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L’acquisizione linguistica e la glottodidattica umanistico-affettiva e funzionale
Paola Begotti
L’ACQUISIZIONE LINGUISTICA E LA
GLOTTODIDATTICA
UMANISTICO - AFFETTIVA E
FUNZIONALE
di Paola Begotti
LABORATORIO ITALS – DIPARTIMENTO DI SCIENZE DEL
LINGUAGGIO
UNIVERSITA’ “CA’ FOSCARI” - VENEZIA
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Introduzione
PARTE A: Acquisizione linguistica e didattica umanistico affettiva
1.Funzionamento del cervello
1.1 Bimodalità
1.2 Direzionalità
1.3 Modal focusing
2. Il meccanismo per l’acquisizione linguistica
2.1 Acquisizione/Apprendimento
2.2 Input comprensibile
2.3 Ordine naturale
2.4 Filtro affettivo
2.5 Funzione monitor
3. La motivazione
3.1 La motivazione basata sul dovere
3.2 La motivazione basata sul bisogno
3.3 La motivazione basata sul piacere
4 La glottodidattica umanistico - affettiva
PARTE B: Glottodidattica funzionale
5. La glottodidattica funzionale
5.1 L’approccio funzionale
5.2 Le funzioni di Jakobson
5.3 Le funzioni di Halliday
6.Il modello funzionale integrato
6.1 La funzione personale
6.2 La funzione interpersonale
6.3 La funzione regolativo-strumentale
6.4 La funzione referenziale
6.5 La funzione poetico-immaginativa
6.6 La funzione metalinguistica
PARTE C: modelli operativi e tecniche didattiche per la didattica
umanistico affettiva e funzionale
7. Modelli operativi
7.1. Le tecniche
7.1 Tecniche comportamentistiche
7.2 Tecniche simulative
7.3 Tecniche manipolative
8. Alcune tecniche didattiche utili per la glottodidattica umanistico affettiva
e funzionale
8.1 La drammatizzazione
8.2 Il roleplay
8.3 Il dialogo aperto/ a catena
8.4 Le tecniche ludiche
9. La glottodidattica funzionale e l’uso dei mezzi multimediali
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INTRODUZIONE
La psicologia umanistica di Carlo Rogers pone al centro delle attività
didattiche l’uomo con le sue peculiarità psicologiche e cognitive. Per quanto
riguarda in particolare la glottodidattica, la visione umanistica pone la
necessità non tanto di “insegnare una lingua”, ma di “insegnare una lingua
ad una persona”. Il docente non deve insegnare soltanto l’aspetto
linguistico, la sua forma, ma tendere all’acquisizione da parte degli
studenti soprattutto del suo uso tenendo sempre conto delle caratteristiche
di ciascun discente. La nozione di “competenza comunicativa” nasce dalla
necessità di non ridurre l’utilizzo della lingua a puro sapere grammaticale,
ma di “saper fare con la lingua”, sapere cioè di che cosa parlare, con chi,
come e quando.
Dallo studio di questo modulo risulterà chiaro, inoltre, come il termine
“glottodidattica funzionale” significhi considerare le varie funzioni della
lingua, la cui conoscenza non può prescindere da competenze di tipo
pragmalinguistico, sociolinguistico e culturali, e proporle agli studenti
inserendole in situazioni comunicative realistiche. Al centro dell’azione
didattica si pone l’allievo con i suoi bisogni comunicativi ed in base a questi
si costruisce il sillabo linguistico: sarebbe demotivante, infatti, per un
ragazzo che non conosce assolutamente l’italiano affrontare la lingua per la
prima volta partendo dalla letteratura, come del resto per chi ha un livello
alto di conoscenza, prendere in esame solamente situazioni comunicative di
base. Il percorso didattico, quindi, dovrà proporre sempre una o più
funzioni comunicative, fornendo le nozioni basilari e le strutture per
realizzarle, offrendo un’ampia gamma di eventi comunicativi e di materiali,
utilizzando mezzi e canali il più possibile vari per diversificare gli stimoli.
Attivare canali percettivi diversi significa, infatti, accrescere la motivazione
e la capacità di comprensione dello studente.
Questo modulo, concludendo, si propone di essere il punto di partenza per
una riflessione più ampia sull’argomento, riprendendo alcuni concetti
sicuramente già conosciuti dagli insegnanti, ma affrontati dal punto di vista
della glottodidattica dell’italiano come L2.
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PARTE A: Acquisizione linguistica e didattica umanistico affettiva
1. IL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO
Per introdurre la glottodidattica Umanistico-affettiva e Funzionale si ritiene
essenziale partire dal modo in cui funziona il cervello rapportato alla
neurolinguistica, esaminando brevemente i fondamentali principi definiti da
questa scienza, ossia bimodalità, direzionalità, modal focusing.
1.1 BIMODALITÀ
Mentre la neurologia ha definito con molta precisione il fatto che i due
emisferi cerebrali (collocati a sinistra e a destra del cranio) lavorano in
maniera specializzata, la psicologia, invece, ha individuato la natura di tale
specializzazione. Si affidano all’emisfero sinistro i compiti di natura
analitica, sequenziale, logica, all’emisfero destro quelli di natura
globalistica e simultanea.
Secondo questo concetto, la lingua non attiva soltanto le circonvoluzioni
dell’emisfero sinistro che governano il linguaggio verbale ( chiamate aree di
Broca e di Wernicke), ma coinvolge entrambi gli emisferi in un’azione
complementare e specializzata. L’emisfero destro, che coordina anche
l’attività visiva, ha una percezione globale, simultanea, analogica del
contesto e presiede alla comprensione delle connotazioni, delle metafore,
dell’ironia, mentre l’emisfero sinistro, che secondo la teoria della
dominanza cerebrale presiederebbe alle funzioni superiori, è la sede
dell’elaborazione linguistica, ha una percezione analitica, sequenziale,
logica (causa - effetto; prima - dopo) e presiede alla comprensione
denotativa.
Se l’obiettivo è quello di procedere “secondo natura”, è essenziale attivare
entrambe le modalità del cervello, per sfruttare completamente la
potenzialità di acquisizione della persona, cioè coinvolgere l'intera mente
dell'allievo. Il modello di unità didattica di origine Gestaltica, di cui si
parlerà successivamente, si basa proprio su un continuo rimando tra i due
emisferi e pure il modello glottodinamico di Titone comporta un’azione
bimodale del cervello. E’ da osservare, però, che bisogna sempre tener
presente la diversa formazione così come avviene nei vari paesi. Ad
esempio, i bambini occidentali vengono da una scuola e da una società che
privilegia l’emisfero sinistro, mentre gli orientali, come pure i
sudamericani, vengono da una scuola e società che privilegiano l’emisfero
destro: questa differenza di impostazione va, dunque, senz’altro tenuta in
debito conto nell’impianto didattico al fine di ottenere dagli studenti il
massimo risultato possibile.
1.2 DIREZIONALITÀ
Se è pur vero che il cervello opera secondo due modalità diverse a seconda
dell’emisfero, tuttavia le informazioni vengono comunque elaborate dal
cervello secondo la direzione che va dall’emisfero destro (globalità,
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visualizzazione, contestualizzazione, analogia, simultaneità) verso quello
sinistro (analisi, verbalizzazione, logica, sequenzialità). Dal punto di vista
della glottodidattica, agiscono “secondo natura” solo i modelli di natura
induttiva. Per “metodo induttivo” si intende una serie di processi che
portano ad apprendere a: osservare la lingua con cui si entra in contatto;
sulla base dell’osservazione si possono
• formulare delle ipotesi; le quali si devono poi
• verificare nella realtà quotidiana o attraverso conferme da parte
dell’insegnante; poi si dovrà
• valutare se la nuova regola intuita, ipotizzata e verificata è di tale
portata che valga la pena
di essere fissata, trasformandola in un processo automatico.
Il processo induttivo è, per sua natura, implicito, basato sull’opera
autonoma del Language Acquisition Device. Tuttavia, alla base di tutto ciò
sta la consapevolezza delle varie fasi del processo di induzione, cioè la
riflessione sulla lingua.
A differenza del metodo induttivo, quello deduttivo propone subito le regole
allo studente che le deve solamente memorizzare e applicare
successivamente.
1.3 MODAL FOCUSING
Il modal focusing è un meccanismo neurolinguistico che integra in parte il
principio di direzionalità: l’acquisizione procede dalla modalità destra a
quella sinistra del funzionamento del cervello, però è altrettanto vero che,
secondo il principio di modal focusing, durante l’apprendimento è
necessario “mettere a fuoco” la modalità sinistra, per dare l’opportunità a
tale emisfero di ristrutturare, dal punto di vista neurolinguistico, le proprie
conoscenze. In sostanza, l’apprendimento che tiene conto delle
caratteristiche di una persona nella sua complessità, nonché della natura
unitaria dell’oggetto di apprendimento, procede dal globale all’analitico.
