Manifesto per una formazione umanistica Una nuova iniziativa della Casa della Cultura: un manifesto, sottoscritto da 12 autorevoli studiosi, relativo alla formazione degli adulti. CONTRIBUTO DI VERGNANI PAOLO Rispondo a queste domande sulla formazione umanistica con un certo imbarazzo. Alcuni dei punti del “manifesto per una formazione umanistica” mi trovano in palese difetto. Ebbene sì sono un divulgatore, ho costruito un percorso professionale sfruttando in primo luogo le mie doti di intrattenitore e la mia capacità di semplificare concetti complessi, ovviamente violentandone la complessità e talvolta privilegiando l'effetto scenico e peggio, ho sempre fatto questo al soldo dell'azienda. Questa premessa personalistica potrebbe risultare sgradevole ed inopportuna, ma è il punto di partenza delle riflessioni che sto per proporre e, se volete, una scusa anticipata per il registro che utilizzerò che potrà apparire fuori luogo ma di fatto è l'unico che sento di padroneggiare. 1. Quale senso ha oggi la formazione degli adulti? Che compiti le possono essere affidati? Dal 1972 -e quindi dalla presentazione del Rapporto Faure da parte dell'Unesco-, il concetto di formazione permanente degli adulti è diventato intoccabile. Per cui, pena l'essere tacciati di eresia, la risposta è che sì, la formazione degli adulti ha senso, anzi: è indispensabile allo sviluppo della società. Ed essendo gli scenari continuamente mutevoli è essenziale che la formazione sia anche continua. Ognuno di noi rischia l'obsolescenza professionale in unità temporali così brevi da far sì che nessuno possa considerarsi al sicuro. Gran parte di quello che i nostri studenti imparano all'università sarà largamente superato quando troveranno il primo lavoro. Sui compiti strumentali quindi nessun dubbio, ma quali altri compiti potrebbe assolvere la formazione per adulti? In questi anni mi sono trovato coinvolto in operazioni che sfruttavano lo strumento teatrale o comunque il registro spettacolare per interventi formativi rivolti alla cittadinanza: dal senso civico a quello ecologico, dalla prevenzione delle malattie alla sicurezza nel traffico, dal pagare le tasse ai rapporti di buon vicinato. Operazioni interessanti ed innovative, nei termini e nei mezzi, con un unico vincolo: le persone che non pagano le tasse normalmente non vanno a vedere uno spettacolo sull'adempimento fiscale e anche ci andassero non è certo per questo che inizieranno a pagarle. Operazioni inutili quindi? No, credo che la funzione di questo tipo di intervento sia in primo luogo quella di ribadire a coloro che le tasse le pagano già che hanno ragione e che, anche se non è immediato coglierlo, sono più saggi dei cosiddetti furbi; ma soprattutto viene ribadito che ci sono comportamenti corretti e profonde motivazioni per gli stessi, ponendo quindi un confine in quella che potrebbe essere semplicemente una zona nebulosa ed indefinita. Naturalmente, al di là delle buone intenzioni, non è certo questa la formazione umanistica senza contare che in questo tipo di operazione è latente un'insidia che verrà ulteriormente illustrata nella seconda risposta: proporre una verità paradigmatica. 2. alcuni di noi ritengono importante che alla formazione degli adulti debbano essere affidati compiti di sviluppo complessivo della persona in senso umanistico e non solo funzioni strumentali. Condividi questa impostazione? Credo valga la pena di iniziare questa risposta raccontando uno dei più clamorosi insuccessi professionali della mia carriera. Una multinazionale mi affidò l'affiancamento ad un manager straniero nell'insediamento alla carica di amministratore delegato della filiale italiana. Si trattava di un uomo di poco più di quarantanni con un appannaggio da calciatore e al culmine di una carriera fulminante. Ovviamente tutto ciò aveva avuto qualche effetto collaterale, compreso due matrimoni falliti, un colore verdognolo, una serie di tic e scatti avvolti in una complessione fisica decisamente decadente. Insomma il tipo di persona per il quale l'unico dubbio è se pronosticare un infarto o un esaurimento nel giro di non più di cinque anni. Terminato il periodo di affiancamento il nostro rapporto è terminato e, come in ogni rapporto essenzialmente e francamente strumentale, ci siamo persi