..... ..... ..... MASSIMILIANO CAMPI collaborazione di ANTONIO DI TIZIO DISEGNO + DIGITALE ESPERIENZE DIDATTICHE DI RAPPRESENTAZIONE E GRAFICA PER L’ARCHITETTURA progetto grafico gbc | architetti layout Massimiliano Campi coordinamento redazionale Antonio Di Tizio redazione Massimo De Falco, Adele Lombardi collaboratori: Pasquale Caterino, Natale Cuozzo, Federica D’Escamard, Iliana Del Vecchio traduzioni Massimiliano Campi indicazione delle abbreviazioni: Massimiliano Campi [MC] Antonio Di Tizio [ADT] Massimo De Falco [MDF] Adele Lombardi [AL] Questo libro è patrocinato dal DIPROAA Dipartimento di Progettazione Architettonica e Ambientale e dal Centro Interdipartimentale di Ricerca Urban/Eco dell’Università degli Studi di Napoli FEDERICO II. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari e dell’editore. Ogni sforzo è stato fatto per il riconoscimento dei diritti in conformità ai dati raccolti. No part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted in any form or by any means, electronic, mechanical, photocopying, recording, or otherwise without prior consent of the copyright owner. ISBN 88-548-0291-3 © copyright 2005 Aracne Editrice srl via Raffaele Garofalo, 133A/B 00173 Roma Ringraziamenti degli autori: Ringrazio tutti gli amici che mi hanno aiutato a realizzare questo libro. In particolare il mio ringraziamento va a mia madre per il suo supporto e a Ludovica e Matteo per la loro pazienza. [M. Campi] Ringrazio tutte le persone che mi hanno permesso di prendere parte a questo progetto. Un ringraziamento particolare ai miei genitori. [A. Di Tizio] www.aracneeditrice.it [email protected] Tutti i diritti riservati All rights reserved I edizione: novembre 2005 printed in Italy Indice Introduzione p. 007 Prima Parte. Disegno digitale e grafica per l’architettura Il disegno digitale nell’insegnamento delle tecniche di rappresentazione dell’architettura Massimiliano Campi p. 013 L’architettura espressa dal disegno digitale: complessità urbane e conoscenza dell’architettura Massimiliano Campi p. 017 Le fasi del progetto grafico di architettura e la costruzione del programma di elaborazione grafica Massimiliano Campi p. 021 Rappresentare l’architettura oggi: i concorsi di architettura e il binomio architettura/grafica Antonio Di Tizio p. 025 Figurazione grafica e Realtà (virtuale) Antonio Di Tizio p. 031 Seconda Parte. Le esemplificazioni grafiche La necessità di comunicare il progetto di architettura: alcune considerazioni sulle esemplificazioni didattiche. L’esaltazione della forma tra calcolo e natura: l’opera di Santiago Calatrava Santiago Calatrava: biografia Santiago Calatrava: opere principali p. 039 p. 043 p. 046 p. 047 Santiago Calatrava. Opere analizzate: Stazione TGV Rhône-Alpes Movimento e forma in tre padiglioni espositivi Museo della scienza e planetarium La forma quale visione prospettica di arte e cultura nell’immagine architettonica di Steven Holl Steven Holl: biografia Steven Holl: opere principali Steven Holl. Opere analizzate: Bellevue Art Museum Sarphatistraat Office Casa del vino L’immagine della modernità: Toyo Ito Toyo Ito: biografia Toyo Ito: opere principali Toyo Ito. Opere analizzate: T-Holl, teatro, biblioteca, centro civico Mediateca Architettura evocativa. L’immagine della memoria nel linguaggio formale contemporaneo di Daniel Libeskind Daniel Libeskind: biografia Daniel Libeskind: opere principali Daniel Libeskind. Opere analizzate Museo Ebraico Un’architettura in continua evoluzione: l’opera di Renzo Piano Renzo Piano: biografia Renzo Piano: opere principali Renzo Piano. Opere analizzate: Centro Jean Marie Tijbaou Bibliografia p. 048 p. 066 p. 085 p. 093 p. 096 p. 097 p. 098 p. 122 p. 134 p. 145 p. 148 p. 149 p. 150 p. 182 p. 195 p. 198 p. 199 p. 200 p. 209 p. 212 p. 213 p. 215 p. 222 Introduzione offerto dalle nuove generazioni di allievi, obbliga a formulare valutazioni positive e molte volte confortanti. Da queste riflessioni ha avuto stimolo la redazione di questo testo, che ha come oggetto principale il bilancio e il resoconto dell'attività didattica svolta durante i corsi di Tecniche della Rappresentazione e di Disegno Automatico tenuti dal sottoscritto nella Facoltà di Architettura dell'Università "Federico II" di Napoli. Pertanto l'intenzione è stata quella di produrre uno strumento che, attraverso la catalogazione dei lavori degli studenti, volutamente riportati nella loro forma di grafici d'esame senza alcuna elaborazione migliorativa, possa riproporre un percorso didattico avviato e di sicura utilità ai prossimi allievi che dovranno confrontarsi con le discipline della rappresentazione. La necessità di avere supporto da una guida visiva che dimostri come la disciplina del disegno possa veicolare informazione e quindi diventare vero e proprio linguaggio comunicativo è un'esigenza espressa e avvertita dalla maggior parte degli studenti ad ogni ciclo di lezioni. L'esperienza offerta da supporti grafici che hanno l'aspirazione di indagare per comprendere l'architettura del nostro tempo, diventa indispensabile per chi sta percorrendo un cammino nuovo verso la comunicazione multimediale del progetto di architettura. Oggi più ancora che nel passato, il disegno è un potente strumento che ci permette di superare la percezione visiva per esplorare una più profonda percezione mentale. Il linguaggio dell'architettura contem- 007 Tra gli innumerevoli aspetti affascinanti dell'insegnamento delle discipline del disegno uno in particolare merita una riflessione più attenta: un insegnamento operato da un unico docente può determinare una possibile e auspicata diversità delle risposte. In quanto disciplina, la rappresentazione è codificata attraverso norme, regole e modalità operative specifiche, che diventano nel corso dell'attività didattica, nozioni trasmissibili e processi riproducibili. Avviene, però, che la risposta data dagli allievi quale risultato e verifica del percorso di crescita conoscitiva effettuato, possa dare esiti fortemente differenti ed estremamente personali, senza tuttavia evidenziare necessariamente una diversa qualità del risultato. In altre parole, la risposta data dagli allievi agli stimoli e ai concetti che il docente tenta di trasmettere può essere estremamente originale e individuale, caricando i risultati teorici ed operativi di interessanti riflessioni e producendo disegni ricchi di ingegnosa sperimentazione. Si crea, in questa maniera, un interessante processo osmotico tra chi insegna la materia e chi si confronta con essa, fino al punto che gli eventuali confini tra i due ruoli possono apparire in alcuni casi sempre più incerti. Avviene così che chi tenta di insegnare la disciplina ne riceve in cambio un ulteriore e proficuo insegnamento. Verificare, di tanto in tanto, la direzione che si sta delineando, sembra un impegno doveroso e responsabile. Tale riscontro, poi, può riservare anche piacevoli sorprese; spesso constatare il livello di interesse e di confronto 008 poranea, infatti, ha subito una evoluzione veloce e incontestabile negli ultimi anni, incentivata dall'uso dei computer e dei software di rappresentazione e di modeling. Conseguenza del cambiamento del processo di elaborazione di un progetto è stata una diversa comunicazione dello stesso. Non si può negare che nel nostro tempo l'architettura, pensata, realizzata e/o solamente prefigurata anche in una accezione utopica, si visualizza con metodi e tecniche che, pur accogliendo l'insegnamento e il lessico del disegno tradizionale, si spingono verso orizzonti sempre più avveniristici. Sembra che il linguaggio architettonico contemporaneo ricerchi una nuova piattaforma di rappresentazione che possa essere in linea di continuità con il suo percorso espressivo e, allo stesso tempo, sembra che la forma progettata si alimenti dello stile e dei codici dell'innovazione visuale ben esplicitati dalla grafica, intesa nel suo significato di spazio visivo determinato da segni1. Diventa pertanto fondamentale nell'insegnamento dell’architettura non trascurare il progetto grafico quale fondamento della comunicazione del progetto architettonico. D'altra parte questa simbiosi tra culture visive solo apparentemente non strettamente correlate, quali l'architettura e la grafica, non è specificatamente recente. Basta