verso la Siria, dove — a due anni di guerra civile ha ucciso più di 70.000 persone — sono state organizzate da varie località in Libia, tra Misurata e Bengasi, attraverso la TurRivista Marittima-Giugno 2013 chia o il Libano settentrionale. «La dimensione significativa di alcune spedizioni e la logistica coinvolti suggeriscono che i rappresentanti delle autorità locali libiche potrebbero almeno essere a conoscenza del trasferimento, se non proprio essere direttamente coinvolti», hanno detto gli esperti. Il rapporto ha anche riscontrato che negli ultimi due anni il flusso di armi libiche in Egitto è aumentato in modo significativo. «Mentre il traffico dalla Libia verso l’Egitto rappresenta una sfida soprattutto per la sicurezza interna dell’Egitto, in particolare in relazione ai gruppi armati nel Sinai, parte del materiale sembra aver attraversato l’Egitto per ulteriori destinazioni, tra cui la Striscia di Gaza» hanno scritto gli esperti e a riprova di quanto affermano è sufficiente informarsi sulla stampa locale egiziana che testimonia il pesante aggravamento della sicurezza nel Sinai, che confina con Israele e che ospita molte località turistiche. Il rapporto ha rivelato che il traffico di armi dalla Libia attraverso l’Egitto alla striscia di Gaza aveva permesso ai gruppi armati locali l’acquisto di nuove armi tra cui fucili d’assalto più moderni e sistemi di armi anticarro (è utile ricordare che subito dopo la caduta del regime di Ghaddafi l’intelligence israeliana aveva registrato questo afflusso nella striscia di Gaza). Le armi dalla Libia sono state registrate anche nel Sud della Tunisia, in Algeria meridionale, Niger e Mali. «Queste zone servono anche come basi e punti di transito per i gruppi armati non statali, compresi i grup104 Osservatorio internazionale pi terroristici e le reti criminali e il traffico di droga con collegamenti per la regione del Sahel», allerta il rapporto, che sottolinea che il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti avevano violato l’embargo sulle armi alla Libia già durante la rivolta del 2011, fornendo armi e munizioni ai ribelli che combattono le forze di Gheddafi (gli esperti hanno riferito che il Qatar aveva negato di averlo fatto mentre gli Emirati Arabi Uniti non aveva risposto alla domanda formulata dal gruppo di esperti). «Circa 18 mesi dopo la fine del conflitto, una parte di questo materiale rimane sotto il controllo di soggetti non statali all’interno di Libia mentre manca un efficace sistema di sicurezza e di controllo delle frontiere» conclude il rapporto, gettando una pesante ombra sulla solidità del governo libico. Nel mese di marzo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha attenuato l’embargo per la Libia per permettere al governo di Tripoli di ottenere materiale non letale, come giubbotti antiproiettile e le auto blindate, ma ha espresso preoccupazione per la diffusione di armi negli Stati confinanti. Il Consiglio ha esortato il governo libico a migliorare il controllo delle armi e materiali concessi, forniti, venduti o ceduti — con l’approvazione del Comitato per le Sanzioni delle Nazioni Unite che supervisiona l’embargo sulle armi. Il primo ministro libico Ali Zeidan nel mese di febbraio ha affermato che il governo aveva il controllo delle frontiere con l’Algeria, il Niger, il Ciad, il Sudan e l’Egitto e che era necessaria la completa sospensione dell’embargo in quanto non più necessario. Il governo libico, che da settimane ha avviato stretti contatti con tutti gli Stati della regione per migliorare la cooperazione campo della sicurezza, ha duramente criticato il rapporto definito come allarmistico e che non aiuta la rinascita della Libia, tut105 tavia il 23 aprile una autobomba contro l’ambasciata francese a Tripoli, che ha ferito due addetti alla sicurezza e causato seri danni alla sede, ha confermato la precarietà della situazione libica. Questo attacco segue gli altri attacchi contro rappresentanze diplomatiche e consolari britanniche, americane e italiane. PREOCCUPAZIONI PER FORZA DI STABILIZZAZIONE IN MALI Mentre nel corso del mese di aprile la Francia inizia a ritirare le sue truppe dal Mali, un alto funzionario della Difesa degli Stati Uniti ha espresso dubbi sulla reale capacità dei contingenti africani che dovranno rappresentare il cuore della forza di stabilizzazione dell’ONU che dal 1 luglio rimpiazzerà, ampliandola, la AFISMA/MISMA, attualmente sul terreno (e di cui le medesime forze africane sono già parte). Parigi, che ha inviato 4.000 soldati in Mali nel mese di gennaio per bloccare una offensiva delle milizie islamiche del Nord del Paese africano, come promesso, ha iniziato una prima e parziale riduzione delle sue forze (anche per fare fronte agli enormi costi finanziari che l’operazione Serval comporta) e hanno inziato a passare le consegne alle truppe dell’AFISMA/MISMA (6.300, che includono i circa 4.000 soldati forniti dai Paesi dell’ECOWAS/CEDEAO e 2.000 provenienti dal Chad e schierati su pressante richiesta francese). Tuttavia, un alto funzionario del Pentagono ha detto in una audizione al Congresso che queste truppe non erano all’altezza del compito, dichiarando l’AFISM/MISMA «una forza del tutto incapace. Che deve cambiare». Michael Sheehan, assistente segretario alla Difesa per operazioni speciali allo stesso tempo ha elogiato le truppe francesi, che «molto rapiRivista Marittima-Giugno 2013 Osservatorio internazionale damente» hanno respinto il ramo nordafricano di Al-Qaeda «indietro attraverso il fiume Niger e ripreso il controllo delle principali città» nel Nord del Mali. Tuttavia, ha aggiunto che gran parte della leadership di Al-Qaeda era fuggita. «Essi non sono stati uccisi o catturati, ma le forze francesi hanno interrotto la costituzione di questo santuario, una situazione molto pericolosa». Intanto la Francia progetta di lasciare in Mali una forza di 1.000 unità designate e disegnate per attaccare e neutralizzare i nuclei rimanenti di Al-Qaeda. Questa forza dovrà essere l’elemento parallelo chiesto come garanzia dell’ONU per il dispiegamento di una missione di caschi blu che si occuperanno del presidio delle maggiori città e degli assi viari. Tuttavia alla metà di aprile il Chad, scosso dalle perdite subite dal suo contingente (il numero dei caduti non è noto) e dalla mancata e promessa copertura finanziaria per la partecipazione alle operazioni in Mali, ha deciso di ritirare i suoi militari dalla AFISMA/MISMA (a cui aveva aderito solo nel corso del mese di marzo), ufficialmente perchè avevano completato la loro missione ma anche per la concomitante emergenza nella confinante repubblica centraficana, dove le forze di N’Djamena dovrebebro rappresentare la parte maggiore del rafforzamento della forza multinazionale colà schierata. ISRAELE E CIPRO: MANOVRA MILITARE CONGIUNTA Israele ha deciso di inviare unità navali per una esercitazione militare congiunta con Cipro. Il ministro della Difesa cipriota Fotis Fotiou confermando l’esercitazione, ha detto che vedrà la partecipazione di cinque navi da guerra israeliane e Rivista Marittima-Giugno 2013 che dovrebbe iniziare il 25 aprile. Fotiou ha anche osservato che l’esercizio si concentrerà sulla sicurezza della regione del Mediterraneo Orientale e della difesa di potenziali bacini di idrocarburi e gas. La Turchia, che non riconosce Cipro come un Paese sovrano, era decisamente contraria alle prospezioni condotte da Nicosia. Tuttavia, subito dopo l’annuncio delle manovre congiunte il ministro dell’Energia di Ankara ha detto che la Turchia ritiene possibile cooperare con Cipro e Israele in progetti energetici congiunti nel Mediterraneo «a patto che l’atmosfera politica lo permetta». Due anni fa Israele ha iniziato la perforazione esplorativa di gas naturale in un bacino che si estende fino alle acque territoriali cipriote. Ciò ha scatenato forti proteste della Turchia, e della repubblica di Cipro Nord (riconosciuta solo dalla Turchia). Le manovre con Cipro fanno parte di un progressivo avvicinamento che Israele sta svolgendo da tempo anche con la Grecia, per compensare il peggioramento delle relazioni con la Turchia, in essere da quando è andato al potere ad Ankara un governo islamico. Inoltre testimonia un ampliamento della dimensione marittima della politica di sicurezza israeliana sinora essenzialmente aeroterrestre. La scoperta dei bacini di gas e petrolio nel Mediterraneo Orientale ha obbligato Israele a potenziare la propria componente navale portandola da una brown water a una green (e in prospettiva a una blu water) Navy con l’ingresso in servizio di navi e sottomarini di sempre maggiori capacità e lasciando le forze costiere, comunque sempre tenute a un altissimo livello qualitativo di risposta, al controllo delle acque territoriali e alla controinfiltrazione di gruppi terroristi. 106 Osservatorio internazionale LA SPAGNA OSPITA STRIKE FORCE DI AFRICOM LA Il governo spagnolo ha autorizzato il dispegamento di un contingente di 500 Marines americani e di un gruppo di velivoli a loro sostegno presso la base aerea di Moron de la Frontera (Sud-Ovest della Spagna, prossima alla base navale statunitense di Rota). Si tratta di una compagnia rinforzata di fanteria (distaccata a rotazione dalla II Marine Expeditionary Force di Camp Lejeune, Nord Carolina) e 6 «MV-22B Ospreys» (basati nella Marine Corps Air Station New River, Nord Carolina). Le unità dipenderanno dall’Africom (QG a Stoccarda). Questa nuova forza di reazione rapida aggiunge un ulteriore tassello alla capacità di Africom ed è specificamente destinata a rispondere a situazioni come quelle originate a Bengasi, dove un gruppo di terroristi attaccò il consolato statunitense. Washington ha necessità di lanciare operazioni militari in Africa con pochissimo preavviso. Gli Stati Uniti e la Spagna hanno un accordo di cooperazione militare che risale al 1953 e che è stato rinnovato e rivisto nel 1988, quando Madrid è entrata nella NATO e forze americane operano a Moron dal 1958. Il vice primo ministro spagnolo Soraya de Santamaria ha detto, in merito, che lo schieramento statunitense è «temporaneo» ed è autorizzato solo per un periodo di un anno. Africom ha lavorato molto per migliorare la sua capacità di spiegamento rapido in tutta l’Africa, ma le difficoltà finanziarie, operative, logistiche e le sorde divisioni tra le nazioni del continente rappresentano un serio ostacolo. Questo dispiegamento rappresenta un ulteriore rafforzamento di Africom, istituto senza forze permanentemente assegnate in maniera esclusiva. Tuttavia questa 107 scelta non si è dimostrata pagante e la progressiva instabilità di alcuni punti del continente ha obbligato a rivedere le sue scelte, con la costituzione di unità altamente specializzate come la Combined Joint Task Force Horn of Africa (CJTFHOA) di Gibuti, la Task Force Aztec Silence, le parziali assegnazioni alla responsabilità di Africom della 173rd Airborne Brigade e di un battaglione di berretti verdi dell’US Army. A riprova del clima avvelenato che caratterizza il contesto operativo di Africom, la notizia dell’annunciato spiegamento dei Marines statunitensi a Moron de la Frontera è stata riportata dai media marocchini con grande evidenza come un segnale che gli Stati Uniti stanno preparandosi per l’evacuazione rapida dei loro cittadini residenti (migliaia, quasi tutti operanti nel settore dell’industria petrolifera) in Algeria, sempre sull’orlo, secondo la stampa di Rabat, di una rivoluzione. Ovviamente i media algerini, in risposta, hanno rigettato sugli odiati vicini/fratelli le medesime accuse. In realtà lo schieramento di Moron è parte di un più ampio progetto dell’USMC che sta preparando la costituzione e lo schieramento di una forza simile per operare nei Caraibi, America Centrale e Meridionale e che sarà dipendente dal Southcom (QG a Tampa, Florida). BAN KI-MOON VISITA IL PENTAGONO La notizia che il Segretario Generale dell’ONU visiti il Pentagono può passare inosservata. Infatti Ban Ki-moon era a Washington per incontrare i dirigenti delle sue agenzie specializzate residenti nella capitale statunitense (Fondo Monetario e Banca Mondiale) e il segretario di Stato Rivista Marittima-Giugno 2013 Osservatorio internazionale John Kerry, ma effettivamente è stato il primo tra tutti i suoi predecessori a visitare il Pentagono dove è stato accolto con i massimi onori dal segretario alla Difesa Chuck Hagel. Ban e Hagel, accompagnati rispettivamente dal sottosegretario per le Operazioni di pace Hervè Ladsous e dal Chairman dei Joint Chiefs of Staff, il generale dell’esercito Martin Dempsey, hanno discusso della Corea del Nord, così come delle previste (o potenziali) missioni dell’ONU in Mali, Somalia e Siria. Ban, che ha servito in passato come ministro degli Esteri della Corea del Sud, ha avvertito che un piccolo incidente potrebbe innescare una situazione «incontrollabile» dopo che la Corea del Nord ha avvertito di una guerra nucleare imminente. La visita, al di là della sua novità, conferma l’indirizzo e il ruolo che l’amministrazione Obama vuole dare alle Nazioni Unite, in completa divergenza e dissonanza con quelle delle due George Bush jr. MASSICCIO AUMENTO DELLE TRUPPE PANAFRICANE A BANGUI I Capi di Stato e di governo della Comunità economica degli Stati dell’Africa centrale (CEEAC/ECCAS) hanno tenuto un vertice straordinario a N’Djamena (capitale del Chad), al fine di esaminare la situazione nella Repubblica Centrafricana a seguito del rovesciamento del legittimo governo. Come prima decisione hanno deciso aumentare la dimensione della forza multinazionale schierata a Bangui, la MICOPAX (Mission per la consolidation de la paix au RCA/Mission for the consolidation of peace in Central African Republic) da 500 a 2.000 uomini per garantire la sicurezza nella capitale e di Rivista Marittima-Giugno 2013 schierarsi nelle altre principali località della repubblica centrafricana. La MICOPAX opera dal 12 luglio 2008, succedendo a un’altra forza multinazionale, la FOMUC, istituita il 25 ottobre 2002. L’obiettivo generale di MICOPAX è di contribuire alla pace e alla sicurezza duratura nella Repubblica Centrafricana (CAR), creando i presupposti per lo sviluppo sostenibile del Paese. La MICOPAX, finanziata come la FOMUC da fondi dell’UE, ha il mandato di: proteggere i civili e il territorio, contribuire al processo di riconciliazione nazionale. La missione, originariamente di 400 soldati, all’inizio del 2010, schiera anche una componente civile che comprende un’unità di polizia di 150 agenti e un piccolo ufficio politico formato da funzionari e diplomatici, anche se in realtà tutta la MICOPAX che ha l’appoggio logistico fornito da un contingente francese colà schierato sulla base degli accordi bilaterali Parigi-Bangui del 1960, non ha mai brillato per efficacia e non mai raggiunto gli obiettivi di forza prefissati. Il comunicato finale del vertice di N’Djamena contiene misure per facilitare il dialogo tra le parti e il riavvio del dialogo politico, il disarmo delle milizie irregolari e la loro integrazione nelle Forze Armate e di polizia. Il vertice ha invitato la comunità internazionale, tra cui ONU, Unione Africana, UE e Organizzazione Internazionale della Francofonia (OIF) a fornire sostegno politico e finanziario per le iniziative prese dalla CEEAC/ECCAS. Infine ha anche esortato il governo di transizione della Repubblica Centrafricana a rispettare tutti gli impegni internazionali di Bangui, a cominciare dalla iniziativa di cooperazione regionale per l’eliminazione del LRA (Esercito di Resistenza del Signore). 108 Osservatorio internazionale JABHAT AL NUSRA GIURA FEDELTÀ AD AL-QAEDA E LE MILIZIE SCIITE IRACHENE E LIBANESI COMBATTONO A FIANCO DI ASSAD L’annuncio di una fusione tra Jabhat alNusra, una delle forze principali ribelli siriane, e di Al-Qaeda in Iraq (AQI) è stato discusso dalla dirigenza del movimento anti-Assad, che insiste sul fatto che hanno sempre promesso fedeltà al gruppo di appartenenza di al-Qaeda. La formalizzazione di questi legami complica la guerra civile siriana, con le fazioni laiche che si stanno preparando a combattere una guerra parallela contro i gruppi islamici, sempre più forti. A questo scenario si deve considerare che la ostinata resistenza di Assad sta portando alla luce tensioni già esistenti tra i blocchi islamici, dove le milizie sciite irachene aumentano la loro azione a sostegno delle forze regolari siriane e intensificano gli attacchi contro i gruppi sunniti sia in Siria sia in patria, portando l’Iraq sull’orlo della guerra civile, come dimostrato dai recenti scontri nel centro del Paese che hanno causato decine di morti. Inoltre nello scacchiere orientale della Siria i ribelli sunniti aumentano i loro attacchi verso le zone sciite libanesi, le cui milizie sono accusate di aiutare le truppe di Damasco e di chiudere agli insorti vie di fuga dagli incessanti bombardamenti aerei e di artiglieria. Tuttavia i ribelli sunniti siriani non osano attaccare frontalmente Hezbollah, che ha mostrato di essere in grado tenere testa alle potentissime forze israeliane. Già negli scontri di Tripoli, le milizie sunnite libanesi, vicine ai ribelli siriani, hanno attaccato Hezbollah ma sono state sonoramente sconfitte. È chiaro che la logica degli insorti è di cercare di allargare il conflitto e trascinare l’Occidente in un aperto con109 fronto con Assad e, grazie a una campagna aerea del tipo di quella della NATO contro Ghaddafi, rovesciarlo. Michel Suleiman, il presidente libanese, ha detto che la crescente attività militare sul confine con la Siria non è più accettabile e che il suo Paese ospita già mezzo milione di profughi siriani. CAMPI PROFUGHI PER I CRISTIANI SIRIANI E CURDI IN TURCHIA La Turchia sta costruendo due campi profughi lungo il confine Sud-Est con la Siria destinati a ospitare un numero crescente di profughi provenienti da gruppi minoritari siriani, principalmente cristiani, assiri e di etnia curda. 