di vista. In realtà il soggetto mi stava decisamente simpatico e, al di là del fatto che l'intervento fosse mirato ad adattare i rigidi standard della multinazionale alle specificità italiane, nei nostri incontri, che spesso si svolgevano a cena, ci siamo abbandonati a conversazioni decisamente stimolanti. Anni dopo mi trovavo a Malpensa in attesa del mio volo quando mi si è avvicinato un signore sorridente. Indossava una improbabile camicia hawaiana e infradito, abbronzatissimo, tonico e sprizzante energia. In effetti c'era qualcosa di familiare in questa icona vivente dello skipper ma non riuscivo a metterlo a fuoco. Evidentemente il mio sconcerto era palese ed infatti il soggetto, che ovviamente era il nostro manager superstressato, si è presentato aggiungendo: “Sai ti ho pensato molte volte in questi anni e devo dire che le nostre conversazioni mi hanno cambiato la vita, adesso ho aperto il mio chiosco e vendo pesce fritto in Costarica”. La mia unica speranza è che la multinazionale non abbia mai associato il mio intervento formativo alla inattesa lettera di dimissioni del suo manager rampante. Sì lo riconosco, un fondo di beffardo orgoglio l'evento me lo ha regalato, naturalmente ho ben presenti i limiti di un intervento formativo e so che il cambiamento è avvenuto grazie ad una serie di fattori alimentati dall'atanor della sofferenza e finalmente coagulati in una apertura di possibilità; ma quando dico che si tratta di un insuccesso professionale non sto scherzando. Il mio ruolo era di affiancare questo manager per migliorare le sue prestazioni; la sua salute fisica e psichica e la sua felicità non erano in alcun modo tra gli obiettivi di mia competenza. L'azienda aveva investito su quest'uomo e in qualche modo anche su di me e si è trovata di fronte ad una cospirazione. Uso il termine nell'accezione di Ivan Illic1: conspiratio, il respiro comune su cui si fonde la pax. Un momento di condivisione e crescita reciproca che ha avuto come esito o se preferite effetto collaterale una epifania di possibilità in origine non contemplate. Esattamente quello che, credo di avere capito, sia l'obiettivo della formazione umanistica. E con questo credo di avere impostato già la metà della risposta. La metà che riguarda l'unico tipo di formazione che conosco decentemente, quella manageriale. E' pensabile una formazione manageriale umanistica che non sia solo strumentale? Pensabile lo sarebbe anche, semplicemente faccio fatica a vedere una azienda disposta a commissionare una formazione umanistica. Nel 1977 Rosabeth Moss Kanter2 applicò per la prima volta al gergo aziendale un neologismo nato all'interno delle lotte civili per i diritti delle minoranze e così, a dispetto dell'estetica, i formatori di 1 Illich I. Elogio della cospirazione - discorso tenuto il 14 marzo 1998 a Villa Ichon (Brema), in occasione del conferimento del Premio per la cultura e la pace della città di Brema 2 Moss Kanter R. Men and Women of the Corporation, 1977, Basic Books tutto il mondo hanno cominciato a tracimare empowerment come se fosse il nuovo vangelo. Il diktat per le organizzazioni diventa empowerizzare, e la gestione delle risorse umane viene sostituita con sdegno dal ben più empowerizzante sviluppo delle risorse umane. Però sempre di risorse si tratta e, al di là del fatto che si è trattato di una moda passeggera tanto che nel 2010 l'Harvard Business Review3 dedica un intero numero alla tendenza delle aziende ad assumere militari o comunque applicare strategie militari nei ruoli di comando e riporta entusiastiche recensioni di una serie di testi che applicano i modelli militari al mondo aziendale, appare quantomeno paradossale che una azienda investa per far si che le persone acquistino una capacità critica. No sto esagerando. La capacità critica serve e viene insegnata nelle organizzazioni. Anzi dentro le organizzazioni, del resto è utile: serve a ridurre il rischio di cantonate, il gruppo pensiero, il paradosso di Abilene4 o semplicemente ad evitare di farsi infinocchiare da un fornitore. Però stiamo parlando di una capacità critica dentro il sistema, parafrasando Bateson5 potremmo dire che si tratta di una capacità critica di livello uno. Ma uno spirito critico che non si accontenti di essere dentro al sistema ma possa