2. IL MECCANISMO DELL’ACQUISIZIONE LINGUISTICA
Le indicazioni della psicolinguistica per ciò che riguarda il meccanismo
dell’acquisizione linguistica (LAD, Language Acquisition Device, secondo la
definizione di Chomsky) ed il sistema di supporto all’acquisizione linguistica
(LASS, Language Acquisition Support System, secondo la definizione di
Bruner) che lo sostiene sono tra le teorie principali che spiegano il
meccanismo dell’acquisizione della lingua, assieme alla più diffusa teoria
dell’acquisizione della seconda lingua, la Second Language Acquisition
Theory di Stephen D. Krashen elaborata negli anni Settanta, che sta alla
base del suo approccio chiamato “naturale”.
2.1 ACQUISIZIONE E APPRENDIMENTO
Krashen distingue tra l’acquisizione profonda, stabile, che genera
comprensione e produzione linguistica con processi automatici, e
l’apprendimento razionale e volontario, ma di durata relativamente breve,
che funge da monitor per l’esecuzione linguistica. Quando si produce
apprendimento, si può avere la sensazione temporanea di aver ottenuto un
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risultato positivo, ma in realtà si tratta di un fatto temporaneo e non è
generativo di comportamento linguistico autonomo. A tal fine è
importantissimo che l’insegnante rifletta continuamente sul suo operare
quotidiano, analizzando quali delle sue azioni didattiche sono finalizzate
all’apprendimento e quali all’acquisizione. L’acquisizione è un processo
matetico inconscio, che sfrutta le strategie globali dell’emisfero destro del
cervello insieme a quelle analitiche dell’emisfero sinistro. Quanto viene
acquisito viene a far parte stabile della competenza di ogni persona ed è
sulla competenza linguistica che si basa la produzione linguistica di
ciascuno di noi. D’altro canto l’apprendimento è un processo razionale,
governato dall’emisfero sinistro e basato sulla memoria a medio termine,
non è, perciò, definitivo. Si è spesso discussa la possibilità che
l’apprendimento razionale possa trasformarsi, alla fine, in acquisizione, ma
la risposta di Krashen è negativa, mentre altri studiosi credono che, in
condizioni adatte, anche l’apprendimento possa portare all’acquisizione.
Alla base della teoria di Krashen sta, comunque, l’idea che si debba
lavorare con metodologia induttiva per provocare acquisizione all'allievo.
Oltretutto nel campo della didassi quotidiana bisogna tener anche presente
che esistono varie esperienze pregresse di apprendimento: per esempio,
arabi e cinesi impostano l’apprendimento su una tradizione di tipo
mnemonico e questo li può mettere in difficoltà in una situazione scolastica
italiana, dove è spesso richiesto il riassunto oppure l’elaborazione di quello
che hanno letto e non la sua ripetizione mnemonica.
Perché avvenga il processo di acquisizione, devono verificarsi, tuttavia, le
condizioni della Second Language Acquisition Theory descritte nei
paragrafi seguenti.
2.2 INPUT COMPRENSIBILE
Krashen afferma che la lingua viene acquisita esponendo l’allievo al
significato di un conprehensible input, purché questo sia reso comprensibile
dall’insegnante, a patto cioè di fornire il Language Acquisition Support
System e di seguire l’ordine naturale di acquisizione. L’input può essere,
orale, scritto o audiovisivo. Solo dopo aver fornito un input comprensibile, il
meccanismo del Language Acquisition Device si mette in moto.
2.3 ORDINE NATURALE
Si tratta di un principio di graduazione del materiale (cioè si inizia dal
presente, non dal passato; dall’affermativo, non dal negativo; ecc.) che è
abbastanza conosciuto empiricamente, ma ancora relativamente
sconosciuto sul piano teorico. Nella teoria di Krashen l’ordine naturale ha
un ruolo ben preciso simbolizzato dalla formula “i + 1”, in cui “i” è l’input
che è già stato acquisito. L’ordine naturale di acquisizione è una
successione di elementi linguistici collocati in sequenza temporale. Perciò,
prendendo un punto a caso della sequenza, tutti gli elementi che vengono
prima di quel punto sono condizione necessaria per poter acquisire i
successivi. Se si insegna la nozione “i + 3”, che nell’ordine naturale si
colloca 3 passi avanti rispetto ad “i”, essa non sarà acquisita stabilmente,
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ma sarà soltanto appresa e collocata nella memoria a medio termine. Se nei
giorni successivi vengono insegnati anche “i + 1” e “i + 2”, allora il LAD
acquisirà automaticamente anche “i + 3”. Se i due anelli mancanti non
vengono forniti, allora “i + 3” andrà perduto.
2.4 FILTRO AFFETTIVO
Non basta che venga offerto input comprensibile al livello giusto nell’ordine
naturale perché si abbia acquisizione, serve una terza condizione, l’assenza
di un filtro affettivo, ossia di quella forma di difesa psicologica, quel muro
emotivo che la mente erge quando si è chiamati ad agire in stato di ansia,
quando si ha paura di sbagliare, quando si teme di mettere a rischio la
propria immagine e quindi viene minata l’autostima. In presenza di un filtro
affettivo attivato non si può avere acquisizione, ma soltanto apprendimento.
2.5 FUNZIONE MONITOR
La funzione “monitor” è il controllo che l’apprendimento razionale esercita
sulla lingua prodotta dalla competenza acquisita. Tale funzione si manifesta,
rallentando un po’ la velocità del parlare, prima che le frasi siano
effettivamente articolate.
3. LA MOTIVAZIONE
Per mettersi in moto e continuare a funzionare, mente e cervello hanno
bisogno di motivazione. Senza motivazione non c’è acquisizione e, spesso,
neanche apprendimento. Tradizionalmente si identificano due tipi di
motivazione:
a) integrativa (tipica dello studio della lingua seconda; rimanda alla volontà
di inserirsi in un gruppo);
b) strumentale (tipica dello studio della lingua straniera; è il mezzo di
contatto negli incontri con italiani o nelle visite in Italia).
Nel caso dell’Italiano esiste, tuttavia, anche una terza motivazione, che si
può definire culturale (interesse per l’arte, il cinema, l’opera lirica, ecc.).
Tra i problemi affettivi che ostacolano la motivazione compare quello
dell’estraneità, soprattutto se viene percepita una forte distanza psicologica
tra la lingua - civiltà nazionale e quella straniera. Per consentire un
dépaysement, Porcelli indica tre percorsi:
- un percorso condizionante (nell’italiano come lingua seconda), in cui
l’allievo è condizionato dalla realtà esterna (in questo caso, quella italiana);
- un percorso sereno ( nell’italiano come lingua straniera), basato sull’aula
di italiano pensata come se fosse un lembo di Italia all’estero;
- un percorso integrato (ancora nell’italiano come lingua seconda) basato
sulla presenza dell’italiano a scuola (tramite i mass media, le comunità
italiane locali, gli Istituti Italiani di Cultura).
L’avvicinamento psicologico risulta essenziale per la costruzione ed il
sostegno della motivazione all’acquisizione dell’italiano.
Secondo quanto definito da Titone, l’apprendimento è un processo
governato dall’io, che sulla base di motivazioni proprie elabora una
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strategia per soddisfare i suoi bisogni, quindi entra in contatto con la realtà
da apprendere. Sulla base di ciò che ha ricevuto (input), il cervello riflette e
sistematizza. Se l’ego riceve un feedback positivo la motivazione profonda
viene mantenuta ed incrementata.
Tuttavia, occorre anche che si mantenga viva la motivazione quotidiana, ora
dopo ora. Si dovrà, quindi, offrire in ogni momento a chi apprende il piacere
di essere coscienti del processo di apprendimento, di essere guidati
nell’acquisizione con procedure non ripetitive, di sentirsi proporre input
significativi, di trovarsi di fronte a sfide superabili, di sentire soddisfatto
(soprattutto nel caso di allievi adulti) il bisogno di sistematizzazione
grammaticale.
Le fonti principali della motivazione sono il dovere, il bisogno e il piacere,
concetti che verranno sviluppati nei paragrafi successivi.
3.1 LA MOTIVAZIONE BASATA SUL DOVERE
Per ciò che riguarda la motivazione basata sul dovere si sottolinea che è
quella più lontana dall’acquisizione e invece porta generalmente ad
apprendimento, facendo leva sulla memoria a breve termine. Nel caso di
motivazione basata sul dovere bisogna, tuttavia, porre particolare
attenzione soprattutto nei riguardi di bambini ed adolescenti, perché,
quando una persona si sente costretta ed obbligata, scatta inevitabilmente
il meccanismo del filtro affettivo che va a bloccare il processo di
acquisizione e tale tipo di utenza difficilmente riesce a superare tale
difficoltà.