rimandare la memoria ai progetti che hanno sottolineato con enfasi il peso innovatore portato dall'architettura moderna, per immediatamente percepire quanto l'architettura e il disegno teso alla sua visualizzazione si siano compenetrati: Gerrit Thomas Rietveld, Le Corbusier, la sperimentazione innovatrice formulata dal Bauhaus, fino ad Alberto Sartoris in Italia e alla scuole di "regime" sviluppatesi negli anni trenta nel ex Unione Sovietica, sono solo alcuni esempi relativamente recenti che testimoniano l'affinità tra espressività artistiche. Se poi guardiamo ancora più indietro nel passato, gli esempi possono moltiplicarsi innumerevolmente. Il disegno - oggi che ha a disposizione nuovi strumenti e nuove piattaforme dimostra una forza ed un potenziale divulgativo certamente superiore rispetto al passato: la capacità ad esso riconosciuta di riuscire ad indagare ciò che non è scrutabile dall'occhio umano, deriva da nuove modalità tecniche e da processi di elaborazione grafica che favoriscono le possibilità di studio e di analisi, e quindi di conoscenza. Una conoscenza che la rappresentazione mediante segni contiene, fin da quando si affermava come primitiva struttura di comunicazione, ancor prima che il linguaggio verbale si concretizzasse per affiancarla. Questo potenziale conoscitivo costituisce, a nostro avviso, il futuro del disegno, che non si vincola ai suoi strumenti e che per questo deve acquisirli tutti, così come deve valutare nuove tecniche e sperimentare nuovi supporti per farli propri e per evolverli. Ma deve anche rintracciare nuovi media che amplificano - e mai possono condizionare - la capacità di investigare le cose per rinvenirne i significati, le funzioni, gli ordini, le componenti, la struttura, ovvero gli specifici connotati che appartengono all'architettura. E ciò per acquisire la capacità di determinare i connotati della composizione migliore che possa rispecchiare la cultura e la forma caratteristica del nostro tempo. Il misurato contributo che questo testo vuole offrire è stato concepito principalmente per fini didattici. Per rispondere a tale logica è stato diviso in due sezioni. La prima ripercorre sinteticamente il percorso teorico che viene affrontati riguardano opere di architetti contemporanei, che costituiscono esempi emblematici della direzione stilistica e concettuale intrapresa, letti con uno spirito investigativo che vuole evincere le eventuali leggi compositive, al fine di comprenderne i processi generatori della forma per assorbirne così i possibili insegnamenti. L'indagine svolta permette di raffrontare l'operato di personaggi chiave della scena mondiale della progettazione architettonica: da Toyo Ito a Renzo Piano, da Steven Holl a Santiago Calatrava, fino a Daniel Libeskind offrendo, in questo modo, una catalogazione immediata ed essenziale di lavori realizzati nei diversi luoghi del pianeta, che testimonia anche come l'architettura sia diventata un fondamentale media con peculiarità globali. Napoli, 12 settembre 2005 Massimiliano Campi 1 Cfr. http:// www.lineagrafica.progetto-ed.it Si legge al punto 3 della Carta del Progetto Grafico, redatta dalla rivista Lineagrafica "Indichiamo la grafica come attività che si colloca dunque dentro al sistema generale della progettualità orientata alle necessità dell'uomo. Accanto all'urbanistica, all'architettura, al design industriale, al disegno ambientale, essa non solo li affianca ma interagisce con essi. La grafica è urbanistica nelle tecniche di prefigurazione, nei sistemi di visualizzazione e nei metodi di rappresentazione. La grafica è architettura non solo in quanto strumento della stesura del progetto ma anche direttamente nella presenza della scrittura nell'edificio costruito. La grafica è disegno ambientale nella segnaletica cittadina, dei trasporti ecc. La grafica è disegno industriale nella "grafica del prodotto", nei cruscotti, nelle interfacce, nel packaging ecc." 009 affrontato durante le lezioni e riassume il supporto mentale che l'allievo architetto deve acquisire prima di cimentarsi in una elaborazione grafica esemplificativa. In questa sezione, vengono delineati i fondamenti teorici dettati dalla diversità operativa e procedurale che implica il disegno eseguito con l'aiuto degli elaboratori elettronici. Inoltre sono riportate considerazioni relative al cambiamento figurale ricercato da quella architettura contemporanea che si definisce sempre più spesso digitale, per il contributo che i computer le offre nel processo di manipolazione della forma e di sperimentazione volta a ricercare nuove configurazioni geometriche. La teoria che accomuna la raccolta di saggi e di scritti presenti, vede la dicotomia disegno tradizionale/disegno al computer come non necessariamente conflittuale, ma semmai come consequenziale, considerando positivamente l'evoluzione che gli strumenti rincorrono. Tutti i saggi di questa prima sezione del testo ribadiscono che la rappresentazione non avviene per un meccanico processo strumentale - e quindi di automatico nel disegno c'è sempre poco -, ma per un più raffinato procedimento intellettuale che regola utilità e qualità dell’immagine. La seconda sezione riporta le esercitazioni realizzate dagli allievi nelle tavole d'esame, che verificano l'apprendimento e l'evoluzione delle tecniche di rappresentazione tradizionali - proiezioni centrali, assonometria, prospettiva - congiunte alle modalità graficooperative del disegno assistito dal computer (CAD), e composte secondo regole di progettazione grafica la cui ottimizzazione è diventata di fondamentale importanza, soprattutto nella partecipazione ai concorsi di architettura che sempre più spesso anticipano le realizzazioni sul territorio. I temi Disegno digitale e grafica per l’architettura Prima Parte Il disegno digitale nell’insegnamento delle tecniche di rappresentazione dell’architettura Negli ultimi anni l’insegnamento del disegno digitale è entrato a far parte a giusto titolo dei fondamenti della struttura disciplinare e didattica della formazione nell’allievo architetto. Come tutte le discipline giovani e sperimentali è continuamente alla ricerca di un sistema di codici e di procedure che ne consentano una più agevole trasmissione. L’insegnamento di tale materia però è strettamente vincolato allo sviluppo dei software deputati al disegno definito impropriamente automatico. Tale limitazione comporta che le metodologie applicative devono piegarsi alle restrizioni e alle modalità proprie di un programma informatico specifico, senza così seguire un appropriato percorso di riproduzione del processo di generazione di un disegno, che sia unitario e sopratutto univoco, come più semplicemente avveniva con il disegno tradizionale1. L’utilizzo dei programmi per il disegno digitale comporta evidentemente l’utilizzo di una logica di dialogo con la macchina, oltre che di uno specifico insieme di comandi devoluti ad una determinata funzione che vincola l’elaborazione dei grafici. In altre parole, il risultato grafico risulta essere la combinazione di insiemi geometrici, molte volte predefiniti e di connessioni elettroniche che, combinate insieme e/o opportunamente modificate, danno luogo ad una rappresentazione valida dell’oggetto architettonico studiato. Tale processo da un lato facilita le modalità procedurali per il disegno - elementi iterati o alterazioni di scala e grandezza di uno stesso oggetto possono essere riprodotti con modalità banali, nel disegno assistito -, dall’altro condiziona il risultato finale, in quanto ogni operatore può determinare una visualizzazione di una architettura assemblando geometrie differenti e, sopratutto, secondo modalità diverse. La condizione appena espressa comporta una problematica largamente nota a chi disegna con apparecchiature digitali: contrariamente a quanto solitamente si immagina, un eventuale cambiamento da apportare a disegni già eseguiti - che nella rappresentazione al computer sono inseriti in specifici file -, non diviene quasi mai un’operazione immediata quando i soggetti che intervengono sono più di uno, perchè il disegno porta con sè le modalità e le scelte effettuate dall’operatore che lo ha eseguito e non sempre è facile riconoscere quella che può essere definita la “storia” di un determinato grafico. Le dinamiche