allargare la sua visuale, come il quadrato di Abbott6 che incontra la terza dimensione o anche solo come un batesoniano “lemming sardonico”, potrebbe rappresentare un pericolo per la struttura ed è difficile pensare che la struttura investa per qualcosa che potrebbe rappresentare un pericolo per la struttura stessa; piuttosto al formatore è richiesto di agire da “custode del tempio”7 e l'unica “forma” che conta è quella della lealtà ai principi aziendali. E così la prima metà della risposta è data. Ma resta aperta l'altra metà della risposta. E fuori dall'azienda? Allora forse spetta allo stato erogare una formazione umanistica o forse prima ancora alla comunità o all'ente educativo primario: la famiglia. Certo la risposta in questo caso è affermativa e, come primo impatto, lo è senza riserve. Però in seconda battuta mi viene da estendere buona parte delle riflessioni fatte per l'azienda anche alle altre entità. Ogni struttura tende a difendersi e a durare nel tempo. Ogni struttura tende ad organizzarsi gerarchicamente e quindi attivare meccanismi collegati al potere; ed in più ogni struttura deve confrontarsi con la devianza. Una devianza che già gli antichi riconoscevano come ineliminabile ma che deve essere in qualche modo messa sotto controllo, istituzionalizzata. Diversi sono i modi per ottenere questo risultato: circoscriverla temporalmente come nel carnevale, circoscriverla ad alcuni settori, emarginarla, sanzionarla, curarla o costruire una cornice epistemologica entro la quale possa esprimersi senza danno come ad esempio nell'arte. Focault ha messo bene in evidenza sia gli aspetti più diretti8 sia quelli più sottili9 e d'altro canto Girard10 ha anche mostrato il potere omeostatico della devianza che può addirittura diventare un elemento di coesione. Degli altri. Di quelli normali o almeno normalizzati. All'interno della stessa famiglia si imparano confini e gerarchie e i modelli educativi sono comunque improntati a conformare alle aspettative e confermare ruoli e strutture. Dunque se parliamo di formazione umanistica e associamo a questo il concetto di coscienza critica, la risposta diventa un sì ma entro determinati limiti: quelli che comunque proteggono e contribuiscono all'omeostasi del sistema stesso. 3 4 5 6 7 8 9 10 Harvard Business Review – Special Spotlight, 2010 November, Harvard Business Publishing Harvey, Jerry B. The Abilene paradox and other meditations on management, 1988,. Lexington Bateson G. Verso un ecologia della mente, 1977, Adelphi Abbott E.A. Flatlandia, 2003, Adelphi Marzano M. Estensione del dominio della manipolazione, 2009, Mondadori Focault M. Storia della follia nell'età classica, 1963, Rizzoli Focault M. Le parole e le cose, 1967, Rizzoli Girard R. La violenza e il sacro, 1980, Adelphi 3. se la risposta è affermativa, quali metodologie e quali tecniche possono essere utilizzate in coerenza con tale obiettivo? Dati questi limiti, che sono strutturali in quanto legati alla committenza della formazione, nonostante la risposta sia solo parzialmente affermativa, vorrei riflettere sui mezzi che in qualche caso possono diventare a loro volta elementi di fondo. Nel manifesto per la formazione umanistica più volte si invita all'evitamento della logica dell'intrattenimento; su questo aspetto mi trovo in posizione critica per diversi motivi. Il primo è ovvio: perché mi sento chiamato in causa e devo difendere il mio operato, ma su questo non mi soffermo pur dichiarandolo in nome dell'onestà intellettuale. Il secondo è che sono nato nel 1958, ovvero in un anno in cui l'analfabetismo in Italia si avvicinava al 40 per cento. L'anno successivo alla mia nascita è approdata in televisione la trasmissione “Non è mai troppo tardi” nella quale Alberto Manzi, armato di lavagna e gessetto (anche se poi proporrà strumenti per l'epoca innovativi come il proiettore a lucidi), insegnava a classi di adulti a leggere e scrivere. Che lo si voglia oppure no Manzi non è stato solo un grande insegnante ma è stato un divulgatore e anche un intrattenitore. La sua forza era di permettere alle persone di avvicinarsi a temi complessi senza resistenze e sensi di inferiorità, e il punto su cui faceva presa era che imparare poteva essere piacevole e persino divertente. In effetti anche ai giorni nostri