3.2 LA MOTIVAZIONE BASATA SUL BISOGNO
Questo tipo di motivazione è sicuramente efficace nell’insegnamento ad
adolescenti e ad adulti, i quali riescono ad individuare chiaramente i loro
bisogni, ma è poco adatta all’insegnamento ai bambini, sia perché il
concetto del bisogno futuro è estraneo alla psicologia dell’infanzia, sia
perché la maggior parte dei bisogni contingenti (per esempio comprare il
biglietto dell’autobus, o fare un ordine al ristorante) viene risolta dagli
adulti. Su questo tipo di motivazione il docente deve far leva di solito
all’inizio del corso di lingua per rendere consapevoli e responsabili del
percorso didattico gli apprendenti: per far capire allo studente perché ci si
basa su una progressione funzionale, anziché grammaticale; all’inizio
dell’unità: quando si presentano i bisogni da soddisfare e su cui lavorare
per poterli soddisfare; durante l’unità didattica: quando si aiutano gli allievi
a superare il concetto utilitaristico, per arrivare a scoprire il bisogno di
imparare ad imparare.
3.3 LA MOTIVAZIONE BASATA SUL PIACERE
E’ sicuramente la forma più efficace di motivazione ed, in ambito scolastico,
si può esplicitare nel piacere di apprendere, nel piacere di superare le
sfide, nel piacere della varietà (sia culturale: per esempio, la curiosità di
scoprire l’Italia; sia per ciò che riguarda l’attenzione: un’attività troppo
lunga annoia, quindi demotiva), nel piacere del gioco (Freddi G., 1990),
soprattutto utile per impostare attività di drammatizzazione e di
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simulazione (Caon-Rutka, 2004). Va, inoltre, detto che è sicuramente
stimolante in ambito scolastico il piacere di imparare perché spinge a
conoscere sempre cose nuove, ed in particolar modo quando gli studenti
sono individui adulti, persone con un vissuto alle spalle che riescono a
“gustare” il piacere dello studio (Begotti, 2006).
4 LA GLOTTODIDATTICA UMANISTICO-AFFETTIVA
Poste queste fondamentali premesse indispensabili per comprendere
quanto si affermerà successivamente, si affronteranno ora i principi che
governano la glottodidattica umanistico-affettiva, la quale, sviluppatasi a
partire dagli anni Settanta sotto la spinta della psicologia umanistica di Carl
Rogers, si contraddistingue per la centralità che assumono gli aspetti
affettivi, relazionali e l’attenzione verso l’autorealizzazione.
Tale approccio e tutti i metodi che da esso sono scaturiti presentano una
grande attenzione al concetto di filtro affettivo e a tutti gli aspetti
dell’emotività, come del resto la psicologia umanistica da cui prende origine,
secondo la quale quando si crea un clima di autentica fiducia e libertà, la
persona sceglie strade costruttive e positive.
L’apprendente viene considerato nella sua totalità, non solo per la sua
razionalità, ma anche per tutta la sfera di sentimenti e inclinazioni che
comunque influenzano la sua percezione della realtà ed il suo rapportarsi
agli altri.
Si sottolinea l’importanza dell’elemento affettivo nei processi di
apprendimento poiché nell’esperienza formativa in generale, ma in
particolar modo in quella rivolta ad adulti, le passioni, le aspettative e i
vissuti sono elementi totalizzanti, e se non considerati a sufficienza possono
invalidare la riuscita del processo formativo.
Un gruppo di apprendenti non è un organismo statico e per poter
organizzare e condurre con successo dei percorsi didattici è necessario
conoscere le dinamiche affettive, le motivazioni e i bisogni che spingono i
discenti ad intraprendere quel percorso, nonché le strategie più opportune
per far leva sull’adulto e condurlo al successo formativo e
all’autorealizzazione, una delle mete formative della didattica.
La ricerca continua dell’autopromozione e dell’autorealizzazione dello
studente nella comunità in cui è inserito va potenziata e promossa, in
particolare da parte del docente.
Carl Rogers (1973), come del resto il suo collega e seguace Thomas Gordon
(1991), parte dal principio che la finalità prioritaria del sistema educativo
sia quella di far emergere se stesso e che l’educazione sia
fondamentalmente un processo autogestito per arrivare a comprendere ed
essere se stesso. Per Rogers l’empatia è già un agente educativo e la
comprensione empatica incrementa un senso di appartenenza e di apertura
al sociale. I concetti fondamentali del suo pensiero sono sintetizzabili nei
seguenti assunti:
• gli esseri umani sono dotati di una motivazione cognitiva intrinseca,
una naturale tendenza a conoscere e ad apprendere, la quale va
stimolata e valorizzata;
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•
•
•
•
•
•
l’apprendimento è “significativo” quando il contenuto è vissuto
dall’apprendente come rilevante
per soddisfare i suoi bisogni
personali e la realizzazione dei suoi obiettivi;
l’apprendimento “significativo”nasce dall’esperienza e dal fare, perciò
quando lo studente è parte attiva del processo di insegnamentoapprendimento impara notevolmente di più rispetto ad un percorso
standard;
l’apprendimento che implica un cambiamento nella percezione di sè è
avvertito come una minaccia e tende a sollevare resistenze nello
studente;
quando le minacce dall’esterno (ossia dal docente e dai compagni)
sono ridotte al minimo, l’apprendimento avviene più facilmente ed
efficacemente;
l’apprendimento autogestito e autopromosso – che coinvolge
l’intelletto, ma anche il sentimento – è il più duraturo e pervasivo;
l’apprendimento più utile nel contesto socio-culturale attuale riguarda
il processo stesso dell’apprendere e l’essere costantemente aperti
all’esperienza.
Da questi presupposti parte Thomas Gordon (1991) per puntare sul ‘modo
di agire’, traducendo in operazioni concrete e segmentati di apprendimenti,
di training brevi sulle risoluzioni dei conflitti interpersonali, riuscendo in tal
modo a rendere accessibile ai non professionisti le conoscenze e le abilità
utilizzate in ambito psicoterapeutico.
Il docente che adotta l’approccio umanistico affettivo focalizza e cerca di
eliminare tutti i fattori che possono limitare l’apprendimento, ad esempio
l’ansia e la competitività, e predispone percorsi formativi il più possibile
individualizzati al fine di esaltare e utilizzare al meglio le potenzialità
proprie di ogni individuo, tende ad un coinvolgimento pieno di ciascun
partecipante all’interno del gruppo, promuove la ricerca di motivazioni
interne che possano favorire e sostenere l’apprendimento.
Sul piano didattico i principi elencati sopra dovrebbero trovare applicazione
in una sequenza operativa di questo tipo:
• presentazione e conoscenza reciproca degli studenti e analisi dei loro
bisogni e aspettative;
• presentazione delle domande e delle metodologie e verifica della loro
rispondenza ai bisogni-aspettative;
• definizione di un ‘contratto formativo’;
• attività di ricerca e studio;
• verifica esterna (dei risultati raggiunti) ed interna (valutazione
dell’esperienza fatta).
Dall’approccio umanistico affettivo sono scaturiti, nel corso degli anni,
diversi metodi glottodidattici, dal Total Phisical Response (TPR) al Natural
Approach, dalla Suggestopedia al Silent Way, alla Glottodidattica Ludica.
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Tutti questi metodi presentano, come affermato, una base teorica in
comune, quindi utilizzano generalmente tecniche didattiche simili, come
vedremo nei paragrafi successivi.
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ATTIVITA’ PARTE A.
ATTIVITA’ 1:
Rifletti:
Il filtro affettivo interessa qualsiasi tipologia di studenti, oppure si manifesta in
qualcuna in particolar modo?
ATTIVITA’ 2:
Rifletti:
Quali potrebbero essere le motivazioni basate sul piacere nei confronti
rispettivamente di bambini, adolescenti e adulti?
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PARTE B: La Glottodidattica Funzionale
5. LA GLOTTODIDATTICA FUNZIONALE
La glottodidattica funzionale trae origine dagli sviluppi della
pragmalinguistica, scienza del linguaggio che si propone di studiare la
lingua come interazione sociale, sorta tra gli anni ’50 e gli anni ’70 in
area anglosassone. La persona che parla lo fa per uno scopo, e ogni atto
linguistico sarà più o meno efficace a seconda se ha realizzato o meno lo
scopo per cui è stato prodotto. La pragmalinguistica, quindi, pone
l’attenzione sugli scopi, o “funzioni”, per cui avviene l’atto linguistico:
usare una lingua significa compiere degli atti comunicativi che
consentono di agire socialmente perché permette di relazionarsi con un
interlocutore allo scopo di perseguire i propri fini.
