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QUALITA’ E SICUREZZA DEI PRODOTTI VEGETALI
MINIMAMENTE TRATTATI (IV GAMMA)
ATTRAVERSO IMBALLAGGI PLASTICI FUNZIONALI
VEGAPACK
Quaderni della Ricerca
n. 143 - febbraio 2012
LOMBARDIA. COSTRUIAMOLA INSIEME
Sperimentazione condotta nell’ambito del progetto di ricerca n. 1336
“Qualità e sicurezza dei prodotti vegetali minimamente trattati (IV gamma) attraverso imballaggi
plastici funzionali - VEGAPACK” (D.G.R. 30/3/2009, n. VIII/9182 - Piano per la ricerca e lo sviluppo 2009).
Testi a cura di:
Luciano Piergiovanni, Matilde Manzoni, Manuela Rollini, Laura Franzetti, Sara Limbo, Erika Mascheroni – DISTAM Milano
Paola Stagnaro, Luca Boragno, Lucia Conzatti CNR – Istituto per lo Studio delle Macromolecole UOS Genova
Maria Carmela Sacchi, Simona Losio, Fabrizio Forlini CNR – Istituto per lo Studio delle Macromolecole Sede Milano
Hanno realizzato le attività sperimentali:
Manuela Rollini - ricercatrice
Laura Franzetti - ricercatrice
Sara Limbo - ricercatrice
Erika Mascheroni - assegnista
Lucia Caldera - dottoranda
Carlo Cozzolino - dottorando
Francesca Lomastro - assegnista
Università degli Studi di Milano
Dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari e microbiologiche
via Celoria, 2 - 20133 Milano
Referente: prof. Luciano Piergiovanni
Paola Stagnaro - ricercatrice
Lucia Conzatti - ricercatrice
Simona Losio - ricercatrice
Fabrizio Forlini - ricercatore
Fabio Bertini - ricercatore
Santolo Taglialatela Scafati - assegnista
Luca Boragno - assegnista
Giulio Zannoni - tecnico
Daniele Piovani - tecnico
CNR - Istituto per lo Studio delle Macromolecole
via E. Bassini, 15 - 20133 Milano
Referente: dott. Maria Carmela Sacchi
Paola D’Ilario
AOP UNOLOMBARDIA sacpa
Via Cechov, 1 - 20098 S. Giuliano Milanese MI
Alessandra Biava
Silvia Proscia
Piergiorgio Galbiati
OP OASI
Via Trieste, 8 - 24060 San Paolo d’Argon - BG
Per Informazioni:
Regione Lombardia - Direzione Generale Agricoltura
U.O. Innovazione, cooperazione e valorizzazione delle produzioni
Struttura Ricerca, innovazione tecnologica e servizi alle imprese
piazza Città di Lombardia, 1 - 20124 Milano
Tel: +39.02.6765.3790
e-mail: [email protected]
Referente: Rossana Tonesi - tel. +39.02.6765.3737
e-mail: [email protected]
© Copyright Regione Lombardia
QUALITA’ E SICUREZZA DEI PRODOTTI VEGETALI
MINIMAMENTE TRATTATI (IV GAMMA)
ATTRAVERSO IMBALLAGGI PLASTICI FUNZIONALI
VEGAPACK
Quaderni della Ricerca
n. 143 - febbraio 2012
INDICE
INTRODUZIONE .................................................................................................................................................................................. pag. 1
FASE 1.
STUDIO DELLA QUALITA’ DI VEGETALI MINIMAMENTE TRATTATI DURANTE LA CONSERVAZIONE
A) Evoluzione della qualità fisiologica ................................................................................................................................... pag. 3
Respiration rate
Evoluzione di atmosfera
Implementazione dei dati sperimentali in modelli predittivi
B) Evoluzione della qualità microbiologica ........................................................................................................................... pag. 10
Evoluzione microbica in prodotti confezionati in aria
Evoluzione microbica in prodotti confezionati in atmosfera protettiva
Identificazione e distribuzione microbica per tipologia di prodotto
FASE 2.
CONTROLLO DELLA PROLIFERAZIONE MICROBICA MEDIANTE L’IMPIEGO DI SOSTANZE ANTIMICROBICHE DI
ORIGINE NATURALE
A) Selezione di sostanze naturali con caratteristiche antimicrobiche efficaci .................................................................. pag. 15
contro i microrganismi contaminanti i vegetali di IV gamma
B) Determinazione della MIC in microrganismi di collezione ufficiale ........................................................................... pag. 16
C) Determinazione della MIC in microrganismi isolati dalle matrici vegetali ................................................................. pag. 18
Sinergia carvacrolo - LAE
D) Attivita’ antimicrobica di film attivi nei confronti di microrganismi test ................................................................... pag. 23
Produzione dell’imballaggio attivo contenente LAE
Rilascio dell’antimicrobico LAE
Attività antimicrobica di biocoating contenenti l’antimicrobico LAE
Produzione dell’imballaggio attivo contenente carvacrolo
Confezionamento dei vegetali di IV gamma
FASE 3.
MODULAZIONE DELLO SCAMBIO DI GAS E VAPORI ATTRAVERSO LA CONFEZIONE
A) Sintesi di nuovi copolimeri vinilici a struttura controllata ............................................................................................. pag. 31
Sintesi dei copolimeri C3/4M1P.
Caratterizzazione dei copolimeri C3/4M1P.
Scale-up e misure di permeabilità
B) Nuove formulazioni polimeriche ottenute per miscelazione di due o più polimeri con o senza additivi 66 ........ pag. 37
Aggiunta di additivi di processo e confronto con film commerciali
Modifica delle condizioni di estrusione e utilizzo di un’altra matrice PP
BIBLIOGRAFIA ...................................................................................................................................................................................... pag. 43
PRODOTTI DELLA RICERCA .......................................................................................................................................................... pag. 47
PRESENTAZIONE
I prodotti di IV gamma, oggetto della ricerca VEGAPACK presentata in questo Quaderno, costituiscono una categoria alquanto singolare. La denominazione, mutuata dalla
terminologia in uso presso le grandi catene distributive, si attribuisce a prodotti molto
diversi per assortimento e variabilità di specie e di origine; tutti però vegetali freschi lavati, tagliati, assortiti e confezionati. I prodotti vegetali minimamente trattati, come vengono anche chiamati traducendo la definizione inglese Minimally Processed Vegetables,
hanno riscosso, sin dal momento della loro prima comparsa, un notevole gradimento sia
presso i consumatori che nella ristorazione collettiva. Lo testimoniano i dati di mercato
nazionale ed internazionale che ne mostrano trend di crescita sempre positivi rispetto
agli altri prodotti ortofrutticoli ma anche l’interesse imprenditoriale che, specie nella nostra Regione, è davvero molto elevato. La produzione lombarda rappresenta l’85% del
totale italiano e il 60% degli operatori è localizzato in Lombardia, principalmente nelle
province di Bergamo, Brescia, Mantova, Milano e Lodi.
A fronte della semplicità d’utilizzo, i vegetali di IV gamma presentano una filiera produttiva abbastanza complessa e, soprattutto, problematiche di conservazione di non facile
comprensione e controllo. Una possibile risposta alle esigenze di tempi di commercializzazione più lunghi e alla richiesta di una migliore qualità sensoriale può sicuramente
venire da una ottimizzazione del materiale e della tecnica di confezionamento. In questa
direzione il progetto VEGAPACK ha studiato il fenomeno della proliferazione microbica dei vegetali minimamente trattati nel corso della loro conservazione e il controllo
dell’attività respiratoria attraverso soluzioni ottimali di packaging. L’approccio è stato
multidisciplinare e ha visto collaborare da un lato il mondo accademico, con i ricercatori
del Dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari e microbiologiche dell’Università
degli Studi di Milano (esperti di microbiologia e di tecnologie di packaging) e dell’Istituto per lo studio delle macromolecole del CNR (esperti di polimeri), e dall’altro le realtà
produttive della filiera lombarda della IV gamma con l’Associazione Organizzazioni
Produttori Ortofrutticoli Lombardia (AOP UNOLOMBARDIA) e la società agricola
consortile OP OASI.
I risultati sperimentali non mostrano una soluzione esclusiva e universale per i problemi
di questi prodotti, ma chiariscono molto bene la direzione da seguire e l’importanza
dell’approccio di filiera. La rete di competenze che si è costituita può davvero diventare il punto di riferimento per il mondo delle aziende lombarde produttrici di vegetali
minimamente trattati e contribuire alla migliore gestione delle fasi di conservazione e
distribuzione, che sono certamente le più critiche e le meno indagate.
Giulio De Capitani
Assessore all’Agricoltura
Regione Lombardia
INTRODUZIONE
I cosiddetti prodotti destinati alla IV gamma (prodotti
ortofrutticoli freschi lavati, tagliati, assortiti e confezionati, pronti per il consumo) sono tra i vegetali quelli che dimostrano il trend di crescita più positivo nei
mercati internazionali e nazionali.
Dal 2001 il mercato di IV gamma ha registrato in Italia
un trend in costante crescita sia a valore che a volume, raggiungendo nel 2011 687 milioni di € e più di
85.000 tonnellate di prodotto finito. (Fonte: Nielsen
AT 09/10/11)
Negli ultimi anni infatti, nonostante la crisi che ha interessato e continua ad interessare il comparto food,
il mercato di IV gamma ha continuato a crescere: le
vendite valore sono aumentate del 6% nel 2010 e del
4% nel 2011. (Fonte: Nielsen AT 09/10/11)
Anche i consumatori sono in costante aumento: 16
milioni di famiglie consumatrici in crescita del 4% rispetto al 2010 con una penetrazione che supera il 67%
(Fonte: Nielsen Panel Famiglie AT 11/09/11).
Ad oggi il settore della IV gamma occupa quasi il 2%
del comparto food in termini di valore, contro lo 0,7%
di soli 10 anni fa, mentre raggiunge circa il 18% sul totale del settore ortofrutta, con un aumento di 10 punti
percentuali rispetto al 2005 ad attestare la crescente
importanza di questo comparto anche sul totale. (Fonte: Nielsen)
La produzione lombarda rappresenta l’85% del totale italiano e il 60% degli operatori è localizzato in
Lombardia principalmente nelle province di Bergamo
e Brescia, ma non mancano ottime realtà anche in provincia di Mantova, Milano e Lodi. Ad oggi, esistono
interessanti realtà in Romagna e si stanno rapidamente sviluppando impianti nella piana del Sele (Salerno):
molti di questi ultimi sono legati alle aziende lombarde
che stipulano contratti al fine di garantire una fornitura costante alla GDO di prodotto per tutto l’anno.
La produzione agricola avviene quasi esclusivamente
in tunnel in quanto si tratta di piantine piccole e tenere
(sfalciati o baby leaf) che, se si esclude la coltivazione
delle insalate a cespo, avrebbero difficoltà a crescere in
pieno campo. In Lombardia, le superfici orticole investite in queste lavorazioni corrispondevano, nel 2004,
a 18.650 ettari, di cui 2.000 dedicati ad orticole coltivate in piena aria quali insalate (73%), cavoli, cavolfiori,
spinaci e finocchi. Tra le insalate detengono il primo
posto le lattughe (530 ettari nel 2004), seguono a decrescere radicchi, cicorie ed indivie.
Il prodotto è destinato a due specifici segmenti di mercato: il consumo famigliare attraverso la grande distri-
buzione organizzata (85%) e la ristorazione collettiva.
Oltre 2 famiglie italiane su tre (67%) hanno acquistato vegetali confezionati pronti all’uso: il consumatore
mostra di apprezzare molto il contenuto di servizi e la
praticità d’uso di questi prodotti, che assecondano il
desiderio di una dieta più ricca di prodotti vegetali freschi, secondo le istanze salutistiche, proprie del consumo alimentare più moderno e consapevole. (Fonte:
Nielsen Panel Famiglie AT 11/09/11).
I prodotti di IV gamma raggiungono il consumatore
finale prevalentemente attraverso la grande distribuzione organizzata (GDO). Le grandi aziende consegnano il prodotto direttamente alla GDO garantendo, al contempo, sia il mantenimento della catena del
freddo che la rapidità di rifornimento. La consegna del
prodotto ai singoli punti vendita avviene entro 24 ore
dalla raccolta, in pratica il giorno successivo a quello
dell’ordine. E’ attraverso la GDO che la IV gamma sta
espandendo i propri volumi di vendita, conquistando
maggiori spazi espositivi al punto che, ormai, la quasi
totalità degli operatori della GDO ha cominciato a fornire ai propri clienti prodotti a marchio (private label).
L’elevato numero di servizi incorporati nella filiera,
imprenditorialità e competenza professionale, l’elevata
concentrazione di trasformazione, la possibilità di programmazione della coltivazione, sono alcuni tra i punti
di forza della realtà produttiva descritta.
Un punto critico della filiera è però rappresentato dalla ridotta conservabilità, resa ancora più critica dalle
operazioni di lavaggio ed asciugatura che selezionano
la microflora naturale e da quelle di taglio che rendono
i tessuti vegetali più sensibili e più velocemente alterabili. Una possibile risposta alle esigenze di tempi di
commercializzazione più lunghi ed alla richiesta di una
migliore qualità sensoriale, può sicuramente venire da
una ottimizzazione del materiale e della tecnica di confezionamento. La tendenza sempre maggiore all’utilizzo di materiali plastici nell’imballaggio alimentare
porta con sé l’esigenza di un ulteriore miglioramento
delle materie prime impiegate. Emergono bisogni di
materiali caratterizzati da prestazioni meccaniche, ottiche e diffusionali modulate e calibrate sulle esigenze
specifiche delle diverse categoria di alimenti. In particolare, i materiali per il confezionamento degli alimenti freschi rappresentano il più problematico settore di
applicazione. E’ in questo ambito che un’innovazione può comportare una significativa differenziazione,
generando un’importante leva competitiva. I materiali
attualmente disponibili appartengono alla categoria
1
delle poliolefine e, seppure presentino buone prestazioni, non rispondono in modo adeguato alle esigenze
specifiche di protezione di questi prodotti. Infatti, la
regolazione degli scambi di aeriformi (O2, CO2 e vapor
d’acqua) tra il prodotto e l’ambiente per regolare la respirazione del vegetale, il controllo della proliferazione
microbica, la protezione alle radiazioni luminose e il
controllo della condensa all’interno della confezione,
sono obiettivi che i materiali attualmente disponibili
non sono in grado di soddisfare, ma solo nuove soluzioni di packaging possono raggiungere.