appena descritte si complicano inverosimilmente quando poi i file e quindi i disegni - devono essere modificati utilizzando software diversi, per raggiungere i risultati desiderati. Gli esempi esposti testimoniano che il disegno digitale ha apportato sicuramente facilitazioni nell’esecuzione di grafici di architettura, ma ha anche determinato una difficile rivoluzione procedurale, che non sempre mostra immediatamente i suoi vantaggi. La necessità di conoscere strategie 013 Massimiliano Campi 014 P. Cook & C. Fournier. La Kunsthaus di Graz in una rappresentazione tradizionale. Sezione operative e metodi di intervento oltre alla normale esecuzione dei comandi, diventa una necessità importante nell’insegnamento della rappresentazione2. Inoltre, la pratica professionale richiede sempre più una capacità di controllo e di gestione degli strumenti informatici applicati all’architettura e alla grafica, tanto che la padronanza di software specifici comporta un più rapido inserimento nell’attività lavorativa. Gli insegnamenti, quindi, di materie relative alla rappresentazione digitale diventano evidentemente fondamentali nella didattica rivolta all’allievo architetto. Al fine di fugare quella che è un’opinione falsa largamente diffusa, bisogna immediatamente sottolineare che ovviamente la capacità di saper utilizzare apparecchiature informatiche ed essere in grado di districarsi tra i più potenti e avanzati programmi di modellazione tridimensionale, non è sufficiente per ottenere l’elaborazione di un buon supporto grafico per la descrizione e la conoscenza dell’architettura. Al contrario, la sola abilità di operare velocemente e di conoscere il maggior numero di procedure per l’immissione dei comandi da dare alla macchina è un pericolo ricorrente sia in ambito didattico, sia in ambito professionale. Una buona cultura della rappresentazione prevede, invece, conoscenze che spaziano dai metodi di rappresentazione tradizionali a quelli attuali, fino a comprendere come il disegno sia stato utilizzato nelle differenti epoche storiche per descrivere la cultura architettonica, per analizzarla, valutarla, sottoporla ad un’attenta critica culturale. La rappresentazione riassume, infatti, un largo spettro di competenze critiche ed operative3, necessarie per approfondire e comprendere il linguaggio dell'architettura e contemporaneamente per elaborare un analogo lessico grafico. La rappresentazione è il mezzo di conoscenza della realtà architettonica. Il pensiero del progettista si esprime infatti con molteplici linguaggi mentali e grafici attraverso cui comunicare la forma, sia essa realizzata o soltanto immaginata. La migliore produzione progettuale contemporanea prospetta esempi significativi di ricerca grafica, la cui accuratezza non è solo affidata agli strumenti antichi e moderni di rappresentazione, di modellazione solida, di simulazione iper-realistica, ma è rafforzata dalla chiarezza e dalla congruenza disegno/architettura. Gli strumenti della rappresentazione hanno avuto, nell'ultimo decennio, un considerevole sviluppo, in parte determinato dai notevoli progressi tecnologici che hanno proposto nuove modalità operative. I nuovi strumenti informatici consentono di elaborare grafici estremamente raffinati ed utili alla comunicazione del progetto, sia nella fase ideativa che in quella esecutiva4. Appare indiscutibile la necessità di conoscere e saper controllare gli strumenti della rappresentazione digitale, in quanto fondamento imprescindibile per una corretta formazione, soprattutto se si ci vuole preparare ad un’applicazione professionale competitiva. Le discipline del disegno hanno così inglobato, a giusto titolo, i nuovi linguaggi e le nuove pratiche esecutive che l'informatica applicata ha offerto. Le immagini che derivano da questa nuova prassi scientifica e professionale propongono grossi cambiamenti teorici rispetto alle impostazioni tradizionali, ampliando il concetto stesso di rappresentazione. Le capacità espressive e comunicative del disegno di architettura tendono così ad un progressivo accrescimento. Il codice formale dell'architettura contemporanea si confronta con le nuove modalità di comunicazione dell'idea progettuale, fino a integrare all'interno del processo ideativo le molte- 015 P. Cook & C. Fournier. Kunsthaus, Graz. Analisi digitale della copertura 016 plici possibilità - ma anche gli evidenti limiti - offerti dai software per il disegno CAD. Dunque si può concludere che il ruolo del disegno digitale nel percorso di formazione alla professione di architetto sia quello di conoscere le applicazioni programmate per la comunicazione grafica e architettonica, ma senza tralasciare la necessità di fornire il necessario apporto teorico per la lettura critica dei differenti codici espressivi dell'architettura, essenziale per l'esplicitazione in segni dell'identità di un'opera architettonica. Una corretta crescita prevede una progressiva capacità critica e di elaborazione di un modello di rappresentazione/comprensione dell'architettura che sia prima di tutto mentale. La conseguente ed essenziale sperimentazione di elaborati grafici che possano esplicitare i connotati linguistici di architetture esemplari, evidenziandone i rapporti di misura, le geometrie configurative, l'articolazione spaziale, la struttura costruttiva, la luminosità, la trasparenza, la corposità materica, diviene il passo successivo che completa, sperimenta e verifica le conoscenze e le abilità eventualmente acquisite. Un percorso che preveda le tappe sopra descritte congiunto ad un corretto impegno didattico può probabilmente garantire la capacità di comunicare il progetto, sia nella fase ideativa che in quella attuativa, sperimentando i diversi strumenti di rappresentazione, comprensivi anche del CAD, affinché il lessico grafico espliciti i connotati linguistici dell'architettura. Le esercitazioni diventano il banco di prova dove applicare non solo la capacità di riprodurre un processo meccanico e funzionale allo strumento, quale è l’immissione di comandi in uno specifico linguaggio macchina, ma comprovano l’acquisita capacità applicativa delle tecniche infografiche utili alle molteplici forme di comunicazione del progetto e parimenti comprovano il livello culturale, interpretativo e critico raggiunto. Pertanto gli elaborati diventano la corretta piattaforma in cui è possibile riscontrare l'analogia e l’omologia tra linguaggio grafico e linguaggio dell'architettura. note 1 Cfr. A. Baculo, Quattro lezioni di disegno e rilievo, Liguori Editore, Napoli 1979 2 Cfr. D. Bur, B. Courtois, J. P. Perrin, Modellazione dell’architettura scomparsa, in A. Baculo (a cura di), “Architettura e informatica”, Electa Napoli, Napoli 2000, pp.125-132; S. Belblidia, J. P. Perrin, Level of Detail visualisation of architectural models, in AA. VV., “Caad Futures”, Août, Munich 1997 3 Cfr. F. Fatta, Geometria: avventure dello spazio e immagini della ragione, Jason Editrice, Reggio Calabria 1998, pp. 90-92 4 Cfr. F. Guena, Un sistema a base di conoscenze applicate all’interpretazione dei dati grafici ed alla restituzione 3D, in A. Baculo (a cura di),”Architettura e informatica”, Electa Napoli, Napoli 2000, pp. 83-89 L’architettura espressa dal disegno digitale: complessità urbane e conoscenza dell’architettura Intraprendere un’indagine sulla forma e sul progetto attraverso l’uso della rappresentazione e del disegno, implica la consapevolezza dell'esistenza di molteplici chiavi di lettura disponibili a comprendere i significati sottesi alla morfologia architettonica e alla sua espressività. Le elaborazioni grafiche permettono una complessa discretizzazione delle differenti componenti che costituiscono le opere di architettura, permettendo di comprendere il sottile rapporto che si crea tra le parti e l'insieme, in un complesso sistema di equilibrio e di armonia che può essere bene esplicitato dal concetto vitruviano di simmetria, anche tenendo conto dei diversi contesti storici in cui tale concetto si specifica diversificandosi. Sul tema della valutazione e comprensione delle forme come sistema complesso, discretizzabile e linguisticamente scomponibile in un lessico omologo, è possibile riflettere analizzando: a) le diverse procedure di rilettura di una città, e b) le modalità