250.000 Siriani che fuggono dalla guerra civile nel loro Paese si sono registrati in Turchia, la maggior parte dei quali è ospitata in 17 campi profughi lungo i 900 km di frontiera che Ankara divide con Damasco, anche se altre fonti stimano che il numero totale dei rifugiati sia più vicino a 400.000. La maggior parte di essi sono Arabi di osservanza sunnita e sostengono i ribelli che combattono il presidente Bashar al-Assad, che appartiene alla minoranza alawita della osservanza sciita. I due campi tendati, da completare in meno di un mese, sono in costruzione in Midyat, una città nel Sud-Est della provincia di Mardin a circa 50 km dal confine con la Siria. Un campo con una capacità di 2.500 persone ospiterà principalmente cristiani assiri così come rifugiati da altre confessioni cristiane. La Turchia ha la sua piccola minoranza assira, la maggior parte dei quali vive in Mardin e a Istanbul, la città più grande della Turchia. È su loro richiesta che il campo è in costruzione e il via è stato doRivista Marittima-Giugno 2013 Osservatorio internazionale po che il primo ministro Tayyip Erdogan ha incontrato di recente i leader assiri in Turchia. L’altro campo avrà una capacità di 3.000 e ospiterà i Curdi siriani. Mardin, patria di molti Curdi turchi, confina con una zona della Siria che registra una grande concentrazione di Curdi. Dei 22 milioni di abitanti della Siria circa tre quarti è sunnita (Arabi e Curdi), e circa il 15% di altri gruppi musulmani (alawiti, sciiti e drusi). Circa il 10% sono cristiani, mentre la Siria è anche sede di una comunità ebraica molto piccola. I Curdi costituiscono circa il 10% della popolazione, ma le informazioni sul loro esatto numero è incerto. UNA NUOVA PORTAEREI CINESE IN PROGETTO I timori di alcuni analisti che l’ingresso in squadra della portaerei cinese Lianoning fosse l’inzio di una programma di più ampie dimensioni, sono stati confermati dalle dichiarazioni del vice Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Song Xue in occasione della cerimonia per celebrare il 64° anniversario della fondazione della Marina Popolare (23 aprile 1949) a Pechino. L’ammiraglio Xue ha detto agli addetti militari stranieri presenti alla cerimonia che «la Cina avrà più di una portaerei» aggiungendo che «la prossima portaerei sarà più grande». Tuttavia l’Ammiraglio ha detto che i dati di alcuni media stranieri sulla costruzione di nuove portaerei della Cina a Shanghai non erano accurati. Attualmente, la Marina Popolare dispone della sola portaerei Lianoning (che non è assegnata a nessuna delle tre flotte ma che dipende direttamente dallo Stato Maggiore della Marina) che sta conducendo intensi cicli di addestramento e di integrazione e messa a punto dei sistemi, a cominciare dall’aviazione imbarcata. La Lianoning Rivista Marittima-Giugno 2013 dovrebbe imbarcare circa 30 «Shenyang J15» («Flying Shark», versione cinese del russo «Su-33 Flanker-D»), ma come ha detto Xue, la Marina Popolare sta pensando alla costruzione di una classe di portarei di maggiori dimensioni e capacità, integrate in una flotta di navi d’altura e con capacità di operare a lungo in alto mare. A riprova delle crescenti capacità cinesi, nel mese di aprile una formazione navale cinese ha visitato il Mediterraneo e acque circonvicine. Per un mese tre navi (due fregate e un’unità da rifornimento) hanno fatto tappa a Malta, Francia, Turchia, Algeria, Portogallo e Marocco. Con questa crociera Pechino manda un segnale chiarissimo: la sua flotta è in grado di percorrere itinerari impegnativi, lontano dalla madrepatria, per lunghi periodi e che la Cina vuole disporre di una flotta capace di muoversi con disinvoltura in mare aperto. La componente navale è la più avanzata della Armata Popolare di Liberazione e conta 290.000 (di cui 12.000 nelle truppe da sbarco e 35.000 nell’aviazione navale), una portaerei, 3 navi da sbarco (a bacino) 26 caccia/conduttori, 49 fregate, 61 sottomarini (di cui 11 nucleari), 122 motomissilistiche, 231 pattugliatori, 107 battelli antimine, 5 navi da rifornimento d’altura. Nell’area Asia-Pacifico è in atto una corsa agli armamenti che in molti paragonano a quella che contrappose Inghilterra e Germania nei primi anni dello scorso secolo e che ora coinvolge Cina, Giappone, India e Stati Uniti. LA GERMANIA È PRONTA A RESTARE IN AFGHANISTAN DOPO IL 2014 La Germania è disposta a continuare il suo impegno militare in Afghanistan, quando ISAF terminerà la sua missione nel 2014, 110 Osservatorio internazionale ma solo come parte di una missione internazionale e a determinate condizioni. Il ministro della Difesa Thomas de Maizière e il ministro degli Esteri Guido Westerwelle hanno presentato offerta del loro Paese per una possibile missione internazionale il 18 aprile a Berlino. Il governo federale tedesco si prepara, a partire dal 2015 per i due anni successivi, a fornire dai 600 agli 800 soldati per funzioni di addestramento. Il Ministro della Difesa ha presentato un cosiddetto modello hub and spoke per l’Afghanistan, con l’hub nella capitale, quattro distaccamenti collocati nei centri maggiori del Paese centroasiatico nel Nord (Mazar-e-Sharif, dove già operano i militari tedeschi), Sud, Est e Ovest. Secondo de Maizière, questo modello è limitato a circa due anni. Dopo di che, la formazione, la consulenza e l’assistenza si concentreranno nella regione di Kabul, e il contingente si potrà ridurre a 200-300 unità. Il contingente tedesco dovrà includere anche capacità logistica, sanitaria, di trasporto, force protection. De Maizière ha detto che le condizioni necessarie per partecipare a una nuova missione internazionale dopo il 2015 includono un invito formale da parte del governo afghano, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, un accordo sullo stato delle forze (SOFA, Status of Force Agreement) con il governo afghano e una situazione generale di sicurezza che permetta lo stazionamento delle truppe. POST 2014 IN AFGHANISTAN, LA VISIONE BRITANNICA Fedeli alle loro tradizioni di seria analisi, le autorità britanniche si stanno preparando con molta attenzione al prossimo ritiro delle forze militari dallo scenario afgano, 111 ma attraverso una accurata indagine parlamentare, hanno delineato alcuni punti forti di questo ripiegamento. Inoltre il punto di forza di questa inchiesta parlamentare è la sua contestualizzazione, regionale e in quadro più ampio. La relazione, che rende un forte omaggio al servizio e sacrifici delle forze di Sua Maestà Britannica, si concentra sul ritiro delle truppe da combattimento alla fine del 2014 e il trasferimento della responsabilità della sicurezza alle forze nazionali afgane. Ma il rapporto esamina anche i progressi verso un Afghanistan sicuro e stabile all’interno della regione più ampia, compreso il Pakistan, e i piani da parte del Regno Unito, NATO e gli altri alleati per una transizione graduale di responsabilità della sicurezza al governo afghano e l’ANSF. L’analisi prende atto che l’influenza britannica sull’intero scenario, nonostante un pesante impegno umano e finanziario, è limitata. Ma assicurare il futuro dell’Afghanistan richiede l’impegno comune di tutto il popolo afgano dei suoi vicini regionali, in particolare il Pakistan, degli Stati Uniti, della NATO e degli altri partners politici, militari e finanziari della coalizione . Nel processo di creazione di un Afghanistan pacifico e stabile sono stati identificati alcuni punti forti: — almeno l’inizio di un accordo di pace a guida afgana con l’insurrezione (compresi i Talebani) e supportato dai vicini come il Pakistan; — libere elezioni; — Forze Armate opportunamente addestrate ed equipaggiate con il mantenimento del sostegno finanziario internazionale; — un sistema giudiziario forte, che protegga i diritti umani, economici, sociali e culturali di tutti gli Afghani; — un programma di aiuti allo sviluppo economico a sostegno del benessere e la Rivista Marittima-Giugno 2013 Osservatorio internazionale sicurezza di tutti i settori della società; — misure efficaci per contrastare la corruzione, la produzione di droga e il traffico di droga. Sul trasferimento della responsabilità per la sicurezza alle Forze Armate locali, considerato un punto di primaria importanza, che permetta la costituzione di un quadro di sicurezza nel quale si inseriscano gli altri punti, il rapporto parlamentare ha individuato gravi lacune in alcuni settori critici, come elicotteri, supporto aereo ravvicinato e assistenza medica. LO UN COMMAND IN COREA La rinnovata tensione tra le due Coree con le dissennate minacce di Pyongyang ha riportato l’attenzione sulla penisola asiatica. È comune conoscenza che accanto alle truppe sudcoreane vi siano forze statunitensi, che seppur ridotte di numero, rappresentano una temibile capacità militare e una ancora maggiore deterrenza politica. Dal 1978 le forze americane e sudcoreane sono riunite nel CFC (Combined Forces Command), diretto da un Generale americano, che è anche il Commander-in-Chief dell’United Nations Command. Questa entità, che non è una forza di pace, ma una forza combattente, venne istituita all’invasione del Nord nel 1950 con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza e la cui direzione venne assegnata agli Stati Uniti e venne autorizzato a issare il vessillo azzurro delle Nazioni Unite. Si trattava in realtà di un comando statunitense a cui si aggiunsero contingenti da molte nazioni (il maggiore fu quello britannico), seguendo uno schema che è stato replicato in diversi scenari, come in Somalia e Iraq (1991 e Rivista Marittima-Giugno 2013 2003). Alla cessazione delle ostilità, nel 1953, progressivamente molti contigenti sono stati ritirati e sono restati piccoli distaccamenti per i servizi d’onore a Panmunjon (località dove le commissioni militari d’armisitizio si riuniscono) e il rimpatrio dei corpi dei caduti, poi anche essi quasi tutti rimpatriati. La presenza internazionale all’interno dell’UN Command veniva svolta dagli addetti militari delle ambasciate accreditate a Seoul. Per anni l’UNC è rimasto una realtà incerta e un po’ grottesca, ma le crescenti tensioni nella penisola coreana lo hanno riportato a nuova vita con molte nazioni che ne facevano parte e hanno aderito nuovamente o ne fanno parte per la prima volta. L’essere parte dell’UN Command permette a uno Stato membro, senza necessariamente mettere forze a disposizione, di essere informato sulle attività militari, di intelligence e di produzione scientifica (nucleare e missilistica) della Corea del Nord da parte degli Stati Uniti. Nel 1953 oltre agli Stati Uniti, facevano parte dell’UNC Australia, Belgio, Canada, Colombia, Corea del Sud, Etiopia, Filippine, Francia, Grecia, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Olanda, Regno Unito, Sud Africa, Tailandia, Turchia. Inoltre Danimarca, India, Italia, Norvegia e Svezia inviarono unità mediche. Al tempo, Corea del Sud e Italia non erano parte dell’ONU, e vi sono entrate rispettivamente nel 1991 (insieme alla Corea del Nord) e nel 1955. L’esistenza dell’UN Command è sempre stato uno dei maggiori obiettivi della diplomazia nordcoreana che regolarmente cerca di ottenere (senza successo) la sua chiusura o la sua ridenominazione, abbandonando quella di United Nations Command. Enrico Magnani 112 RUBRICHE Marine militari Cina Entrato in servizio il secondo caccia tipo «052C» Con una cerimonia tenutasi lo scorso 31 gennaio presso il porto di Zhoushan, nella regione orientale di Zhejiang, è stato immesso in servizio il secondo caccia del tipo «052C». Costruito dai cantieri Changxingdao-Jiangnan di Shanghai, varato il 28 novembre 2010 e assegnato alla Flotta del Mare Giallo Orientale, il Changchun (150) rappresenta un importante tassello nel progetto del Governo della Repubblica Popolare cinese di realizzare un’industria autonoma rispetto ai paesi di normale approvvigionamento degli armamenti come la Federazione russa, un agglomerato di enti di ricerca e industriali capace di sviluppare, produrre a mantenere in servizio sistemi indigeni che sfruttano le più recenti tecnologie del settore. Si tratta nel caso delle unità tipo «052C» dei più avanzati caccia per la difesa aerea e il contrasto di superficie in servizio con la Marina cinese. Le prime due unità il Lanzhou (170) e l’Haikou (171) sono state varate nel 2003, e sono entrate in servizio rispettivamente nel luglio 2004 e dicembre 2005. La produzione di queste unità è ripartita soltanto alla fine dello scorso decennio, dopo oltre 10 anni dal lancio del programma di realizzazione delle nuove unità, avvenuto nel settembre 2001. Nonostante la produzione prevedesse la realizzazione di ulteriori sei caccia, soltanto tre risultano effettivamente ai lavori, di cui il Zhengzhou (151) e il Jinan (152) hanno Rivista Marittima-Giugno 2013 raggiunto la fase delle prove a mare, mentre i rimanenti dovrebbero essere realizzati nella versione o classe più recente tipo «052D». Con un dislocamento a pieno carico stimato di 7.000 t, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 155 e 17 m, e un’immersione di 6,1 m, la classe di caccia tipo «052C» presenta lo stesso scafo e sistema propulsivo del tipo «052B» ma con il primo potenziato e il secondo con sovrastrutture anteriori atte ad accogliere le quattro antenne piatte del radar a scansione elettronica tipo «348», un ponte di volo poppiero e un hangar in grado di accogliere un elicottero medio-pesante Kamov «Ka-27/28», nonché sistemi di lancio verticale multipli a prora per il sistema missilistico antiaereo a lunga portata. Caratterizzato da un’automazione di piattaforma e sistema propulsivo ancora non spinta, con un equipaggio di 280 elementi, le unità tipo «052C» dispongono di un apparato propulsivo in configurazione CODOG su due assi, con due turbine a gas «QC-280» prodotte localmente su licenza a partire dalla Ucraina Zorya-Mashprocket «DA80/DN80» ma più potenti da 28 MW (anziché 24 MW) e motori diesel Shaanxi (su licenza MTU) da circa 6.700 hp (5 MW) ciascuno, che consente di raggiungere una velocità massima stimata di 30 nodi. Gestito da un sistema di combattimento non identificato ma che dovrebbe comprendere un elevato grado di componentistica e hardware indigeno, al pari dei sistemi per la scambio d’informazioni mediante data link tattici, l’armamento comprende un cannone tipo «210» da 100 mm, un complesso di lancio verticale con otto di113 Marine militari stinti gruppi da sei celle per missili superficie-aria «HQ-9» con una portata stimata in oltre 200 km, due lanciatori quadrupli per missili antinave «YJ-85» e «YJ-62», due per la difesa aerea ravvicinata tipo «730» con cannone gatling da 30 mm, a cui s’aggiungono due lanciatori trinati per siluri leggeri da 324 mm. L’elettronica, secondo fonti cinesi, comprende il radar a scansione elettronica attiva tipo «348» per la sorveglianza e la guida missili con portata stimata in 450 km, di sviluppo e produzione cinese con supporto dell’industria ucraina, un radar di ricerca aerea a lunga portata con capacità di scoperta di velivoli stealth di derivazione inziale ucraina e antenna Yagi, prodotto localmente con la designazione tipo «517M», almeno due di navigazione, una direzione del tiro «MR331 Mineral-ME/tipo 344» per l’armamento principale e quello missilistico antinave, un radar aeronavale tipo «364» e i sistemi elettro-ottici «OFC-3» e «IR-17», che vengono gestiti dal sistema JRSCCS, tutti di produzione locale, a cui s’aggiunge una suite elettro-acustica basata su un sonar a scafo e una per la guerra elettronica con sistemi ESM/ECM e quattro lanciatori tipo «726-4» multipli per decoy infrarosso e radar. Francia Ritirata dal servizio la fregata De Grasse (D 612) Dopo aver effettuato l’ultima uscita in mare dalla base navale di Brest con tutti gli onori il sei maggio scorso, la fregata antisom De Grasse (D 612) è stata ufficialmente ritirata dal servizio il giorno successivo. Si tratta dell’ultima delle tre unità tipo «67», di cui le precedenti Tourville (D 610) e Duguay-Trouin (D 611) sono state 114 poste in disarmo rispettivamente nel 2011 e 1999. Ultima unità della Marina francese con un impianto propulsivo con quattro caldaie a vapore alimentate con combustibile fossile, l’unità è stata varata nel 1974 ed entrata in servizio nel 1977. Con un dislocamento di 6.100 t a pc e una lunghezza di 152,7 m, la De Grasse (D 612) disponeva di una suite ASW con sonar a scafo e profondità variabile, mentre l’armamento era incentrato su due cannoni da 100/55 mm, un lanciatore a otto celle per missili «Crotale», sei lanciatori singoli per missili «Exocet» e due cannoncini da 20 mm, due lanciatori per siluri leggeri e due elicotteri tipo «Lynx». Ammodernata nel periodo 1994-1996, nel corso di un’esercitazione in difficili condizioni meteomarine nell’aprile 2006 ha perso il pesce del sonar a profondità variabile che è stato rimpiazzato dal sistema in uso sulla DuguayTrouin (D 611), ormai radiata. Germania La Germania acquista il «RAM Block 2» La società Raytheon ha ricevuto dal Ministero della Difesa tedesco un contratto del valore di 155,6 milioni di dollari per l’acquisizione del