La realizzazione dei suddetti obiettivi potrebbe aprire
nuove opportunità di mercato, soprattutto se, grazie a
soluzioni di packaging mirate, viene allargata la gamma
delle specie disponibili; si pensi alle occasioni di consumo offerte dalla ristorazione non tradizionale (linee
aeree, treni, bar) oppure all’attrazione di nuove fasce
di consumatori come la ristorazione scolastica o i pasti
per gli anziani, che potrebbero essere gli sbocchi naturali non solo della verdura ma anche della frutta di IV
gamma.
Pertanto, la collaborazione tra soggetti specializzati
nel campo della ricerca e dell’innovazione, specie nel
settore del food packaging e dei polimeri plastici e di
imprese produttrici di prodotti vegetali di IV gamma
operanti sul territorio consentirà di muoversi oltre lo
stadio di idealizzazione intellettuale, concentrandosi
su quelle soluzioni che, superato il vaglio dell’interesse
industriale, potranno consentire da un lato la messa a
punto di nuovi materiali e, dall’altro, un notevole miglioramento della qualità igienica e nutrizionale di tali
prodotti. Gli aspetti innovativi del progetto possono
riassumersi nell’approccio multidisciplinare e complementare di filiera che mira a rispondere ai seguenti
obiettivi: 1. controllo della proliferazione microbica
dei vegetali minimamente trattati nel corso della loro
conservazione con particolare interesse verso la componente alterante e patogena; 2. controllo dell’attività
respiratoria dei vegetali minimamente trattati attraverso soluzioni ottimali di packaging. La costituzione di
una rete di competenze proprie della ricerca di base,
applicata e della cultura di impresa e di una filiera di
strutture che accompagnino tutto il percorso di un
prodotto dalla sua coltivazione, raccolta preparazione, alla sintesi e produzione del miglior materiale di
confezionamento fino alla valutazione della qualità nel
corso della conservazione, è certamente un passo fondamentale per la produzione di prodotti vegetali pronti
all’uso di elevata qualità igienica e nutrizionale.Tale rete
di competenze potrà diventare il punto di riferimento
per il mondo delle aziende lombarde produttrici di vegetali minimamente trattati, migliorandone la capacità
innovativa attraverso l’ottimizzazione di quello che, ad
oggi, è l’anello debole della catena (ossia la fase di conservazione e distribuzione).
2
FASE 1. Studio della qualità di vegetali minimamente trattati durante la conservazione
A) Evoluzione della qualità fisiologica
La prima fase del progetto ha previsto lo studio dei
cambiamenti che si verificano nei vegetali di IV gamma durante la conservazione. Questa parte dello studio è stata condotta dall’Unità Operativa DISTAM in
collaborazione con AOP UNOLOMBARDIA e OP
OASI. In Tabella 1.1 sono riportate le tipologie di vegetali che sono state oggetto dello studio, insieme ad
alcune caratteristiche del sistema di confezionamento
utilizzato.
Scopo di questa fase preliminare è stato quello di individuare, per ciascun prodotto analizzato, le criticità
che potrebbero essere superate attraverso la sintesi e la
formulazione di nuovi materiali di confezionamento.
I prodotti elencati sono stati studiati ogni settimana,
nel periodo di tempo compreso tra ottobre 2009 e
febbraio 2010, a due differenti temperature, 5 e 10°C,
al fine di confrontare la temperatura consigliata per
la conservazione e la temperatura cui, più frequentemente, si ritrovano le insalate durante la loro vita di
scaffale (si pensi alle fasi di carico e scarico dei prodotti, o alle fasi di trasporto dal supermercato a casa).
Durante la conservazione delle insalate, sono state
monitorate l’evoluzione della composizione gassosa
e l’attività microbica dei diversi vegetali confezionati
con i materiali riportati in Tabella 1.1. Alle stesse temperature si è inoltre misurata la Respiration Rate (RR).
3
4
dove M è la concentrazione di gas [kg mol-1], P la pressione [Pa], V il volume libero del barattolo [ml], W il
peso del prodotto all’interno [kg], R la costante dei gas
[J kg-1 K-1].
A 5°C il prodotto che risulta avere un più elevato valore di RR è la Carota tagliata alla julienne.
I valori stimati sono, sia in termini di consumo di ossigeno che di produzione di anidride carbonica, di molto superiori a quelli relativi agli altri prodotti. In effetti
si tratta di un prodotto molto “stressato” per via delle
drastiche operazioni di taglio e dell’aumentata superficie di scambio che facilita anche una maggiore traspirazione e disidratazione dei tessuti.
Dalla Tabella 1.2 emerge come, passando da una temperatura di 5°C a 10°C si abbia un incremento della
RR; in particolare, i prodotti che risultano maggiormente sensibili all’aumento di temperatura sono il
Songino e le Carote julienne per le quali si ha un aumento di oltre il 50% della velocità di respirazione.
Un indice in grado di fornire indicazioni sullo stato
qualitativo del prodotto è, inoltre, il Quoziente Respiratorio (QR), dato dal rapporto tra la velocità di produzione di CO2 e la velocità di consumo di O2. Per i
prodotti di IV gamma tale rapporto normalmente si
trova tra 1.3 e 0.7. Sempre dalla Tabella 1.2 è osservabile come tutti i prodotti, a 5°C, abbiano un Quoziente Respiratorio circa uguale ad 1 (indice di buona salute dei prodotti), ad eccezione della Lattuga Trocadero,
per la quale sono ipotizzabili fenomeni fermentativi
già a 5°C.
Respiration rate
E’ un parametro di utilità pratica che indica la velocità
con cui il vegetale consuma ossigeno in seguito all’ossidazione degli zuccheri (RRO2) oppure la velocità con
cui l’anidride carbonica viene di conseguenza prodotta (RRCO2). Tale parametro è certamente influenzato
dalla composizione atmosferica all’interno di una confezione: riducendo la quantità di ossigeno a contatto
con il prodotto o aumentando l’anidride carbonica la
Respiration Rate diminuisce. In questa prova si è voluto stimare la Respiration Rate massima, ossia quella
misurabile in presenza di una concentrazione iniziale
di ossigeno pari al 20% e di CO2 dello 0%.
Si è pertanto utilizzato il metodo definito “chiuso”
che consiste nell’inserire una quantità nota di prodotto all’interno di vasi in vetro chiusi ermeticamente e
dotati, in corrispondenza della capsula, di setti per il
prelievo dell’atmosfera. Ad intervalli di tempo prestabiliti ma nell’arco di 24 ore, l’atmosfera contenuta nei
vasi è stata analizzata con tecnica gascromatografica
abbinata a detector a termo conducibilità. La RR è stata calcolata mediante le seguenti formule:
Tabella 1.2. Valori relativi alla Respiration Rate ed al Quoziente Respiratorio dei vegetali oggetto dello studio
5
Evoluzione di atmosfera
Nel corso della conservazione, i valori di ossigeno
e di anidride carbonica che si instaurano all’interno
della confezione sono il compromesso tra l’attività respiratoria dei tessuti, l’attività respiratoria della
componente microbica e la permeazione attraverso la
confezione. E’ importante che il bilancio tra queste
componenti sia tale da rallentare il normale processo di deperimento del vegetale senza che si inducano
danni da eccessiva concentrazione di anidride carbonica. La Figura 1.3 mostra che le maggiori variazioni
in termini di ossigeno consumato e di anidride carbonica prodotta a fine shelf life sono stati rilevati per la
Lattuga Trocadero e per le Carote, soprattutto nella
conservazione a 10°C. Tali dati confermano i valori di
Respiration Rate e di Quoziente Respiratorio stimati
per questi prodotti.
Infine è evidente come alcuni prodotti risultino più
vulnerabili di altri (si pensi al prodotto Carota tagliata julienne che, a fine shelf life, consuma quasi tutto
l’ossigeno O2 a sua disposizione producendo elevati
quantitativi di CO2), segno che è necessario modulare
correttamente le proprietà barriera dei materiali, considerando che ogni prodotto ha una diversa fisiologia.
Al fine di conoscere l’evoluzione dell’atmosfera nelle confezioni nel corso di uno stoccaggio simulato,
i prodotti sono stati conservati nelle loro confezioni
originali a 5 e 10°C e dalle diverse confezioni, a tempi
prestabiliti, sono state prelevate aliquote di atmosfera
gassosa poi analizzata mediante tecnica gascromatografica. Agli stessi tempi sono state condotte analisi
microbiologiche.
A titolo di esempio, nella Figura 1.1 è rappresentata
l’evoluzione di atmosfera per il Songino, confezionato in aria, alle due temperature, mentre in Figura 1.2
è riportata l’evoluzione dell’atmosfera di confezioni chiuse in Modified atmosphere packaging (MAP)
(18% O2 e 6% CO2) contenenti Lattuga varietà Foglia
di Quercia. Per entrambi i campioni si osserva che a
10°C si ha un maggior consumo di O2 ed una maggior
produzione di CO2. Nel campione di lattuga Foglia di
Quercia, la presenza di CO2 tende a rallentare la respirazione, soprattutto alla temperatura di conservazione
più bassa.
Figura 1.1. Evoluzione dell’atmosfera interna di confezioni di Songino a 5 e 10°C
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Figura 1.2. Evoluzione dell’atmosfera interna di confezioni di Lattuga Foglia di Quercia a 5 e 10°C
Figura 1.3. Variazioni percentuali nella composizione gassosa in confezioni conservate a 5°C
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Figura 1.4. Variazioni percentuali nella composizione gassosa in confezioni conservate a 10°C
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Implementazione dei dati sperimentali in
modelli predittivi
messo a punto un foglio di calcolo Excel ® nel quale
si è implementato un modello per la previsione delle
atmosfere. Tale soluzione rappresenta uno strumento
di facile accessibilità ed utile anche per gli operatori
aziendali in fase di progettazione del packaging, dal
momento che può consentire di comparare rapidamente l’effetto del cambiamento dei parametri di confezionamento o di conservazione sulla vita di scaffale
di prodotto.
Le Figure 1.5 e 1.6 mostrano la buona corrispondenza
tra i dati ottenuti sperimentalmente (indicatori colorati) e quelli ricavati dall’applicazione del modello per
quanto riguarda l’evoluzione dell’atmosfera in confezioni contenenti Songino conservato a 5 e 10°C.
I dati di Respiration Rate ricavati in questo studio
sono utili per valutare lo stato fisiologico delle insalate, anche nell’ottica di un loro utilizzo nella realizzazione di preparazioni costituite da diverse tipologie di
vegetali. Inoltre, tale parametro diventa indispensabile
nell’applicazione di modelli predittivi relativi alle variazioni di atmosfera nelle confezioni nel corso della
conservazione.
Tali modelli consentono di prevedere le evoluzioni
gassose in funzione delle condizioni di conservazione, delle caratteristiche del prodotto (RR, quantità di
prodotto) e della confezione (spazio di testa, permeabilità ai gas del materiale, composizione atmosferica
iniziale..). Nell’ambito di questa parte del lavoro, si è
Figura 1.5. Confronto tra i dati sperimentali ed i dati previsionali ottenuti con un modello matematico relativi alla variazione di atmosfera all’interno di confezioni di Songino a 5°C
Figura 1.6. Confronto tra i dati sperimentali ed i dati previsionali ottenuti con un modello matematico relativi alla variazione di atmosfera all’interno di confezioni di Songino a 10°C
9
B) Evoluzione della qualità microbiologica
in particolare indicata dall’Unione Europea come indicatore di processo.
Gli indicatori di qualità ricercati hanno invece evidenziato un differente andamento in funzione della tipologia di confezionamento; quelli più interessanti sono
risultati la CBT, batteri lattici, Enterobacteriaceae,
mentre il ritrovamento dei lieviti è apparso occasionale e sempre con valori poco indicativi nei prodotti a
foglia, è risultato importante nelle carote.
I prodotti di IV gamma risultano generalmente più
deperibili rispetto ai corrispondenti vegetali freschi
interi e vanno incontro a modificazioni rapide che
possono compromettere in breve tempo i requisiti di
qualità igienica e sensoriale. Questo motivo spinge le
industrie produttrici ad un crescente interesse verso la
ricerca di nuove tecnologie di lavorazione e di confezionamento che permettano di migliorare la shelf-life
di questi alimenti.
Il deterioramento di questi prodotti è un fenomeno
molto complesso che coinvolge importanti cambiamenti fisico-chimici e biochimici, legati alle caratteristiche proprie delle materie prime, prodotti vivi che
continuano a respirare anche dopo la raccolta, durante
la lavorazione e successiva conservazione. Le caratteristiche chimico fisiche dei vegetali inoltre non costituiscono un limite alla crescita dei microrganismi, la
cui attività metabolica contribuisce in modo importante ai fenomeni alterativi.
In Tabella 1.1 sono riportate le tipologie di vegetali
che sono state oggetto dello studio, insieme ad alcune
caratteristiche del sistema di confezionamento utilizzato.
I prodotti sono stati mantenuti a due differenti temperature, 5 e 10°C, al fine di confrontare la temperatura
consigliata per la conservazione e la temperatura cui,
più frequentemente, si ritrovano le insalate durante la
loro vita di scaffale (si pensi alle fasi di carico e scarico
dei prodotti, o alle fasi di trasporto dal supermercato
a casa). Giornalmente, dal momento della consegna
(t=0), sino a tre giorni successivi la scadenza è stata
monitorata l’evoluzione del microbiota . In particolare
le analisi hanno riguardato la determinazione di alcuni
indici di qualità (Carica batterica totale mesofila, CBT;
Enterobacteriaceae, Batteri lattici, Lieviti e muffe), gli
indicatori di processo (E. coli) e di sicurezza d’uso (Staphylococcus aures, Listeria monocytogenes, Salmonella spp.).
I prodotti oggetto della sperimentazione si sono sempre rivelati di buona qualità igienica: nel corso della
shelf-life sia nei vegetali confezionati in aria che in
quelli confezionati in MAP, non sono mai stati rinvenuti indicatori di sicurezza ricercati: Listeria monocytogenes e Salmonella spp, sono infatti sempre risultati
assenti in 25 g di prodotto, in accordo con quanto
richiesto dalla normativa europea. La buona qualità
igienica delle materie prime ed il rispetto delle Good
manufacturing practice (GM) durante la produzione
è confermato anche dal mancato ritrovamento di Staphylococcus aureus (<10 ufc/g) e di E. coli, questa ultima
10
Evoluzione microbica in prodotti confezionati
in aria
L’evoluzione degli indicatori della qualità riscontrata
nei vegetali confezionati in aria è illustrata in Figura 1.7.