Sull’atto
comunicativo si fonda il metodo nozionale-funzionale che pone al centro
dell’atto didattico lo studente con i suoi bisogni comunicativi e attorno a
questi bisogni viene costruito il curricolo scolastico.
Un approccio di tipo funzionale non può prescindere, tuttavia, da una
competenza sociolinguistica: poiché la lingua cambia al variare del
contesto situazionale, è necessario dunque conoscere il tipo di registro
da utilizzare ( formale o informale), le varietà regionali, le varietà
dovute al tipo di medium che la veicola ( televisione, giornale,radio…) o
dovute al ceto sociale dei parlanti. Non si può inoltre prescindere
nemmeno da una competenza di tipo culturale vale a dire la conoscenza
dei modelli culturali che regolano la vita quotidiana di una comunità. I
risultati conseguiti da uno studente, quindi, saranno valutati non
soltanto per l’apprendimento della struttura linguistica, ma anche in
base al livello d’efficacia pragmatica e di appropriatezza sociolinguistica
e culturale acquisita.
Tra i vari modelli funzionali sorti nella linguistica del XX^ secolo, i più
famosi sono quelli di R. Jakobson e M. Halliday.
5.1 L’APPROCCIO FUNZIONALE
Se un approccio di tipo funzionale mira all’insegnamento della
competenza comunicativa, fondamentali diventano di conseguenza i
bisogni degli allievi, ossia dell’uso che essi intendono fare della lingua:
l’insegnante,
per
poter
in
questo
modo
predisporre
una
programmazione e stendere un curricolo, dovrà valutare attentamente a
quali tipi d’interazione sociolinguistica si troveranno ad interagire gli
studenti e con quali scopi.
Questo tipo di attenzione ha apportato delle innovazioni sia per quanto
riguarda la struttura dei sillabi di insegnamento, ossia l’elenco dei
contenuti da insegnare, i quali devono ovviamente essere più flessibili e
duttili per assicurare la possibilità di soddisfare i bisogni di varie
tipologie di studenti (Wilkins: 1966), sia per quanto riguarda la
metodologia, perché le attività di tipo comunicativo tendono ad
incoraggiare un uso costante della lingua straniera in situazioni
autentiche. Tra gli obiettivi didattici principali ci sarà pertanto la
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fluency, ossia la scorrevolezza del parlato, e non solamente la
correttezza grammaticale, mentre il materiale utilizzato dall’insegnante
dovrà essere il più possibile autentico per permettere allo studente di
trarne quelle informazioni di tipo sociolinguistico che indicano l’uso
effettivo della lingua come strumento di comunicazione.
5.2 LE FUNZIONI DI ROMAN JAKOBSON
Roman Jakobson dedica una particolare attenzione all’analisi delle
funzioni della lingua e
afferma che il linguaggio ha una natura
comunicativa: esso è un “sistema di sottocodici irrelati” ciascuno dei
quali è caratterizzato da una diversa funzione di tipo comunicativo
(Jakobson: 1966).
Le funzioni rappresentano lo scopo pragmatico di un’azione sociale,
personale e di autoformazione e si realizzano attraverso un numero limitato
di atti comunicativi facilmente individuabili. In una glottodidattica
equilibrata, le varie funzioni dovrebbero essere ugualmente presentate e
prese in esame da parte dell’insegnante.
Jakobson a partire dagli anni ’60, amplia lo schema proposto
precedentemente da Buhler teorizzando un atto comunicativo basato su
sei elementi - mittente, contesto, messaggio, destinatario, contatto,
codice – ciascuno dei quali corrisponde ad una funzione specifica della
lingua:
FUNZIONI
ELEMENTI
DI
ASPETTO
BASE
LINGUISTICO
1
basata sul mittente,
si traduce in elementi
Funzione
.
s’impernia
sulle
formali
quali
le
emotiva
manifestazioni
interiezioni
e
linguistiche
degli
l’intonazione
stati d’animo, delle
emozioni,
delle
sensazioni
2
basata
sul
si
esprime
Funzione
.
destinatario su cui
linguisticamente
nel
conativa
opera
vocativo
e
un’imposizione
di
nell’imperativo,
comportamento
nell’esortativo e nelle
interrogazioni
(
ad
esempio il linguaggio
impositivo)
3
basata
sul
ad
esempio
il
Funzione
.
referente
(o
linguaggio
referenziale
contesto),
ossia
scientifico
sull’oggetto
del
discorso, assolve lo
scopo di fornire
informazioni
4
basata sul codice,
ad
esempio
la
Funzione
.
tende
ad
grammatica
metalinguistica
14
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evidenziare
le
modalità
di
funzionamento della
lingua
5
basata sul canale
ad
esempio
le
Funzione
.
(o
contatto),
formule di saluto
fàtica
verifica
il
funzionamento del
canale sul quale
viene veicolato il
messaggio
e
assicura
la
continuità
dell’attenzione del
destinatario
6
basata
sul
ad
esempio
il
Funzione
.
messaggio,
di
cui
linguaggio
poetica
esalta
letterario
l’elaborazione e la
struttura
Le funzioni della lingua, secondo Jakobson, non si escludono tra loro,
ma al contrario sono compresenti in ciascun messaggio secondo una
certa gerarchia, la quale si modifica in rapporto agli scopi che il
messaggio stesso persegue. Infatti il linguista afferma ad esempio che
“la poesia epica, incentrata sulla terza persona, involge al massimo
grado la funzione referenziale del linguaggio; la lirica, orientata verso la
prima persona, è intimamente legata alla funzione emotiva; la poesia
della
seconda
persona
è
contrassegnata
dalla
funzione
conativa…”(Jakobson: 1966).
5.3 LE FUNZIONI DI M. HALLIDAY
Tra i vari modelli che sono sorti successivamente, degno di nota è lo
schema elaborato da M. Halliday negli anni ’70, suddiviso in sette
funzioni corrispondenti ad altrettanti tipi di azioni che si possono
attuare mediante la lingua (Halliday, 1980):
1.
FUNZIONI
Funzione
strumentale
AZIONI
agisce sul
circostante
2.
Funzione regolativa
3.
Funzione
controlla
e
determina
il
comportamento
degli altri
indica l’interazione
15
mondo
ESEMPI
ad esempio “voglio
una
caramella,
dammi un gelato”
ad esempio “vai
a casa, porta la
borsa ”
ad
esempio
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interazionale
4.
Funzione
personale
5.
Funzione
euristica
6.
Funzione
immaginativa
7.
Funzione
informativa
del parlante con il
mondo circostante
indica la presa
di
coscienza
della
propria
individualità
indica
una
esplorazione del
mondo
circostante
crea
mondi
immaginari
trasmette
informazioni
sul
mondo circostante
“Buongiorno”,
“Arrivederci”
ad esempio “questo
non mi piace”
ad
esempio
“questo oggetto è
verde”
ad
esempio
”Fingiamo di essere
dei cavalieri”
ad esempio “Oggi
piove”
Halliday riferisce lo schema delle sette funzioni ai processi di
acquisizione del linguaggio nel bambino, mentre ne indica per l’adulto
molte di più, ma raggruppate in un modello ridotto a tre componenti
funzionali o macro-funzioni dovute ai molteplici usi sociali della lingua:
• funzione interpersonale: che serve a stabilire e a mantenere i
rapporti sociali;
• funzione ideativa: esprime l’esperienza che il parlante ha del
mondo reale;
• funzione testuale: permette di costruire testi o discorsi pertinenti
alla situazione e coerenti.
6. IL MODELLO FUNZIONALE INTEGRATO
Attualmente nella glottodidattica italiana si sta diffondendo un nuovo
modello, più economico e utile per gli insegnanti, che integra quelli
precedenti di Jakobson e Halliday e propone un nuovo schema basato su
sei funzioni: esse si realizzano con un numero limitato d’atti
comunicativi che risultano essere così meglio definibili e più facilmente
utilizzabili.
Per “atti comunicativi” si intendono quei micro-scopi che si realizzano
con varie espressioni linguistiche: ad esempio l’atto di presentarsi si
realizza con espressioni del tipo “Mi chiamo…”, “Sono italiano/a …”).
La seguente tabella propone uno schema di quanto affermato:
1.
2.
FUNZIONI
Funzione personale
Funzione
AZIONI
si attua quando lo studente
esprime la sua individualità e
personalità rivelando i propri
sentimenti, pensieri, sensazioni.
si
attua
nello
stabilire,
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interpersonale
3.
Funzione
regolativostrumentale
4.
Funzione
referenziale
5.
Funzione
poeticoimmaginativa
6.