sistema missilistico RAM «RIM-116 Block 2». Rispetto alle versioni attualmente in servizio con la Marina americana, tedesca e altri utilizzatori, la versione «Block 2» si caratterizza per un autopilota digitale, un sistema indipendente di attuazione dei controlli a quattro assi, un sistema di guida passivo a radiofrequenza più sensibile e un sistema propulsivo potenziato, che consentono d’incrementare di tre volte la manovrabilità, di due volte la gittata effettiva del missile e di potenziare la capacità d’ingaggio di missili antinave, con sistemi di guida radar a Rivista Marittima-Giugno 2013 Marine militari Dopo aver effettuato l’ultima uscita in mare dalla base navale di Brest il sei maggio us, la fregata antisom DE GRASSE (D 612) è stata ufficialmente ritirata dal servizio il giorno successivo. Si tratta dell’ultima unità della Marina francese con sistema propulsivo basato su caldaie a vapore. (g.c. concessione Carlo Martinelli). bassa probabilità d’intercettazione. In aggiunta a quest’ultimo, il «Block 2» come i precedenti modelli, dispongono di un sensore all’infrarosso per l’impiego contro bersagli aerei e navali. Caratterizzato da una lunghezza e diametro con alette rispettivamente di 2,79 m e 43,4 cm, e un peso al lancio di 73,5 kg, il RAM nelle versioni attualmente in servizio ha una velocità massima di 2 Mach, e una gittata massima di 9 km. Sistema «lancia-e-dimentica», il sistema missilistico RAM «Mk 31» comprende il lanciatore «Mk 49» con 21 celle per altrettanti munizioni o GMRP (Guided Missile Round Pack) «Mk 44». Gran Bretagna Entra in linea il Defender (D 36) Il quinto caccia della classe «Daring» è entrato in linea con la Royal Navy lo scorso 21 marzo, nel corso di una cerimonia tenutasi presso la base navale di Portsmouth, alla presenza del Ministro per gli equipaggiamenti e il supporto alla Difesa. Varato il Rivista Marittima-Giugno 2013 21 ottobre 2009 presso i cantieri di Govan sul Clyde e raggiunti quelli vicini di Scotstoun, il Defender (D 36) è stato sottoposto a un’intensa attività di verifica e qualifica delle capacità della piattaforma e dei suoi sistemi, prima di essere consegnato alla Royal Navy. Al pari delle precedenti unità della classe «Daring», anche il Defender (D 36) porterà a termine un’attività di approntamento, che lo vedrà presto coinvolto nel primo dispiegamento operativo. Nel corso della medesima settimana in cui si è verificata la cerimonia, anche l’ultima unità della classe, il Duncan (D 37) ha raggiunto la base navale di Portsmouth dal cantiere costruttore in Scozia, mentre il gemello Dragon (D 35), quarta unità della classe, è partito alla volta del Medio Oriente per il primo dispiegamento operativo della durata di sette mesi. La Royal Navy parteciperà alle prove BMD Un caccia della classe «Daring» «tipo 45» parteciperà alle valutazioni con tiri 115 Marine militari reali effettuate dalla MDA (Missile Defence Agency), l’Agenzia per la Difesa Antimissile americana. La partecipazione della Royal Navy con un caccia della classe «Daring» equipaggiato con il sistema missilistico «Viper», comprendente il radar multifunzionale BAE Systems «Sampson» e il missile superficie-aria imbarcato «Aster 30», è destinata alla valutazione delle capacità del sistema radar nella scoperta e inseguimento di bersagli replicanti missili balistici. Ciò a seguito delle attività di sperimentazione effettuate con il sistema radar Sampson presso il centro della BAE Systems di Cowes in Gran Bretagna, avente quale obiettivo di opportunità un satellite. Sebbene sia il Ministero della Difesa britannico e il team industriale nazionale meglio conosciuto come MDC (Missile Defence Centre) abbiano portato avanti analisi e test di vario tipo, la partecipazione di una piattaforma operativa alle prove reali della MDA, è vista come un’importante passo avanti nel contrasto nazionale di tale minaccia, sebbene il Governo britannico non abbia ancora approvato o abbia destinato fondi alla difesa contro i missili balistici. Il team industriale nazionale ha comunque portato avanti studi per l’ammodernamento del sistema radar affinché il medesimo possa ottenere una portata di oltre 2.000 km. Giappone Il budget 2013 potenzia le capacità di sorveglianza e deterrenza La forte espansione delle capacità messe in campo dalle Forze Armate della Repubblica Popolare cinese, e il pericolo missilistico portato dalla Corea del Nord, hanno spinto il Governo giapponese a finanziare un budget per la difesa 2013 che potenziasse la capacità di sorveglianza, intelligence e scoperta lontana, nonché quelle di pronto impiego e dispiegamento nelle aree e quindi isole più esposte del pae- Il quinto caccia della classe «Daring», rappresentato dal DEFENDER (D 36), è entrato in linea con la Royal Navy lo scorso 21 marzo, presso la base navale di Portsmouth. Il Ministero della Difesa britannico ha annunciato che un caccia della classe parteciperà alle prove reali di scoperta e intercettazione di missili balistici insieme alle unità americane e alleate (BAE Systems). 116 Rivista Marittima-Giugno 2013 Marine militari se, unitamente non soltanto a quelle di mantenimento delle appropriate capacità di risposta, ma anche d’intensificazione dei rapporti con gli alleati, con i paesi amici e meno della regione del Pacifico. In particolare per la JSDMF (Japanese SelfDefence Maritime Force), il budget 2013 ha previsto la realizzazione di una nuova classe di caccia multiruolo da 5.000 t per contrastare la riduzione del numero di queste unità, che offra una potenziata capacità ASW contro battelli sempre più silenziosi e una riduzione del costo della vita operativa grazie principalmente all’adozione di un sistema propulsivo basato sulla configurazione COGLAG (Combined Gas turbine Electric And Gas turbine), che combina la propulsione elettrica con quella a turbina a gas. Il budget 2013 prevede la costruzione di un nuovo caccia capoclasse da 5.000 t, di un sottomarino con sistema propulsivo indipendente dall’aria (nono della classe «Soryu» da 2.900 t), due nuovi velivoli ASW/ASuW «P-1» e 6 fra velivoli ed elicotteri d’addestramento. Il budget prevede inoltre fondi per l’estensione della vita operativa di due caccia e due sottomarini oltre a misure per interventi minori finalizzati allo stesso obiettivo per altre 12 unità, velivoli ad ala fissa e rotante. Per incrementare la protezione dei traffici marittimi, sono previsti fondi per la costruzione di un nuovo cacciamine oceanico da 690 t in materiali compositi, così come l’acquisizione di un velivolo idrovolante «US-2» e una serie di programmi di sviluppo tecnologici nel settore del contrasto contro unità subacquee e mine, nonché a incrementare le capacità di comunicazione con programmi anche d’acquisizione di sistemi ad hoc per incrementare e velocizzare la diffusione delle informazioni a tutti i livelli. A questi s’aggiunge la continuazione del programma di ammodernamento Rivista Marittima-Giugno 2013 dei caccia classe «Atago» per il contrato contro i missili balistici, con il sistema milissistico «SM-3 Block IIA», e lo sviluppo di un nuovo missile antinave da svilupparsi a partire dal sistema «Type 12». A livello d’interforze s’aggiungono i fondi per potenziare le capacità delle installazioni sulle isole Nansei, che si estendono fra il Giappone meridionale e Taiwan, per la ricerca e l’acquisizione di nuovi sistemi C4ISR e sensori per la scoperta e l’inseguimento di missili balistici, mentre le Forze di Difesa aerea incrementano le capacità AEW&C e quelle terrestri per le operazioni anfibie con l’acquisizione iniziale di mezzi ad hoc. Iran Nuova base navale vicino al Pakistan La Marina iraniana sta costruendo una nuova base navale nel Golfo di Oman, vicino alla città di Pasabandar, nelle vicinanze del confine con il Pakistan. A riferirlo alle testate giornalistiche locali sarebbe stato il Comandante in Capo della stessa Marina, contrammiraglio Habibollah Sayyari, il quale avrebbe riferito che la stessa base sarebbe in fase di costruzione. «La Marina iraniana non dispone nella regione di alcuna presenza militare, ma ora grazie a tale intervento, potremo difendere gli interessi della nazione grazie a un maggior controllo dei traffici marittimi che si sviluppano in quest’area», avrebbe dichiarato lo stesso Comandante. Il nuovo approdo entrerebbe a far parte della terza regione navale con sede in Konarak, e sarebbe diretto allo sviluppo costiero della regione che si tra Bandar Abbas fino a Pasabandar, anche conosciuta come Makran. L’annuncio dato lo scorso febbraio segue di pochi mesi l’inaugurazione lo scorso 117 Marine militari novembre del quinto approdo militare nell’area portuale di Bandar Lengeh, che vede lo stazionamento del maggior numero di unità navali della Marina iraniana. Konarak è la capitale della regione meridionale che si affaccia sul Golfo di Oman, e sede anch’essa di una base navale con annesso aeroporto militare, che negli ultimi anni ha acquistato importanza per la proiezione di potenza dell’Iran sull’Oceano Indiano. Da questa base operano le unità navali, compresi i sommergibili classe «Ghadir», che prendono parte alle esercitazioni interforze chiamate Velayat. Italia MEDAL 2013: Cigala Fulgosi (P 490) in Oceano Indiano Dopo oltre tre mesi di missione, alla fine di marzo ha fatto ritorno alla base nava- le di Augusta il pattugliatore Comandante Cigala Fulgosi (P 490). Nell’ambito della MEDAL 2013, l’unità era partita l’8 gennaio scorso dall’Italia con lo scopo di effettuare sia attività di cooperazione che operativa, che spaziano dalla presenza e sorveglianza in aree a elevato interesse nazionale, alla cooperazione con i paesi rivieraschi del Mediterraneo allargato, per arrivare al Maritime Capacity Building. Nave Cigala Fulgosi e il suo equipaggio di circa 85 elementi ha preso parte ad attività antipirateria nel Golfo di Aden, effettuando attività di presenza e sorveglianza con il continuo scambio di informazioni con i gruppi navali alleati impegnati nelle operazioni Atalanta e Ocean Shield nonché con le unità della Combined Maritime Forces. Successivamente ha partecipato all’esercitazione Leading Edge 13 nelle acque antistanti gli Emirati Arabi Uniti, avente scopo di cooperazione internazionale nel- Dopo oltre tre mesi d’attività di cooperazione, addestrativa e operativa nell’ambito della missione Medal 2013 nell’Oceano Indiano, in cui ha partecipato alla mostra della difesa e sicurezza IDEX e all’esercitazione multinazionale Aman 2013, ha fatto ritorno alla base navale di Augusta il pattugliatore Comandante CIGALA FULGOSI (P 490), qui ripreso a IDEX (Luca Peruzzi). 118 Rivista Marittima-Giugno 2013 Marine militari Presso il cantiere DCNS di Lorient in Bretagna, lo scorso 17 aprile sono iniziate le prove a mare della fregata tipo FREMM destinata alla Reale Marina del Marocco. Quest’ultima è previsto venga consegnata entro la fine del 2013 (DCNS). l’ambito del programma PSI (Proliferation Security Initiative) per il contrasto delle armi di distruzione di massa, e ha partecipato alla mostra della difesa e della sicurezza IDEX (International Defence Exhibition and Conference) ad Abu Dhabi, svolgendo attività di promozione a favore della cantieristica e dell’industria della Difesa nazionale, in aggiunta a quella di ambasciatore della tradizione navale e marinesca italiana. Ai comandi del CF Massimiliano Lauretti, l’equipaggio di nave Cigala Fulgosi, ha ospitato a bordo autorità nazionali e internazionali, comprese quelle degli Emirati Arabi Uniti, fra cui il principe ereditario Mohamed of Zayed Al Nahiyan, Vice Comandante Supremo delle Forze Armate UAE. Successivamente alla sosta di quattro giorni presso il porto di Mascate in Oman, nel corso della quale è stata effettuata attività di cooperazione con personale della Reale Marina Omanita, presentando e confrontandosi sulle principali missioni legate alla sicurezza, sorveglianza, interdizione e ispezione del traffico mercantile, nave Cigala Fulgosi ha preRivista Marittima-Giugno 2013 so parte all’esercitazione multinazionale AMAN 13. Dal 3 al 10 marzo, l’equipaggio italiano è stata coinvolto con personale e unità di altre 13 nazioni in attività in porto a Karachi e nelle acque antistanti le coste pakistane, con una serie di eventi addestrativi atti a promuovere la cooperazione nel contesto della maritime security e del contrasto al terrorismo. Completata questa esercitazione, che ha registrato anche attività addestrativa bilaterale con la Marina pakistana, compresa un’esercitazione in mare congiuntamente alla fregata Babur (182), il pattugliatore italiano ha fatto rotta verso l’Italia, dove è giunto dopo aver percorso oltre 10.000 mn. L’unità è equipaggiata con il nuovo sistema di sorveglianza elettro-ottico Selex ES Janus-N. Marocco Iniziano le prove a mare dell’unità tipo FREMM Presso il cantiere DCNS di Lorient in Bretagna, lo scorso 17 aprile sono iniziate 119 Marine militari le prove a mare della fregata tipo FREMM destinata alla Reale Marina del Marocco. La prima parte di queste ultime è stata dedicata principalmente alla verificata e familiarizzazione con i sistemi di bordo, le manovre in mare e in acque ristrette. Nella seconda fase verrà testato il sistema propulsivo, così come il complesso dei sistemi per la navigazione e la conduzione dell’unità. In questo periodo oltre 150 persone, fra cui 60 elementi della Marina francese si avvicenderanno a bordo senza toccare terra grazie a un tender che fa la spola fra la nave e la terraferma. Completate queste prove, è previsto un periodo all’attracco, seguito dalle prove in mare del sistema di combattimento. Nel frattempo il personale marocchino verrà impegnato sui sistemi di simulazione presso il cantiere di Lorient. L’unità, secondo quanto previsto contrattualmente, e dichiarato da DCNS, verrà consegnata entro la fine del 2013 e verrà battezzata Mohammed VI. suddiviso in due distinte aree di valutazione tecnico-operativa che vedono da una parte (LRASM-A) l’impiego del sistema JASSM-ER (Joint Air To Surface Standoff Missile Extended Range) quale piattaforma missilistica di prove con nuovi sensori, in rappresentanza di un sistema d’arma subsonico e con caratteristiche stealth, mentre l’LRASM-B è destinato alla sperimentazione e verifica di tecnologie legate a sistemi d’arma per l’impiego ad alte quote e velocità supersoniche. Grazie al contratto aggiuntivo assegnato alla Lockheed Martin quale capocommessa, verrà effettuato un ulteriore volo del JASSM-ER da un bombardiere «B-1B» nel corso del 2013, in aggiunta ad altrettanti da piattaforma aerea precedentemente programmati. A questi si aggiungeranno altrettanti lanci da postazioni a terra, al fine di ampliare la gamma di piattaforme lanciatrici, e verificare l’adozione di tecnologie atte alla modifica del sistema missilistico con booster per l’impiego da canister ad hoc. Stati Uniti Primo «SM-6» per la US Navy Il programma LRASM ampia la fase valutativa La DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), l’Agenzia della Difesa per i progetti di ricerca avanzata ha assegnato alla Lochkeed Martin un contratto aggiuntivo del valore di 73 milioni di dollari per estendere l’attività valutativa in volo e di riduzione dei rischi connessi al programma LRASM (Longe Range AntiShip Missile). Destinato alla valutazione di nuove tecnologie atte a ridurre la dipendenza da fonti d’intelligence e di designazione dei bersagli, con sviluppo di algoritmi dedicati e innovative tecniche di sopravvivenza e precisione d’ingaggio contro nuove contromisure, il programma è 120 La US Navy ha ricevuto da Raytheon lo scorso inizio marzo il primo esemplare del sistema missilistico «RIM-174A Standard» ERAM (Extended Range Active Missile) meglio conosciuto con la designazione «SM-6». Il conseguimento di tale importante tappa del programma, dovrebbe consentire di raggiungere una capacità operativa iniziale (IOC, Initial Operating Capability) con il nuovo sistema d’arma entro il 2013. Questa nuova versione della famiglia Standard abbina la cellula e il sistema propulsivo del modello «RIM-156A SM-2ER Block IV» con il sistema di guida ed elaborazione dei segnali del missile aria-aria Raytheon «AIM-120C AMRAAM», che offre modalità di guida attiRivista Marittima-Giugno 2013 Marine militari La DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) americana, ha assegnato alla Lochkeed Martin un contratto aggiuntivo per estendere l’attività valutativa in volo e di riduzione dei rischi connessi al programma LRASM (Longe Range Anti-Ship Missile). Nell’immagine al computer viene riprodotto il sistema JASSM-ER, che opportunamente modificato ed equipaggiato verrà impiegato nelle prove (Lockheed Martin/US Navy). va e semi-attiva oltre ad avanzate tecniche d’attivazione della spoletta. Caratterizzato da una lunghezza e diametro con alette rispettivamente di 6,55 e 1,57 m e un peso al lancio di 1.500 kg, l’«SM-6» è in grado di raggiungere una velocità massima di 3,5 Mach, un’altitudine di 33.000 m e una gittata massima di 240 km. Assegnato alla Lockheed Martin il supporto dell’«Aegis» La responsabilità in ordine all’attività di aggiornamento e il servizio di supporto del sistema di combattimento «Aegis», meglio conosciuta con l’acronimo CSEA (Combat System Engineering Agent) è stato assegnato alla Lockheed Martin doRivista Marittima-Giugno 2013 po una serrata competizione che ha visto la partecipazione delle concorrenti Boeing e Raytheon. Grazie a tale competizione, secondo quanto affermato dalla US Navy, quest’ultima beneficerà di