Per questi prodotti confezionati in aria l’indice più
interessante ai fini della shelf-life è risultata la CBT
mesofila.
In songino e lattughino (Figure 1.7b e 1.7c) tale parametro va incontro durante la conservazione ad un
incremento medio di 2,5 ordini di grandezza; inoltre la
temperatura di conservazione non sembra influenzarne in modo importante l’evoluzione: l’andamento osservato è il medesimo sia a 5 che a 10°C. Decisamente
minoritaria e poco importante la componente lattica
che in entrambe le tipologie a foglia sia intera che tagliata raggiunge valori compresi tra 103 e 104 ufc/g,
decisamente inferiori rispetto a quelli registrati per la
CB mesofila.
Per le carote (Figura 1.7a) accanto alla CBT mesofila,
sono da menzionare i batteri lattici e i lieviti. Rispetto
a quanto osservato per i vegetali a foglia, la temperatura influenza la velocità di crescita dei microrganismi
soprattutto nei primi giorni: dai grafici si può notare
che la bassa temperatura (5°C) rallenta la crescita microbica nei primi tre giorni, dopo di che i valori tendono ad uniformarsi e dopo nove giorni, tre giorni dopo
la scadenza, i valori risultano confrontabili ad entrambe le temperature. I lieviti appaiono come il gruppo
microbico più sensibile alla temperatura: a 5°C la lag
fase risulta di 3 giorni contro le sole 24 ore per un incremento di temperatura di 5°C. I batteri lattici sono
la popolazione microbica che mostra il maggior incremento durante la conservazione: presenti con valori
inferiori al minimo contabile al tempo 0, iniziano a
crescere da subito e in solo 24 ore aumentano di 3
ordini di grandezza; successivamente continuano ad
aumentare sebbene in modo più contenuto. A fine
conservazione presentano valori confrontabili a quelli
della CBT mesofila.
Figura 1.7 Evoluzione degli indici di qualità in vegetali di IV
gamma confezionati in aria e conservati a differenti temperature:
a) Carote; b) Songino; c) Lattughino.
11
Evoluzione microbica in prodotti confezionati
in atmosfera protettiva
L’evoluzione degli indicatori della qualità riscontrata
nei vegetali confezionati in MAP è illustrata in Figura
1.8.
In questi prodotti a foglia confezionati la CB mesofila
è ancora l’indice microbico più interessante, ma non
è più trascurabile la presenza dei batteri lattici e soprattutto delle Enterobacteriaceae, che peraltro rientrano nella normale componente microbica di vegetali
a foglia e pertanto il loro ritrovamento, constatata la
assenza di forme indesiderate, non è da guardare con
sospetto.
In lattuga iceberg, la CBT mesofila non sembra risentire della temperatura di conservazione; in realtà
la crescita microbica procede più rapidamente a 5°C
che non a 10°C ad indicare che si tratta di una popolazione microbica prevalentemente psicrotrofa più sensibile pertanto al valore dei 10°C. Il confezionamento
in MAP (100% N2) come già detto, favorisce la crescita delle Enterobacteriaceae che nonostante valori più
bassi, mostrano un andamento simile a quello della
CBT. L’ambiente anossico favorisce anche la crescita
dei Batteri lattici, meno psicrotrofi, ma più anerobi:
a fronte di un rapido incremento nelle prime 24 ore
mostrano una stasi di tre giorni per poi riprendere a
crescere sino a fine conservazione.
L’evoluzione microbica osservata in Lattuga cappuccio intera e Lattuga foglia quercia (Figure 1.8a e 1.8b)
evidenzia un incremento della carica batterica totale di
più di tre unità logaritmiche. I batteri lattici aumentano
nei primi giorni di conservazione quindi, nonostante
un andamento lievemente altalenante tendono a stabilizzarsi. Le Enterobacteriaceae invece hanno una fase
di stasi nei primi due giorni poi, tra il secondo e il terzo giorno, mostrano un incremento esponenziale, per
poi stabilizzarsi fino alla data di scadenza (6° giorno)
intorno alle 103 ufc/g e proseguire negli ultimi giorni
con una crescita che permette loro di raggiungere circa le 105 ufc/g. In questa tipologia di prodotto è stata
osservata la presenza di lieviti e muffe durante tutta
l’analisi, ma le concentrazioni di questi microrganismi
sono comunque apparse ridotte. La temperatura non
sembra influire in modo significativo sull’andamento
degli indici considerati.
Figura 1.8 Evoluzione degli indici di qualità in vegetali di IV
gamma confezionati in MAP e conservati a differenti temperature: a) Lattuga cappuccio; b) Foglia quercia; c) Lattuga Iceberg.
12
Identificazione e distribuzione microbica
per tipologia di prodotto
in MAP, ma soprattutto, diventano importanti nelle
carote dove arrivano a superare il 30% (Figura 1.10).
Dai prodotti analizzati sono stati effettuati numerosi isolamenti, in particolare sono stati sottoposti ad
identificazione 453 ceppi tra batteri facenti parte della
CBT e batteri lattici.
La classificazione dei singoli isolati, dopo purificazione, mediante successivi passaggi nei corrispondenti
brodi colturali ed osservazione al microscopio, è stata
condotta mediante combinazione di prove biochimiche-colturali ed analisi molecolare secondo il protocollo operativo illustrato in Figura 1.9.
Figura 1.10 Distribuzione percentuale delle
forme microbiche ritrovate sui vegetali di
IV gamma oggetto dello studio
Tutti gli isolati sono stati sottoposti ad identificazione
sino a livello di specie mediante tecniche molecolari
(sequenziamento parziale del 16S rDNA, ARDRA).
Per quanto concerne le forme non lattiche, facenti
parte della CBT, le specie identificate sono riportate in Tabella 1.3. Non si osservano a livello di specie
differenze di rilievo in funzione della tipologia di vegetale considerata e della temperatura di conservazione, l’unica differenza è apparsa la maggior frequenza
delle Enterobacteriaceae nei prodotti confezionati in
MAP. Tra le forme aerobie l’unico genere ritrovato,
indipendentemente dal tipo di vegetale e modalità di
confezionamento, è risultato Pseudomonas rappresentato
prevalentemente dalla specie Pseudomonas fluorescens con
tutte le sue biovar.
Figura 1.9 Protocollo operativo seguito per l’isolamento e successiva classificazione dei microrganismi isolati
La distribuzione microbica osservata nei diversi prodotti è risultata differente in funzione della tipologia
di prodotto (a foglia o meno) e delle modalità di confezionamento
La CBT mesofila, la componente microbica più importante ai fini della shelf-life è sempre risultata composta
da bastoncini Gram negativi, ma mentre nei prodotti
a foglia confezionati in aria le forme più rappresentate
sono appartenenti alla famiglia delle Pseudomonadaceae (Pseudomonas spp.) in quelli confezionati in MAP,
la CBT mesofila appare quasi equamente suddivisa tra
Pseudomonas ed Enterobacteriaceae anaerobie facoltative. I batteri lattici, minoritari nei prodotti a foglia
confezionati in aria, aumentano in quelli confezionati
In tutte le tipologie di prodotto è sempre stata riscontrata la presenza, benchè con percentuali ridotte, di
forme fitopatogene, come Pseudomonas viridiflava, Erwinia rhapontici ed Erwinia persicinus.
Per tutti i ceppi isolati dalle diverse insalate classificati
come Pseudomonas fluorescens, è stata valutata l’attività
pectinolitica perché di notevole interesse, in quanto è
causa della principale forma di deperimento dei vegetali: la perdita di consistenza. Infatti le pectine, soprattutto metil-esteri di acido a-1,4-poli-d-galatturonico,
13
Leuconostoc mesenteroides è stata la specie numericamente più numerosa e comune a tutti i prodotti, seguito
da altre specie del medesimo genere. Grazie alla produzione di sostanze mucillaginose e filanti (destrani)
Leuconostoc mesenteroides riesce ad aderire fortemente ai
substrati dai quali è difficilmente asportato; in particolare questo si verifica sulle carote dove questo microrganismo costituisce oltre l’80% degli isolati. Le forme
a bastoncino, rappresentate da Lactobacillus rhamnosus
e Carnobacterium maltoaromaticum, sono state rinvenute esclusivamente nei prodotti confezionati in MAP,
dove comunque L. mesenteroides si è sempre confermato la specie dominante.
sono presenti nella lamella mediana, strato più esterno
della parete delle cellule vegetali, che unisce le cellule e
conferisce consistenza; quindi una volta idrolizzate le
pectine, il tessuto vegetale perde la sua integrità. Esistono differenti enzimi che possono attaccare le pectine; in questo lavoro è stata presa in considerazione
solo l’attività idrolitica delle pectinasi.
Oltre il 50% ha mostrato una forte attività pectinolitica,
mentre il 30% dei ceppi classificati come Pseudomonas
ha evidenziato una discreta attività amilasica.
Un’altra interessante caratteristica di questo microrganismo è la produzione di pigmenti diffusibili responsabili di colorazioni anomale. In particolare su questi
substrati si osserva la produzione di un pigmento che
va dal rosato sino al marrone scuro, peraltro del tutto
simile a quello che si osserva sul vegetale con fenomeni di imbrunimento e marciume.
Per quanto riguarda i lieviti anche in questo caso l’80%
degli isolati proviene dalle carote dove la struttura del
prodotto e la sua composizione rappresentano un ottimo substrato di crescita per questo gruppo microbico.
La classificazione limitata alla definizione del solo genere ha evidenziato per lo più lieviti debolmente fermentanti rappresentati per il 30% da Rhodotorula e Cryptococcus spp., ed il restante 70% equamente suddiviso tra
i generi Debaryomyces e Pichia. Con percentuali trascurabili è stato rinvenuto anche Saccharomyces cerevisiae, limitatamente alle carote.
Tra le forme anaerobie facoltative risultate dominanti nelle insalate confezionate in MAP si osserva
invece una maggiore variabilità come si può rilevare
dalla tabella 1.3. Nessuna specie risulta predominante sulle altre, ma è stata osservata una omogenea
distribuzione. Si tratta di forme ambientali e di origine acquicola tipiche di questi prodotti e che non
costituiscono un pericolo per la sicurezza dell’alimento.
Tabella 1.3 Identificazione dei ceppi microbici isolati dalla CBT
mediante sequenziamento parziale della regione 16 SrDNA
L’identificazione dei batteri lattici ha evidenziato la
costante presenza di cocchi etero fermentanti; anche
in questo caso l’identificazione è stata condotta sino a
livello di specie mediante tecniche molecolari.
14
Controllo della proliferazione microbica mediante l’impiego
FASE 2. di sostanze antimicrobiche di origine naturale
L’interesse crescente dei consumatori per avere prodotti di qualità, con freschezza garantita per tempi
sempre più lunghi, ha permesso lo sviluppo di imballaggi attivi. Mentre la confezione tradizionale è
soprattutto un sistema di protezione passiva che agisce come barriera fisica tra il prodotto e l’ambiente
circostante, gli imballaggi attivi assumono un ruolo
nuovo: essi interagiscono con il prodotto e, quindi,
mantengono e molto spesso riescono ad aumentare la
vita commerciale degli alimenti. Gli alimenti confezionati possono subire molti cambiamenti fisico-chimici
e sensoriali durante la conservazione e l’attività microbica in essi naturalmente presente o esogena (manipolazione, ambiente) è una delle principali cause di
degrado. La crescita microbica può essere ridotta o
inibita con l’aggiunta di agenti antimicrobici sulla superficie dell’alimento, ambiente favorevole alla crescita microbica. Tuttavia, l’efficacia di questi trattamenti
è limitata nel tempo. Infatti, gli agenti antimicrobici
diffondono rapidamente all’interno dell’alimento e
talvolta vengono disattivati dall’interazione con altre
molecole o dalle condizioni di pH, temperatura etc.
Un’alternativa interessante è l’utilizzo di un imballaggio antimicrobico. Il valore di questi imballaggi è
quello di controllare il rilascio di agenti antimicrobici dispensandoli in modo modulato, per garantirne la
presenza sulla superficie dell’alimento durante tutta la
sua conservazione. Il rilascio modulato dalla confezione del prodotto di una molecola attiva è una delle
tecnologie più promettenti nel settore del packaging
alimentare anche grazie all’emissione del nuovo regolamento 450/2009 che disciplina in modo specifico
gli imballaggi attivi. L’uso di imballaggi attivi potrebbe
ridurre la quantità di conservanti incorporata direttamente nell’alimento. Inoltre, la domanda di imballaggi
biodegradabili ha condotto il mondo della ricerca alla
valutazione del possibile impiego di biopolimeri per la
fabbricazione di imballaggi attivi. Nel mondo scientifico le ricerche si stanno focalizzando sullo studio
della dispersione di antimicrobici naturali in polimeri
rinnovabili e biodegradabili. L’incorporazione di molecole naturali in strutture biopolimeriche che possiedono la peculiarità di reagire a stimoli esterni (come
variazioni di pH, di umidità e/o di temperatura) permette il rilascio controllato dei principi attivi (antiossidanti, antimicrobici,..) precedentemente incorporati. In particolare, materie prime agroalimentari come
proteine e polisaccaridi hanno suscitato interesse per
la loro caratteristica di filmabilità che rendono possi-
bile la realizzazione di coating su supporti plastici o
bioplastici. All’interno del progetto Vegapack, il cui
obiettivo è l’estensione della qualità e la sicurezza dei
prodotti vegetali minimamente trattati (IV gamma)
attraverso imballaggi plastici funzionali, si sono testati diversi film biopolimerici a base di gelatina suina,
isolati proteici di soia e glutine di frumento contenenti antimicrobici solubili e/o volatili (oli essenziali,
EOs) al fine di avere un rilascio controllato nel
tempo. In tale contesto un’idea progettuale innovativa è costituita dall’approccio sinergico, che preveda
l’impiego di composto volatile (carvacrolo/timolo) in
associazione una sostanza idrosolubile di nuova sintesi, con l’Ethyl Lauroyl arginate (LAE), con caratteristiche chimico fisiche e di attività diverse dagli antimicrobici volatili. L’approccio proposto potrebbe quindi
costituire un’innovazione nel settore del packaging di
alimenti vegetali, obiettivo della ricerca.