Funzione
metalinguistica
mantenere
o
chiudere
un
rapporto interpersonale.
si attua agendo sulle altre
persone
regolandone
il
comportamento
al
fine
di
ottenere
qualcosa
per
soddisfare le proprie necessità.
si attua quando si utilizza la
lingua per descrivere o spiegare
la realtà circostante.
si attua quando si producono
effetti
ritmici
particolari,
metafore
o
altre
figure
retoriche, oppure per creare
mondi immaginari.
si attua quando si riflette e si
analizza la lingua allo scopo di
spiegarne i meccanismi o le
caratteristiche peculiari.
L’insegnante di italiano come L2 terrà presente tutte queste funzioni
nella programmazione del curricolo, collegandole ad atti comunicativi
per studenti dei livelli di base o a generi comunicativi, ossia quelle
forme pre-strutturate di testi che facilitano la comprensione e la
produzione, per i livelli avanzati, ed integrando eventualmente i manuali
che risultassero carenti o squilibrati con materiale predisposto a
completamento delle lacune. Dovrà inoltre coordinare in modo
interdisciplinare con i colleghi dell’area linguistica le attività basate su
un approccio funzionale, nonché approntare prove d’ingresso in itinere
ed in uscita, che attestino la capacità dell’allievo di utilizzare la lingua
su basi funzionali.
L’insegnante inoltre porrà attenzione nel presentare le funzioni in modo
equilibrato, senza privilegiarne alcune a scapito di altre, e nel
realizzarle nelle diverse situazioni (si pensi ad esempio all’uso dei
registri formali, medi e informali), facendo riferimento ai vari modelli
culturali e alle varietà geografiche in cui si realizzano (Italia
settentrionale, centrale, meridionale e insulare).
Per ciascuna funzione s’indicheranno a titolo esemplificativo nei
prossimi paragrafi sia gli atti, sia i generi comunicativi collegati.
6.1 LA FUNZIONE PERSONALE
La funzione personale permette allo studente di esprimere la propria
personalità ed individualità manifestando idee, sentimenti, sensazioni
soggettive, poiché egli deve parlare di sé. Di conseguenza le espressioni
riguardanti questa funzione risultano essere fondamentali, in particolar
modo nei corsi di base perché permettono di interagire e socializzare con le
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altre persone. Caratteristica linguistica peculiare di tale funzione è l’utilizzo
del verbo “piacere” e dei verbi di opinione.
I principali atti comunicativi relativi alla funzione personale sono:
• il presentarsi (dire il proprio nome, età, nazionalità, dove si abita,
cosa si studia, il lavoro, parlare della famiglia, degli amici…). In
un gruppo numeroso di studenti ci può essere ritrosia a
presentarsi in pubblico, perciò l’insegnante può chiedere di farlo a
coppie e poi uno studente presenta a tutti il proprio vicino: in
questo modo si abbassa il filtro affettivo e si favorisce la
comunicazione e l’acquisizione.
• esprimere il proprio stato fisico e psichico (percezioni sensoriali,
malattie, emozioni). Anche per quest’atto comunicativo si
consiglia di procedere in un primo tempo a coppie o a piccoli
gruppi.
• esprimere propri gusti personali (il verbo piacere).
• esprimere le proprie opinioni. I messaggi saranno caratterizzati
dai verbi d’opinione seguiti dal congiuntivo (penso che sia…,
credo che sia…, ritengo che abbia…).
• esprimere approvazione/disapprovazione.
• esprimere le proprie emozioni: paura, sorpresa, interesse,
piacere, simpatia/antipatia, desiderio, intenzione.
• parlare della propria abilità linguistica in L2 (“non capisco, può
ripetere?”).
Per ottenere un atto comunicativo efficace e appropriato è
fondamentale
aver
acquisito
però
anche
una
competenza
sociolinguistica e culturale che consenta allo studente di utilizzare
formule di cortesia, tempi verbali o formule idiomatiche che siano
caratteristiche della lingua in esame: in italiano risulterebbe
sconveniente ad esempio parlare in modo informale, dando del tu, con
una persona che non si conosce o che riveste un ruolo sociale
importante, oppure chiedere qualcosa usando l’imperativo invece del
condizionale di cortesia. Ad ogni atto comunicativo, pertanto,
l’insegnante avrà cura di sottolineare e spiegare, utilizzando
possibilmente materiale autentico quali immagini o spezzoni di video, i
principali modelli culturali e sociolinguistici.
I generi comunicativi collegati a questa funzione, destinati ad allievi di
livelli superiori, sono la lettera personale, il diario, la confidenza
informale, l’intervista ecc. L’insegnante, utilizzando i generi
comunicativi elencati, potrà far esercitare le abilità di produzione orale
e scritta relative alla funzione personale in modo più approfondito e
articolato.
6.2 LA FUNZIONE INTERPERSONALE
La funzione interpersonale consente all’allievo di usare la lingua per gestire
scambi comunicativi e per stabilire un rapporto d’interazione con altre
persone. Dato che rimanda a codici e a regole condivise da un intero
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gruppo sociale, diventa basilare da parte degli studenti la conoscenza dei
modelli culturali condivisi da quella determinata comunità, ad esempio l’uso
corretto dei registri e il rispetto dei tempi di pausa nelle conversazioni. I
messaggi prodotti per la funzione interpersonale hanno come caratteristica
linguistica l’utilizzo del verbo nel modo indicativo, condizionale ed
imperativo.
Gli atti comunicativi collegati sono:
• incontrare qualcuno e fare conoscenza (salutare, contattare,
congedarsi sia di persona che al telefono). Lo studente deve
conoscere il modello culturale italiano legato a queste situazioni: i
convenevoli, le pause ed i turni del dialogo, il modo di dare o
togliere la parola, il contatto fisico…)
• accettare/rifiutare qualcosa.
• invitare/declinare un invito. L’insegnante avrà cura di sottolineare
come nella cultura italiana il rifiuto di qualcosa o il declinare un
invito non sia espresso direttamente ed unicamente con una
negazione, ma attraverso l’utilizzo di preamboli di cortesia (ad
esempio “Mi piacerebbe molto, ma proprio non posso…”)
• attrarre l’attenzione.
• protestare per qualcosa.
• iniziare/concludere comunicazioni di tipo formale e informale: in
questo caso è utile proporre allo studente alcune formule
predefinite di apertura o chiusura del contatto e soffermarsi
sull’utilizzo del Lei di cortesia.
I generi comunicativi inerenti alla funzione interpersonale sono le
interazioni di persona o per telefono, per corrispondenza cartacea
(lettera formale/informale, telegramma, cartolina) o via e-mail.
6.3 LA FUNZIONE REGOLATIVO-STRUMENTALE
La funzione regolativo-strumentale permette agli allievi di utilizzare la
lingua per agire sulle altre persone ed ottenere qualcosa. I messaggi
prodotti per la funzione regolativo-strumentale hanno come caratteristica
linguistica l’uso appropriato dei registri e l’uso del verbo all’imperativo e
del condizionale (di cortesia).
Gli atti comunicativi collegati a tale funzione sono:
• dare e ricevere istruzioni.
Per interessare lo studente
l’insegnante potrebbe utilizzare in tal senso le istruzioni di un
gioco o una ricetta di cucina. La lezione in questo modo può
diventare occasione di scambio culturale tra allievi di paesi diversi
e/o italiani e diventa altamente motivante sia perché ciascun
allievo è chiamato in prima persona a dare un apporto all’attività
proposta dal docente, sia perché deve parlare di qualcosa che
conosce bene e ha modo così di far apprezzare i lati culturali del
proprio paese d’origine.
• dare e ricevere ordini. I docenti devono considerare e tener ben
presente che molti immigrati usano la funzione regolativostrumentale in modo diverso e poco appropriato rispetto alla
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•
•
nostra cultura, e questo utilizzo scorretto è causa spesso di litigi
ed incomprensioni.
dare e ricevere consigli. Si farà notare che per dare consigli la
cultura italiana utilizza sempre il verbo al condizionale (“Dovresti
fare…”, dovreste andare…”): l’insegnante può presentare e far
lavorare gli studenti utilizzando qualche rubrica di consigli tratta
da giornali per ragazzi (o riviste nel caso di studenti adulti).
impedire di fare qualcosa.
I generi comunicativi inerenti a questa funzione sono le istruzioni per l’uso,
l’avviso, la legge, la ricetta, il consiglio.
6.4 LA FUNZIONE REFERENZIALE
La funzione referenziale si manifesta quando si usa la lingua per
descrivere o per spiegare la realtà. I messaggi sono caratterizzati
linguisticamente dall’utilizzo della terza persona singolare, del verbo
coniugato nel modo indicativo (in particolare nel tempo imperfetto), di
lessico specifico legato allo spazio e al tempo.