aggiornamenti e supporto del sistema a costi inferiori. Il contratto del valore di 100 milioni di dollari avrà una durata fino al maggio 2018, quando verrà indetta una nuova gara. Con una separata competizione, Lockheed Martin, Raytheon e Northrop Grumman si contendono lo sviluppo del nuovo radar per la difesa aerea AMDR (Air Missile Defense Radar) destinato a rimpiazzare il sistema Lockheed «SPY1», imbarcato su tutte le unità equipaggiate con il complesso Aegis. Luca Peruzzi 121 La rivista per gli studiosi e per i veri appassionati di storia militare tutti i mesi in edicola dal 1993 diretta da Erminio Bagnasco 68 pagine, Euro 7,00 www.storiamilitare-aes.com In ogni numero, rigorosi articoli dedicati agli avvenimenti, agli uomini e ai mezzi (navali, terrestri e aerei) che hanno fatto la storia, accompagnati da un imponente apparato illustrativo. L’immagine d’epoca, sempre puntuale e di elevata qualità, è infatti una delle caratteristiche salienti di questo mensile che si avvale della collaborazione dei più affermati specialisti nei vari settori storico-militari. RUBRICHE Nautica da diporto 30° TROFEO ACCADEMIA NAVALE E CITTÀ DI LIVORNO Nel 1981, in occasione delle celebrazioni dei primi cento anni dell’Accademia Navale, fu organizzata dall’Istituto di formazione degli ufficiali della Marina Militare, insieme al Circolo Vela Antignano, al Circolo Nautico Livorno e allo Yacht Club Livorno, una manifestazione velica di grande respiro che prese il nome di «Regata del Centenario». La kermesse della vela, nata come manifestazione unica è, invece, diventata quella che un’autorevole rivista del settore velico nel 2002 definì come «l’evento per eccellenza della primavera in Mediterraneo». Infatti, la manifestazione fu ripresa nel 1983 e, annualmente, si è rinnovata, migliorando e imponendosi tanto che è diventato il primo, grande e atteso evento internazionale della stagione velica in Mediterraneo. Di successo in successo quest’anno ha festeggiato la 30a edizione. In questi anni la manifestazione è cresciuta in termini di qualità, quantità e attività collaterali secondo i cinque concetti chiave che lo caratterizzano: — grande valenza sportiva e agonistica delle classi partecipanti; — momento d’incontro e travaso di esperienza dai più anziani alle giovani leve; — internazionalità dei partecipanti; — attenzione per i meno fortunati con regate su campi dedicati e imbarcazioni specifiche; — continuità della manifestazione fra regate ed eventi sociali, culturali e di svago. Nei due giorni durante i quali si svolse la «Regata del Centenario» (24 e 25 luglio Rivista Marittima-Giugno 2013 1981) furono solo 30 le imbarcazioni a scendere in acqua, appartenenti a tre classi: «IOR», «470» e «420». Poi il numero delle classi e delle imbarcazioni è andato sempre ad aumentare fino a che non si è dovuta fare una scelta perché i partecipanti per classe aumentavano. Si è arrivati a Manifesto della «Regata del Centenario», con francobollo e annullo filatelico realizzati per i 100 anni dell'Accademia Navale di Livorno (© Accademia Navale). 123 Nautica da diporto Anche quest’anno c’è stata una nutrita partecipazione delle Marine estere straniere (© Accademia Navale). 21 classi e 568 imbarcazioni nel 2000, e nel 2002 nonostante la riduzione delle classi a 19 le imbarcazioni al via furono 730. Quest’anno le barche erano 500 suddivise in 16 classi. Il numero elevato di classi e d’imbarcazioni ha portato a stabilire dei campi di regata oltre il «balcone a mare» dell’Accademia Navale, perché quelli sulle acque antistanti l’Istituto di formazione non furono più sufficienti allo svolgimento delle regate (a meno di dilatare nel tempo l’intera manifestazione) e, in pratica, si gareggia da Tirrenia a Quercianella. (quando furono stabiliti 12 campi di regata si arrivò quasi a Marina di Massa.). Naturalmente, con l’incremento del numero delle imbarcazioni, è aumentato anche il numero dei regatanti che ha avuto un massimo nel 2001 con 2.750 partecipanti. Il numero delle classi, delle imbarcazioni, dei partecipanti ha portato ben presto a un aumento degli impegni organizzativi e 124 di uomini e mezzi; quest’anno, con più di 2.000 regatanti e 500 barche in 16 classi sono stati impiegati 50 giudici federali e decine di mezzi navali (1). Nel corso degli anni vi è stata la partecipazione di svariate classi veliche che si sono alternate; oltre a quelle che hanno regatato durante il trentennale, sono da ricordare le classi «12m SI», «2,4 m SI», «29er», «470», «CHS», «Dart», «Dolphin 81», «Equipe», «Este 24», «Europa», «Formula 18», «Hobie Cat 16’», «Hobie Cat 18’», «IMS» (open e mini), «IOR» (crociera, smr e regata), «J 22», «Laser», «Laser Radial», «Laser 4.7», «Laser 5000», «Minialtura MUMM 30», «MUMM 36», «Optimist», «Platu 25», «Smeralda 888», «Snipe», «Star», «UFO 22», «UFO One design», «Vaurien», e altri tipi d’imbarcazioni come quelle dell’Associazione Vele Latine. L’aspetto internazionale del Trofeo Accademia Navale e città di Livorno (TAN) è Rivista Marittima-Giugno 2013 Nautica da diporto evidenziato anche dalla nutrita partecipazione delle marine estere straniere, cresciuta parallelamente all’importanza della manifestazione; quest’anno hanno sventolato 27 bandiere nazionali, oltre a quella italiana, appartenenti a Bahrain, Belgio, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Cina, Colombia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Germania, Giordania, India, Libia, Marocco, Messico, Montecarlo, Montenegro, Norvegia, Perù, Portogallo, Serbia, Slovenia, Sri Lanka, Turchia, Tunisia e Ungheria. Nel corso degli anni, oltre alle nazioni su menzionate, hanno partecipato al TAN anche: Albania, Croazia, Danimarca, Eritrea, Francia, Finlandia, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Russia, Serbia-Montenegro (ancora stato unico), Spagna, Svezia, Svizzera e Ucraina. Il TAN si rivolge anche a giovani, a giovanissimi e a chi nella vita ha avuto meno fortuna. Nel primo caso la classe «Optimist», dedicata a giovani e giovanissimi, è presente fin dalle prime edizioni e questa partecipazione è particolarmente utile allo sport velico nazionale, e non solo: sulle acque livornesi si sono cimentati tanti giovani e speranze della vela italiana e futuri campioni (2). Nel 1997, durante la XIV edizione, si è svolta la prima crociera addestrativa della International Sail Training Association – Italia (STA-I) (3) su varie imbarcazioni a vela messe a disposizione della Marina Militare, dall’Istituto Nautico di Livorno e da Soci dello Yacht Club Italiano. Da venti anni il giornale «Il Tirreno», insieme all’Accademia Navale, indice il concorso di fotografia, disegno, pittura, grafica computerizzata e vetro, «Il mare e le Vele», riservato agli studenti delle quinte Elementari e delle Scuole Medie Inferiori e Superiori della zona di diffusione Rivista Marittima-Giugno 2013 Il manifesto del decennale (© Accademia Navale). del giornale. I vincitori, accompagnati dai rispettivi insegnanti, vengono premiati anche con un’uscita in mare a bordo di unità a vela della Marina Militare, e in Accademia Navale è allestita una piccola mostra dei lavori premiati. Alle persone diversamente abili sono dedicate delle regate specifiche, come quelle che si svolgono con le imbarcazioni «2.4 mR», non rovesciabili e inaffondabili, ideate dal finlandese Peter Norlin. Sono state svolte delle regate, del tipo match race, per imbarcazioni appositamente costruite per il progetto Homerus, e i cui equipaggi sono costituiti da videolesi. Le 125 Nautica da diporto regate erano disputate all’interno del Porto Mediceo in un campo di regata delimitato da boe acustiche. Bisogna ricordare, inoltre, il Trofeo «Oltre la Vela» dedicato normalmente ai regatanti meno fortunati. Trofei specifici sono stati assegnati a regate che vedono protagoniste imbarcazioni di enti militari nazionali e internazionali, come quelli dedicati alle Accademie navali d’Europa, o del Mediterraneo e del Mar Nero, alle Forze armate italiane e agli Istituti di formazione della Marina Militare. Ma il Trofeo Accademia Navale e Città di Livorno non è solo regate: è anche una grande manifestazione che coinvolge istituzioni civili, enti morali, sponsor e pubblico con un complesso di eventi grandi e piccoli dedicati alla vela, oltre a momenti d’intrattenimento a carattere sociale, culturale, espositivo e turistico, che si svolgono contemporaneamente e dopo le regate. La quasi totalità degli avvenimenti a «terra» si svolgono presso TUTTOVELA — Il Villaggio della Vela, definito giustamente dagli organizzatori del Trofeo «il supporto logistico e l’immagine del TAN in banchi126 na», che con i suoi spazi espositivi sempre più grandi, allestiti sulle banchine del porto labronico, offre un forte richiamo, non solo per gli appassionati della vela. Il Villaggio è aperto giornalmente fino a tardi per l’accesso gratuito del pubblico sia per visitare gli stand espositivi sia per assistere gratuitamente a tutti gli eventi (spettacoli, incontri, convegni, presentazioni) che vi si svolgono, fra i quali l’incontro giornaliero tra i velisti presenti, i vincitori delle prove disputate e la stampa, che si svolge in un apposito spazio attrezzato del Vi l l a g g i o alla presenza dei maggiori giornalisti sportivi del settore. Il Villaggio della Vela ha visto crescere il numero dei visitatori da poche decine di migliaia dei primi anni alle circa 200.000 unità dell’edizione del 2007. Uno degli eventi per eccellenza che si svolge a latere delle regate è il Premio Italia per la Vela che è assegnato annualmente ad atleti e personaggi italiani che vivono e operano nel mondo della vela distinguendosi. Il Premio, che è stato ideato da Tuttovela srl, ed è organizzato anche con il patrocinio dell’Accademia Navale, e con la collaborazione dell’Associazione Italiana Vele Rivista Marittima-Giugno 2013 Nautica da diporto d’Epoca (AIVE), è stato istituito nel 2001 con il nome di «Oscar della Vela» e solo nel 2005 ha assunto l’attuale denominazione. Per la categoria Restauro di Barca d’Epoca è l’Associazione Italiana Vele d’Epoca (AIVE) a designare i candidati, mentre per gli altri premi i candidati (tre per categoria) vengono scelti da un’apposita Giuria, entro la fine di gennaio dell’anno in cui si svolge il TAN, sentite tutte le testate giornalistiche di settore e analizzando i risultati della stagione velica appena conclusa, nonché i progetti velici portati a termine nel periodo 1 gennaio - 30 novembre di ogni anno. 30° Trofeo Accademia Navale e Città di Livorno Secondo le comunicazioni ufficiali la trentesima edizione del TAN, che si è svolta dal 20 aprile al 1 maggio, ha visto la partecipazione di oltre 2.000 regatanti, su 500 barche suddivise in 16 classi di regata, fra cui 27 equipaggi stranieri provenienti da 4 continenti, mentre il villaggio Tuttovela, inaugurato sabato 20, è stato visitato da oltre 180.000 persone. Il primo alza bandiera del Trofeo Accademia Navale e città di Livorno è avvenuto domenica 21 al brigantino dell’Istituto al cospetto del pubblico, che ha potuto anche ammirare nel piazzale 50 Ferrari, simulatori virtuali di Formula Uno, mentre i meccanici della Scuderia di Maranello si esibivano in spettacolari pit-stop. La manifestazione è stata organizzata e gestita da un Comitato formato da rappresentanti dell’Accademia Navale, del Comune e della Provincia di Livorno, della Direzione Marittima di Livorno, dell’Autorità Portuale di Livorno, dell’Azienda di Promozione Turistica, dello Yacht Club di Livorno, del Circolo Nautico di Livorno, del Circolo Velico di Antignano, del Circo- Fa gli eventi importanti di questa edizione del TAN c'è stato il gemellaggio tra l’Accademia Navale e lo Yacht Club de Monaco (© Accademia Navale). Rivista Marittima-Giugno 2013 127 Nautica da diporto Qualche acrobazia non voluta durante le regate dei TRIDENT (© Accademia Navale). lo Nautico di Quercianella, della sezione livornese della Lega Navale Italiana, e del Gruppo Vela Assonautica Livorno. Al successo dell’evento hanno contribuito anche numerosi e prestigiosi sponsor, tra cui Paul & Shark, main sponsor da un ventennio, e il livornese D’Alesio Group. Dell’internazionalità del TAN abbiamo già parlato, e quest’anno si sono avuti due eventi importanti oltre le regate. Un evento è stato il gemellaggio tra l’Accademia Navale e lo Yacht Club de Monaco (YCM), sancito dallo scambio di guidoni avvenuto durante il TAN, tra l’Ammiraglio di Divisione Cavo Dragone, comandante l’Accademia Navale, e il rappresentante dello YCM, Dott. Roberto Lauro. L’altro evento ha visto sfilare il personale delle marine estere e della MMI con le proprie bandiere dal porto Mediceo sino al Palazzo Comunale. Gli equipaggi militari si sono sfidati a bordo dei Trident, nella competizione 128 Theatre Style Racing, e ad aggiudicarsi il trofeo della classe è stato l’equipaggio del Bahrain, davanti agli equipaggi degli Emirati Arabi e del Canada. Gli altri trofei di classe sono elencati nelle due Tabelle a fine articolo. Da menzionare le due atlete Ilaria Paternoster e Benedetta Di Salle, vittoriose nella classe «420», la più affollata con 112 barche in acqua e valido per la selezione mondiale ed europea, che si sono aggiudicate anche i Trofei come prime classificate Under 19 e come primo equipaggio femminile, e la Coppa Tuttosport. Quest’anno ricorre il centenario del Dinghy, e in questa classe si sono dati battaglia anche vecchie glorie della vela, e il trofeo se l’è aggiudicato Giorgio Gorla, due bronzi olimpici nella classe «Star». Dopo le regate delle classi iscritte al TAN, fra le quali hanno debuttato le classi dello skiff «29er» e del singolo Sunfish, la kermesse in acqua è terminata, il primo Rivista Marittima-Giugno 2013 Nautica da diporto maggio, con la «Veleggiata Costiera», regata organizzata dal TAN in collaborazione con il Circolo Nautico di Livorno e in concomitanza con MareLibera, l’evento solidale dell’Unione Vela Solidale. Alla veleggiata hanno partecipato 64 cabinati a vela di lunghezza superiore ai 6 metri, sul percorso dalla diga della Vegliaia alla Torre di Calafuria, con un passaggio ravvicinato di fronte al lungomare della città. Oltre ai premi del TAN, sono stati consegnati anche premi speciali: — Coppa Paul & Shark per il primo classificato Over All del Raggruppamento A della Classe «IRC» è andata all’imbarcazione GLS Stella; — Trofeo International Propeller Club all’imbarcazione Breezy; — Trofeo in memoria del Sottotenente Enzo Fregosi, caduto a Nassiriya, all’imbarcazione Rebissu; — Trofeo Paul & Shark all’imbarcazione Low Noise. Quest’anno il Premio Italia per la Vela, che ha avuto anche il patrocinio della Federazione Italiana Vela e della Lega Navale Italiana, è stato così deliberato: — Miglior Restauro di Barca d’Epoca: Cantiere navale dell’Argentario, per il restauro di Optimista il leggendario yawl bermudiano del 1959; — Miglior Progetto per la Vela: architetto Sergio Lupoli per il Progetto Vikos 22; — Miglior Velaio: società Quantun Sails di Vittorio D’Albertas, Francesco Rebaudi e Filippo Jannello; — Miglior Regatante donna: Ilaria Paternoster e Benedetta Di Salle, che hanno vinto il campionato mondiale giovani nella classe «420»; — Miglior Regatante uomo: Ignazio Bonanno, skipper di La Superba, campione Europeo e Italiano «J24» (4). Il Premio «Oltre la Vela» è stato assegnato a Don Antonio Mazzi per aver scelto la vela quale veicolo didattico per l’attività svolta dalle sue Comunità e, in particolare, da quella dell’Isola d’Elba. Il pre- La manifestazione si è conclusa con la «Veleggiata Costiera», regata organizzata dal TAN in collaborazione con il Circolo Nautico di Livorno e in concomitanza con MareLibera, l’evento dell’Unione Vela Solidale (© Accademia Navale). Rivista Marittima-Giugno 2013 129 Nautica da diporto mio è stato consegnato dall’ammiraglio Cavo Dragone al direttore Exodus dell’Isola d’Elba, Stanislao Pecchioli. Da una collaborazione fra Marina Militare e alcuni campioni toscani di Kitesurf si è svolta il 25 aprile, poco prima delle regate della classe «420», una dimostrazione di questo sport spettacolare sulle acque antistanti Antignano. Vela vera e vela virtuale: una delle novità di questa edizione è stata «Vela Virtuale», manifestazione a cura dell’Associazione Italiana Vela Virtuale, riconosciuta dalla FIV, che ha visto dimostrazioni di simulazione di regate di match race e flotta aperte a chiunque, analisi dei casi esaminati da giudici di vela virtuale e il campionato Nazionale di Vela Virtuale con un Trofeo Accademia Navale dedicato. Fra le varie attività svolte a margine delle regate, si è anche svolto un convegno per una maggiore sensibilizzazione dei giovani alla salvaguardia del mare e del suo ambiente da ogni forma d’inquinamento. All’evento, patrocinato dal TAN e tenutosi presso il Museo di Storia Naturale del Mediterraneo di Livorno, hanno preso parte gli studenti delle scuole medie della città labronica. TUTTOVELA-Villaggio della Vela, quest’anno si è spostato nel nuovo e prestigioso complesso della Porta a Mare, presso l’Approdo 75 del porto livornese, dove erano a disposizione di velisti, visitatori ed espositori sistemazioni molto più razionali e accoglienti, rispetto al passato. Il Villaggio della Vela quest’anno si è spostato nel nuovo e prestigioso complesso della Porta a Mare, presso l’Approdo 75 del porto livornese (© Accademia Navale). 