A) Selezione di sostanze naturali con caratteristiche antimicrobiche efficaci contro i microrganismi contaminanti i vegetali di IV gamma
Le sostanze con caratteristiche antimicrobiche sono
molto numerose in natura, hanno caratteristiche chimiche e strutturali molto diverse e spettro di azione
differente; è dunque indispensabile una fase preliminare di accurata selezione. In seguito alla valutazione
della disponibilità, del costo, delle caratteristiche strutturali e dell’efficacia verso i microrganismi che contaminano le specie ed i prodotti vegetali di interesse,
sono stati selezionati gli oli essenziali (EOS) ed il LAE.
• Ethyl Lauroyl arginate LAE
Il LAE è una molecola ad attività antimicrobica costituita da acido laurico, L-arginina ed etanolo, che presenta carica positiva (Figura 2.1). Il LAE si presenta
come polvere bianca e la sua solubilità in acqua a 20°C
è elevata (superiore a 250 g/kg); è stabile a temperatura ambiente, in contenitore chiuso, anche per tempi
superiori ai 2 anni. Tale molecola è stata per la prima
volta sintetizzata presso il CSIC (Consejo Superior de
Investigationes Cientificas, Spagna) nel 1983 ed è attualmente prodotta dalla società Miret S.A. (LAMIRSA, Spagna) (Infante et al., 1984, US Patent 2006).
LAE è stato riconosciuto Generally Regarded As Safe
(GRAS) ed il suo impiego nel settore alimentare è stato autorizzato dalla Food and Drug Administration
15
(FDA) nel 2005 e come additivo alimentare dall’EFSA
(European Food Safety Autority) nel 2007.
Prove di stabilità in soluzione acquosa in condizioni
acide a diverse temperature hanno evidenziato che la
stabilità del LAE decresce all’aumentare della temperatura e contemporanea riduzione del pH. Il LAE si
decompone per temperature superiori a 107°C.
zione con esano, presentano maggior attività antimicrobica rispetto ai corrispondenti EOs ottenuti per
distillazione. Occorre inoltre considerare che gli EOs
contenenti diverse forme enantiomeriche possono
presentare diversa attività. In generale l’attività antimicrobica è associata alle componenti fenoliche. In
tabella sono evidenziati gli EOs e le loro componenti
che, in funzione delle caratteristiche aromatiche, sono
potenzialmente compatibili con alimenti vegetali, oggetto del progetto. In funzione di diversi aspetti, tra
i quali non trascurabile quello aromatico, è possibile
ipotizzare l’impiego degli EOs di origano e timolo ed
in particolare le componenti timolo e carvacrolo.
Figura 2.1. Struttura del LAE
L’attività antimicrobica del LAE viene esplicata a livello di membrana cellulare e di citoplasma. Il meccanismo è relazionabile al fatto che il LAE agisce come un
surfactante cationico, che interagisce con la membrana cellulare causando la denaturazione della frazione
proteica, con conseguente alterazione della permeabilità di membrana, con inibizione dello sviluppo o
morte cellulare. In ogni caso la presenza di LAE non
produce la lisi cellulare, ma sembra alterare il flusso di
ioni attraverso la membrana, in particolare con perdita di potassio e alterazione del flusso di protoni. In
altri ceppi l’attività di LAE produce effetti diversi, per
esempio a livello di peptidoglicano, con conseguente
lisi cellulare.
Figura 2.2 Struttura di carvacrolo e timolo
Nel progetto, dopo opportune valutazioni di attività, è stato selezionato carvacrolo perché ha mostrato
maggiore attività antimicrobica rispetto al timolo. Il
Carvacrolo è un composto fenolico (Figura 2.2) ed è
il componente principale dell’olio essenziale di origano. Questo composto lipofilo, (Formula molecolare
C10H14O; Massa Molecolare= 150,22 g / mol) è in
grado di inibire un ampio spettro di microrganismi,
come E. Coli e Staphylococcus aureus. Il Carvacrolo
è un composto volatile e in quanto tale agisce in fase
vapore.
• Oli essenziali
Negli ultimi anni le ricerche condotte nell’ambito
dell’attività antimicrobica esplicata dagli oli essenziali,
non solo su modelli in vitro, ma anche sugli alimenti, hanno consentito di prospettare il loro impiego
nell’ambito dell’active packaging. I risultati ottenuti hanno evidenziato un ampio grado di variabilità
dell’attività esplicata in relazione non solo alle diverse
tipologie di EOs, ma anche nell’ambito di ogni singolo caso. In particolare la composizione degli EOs
e conseguentemente l’attività antimicrobica è influenzata da fattori diversi quali stagione di raccolta della
materia prima e area geografica di provenienza. Anche
il profilo sensoriale può presentare ampia variabilità
riconducibile alla composizione, influenzata dalle procedure di ottenimento (distillazione ed estrazione con
solvente), con conseguente ricaduta sulle proprietà
antimicrobiche. Ad esempio EOs ottenuti per estra-
B) Determinazione della minima concentrazione inibente (MIC) in microrganismi di collezione ufficiale
La ricerca ha inizialmente previsto la messa a punto
di saggi per l’evidenziazione dell’attività antimicrobica
di LAE, carvacrolo e timolo, nei confronti di batteri,
lieviti e muffe appartenenti alla collezione interna della sezione di Microbiologia Industriale del DiSTAM.
I saggi sono stati allestiti impiegando per il LAE, antimicrobico solubile, procedure diverse a scopo comparativo, sia in coltura solida sia in liquido. Le prove
relative all’evidenziazione dell’attività antimicrobica
di carvacrolo e timolo, molecole volatili, sono state
allestite mettendo a punto un’apposita procedura in
coltura solida.
Per quanto riguarda l’analisi dell’attività antimicrobica
16
del LAE, i saggi in solido sono stati allestiti impiegando la metodica agar-germi, inoculando per inglobamento (1% v/v) il terreno agarizzato con una sospensione microbica a torbidità nota (OD 0,400, 600 nm).
Dopo solidificazione, nella coltura agarizzata sono
stati praticati pozzetti, in cui è stato inserito il LAE
(100 µl), a concentrazioni diverse. Le piastre sono
state poste ad incubare per 24-48 h alla temperatura
idonea in funzione del ceppo considerato. A fine incubazione è stata valutata l’eventuale presenza di aloni di
inibizione dello sviluppo microbico in corrispondenza
dei pozzetti. Si è quindi proceduto alla misurazione
degli aloni (mm) e i risultati ottenuti in questa fase del
lavoro sono riportati in Tabella 2.1.
Tabella 2.2. Valutazione dell’attività antimicrobica del LAE in
coltura liquida e determinazione della MIC: ceppi di riferimento.
I risultati ottenuti in queste prove hanno consentito
di confermare l’ampio spettro di attività antimicrobica
del LAE nei confronti di batteri e lieviti. In particolare i batteri Gram positivi (Listeria, Staphylococcus e
Bacillus) sono risultati più sensibili all’attività antimicrobica, con inibizione dello sviluppo fino a concentrazioni di LAE molto basse, pari a 12 mg/l coltura.
I ceppi Gram negativi (E. coli e Pseudomonas) e il
lievito S. cerevisiae hanno presentato sensibilità lievemente inferiore, con inibizione a partire da 24 mg
LAE/l coltura.
Dall’analisi dei dati ottenuti in questa fase preliminare della ricerca è stato possibile concludere che l’attività antimicrobica del LAE è risultata molto intensa
e quindi di potenziale interresse nel settore del food
active packaging: tale molecola è risultata infatti molto efficace nel provocare l’inibizione dello sviluppo di
ceppi di batteri e di lieviti di particolare interesse nel
settore alimentare.
Tabella 2.1. Attività antimicrobica del LAE nei confronti di
ceppi di riferimento di batteri, lieviti e muffe: diametro (mm)
dell’alone di inibizione dello sviluppo microbico (deviazione std
max < 10% media).
I risultati ottenuti hanno consentito di evidenziare un
ampio spettro di attività antimicrobica del LAE nei
confronti di tutti i ceppi testati, avendo evidenziato
aloni di inibizione dello sviluppo microbico anche a
basse concentrazioni di LAE (0,3 g/l).
Per poter meglio valutare il grado di sensibilità di ciascun ceppo e determinarne la MIC, la successiva fase
del lavoro ha previsto la preparazione di saggi in liquido. Tale procedura prevede l’allestimento di prove in
terreno colturale liquido (5 ml), addizionato di concentrazioni crescenti di antimicrobico, inoculate (1%
v/v) con una sospensione cellulare a torbidità nota
(OD 0,400, 600 nm). Le colture sono quindi poste ad
incubare a temperatura idonea e dopo 24 h è stato valutato lo sviluppo microbico, determinato come torbidità. In questa fase del lavoro non sono stati impiegati
ceppi di muffa per le loro peculiari caratteristiche macro-morfologiche che mal si prestano all’allestimento
di prove in liquido.
La MIC viene determinata come la più bassa concentrazione di antimicrobico in grado di inibire lo sviluppo microbico. I risultati ottenuti in questa fase del
lavoro sono riportati in Tabella 2.2.
Parallelamente sono state condotte prove per valutare
l’attività antimicrobica di oli essenziali, che dall’analisi
preliminare relativa ai dati di letteratura presentavano, in relazione alle caratteristiche chimico-fisiche e
sensoriali, validi presupposti di applicazione nell’active packaging di vegetali. In funzione di tale analisi
preliminari le prove sono state allestite considerando
timolo e carvacrolo.
La ricerca ha previsto una fase di messa a punto delle
prove in quanto le caratteristiche di tali molecole mal
si prestano ad essere impiegate applicando le tradizionali metodiche di determinazione dell’attività antimicrobica. A tal fine sono stati valutati diversi approcci,
fino alla messa a punto di una procedura in coltura
solida in grado di fornire risultati attendibili e riproducibili. La metodica impiegata ha previsto l’allestimento
di prove in piastra. In particolare dopo solidificazione del terreno colturale le piastre sono state inoculate
(3 µl) in superficie con una sospensione microbica a
torbidità nota (OD 0,400, 600 nm). Le piastre sono
17
poi state riposte in contenitori di vetro a chiusura ermetica precedentemente sterilizzati in cui, nella parte
interna del coperchio, sono state depositate quantità
crescenti di timolo e carvacrolo (Figura 2.3). Con tale
procedura si è ottenuto il rilascio del principio attivo,
che è quindi risultato in grado di esplicare l’attività in
fase gassosa, senza che la soluzione dell’antimicrobico fosse a diretto contatto con le colture. I barattoli
chiusi sono stati posti ad incubare, per consentire lo
sviluppo microbico.
In funzione dei risultati ottenuti nella fase preliminare dello studio, la ricerca è proseguita impiegando il
LAE, antimicrobico solubile, e il carvacrolo, volatile.
C) Determinazione della MIC in microrganismi
isolati dalle matrici vegetali
A questo punto della ricerca i saggi sono stati allestiti
impiegando non più i ceppi di riferimento, utilizzati nella fase preliminare, ma l’attività antimicrobica è
stata valutata su microrganismi (batteri) precedentemente isolati dalle matrici alimentari oggetto di studio.
In Tabella 2.4 sono riportati i microrganismi studiati.
La sensibilità di tali ceppi all’attività antimicrobica di
LAE e carvacrolo è stata valutata impiegando le procedure messe a punto e precedentemente descritte.
Per quanto riguarda la sensibilità al LAE dei ceppi
isolati, i risultati ottenuti sono apparsi interessanti. In
particolare, i saggi in solido (tecnica pozzetti) hanno
consentito di evidenziare aloni di inibizione con diametro max pari a 13 mm. Tali valori, pur risultando
inferiori rispetto a quelli evidenziati con i ceppi di
riferimento, appaiono interessanti e suscettibili di ulteriore approfondimento. Per quanto riguarda la determinazione della MIC in coltura liquida, i dati sono
riportati in Tabella 2.5.
Figura 2.3. Allestimento del saggio di attività antimicrobica di oli
essenziali
A fine incubazione è stata determinata l’assenza o la
presenza di sviluppo microbico. La concentrazione
dell’antimicrobico volatile è stata calcolata come rapporto tra quantità fatta assorbire sulla carta assorbente
e capacità del contenitore (µl o g/l).
I risultati ottenuti hanno consentito di evidenziare l’assenza di attività antimicrobica del timolo nei confronti
dei ceppi testati, anche ad elevate concentrazioni (30
g/l). Al contrario, il carvacrolo si è rivelato in grado di
inibire lo sviluppo microbico dei ceppi considerati a
concentrazioni variabili da 100 a 17 µl/l, sia di batteri,
sia di lieviti, sia di muffe (Tabella 2.3). Da sottolineare
la resistenza evidenziata per il ceppo di Pseudomonas
putida a tutte le concentrazioni di carvacrolo saggiate.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che il 60 % dei
batteri Gram negativi isolati è risultato sensibile al
LAE a concentrazione pari a 20 mg/l, e il 90% a 50
mg/l. In particolare il ceppo Pseudomonas kilonensis è
apparso il più resistente, in grado di crescere a concentrazione pari a 100 mg LAE/l.
Al contrario i batteri Gram positivi appartenenti alla
specie Leuconostoc mesenteroides sono tutti risultati molto
resistenti a concentrazioni di LAE anche superiori a
100 mg/l (dati non riportati). Il ceppo di Carnobacterium ha invece mostrato una MIC pari a 50 mg/l.
Per quanto riguarda la sensibilità dei ceppi isolati al
carvacrolo, i risultati sono riportati in Tabella 2.6.
Tabella 2.3. Valutazione dell’attività antimicrobica del carvacrolo
in coltura solida e determinazione della MIC: ceppi di riferimento.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che Rhanella aquatilis I35 è risultato il ceppo più sensibile al carvacrolo
(MIC 50 µl/l); Ps. kilonensis S9 tra i ceppi Gram negativi è ancora apparso quello più resistente. Per quanto
riguarda i batteri Gram positivi, come evidenziato in
precedenza per il LAE, anche nei confronti del carvacrolo è stata evidenziata una certa resistenza: tutti
i ceppi sono infatti riusciti a svilupparsi in presenza
anche di 300 μl/l dell’antimicrobico.
18
Sinergia carvacrolo - LAE
Al fine di evidenziare una eventuale sinergia tra i due
antimicrobici allo studio, sono state allestite una serie
di prove in cui i microrganismi sono stati fatti crescere
in presenza contemporanea di LAE e carvacrolo. Le
prove sono state allestite in terreno colturale solido,
inserendo per inglobamento il LAE nel terreno e depositando il carvacrolo nello spazio di testa della piastra. I risultati sono riportati in Tabella 2.7.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che la presenza
dei due antimicrobici in associazione ha effetto sinergico nei confronti di Pseudomonas fluorescens S9 e koreensis C4, Pantoea ananatis Lc38, Pseudomonas argentinensis
S34 e Citrobacter freundii L55. Da notare però che in
tutti i casi lo sviluppo microbico è risultato significativamente inferiore rispetto alla coltura di controllo.