Gli atti comunicativi collegati a tale funzione sono:
• chiedere e dare informazioni. Per motivare i ragazzi può essere utile
affrontare l’argomento con un’attività di tipo ludico, ad esempio
utilizzare una mappa della città dove si vive: a coppie, stabilito un
punto di partenza, uno dei due darà oralmente istruzioni e se il
secondo le avrà eseguite correttamente, giungerà al punto d’arrivo
stabilito a priori dal compagno.
• chiedere e dare spiegazioni.
• descrivere cose, persone, fatti. L’insegnante può far lavorare gli
allievi su immagini tratte da riviste e quotidiani facendo descrivere
ciò che vedono, oppure utilizzare qualche gioco in classe, ad esempio
far descrivere da uno studente un compagno (fisicamente e di
carattere) e far indovinare agli altri il nome.
I generi comunicativi inerenti a questa funzione sono la descrizione, la
cronaca, la relazione, il teorema.
6.5 LA FUNZIONE POETICO-IMMAGINATIVA
La funzione poetico-immaginativa si realizza quando l’allievo usa la
lingua per descrivere mondi possibili o immaginari. La comunicazione si
focalizza in tal modo sulle modalità con cui è costruito il testo stesso.
Caratteristica linguistica peculiare è l’utilizzo sonoro e musicale del
lessico (di cui ovviamente gli studenti devono avere una conoscenza
abbastanza ampia) e l’uso frequente del verbo al passato remoto.
Gli atti comunicativi inerenti a tale funzione sono:
• produrre messaggi in rima o con particolari ritmi.
• produrre messaggi che contengano metafore, altre figure
allegoriche o “scarti” particolari. Utili in tal senso sono i messaggi
pubblicitari: il docente può far analizzare gli slogan di riviste e video
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e far poi produrre gli studenti messaggi che contengano metafore,
similitudini o semplicemente rime.
• descrivere mondi immaginari. Anche in questo caso può essere
occasione di scambio interculturale il far raccontare agli allievi
qualche fiaba o favola del proprio paese d’origine o qualche
leggenda caratteristica: gli studenti saranno motivati anche dalla
possibilità di far conoscere la propria cultura.
I generi comunicativi inerenti a questa funzione sono la narrazione, la
poesia, la canzone, il film, la pubblicità, la barzelletta. Molto motivante
è l’utilizzo dei testi di canzoni perché l’apporto della musica favorisce
l’interesse e la motivazione in particolar modo da parte dei giovani,
mentre al contrario è molto difficile il genere della barzelletta, perché
strettamente connessa a riferimenti culturali, politici e sociali, la cui
non conoscenza compromette l’effetto ironico del messaggio.
6.6 LA FUNZIONE METALINGUISTICA
La funzione metalinguistica si realizza quando l’allievo utilizza l’italiano per
riflettere sulla lingua stessa o per risolvere problemi tipici dell’interazione
in lingua straniera. La comunicazione si focalizza sugli elementi del
“codice” e sul suo funzionamento.
Gli atti comunicativi inerenti a tale funzione sono:
• definire una parola. Questo aspetto, sentito spesso ostico dagli
allievi, può essere affrontato in modo ludico proponendo alcuni
termini sconosciuti agli studenti divisi a gruppi di cui dovranno
inventare una definizione o abbinare ad un oggetto: dopo un
controllo sul vocabolario si stabilirà il gruppo vincente in base alle
risposte che più si avvicinano alla definizione corretta.
• riconoscere e definire strutture morfosintattiche.
• spiegare i meccanismi e le caratteristiche della lingua.
I generi comunicativi inerenti a questa funzione sono la definizione, la
perifrasi, il riconoscere ed utilizzare strutture morfosintattiche
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ATTIVITA’ PARTE B.
ATTIVITA’ 1:
Rifletti:
Quali sono le funzioni da privilegiare nella glottodidattica destinata a bambini
stranieri di livello A2 del CEF?
ATTIVITA’ 2:
Rifletti:
Nella didattica dell’italiano a stranieri, si possono utilizzare tutte le
funzioni linguistiche con qualsiasi tipo di destinatari?
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PARTE C: Modelli operativi e tecniche didattiche per la didattica
umanistico affettiva e funzionale
7. MODELLI OPERATIVI
Il modello operativo per eccellenza è il curricolo, ossia una successione
intenzionalmente strutturata delle azioni didattiche o formative che la
scuola adotta esplicitamente per completare e perfezionare lo sviluppo
delle abilità di un soggetto. Tale modello operativo intende porsi come
strumento di pianificazione e di concetto per rendere l’atto didattico
efficace e rispondente ai bisogni degli studenti e agli obiettivi didattici
prefissati.
Il curricolo consta di una serie di elementi, non necessariamente
sequenziali, i quali sono ricorrenti in qualsiasi ambiente scolastico, ossia:
•
le finalità generali e le mete educative;
•
gli obiettivi didattici generali e disciplinari;
•
il sillabo, ossia i contenuti da insegnare (in ambito glottodidattico
viene preso in esame il sillabo di morfosintassi, lessicale, tematico,
funzionale, culturale ecc.);
•
la metodologia che si intende adottare (approcci e metodi, tecniche
didattiche, procedure organizzative, strumenti e sussidi);
•
la metodologia riguardante i test di ingresso, le verifiche in itinere e
sommative;
•
i criteri di valutazione che si intendono adottare;
Il curricolo viene realizzato attraverso un percorso didattico che
frequentemente adotta la struttura dell’Unità Didattica, un insieme (in
inglese unit) completo ed autosufficiente di lingua che procede sulla base
della bimodalità neurolinguistica e della psicologia della Gestalt
(motivazione, globalità, analisi, sintesi, riflessione, verifica).
Tuttavia nei più recenti studi di glottodidattica (Balboni, 2002) si è
manifestata la necessità di elaborare un nuovo modello di
organizzazione nell’insegnamento delle lingue, modello che andasse
oltre la ben conosciuta Unità Didattica.
L’Unità Didattica, così come concepita fin dagli anni ’60, ha costituito
il nucleo fondante della glottodidattica degli ultimi decenni, ma il suo
focalizzarsi sul processo di insegnamento in sé, processo che si è
rivelato lungo e rigido, e su una figura molto direttiva di docente
appare ora come poco efficace dal punto di vista didattico.
Oggigiorno, invece, si pone come imprescindibile il fatto che una
Unità Didattica sia costituita da una serie di Unità di Apprendimento
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le quali, in qualità di nuclei matetici di acquisizione, pongono come
fulcro lo studente, i suoi bisogni ed il suo processo di acquisizione.
L’Unità di Apprendimento – da ora in poi UA – della glottodidattica
non va confusa con la UA di stampo pedagogico ideata in occasione
della Riforma Moratti, di cui ha presupposti scientifici, struttura ed
obiettivi completamente diversi.
La UA di glottodidattica si può definire come unità minima di contenuti, una
“molecola matetica”, come la definisce Balboni (2002), del processo di
acquisizione che si fonda sempre sulla psicologia della Gestalt, ma è
costituita solo di tre fasi: Globalità, Analisi e Sintesi.
Un insieme di UA va a costituire l’Unità Didattica secondo un percorso
costituito da tre momenti distinti:
• Introduzione: si presenta il percorso che si intende iniziare
connettendolo con quanto fatto in precedenza e si pongono le basi
per motivare la classe presentando testi o immagini sull’argomento
e proponendo attività volte ad effettuare ipotesi;
• Serie di UA: si affrontano le Unità di Apprendimento che si
presentano in forma di “Rete”, non in ordine sequenziale oppure
gerarchico.
La loro struttura ”reticolare” con cui sono collegate l’una all’altra consente
di personalizzare la scelta delle sequenze in base agli interessi, alla
motivazione e ai bisogni degli studenti, pertanto il docente potrà proporle
nell’ordine che ritiene più opportuno per gli apprendenti e affrontarle tutte
o solo una parte.
La classe può prediligere una sequenza rispetto ad un’altra per diverse
motivazioni e rendere unica la serie di UA aggiungendo, modificando e
comunque fornendo il proprio apporto operando su materiali duttili, che
prevedano espansioni e approfondimenti.
Ad esempio il docente potrebbe proporre di visitare siti internet
specializzati sulla tematica presa in esame e far lavorare gli studenti sul
nuovo materiale reperito: un lavoro del genere consente di ampliare e
sviluppare la UA in forma diversa rispetto a quella di partenza, secondo
un’ottica chimica: se agli atomi della molecola di partenza si aggiungono
altri atomi, la composizione chimica della sostanza finale cambia
completamente.
• Verifica finale, in cui il docente si accerta dell’avvenuta acquisizione
della lingua.