130 Rivista Marittima-Giugno 2013 Nautica da diporto Una delle regate del TAN 2012 (© Accademia Navale). Numerosissime le attività svolte e patrocinate da Tuttovela e TAN, che sarebbe lungo elencarle, ma che hanno soddisfatto le migliaia di visitatori giunti da ogni parte d’Italia e non solo. Ricordiamo, fra tutte: — la XX edizione della Mostra Nazionale di Navimodellismo organizzata dal Circolo Sottufficiali Marina Militare di Livorno; — la Giornata mondiale della terra (5), con seminari a cura dell’Università di Pisa e la firma di protocolli d’intesa tra la Regione Toscana, la Provincia di Livorno e i Porti aderenti; — il progetto «Un mare di sport e lavoro» che con video per gli studenti delle scuole primarie e secondarie di Livorno ha spiegato come l’attività subacquea possa essere attività ricreativa, sportiva e professionale; — il convegno sul tema: «Il nuovo volto della sicurezza nel settore della navigazione. Il mare, luogo e strumento del reinserimento nella vita di relazione.», a cura dell’Inail di Livorno; ecc.. Rivista Marittima-Giugno 2013 Infine, ma non di minore importanza, l’impegno della Marina Militare nel sociale quest’anno si è concretizzato con la «Regata della Solidarietà», iniziativa promossa dal Comitato Organizzatore del TAN e che è divenuto il più ambizioso progetto di solidarietà della vela italiana. La «Regata della Solidarietà» era finalizzata al finanziamento di tre concreti progetti per fornire sostegno e cure ai bambini affetti da patologie fisiche e/o mentali. I destinatari della raccolta sono stati la Fondazione Meyer, la Fondazione Francesca Rava NPH Italia e l’Unione Vela Solidale, Tabella 1 30° TAN Vincitori Vele Storiche Raggruppamento Skipper Nome/NV Oscar Procolo Pisano Chaplin Sierra Gianni Fernandes Ilda Tango Lino Tirelli Amore Mio Victor Giuseppe Caruso Chin Blu III 131 Nautica da diporto Tabella 2 Classe «2,4 mR» «420» «555» «Dinghy» «IRC gr.A Regata» «IRC gr.A Crociera» «IRC g. B» «J24» «Laser Bug Race» «Laser Bug Standard» «Martin 16» «Optimist cadetti» «Optimist juniores» «ORC gr.A Regata» «ORC gr.A Crociera» «ORC gr. B Regata» «ORC gr. B Crociera» «Sunfish» «Vaurien» 30° TAN Vincitori di Classe Skipper Nome/NV Nicola Redavid ITA 63 ITA 54550 Ilaria Paternoster Benedetta Di Salle Matteo Scaniglia ITA 546 ITA 2291 Giorgio Gorla GLS Stella Stefano Fava Giuseppe Cavalieri Luca Locatelli Tethis Breezy Andrea Formichi La Superba Ignazio Bonanno ITA 144 Lucia Nicolini ITA 160 Lorenzo Mangiarotti ITA129 Nedo Finocchio ITA 8088 Federico Caldari ITA 7701 Giorgio Perrina Rebissu Guglielmo Bodino Antares Alberto Sodomaco Low Noise Giuseppe Giuffrè Coconut Francesco Sodini Andrea Andrea Milla ITA 36314 Ettore Botticini ognuna promotrice di uno specifico progetto. Nel Villaggio della Vela, ha trovato spazio anche uno stand dell’Unità Operativa di pediatria dell’Ospedale di Livorno. Un grande TAN, che ancora una volta ha consentito «la diffusione, attraverso l’interesse che i media hanno dimostrato Circolo velico LNI Milano YC Italiano AS Il Pontile CV Orta YC Parma YC Parma YC Cala de Medici SVMM CV Canottieri Intra CN Del Finale Assonautica Livorno CN Cesenatico CN Antignano YC Sanremo SVMM YC Chiavari CN Viareggio CN Pugli CV Grosseto per l’evento, non solo nel mondo velico sportivo, ma anche verso l’opinione pubblica, dell’immagine della Marina Militare come sinonimo di efficienza organizzativa, di attenzione privilegiata per la vela, il mare, le tradizioni marinare», e il sociale. Stéphan Jules Buchet NOTE (1) Per dare un’idea, i campi di regata del XV TAN (1998) erano 8 e furono impiegati 86 giudici di gara e 300 persone per l’assistenza distribuite su 80 mezzi navali. (2) Fra questi si può ricordare Gabrio Zandonà (campione mondiale 2003 della classe «470»), che nel 1991 (VIII TAN) si piazzò al secondo posto. (3) La Sail Training Association - Italia (STA-I) è un sodalizio totalmente volontario e senza scopo di profitto fondato nel luglio 1996 dalla Marina Militare e dallo Yacht Club Italiano quale espressione italiana dell’organizzazione internazionale che promuove l’attività collettiva dei grandi velieri (Tall Ships) quale strumento di formazione giovanile e di fratellanza internazionale tra i giovani amanti del mare e della vela. (4) Equipaggio Ignazio Bonanno, Alfredo Branciforte, Massimo Gherarducci, Francesco Linares e Simone Scontrino. (5) La Giornata mondiale della terra è stata istituita dall’ONU nel 1970. 132 Rivista Marittima-Giugno 2013 RUBRICHE Ambiente marino L’ARCIPELAGO DELLE ISOLE EGADI TRA SASSI E MATTANZE Dove le acque del Mar Tirreno si mescolano con quelle del mar D’Africa, proprio di fronte all’estrema punta della Sicilia occidentale, si mostra ai nostri occhi l’arcipelago delle isole Egadi. Formato dalle tre isole maggiori Favignana, Levanzo e Marettimo, in ordine di distanza dalla costa Siciliana, e gli isolotti di Maraone, Formica e Porcelli. Facilmente raggiungibile in pochi minuti tramite aliscafi e traghetti da Marsala, Trapani e Castellammare del Golfo. Circa 54.000 ettari fanno dell’arcipela- go delle isole Egadi l’Area Marina Protetta più estesa di tutta Europa, istituita con il Decreto Interministeriale del 27 Dicembre 1991, modificato successivamente nel 1993 e nel 1996. Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio nel 2001 ha affidato la gestione dell’area protetta al Comune di Favignana, l’area marina delle Egadi a differenza delle altre AMP conta ben 4 zone di protezione differenziata, la zona A di riserva integrale, la zona B di riserva generale, la zona C di riserva parziale e una quarta zona, la zona D di protezione in cui però è consentita la pesca professionale con le limitazioni relative al fermo biologico. Il Bue Marino è una scogliera con grotta annessa situata sull'Isola di Favignana nell'Arcipelago delle Egadi. Rivista Marittima-Giugno 2013 133 Ambiente marino Cava pietra e piscina naturale Favignana. In basso: Le cave dismesse a Favignana furono utilizzate dagli isolani in modo originale e intelligente: vennero trasformate in orti e giardini fra cui i giardini ipogei. L’arcipelago presenta tutto il ricco campionario di flora e fauna del Mediterraneo, 134 meta di studiosi e appassionati subacquei che ne hanno fatto ormai tappa obbligato- Rivista Marittima-Giugno 2013 Ambiente marino ria per la possibilità di fare incontri subacquei veramente straordinari. Dalle vaste praterie di Posidonia oceanica, che circondano l’arcipelago, ove pesci e invertebrati marini di svariate forme e colori nuotano quasi indisturbati dalla presenza dei subacquei agli ambienti più nascosti come gli anfratti e le grotte sino a scorgere nelle profondità folti «boschi» di corallo nero . Le margherite di mare tappezzano le pareti che dolcemente degradano nel blu, colorandole di un intenso arancio. Gorgonie variopinte si incontrano già alla batimetria dei 20-25 metri, e poi i grossi pesci come cernie, ricciole, vasti branchi di saraghi e di barracuda mediterranei, ancora orate, murene e torpedini. Per l’area marina protetta è prevista una rigorosa politica di conservazione e tutela che si fonda sulla salvaguardia delle specie a rischio e, in generale, dell’ambiente marino nella sua variegata complessità; nel contempo, la protezione dell’ambiente dà impulso alla cultura della fruibilità compatibile per consentire a tutti la conoscenza di questi veri e propri gioielli d’Italia. La tutela dell’ambiente diviene, pertanto, lungimirante nel coniugare la cultura della «fruibilità responsabile» con lo sviluppo necessario alla sopravvivenza stessa dell’arcipelago e dei suoi abitanti: gente orgogliosa e schiva, fiera custode di questi giardini di terra e di mare. «La grande farfalla sul mare» nome che deriva dal favonio, vento caldo di ponente, la più grande delle Egadi, dista soltanto 9 miglia dal porto di Trapani, ha una superficie di 19 km2 e un estensione costiera di 33 km. L’isola è un luogo ideale per tutti gli amanti della vela, i forti venti sono capaci di modificare rapidamente l’aspetto dei suoi specchi d’acqua. Sull’isola il luogo forse più suggestivo è «Cala rossa» che prende il nome dal sangue dei soldati che furono uccisi nella battaglia finale della prima guerra punica tra Romani e Cartagi- La tonnara Florio. Rivista Marittima-Giugno 2013 135 Ambiente marino nesi nel 2141 a.C. Il mare è sempre protagonista sull’isola con i suoi colori cangianti dal turchese al verde che contrastano il bianco delle rocce di tufo, materiale che per molti anni è stato estratto dalle miniere per la costruzione di edifici. I blocchi, una volta tagliati, venivano esportati in Sicilia e in Nord Africa. La parte orientale dell’isola è caratterizzata proprio da queste cave, che donano al paesaggio un singola- re immagine «Traforata» con queste grandi depressioni squadrate e a gradoni, spesso invase da arbusti, a volte purtroppo utilizzate come discariche, altre per fortuna, come piccoli giardini ipogei, riparati dai forti venti. In prossimità del mare, lungo la costa est sussistono le antiche cave in parte sommerse dai flutti in seguito a degli smottamenti di terreno. Il mare vi penetra formando piccoli specchi d’acqua dalle forme geometriche. Il paese si edifica intorno a due piazze: piazza Europa e piazza Matrice, collegate dalla via principale, metà del passeggio serale. A nord-est del centro abitato, San Nicola nasconde un’area che porta i segni del tempo passato, ancora in mano a privati e quindi pressoché impossibile da visitare. La Tonnara Florio Una visita all’ex Stabilimento Florio è indispensabile per coloro che vogliano vivere un viaggio nel florido passato della tonnara e di quello che rappresentò per lo sviluppo dell’isola di Favignana. L’ex stabilimento Florio è un vero gioiello di archeologia industriale. Esso non era solo il luogo dove venivano custodite le attrezzature, le ancore e le barche della mattanza in quella che diventò una delle più fiorenti industrie di lavorazione conserviere del tonno, ma rappresenta anche la storia della famiglia Florio e del suo intrecciarsi con la vita degli isolani, che trovarono riscatto sociale dalla povertà e fonte di sussistenza economica. Marettimo un immagine del paese. 136 Marettimo È la più lontana delle tre isole dalla Sicilia, fortemente battuta da correnti che nel tempo ne hanno disegnato degli scenari mozzafiato che si affacciano sul mare. L’isola è costituita da una montagna dalle pareti calcaree ripide e scoscese. Circa 400 grotRivista Marittima-Giugno 2013 Ambiente marino Un immagine della Grotta del Genovese te tra quelle subacquea ed emerse. In piena zona A la grotta del presepio, dove le stalagmiti e la stalattiti hanno formato delle vere e proprio sculture che al tramonto con l’ingresso di timidi barlumi di luce sembrano prendere vita. Meraviglia dell’isola è certamente la grotta del cammello dove sembra di scorgere tra le rocce l’animale che dà il nome alla grotta accovacciato sulle zampe. Tra le isole Marettimo è l’unica ad avere delle sorgenti d’acqua dolce pertanto è stata meta di soste e di rifornimenti per tutti i navigatori che nei secoli si sono ritrovati a navigare nei pressi dell’isola. Tanti i punti d’immersione per la grande biodiversità dei fondali, dovuti alle condizioni idrodinamiche e alla natura geologica dei fondali. Levanzo La più piccola delle tre «sorelle», soltanto 5 Km di lunghezza, un piccolo centro abitato dove il ritmo delle giornate scorre lentamente. Costituita da rocce calcaree bianche, anch’essa custodisce numerose grotRivista Marittima-Giugno 2013 te. L’isola può essere visitata soltanto a piedi per via degli impervi percorsi non percorribili con mezzi a motore. L’isola abitata gia in tempi remoti offre la tranquillità di un paradiso dove sembra non essere arrivato il progresso. Sull’isola una tappa obbligatoria è la Grotta del Genovese, un preistorico santuario dove religione e cultura muovono i primi passi tra graffiti e pitture rupestri d’uomini e animali uniti in un legame ancestrale. di grande valenza scientifica e archeologica. Scoperta nel 1950, le pitture risalgono all’età neolitica, pitture realizzate con grasso animale e carboncino, sono ancora in ottimo stato di conservazione per l’assenza di luce ed una temperatura che rimane praticamente costante lungo tutto l’arco dell’anno. I graffiti risalgono a 11-12 mila anni fa, ovvero alla fase finale del Paleolitico, poco prima cioè che il mare inghiottisse quei lembi di terra che rendevano le Egadi parte integrante della Sicilia, e le pitture a 5-6 mila anni fa, o meglio alla fine del Neolitico, quando Levanzo era già un’isola. 137 Ambiente marino La pesca Sin dai tempi più antichi la fonte primaria di sostentamento per tutto l’arcipelago è stata la pesca, praticata tutt’oggi anche se non più con gli stessi risultati, con gli stessi attrezzi di un tempo, diversi sono i pescatori che non vogliono cedere al progresso mantenendo invariati gli antichi sistemi di pesca tramandati dai loro avi. Ia pesca con i palamiti o palangari, la mattanza dei tonni e la pesca con le reti da posta, e la pesca del corallo sono i metodi che hanno contraddistinto nei secoli le marinerie della Sicilia occidentale: Tra queste quella che ha un sapore di fascino è sicuramente la pesca del maestoso pesce pelagico che per millenni, nei primi mesi caldi, ha nuotato lungo le coste dell’arcipelago: «Il Tonno». La mattanza dei tonni Il Tonno rappresenta l’animale simbolo dell’ arcipelago, insieme ai delfini figura tra i disegni rupestri della grotta del Genovese sull’isola di Levanzo. Alla fine dell’800 la Tonnara di Favignana era uno dei maggiori stabilimenti per la lavorazio- ne del tonno, voluta fortemente dalla famiglia Florio, era il vanto di tutta l’isola di Favignana e poteva continuare a esserlo se i tonni non fossero diminuiti a causa della massiccia pesca con sistemi sempre più efficaci ed evoluti. La «mattanza» ovvero il momento culminate della cattura dei tonni si pratica ancora oggi tra fine maggio e fine giugno e resta una delle ultime testimonianze al mondo di questa straordinaria forma di pesca. Attività disciplinata da un’apposita ordinanza della Capitaneria di orto di Trapani. La mattanza consiste nel dirottamento dei branchi di tonni che giungono dall’Atlantico per riprodursi, verso un labirinto di reti che li convoglia in un’unica rete detta Camera della Morte. Da lì il Rais darà il via e i tonni verranno issati a bordo delle imbarcazioni tramite degli appositi uncini che servono da gancio. La famiglia Florio introdusse nell’isola di Favignana la lavorazione e il primo inscatolamento del tonno pescato dai tonnaroti favignanesi. Infatti a Favignana era presente ed è tuttora attiva una delle più antiche Tonnare di tutto il Mediterraneo. Ogni anno nel mese di maggio si può assistere alla mat- Un pescatore di corallo anni Sessanta 138 Rivista Marittima-Giugno 2013 Ambiente marino la camera della morte, il momento più cruento della mattanza. tanza dei grossi tonni pesanti anche 200300 kg anche se la presenza di questi grandi «pelagici» nei nostri mari è sempre meno frequente. Vedere la mattanza Ogni anno nel mese di maggio si può assistere alla mattanza di questi giganti del mare. Ogni giorno per circa 3 settimane sono organizzate uscite in mare con motobarche dei pescatori per osservare come avviene la pesca dei tonni. Ormai la mattanza ricopre soltanto un ruolo turistico sull’isola in quanto il numero di questi pesci è molto diminuito, per cui con il pescato non si puo’ più sostentare un industria florida come era quella della pesca al tonno. Ormai le mattanze vengono praticare per i turisti e per tramandare un metodo di Rivista Marittima-Giugno 2013 pesca che nell’ultimo secolo ha sostentato un’intera isola con la pesca del tonno. Per un turista che arriva alle Egadi la mattanza potrebbe essere considerata come una pratica di pesca barbara o un mero evento folcloristico svuotato ormai di significato. In realtà dietro a questa pratica, oggi ormai quasi estinta, si nascondevano dei forti contenuti storici, sociali e culturali non solo economici. La tonnara rappresenta infatti la primitiva lotta dell’uomo per la sopravvivenza che non ha nulla di spettacolare o folcloristico, ma è il duro lavoro di uomini che a ritmo di canti, si muovono all’unisono con la sola forza delle proprie braccia per vincere la lotta col tonno. Non c’è tuttavia senso di prevaricazione su questo animale bensì grande rispetto, in un momento che non è solo pesca ma at139 Ambiente marino timo rituale, quasi liturgico, accompagnato da preghiere e ringraziamenti ai Santi. Un paradiso sommerso Le condizioni ecologiche e le bellezze naturali, fanno dei fondali della Riserva Naturale Marina delle Isole Egadi un paradiso per i subacquei, dove è possibile immergersi in numerosi punti e con diversi livelli di difficoltà. Il mare della Riserva Naturale Marina delle Isole Egadi presenta una gran varietà di ambienti dovuti all’influenza di numerosi e differenti fattori quali: i venti, la natura geologica dei substrati, le condizioni idrodinamiche e la morfologia dei fondali, che ne fanno uno tra i più puliti, limpidi e ricco di specie del Mediterraneo. A Favignana i punti d’immersione più interessanti sono: «Scoglio Corrente», sia per apnea che con bombole, con profondità fino a 34 m. «Cala Rotonda», per facili immersioni e per amatori di fotografia naturalistica subacquea. «Punta Sottile», per tutti i livelli subacquei e ricca di ricci e flora di notevole varietà «Secca del Toro», con profondità fra 7 e 50 metri, adatta ai vari tipi di subacquea e dove si può incontrare qualche barracuda. «Atlantide», riservato a sub di grande esperienza, dove si trova un bosco di corallo nero. A Levanzo Secca del Faraone, a breve distanza dal faraglione e ideale per amatori di fotografie, Relitto Punico-Romano, percorso archeologico tra le profondità da 15 a 35 metri, dove si possono ammirare resti di anfore romane e un relitto parzialmente coperto. L’immersione è adatta a sub esperti, a causa delle correnti che caratterizzano l’area. Cala Tramontana ideale per sub principianti, soprattutto quando spira lo scirocco. Le immersioni che si possono effettuare a Marettimo Punta Bassana, presso il promontorio fra le zone A e B della riserva, con fondali fra Una murena. 