Tabella 2.4. Batteri isolati da matrici vegetali contro i quali è stata valutata l’attività antimicrobica di LAE e
carvacrolo.
19
Tabella 2.5. Valutazione dell’attività antimicrobica del LAE in coltura liquida e determinazione della
MIC: ceppi isolati da matrici vegetali.
20
Tabella 2.6. Valutazione dell’attività antimicrobica del carvacrolo e determinazione della MIC: ceppi
isolati da matrici vegetali.
21
Tabella 2.7. Valutazione dell’attività antimicrobica di LAE e carvacrolo impiegati contemporaneamente:
ceppi isolati da matrici vegetali.
22
Rilascio dell’antimicrobico LAE
D) Attivita’ antimicrobica di film attivi nei confronti di microrganismi test.
Dapprima le prove di rilascio sono state effettuate utilizzando come simulante acqua aggiunta alle piastre
petri contenenti i film biopolimerici, che sono state
successivamente poste in cella a due diverse temperature: 4 e 24 °C. Per calcolare la % di LAE rilasciata si è
utilizzata una HPLC (Waters Modul I Plus) montante
colonna Simmetry C18 4.6x250mm, 5.0μm (Waters)
alla temperatura di 25°C, fase mobile acetonitrile/acqua (50:50) contenente lo 0,1% di acido trifluoroacetico (TFA), velocità di flusso di 0,80 ml min-1, lunghezza d’onda 214 nm, tempo di analisi 20 minuti e volume
di iniezione 20 µl. I campioni, prima di essere caricati
in HPLC, sono stati filtrati utilizzando filtri Millipore Millex-GV 0.22μm, diametro 13 mm. Sempre con
l’ausilio dell’HPLC sono state condotte delle ulteriori
prove per valutare la stabilità termica del LAE a 55°C
Le prove preliminari effettuate mediante HPLC per
valutare la stabilità termica del LAE mostrano che a
55°C il prodotto mantiene la sua natura. Delle quattro
matrici esaminate (Tabella 2.8) il rilascio maggiore è
stato osservato per le matrici 1 e 2 (Figura 2.4), ovvero
quelle nella cui formulazione era presente il glicerolo
ed il lipide. Questo può essere giustificato dal fatto
che il glicerolo, un plasticizzante, va ad aumentare il
volume libero del reticolo tridimensionale creato dalla gelatina, favorendo il rilascio del principio attivo in
essa incorporato, oltre che ad aumentarne la mobilità delle catene polimeriche. Il solo lipide non sembra
avere un effetto così marcato, come si può osservare
dalla matrice 4: il suo comportamento è quasi assimilabile al film biopolimerico di sola gelatina (matrice 3).
Da quanto visto possiamo dire che le matrici migliori
da impiegare nel campo della IV gamma risultano essere i film biopolimerici nella cui formulazione vi è
incorporato il glicerolo. A 4°C, temperatura di conservazione dei prodotti in esame, i film biopolimerici presentano infatti una percentuale di rilascio massima del
principio attivo pari a 60,60±6,15% per la matrice 1 e
2. Si è scelto di utilizzare la formulazione della matrice
1 per la preparazione di film biopolimerici da deporre
sui substrati plastici impiegati nelle prove microbiologiche, con diverse concentrazioni di LAE incorporato.
Produzione dell’imballaggio attivo contenente LAE
Per la preparazione dei film biopolimerici sono stati
impiegati i seguenti materiali, in proporzioni variabili
(Tabella 2.8): gelatina suina tipo A, bloom 133 (Weishardt International, Grauliet Cedex, France), glicerolo (Giomavaro, Brugherio, Italy), monogliceride
acetilato (Grindsted® Acetem 70-00 P, Danisco A/S,
Langebrogade, Denmark), acqua distillata, Mirenat-G
(LAMIRSA, Spagna)
Tabella 2.8. Composizioni matrici per i biocoating contenenti LAE
Quantità note di gelatina, glicerolo ed acqua sono state poste in un becker e lasciate in agitazione per 20
minuti, ad una temperatura di 55°C. Successivamente,
nelle formulazioni che lo richiedevano, è stato aggiunto il lipide ed il LAE, sotto forma di Mirenat-G (90%
glicerina, 10% LAE). Per le prove di rilascio, la soluzione ottenuta (5g di peso umido) è stata deposta in
piastre petri del diametro di 60mm le quali sono state
poi poste in stufa a 30°C per un giorno e successivamente stoccate in un essiccatore; successivamente, al
fine di creare il biocoating, la soluzione è stata depositata su un substrato plastico con un applicatore automatico (ref. 1137, Sheen Instruments, Kingston, UK),
ad una velocità di 150 mm/min. Il film ottenuto è stato dapprima asciugato con un flusso perpendicolare e
costante d’aria tiepida (25 ± 0.3°C per 2 minuti), poi
lasciato asciugare a temperatura ed umidità costante
per un giorno (23 ± 2°C, 40 ± 2.0% RH), prima di
essere impiegato nelle prove di rilascio. Lo spessore
del film biopolimerico è stato calcolato utilizzando la
seguente equazione:
dove M1 (g/dm2) è il peso di 1 dm2 del substrato laccato, M2 (g/dm2) è il peso dello stesso substrato dopo
aver rimosso meccanicamente il film biopolimerico
con acqua calda (80°C), r è la densità della soluzione
acquosa (g/cm3).
23
Figura 2.4. Rilascio di LAE in funzione della matrice utilizzata e della temperatura (4°C e 24°C)
24
Attività antimicrobica di biocoating contenenti
l’antimicrobico LAE
Le prove sono state allestite in coltura liquida, immergendo strisce rettangolari di film in modo tale che il
rilascio di LAE fosse compreso tra 5 e 35 mg/l.
Tale rilascio è stato calcolato in precedenza in acqua.
Lo sviluppo microbico è stato determinato attraverso
valutazione della torbidità a 24 e 72 h di incubazione
della coltura, tramite spettrofotometria (OD 560 nm).
I risultati sono riportati in Tabella 2.9.
Tabella 2.9. Sviluppo microbico in termini di assorbanza (OD 560 nm) valutato a 24 e 72 h di
colture microbiche in presenza di film attivo con LAE.
25
I risultati ottenuti hanno evidenziato che il film attivo
a contatto con una coltura liquida è in grado di rilasciare l’antimicrobico. Tale molecola, alle concentrazioni
impiegate, è risultata in grado di inibire completamente lo sviluppo microbico di Pseudomonas fluorescens C20
e koreensis C4. Negli altri casi, lo sviluppo microbico
è risultato diminuire significativamente all’aumentare
della concentrazione di LAE impiegata. Da notare
tuttavia che in alcuni casi è stata osservato sviluppo
microbico in prove in cui il LAE rilasciato avrebbe
dovuto corrispondere alla MIC. Tale comportamento potrebbe essere dovuto al fatto che la cinetica di
rilascio del LAE sia diversa in acqua rispetto ad una
coltura liquida.
L’attività antimicrobica del film è stata in una seconda
fase del lavoro testata anche in coltura solida, confermando i risultati sin qui descritti (Figura 2.5).
Produzione dell’imballaggio attivo contenente
carvacrolo
• Microincapsulazione del principio attivo
Se da una parte la caratteristica di essere volatile permette al carvacrolo di agire senza che ci sia un contatto diretto con il prodotto, dall’altra parte però la
volatilità rende difficile il controllo del suo rilascio. La
dispersione diretta di oli essenziali volatili in matrici
biopolimeriche è spesso ostacolata da problematiche
tecnologiche: gran parte della quantità della molecola
è rilasciata dal sistema immediatamente e la sua poca
solubilità ne limita l’uso in soluzioni a base acquosa
come i “biocoating”. Inoltre, tali molecole si degradano quando esposte al contatto con aria, luce o calore.
In questo lavoro quindi, oltre ad utilizzare carvacrolo puro incorporato in matrici proteiche, si è studiata
anche una nuova soluzione in cui il carvacrolo è stato preventivamente incluso in una molecola ospite: la
ciclodestrina. Le ciclodestrine sono una famiglia di
oligosaccaridi ciclici composti da subunità di glucopiranosio collegati da legami a-(1,4), e in base al numero di monomeri (6, 7, 8) sono chiamate a-, b- e
g-ciclodestrine. Esse hanno una struttura a tronco di
cono. La struttura tridimensionale costringe i gruppi
ossidrilici sui bordi esterni, mentre nella cavità sono
presenti solo atomi di idrogeno e ponti ossigeno. Questo fa sì che la cavità centrale abbia natura idrofobica,
mentre la parte esterna sia idrofilica: ciò si traduce
nella possibilità per le ciclodestrine di ospitare molecole idrofobe all’interno della cavità e, contemporaneamente di essere idrodispersibili e talvolta anche
solubili in ambiente acquoso mantenendo una cavità
al centro apolare. In questo studio, è stata selezionata
b-ciclodestrina perché è in grado di stabilizzare chimicamente il carvacrolo e quindi evitare che si ossidi,
si decomponga o evapori se esposto all’aria alla luce
o al calore. Avendo bassa solubilità in ambiente acquoso, l’addotto carvacrolo-b-ciclodestrina dovrebbe
disperdersi nelle matrici biopolimeriche conservandosi però integro durante il processo di produzione dei
coating. L’addotto è stato ottenuto per precipitazione
nel rapporto 16:84 (p/p carvacrolo:b-CyD). L’avvenuta formazione del complesso è stata verificata con
analisi gascromatografica di spazio di testa (HSGC),
mentre la morfologia è stata studiata mediante analisi
di microscopia elettronica a scansione (SEM). La stabilità termica del complesso è stata valutata in analisi
di calorimetria differenziale a scansione (DSC).
Figura 2.5. Attività antimicrobica di film attivi con LAE nei confronti di Rhanella aquatilis C163.
26
• Produzione dell’imballaggio attivo
Tramite l’utilizzo di un modello matematico basato
sulla seconda legge di Fick e supporto del software
MATLAB sono stati determinati i coefficienti di diffusione sia per carvacrolo puro che incapsulato.
Tra i polimeri che possono contenere una potenziale
sostanza antimicrobica, le materie prime agroalimentari come le proteine vegetali e polisaccaridi risultano
particolarmente interessanti. Esse, infatti, possiedono
proprietà filmogene, buone proprietà barriera ai gas e
vengono già utilizzati come bio-rivestimenti in diverse
applicazioni alimentari e non. Le matrici realizzate in
questo progetto avevano come base isolati di soia, glutine di frumento e gelatina suina come matrice di confronto di origine animale. Alle matrici è stato aggiunto in alcuni casi carvacrolo puro, in altri il complesso
carvacrolo-ciclodestrina. La miscela risultante e stata
deposta come coating su un supporto di film plastico
(polipropilene) e bioplastico (acido polilattico). In primo luogo sono state valutate le perdite di Carvacrolo:
esse sono state misurate dopo il processo di produzione e durante lo stoccaggio dell’imballaggio; nella
fase successiva del lavoro è stato valutato il rilascio di
carvacrolo in presenza di alte percentuali di umidità
relativa (95%) per simulare la presenza dell’alimento, a
temperature di 4°C e 25°C. L’obiettivo di questa parte
è stato quello di vedere come il rilascio di agente antimicrobico sia modulato in funzione della composizione della matrice. E’ stato valutato il carvacrolo residuo
nell’imballaggio e per differenza è stato quantificato il
carvacrolo rilasciato. A tale scopo, da ciascun imballaggio sono stati prelevati pezzi di superficie pari a 4x4
cm2 e inseriti in flasks in cui sono stati aggiunti 5 mL
di metanolo e 100μl di standard interno (2-Nonanol
in metanolo al 10% di concentrazione). Il tutto è stato
posto in agitazione per 16h. Successivamente la fase
organica contenente carvacrolo e 2-Nonanolo è stata
filtrata su lana di vetro e sodio solfato anidro e quindi
analizzata mediante analisi gascromatografica con gascromatografo dotato di Rivelatore a Ionizzazione di
Fiamma (GC-FID, Perichrome) e di colonna capillare
HT5 (15mx 0.25mm, 0.1µm). Il coefficiente di risposta K e l’efficienza di estrazione (YE) sono stati determinati durante le analisi e presi in considerazione
nel calcolo della quantità di carvacrolo rilasciata. E’ di
seguito riportata la formula finale per la determinazione della massa di carvacrolo rimanente nel biocoating
dopo l’esposizione alle condizioni ambientali stabilite.
• Caratteristiche e comportamento dell’imballaggio attivo
Il film realizzato, composto da uno strato barriera e da
uno strato di materiale biopolimerico, ha dato risultati
soddisfacenti, si è verificata infatti una buona adesione tra lo strato barriera in polipropilene e lo strato
composto da biopolimeri proteici. Per ottimizzare
l’adesione si è ricorsi ad un trattamento superficiale a
corona sullo strato barriera.
La morfologia dello strato biopolimerico è risultato
omogeneo sia in presenza di carvacrolo puro che in
presenza del complesso carvacrolo/ b-ciclodestrine.
Nel momento in cui viene utilizzato carvacrolo puro,
anche in assenza di plastificanti, si hanno perdite rilevanti durante la produzione dell’imballaggio e il suo
stoccaggio, perdite di circa il 40-50% ad umidità ambiente. A questa prima tipologia di imballaggio attivo si è così affiancata una seconda tipologia costituita dalla stessa matrice polimerica ma da carvacrolo
incapsulato. La previa incapsulazione di carvacrolo è
avvenuta con successo: l’analisi di microscopia elettronica a scansione (SEM) (Figura 2.6), infatti, evidenzia
la presenza di una struttura cristallina dopo la formazione del complesso che si differenzia dalla struttura
iniziale delle b-cyclodestrina di natura prevalentemente amorfa. Inoltre l’analisi gascromatografica in spazio
di testa (HSGC) ha dato un valore di quantità di carvacrolo incapsulata di circa 12%, valore molto vicino
al valore massimo teorico. E’ stato testato sperimentalmente che il complesso, rispetto alla presenza della
molecola attiva libera, è capace di limitare le perdite
di carvacrolo durante la preparazione dei coating e il
loro stoccaggio (Figura 2.7).