teoriche ed applicative di rilettura di un’architettura. a) La possibilità di vedere una città dall'alto è condizione necessaria per cogliere lo spazio nel suo insieme. Diversa è l'esperienza di chi la voglia percorrere e molteplici sono le esperienze del visitatore che cammini lungo gli assi stradali e di chi si addentri nelle strade e nei vicoli che disegnano la rete viaria più fitta. Anche nella rappresentazione della città, appropriarsi dei connotati di questi percorsi implica un lavoro di rilettura architettonica e urbana che continuamente coniughi il generale e il particolare, la lunghezza del percorso e la sua larghezza, la continuità e l'omogeneità delle cortine edilizie, gli scarti dimensionali e morfologici, la ripetitività di portali e finestre e la eccezionalità di pareti disegnate da rapporti geometrici diversi . In tale processo conoscitivo, il disegno mostra un imprescindibile carattere intellettuale che implica attente scelte metodologiche. Le selezioni delle parti e il loro inserimento in layer diversi organizzati in sistematici data base - a monte della operatività conoscitiva del disegno in tutte le sue infinite declinazioni - sempre più spesso risultano funzionali all'utilizzo di strumentazioni informatiche e tecnologiche, oramai affiancate alle tecniche di produzione grafica tradizionali. Il dibattito sull'adeguatezza dei computer nella rappresentazione architettonica e urbana - su cui è in atto una profonda e radicale rivoluzione - è ancora giustamente vivo e acceso; ma è forse necessaria un' evoluzione di pensiero alla luce di fattori comportamentali, professionali e quindi culturali, che ci sembrano evidenti e relativamente discutibili. In un'epoca in cui i calcolatori elettronici sono entrati nella normale attività quotidiane e sempre di più nella pratica professionale, non bisogna più continuare a inter- 017 Massimiliano Campi 018 rogarsi se usare le nuove tecnologie oppure no, ma è invece opportuno spostare l'attenzione su come utilizzare i nuovi media per assoggettarli alle nostre esigenze di rappresentazione. b) L’analisi di un’architettura e la sua traduzione grafica, appare analogamente indipendente dallo strumento con cui la si effettua. Nella trasposizione grafica di un pensiero o di una realtà architettonica, infatti, l'oP. Cook & C. Fournier. Kunsthaus , Graz. Pianta biettivo da porsi è la ricerca di un linguaggio che possa veicolare ciò che è sola immaginazione o memoria in un codice riconoscibile - e quindi percepibile - da chi diviene fruitore finale di una nostra volontà comunicativa. Il disegno, al pari della lingua, consente di trasporre un'esperienza spaziale, materica, luministica in un linguaggio grafico omologo, senza che la si viva fisicamente. Come altre arti visive, esso stimola alcune modalità percettive dei nostri sensi, al punto da permettere una comprensione dei rapporti dimensionali e delle configurazioni formali, fino a rendere reale un progetto o un’architettura anche se essi siano lontani geograficamente e\o temporalmente. Tali considerazioni ci spingono, quindi, ad ampliare l'uso del termine virtuale che - solitamente adoperato in campo informatico - deve essere considerato valido per tutte le applicazioni grafiche che ammettono uno stato percettivo così complesso e raffinato, da poter simulare una condizione di realtà. Quanto detto non deve, però, significare che il disegno è tanto più corretto (e risponda all’esigenza di riproduzione virtuale) quanto più si avvicina ad una visione reale. Anzi al contrario: la trasposizione grafica deve anche offrire viste ed immagini che, non riscontrando una banale immediatezza con quanto è reale, offrono chiavi di lettura utili all'approfondimento conoscitivo insito nell'atto di rappresentare. In questo modo si compie il processo intellettivo che fa della rappresentazione il risultato di analisi e scelte di chi compie l'atto, rendendo espliciti i dati comunicati nei grafici, dati non soltanto quantitativi ma soprattutto qualitativi. Per fare ciò l'uso di strumentazioni con prestazioni più vantaggiose e innovative non condiziona il rigore scientifico e culturale del disegno. Il mezzo deve rispondere alle finalità preposte e deve essere utilizzato per ottenere risultati corretti. Naturalmente esso crea nuove implicazioni nel linguaggio adottato, ma non significa certamente che tali implicazioni non possano diventare un passaggio utile per compiere un'evoluzione nelle tecniche di rappresentazioni. Un'immagine generata dal tratto di una matita o dagli algoritmi di un computer deve avere la stessa finalità: quella di analizzare e comunicare le leggi compositive del- 019 l'architettura per renderle esplicite e trasmissibili. Il ruolo che ha la geometria in tale perseguimento è di fondamentale importanza, in quanto offre la possibilità di leggere le relazioni sottese alla forma, non sempre visibili al nostro occhio perché nascoste o confuse dalla sostanza della materia. Il concetto di struttura geometrica, proposto da Durand in poi, quale insieme razionale di linee rette e curve che costituiscono elementi singolarmente definiti, ma con la caratteristica di combinarsi reciprocamente per dar luogo a infinite possibili forme e soluzioni architettoniche diverse, offre un modello di matrice che pur mantenendosi immutata esprime un altissimo dinamismo trasformatore. Queste puntualizzazioni valgono a considerare come la conoscenza di un'architettura possa andare oltre la sua immagine, se tale conoscenza viene estesa appunto all'individuazione delle geometrie configurative. Risulta evidente, quindi, che tale processo è indipendente dalla tecnica adottata per il disegno in quanto "il linguaggio geometrico non esaurisce il proprio ruolo esclusivamente a livello di metodi di rappresentazione, ma diviene esso stesso sostegno per la soluzione dei problemi della realtà architettonica, nello sforzo di rendere chiaro, - secondo criteri geometrici più generali - il rapporto significato\significante". Riflettiamo adesso su quali sono le principali componenti che intervengono nell’atto della percezione e che sono particolarmente determinanti quanto l’oggetto d’interesse di un’osservazione sia un oggetto architettonico e/o un paesaggio metropolitano. Quali sono gli elementi/chiave che possono condurci nella lettura e nella comprensione del rapporto tra significato e significante? Ne indichiamo alcuni relativi alla rappresentazione A) di una struttura urbana, o B) di una struttura architettonica. Esemplificando gli elementi/chiave che si propongono alla nostra attenzione nella rappresentazione urbana, possiamo dire che la fisicità complessa dell’atto del percepire - che comprende lo spazio del nostro corpo in relazione con la sua collocazione nello spazio urbano - può condizionare la percezione stessa. Infatti, la fruizione di uno spazio urbano perP. Cook & C. Fournier. Kunsthaus , Graz. Dettaglio di copertura corso da terra, a piedi, senz’altro permette la registrazione di elementi e parti che non possono essere percepite se quello stesso spazio venisse osservato da un punto di vista in volo, oppure se lo si percorresse ad una diversa velocità. Un’altro elemento/chiave significativo nell’analisi della città sta nella continua valutazione e nella conseguente rappresentazione del rapporto tra oggetto architettonico e sfondo urbano. Infatti, l'occhio dell’osservatore non va inteso solo quale centro del cono visivo, 020 ma anche come lo strumento mentale che permette di effettuare il gioco continuo che correla la prospettiva allungata del percorso e definita dalle linee parallele (o quasi) che delimitano i fronti urbani ed i primi piani di oggetti architettonici che segnano e identificano i luoghi e danno riconoscibilità a percorsi che geometricamente e dimensionalmente potrebbero sembrare analoghi. Infine, è noto che l’elemento/chiave in ogni rappresentazione è il metro. Ma nella maggior parte dei casi il metro, come strumento di misura, è insufficiente a descrivere la scatola volumetrica definita dalla componenti orizzontali e verticali che compongono lo spazio reale. Serve piuttosto il rapporto tra le parti a documentare la relazione tra i vari elementi presenti. Serve perciò la definizione di assi di simmetria, di linee interpiano, della linea dello skyline, serve