140 Rivista Marittima-Giugno 2013 Ambiente marino La foca monaca. 35 e 45 metri, è considerata l’immersione più interessanti delle Egadi e forse del Mediterraneo. Orlata San Simone, immersione di media difficoltà tra i 25 ed i 45 metri, nella zona antistante l’abitato di Marettimo e dove si trovano grandi quantità di aragoste. Orlo di Cala Bianca, al limite della zona A della riserva, per immersioni di 18-40 metri, dove si possono ammirare lunghi rami di corallo nero e incontrare qualche barracuda. La Grotta o Cattedrale, per immersione di elevata difficoltà ma di fascino unico. A circa 30 metri si apre la grotta che da la sensazione di trovarsi in una cattedrale gotica.. È tornata anche la foca monaca La foca monaca è ritornata nell’area marina protetta delle isole Egadi, da dove era «scappata» intorno a metà degli anni Settanta a causa dell’inquinamento e della caccia. Dopo una serie di avvistamenti da parte di pescatori e diportisti, i riRivista Marittima-Giugno 2013 cercatori dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale sono riusciti a scoprire e fotografare un esemplare di femmina adulta nascosta in una grotta lungo il litorale favignanese. Negli ultimi due anni, nell’area marina protetta delle isole, è stata condotta un’attività di ricerca con l’obiettivo di verificare, documentare e raccogliere informazioni sugli avvistamenti di esemplari di foca monaca (monachus monachus), una delle specie più protette al mondo. Il progetto cominciato nel 2011, ha monitorato i luoghi che potevano essere più idonei per il riparo di questo mammifero, piazzando anche delle foto trappole che permettevano di identificare gli animali che si trovavano all’interno della grotta. Dopo i primi avvistamenti i ricercatori hanno confermato la veridicità del fatto constatando che la foca monaca è realmente tornata sull’isola. Un altro regalo fatto dal mare alla riserva marina più grande d’Europa. Marcello Guadagnino 141 RUBRICHE Scienza e tecnica IL CATAMARANO A ENERGIA SOLARE PLANET SOLAR RIPARTE NEL 2013 PER UNA NUOVA CAMPAGNA DOPO AVER COMPLETATO NEL 2012 IL GIRO DEL MONDO Sulle pagine di questa rubrica ci siamo già occupati più volte (1) del programma svizzero Planet Solar per la costruzione di un’imbarcazione, con scafo a catamarano, propulsa mediante energia solare, imbarcazione che è stata realizzata e ha compiuto il giro del mondo, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulle potenzialità delle energie rinnovabili, dimostrandone concretamente le possibilità, e di presentare la Svizzera come un’attrice chiave nel settore delle nuove tecnologie delle energie rinnovabili. Vogliamo ora fornire alcuni aggiornamenti sul programma, e in particolare sul completamento, nel 2012, del primo giro del mondo con propulsione solare, e sul programma 2013. L’imbarcazione, il cui nome completo è MS Tûranor PlanetSolar, è stata costruita presso i cantieri Knierim Yachtbau di Kiel, nel Nord della Germania; la costruzione è durata quattordici mesi, dalla fine del 2008 fino a marzo 2010. Il 31 marzo il catamarano è stato varato e quindi, dopo il completamento dell’allestimento, ha iniziato le prove del sistema di propulsione e le prove in mare. Il nome Tûranor indica il potere del sole nella mi- Un’immagine dell’imbarcazione MS TÛRANOR PLANETSOLAR scattata nel maggio 2013 a St Martin (fonte: http://www.planetsolar.org/). 142 Rivista Marittima-Giugno 2013 Scienza e tecnica Scheda tecnica (in francese) dell’imbarcazione MS TÛRANOR PLANETSOLAR, la più grande imbarcazione con propulsione a energia solare al mondo (fonte: http://www.planetsolar.org/). tologia di J.R.R. Tolkien. Il progettista di PlanetSolar è il neozelandese Craig Loomes, che ha già concepito varie altre imbarcazioni innovative, tra cui il multiscafo da 23 metri Earthrace, detentore del record UIM per la più veloce circumnavigazione del globo con imbarcaRivista Marittima-Giugno 2013 zione a motore. Il team progettuale guidato da Loomes ha impiegato diversi mesi per scegliere le dimensioni e le principali caratteristiche di questa unità biscafo, concepita per compiere il giro del mondo: sono state ottimizzate la raccolta, la conservazione e l’impiego dell’energia per la 143 Scienza e tecnica propulsione, ma anche l’aerodinamica e la scelta dei materiali sono state oggetto di studi approfonditi; la struttura basata sulla fibra di carbonio combina la leggerezza con la resistenza. PlanetSolar è la più grande imbarcazione con propulsione a energia solare del mondo. Questo rivoluzionario mezzo navale è ricoperto da pannelli fotovoltaici forniti dalla società statunitense SunPower Corporation, uno dei leader nel settore; i pannelli hanno un rendimento minimo del 22%, particolarmente elevato. Il sistema di propulsione è interamente elettrico, alimentato da batterie caricate dai pannelli solari. Planet Solar è partita il 27 settembre 2010 da Monaco per il primo giro del mondo a energia solare, compiuto su di una rotta equatoriale da Est verso Ovest per un totale di oltre 60.000 km. Il giro è terminato, dopo quasi due anni nei quali sono stati toccati 52 porti, 28 paesi, tutti i continenti, attraversato tutti gli oceani e i più importanti canali artificiali (oceano atlantico, canale di Panama, oceano pacifico, oceano indiano, canale di Suez), il 4 maggio 2012 quando l’imbarcazione è tornata a Monaco, dopo un’ultima tappa in Corsica. Ogni sosta è stata un’occasione per incontrare le comunità locali e promuovere l’impiego dell’energia solare, grazie anche al Solar Village, uno stand sull’energia solare che ha seguito l’imbarcazione in tutte le tappe. Tra gli eventi salienti della navigazione ricordiamo l’attraversamento dell’Oceano Indiano, effettuato con una protezione militare contro attacchi di pirati; in effetti, un’imbarcazione sospetta di pirateria si è avvicinata, ma, dopo aver individuato il personale armato, ha preferito cambiare rotta. Nell’estate del 2012 l’imbarcazione, 144 dopo una breve sosta per manutenzione, ha compiuto una campagna nel Mar Mediterraneo, partecipando a eventi legati all’impiego dell’energia solare, e quindi è stata oggetto di una più importante sosta dedicata a lavori di manutenzione e rinnovamento (in particolare è stato aggiornato il sistema di propulsione con eliche di superficie, sostituite da eliche completamente immerse, è stato sostituito l’impianto del timone con una nuova timoneria idraulica, sono stati rinnovati gli arredi delle cabine ed è stata aumentata la capacità delle casse dell’acqua dolce), da cui è uscita nel marzo 2013. Anche l’equipaggio è nuovo, e lo skipper è Gérard d’Aboville, sosteniRivista Marittima-Giugno 2013 Scienza e tecnica Il programma della campagna 2013 dell’imbarcazione MS TÛRANOR PLANETSOLAR (fonte: http://www.planetsolar.org/). tore del progetto fin dai suoi inizi; accanto a lui Stephan Marseille (secondo), Antoine Simon (ingegnere elettrico) e Hugo Buratti (marinaio e contabile). Tra i nuovi sponsor Sua Altezza Serenissima, il principe Alberto II di Monaco, l’Università di Ginevra e le compagnie Ciel électricité, Switcher, Association suisse des AOC-IGP, Younicos, GoPro, Météo France, Jean-René Germanier SA, BCCC Avocats, Tempur, Hempel, Présence Suisse, Energissima, UIM, YELLO e Waste Free Oceans. In particolare il principale partner scientifico è l’università di Ginevra, che imbarcherà a bordo una sua équipe scientifica Rivista Marittima-Giugno 2013 per lo studio della corrente del Golfo. L’Università è stata fondata nel 1559 da Calvino e Théodore di Bèze, è oggi la seconda università Svizzera dopo Zurigo, e conta circa 16.000 studenti nelle sue otto facoltà, che coprono tutti i domini dello scibile: scienze, medicina, lettere, scienze economiche e sociali, diritto, psicologia, teologia e delle scienze dell’educazione, traduzione e interpretariato. Il programma 2013 è stato presentato ufficialmente alla stampa il 26 marzo, e l’unità è partita da Le Ciotat (in Provenza) l’8 aprile, approfittando delle previsioni meteorologiche favorevoli, per Rabat, in Marocco, dove è arrivata, il 16 aprile, do145 Scienza e tecnica CARATTERISTICHE PRINCIPALI DI PLANET SOLAR Scafo a catamarano del tipo «wave piercing« (con terzo scafo centrale al di sopra del galleggiamento in acqua tranquilla). — Materiale: composito di fibra di carbonio e resina epossidica; — Dimensioni: Lunghezza 35 m, larghezza 23 m, altezza 6,3 m sopra il piano di galleggiamento, immersione 1,5 m; — Dislocamento: 89 tonnellate; — Superficie dei pannelli solari: 516 m² – 29.160 cellule fotovoltaiche aventi rendimento del 22,6%; — 6 blocchi di batterie agli ioni di litio aventi un peso totale di 8,5 tonnellate; — 2 motori elettrici da 60 kW ciascuno, 2 eliche a 5 pale aventi diametro di 81 cm e velocità di rotazione massimo di 600 giri il minuto; — Consumo medio 20 kW (17 per la propulsione e 3 per gli usi di bordo); — Velocità massima 14 nodi – media 5 nodi; — 6 cuccette con un totale di 9 posti per l’equipaggio – in banchina possono essere ospitate a bordo fino a 60 persone. po una tappa di 1.600 chilometri nel corso della quale è stato attraversato lo stretto di Gibilterra, ripartendo poi il 20 aprile per attraversare l’oceano atlantico: prima tappa Las Palmas (Isole Canarie, Spagna), seconda Marigot, nell’isola di Saint Martin (Antille francesi). Dalla partenza da Las Palmas (alle ore 11.00 del 25 aprile) all’arrivo a Marigot (ore 06.32 del 18 maggio) Planet Solar ha impiegato 22 giorni, 12 ore e 32 minuti, battendo quindi il record di 26 giorni per una traversata atlantica con unità a propulsione solare stabilito dalla stessa unità, durante il giro del mondo del 2010-2012 e certificato dal Guinnes World RecordsTM. La velocità media è stata di 5,3 nodi, e la lunghezza della traversata di 2687 miglia (pari 5310 chilometri). Planet Solar è poi partita il 23 maggio da Marigot per Miami (Florida). Da maggio ad agosto 2013, un’équipe dell’università di Ginevra (UNIGE), diretta dal professor Martin Beniston, climatologo e direttore dell’Istituto di Scienze dell’ambiente, studierà la corrente del Golfo, seguendone il percorso da bordo del catamarano, nell’ambio del programma DeepWater, percorrendo più di 8.000 chilometri da Miami in Florida a Bergen in 146 Norvegia, con tappe a New York, Boston e Reykjavik (Islanda). Obiettivo degli scienziati è capire le complesse interazioni tra la fisica, la biologia e il clima, per migliorare i modelli previsionali del clima nel settore degli scambi energetici tra oceano e atmosfera. Verranno in particolare misurate con continuità grandezze fisiche e biologiche dell’aria e dell’acqua, e l’oggetto principale della ricerca saranno i vortici oceanici e le zone di formazione delle acque profonde, da dove partono quei sistemi di correnti tridimensionali che collegano le acque di tutti gli oceani. Uno degli strumenti più interessanti installati a bordo è la «Biobox», sviluppata dal gruppo di fisica applicata dell’Università di Ginevra, che sarà provato per la prima volta a bordo della Planet Solar, e che esaminerà la composizione degli aerosol per mezzo di una tecnica laser. Uno dei principali vantaggi della propulsione solare è che l’unità non produrrà nessun’emissione che possa contaminare e influenzare i rilievi scientifici. Inoltre il progetto si propone di aumentare la conoscenza delle problematiche relative al clima da parte del pubblico. Dopo il termine della campagna Planet Solar Deepwater a Bergen, il catamarano Rivista Marittima-Giugno 2013 Scienza e tecnica proseguirà le sue attività prendendo parte al progetto Waste Free Oceans dell’omonima fondazione, una campagna per la pulizia delle acque europee il cui obiettivo è la riduzione della quantità di rifiuti galleggianti oggi presenti. Sia in questa fase che nella successiva, che lo vedrà toccare i porti turchi di Istanbul e Izmir nell’abito di una collaborazione con la fondazione myclimate Turkey, il catamarano accoglierà eventi didattici, destinati in particolare ai giovani, legati alla diffusione della cultura dell’energia solare. Sulle pagine di questa rubrica torneremo certamente a occuparci di PlanetSolar, ma per chi fosse particolarmente interessato è possibile seguire le tappe della campagna e anche la posizione aggiornata dell’imbarcazione sul sito dell’organizzazione http://www.planetsolar.org. L’ENERGIA FOTOVOLTAICA La tecnologia fotovoltaica consente di trasformare, direttamente e istantaneamente, l’energia solare in energia elettrica senza l’uso di alcun combustibile. Essa sfrutta il cosiddetto «effetto fotoelettrico», cioè la capacità che hanno alcuni semiconduttori, opportunamente trattati («drogati»), di generare elettricità se esposti alla radiazione solare. Conosciuto fin dalla prima metà del XIX secolo, questo effetto ha visto la sua prima applicazione commerciale negli Stati Uniti nel 1954, quando fu realizzata la prima cella fotovoltaica in silicio monocristallino nei laboratori della Bell. Gli impianti fotovoltaici sono quindi sistemi che convertono l’energia solare direttamente in energia elettrica. Le potenze generate da questi dispositivi variano da pochi a diverse decine di Watt, a seconda delle dimensioni e delle tecnologie adottaRivista Marittima-Giugno 2013 te. Un impianto fotovoltaico è essenzialmente costituito da un generatore, da un sistema di condizionamento e controllo della potenza e da un eventuale accumulatore di energia, la batteria. Il componente elementare del generatore fotovoltaico è la cella. È lì che avviene la conversione della radiazione solare in corrente elettrica. Essa è costituita da una sottile «fetta» di un materiale semiconduttore, quasi sempre silicio, l’elemento più diffuso in natura dopo l’ossigeno, di spessore pari a circa 0,3 mm. Può essere rotonda o quadrata e avere una superficie compresa tra i 100 e i 225 cm2. Il silicio che costituisce la fetta viene «drogato» mediante l’inserimento di atomi di boro su una faccia (drogaggio p) e di fosforo sull’altra faccia (drogaggio n). Nella zona di contatto tra i due strati a diverso drogaggio si determina un campo elettrico; quando la cella è esposta alla luce, per effetto fotovoltaico, si generano delle cariche elettriche e, se le due facce della cella sono collegate a un utilizzatore, si avrà un flusso di elettroni sotto forma di corrente elettrica continua. Attualmente il silicio, mono e policristallino, impiegato nella costruzione delle celle è lo stesso utilizzato dall’industria elettronica, che richiede materiali molto puri e quindi costosi. Tra i due tipi, il silicio policristallino è il meno costoso, ma ha rendimenti leggermente inferiori al monocristallino. Per ridurre il costo della cella sono in studio nuove tecnologie che utilizzano il silicio amorfo e altri materiali policristallini, quali il Seleniuro di Indio e Rame e il Tellurio di Cadmio. Una cella fotovoltaica di dimensioni 10x10 cm si comporta come una minuscola batteria, e nelle condizioni di soleggiamento tipiche dell’Italia (1 kW/m2), alla temperatura di 25°C fornisce una corrente 147 Scienza e tecnica La copertina del Volume L’energia fotovoltaica, Collana «Sviluppo sostenibile» n. 22, edito nel 2006 dall’ENEA. di 3 A, con una tensione di 0,5 V e una potenza pari a 1,5-1,7 Wp (Watt di picco). L’energia elettrica prodotta sarà, ovviamente, proporzionale all’energia solare incidente, che come sappiamo varia nel corso della giornata, al variare delle stagioni, e al variare delle condizioni atmosferiche, ecc.. In commercio per impiego domestico o industriale si trovano moduli fotovoltaici costituiti da un insieme di celle. I più diffusi sono costituiti da 36 celle disposte su 4 file parallele collegate in serie. Hanno superfici che variano da 0,5 a 1 m2 e permettono l’accoppiamento con accumulatori da 12 Vcc (le comuni batterie). Più moduli collegati in serie formano un pannello, ovvero una struttura comune ancorabile al suolo o a un edificio. Più pannelli collegati in serie costituiscono una stringa. Più stringhe, collegate generalmente in pa148 rallelo per fornire la potenza richiesta, costituiscono il generatore fotovoltaico. Dal punto di vista elettrico non ci sono praticamente limiti alla produzione di potenza da sistemi fotovoltaici, perché il collegamento in parallelo di più file di moduli, le «stringhe», consente di ottenere potenze elettriche di qualunque valore. Il trasferimento dell’energia dal sistema fotovoltaico all’utenza avviene attraverso ulteriori dispositivi necessari a trasformare la corrente continua prodotta in corrente alterna, adattandola alle esigenze dell’utenza finale. Il sistema di condizionamento e controllo della potenza è costituito da un inverter, che trasforma la corrente continua prodotta dai moduli in corrente alternata, da un trasformatore e da un sistema di rifasamento e filtraggio che garantisce la qualità Rivista Marittima-Giugno 2013 Scienza e tecnica All’interno del sole, a temperature di alcuni milioni di gradi centigradi, avvengono