Carvacrolo (mg) = [(area carvacrolo / area std interno) *
std interno (mg)* 100 * K * / YE] / sostanza secca (mg);
Sostanza secca (mg) = peso totale (mg) – peso film supporto (mg)
- [peso umido *% volatili (mg)]
27
a ≈ 300°C. I risultati del progetto mostrano inoltre
come il rilascio di Carvacrolo può essere modulato in
fase di utilizzo dell’imballaggio.
L’effetto maggiore sul rilascio di carvacrolo è dovuto
all’umidità: al crescere dell’umidità si ha un aumento significativo sia della velocità di diffusione sia della
quantità totale rilasciata. L’umidità è infatti in grado
svolgere il ruolo di plastificante e di aumentare la mobilità delle molecole. Viene riportato a titolo di esempio il rilascio di carvacrolo incapsulato da matrice di
soia a 35%UR e a 95%UR (Figura 2.8).
Figura 2.8. Rilascio di carvacrolo incapsulato (complesso carvacrolo/ciclo destrine) da matrice di soia in funzione dell’umidità
relativa ambiente (35% e 95%).
La mobilità delle molecole attive, a parità di umidità
relativa, è poi influenzata dall’ambiente in cui sono inserite: la presenza o meno del complesso carvacrolo/
b-ciclodestrina e la composizione della matrice biopolimerica influenzano la cinetica di rilascio. I coefficienti di diffusione apparente sono un indice della velocità
con cui il carvacrolo viene rilasciato. La presenza del
complesso è in grado, nella maggior parte dei casi, di
rallentare la velocità di rilascio di carvacrolo. Matrici
più idrofile, in grado di formare gel in presenza di acqua, quali gelatina presentano una velocità di rilascio
di molecole idrofobiche inferiore rispetto a matrici
più idrofobiche quali glutine di frumento per motivi
di affinità molecolare. La presenza di plasticizzanti
quali per esempio glicerolo aumenta ulteriormente il
rilascio di carvacrolo, essa infatti è una sostanza umettante che è in grado di amplificare l’effetto dell’umidità. In Tabella 2.10 sono riportati, a titolo di esempio,
coefficienti di diffusione ottenuti condizionando il
campione a temperatura ambiente.
Figura 2.6. Ciclodestrine pure (A) e complesso carvacrolo/ciclodestrine (B)
Figura 2.7. Perdite di carvacrolo libero e incapsulato (complesso)
in matrice di soia durante la produzione e lo stoccaggio per 45
giorni a 45%UR
L’analisi termogravimetrica (TGA) e l’analisi termica o
scansione differenziale (DSC), evidenziano risultati interessanti anche per un possibile utilizzo del complesso in estrusione: il carvacrolo puro è completamente
volatilizzato a 160°C mentre la perdita della sostanza
attiva inclusa nel complesso aumenta gradualmente in
funzione della temperatura fino alla completa perdita
28
Tabella 2.10. Coefficienti di diffusione di carvacrolo da differenti
matrici condizionate a 95% UR e 25°C.
Tabella 2.12. Valutazione dell’attività antimicrobica di film contenenti carvacrolo: ceppi isolati da matrici vegetali.
L’attività antimicrobica di questa seconda tipologia di
film è apparsa molto scarsa, avendo evidenziato inibizione dello sviluppo microbico solo in E. cloacae e
R. aquatilis. Nessuna attività è stata associata ai film
preparati con PEG, mentre è stata osservata una certa
attività nel momento in cui sono stati utilizzati film
analoghi ma contenenti glicerolo, indice che solo il
glicerolo agisce da agente umettante in sinergia con
l’umidità nell’aumentare il rilascio di principio attivo
ad alte umidità relative.
Le prove microbiologiche sono state effettuate tutte
a temperatura standard di sviluppo (30°C), ma è noto
che la diffusione di molecole attive da biocoating è
influenzata dalla temperatura. A temperature di 4°C
il rilascio di carvacrolo è inferiore rispetto al rilascio
ottenuto a 25-30°C e, in alcuni casi, può verificarsi un
rilascio troppo basso per soddisfare le necessità microbiologiche, come per esempio quando il carvacrolo
è incorporato in matrici di soia ( Figura 2.9, curva rossa). Nella sperimentazione sul prodotto si è quindi utilizzata matrice di glutine che mostra un coefficiente di
diffusione maggiore; inoltre in presenza di matrice di
glutine, ad alte umidità relative (95%), non si evidenziano differenze significative nella velocità di rilascio
di carvacrolo nella forma libera e incapsulata (curva
blu e nera, Figura 2.9); si è scelto quindi di progettare
una prima sperimentazione con il prodotto vegetale
utilizzando carvacrolo puro, non considerando per il
momento il fatto che le perdite in produzione e stoccaggio dell’imballaggio risultino maggiori.
• Attività antimicrobica di film contenenti carvacrolo
Nella prima fase del lavoro è stata valutata l’attività
antimicrobica di film preparati impiegando carvacrolo
puro (6 e 30 % corrispondenti rispettivamente a circa
30µl/l e 150µl/l) in due matrici diverse a scopo comparativo, gelatina e soia. Le prove sono state allestite
posizionando i film all’interno di contenitori di vetro,
come già descritto in precedenza. I risultati ottenuti
sono riportati in Tabella 2.11.
Tabella 2.11. Valutazione dell’attività antimicrobica di film contenenti carvacrolo: ceppi isolati da matrici vegetali.
Come appare evidente in tabella, i risultati migliori
sono stati ottenuti impiegando carvacrolo alla più elevata concentrazione (30%), indipendentemente dalla
matrice impiegata. In questo caso la quantità rilasciata
è elevata (150µl/l ) per entrambe le matrici: soia e gelatina. Da notare come Rhanella sia risultata il ceppo
più sensibile, con inibizione dello sviluppo microbico
anche a basse concentrazioni di carvacrolo.
In una seconda fase del lavoro sono stati presi in considerazione altre tipologie di film, contenenti anche
glicerolo (gly) o Polietilenglicole (PEG) con lo scopo
di aumentare il rilascio di carvacrolo, ma nello stesso tempo sono state diminuite le quantità rilasciate
(50µl/l aria). I risultati sono riportati in Tabella 2.12.
Figura 2.9. Rilascio di Carvacrolo a 4°C da
matrici di soia (rosso) e glutine con carvacrolo
incapsulato (nero) e carvacrolo libero (blu).
29
Confezionamento dei vegetali di IV gamma
I film di gelatina prodotti contenenti come principio
attivo LAE e i film di glutine contenenti carvacrolo
puro sono stati utilizzati per la realizzazione di buste
di dimensioni note (16 cm X 24 cm) nelle quali sono
stati poi inseriti 50 grammi di prodotto (Lattughino a
foglia). Le quantità da incorporare nel coating sono
state scelte sulla base dei risultati microbiologici e sulla base dell’andamento delle cinetiche di rilascio: 100
ppm (mg LAE/l) e 200 ppm (mg carvacrolo/l aria).
In particolare, la quantità di LAE da incorporare nei
biocoating è stata calibrata sulla base della respiration
rate del prodotto e quindi del volume di acqua prodotto dalle insalate.
I prodotti di IV gamma all’interno della confezione
presentano infatti un’intensa attività respiratoria, producendo calore, anidride carbonica ed acqua:
6O2 + C6H12O6 g 6CO2 + H2O + calore
Tenendo conto della velocità di respirazione del vegetale tipico di IV gamma, possiamo calcolare quanta
acqua ritroviamo all’interno della nostra confezione
dopo un certo periodo:
qui è riportato un esempio relativo alla lattuga a foglia
n° moli CO2 = g CO2/PM g 0,012/44 g 2,7272
moli di acqua
2,7272 x 18 (PM acqua) g 0,0049 g acqua
ovvero 4,9 mg Kg-1 h-1
Da opportuni calcoli la quantità di LAE da incorporare nel biocoating è risultata quindi pari a 100 ppm (mg
LAE/l acqua prodotta).
Come riferimento è stato confezionato del prodotto
in buste delle medesime dimensioni sia senza coating
che con coating ma in assenza del principio attivo. Il
riempimento deIle buste è avvenuto in condizioni sterili ed il confezionamento è stato effettuato con aria
anidra e con confezionatrice CVP (Illinois, Usa); i
prodotti sono stati stoccati a 4°C per 7 giorni. Sono
stati effettuate analisi di atmosfera interna delle confezioni e analisi microbiologiche nel corso della conservazione. I risultati ottenuti evidenziano una leggera diminuzione nella crescita microbica in presenza
dell’antimicrobico LAE. Risultati analoghi si ritrovano nel confezionamento di insalate in presenza di coatings contenenti la combinazione dei due antimicrobici, carvacrolo puro e LAE, in quantità però dimezzate
rispetto a quando presenti singolarmente nei coatings
. Sono invece ancora in fase di valutazione le prove
di confezionamento in cui viene utilizzato carvacrolo
nella forma incapsulata.
30
FASE 3.
Modulazione dello scambio di gas e vapori attraverso la confezione
Nel presente progetto, dedicato in modo specifico
al settore dell’imballaggio di vegetali minimamente
trattati (IV gamma), cioè di prodotti ad alta attività
respiratoria, l’obiettivo non era solo quello di “conservazione” quanto di “mantenimento della freschezza”.
Le più importanti caratteristiche da ricercare per un
film plastico destinato a questo tipo di prodotti sono
la permeabilità all’ossigeno ed all’anidride carbonica e
la sua selettività (ossia il rapporto tra la permeabilità
all’anidride carbonica e all’ossigeno) che devono essere in grado di soddisfare le esigenze del prodotto vegetale, ovvero combinarsi adeguatamente alla velocità
di respirazione del vegetale in modo da stabilire, allo
stato stazionario, delle concentrazioni gassose ottimali
per il prodotto.
L’interesse è stato focalizzato in modo esclusivo sulla
famiglia di polimeri a base di propilene, già più permeabili in partenza rispetto a quelli a base di etilene,
aumentandone ulteriormente la permeabilità attraverso l’utilizzo di un monomero ramificato, il 4-metil-1pentene, capace cioè di conferire più elevato volume
libero alle catene polimeriche con conseguente minore densità del materiale rispetto ai materiali tradizionali di uso comune.
L’introduzione del comonomero ramificato si è ottenuta sia attraverso la sintesi di nuovi copolimeri (Attività 3.A) sia attraverso la miscelazione di polimeri
commerciali (Attività 3.B)
Figura 3.2. Copolimeri a base di propilene con comonomero
lineare tradizionale, 1-esene (C6)
La ricerca è stata preceduta da uno studio per individuare un catalizzatore in grado di incorporare quantità
controllate di un comonomero ad elevato ingombro
sterico, quale il 4M1P, per dare copolimeri stereoregolari e caratterizzati da pesi molecolari sufficientemente
elevati per permettere i successivi trattamenti di compounding e/o filmatura.
Nella Figura 3.3 sono rappresentati particolari delle
apparecchiature di laboratorio per la sintesi di omoe copolimeri olefinici nella fase esplorativa, nella fase
cioè in cui si sintetizzano modeste quantità di prodotto (100-500 mg), destinate alla caratterizzazione.
A) Sintesi di nuovi copolimeri vinilici a struttura
controllata
Questa fase ha comportato la sintesi di serie di copolimeri a base di propilene (C3) a diverso contenuto
di comonomero. Il comonomero utilizzato è stato il
4-metil-1-pentene (4M1P), che, per l’ingombro sterico dovuto alla sua ramificazione, può causare un notevole aumento del volume libero della catena copolimerica (schematizzata in Figura 3.1) e fornire quindi
materiali a più bassa densità rispetto ai materiali tradizionali (schematizzati in Figura 3.2).
Figura 3.1. Copolimero a base di propilene con comonomero
ramificato (4M1P)
Figura 3.3. Apparecchiature di laboratorio per la sintesi di
copolimeri
31
Tabella 3.2 Copolimeri C3/4M1P da catalizzatore MBIa
Sintesi dei copolimeri C3/4M1P.
Nella Tabelle 3.1 e 3.2 sono riportate due serie di
copolimerizzazioni eseguite utilizzando due diversi catalizzatori isospecifici a base di metalloceni: racetilenbis(tetraidroindenil)zirconio dicloruro (EBTHI)
e rac-dimetilsilil(2-metilbenzindenil)zirconio dicloruro
(MBI), Schema 3.1.
a Condizioni di polimerizzazione: volume totale = 100 mL, [catalizzatore] = da 1.1 a 10 μmol, metilaluminossano(MAO)/zirconio = 3000
(mol/mol), T = 30 °C, P = 1.08 atm.
b Analisi 13C NMR.
c Peso molecolare da analisi GPC
Caratterizzazione dei copolimeri C3/4M1P.
• Analisi 13C NMR.
E’ stata condotta una completa analisi microstrutturale
dei copolimeri ottenuti mediante analisi 13C NMR. La
caratterizzazione microstrutturale è di fondamentale
importanza poiché le applicazioni finali di un materiale
sono determinate dalle proprietà fisiche e meccaniche
che dipendono non solo dal peso molecolare medio e
dalla sua distribuzione, ma dalla stereospecificità con
cui le unità monometriche vengono incorporate, dalla
composizione e, in particolare, dalla distribuzione dei
comonomeri lungo la catena polimerica. Trattandosi
di nuovi copolimeri si è reso necessario un accurato
lavoro di assegnazione degli spettri che presentavano
una certa complessità. L’assegnazione è stata realizzata grazie al confronto tra spettri di copolimeri in
un ampio range di composizioni e ricorrendo a tecniche NMR bidimensionali, inclusi esperimenti omonucleari 1H-1H ed eteronucleari 1H-13C. L’assegnazione
completa è riportata in Tabella 3.3, mentre in Figura
4 sono riportati gli spettri 13C NMR di una serie di
copolimeri a diverso contenuto di comonomero.
Schema 3.1. Sistemi catalitici impiegati rac-etilenbis (tetraidroindenil) zirconio dicloruro (EBTHI) (a) e rac-dimetilsilil (2-metilbenzindenil) zirconio dicloruro (MBI) (b)
a
Tabella 3.1. Copolimeri C3/4M1P da catalizzatore EBTHI
a Condizioni di polimerizzazione: volume totale = 100 mL, [catalizzatore] = da 1.1 a 10 μmol, metilaluminossano(MAO)/zirconio = 3000
(mol/mol), T = 30 °C, P = 1.08 atm.
b Analisi 13C NMR.
c Peso molecolare da analisi GPC
Dai risultati riportati nelle tabelle si possono trarre le
seguenti conclusioni:
i) Con il catalizzatore EBTHI è possibile controllare l’incorporazione di 4M1P fino a contenuti molto
elevati di comonomero con buone rese di polimerizzazione. I bassi pesi molecolari ottenuti escludono
tuttavia la possibilità di ottenere un materiale adeguatamente processabile.
ii) Con il catalizzatore MBI si ottengono copolimeri
con pesi molecolari adeguati per la processabilità dei
materiali. E’ evidente dai dati di produttività che le elevate incorporazioni di comonomero si ottengono solo
a scapito di notevoli abbassamenti di resa.