la definizione degli elementi la cui presenza si pone come gerarchicamente definita e che non necessariamente viene valutata mediante semplici criteri dimensionali. Infatti, ai temi legati alla misurazione della città, vanno affiancati quelli dettati dal suo uso e quelli attenti alla rilettura storico-morfologica della sua architettura; inoltre, tutti quelli contenuti nel lavoro di classificazione e di analisi dei dati, ai fini di una rappresentazione selettiva e critica. Esemplificando sinteticamente gli elementi/chiave che possono diventare protagonisti della rappresentazione di un’architettura, possiamo dire che tra essi emerge l’importanza del rapporto complessità/schema inteso quest’ultimo come riduzione sintetica della forma al suo paradigma costitutivo. Esso, infatti, interpreta la complessità, per cui è noto che non esiste struttura complessa se se ne comprendono le dinamiche di funzionamento. Il problema centrale che si pone in un’indagine su una architettura realizzata o immaginata, è quello di rappresentarla, con l'ausilio del computer e di software appropriati, senza ricorrere però necessariamente ad una elaborazione semplicistica e solo riproduttiva. In altre parole, non si deve procedere soltanto generando immagini che si presentano come simulacri di una percezione realisticamente visiva (quali ad esempio sono le rappresentazioni ottenute mediante mapping e rendering di materiali), ma le architetture del passato e ancor più quelle contemporanee vanno analizzate esplicitandone la complessità, quella più evidente e quella più nascosta. In particolare, le architetture contemporanee hanno componenti linguistiche strettamente relazionate a componenti meccaniche e materiche fortemente strutturate con elementi diversi, quali la luce, il colore, l'alternanza di trasparenze e di dinamismi, che non sempre sono facili da rappresentare. Avviene, così, che si sviluppa la necessità di ricercare nuovi modi di rappresentarle, consoni alle nuove esperienze linguistiche e costruttive. note bibliografiche A. Baculo, con A. Di Luggo, R. Florio, F. Rino, Napoli in Assonometria, Electa Napoli, Napoli , 1992 A. Baculo (a cura di), Napoli all'infinito/Naples in progress, Electa Napoli, Napoli 1994 M. Docci e D. Maestri, Manuale di rilevamento architettonico e urbano, Roma-Bari 1994 S. Coppo, Problematiche di rilievo urbano, in A. Baculo (a cura di), “Architettura e informatica”, Electa Napoli, Napoli 2000, pp. 141-146 Le fasi del progetto grafico di architettura e la costruzione del programma di elaborazione grafica Non solo nell’architettura ma nella maggior parte dei processi produttivi la rappresentazione e l’infografia sono diventati strumenti indispensabili per la costruzione di un modello di controllo e di verifica che possa aiutare il progettista in modo valido per comprendere la fattibilità di un prodotto e per correggerne difetti e anomalie prima ancora di realizzarlo, lavorando soltanto su di un prototipo di studio. Essi hanno assunto nel tempo un ruolo incisivo in moltissime aree ingegneristiche, al punto tale da essere diventati i principali vettori di idee e di pensieri proiettati verso ciò che deve ancora avvenire, assumendo i compiti che solitamente ha il linguaggio verbale vero e proprio, con in più l’evidente caratteristica di coinvolgere, nell’atto della sua comprensione e della sua trasmissione, l’apparato visivo che, come sappiamo, è quello che maggiormente interviene nelle modalità di comprensione di un evento. L’occhio, infatti, offre la maggior velocità nella comprensione di un significato, basandosi su un sistema che decodifica quasi immediatamente un insieme di segni, recepiti subito come forma capace di rimandare ad elementi comunemente riconosciuti nella percezione del mondo reale. Sinteticamente le fasi di realizzazione di una idea consistono: 1) nella trasposizione in segni riconoscibili; 2) nell’analisi e nella creazione di modelli; 3) nella loro comunicazione; 4) nella loro documentazione che consegna alla memoria un insieme di intenzioni, forme e significati tradotti in segni. Tutte le operazioni descritte si basano, quindi, sul linguaggio del disegno, al punto tale da poter affermare che circa il 90 % delle attività dell’architettura e dell’ingegneria rimanda alle attività grafiche. La comunicazione grafica usa modelli costruttivi e di rappresentazione, utilizzando codici e sistemi di relazione precisi. E’ un vero e proprio linguaggio con regole che devono essere note sia a chi le comunica - struttura trasmittente - sia a chi le recepisce - struttura ricevente -. La struttura trasmittente, vale a dire colui che è artefice della comunicazione, deve combinare i segni, ovvero le unità sulle quali si articola un linguaggio ben più complesso, secondo modalità che rafforzano il significato da inviare e che sottolineano ed enfatizzano le diverse componenti del massaggio, in una struttura gerarchica delle informazioni tesa ad una più immediata lettura. La struttura ricevente, o meglio chi comprende il messaggio, deve sicuramente essere a conoscenza del codice che regola i segni grafici e, quindi, deve controllare i tasselli/base di una comunicazione. Dal momento che non necessariamente ne discretizza i diversi piani informativi per recepire il contenuto complessivo che il messaggio contiene, una comunicazione grafica è tanto più appropriata quanto minore è lo sforzo necessario per recepire e comprendere la gerarchia informativa del messaggio stesso. La visualizzazione chiara e immediata di un problema o di una relazione che si 021 Massimiliano Campi 022 instaura tra differenti parti, favorisce la conoscenza e quindi aumenta in modo esponenziale la possibilità di trovare ex ante più facilmente soluzioni progettate o di interpretarle ex post. Non a caso l’attività professionale di architetti e ingegneri - il cui lavoro si basa prevalentemente sulla prefigurazione di scenari possibili e, di fatto, sulla risoluzione di problemi relativi a sistemi comportamentali ed a potenziali problematiche d’uso - è basata principalmente su attività che comprendono il disegno. Inoltre, la prefigurazione, la modellazione tridimensionale e la documentazione, d’insieme e di dettaglio, occupano gran parte del tempo del progettista. L’attività progettuale si basa sulla continua figurazione di immagini che devono essere tradotte in supporti trasmissibili e condivisibili. Il disegno e la rappresentazione in generale si dimostrano quali vettori estremamente efficaci per veicolare le immagini pensate in immagini comunicate, attraverso supporti specifici quali carta, display, internet, visualizzando uno stato proto-realistico che anticipa la possibilità che le immagini diventino prodotti reali. Le possibilità consentite da molteplici piattaforme di comunicazione non sono più limitate allo spazio definito dal foglio di carta, ma si espandono in uno spazio che è divenuto multi-temporale, multi-culturale, multi-direzionale, ma sopratutto multi-disciplinare. La rappresentazione non riguarda più solo le tecniche del disegno, ma si estende, appropriandosi di nuovi linguaggi visivi e di nuove strutture linguistiche. O forse è meglio dire che il disegno acquista nuove accezioni: non evoca più solo l’atto di raffigurare la realtà attraverso codici stabiliti e con strumenti quali pennelli e matite, ma consolida il suo significato intrinseco di riflettere una sintesi della realtà anche attraverso segni allegorici, carichi di contenuti semantici che portano messaggi e veicolano informazioni e, quindi, ancora una volta conoscenza. Non si possono capire questi nuovi aspetti delle discipline del disegno senza accettare l’abbandono di quei margini e confini che distinguevano e separavano le diverse manifestazioni artistiche e che arginavano le possibilità tecniche solo alle applicazioni già note e comprovate. Il futuro è nell’ibridazione di discipline e di metodologie. Le parole di Ross Lovegrove, uno dei maggiori esponenti e cultori del design innovativo e delle anticipazioni figurali, sono dogmatiche: “abbiamo cominciato il ventunesimo secolo con un ricordo del ventesimo che indugia sul valore di una prospettiva revisionistica, che è abbastanza naturale per una nuova generazione che tenta di progettare all’interno di un crescente clima di