incessantemente reazioni termonucleari di fusione che liberano enormi quantità di energia sotto forma di radiazioni elettromagnetiche. Una parte di questa energia, dopo aver attraversato l’atmosfera, arriva al suolo con un’intensità di circa 1.000 W/m2 (irraggiamento al suolo in condizioni di giornata serena e Sole a mezzogiorno). Questo enorme flusso di energia che arriva sulla Terra è pari a circa 15.000 volte l’attuale consumo energetico mondiale. Di questa energia, però, può essere utilmente «raccolta» da un dispositivo fotovoltaico, solo una parte costituita dall’irraggiamento; che è, infatti, la quantità di energia solare incidente su una superficie unitaria in un determinato intervallo di tempo, tipicamente un giorno (kWh/m2/giorno). Nella figura è rappresentato il flusso di energia tra il sole, l’atmosfera e la superficie terrestre. Dal Volume L’energia fotovoltaica, edito dall’ENEA. della potenza in uscita. Trasformatore e sistema di filtraggio sono normalmente inseriti all’interno dell’inverter. È chiaro che il generatore fotovoltaico funziona solo in presenza di luce solare. L’alternanza giorno/notte, il ciclo delle Rivista Marittima-Giugno 2013 stagioni, le variazioni delle condizioni meteorologiche, fanno sì che la quantità di energia elettrica prodotta da un sistema fotovoltaico non sia costante né al variare delle ore del giorno, né al variare dei mesi dell’anno. Ciò significa che, nel 149 Scienza e tecnica caso in cui si voglia dare la completa autonomia all’utenza, occorrerà o collegare gli impianti alla rete elettrica di distribuzione nazionale o utilizzare dei sistemi di accumulo dell’energia elettrica che la rendano disponibile nelle ore di soleggiamento insufficiente. Secondo il tipo di applicazione cui l’impianto è destinato, le condizioni d’installazione, le scelte impiantistiche, si distinguono varie tipologie d’impianto. Gli impianti isolati (stand-alone) sono impianti non collegati alla rete elettrica e sono costituiti dai moduli fotovoltaici, dal regolatore di carica e da un sistema di batterie che garantisce l’erogazione di corrente anche nelle ore di minore illuminazione o di buio. La corrente generata dall’impianto fotovoltaico è una corrente continua. Se l’utenza è costituita da apparecchiature che prevedono un’alimentazione in corrente alternata, è necessario anche un Schema di massima di un’utenza domestica dotata d’impianto fotovoltaico collegato alla rete elettrica. Dal Volume L’energia fotovoltaica, edito dall’ENEA. 150 Rivista Marittima-Giugno 2013 Scienza e tecnica convertitore, l’inverter. Questi impianti risultano tecnicamente ed economicamente vantaggiosi nei casi in cui la rete elettrica è assente o difficilmente raggiungibile. Infatti, spesso sostituiscono i gruppi elettrogeni. Attualmente le applicazioni più diffuse servono ad alimentare: Apparecchiature per il pompaggio dell’acqua, soprattutto in agricoltura; — Ripetitori radio, stazioni di rilevamento e trasmissione dati (meteorologici e sismici), apparecchi telefonici; — Apparecchi di refrigerazione, specie per il trasporto medicinali; — Sistemi d’illuminazione; — Segnaletica sulle strade, nei porti e negli aeroporti; — Alimentazione dei servizi nei camper; — Impianti pubblicitari, ecc.. Gli impianti collegati alla rete (gridconnected) sono impianti stabilmente collegati alla rete elettrica. Nelle ore in cui il generatore fotovoltaico non è in grado di produrre l’energia necessaria a coprire la domanda di elettricità, la rete fornisce l’energia richiesta. Viceversa, se il sistema fotovoltaico produce energia elettrica in più, il surplus può essere trasferito alla rete o accumulato. Un inverter trasforma la corrente continua prodotta dal sistema fotovoltaico in corrente alternata. I sistemi connessi alla rete, ovviamente, non hanno bisogno di batterie perché la rete di distri- buzione sopperisce alla fornitura di energia elettrica nei momenti d’indisponibilità della radiazione solare. La quantità di energia prodotta da un generatore fotovoltaico varia nel corso dell’anno e dipende da una serie di fattori come la latitudine e l’altitudine del sito, l’orientamento e l’inclinazione della superficie dei moduli, e le caratteristiche di assorbimento e riflessività del territorio circostante. A titolo indicativo, alle latitudini dell’Italia centro-meridionale un metro quadrato di moduli può produrre in media 0,3-0,4 kWh al giorno nel periodo invernale, e 0,6-0,8 kWh in quello estivo. L’energia elettrica prodotta con il fotovoltaico non richiede l’impego di combustibile: per ogni kWh prodotto si risparmiano circa 250 grammi di olio combustibile rispetto all’analogo quantitativo di energia prodotto con un tradizionale impianto termoelettrico, e si evita l’emissione di circa 700 grammi di CO2, nonché di altri componenti inquinanti, con un sicuro vantaggio economico e soprattutto ambientale per la collettività. Un piccolo impianto domestico da 1,5 kWp, produrrà, nell’arco della sua vita efficace (valutata in trenta anni), quasi 60.000 kWh, con un risparmio di circa 14 tonnellate di combustibili fossili, evitando l’emissione in atmosfera di circa 40 tonnellate di CO2. Claudio Boccalatte NOTE (1) Si vedano i numeri di dicembre 2007, maggio 2009 e luglio 2010 di questa rubrica. Rivista Marittima-Giugno 2013 151 RUBRICHE Che cosa scrivono gli altri «L’Invincibile Armata» Nelle sue «svolte epocali» la Storia sembra concentrarsi in brevi e densi periodi, come tra la fine di luglio e gli inizi di agosto del 1588, STORICA NATIONAL quando la sconfitta di GEOGRAFHIC, N. 50, APRILE 2013 quella che gli Inglesi definirono «la più grande flotta apparsa nelle nostre acque», determinata da avverse e terribili condimeteo prima che dai cannoni delle navi inglesi, fece naufragare il «sogno spagnolo» di impadronirsi dell’Inghilterra protestante, in quella che pur è stata definita l’ultima crociata, avversata fin dall’inizio da disastri e contrarietà. Ce ne parla sulle pagine del mensile in parola Juan Carlos Rosada in un ampio articolo di dodici pagine, riccamente illustrato e con numerose «finestre» esplicative a scopo didascalico, che ne pongono in risalto il contesto storico e, soprattutto, le caratteristiche delle navi spagnole e inglesi impegnate nella vicenda. La mission della flotta spagnola, forte di 130 navi e più di trentamila uomini tra equipaggi e fanterie imbarcate, era quella di arrivare a Dunkerque, nelle Fiandre spagnole, imbarcare il corpo di spedizione al comando di Alessandro Farnese, il glorioso combattente di Lepanto e, quindi, dare il via allo sbarco sulle coste inglesi. Ma non sarebbe mai arrivata né sulle coste delle Fiandre né tantomeno su quelle inglesi a causa sia dei brulotti (natanti incendiari) che dei pesanti cannoneggiamenti inglesi, a cui gli Spagnoli non riuscirono 152 a reagire validamente per le manovre troppo lente di navi troppo grandi, pesanti e sovraccariche, mentre venti e correnti sembravano congiurare contro di loro. Sebbene nella Manica non ci fosse stata nessuna battaglia, ma solo colpi di cannone e colpi di vento, fa rilevare il Nostro, gli spagnoli, pur con sette navi perse e 1.500 caduti, non si potevano ritenere battuti. Nel consiglio di guerra convocato dal comandante in capo, il duca di Medina Sidonia, tra manifestazioni di coraggio (combattere fino all’estremo) e di prematura rassegnazione (consegnarsi agli Inglesi!), si decise alla fine di affidarsi a quello che potremmo chiamare una sorta di «giudizio di Dio»: se il vento avesse continuato a soffiare contro, la flotta avrebbe iniziato il suo rientro in Spagna. E così avvenne seguendo la rotta del Nord, cioè costeggiando la Scozia e l’Irlanda e scendendo poi sino a La Coruña, una drammatica e sanguinosa odissea senza gloria … mentre gli inglesi si erano ben guardati dall’inseguirli. Fatti noti affidati, anche di recente, alle penne di Antonio Martelli e dell’americano Garret Martingly nelle loro interessanti monografie, a cui rinviamo per gli approfondimenti relativi mentre, nel contempo, per riattizzare l’attenzione sarebbe magari interessante aggiungere un pizzico di storia alternativa, della cosiddetta «ucronia», che peraltro sembra impazzare sul web. Così Alessandro Farnese con i suoi 27.000 uomini dei tercios, finalmente imbarcati, riesce a sbarcare in Inghilterra e a sbaragliare la disperata resistenza di Drake, si accattiva con astuta diplomazia il favore di duchi e notabili locali cripto-cattolici e, alla fine, riesce … a sposare (con rito cattolico) Elisabetta. In nome della Rivista Marittima-Giugno 2013 Che cosa scrivono gli altri realpolitik e con buona pace di Filippo II, si impadronisce così del Regno a titolo personale. È proprio destino che, sia nella storia reale che in quella immaginaria, re Filippo abbia alla fine sempre la peggio! «NATO vis-à-vis China» e «NATO and Japan» Non è un mistero che il centro di gravità economico-strategico globale si stia inesorabilmente spoNDC RESEARCH PAPER, stando dal sistema N. 87/12 e 91/13 euro-atlantico a quello indo-pacifico e, in tale assunto, James Boutilier, special advisor (policy) al Maritime Forces Pacific Headquarters a Esquimalt (Canada), nel research paper del Nato Defense College di Roma, si chiede se il futuro della NATO, nella sua aspirazione a essere, sempre più, un’Alleanza globally aware, globally connected and globally capable, non sia proprio in Asia! Di qui l’attenta e rapida disamina della crescita economico-militare della Cina, dell’indubbio mahanian outlook della sua marina (PLA’s Navy), dei suoi rapporti con gli Stati Uniti e i paesi ad essi più vicini (Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda sino all’asse in fieri Washington-Dheli), del contesto di sicurezza delle varie organizzazioni che agiscono nell’Asia orientale (tipo ASEAN, ARF, ADMM+) e centrale (SCO, Shanghai Cooperation Organization), per cercare quale spazio di cooperazione ci potrebbe essere per la Nato nell’area in considerazione. Spazio che, nella consapevolezza che the indo pacific region is quintessentially maritime, viene individuato proprio sul mare. Nell’immediato nel campo degli interventi HADR (Humanitarian AssistanRivista Marittima-Giugno 2013 ce and Disaster Relief ), nel contrasto alla pirateria al largo del Corno d’Africa e nell’Oceano Indiano (dove, oltre alla NATO, anche la Cina si è mostrata attiva nell’ultimo quinquennio) e, addirittura, in esercitazioni navali congiunte laddove, al momento, è previsto che PLA’s Navy sia invitata a partecipare al RIMPAC (Rim of the Pacific) Exercise 2014. Una prospettiva interessante dunque che, sia pur in tempi lunghi, potrebbe, ad avviso del nostro autore, esercitarsi sul mare più che in qualsiasi altro campo. Tanto più che lo scorso 7 aprile il neopresidente cinese Xi Jinping nel suo intervento al BFA (Boao Forum for Asia), alla sua quarta edizione nell’isola cinese di Hainan, alzando la voce contro le pericolose tensioni alimentate al momento dalla Corea del Nord, ha invitato la comunità internazionale a una visione comune per difendere la sicurezza globale (per il testo integrale del discorso, english.boaoforum.org e usa.chinadaily.com.cn/Full Text Xi’s Speech). Nel secondo articolo in esame Michito Tsuruoka, del National Institute for Defense Studies giapponese, analizza i rapporti NATO-Giappone che, sia pur in maniera non lineare, si sviluppano dalla fine della Guerra Fredda in poi, trovando un campo di pratica applicazione ancora una volta sul mare (con le operazioni di rifornimento della Maritime Self – Defense Force nipponica nell’Oceano indiano in supporto delle operazioni ISAF in Afghanistan), oltre all’assistenza civile nel settore umanitario e nei progetti di ricostruzione sul territorio. Si moltiplicano i contatti e un costante dialogo per far fronte alle sfide globali alla sicurezza (cyber security, international terrorism, energy security e lotta alla proliferazione delle armi di distruzione di massa) e si intensifica l’interesse di alcuni Paesi europei (Regno Unito, Francia e Italia) per una cooperazione industriale nel settore della dife153 Che cosa scrivono gli altri sa, all’insegna degli standard NATO di interoperabilità. Nel profluvio delle iniziative in corso, puntualmente elencate, si tratta adesso di approfondire, fa rilevare il Nostro, come NATO – Giappone possono procedere de facto a una partnership che sia effective and beneficial per entrambi. «Arms Trade Treaty (ATT)» L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso 1° aprile ha approvato, a grande maggioranza, dopo un lavorio di ben sette anni, il priTHE ECONOMIST, APRIL 6TH 2013 mo trattato internaAFFARINTERNAZIONALI, zionale sul commerN. 249, 17 APRILE 2013 cio delle armi convenzionali, al fine di disciplinare un mercato stimato 70 mld di dollari, tra l’entusiasmo della stampa internazionale («A Killer Deal» nell’Economist) e nazionale (in merito, oltre a Christian Ponti su AI, riportato in epigrafe, anche gli articoli di Alessandra Farksas e Massimo Vincenzi sulle colonne de Il Corriere della Sera e La Repubblica del 3 Aprile 2013), nonché dalle associazioni per i diritti umani. Il tutto nell’assunto che il trattato servirà a ridurre la violenza 154 nel mondo e quindi, come si è espresso lo stesso segretario di Stato americano John Kerry, rafforzare la sicurezza globale. 154 i voti favorevoli, tre contrari (Siria, Corea del Nord e Iran) e 23 astenuti, tra cui grandi esportatori (Cina e Russia) e importatori di armi (India, Arabia saudita, Egitto e Indonesia). Il trattato sui trasferimenti internazionali di armi (cioè le attività di esportazione, importazione, transito, trasbordo e intermediazione) riguarda ogni genere di armamenti convenzionali (carri armati, veicoli da combattimento corazzati, sistemi di artiglieria, aeromobili ed elicotteri da combattimento, navi da guerra e sottomarini, missili e lanciatori terrestri, oltre alle armi di piccolo calibro e leggere, secondo lo schema cosiddetto «7+1»), rendendo nel contempo più rigide le norme per l’esportazione verso Paesi sottoposti ad embargo. Un passo simbolico, ma storico — è stato definito — che entrerà in vigore 90 giorni dopo la 50a ratifica. Se l’ATT non è chiamato a «regolare l’utilizzo domestico delle armi nei singoli Paesi, chiederà loro però di stabilire norme nazionali per controllarne il trasferimento all’estero», rapportando in merito ogni anno sulle proprie esportazioni all’istituendaimplementation support unit delle Nazioni Unite. «Polar Shipping Routes» e «IMO Polar Code» PNAS, VOL 43, MARCH 4TH 2013, JOURNAL OF MARITIME LAW & COMMERCE, VOL 43 N. 1/12 Nei Proceedings of National Academy of Science of the United States, i due ricercatori Laurence C. Smith e Scott R. Stephenson, nell’articolo «New Trans-Arctic ShipRivista Marittima-Giugno 2013 Che cosa scrivono gli altri ping Routes navigable by Midcentury», espongono la ricerca condotta nel contesto del dipartimento di Geografia dell’Università della California – Los Angeles. Il progressivo scioglimento dei ghiacci sta aprendo nuove rotte commerciali nell’Artico ed entro la metà del secolo si allargherà più decisamente non solo ai leggendari passaggi a nord-est e nord-ovest, ma finirà anche per interessare sempre più la parte mediana dell’Artide, in aree considerate sinora inaccessibili a causa dei ghiacci perenni. Il tutto almeno in quella che viene definita peak season del mese di settembre e per navi classificate come moderately ice-strengthened (ie Polar Class 6). Ipotesi formulate grazie alla simulazione di sette differenti modelli climatici riferiti alle presumibili variazioni del ghiaccio marino per gli anni che, dal 2040, arrivano al 2059, in funzione di una temperatura globale ritenuta in costante aumento. «Stiamo parlando di un futuro in cui le navi in mare aperto, almeno per alcuni anni, saranno in grado di navigare senza scorta di navi-rompighiaccio attraverso l’Artide, un evento che, al momento, sarebbe inconcepibile». All’articolo in parola fa idealmente da pendant l’ampio saggio «Polar Shipping. The Forthcoming Polar Code and Implications for the Polar Enviroments» di H. Edwin Anderson III apparso sulla seconda rivista in esame (pp. 59121). Nelle acque artiche e antartiche (cioè nelle aree marine, rispettivamente, al di sopra del 66° 33 N e al di sotto del 60° S), nelle estati boreali e australi, circolano all’attualità, esordisce il Nostro, ben seimila navi di cui 3.600 mercantili (break bulk, container e general cargo), oltre a navi passeggeri, da pesca, supply-vessel e re- Rivista Marittima-Giugno 2013 search-vessel, che tenderanno ad aumentare esponenzialmente nei prossimi decenni laddove, specialmente nell’Artico, si ritiene che il riscaldamento globale porterà la stagione navigabile, dagli attuali 30 giorni circa, a 120 o, secondo alcune valutazioni, addirittura a 170. Di qui l’importanza e l’urgenza di disporre di uno strumento normativo unitario, in nome del doppio paradigma della safety/enviromental protection, inteso a evitare quei disgraziati accidenti, che pur si sono drammaticamente verificati e di cui si propone, a titolo apotropaico, un lugubre catalogo. Tipo m/v Exxon Valdez del 1989, m/v Selendang 2004, m/v Explorer 2007 e m/v Ushuaia Adventure 2008. Uno strumento unitario quindi che, partendo dalla fitta trama ordinatoria delle grandi convenzioni internazionali tematiche (tipo Solas 1974 – e succesive modifiche, Marpol 73/78 e Torremolinos Protocol 1993, per intenderci) e dalle specifiche IMO Guidelines (for Ships Operating in Polar Ice- Covered