Nel tentativo di proporre una visualizzazione della struttura della nuova
Unità di glottodidattica, si può immaginare di vedere uno scatolone in cui
vengono inserite delle sfere e due elementi diversi: il contenitore è la UD,
un primo elemento rappresenta la motivazione, la quale è generale ed
esterna alle UA, segue una serie “n” di sfere, le UA, che possono essere di
numero variabile e sono collegate tra loro da un filo ideale, ed infine
l’ultimo elemento, rappresentante la verifica e l’eventuale rinforzo o
recupero.
Le caratteristiche fondamentali della “rete” di UA si possono
riassumere nell’elenco seguente:
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•
•
•
•
nella brevità e allo stesso tempo compiutezza dell’unità matetica;
nello stretto collegamento tra le varie UA, nonostante esse siano
delle entità concluse ed autonome, rapporto facilmente recepibile
dai docenti che quindi stabiliscono dei nessi logici tra loro;
nella potenzialità di cambiare forma in base agli apporti degli
studenti, secondo una prospettiva dinamica e non isomorfa;
nell’assoluta libertà di scelta della sequenza delle UA poiché esse si
presentano molto flessibili ed intercambiabili.
Queste caratteristiche rendono la UA di glottodidattica uno strumento
estremamente duttile e particolarmente conveniente per la didassi proprio
perché risponde alle necessità organizzative dei docenti.
Infatti, la struttura rigida e i tempi lunghi della UD di prima generazione
creavano notevoli problemi ai docenti di lingua, soprattutto nei casi in cui la
materia veniva insegnata per un’ora alla settimana: spesso l’insegnante alla
fine della fase di motivazione si accorgeva che era finita l’ora e la settimana
successiva doveva riprendere il filo logico di quanto detto in precedenza,
con conseguenti notevoli perdite di tempo e disagi nell’avanzamento del
programma.
Con la struttura flessibile e limitata della UA, invece, questi problemi sono
risolti e l’atto didattico risulta molto più efficace ed adeguato ai ritmi di
docenza.
Questi stessi vantaggi si riscontrano anche nei manuali di lingua che
utilizzano la suddivisione nell’una o l’altra struttura: un manuale basato su
UD segue un percorso rigido e ben definito, quello fondato su UA presenta
un canovaccio generico su cui si impostano le diverse unità che sono sì
intercambiabili, ma comunque collegate tra loro da quel “fil rouge”
tematico.
Il nuovo modello di UA e UD illustrato finora va necessariamente inserito in
un percorso di più ampio respiro perché abbia una valenza didattica.
Di conseguenza pare naturale che debba rientrare nella suddivisione in
moduli del sillabo linguistico.
Un modulo si può definire come una parte di un tutto, una frazione di tutti i
contenuti da insegnare che contiene a sua volta diverse Unità
glottodidattiche.
Per essere riconosciuto come modulo esso deve soddisfare delle
caratteristiche ben precise.
In primo luogo un modulo è concluso in se stesso, autosufficiente e
significativo tematicamente: alla fine di questo percorso lo studente è in
grado di affrontare autonomamente il contesto comunicativo che ha
analizzato fino a quel momento. Generalmente un modulo può contenere
dalle 3 alle 5 Unità di glottodidattica (che a loro volta contengono varie
UA).
In secondo luogo il modulo si basa su settori comunicativi ampi e complessi,
con scambi comunicativi vari in contesti diversi, deve essere accreditabile
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nel Portfolio dello studente e da ultimo, ma non meno importante, deve
essere collegabile ad altri moduli del curricolo
Concludendo, un modulo concepito in tal modo racchiude in sé una parte di
sillabo che in modo tradizionale era ripartito su uno svariato numero di UD
di vecchia generazione, mentre ora viene analizzata attraverso le UA
contenute nelle Unità di glottodidattica a loro volta contenute nel modulo,
secondo un’ottica di scatole cinesi.
Naturalmente, vanno inclusi, per necessità, anche tutti gli obiettivi basilari
di un corso di lingua, cioè:
a) i modelli culturali italiani (parte integrante del contesto in cui
avviene la comunicazione);
b) gli elementi pragmatici (si realizzano le proprie intenzioni
comunicative: è il “fare con la lingua”);
c) le componenti della competenza linguistica ed extralinguistica;
d) le abilità linguistiche necessarie per quel particolare gruppo di
studenti.
7.1. LE TECNICHE
Per poter definire cosa si intende esattamente per “tecnica”, è necessario
anzitutto precisare i concetti di “approccio” e di “metodo”. L’approccio è la
dimensione in cui si individuano le finalità dell’educazione linguistica e gli
obiettivi glottodidattici, mentre il metodo è costituito dall’insieme dei
principi metodologici - didattici che traducono un approccio in modelli per
poter organizzare i materiali didattici ed il lavoro dell’allievo.
Una tecnica glottodidattica è un’attività che realizza in classe le indicazioni
del metodo e le finalità dell’approccio. Quindi, le tecniche non sono buone o
cattive, ma solo coerenti o meno con il metodo e l’approccio ed efficaci o
meno nel raggiungere l’obiettivo didattico che si propongono. Le procedure,
o tecniche, con cui l’insegnante guida lo studente nel processo di
apprendimento sono di varia natura.
7.2 TECNICHE COMPORTAMENTISTICHE
Basate sulla sequenza stimolo => risposta => conferma/correzione
(esercizi strutturali), che, però, non tengono in nessun conto le
caratteristiche della persona e, quindi, isteriliscono il processo acquisitivo.
Non sono, per esempio, efficaci nella didattica a bambini, perché li
considerano tabula rasa, mentre un loro uso può essere ipotizzato nella
didattica ad adulti, a patto, però, di un uso mirato. Il possibile contributo
degli esercizi strutturali, infatti, si situa nella dimensione dell’acquisizione
(cioè dell’attivazione del LAD), tuttavia, bisogna porre particolare
attenzione affinché tali esercizi non siano solo ed esclusivamente di natura
morfosintattica (operino, cioè, solo sulla competenza linguistica), poiché
oggi l’obiettivo glottodidattico viene definito in termini di competenza
comunicativa. D’altro canto, questi esercizi, proprio perché ripetitivi,
meccanici, prevedibili, possono forse rappresentare un mezzo adatto a
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creare la necessaria sicurezza affettiva, ad abbassare l’ansia, senza
abbattere la motivazione, se vengono inseriti in una cornice comunicativa.
7.3 TECNICHE SIMULATIVE
Dalla drammatizzazione al roleplay; in cui si pone maggiore attenzione al
messaggio che alla forma linguistica. Esse sono indispensabili all’interno di
un approccio comunicativo, ma deve essere sempre tenuto conto il filtro
affettivo, perché sono tecniche che mettono a rischio l’immagine di sé e non
sempre sono bene accette agli studenti, in particolar modo a certe
categorie di adulti.
7.4 TECNICHE MANIPOLATIVE
Includono la trasformazione di testi. Sono tipiche dell’approccio formalistico
e strutturalistico, di solito introdotte da consegne del tipo “Volgi al ...” Più
significative dal punto di vista comunicativo se queste tecniche vengono,
per esempio, usate per raccontare un film (passaggio dal presente al
passato). Anche se non proprio legate alla manipolazione di testi, ma
comunque implicanti una trasformazione del testo proposto, le tecniche di
natura insiemistica risultano estremamente efficaci per l’acquisizione
induttiva delle regole ed, inoltre, soprattutto nel caso dell’esclusione ( che,
in senso lato, potremmo anche chiamare caccia all’errore), costituiscono
una piacevole sfida per l’allievo.
8. ALCUNE TECNICHE DIDATTICHE UTILI PER LA
GLOTTODIDATTICA UMANISTICO AFFETTIVA E FUNZIONALE
Non s’intende in questa sede descrivere tutte le tecniche utilizzate per
la glottodidattica funzionale, sicuramente già note ai docenti, ma
semplicemente riproporne alcune allo scopo di rilevarne e sottolinearne
la validità didattica. Si è voluto prendere qui in esame, in particolar
modo, quelle tecniche (Balboni, 1998) produttive e interattive relative
alla simulazione di situazioni reali, le quali tendono a coinvolgere in
prima persona gli studenti e permettono loro di produrre o ripresentare
eventi e atti comunicativi analizzati in precedenza con l’insegnante.
Secondo l’ottica di una glottodidattica funzionale è fondamentale,
infatti, che gli allievi abbiano occasione di provare in classe alcune
situazioni, dialoghi, azioni che si ripresenteranno loro nella vita d’ogni
giorno, permettendo così che vi arrivino preparati.
8.1 LA DRAMMATIZZAZIONE
La drammatizzazione è una forma di simulazione molto rigida, poiché gli
studenti devono recitare a memoria oppure leggendo un copione.