complessità. Ora le idee sono iper-esposte e liberamente scambiate tra le discipline, generando così una nuova cultura ibrida e mutante senza regole e preconcetti”1. I software che usiamo in questo processo di applicazione di molteplici saperi possono aiutarci a realizzare immagini con un accurato grado di controllo, dovuto alla verosimiglianza che oramai può essere raggiunta dalle elaborazioni in computer graphic, che simulano le condizioni reali di un progetto, oltre che consentire un alto grado di flessibilità, proprio della fase di progettazione, quando la manipolazione di un’idea diviene un inevitabile passaggio realizzativo. La capacità di cambiamento di un assetto visivamente complesso, quale un disegno che simula una condizione reale, ha cambiato in modo rivoluzionario le procedure di sviluppo, sopratutto nella pratica professionale. Infatti, con un buon controllo dello strumento informatico si può definire una configurazione spaziale simulando condizioni di materia e di luce fino ad un grado prossimo alla percezione visiva reale e intervenire, in tempo relativamente breve, per modificare volumi e geometrie riproducendo, così, una nuova visione utile P. Cook & C. Fournier. Kunsthaus , Graz. Vista aerea alla verifica e al controllo della necessità e dell’eventuale apporto migliorativo conferito dalla variazione effettuata. Immaginando una condizione probabile di pratica progettuale dove intervengono più soggetti e molteplici professionalità, è evidente quanto sia utile simulare quasi in tempo reale l’apporto dato dai singoli suggerimenti. La visualizzazione è la capacità di disegnare mentalmente oggetti e/o forme che ancora non esistono. I progettisti dotati di buone capacità di visualizzazione non solo sono in grado di disegnare oggetti nella propria mente, ma sono capaci di controllare l’immagine mentale muovendosi intorno ad essa, cambiandone la forma, guardandola dall’interno ed eseguendo altri movimenti come se l’oggetto si trovasse nelle loro mani. La comunicazione ha come obiettivo proporre soluzioni progettuali su supporti grafici che limitino la possibilità di ambiguità, in modo che tutti possano comprendere e quindi visualizzare un progetto. La fase successiva può realizzarsi con modelli fisici realizzati con la prototipazione rapida. La documentazione è il momento del processo progettuale che ha come obiettivo registrare le differenti fasi operative attraversate, mediante l’archiviazione e la sistematizzazione dei grafici, dei file e di tutto il materiale che è stato utilizzato per la realizzazione del prodotto. La documentazione può diventare parte integrante e basilare di un processo di comunicazione finale del lavoro svolto, al fine di diffondere e divulgare i risultati ottenuti e le modalità seguite per ottenerli. note 1 Cfr. R. Lovegrove, Fusing Boundaries, in R. Lovegrove (a cura di), “The International design yearbook 2002”, Laurence Kzing Publishing, Hong Kong 2002, pp. 10-11 023 © Harry Schiffer Rappresentare l'architettura oggi: i concorsi di architettura e il binomio architettura/grafica Alla fine degli anni sessanta Jonathan Barnett pubblicava su “Architectural Record”, un articolo intitolato Architecture in the electronic age, in cui affrontava in modo originale un tema tutt’oggi attuale: l’influenza dell’elettronica sul mondo dell’architettura. L’articolo di Barnett approfondiva il problema dei rapporti tra l’architettura e la tecnologia ad essa “piegata”. John Johansen gli aveva appena inviato un suo scritto nel quale prefigurava i cambiamenti nel campo dell’architettura dovuti ai nuovi strumenti della comunicazione di massa. Le sue considerazione erano state suggerite dalla lettura del libro di Marschall Mc Luhan Understanding Media, pubblicato nel 1964. Il contributo più interessante del saggio di Johansen riguardava una rassegna di tutti gli strumenti del linguaggio comunicativo così come si erano storicamente determinati: dalla scrittura alla stampa, dalla pittura al fumetto, dalla fotografia al telegrafo, dal telefono al grammofono, dal giornale alla macchina da scrivere, dalla radio al cinema, fino alla televisione. Nella parte finale del saggio si apriva una finestra sull’incipiente tecnologia che si avviava a modificare i processi del lavoro e del sapere. John Johansen si chiedeva in che modo la rivoluzione elettronica avrebbe trasformato i modi tradizionali del fare e trasmettere l’architettura. Il dibattito si snodava in argomentazioni tutte negative. Pur appartenendo al paese più sviluppato al mondo per quanto riguardava i mass media, gli architetti americani dimostravano allora di voler restare ben ancorati alle solide conoscenze della tradizione disciplinare apprese all’università. Barnett decideva allora di rigirare la questione sulle pagine della rivista AR, Architectural Review. Nello stesso numero, incidentalmente figurava un articolo nel quale si riportavano i primi risultati della progettazione computerizzata, che più tardi si sarebbe denominata CAD (Computer Aided Design)1. L’introduzione dei personal computer nel processo di progettazione durante i primi anni ottanta dava inizio poi ad una serie di innovazioni nel design e nella produzione dell’architettura. In principio il personal computer era utilizzato prevalentemente per automatizzare una serie di aspetti nel processo esecutivo e costruttivo, e si diffondeva velocemente per i vantaggi che questo tipo di innovazione comportava: riduzione dei costi del lavoro, velocità di produzione, facilità di correzione e riproduzione ecc. Successivamente, con l’inserimento dei primi programmi di disegno tridimensionale, alcuni architetti iniziarono ad utilizzare questo strumento come un vero e proprio supporto alla ideazione e realizzazione del progetto2. La modellazione tridimensionale spostava l’attenzione e le capacità di molti pro- 025 Antonio Di Tizio 026 gettisti verso la possibilità di pensare e di rendere realizzabili non solo architetture ortogonali ma anche superfici e volumi deformati, non rappresentabili in maniera esaustiva se non con l’ausilio dei nuovi strumenti informatici. Lo sviluppo digitale degli strumenti e delle tecniche di progettazione modificava così il lavoro dell’architetto, non solo nel metodo di lavoro, ma più direttamente nelle potenzialità creative del processo di progettazione e di rappresentazione. Il disegno digitale per architetti non è più solo uno strumento realizzativo imprescindibile, ma piuttosto un vero e proprio processo creativo evoluto con cui si rivoluziona e si modifica l’ideazione che sta alla base del progetto architettonico. La grafica digitale resta in ogni caso la base di ogni programma informatico per il disegno. Comandi e funzioni che caratterizzano i programmi CAD possono però essere riassunti in alcune categorie principali: comandi di disegno; comandi di gestione delle entità digitali del disegno; comandi di trasformazione; comandi per la gestione dei layer; comandi VR e Render per la creazione di viste tridimensionali fotorealistiche3. La rappresentazione dei progetti di architettura - risentendo dei nuovi strumenti informatici come quelli finalizzati alla presentazione di elaborati di concorso - oggi si sta configurando come una disciplina con caratteristiche definite, con un linguaggio che lega il mondo del marketing e quello pubblicitario al tradizionale modo di mostrare i progetti di architettura. Anche per questo oggi la figura del grafico-architetto ha assunto una fisionomia propria. Tale figura - così come l’architetto tradizionalmente noto - oltre ad avere capacità compositive e creative atte a leggere e sviluppare un progetto di architettura, deve anche avere capacità comunicative tali da dare al progetto stesso una “visibilità” utile alla trasmissione semplificata dell’idea che è alla base dell’opera di architettura. Definendo meglio cosa si intende per grafica computerizzata o Computer Graphics si può dire che essa comporta la realizzazione per mezzo del computer di grafici, tabelle e immagini fisse o animate, in genere destinate alla visualizzazione su schermo o su altri supporti tradizionali. Le caratteristiche e la complessità del materiale grafico che è possibile produrre dipendono dal programma usato e dal grado di efficienza della memoria del computer. La grafica