Waters) 2002-2009, ci possa offrire un approccio «olistico» (ergo design, construction, equipment, operational, training, search and rescue and environmental protection) in un IMO Polar Code ormai in dirittura d’arrivo. L’entrata in vigore è prevista infatti per il 2014/15 e, nell’articolo in parola, se ne ripercorre la genesi, gli sviluppi in corso d’opera e si illustrano i contenuti, con le specificità, rispettivamente, per le aree artiche e antartiche (per il testo del Codice e lo stato attuale dei relativi lavori, cfr nsid.org/noaa/iicwg/IICWG_ 2012/Stemre_IMO_Polar_Code_pdf e imo.org/Update on Work to Develop the Polar Code. pdf). Ezio Ferrante 155 RUBRICHE Recensioni e segnalazioni Paolo Montina LA TRAGEDIA DEL GALILEA 28-29 MARZO 1942 Aviani & Aviani Udine, 2013 Pagg. 412 Euro 30,00 Nella buia e tempestosa notte sul 29 marzo 1942 affondò nelle acque delle Isole Ioniche, silurato dal sommergibile britannico Proteus, il piroscafo Galilea, portando con sé 1.050 dei 1.330 uomini che aveva a bordo, in maggioranza alpini della «Divisione Julia», rientranti in Patria dalla Grecia. Per l’entità e percentuale (oltre l’80%) delle perdite fu uno degli eventi più tragici della guerra al traffico in Mediterraneo fra il 10 giugno 1940 e l’8 settembre 1943, nonostante il piroscafo abbia impiegato ben cinque ore prima di affondare dopo il siluramento. Fu superato nei valori assoluti solo dal naufragio del piroscafo Conte Rosso, avvenuto sempre in ore notturne il 24 maggio 1941 sulle ben più tormentate rotte libiche. Qui, però, la nave affondò in venti minuti e, comunque, si riuscì a trarre in salvo la metà degli uomini presenti a bordo. Anche per il paradosso della morte per acqua di tantissimi alpini, preparati e adu156 si a combattere in opposto ambiente (paradosso, invero, apparente, appena si consideri il carattere marittimo assunto dalla guerra nel teatro mediterraneo con tutti i principali fronti oltremare), il fatto da subito suscitò un’emozione profonda in Friuli, terra di reclutamento di molti dei caduti. Con il trascorrere degli anni, il sentimento si radicò e si diffuse, tramutandosi in un commosso ricordo collettivo, secondo solo a quello della tragedia di poco successiva del Corpo d’armata alpino in Russia nell’inverno 1942/1943. Ricordo appunto; che non abbisogna della ricerca storica per formarsi e tramandarsi. Si dovettero, infatti, attendere 50 anni, perché si avesse una specifica indagine storica del naufragio, che apparve sul «Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare» del marzo 1993. Sino ad allora il dramma si era trasmesso attraverso memorie scritte e testimonianze orali e soprattutto era tenuto vivo dalle associazioni d’arma e dalle stesse comunità locali, le quali, inevitabilmente, poco potevano spiegare dello svolgersi degli avvenimenti e delle sue cause. A sua volta, quel saggio si occupava dell’affondamento del Galilea da una esclusiva prospettiva navale, senza troppo soffermarsi sugli aspetti riguardanti il personale imbarcato, la sua composizione, i drammi personali e collettivi e la sorte dei sopravissuti. Il fatto, poi, di essere apparso su una rivista specialistica non facilitò la sua conoscenza nella vasta platea dei potenziali interessati. Si deve al lavoro di Paolo Montina, referente del Centro studi della sezione Rivista Marittima-Giugno 2013 Recensioni e segnalazioni ANA di Udine, se ora si può disporre di una ricostruzione completa della vicenda. L’Autore riprende sì tutti gli aspetti navali — non ultimi quelli riferibili alle cause delle elevate perdite, in primis da ascriversi a un incredibile succedersi di disfunzioni e malintesi nelle comunicazioni fra le navi di scorta al convoglio e fra comandi in mare e a terra nonché a un certo vuoto di comando a bordo del piroscafo —, ma da conto della parte avuta dei reparti alpini e di quanti altri si trovarono a bordo del Galilea, dall’imbarco in vari porti della Grecia all’affondamento del piroscafo, dal dramma dei naufraghi fino al rientro dei superstiti in Patria e, nel dopoguerra, di diverse salme esumate da cimiteri nei Balcani. È meno noto, infatti, che a vario titolo si trovarono a bordo del piroscafo, oltre naturalmente all’equipaggio composto da marittimi militarizzati, personale dei bersaglieri, dei carabinieri e di altri corpi, della stessa Regia Marina, fino a detenuti militari italiani e civili greci. Praticamente di tutti l’Autore ha accuratamente ricostruito l’appartenenza ai reparti con tanto di elenchi nominativi, giungendo, infine, a stabilire esattamente tutti i numeri del naufragio, che, peraltro, sono superiori a quelli sino a oggi approssimativamente noti. Uno specifico capitolo è dedicato, infine, al formarsi del ricordo nei decenni a seguire, scandito dalla cronaca delle tante cerimonie e celebrazioni rievocative sempre segnate da intensa e commossa partecipazione di popolo, dato questo che può sorprendere solo chi non conosce il legame fra gli alpini e il Friuli. Nel lavoro di ricostruzione l’Autore è ripartito dalle fonti primarie, senza accontentarsi di riesaminare e riproporre in nuova veste quanto già scritto o tramandato sull’argomento. Ha così esplorato gli Rivista Marittima-Giugno 2013 archivi degli uffici storici della Marina, dell’Esercito e dei Carabinieri oltre che della brigata alpina «Julia» e non ha trascurato gli archivi, le carte e i cimeli privati appartenenti alle famiglie dei caduti e dei superstiti e ogni altra possibile fonte, sino a quelle fornite dei luoghi di sepoltura, sempre soppesando e incrociando le fonti con misura e spirito critico. Una equilibrata selezione è presente in appendice al libro. Ne esce un affresco completo, distaccato nell’esposizione e spiegazione degli accadimenti, nonostante un indubbio coinvolgimento dell’Autore per la sua trascorsa appartenenza al Corpo degli alpini. Solo pochi punti, peraltro attinenti alla sfera navale, restano ancora oscuri: nonostante ripetuti sondaggi al National Archive del Regno Unito non è stato, infatti, possibile ottenere nuova documentazione o chiarimenti circa l’agguato e la manovra d’attacco condotta dal Proteus; così non è ancora chiaro quale sia stata esattamente l’origine della sua missione, se l’attacco sia stato eseguito dal lato sinistro o dritto del convoglio, di cui il Galilea faceva parte e se, effettivamente, fosse quest’ultimo il bersaglio prescelto. Ma si tratta di dettagli. Ragguardevole è anche l’apparato iconografico. Sono state inserite tutte le foto rintracciate, per lo più coeve, degli uomini presenti a bordo del Galilea. Anche la parte navale non è trascurata; di tutte le navi partecipi della vicenda è pubblicata almeno una fotografia, quasi sempre del tempo e diverse di queste foto sono rare o inedite. Ricca e poco conosciuta è anche la documentazione fotografica attinente al rimpatrio dei superstiti, al rientro delle salme nel dopoguerra nonché agli eventi commemorativi susseguitisi per decenni sino a oggi. Lo spazio dedicato agli elenchi di no157 Recensioni e segnalazioni minativi, alle vicende personali e alla rimembranza postbellica può fare apparire il lavoro un po’ sbilanciato. Ma questo taglio è anche un omaggio che Paolo Montina ha inteso offrire al Corpo degli alpini. Ed è anche il risultato dell’intento di dare forma, contenuto e spiegazione a un così vivo, ma per troppo tempo poco documentato, ricordo e di tradurlo in più compiuta memoria collettiva. Aviani Fulvio Rose Mary Sheldon GUERRA SEGRETA NELL’ANTICA ROMA Libreria Editrice Goriziana Gorizia, 2010 Pagg. 478 Euro 26,00 «Spiare è un’attività che accompagna l’uomo fin dall’inizio della storia, e che ha sempre avuto un’importanza cruciale per chi si trovava a comandare un esercito o un’organizzazione politica». Consapevole di questo, l’autrice, colonnello e docente di storia presso il Virginia Military Insitute, ci porta nell’antica Roma, sviluppando la storia dei servizi segreti dalla nascita della repubblica al 284 d.C., «anno in cui l’imperatore Diocleziano trasformò l’impero romano in una monarchia d’impronta orientale», coprendo quindi quasi un millennio di storia romana. Roma, rispetto ad altre società antiche, non diede molta importanza allo spionaggio, in quanto la sua strategia si fondava non tanto sulla sorpresa o sulla velocità, 158 quanto piuttosto sulla forza e sulla coerenza pertanto non esisteva un’organizzazione di spionaggio istituzionalizzata centralizzata, anche se, comunque, non poteva fare a meno delle informazioni segrete e di un apparato idoneo per procurarsele. La rivelazione religiosa è la forma più antica di informazione segreta. «La convinzione che dei fenomeni naturali rivelassero la volontà divina o predicessero il futuro fa sì che spionaggio e religione nelle culture primitive siano le due facce della stessa medaglia». E a Roma, la lettura degli auspici, cioè l’osservazione del volo degli uccelli da parte di magistrati, era fondamentale per le scelte sia militari che politiche. Nelle campagne militari, in mancanza di uccelli selvatici, si faceva ricorso ai polli sacri, consultati dai pullarii, allevatori di polli dotati di speciali capacità. Se i polli si precipitavano su una pagnotta di grano messa nella gabbia e se il grano sfuggiva dal loro becco ( cioè, come dicevano i Romani, se il grano danzava) l’impresa aveva l’approvazione celeste. Ma ogni comandante, una volta sul campo, qualunque fosse stata la divinazione, faceva ricorso alle operazioni di ricognizione ed esplorazione, per procurarsi le informazioni necessarie al successo della battaglia e alla sopravvivenza delle truppe. Ecco quindi comparire le figure degli exploratores e speculatores (quest’ultimo temine indicherà successivamente i corrieri e gli agenti clandestini, mentre il primo indicherà i ricognitori a cavallo). I Cartaginesi, invece, erano esperti nelle comunicazioni e nella raccolta di informazioni e, soprattutto, fin dall’inizio si resero conto dell’importanza della sicurezza del controspionaggio, proteggendo gelosamente i loro segreti commerciali fino al punto che, come ci racconta Strabone, «un capitano cambiò percorso e portò la sua nave Rivista Marittima-Giugno 2013 Recensioni e segnalazioni in secca pur di non rivelare la sua vera rotta, e lo stato lo premiò con una ricompensa di valore pari al carico perduto». E cartaginese era Annibale, le cui innegabili capacità come generale furono dovute principalmente all’impiego efficace delle fonti di informazione di cui disponeva. L’effetto sorpresa fu l’elemento che lo contraddistinse e «le vittorie che egli riportò e che condussero Roma sull’orlo del collasso furono il prodotto di una tempestiva raccolta di informazioni sul nemico, sulla sua posizione, sulle sue intenzioni e possibilità». Per sconfiggerlo fu necessario l’avvento di Scipione, che copiò l’esempio di Annibale e lo mise in pratica al servizio di Roma. Successivamente però, il sistema di raccolta delle informazioni non cambiò. «L’intelligence militare dei Romani consisteva in missioni di ricognizione in campo, in una certa attività di raccolta clandestina, e nei collegamenti degli eserciti alleati. Tutto ciò veniva integrato da quattro categorie di fonti civili d’informazione: i diplomatici, commercianti, i messaggeri e le spie: gli occhi e le orecchie dei romani all’estero». Le informazioni, come sostiene l’autrice, si raccolgono per consentire ai comandanti di prendere decisioni sagge e quindi vincere le battaglie e le guerre. Se i comandanti non si procurano dati completi e precisi, e non agiscono di conseguenza, si espongono spontaneamente alla propria rovina. Come accadde a Crasso che, come tanti altri generali del suo stampo, credeva che portando l’esercito sul campo di battaglia, l’esercito avrebbe fatto il resto e che il risultato sarebbe stato la vittoria per Roma, sottovalutando il nemico e non preoccupandosi di procurarsi quei dati e quelle informazioni che gli avrebbero permesso di misurare meglio le forze e le intenzioni dell’avversario. Nel 53 a.C Crasso fu Rivista Marittima-Giugno 2013 sconfitto e ucciso, assieme a 24.000 uomini del suo esercito, nella battaglia di Carra contro i Parti che, pur non essendo superiori né per numero né per virtù militari, sapevano però «cosa aspettarsi e astutamente attirarono i Romani in posizioni sfavorevoli. Informazioni affidabili, sorpresa e velocità diedero ai Parti vantaggio rispetto a un esercito enormemente più vasto». Lo stesso Giulio Cesare, che contava molto sulla sua proverbiale fortuna, nelle spedizioni in Britannia del 55 e 54 a.C. che, se la buona sorte avesse cambiato strada, si sarebbero tramutate in un vero disastro, commise errori dovuti probabilmente a un vuoto di informazioni. Eravamo ancora nel periodo della Repubblica. Fu, infatti, con Augusto, architetto dell’Impero romano, che si posero le fondamenta di una struttura informativa politica e militare, in quanto era necessario al nuovo governo centralizzato avere informazioni per proteggere i propri interessi, all’interno e all’esterno dei propri confini. «Il primo e più rilevante cambiamento fu l’istituzione di un servizio postale e di messaggeria di stato, il cursus publicus, che rimodernò l’inadeguato sistema di porta-lettere privati in uso durante la repubblica. Allestendo una vera e propria rete di trasporto e comunicazione, Augusto impostò lo scheletro del futuro servizio di sicurezza imperiale». In questo modo egli fu in grado di tenersi aggiornato su tutto ciò che avveniva nelle province, anche quelle più lontane. Per proteggersi da complotti contro la sua persona Augusto fece ricorso a informatori professionali, i delatores. «Fu cosi che si innescò il processo fatale per cui la burocrazia di Roma impiegava le sue nuove competenze di spionaggio per controllare quelli che percepiva come nemici, e, se da un lato rendeva l’impero molto più sicuro, dall’altro 159 Recensioni e segnalazioni ne limitava la libertà». Anche questo sistema però, se pur più evoluto di quello della Repubblica, non fu privo di pecche, come sta a dimostrare la disfatta di Publio Quintilio Varo, nel 9 d.C., presso la foresta di Teutoburgo, da parte di Arminio, un Germano che parlava latino e che si conquistò la fiducia dei Romani, per poi preparare un complotto e sconfiggerli. «Se i Romani avevano qualcosa di simile a un controspionaggio, sicuramente qui non entrò in azione». Fu con Domiziano che vediamo comparire, come addetti ufficiali alla raccolta di informazioni, i frumentarii, un’organizzazione militare composta da soldati la cui funzione originaria era stata quella di acquistare e distribuire il grano. Diocleziano li sostituì con gli agentes in rebus, aventi gli stessi compiti dei predecessori, ma appartenenti a un’organizzazione non militare. Se quindi l’attività di spionaggio nella Roma repubblicana fu svolta da dilettanti, fu solo nel tardo impero, con Diocleziano, che si arrivò a realizzare qualcosa di simile ai servizi informativi. Non sempre tutto funzionò alla perfezione: la massima preoccupazione di ciascun imperatore, a partire da Augusto, fu la propria sicurezza personale. Ma Augusto fu uno dei pochi imperatori romani a morire nel proprio letto. Una storia millenaria, quindi, quella della raccolta delle informazioni che porta l’autrice ad affermare che quello della spia è il secondo mestiere più antico del mondo. Gianlorenzo Capano 160 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di scienze politiche La guerra asimmetrica nel contesto dei nuovi conflitti. Caso studio:Le guerre in Cecenia Relatore: Chiar.mo Prof Alessandro Vitale Correlatore: Chiar.mo Prof Alessandro Colombo Tesi di Laurea di: Alfio Rapisarda Matr. N. 617429 Anno Accademico 2004-2005 Alfio Rapisarda LA GUERRA ASIMMETRICA NEL CONTESTO DEI NUOVI CONFLITTI CASO STUDIO:LE GUERRE IN CECENIA Università degli Studi di Milano Facoltà di Scienze Politiche AA 2004-2005 Si segnala questa interessante tesi discussa da Alfio Rapisarda, relatore il professor Alessandro Vitale, per il conseguimento della laurea in scienze politiche presso la Statale di Milano. Il testo è reperibile su internet: http:// www.caucaso.org/tesi/Guerra_Asimmetrica.doc. L’Autore coglie l’esempio del conflitto ceceno per effettuare un’ampia disamina della materia delle guerre asimmetriche, partendo dal lavoro fondamentale di Mary Kaldor, e rapportandola all’altro fenomeno attualissimo della globalizzazione. Non manca di rilevare i collegamenti tra nazionalismo ceceno e terrorismo islamico, ponendo però in rilievo come questi legami siano abilmente sfruttati dalla propaganda russa. Particolarmente degno di nota pare il ricordo della giornalista russa Anna Stepanovna Politkovskaja. Rivista Marittima-Giugno 2013 RIVISTA MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868 Italia ordinario Estero zona 1 Estero zona 2 € 25,00 € 76,70 € 109,70 Un fascicolo arretrato € 6,00 + spese postali (*) Annate arretrate (intere o incomplete fino a 6 numeri) € 38,00 + spese postali (*) SCONTO LIBRERIE (*) (*) Da concordare con l’Ufficio Abbonamenti. MODALITÀ DI PAGAMENTO Versamento su c.c.p. o bonifico Bancoposta n° 86820008 intestato a: Ministero Difesa - Direzione di Commissariato Marina Militare - Roma Causale: Abbonamento Rivista Marittima. è obbligatorio inserire anche il CODICE FISCALE IBAN = IT12N0760103200000086820008 Codice BIC = BPPIITRRXXX Codice CIN = N dall’Estero: Bonifico Bancoposta oppure: tramite libreria con sede in Italia. L’ABBONAMENTO DECORRE DALLA DATA DI SOTTOSCRIZIONE. 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