non possiamo prescindere, parlando di formazione dai dati legati alla lettura: secondo l'Istat nel 200911 solo il 45,1 della popolazione aveva letto almeno un libro nell'ultimo anno, mentre la categoria dei lettori voraci (almeno un libro al mese) è solo del 15,2. Poi certo ci sono i giornali, il web, e naturalmente radio e televisione, ma la distanza dal libro non può non essere considerata un indicatore: del fatto che molti adulti hanno resistenze ad avvicinarsi ad ogni coinvolgimento culturale che non sia di immediata fruizione. Il terzo è nel rischio dell'autoreferenzialità in cui rischia di cadere un mondo formativo che si rinchiude in sé stesso. Questo atteggiamento può rivelarsi sterile, contribuendo ad aumentare l'apertura della forbice tra chi, già formato e abituato a ricercare nuove occasioni di etero ed autoformazione, si trova a suo agio anche con linguaggi complessi e sfide intellettuali e chi, per ragione diverse, di fronte agli stessi linguaggi e alle stesse modalità trova solo un'atteggiamento di superiorità si sente escluso e perde anche la già scarsa motivazione ad intraprendere un percorso di ricerca. E così, ancora una volta, proprio chi si trova ad aver il maggiore bisogno di formazione si trova tagliato fuori. Certo che la spettacolarizzazione fine a sé stessa rischia di essere vuota e infondere false sicurezze, certo che le statistiche sulla lettura non parlano della qualità di quello che viene letto, però intanto avere accesso allo strumento lettura, sia pure per testi di levatura non eccelsa, significa avere accesso ad un mezzo diverso e potenzialmente a nuove prospettive ed interessi. Credo che una formazione umanistica abbia il dovere di superare i preconcetti legati ai mezzi ed entro certi limiti ai registri, la stessa opera lirica ed il fumetto, oggi indiscutibilimente elevati al rango di arte, agli inizi venivano considerati con disprezzo mezzi di pseudocultura popolare. Ed ecco la sfida che si trova davanti il formatore umanista: la capacità di intervenire anche in situazioni di difficile accesso, con persone scarsamente propense all'apprendimento e alla ricerca, senza imbrigliarsi in tabù e vincoli che recitano che se non è noiosa e pedante (ed esclusiva) non è vera cultura. Il nuovo strumento per eccellenza, la rete, offre, insieme a indubbie insidie, un panorama variegato di possibilità e anche qualche idea decisamente innovativa. La stessa nascita di Wikipedia rappresenta un modo nuovo di trattare la conoscenza oltre che di intendere il senso di comunità: migliaia di persone in tutto il mondo che, non pagate e senza nemmeno un riconoscimento, mettono a disposizione tempo e 11 Istat Rapporto sulla lettura dei libri in italia 2010 conoscenze in nome della condivisione dei saperi. Fenomeni come le conferenze del Ted sono esempi di come contenuti complessi possano essere trattati in modo brillante senza per questo svuotarli di valore e contenuto; lo stesso mondo accademico pare rassegnarsi a questa nuova frontiera e ormai sono gratuitamente disponibili i video o i podcast delle lezioni delle più esclusive università. Per non parlare di un fenomeno nuovo e dirompente quale quello dei “tutorial”: praticamente qualunque attività pratica -da un manicaretto indonesiano, alla costruzione di un velivolo- può essere imparata guardando un tutorial su youtube, ovvero un video che un altro utente ha messo online in maniera libera e gratuita. Certo non è formazione umanistica, ma è un indicatore del livello di varietà degli strumenti che sono oggi a disposizione di chi vuole imparare e anche di un nuovo mondo di opportunità che il formatore umanistico non può evitare di considerare. Per la prima volta nella storia il punto focale non è l'accesso alle informazioni ma la possibilità di selezionarle, la motivazione ad andarle a cercare e la capacità di elaborarle in modo critico. Il formatore umanistico è per definizione impegnato sull'ultimo fronte ma ritengo debba assumersi anche la responsabilità del secondo trasmettendo al maggior numero di persone il piacere della ricerca, aderendo così, per quanto di sua pertinenza, all'imperativo etico di Heinz von Foerster12: “allargare sempre il numero delle possibilità”. 12 Von Foerster H. La verità è l'invenzione di un bugiardo, 2001, Meltemi