Essa consente di esercitare l’aspetto fonologico ed extralinguistico
dell’atto comunicativo, aspetti che vengono in tal modo facilmente
memorizzati. Questa tecnica permette di non richiedere agli allievi la
produzione autonoma, soprattutto nel caso in cui ci siano studenti che
presentano difficoltà ad esprimersi perché più introversi o restii, ed
evita così stati d’ansia e demotivazione.
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Benché essa richieda generalmente tempi lunghi di preparazione, la
drammatizzazione è una tecnica solitamente bene accetta soprattutto da
gruppi di studenti giovani, meno invece da studenti adulti che spesso si
dimostrano imbarazzati.
8.2 IL ROLEPLAY
Il roleplay è un’attività che lascia liberi gli studenti di simulare un
dialogo avendo ricevuto dall’insegnante solamente l’indicazione di
alcuni personaggi e di un contesto situazionale. Gli studenti sono
chiamati così a scegliere in prima persona le strategie e gli altri
elementi contestuali relativi alla situazione stessa. Per esemplificare,
l’insegnante può proporre agli allievi di assumere il ruolo di barista e
clienti di un bar ( funzione regolativo-strumentale) e di provare a creare
un dialogo simulando una situazione di protesta perché i prezzi sono
troppo alti (funzione interpersonale).
Il roleplay si presta ad essere utilizzato anche in ambito dell’educazione
letteraria e/o storica, facendo realizzare agli allievi un dialogo o una
discussione tra personaggi storici o della letteratura italiana (funzione
poetico-immaginativa).
Questa tecnica è generalmente bene accetta perché permette agli
studenti di esprimersi ed agire senza battute rigide, anche se l’assoluta
libertà di realizzazione può anche creare ansia: sarà cura
dell’insegnante perciò intervenire qualora si presentassero difficoltà o
situazioni di disagio nel gruppo riprendendo il dialogo od offrendo
direttive e linee guida.
8.3IL DIALOGO APERTO/ A CATENA
Il dialogo è un’abilità linguistica complessa che integra il saper
comprendere e il saper parlare, efficacia pragmatica e appropriatezza
socio-culturale.
Il dialogo aperto è riconducibile ad una forma di esercizio di
completamento, in quanto vengono date allo studente solamente le
battute di un personaggio ed egli deve saper rispondere tenendo in
considerazione la coerenza globale del testo e la coesione con quanto
affermato precedentemente: questa tecnica è in grado di sviluppare
particolarmente le competenze testuali e pragmatiche degli allievi.
Il dialogo a catena, invece, vede coinvolto il gruppo di studenti i quali,
ad una battuta iniziale dell’insegnante, devono rispondere continuando
il dialogo ed inserendo le risposte di altri personaggi: tale tecnica è
utilizzata per esercitare e fissare alcuni atti comunicativi e le strutture
morfosintattiche con cui si realizzano (funzione interpersonale,
regolativo-strumentale, metalinguistica).
8.4 LE TECNICHE LUDICHE
La Glottodidattica Ludica si pone come obiettivo di stimolare
l’apprendimento facendo vivere allo studente situazioni ed esperienze
gradevoli e motivanti, capaci di sostenere ed incentivare una motivazione
basata soprattutto sul piacere e non sul dovere: ciò significa che il
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docente deve privilegiare una modalità puramente operativa, tipica del
gioco, perciò il docente che si avvale di questo metodo permea le attività
in classe di quello stile giocoso che spesso è definito “gioco”, ma che in
realtà si traduce in semplici tecniche didattiche divertenti e non
ansiogene, le quali possono pure utilizzare schemi od oggetti tipici dei
giochi di regole, ad esempio dadi o tessere, ma che hanno come obiettivo
principale quello di rendere il clima della lezione più sereno e piacevole,
come è tipico di tutti i metodi umanistico-affettivi (Caon, Rutka, 2004).
Sono tenute in considerazione ed utilizzate come strumento didattico
nella glottodidattica ludica tutte quelle attività che, pur magari non
essendo giochi veri e propri, promuovono però un coinvolgimento totale
dello studente, motivandolo e facendogli provare piacere.
Di usi ludici della lingua s’interessa anche il Common European
Framework of Reference del Consiglio d’Europa (Consiglio d’Europa,
2001: 55), nel quale viene evidenziato il ruolo importante delle attività
ludiche nell’apprendimento della lingua straniera e si citano alcune
tipologie di giochi linguistici, dal gioco dell’impiccato al rubamazzetto,
dalle parole crociate ai rebus o anagrammi, dai quiz radio-televisivi del
tipo di “Passaparola” ai giochi di parole tipici della pubblicità e dei titoli
di giornale. La didattica Ludica può essere efficace anche con studenti
adulti, a condizione che il docente tenga conto delle peculiarità
dell’apprendimento di tale tipologia di destinatari e si propongano attività
bene accette (Begotti, 2006).
9. LA GLOTTODIDATTICA FUNZIONALE E L’USO DEI MEZZI
MULTIMEDIALI
Se, come abbiamo visto, la glottodidattica funzionale si fonda sull’uso
della lingua e sulla conoscenza della pluralità di elementi che
determinano la comunicazione (pragmalinguistici, sociolinguistici e
culturali), importanza rilevante assumono allora alcuni mezzi
multimediali i quali, ricorrendo sia alla dimensione sonora che a quella
visiva, possono favorire la didattica (Balboni, 1994).
Navigare in Internet, ad esempio, è d’enorme aiuto per i docenti:
esistono, infatti, alcuni siti specializzati in tematiche precise
(letteratura, cinema, musica, cultura ecc.) che consentono agli
insegnanti di reperire testi, immagini, filastrocche, spezzoni video o
brani musicali su cui far lavorare gli studenti in classe (Porcelli, Dolci,
1999).
In particolar modo si ritiene importante soffermarsi sull’uso della
tecnologia video, la quale appare un ottimo supporto per la
glottodidattica funzionale per l’estrema diffusione nelle scuole di ogni
ordine e grado, per la semplicità di utilizzazione, ed infine per la grande
potenzialità che il mezzo offre. La visione di una sequenza video è
sicuramente motivante per gli studenti la cui comprensione è favorita
per l’abbinamento fra immagini e parlato: il video permette di
presentare la lingua in contesti d’uso comunicativi e di soffermarsi –
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bloccando se necessario l’immagine - su aspetti culturali ed
extralinguistici tipici di uno scambio comunicativo reale. Mentre,
infatti, il materiale audio permette di cogliere il lato linguistico e
paralinguistico del messaggio, il materiale video permette di inserire
quest’ultimo in un contesto visivo e di aggiungere così la dimensione
sociolinguistica ed extralinguistica, che in tal modo possono essere
analizzate e rese a modello.
I materiali video utilizzabili dagli insegnanti possono essere di tipo
autentico e non autentico: il primo presenta un grado di complessità più
elevato dal punto di vista morfosintattico e lessicale rispetto al secondo
che è più graduato, ma l’uso di materiale autentico è senz’altro
preferibile perché mantiene intatti quegli aspetti extralinguistici e
culturali intimamente connessi alla lingua. L’insegnante, nell’utilizzare
spezzoni video, dovrà porre particolare attenzione nella scelta,
soprattutto analizzare che la complessità dei messaggi verbali sia
comprensibile rispetto al livello d’apprendimento raggiunto dagli
studenti e che il rapporto immagini/parlato sia interdipendente. Da
parte dell’insegnante deve essere posta poi attenzione nella fissazione
dei modelli linguistici ed extralinguistici proposti dalle immagini,
assegnando, successivamente alla visione, esercizi e attività di
fissazione che consentano di rimettere in gioco i modelli in maniera
controllabile.
Alla stessa stregua il docente potrà operare con un computer che abbia
una scheda audio ed il DVD: si può proporre ad esempio allo studente
un film in DVD le cui immagini scorrano su metà del monitor, mentre
nell’altra metà si può inserire contemporaneamente un esercizio di
comprensione a scelta multipla realizzato con il programma Word. A
parità d’utilizzo, il computer multimediale consente un’alta definizione
delle immagini e la possibilità di intervenire direttamente sul materiale,
abbinando al video esercizi di comprensione e di produzione scritta. A
queste enormi potenzialità del mezzo si deve aggiungere naturalmente
anche l’alto livello d’interesse e di motivazione da parte degli studenti
nei confronti dello strumento informatico.
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ATTIVITA’ PARTE C.
ATTIVITA’ 1:
Rifletti:
Quali sono le tecniche didattiche più adatte per la glottodidattica funzionale?
ATTIVITA’ 2:
Rifletti:
Quali sono le tecniche didattiche più adatte per la glottodidattica
Umanistico-affettiva?
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LA DIDATTICA UMANISTICO - AFFETTIVA