32
Tabella 3.3. Assegnazioni dei copolimeri propilene/4-metil-1-pentene a)
a)
Y = 4-metil-1-pentene, P = propilene, o = P o Y
33
Figura 3.4. Spettri 13C NMR di copolimeri a diverso contenuto di comonomero: (b) 1.9 mol%, (c) 35.9 mol%, e (d) 60.8 mol%. Gli
spettri degli omopolimeri polipropilene (a) e poli(4-metil-1-pentene) (e) sono riportati come riferimento. I terminali di catena e le regio
irregolarità sono riportate nello spettro a con un asterisco. Negli schemi di sequenze: Y = 4-metil-1-pentene, P = propilene
34
• Analisi termica
Analogamente, in Tabella 3.5 sono riportati i dati calorimetrici relativi ai copolimeri C3/4M1P ottenuti dal
catalizzatore MBI.
Per acquisire ulteriori informazioni sulle proprietà di
questi materiali, in particolare riguardo la loro processabilità, i nuovi copolimeri C3/4M1P sono stati caratterizzati dal punto di vista del comportamento termico (mediante calorimetria differenziale a scansione,
DSC) e strutturale (mediante raggi X ad alto angolo,
WAXD).
In Tabella 3.4 sono riportati i dati ricavati dall’analisi
termica DSC per i copolimeri C3/4M1P da EBTHI.
Tabella 3.5. Caratterizzazione termica dei copolimeri C3/4M1P
da catalizzatore MBI
Tabella 3.4. Caratterizzazione termica dei copolimeri C3/4M1P
da catalizzatore EBTHI
a) contributo all’entalpia di fusione derivante dalla cristallizzazione
in raffreddamento e da cristallizzazione a freddo: Tcc = 10.8°C,
ΔHcc = 17 J/g.
Nei campioni sintetizzati con catalizzatore MBI il
comportamento termico è analogo a quello visto per i
precedenti campioni ottenuti da EBTHI: la cristallinità
diminuisce con l’aumentare della quantità di comonomero, fino ad ottenere un copolimero amorfo intorno
al 10% molare di 4M1P (Tabella 3.5 e Figura 3.6).
a) cristallizzazione a freddo
Come evidenziato dai dati in tabella e in Figura 3.5 e
come atteso per copolimeri statistici, per concentrazioni superiori a circa il 10% molare di comonomero, la cristallizzazione è fortemente inibita; si riscontra soltanto una cristallizzazione in riscaldamento nel
campione contenente il 10% di 4M1P e una piccola
frazione di fase cristallina nei copolimeri al 16 e 20
mol % nella prima scansione, ovvero nel campione
precipitato da solvente successivamente alla sintesi.
La temperatura della transizione vetrosa (Tg) aumenta
all’aumentare del contenuto in comonomero 4M1P.
Figura 3.6. Tracce DSC in secondo riscaldamento dei copolimeri
da MBI.
In Figura 3.7 sono riportati gli spettri di diffrazione
dei raggi x ad alto angolo (WAXD) per una serie di
copolimeri ottenuti dal catalizzatore EBTHI. Mentre
nell’omopolimero PP di riferimento è rilevabile la sola
forma a del polipropilene isotattico, grazie al riflesso
tipico a 18.5 ° 2q, nei copolimeri fino al 6% in moli di
4M1P è presente la sola forma g, individuabile grazie
al riflesso a 20.1 ° 2q. Questo comportamento polimorfico è in linea con quanto noto per il polipropilene
isotattico ed i suoi copolimeri con alfa-olefine superiori: la presenza di comonomero che difficilmente
entra nel reticolo cristallino della forma a, diminuire
la lunghezza delle sequenze cristallizzabili e favorisce
di fatto la formazione del polimorfo a che si ottie-
Figura 3.5. Tracce DSC in secondo riscaldamento dei copolimeri
da EBTHI
35
ne quando le sequenze cristallizzabili sono più corte,
questo tanto più quanto il comonomero è ingombrato
stericamente, come nel caso del 4M1P. Nei copolimeri
a concentrazione maggiore di 4M1P è rilevabile solo
l’alone slargato dell’amorfo, confermando l’assenza di
cristallinità per i campioni ad alto contenuto di 4M1P,
già osservata con il metodo calorimetrico.
La drastica riduzione di cristallinità e di temperatura
di fusione che si riscontra sui campioni all’aumentare
del contenuto in comonomero, comporta una ridotta
lavorabilità del materiale rendendo quest’ultimo appiccicoso e difficilmente filmabile. Inoltre le proprietà
meccaniche subiscono un sensibile peggioramento.
Grazie a questa procedura si potrà ritenere assolutamente affidabile il prospettato incremento di permeabilità dovuto all’uso di un comonomero ramificato
rispetto ai convenzionali comonomeri lineari, tipo
1-esene. Dai campioni sintetizzati si sono ottenuti
dei film utilizzando una pressa Collin; ulteriori prove sono in corso per ottimizzare la procedura termomeccanica applicata, al fine di favorire l’omogeneità
del film per le successive misure di permeabilità. Sui
film preparati sono stati ottenuti risultati preliminari
molto promettenti, riportati in Figura 3.9. Estrapolando i dati, si osserva che a parità di contenuto di comonomero la permeabilità indotta dalla ramificazione del
4M1P sembra essere più elevata rispetto a quella ottenuta con 1-esene. L’effetto della ramificazione, molto
sensibile per il più basso contenuto di comonomero,
sembra tuttavia attenuarsi all’aumentare del contenuto. Questi risultati sono interessanti, tenuto conto del
fatto che l’intervallo fra il 3 ed il 6% in moli di comonomero è quello comunemente utilizzato nella produzione di copolimeri commerciali per imballaggio.
Figura 3.7. Spettri di diffrazione dei raggi x ad alto angolo per i
copolimeri da EBTHI
Scale-up e misure di permeabilità
L’insieme dei risultati sopracitati emersi dalla sintesi
e dalla caratterizzazione molecolare, microstrutturale, termica e strutturale dei copolimeri sintetizzati ha
orientato pertanto la scelta dei campioni da sviluppare per produrre quantità di materiale sufficienti per
il successivo processo di filmatura. Si è deciso di utilizzare esclusivamente il catalizzatore a base di MBI,
che permette di ottenere pesi molecolari adeguati e di
spaziare in un range di composizioni ristretto tra 3-4
fino a non oltre il 15% in moli di comonomero, per
avere materiali processabili.
In Figura 3.8 sono mostrate due autoclavi da laboratorio che permettono di ottenere rispettivamente 1-5 e
10-20 g di copolimero ad ogni preparazione.
Si è inoltre ritenuto opportuno confrontare i risultati
di permeabilità di questa serie di copolimeri C3/4M1P
con quelli ottenuti da un campione di polipropilene di
riferimento e da una serie di copolimeri propilene/1esene (C3/C6) tutti appositamente sintetizzati nelle
stesse condizioni e nello stesso range di composizioni.
Figura 3.8. Autoclavi a diverso volume 250 mL (a) e 2L (b) per la
produzione di copolimeri
Figura 3.9. Permeabilità all’ossigeno dei film ottenuti da copolimeri C3/4M1P e C3/C6.
36
B) Nuove formulazioni polimeriche ottenute
per miscelazione di due o più polimeri con o
senza additivi
La miscelazione competente e mirata di polimeri commerciali permette di ottenere formulazioni innovative,
dotate di nuove proprietà, a basso costo e a partire
dall’esistente. Inoltre, nell’attuale situazione dell’impresa italiana, in assenza o quasi di laboratori di ricerca
industriale e di produttori di materiali, la miscelazione
di polimeri commerciali è, di fatto, l’unica via per avere dei risultati trasferibili in tempi ragionevoli alle numerose imprese trasformatrici presenti sul territorio.
L’esperienza acquisita in precedenti progetti ha permesso di ottenere materiali polimerici con permeabilità aumentata e modulabile a partire da polipropilene
(PP) e poli(4-metil-1-pentene) (PMP) commerciali.
Materiali a base di polipropilene sono già utilizzati per
la produzione di film flessibili per confezionare prodotti vegetali di IV gamma. Nel nostro caso, la matrice
PP è stata miscelata nel fuso con un PMP contenente
piccole percentuali di polietilene a basso peso molecolare, che lo rendono più facilmente lavorabile. Il
poli(4-metil-1-pentene) era stato scelto per ottenere
materiali a base poliolefinica con aumentata permeabilità agli aeriformi grazie all’elevato volume libero
che lo caratterizza, dovuto alla presenza dell’olefina
ramificata, e che gli conferisce eccezionali proprietà
di trasporto.
Presso i nostri laboratori sono state dapprima preparate miscele , sotto elencate, a base di un PP commerciale (MOPLEN RP340H fornito da LyondellBasell
Industries), idoneo al contatto con alimenti, contenenti diverse percentuali in peso di PMP prodotto
commercializzato da Mitsui Chemicals Inc, con il
nome di TPX MX004®.
•
•
•
•
a
b
Figura 3.10. Estrusore bivite Brabender DSE 20 (a) e granuli
prodotti (b)
Le diverse miscele preparate (ottenute in forma di
granuli, Figura 3.10b, mediante l’uso di una taglierina)
sono state caratterizzate in termini di:
•
•
•
•
Caratteristiche molecolari
Parametri reologici
Comportamento termico
Caratteristiche morfologiche
Le masse molecolari e la loro distribuzione, sia per
i materiali di partenza sia per le miscele, sono state
determinate per cromatografia GPC. Si sono osservani parametri molecolari molto simili per i materiali
di partenza e per le miscele, con pesi molecolari medi
ponderali compresi nel range tra 380 e 460 kDalton
e polidispersità attorno a 3.5. La presenza del minor
componente PMP non influenza di fatto la curva di
distribuzione del peso molecolare della matrice.
I parametri reologici sono stati determinati mediante misure di reometria rotazionale condotte a 250°C
utilizzando una geometria a piatti paralleli e operando in regime oscillatorio nell’intervallo di frequenze
da 630 a 0.05 rad/s. In Figura 3.11 sono riportate le
curve della viscosità complessa in funzione della frequenza per la matrice PP e per le miscele. Le miscele
mostrano un comportamento molto simile tra loro: si
osserva una lieve diminuzione dei valori di viscosità
complessa all’aumento della quantità di PMP. Questi
risultati indicano immiscibilità dei singoli componen-
PP 100 (riferimento)
PP/PMP 95/5
PP/PMP 90/10
PP/PMP 80/20
Le miscele sono state preparate nel fuso mediante un
estrusore bivite Brabender DSE 20 (D = 20 mm; L/D
= 40; viti interpenetranti e corotanti) mostrato in Figura 3.10a, nelle seguenti condizioni operative: profilo di temperatura T1=130, T2=190, T3=220, T4=230,
T5=230, T6=240; velocità delle viti: 150 rpm.
37
ti e mostrano che la presenza di PMP non influenza
in maniera significativa le proprietà reologiche della
matrice. E’ possibile quindi prevedere che i parametri
di lavoro usati per la matrice PP possano essere usati
anche per miscele PP/PMP.
a
Figura 3.11. Viscosità complessa in funzione della frequenza per
PP e miscele PP/PMP
b
Il comportamento termico dei polimeri commerciali
PP e PMP e delle loro miscele è stato studiato mediante calorimetria differenziale a scansione (DSC).
La presenza di PMP non influenza le proprietà termiche della matrice di PP. Infatti i termogrammi delle
miscele con 10 e 20% di PMP mostrano la presenza
di due distinte temperature di fusione (Tm) e di cristallizzazione (Tc) agli stessi valori di quelle osservate per i singoli componenti. Questo comportamento
suggerisce una quasi completa immiscibilità dei due
componenti, confermando i dati reologici.
Dai granuli sono poi stati ottenuti dei film monostrato (spessore circa 70 μm, larghezza 10 cm) mediante estrusore monovite (Brabender19/25/D D = 19
mm, L/D = 25) accoppiato ad un filmatore a testa
piana (UNIX) (Figura 3.12). Condizioni di filmatura:
temperatura di estrusione, 250° C per tutte le zone;
temperatura ugello 260° C; velocità della vite 40 rpm;
temperatura della calandra di raccolta 30° C.
Figura 3.12. Estrusore e filmatore in testa piana
(a) per la produzione di film monostrato (b)
I film sono stati a loro volta caratterizzati in termini di:
•
Caratteristiche morfologiche
•
Proprietà meccaniche
•
Proprietà ottiche
•
Proprietà diffusionali
La morfologia dei film così come quella dei granuli
è stata analizzata mediante microscopia elettronica a
scansione (SEM) osservando la superficie di frattura
ottenuta in azoto liquido. Le condizioni di miscelazione utilizzate hanno permesso di ottenere una buona
distribuzione e dispersione del PMP nella matrice PP.
Nel caso dei granuli, indipendentemente dalla composizione, i domini sferici di PMP hanno dimensioni
inferiori o uguali a circa 300 nm. Come evidente dal
confronto delle micrografie SEM riportate in Figura
3.13, la successiva filmatura produce una certa coalescenza dei domini di PMP che arrivano ad avere dimensioni fino a 550 nm.
38
Test di trazione meccanica nella direzione di estrusione sono stati effettuati su tutti i film prodotti. I risultati
ottenuti indicano che le proprietà tensili delle diverse
miscele sono del tutto comparabili a quelle della matrice PP, in particolare in termini di modulo elastico e
allungamento a rottura.
I parametri diffusionali dei film nei confronti di O2
e CO2 sono riportati in Tabella 3.7. Si può osservare
un evidente aumento di permeabilità a entrambi i gas
all’aumentare di PMP. Si osserva inoltre un aumento
di selettività.
Tabella 3.7. Parametri diffusionali verso CO2 e O2 dei film PP/PMP
Dall’insieme di questi primi risultati è emerso che la
presenza di PMP in miscela con PP migliora, in maniera sensibile e modulabile, le proprietà diffusionali
di PP; e, nel contempo, non ne modifica significativamente le proprietà, specie quelle molecolari e reologiche da cui dipende la processabilità dei materiali.