computerizzata trova svariate applicazioni sia nel settore scientifico sia in quello industriale come in quello cinematografico, per la realizzazione di effetti speciali. “Le principali tecniche elettroniche di visualizzazione su schermo sono due: la tecnica vettoriale e quella a scansione di percorso. Nella prima, il fascio elettronico che genera le immagini si sposta sullo schermo tracciando direttamente i punti e le linee (vettori) che compongono l’immagine, come fa una matita sulla carta nel disegno manuale. Nella seconda, il fascio elettronico scorre sullo schermo, ripetutamente da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso, componendo le immagini su una trama prestabilita. Lo schermo è formato da piccoli punti detti pixel, di cui è possibile regolare colore e luminosità Dal punto di vista dei programmi, due sono le principali tecniche di elaborazione delle immagini: quella della grafica a trama, o bit-mapped, e quella della grafica vettoriale, o orientata agli oggetti”4. Per la progettazione e la rappresentazione di progetti di architettura si utilizza la Tornando al binomio architettura e grafica, si verifica che anche il modo di descrivere un progetto diventa segno distintivo dell’architetto. Emblematico è il caso dell’architetto Renzo Piano, le cui opere e il colore blu sono diventati un binomio inscindibile, quasi un segno distintivo del Renzo Piano Building Workshop. Sull’uso del colore nel disegno digitale si possono fare molte altre considerazioni, sottolineando, ad esempio, l’importanza delle combinazioni cromatiche e i diversi ruoli assunti dal colore. Le combinazioni cromatiche di base sono legate alla realtà fisica, ma esse non sono casuali: ad esempio, i colori complementari si troveranno sempre in posizione direttamente opposta sulla ruota cromatica e sembreR. Piano. Centro Jean Marie Tijbaou, Nuova Caledonia 027 grafica orientata agli oggetti, detta anche grafica vettoriale o strutturata; questa è una tecnica basata sull’uso di elementi geometrici definiti quali rette, curve, cerchi e quadrati. Viene utilizzata soprattutto nella progettazione assistita da elaboratore, nei programmi per il disegno e nelle applicazioni di realtà virtuale, che, mediante tecniche specifiche - ad esempio il ray tracing -, riescono a riprodurre tutte le caratteristiche di un’immagine reale. Nella tecnica orientata agli oggetti, l’immagine viene descritta in forma matematica: un insieme di istruzioni specifiche definisce le forme elementari - primitive grafiche - che la compongono. In questo modo l’utente può manipolare gli oggetti come unità definite. Ad esempio può cambiare la lunghezza di una linea o il raggio di un cerchio, evitando la ridefinizione di ogni singolo punto dello schermo, come richiederebbe la grafica bit-mapped. Poiché gli oggetti sono descritti in termini matematici, le immagini costruite o gli elementi che le costituiscono possono anche essere posizionati, ruotati o ingranditi con relativa facilità 5. Le applicazioni di grafica computerizzata solitamente richiedono molte risorse di elaborazione; per questa ragione sono state progettate e vengono utilizzate su stazioni di lavoro di particolare potenza. Fondamentale diventa, a questo punto, il rapporto tra l’occhio e lo schermo del computer. Lo schermo, infatti, è il luogo di convergenza tra spazio e spazio mentale, è il terminale “di visualizzazione”; l’occhio, invece, è l’organo che osserva, che domina, che interpreta lo schermo. 028 Z. Hadid. Stazione dell’Alta Velocità. Afragola, Napoli. Progetto vincitore ranno sempre intensificarsi reciprocamente. Ognuna di queste combinazioni crea un effetto specifico per l’occhio dell’osservatore. Volendo specificare tali effetti si possono elencare le varie combinazioni: acromatica; analoga; contrastante; complementare; monocromatica; neutra; primaria; secondaria; complementare divergente; triade terziaria6. Ognuna di queste combinazioni ha in se un messaggio che trasmette all’osservatore, indipendentemente dall’oggetto della rappresentazione. Gli effetti emotivi e psicologici del colore sono innegabili e proprio nelle sfaccettature cromatiche la sensazione prodotta dal colore ha il suo maggiore impatto. Una caratteristica del colore è l’aspetto: esso può essere freddo, ardente, chiaro, scuro, caldo, fresco, pallido, vivace e ognuna di queste peculiarità ha capacità comunicative proprie7. Nel disegno di un’opera di architettura, l’uso del colore è utilizzato per calamitare l’attenzione in modo quasi subliminale; dopodichè si può raccontare l’oggetto della rappresentazione e trattandosi spesso di oggetti complessi, si può procedere alla scomposizione della forma, all’analisi delle parti e alla sua ricomposizione volumetrica e funzionale. Ciò al fine di approfondirne le qualità anche mediante l’uso delle tecniche digitali del disegno. Negli elaborati grafici che sintetizzano su di uno spazio grafico la rappresentazione di una architettura è importante operare una suddivisione delle aree, ovvero ogni tavola grafica deve raccontare il progetto utilizzando più tecniche e più metodi di rappresentazione scelti a giudizio P. Eisemnman. Concorso per la stazione dell’Alta Velocità. Afragola, Napoli. Sezioni Khras Arkitekter. Concorso per la stazione dell’Alta Velocità. Afragola, Napoli. Rendering prospettico Come caso emblematico di un più attuale modo di configurare e rappresentare l’architettura può essere citato il concorso internazionale di progettazione per la nuova stazione dell’Alta Velocità di Afragola, Napoli che è un importante nodo di interscambio della nuova tratta ad alta velocità/capacità ferroviaria Roma-Napoli. Il concorso è stato vinto dal progetto dell’architetto Zaha Hadid, il cui intervento esalta la funzione dell’architettura come mezzo di comunicazione fisica e ideale tra mondi e luoghi diversi. Un progetto con una forma lontana dai canoni razionalistici del passato, che risulta molto difficile da rappresentare in maniera esaustiva se non con l’aiuto del calcolatore e della computer graphics. I grafici relativi a questo progetto di concorso riescono tuttavia a comunicarne le intenzioni e le qualità peculiari. Tra i progetti finalisti ve ne sono alcuni - oltre al progetto vincitore - che meritano una particolare attenzione, come quello dell’architetto americano Peter Eisenman, nella cui proposta una esuberante poeticità distingue il progetto dai consueti terminal e lo assimila inconfondibilmente alla cultura locale. Familiare come le grandi stazioni del passato, propone allo stesso tempo una nuova esperienza del viaggio ferroviario. L’architetto americano - tra i principali promotori del disegno assistito - trasmette con i suoi grafici l’idea dell’esaltazione della forma piuttosto che una puntualizzazione dei suoi aspetti materici. Si può chiudere questa analisi su alcuni grafici del suddetto concorso, menzionando la proposta di Khras Arkitekter: una stazione costituita da una struttura che scavalca i binari, un volume chiaro e potente che contiene tutte le funzioni connesse alla ferrovia. L’interazione tra stazione e spazi commerciali crea un complesso di luoghi adatti all’incontro, oltre che al viaggio. I suoi grafici evidenziano 029 dell’architetto-grafico; tali tecniche e metodi concorrono a definire un aspetto o determinati aspetti del progetto. un progetto basato su geometrie rigide, caratterizzato da un prospetto rigorosamente simmetrico e da una cura nello studio del rapporto interno-esterno particolarmente curato. Dagli esempi analizzati è lecito sostenere che il modo di rappresentare un’opera di architettura è importante come la sua stessa ideazione, per cui la proposizione di un’immagine “immateriale”, ovvero di una visione dell’architettura non necessariamente verosimile, oggi può risultare vincente, come si desume dai nuovi linguaggi che si stanno diffondendo e che permettono all’architetto di divulgare in maniera più dinamica le proprie architetture. Nella nostra epoca, infatti, un architetto viene riconosciuto non solo per il suo linguaggio creativo e compositivo, ma anche per quello comunicativo. 