Sulla base di questi promettenti risultati, la ricerca è
proseguita cercando di migliorare e/o modulare la
permeabilità dei film mantenendo al contempo le
caratteristiche di processabilità e di trasparenza della
matrice polipropilenica.
Ciò è stato realizzato operando nei seguenti modi:
Figura 3.13. Micrografie SEM della miscela PP/PMP
90/10: (a) granulo e (b) film.
La morfologia osservata al SEM è responsabile delle
proprietà ottiche (opacità e trasparenza) dei film (Tabella 3.6). Come prevedibile, rispetto alla matrice di
PP l’opacità dei film aumenta con la quantità di PMP
mentre la trasparenza diminuisce, rimanendo tuttavia
su valori accettabili per campioni sperimentali quali
sono i nostri. E’ da sottolineare, inoltre, che i valori di
opacità e trasparenza del campione con il 5% di PMP
praticamente non si discostano da quelli del PP.
• Aggiunta di additivi di processo polari per meglio
confrontare i nostri materiali con quelli presenti in
commercio
• Modifica delle condizioni di estrusione
• Utilizzo di altri gradi commerciali di PP, in modo
da aumentare trasparenza e permeabilità della matrice.
Tabella 3.6. Valori di opacità e trasparenza dei film di PP/PMP.
39
Aggiunta di additivi di processo e confronto con
film commerciali
Tabella 3.9. Proprietà diffusionali di film sottili
Al fine di poter confrontare le proprietà dei film prodotti dalle miscele PP/PMP a base di Moplen RP340H
con un film commerciale a base di polipropilene (tristrato di spessore circa 30 μm) sono stati preparati,
da alcune miscele selezionate, dei film sempre monostrato, ma dello spessore di circa 45 μm. Alla miscela
PP/PMP 95/5 sono stati addizionati anche uno scivolante a base di erucammide (ERU) ed un prodotto
antifog (AF), sia separatamente che assieme, in modo
da tener conto anche degli additivi che normalmente
vengono aggiunti a questo tipo di materiali in fase di
lavorazione. La presenza dello scivolante migliora la,
cosiddetta in gergo tecnico, “macchinabilità”, mentre
l’antifog impedisce la condensa di goccioline d’acqua
sullo strato interno della confezione che impediscono
al consumatore la buona visibilità del prodotto confezionato.
I dati ottenuti relativi alle proprietà ottiche, alle caratteristiche di scivolosità e all’efficacia antifog delle
formulazioni in esame sono riportati in Tabella 3.8.
Come nel caso degli analoghi film a maggior spessore, la permeabilità all’ossigeno cresce col contenuto di
PMP, portandosi a valori simili o superiori a quello del
film commerciale.
Rispetto al film 95/5 senza additivi, la presenza di AF
sembrerebbe influire negativamente.
Modifica delle condizioni di estrusione e utilizzo
di un’altra matrice PP
Al fine di migliorare permeabilità e trasparenza correlando i parametri di processo alla morfologia e alle
proprietà finali dei materiali sono state preparate altre
miscele provando ad aumentare la velocità delle viti
durante l’estrusione e la velocità del traino della taglierina (in modo da variare il flusso elongazionale in
uscita dall’estrusore).
Inoltre, sono state preparate anche delle analoghe miscele utilizzando un altro PP commerciale (Moplen
RP220M), con caratteristiche di trasparenza, brillantezza e saldabilità idonee all’utilizzo nell’imballaggio
di alimenti.
I granuli così ottenuti sono stati filmati nelle stesse
condizioni ed i film caratterizzati per quanto riguarda le proprietà diffusionali. In particolare, sono state
condotte misure di permeabilità all’ossigeno a 23°C e
0%UR. I risultati, unitamente allo spessore dei film,
sono riportati in Tabella 3.10. I valori sono espressi come velocità di trasmissione dell’ossigeno (OTR,
oxygen transmission rate) e coefficiente di permeabilità (KPO2).
In Figura 3.14 sono confrontati i valori di KPO2 ottenuti per i diversi film al variare: i) delle condizioni di
estrusione; ii) della composizione; iii) della matrice PP.
Tabella 3.8. Proprietà ottiche, caratteristiche di scivolosità e
antifog di film sottili
La presenza del minor componente PMP aumenta,
come prevedibile, l’opacità dei film, ma entro valori
comunque accettabili.
La presenza dello scivolante riduce di oltre il 50% il
coefficiente di attrito (COF) e, anche se la presenza
di antifog contrasta l’effetto dello scivolante, i valori sono confrontabili con quelli del film commerciale
usato come riferimento.
I film contenenti AF alla “prova del bicchiere” comunemente usata per valutare l’efficacia antifog mostrano un livello D/E ritenuto più che buono.
In Tabella 3.9 sono invece riportati valori di GTR per
ossigeno e anidride carbonica degli stessi film sottili a
confronto sempre con il film commerciale.
40
tà all’ossigeno; quest’effetto di composizione prevale
sulla variazione condizioni di preparazione dei campioni. A parità di composizione, ma a diversa matrice
si può osservare che il Moplen RP220M permette di
ottenere valori di permeabilità maggiori.
In ultimo, sulla base dei dati raccolti mentre le caratterizzazioni dei film erano ancora in corso d’opera,
si è deciso di preparare la miscela PP/PMP 85/15
(Moplen RP340H/TPX MX004) nelle seguenti condizioni di estrusione: profilo di temperatura T1=130,
T2=190, T3=220, T4=230, T5=230, T6=240, velocità delle viti 150 rpm, velocità di traino della taglierina 40 rpm, in quantità maggiore. In tal modo sono
stati prodotti circa 4 kg di granuli per la successiva
filmatura da eseguire presso i laboratori del Consorzio Proplast di Alessandria, in modo da avere un film
di larghezza maggiore (30 cm) e poter preparare delle
confezioni per vegetali di IV gamma da sottoporre ai
successivi test di shelf life.
Tabella 3.10. Dati diffusionali verso l’ossigeno e spessore di film
da miscele PP/PMP preparate in diverse condizioni e a diversa
matrice PP
Dai dati ottenuti si può osservare che a parità di composizione la velocità delle viti (150 o 300 rpm) durante l’estrusione non sembra influenzare molto la
permeabilità all’ossigeno; a parità di composizione e
di velocità delle viti, la velocità di traino della taglierina sembra invece avere maggiore influenza sulle proprietà diffusionali dei film: una velocità di traino più
alta favorisce un aumento della permeabilità. Questo
potrebbe essere spiegato in base al fatto che un maggior flusso elongazionale in uscita dall’estrusore porta
ad una maggiore orientazione dei domini di PMP nel
materiale estruso, materiale che poi viene riestruso nel
successivo processo di filmatura, ma a temperature
non così elevate rispetto alla fusione del poli(4-metil1-pentene) che avviene attorno ai 230°C. Il film finale
potrebbe dunque conservare una memoria dell’orientazione imposta in fase di estrusione e presentare una
morfologia orientata che potrebbe favorire la maggior
permeabilità osservata.
Concludendo, risultati di questa ricerca confermano la
bontà dell’intuizione iniziale riguardo la possibilità di
modulare le proprietà diffusionali di un film agendo
sulla struttura intrinseca del materiale. Si è messo in
evidenza infatti che in copolimeri propilene/4-metil1-pentene con un contenuto di comonomero compreso fra il 3 ed il 6% in moli la permeabilità è circa
doppia rispetto a quella dei corrispondenti copolimeri
propilene/1-esene. L’interesse di questo risultato consiste nel fatto che 3-6% in moli è più o meno il range
di composizioni dei copolimeri commerciali usati per
i film da imballaggio. Queste evidenze sperimentali potrebbero essere sfruttate non solo per ottenere
film più permeabili all’ossigeno, rispetto a quelli di uso
comune, da destinare ad usi specifici, ma anche per
ottenere le stesse proprietà diffusionali utilizzando un
contenuto inferiore di comonomero.
Per quanto riguarda le nuove formulazioni polimeriche ottenute per semplice miscelazione nel fuso di polimeri commerciali, si è messo in evidenza che percentuali relativamente basse di un polimero commerciale
a maggior costo, quale il TPX, in una comune matrice
polipropilenica sono sufficienti a conferire alla miscela una permeabilità quasi doppia rispetto a quella della
sola matrice, senza sacrificare nulla o quasi nulla riguardo alla trasparenza ed alle proprietà meccaniche.
Chiaramente le variazioni delle proprietà diffusionali
osservate nel corso di questa ricerca non sono elevate quanto quelle ottenute con i metodi tradizionali
di maggiore complessità, quali la microperforazione
o l’aggiunta di additivi intenzionali. Occorre tuttavia
tener presente che questi risultati riguardano film mo-
Figura 3.14. Valori di KPO2 di film di PP/PMP ottenuti da diverse formulazioni
Come già osservato per le precedenti serie di campioni, sia per la matrice Moplen RP340H che per la
matrice Moplen RP220M all’aumentare del contenuto
in PMP aumenta, in maniera modulata, la permeabili41
nostrato a base esclusivamente di poliolefine, quindi
completamente riciclabili e termovalorizzabili a fine
vita. Inoltre l’estrusione e la filmatura di questi materiali possono essere condotte nelle stesse condizioni
di processo impiegate per i polimeri commerciali di
uso comune. Il confronto con film commerciali ha
fornito risultati promettenti che potrebbero essere ulteriormente migliorati trasferendo i sistemi studiati su
impianti di estrusione in bolla per ottenere film biorientati caratterizzati da migliori proprietà meccaniche
e trasparenza.
Non ultimo occorre ricordare che si tratta di film per
vegetali freschi, destinati a restare sullo scaffale per
pochi giorni: pertanto un aumento della permeabilità
che permettesse di guadagnare anche un solo giorno
di shelf-life potrebbe essere interessante e utile.
42
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1998. Effetti delle proprietà barriera dell’imballaggio
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dell’Imballaggio. 19(6): 6
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Prodotti della Ricerca
Sensibilità di microrganismi indicatori di qualità
ad antimicrobici di origine naturale. Convegno
Conclusivo del Progetto Vegapack, Bergamo, 26
Settembre (*).
Losio, S., Forlini, F., Boccia, A.C. and Sacchi, M.C.
2011. Propene/4-Methyl-1-pentene Copolymers by
Metallocene-Based Catalysts: First Insight into 13C
NMR Assignment. Macromolecules, 44, 9: 3276–
3286.
Mascheroni, E., Limbo, S., Cozzolino, C., Marini, M.,
Piergiovanni, L. 2011. Ottimizzazione del processo di
incorporazione di antimicrobici di origine naturale in
materiali polimerici e valutazione dell’efficacia durante
la conservazione di insalate. Convegno Conclusivo del
Progetto Vegapack, Bergamo, 26 Settembre (*).
Mascheroni, E., Marini, M., Dugardin, A., Limbo, S.,
Basilissi, L., Di Silvestro G. and Piergiovanni, L. 2011.
Incorporazione e modulazione del rilascio di carvacrolo da matrici biopolimeriche per applicazioni di active packaging. Ricerche e Innovazioni nell’Industria
Alimentare. In stampa.
Losio, S., Taglialatela Scafati, S., Sacchi, M.C., Bertini,
F., Cerruti, P. 2011. Film poliolefinici con proprietà
modulabili per imballaggio alimentare. XX Convegno
Italiano di Scienza e Tecnologia delle Macromolecole
di AIM, Terni, 4 - 8 settembre.
Mascheroni, E., Di Silvestro, G., Basilissi, L., Farina,
H., Limbo, S. and Piergiovanni, L. 2011. Biocoating on PLA Film for Food Packaging Applications.
3rd International Conference on Biodegradable and
Biobased Polymers - BIOPOL 2011, Strasburg, 29-31
Agosto 2011.
Stagnaro, P., Boragno, L., Conzatti, L., Taglialatela
Scafati, S., Losio, S., Sacchi, M.C. 2011. Polyolefin Monolayer Films with Tuneable Permeability for Food
Packaging Applications.
XX Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle
Macromolecole di AIM, Terni, 4 - 8 settembre.
Tonesi, R. 2011. Il sostegno alla ricerca di Regione
Lombardia per il comparto orticolo. Convegno Conclusivo del Progetto Vegapack, Bergamo, 26 Settembre (*).
Piergiovanni, L. 2011. Qualità e Sicurezza dei prodotti
vegetali minimamente trattati (IV gamma) attraverso
imballaggi plastici funzionali. Presentazione del Progetto ed Introduzione ai Lavori. Convegno Conclusivo del Progetto Vegapack, Bergamo, 26 Settembre (*).
Losio, S., Sacchi, M.C., Stagnaro, P., Boragno, L.,
Galimberti, M., Piemontesi, F. 2011. Gradi di libertà
per il controllo delle sequenze in una catena polimerica ottenuta con una polimerizzazione non vivente.
XX Convegno Italiano di Scienza e Tecnologia delle
Macromolecole di AIM, Terni, 4 - 8 settembre.
Limbo, S. 2011. La qualità dei vegetali minimamente
trattati (IV gamma) nel corso della conservazione –
aspetti fisiologici. Convegno Conclusivo del Progetto
Vegapack, Bergamo, 26 Settembre (*).
Contato, R. 2011. Alla ricerca di nuovi materiali per la
IV gamma. Industrie Alimentari
(*) La presentazione può essere scaricata al seguente
link: http://www.siproadv.com/Vegapack
Franzetti, L. 2011. La qualità dei vegetali minimamente trattati (IV gamma) nel corso della conservazione
– aspetti microbiologici. Convegno Conclusivo del
Progetto Vegapack, Bergamo, 26 Settembre (*).
Sacchi, MC., Forlini, F., Losio, S. 2011. Modulazione
delle proprietà diffusionali in film poliolefinici monostrato. Nuovi copolimeri sintetici. Convegno Conclusivo del Progetto Vegapack, Bergamo, 26 Settembre (*).
Boragno, L., Conzatti, L., Stagnaro, P. 2011. Modulazione delle proprietà diffusionali in film poliolefinici
monostrato. Nuove formulazioni da polimeri commerciali. Convegno Conclusivo del Progetto Vegapack, Bergamo, 26 Settembre (*).
Rollini, M., Manzoni, M. 2011. Controllo della proliferazione microbica mediante l’impiego
di sostanze antimicrobiche di origine naturale.
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Quaderno della Ricerca n. 143