030 note 1 Cfr. A. Muntoni, Architettura nell’era elettronica, mancosu editore, Roma 2005 2 Cfr. P.G. Mancia, Architecture&PC, editore Urlico Hoepli, Milano 2004 pp. 9-11 3 Cfr. Enciclopedia Multimediale Encarta, voce “grafica”, 2004 4 Ibidem 5 Ibidem 6 Cfr. AA. VV., Manuale di armonia cromatica, ed. Il Castello, Milano 2001, p.6 7 Ivi p.7 Figurazione grafica e Realtà (virtuale) Disegnare significa tradurre in segni grafici immagini reali o fantastiche, rappresentare simbolicamente forme viste, rilevate, misurate, analizzate, ma anche semplicemente pensate, sia su un supporto tradizionale quale il foglio di carta, che su un supporto virtuale quale lo spazio elettronico. Ogni figurazione condotta mediante un tracciato lineare può definirsi disegno. Ma proprio perché il disegno può essere “sintesi della realtà”, l‘atto di disegnare è modo di esprimersi e quindi anche scelta, analisi, studio1. La differenza tra disegno e realtà, si basa sul fatto che il disegno prevede o progetta la realtà oppure descrive la realtà ma non è mai la realtà. Si tratta di una realtà in potenza e non in atto. L’allineamento tra disegno e realtà in architettura è una alchimia che genera una sequenza operativa tra non costruito e costruito. L’architetto si occupa del disegno e non sempre della realizzazione. Il cantiere, infatti, può essere diretto dallo stesso architetto oppure da un altro tecnico: ciò non cambia le cose. Il disegno, quindi, appartiene alla progettazione e alla conoscenza della realtà, alla sua rappresentazione. La fonte da cui proviene la forza poetica e anticipatoria dei migliori architetti non è trasferibile necessariamente nella sola realizzazione di un’opera, ma è presente e si manifesta già nella sua prefigurazione su carta. Ora che c’è un cambiamento in atto e che assistiamo ad una rivoluzione culturale sull’arte e sull’architettura in particolare, attuata anche dall’introduzione delle nuove tecniche di disegno, l’influenza dello strumento grafico sul progetto finale appare sempre più evidente. Descrivendo meglio il processo che avvicina il disegno all’architettura si potrebbe dire che non c’è miglior modo per iniziare a comprenderlo se non adottando due tecniche diverse ma complementari. Soffermarsi su una architettura antica e ridisegnarla su un foglietto di carta quando si è di passaggio nelle sue prossimità oppure seguire processi di astrazione cercando di disegnare concetti. Mentre il disegno di rilievo è strumento di conoscenza, il disegno di progetto è l’insieme di segni da cui emerge la realtà possibile. Il disegno, quindi, è lo strumento ideale per comprendere la realtà, sia quella del passato che quella del futuro. Ne deriva che il disegno è un ottimo strumento che interconnette realtà virtuale e realtà costruita, ovvero il progetto e la sua realizzazione. Quindi il rapporto tra il disegno e la realtà si fonda sul fatto che il disegno ritrae la realtà e la realtà si “racconta” attraverso il disegno. In architettura tutto cio’ che è virtuale non è costruito, o meglio non è memoria del costruito, ed è reale tutto cio’ che viene realizzato sulla base di un disegno. L’esplorazione della virtualità del progetto o l’esplorazione delle potenzialità realizzative del progetto di architettura non è un campo di indagine recente, ma nasce già nel Rinascimento. Brunelleschi (1377-1446), Bramante (1444-1514), Leonardo (1452-1519) possono essere considerati i precursori dell’analisi virtuale del progetto. Essi furono i primi a impostare il progetto realizzando tavole descrittive studiate in 031 Antonio Di Tizio 032 prospettiva. Come questi anche i più grandi architetti moderni e contemporanei, da Frank LLoyd Wright a Giovanni Michelucci, da Renzo Piano a Norman Foster, da Jan Marc Schivo a Emilio Ambasz, progettano per l’uomo, servendosi di elaborati che legano realtà e idea. Si è molto scritto e discusso sui rapporti tra disegno/progetto/architettura e si è quasi sempre impostato il ragionamento a partire dall’osservazioH. Vedreman de Vries: prospettiva centrale ne “analogica” del fenomeno, sia nella lettura critica delle singole voci tematiche, sia nella disamina delle relazioni che stabiliscono e generano. Nel nostro caso sono le relazioni tra architettura e cultura digitale ad attualizzare l’argomento, generando ulteriori conformazioni che tendono a ridurre la tradizionale dicotomia di ordine analogico tra disegno e architettura. Le caratteristiche dello spazio digitale e i metodi di visualizzazione rendono contemporanee differenti elaborazioni di natura rappresentativo-conformativa, in cui disegno e progetto sono (al limite) la stessa cosa; dall’altro la configurazione materica dell’architettura è sostituita almeno nello spazio digitale - dalla sua fruizione virtuale, interattiva, n-dimensionale, propria dello spazio informatico che la ospita. Allo spazio materiale della realtà fisica si affianca lo spazio fluido dell’informazione, in cui la gravità, che condiziona la nostra esistenza terrena, è sostituita da una virtualità effimera, fluida, generatrice di ulteriori progettualità dedicate2. “La forza di gravità e l’incompenetrabilità dei corpi sono tra le condizioni di riferimento per la progettazione di spazi fisici, mentre la connettività, l’interazione e la asincronizzazione, sono alcune delle necessità dello spazio dell’informazione”3. Queste osservazioni fanno ovviamente riferimento a modelli elaborati per lo spazio digitale: diverso sarebbe se considerassimo, ad esempio modelli digitali di architetture progettate per lo spazio fisico. “Nella traduzione da analogico a digitale, il valore etico del costruire rimane inalterato; cambia, invece, l’azione-esito della sua fruizione. Nel primo caso - analogico - l’atto del costruire concretizza una configurazione morfologica materica dello spazio ideato, nelle condizioni che lo spazio fisico e il tempo stabiliscono inesorabilmente. Nel secondo caso – digitale - cambiando completamente l’ambiente di riferimento. l’atto albertiano della costruzione diventa esso stesso progetto. Luogo Archi-Tectonis. Gipsy Traial Residence della creatività”4. La costruzione non è più un momento successivo al progetto, ma nell’idea di rappresentazione prende forma e si dispone all’uso, e poi, anche alla successiva, eventuale, riconfigurazione. In altre parole, la messa a punto di un dispositivo di interfaccia spaziale e figurale è - metaforicamente - la costruzione. Queste considerazioni consentono anche letture differenziate dell’antico valore dell’abitare, connotazione primaria del fare architettura. “Se l’abitare significa, fra l’altro, fruire uno spazio, cosa comporta traslare questa sempli- 033 ce considerazione nell’ambito digitale? La rete non è, anche, un ulteriore spazio da abitare, da fruire?”5. Ricordiamo, inoltre, che queste considerazioni sono sostenute anche dal fatto che l’informatica si configura, soprattutto nella dimensione visivo rappresentativa. Soffermandoci su quali nuovi scenari si stiano delineando tra disegno e progetto nell’era della rappresentazione digitale, e confermando la ritrovata unità tra i due significati, ricordiamo inoltre che uno dei grandi eventi generati dall’incontro tra la cultura del disegno e la tecno - cultura digitale, è la rappresentazione/conformazione in real time, l’operare in tempo reale che apporta un controllo mai raggiunto prima. Tra i classici metodi di rappresentazione è possibile considerare la prospettiva come uno strumento di conoscenza della realtà, ma è anche “anticipo” di ciò che verrà. Tutta la pittura del Rinascimento è la testimonianza del significato di realtà virtuale che essa ha assunto nella storia. Oggi, attraverso strumenti sofisticati come i software per l’architettura, non è molto cambiato il significato di anticipazione: la realtà virtuale è semplicemente entrata nel computer ed ha preso il posto del pennello e della macchina fotografica. La differenza dal passato è che oggi la realtà virtuale è interattiva, cioè modificabile in tempo reale. Esistono quindi molte possibilità di cambiamento del progetto con maggiore velocità. Si verifica la “dinamica di progetto” cioè la possibilità di mutare in tempi brevissimi, passando ad uno stadio evolutivo sempre maggiore. Tra virtuale e reale non c’è un salto ma un processo suddiviso in fasi. “Nel rapporto tra reale e virtuale subentra l’utilità dell’architetto; l’architetto vi consente di dare una consistente apertura virtuale alle possibilità del vostro progetto; ma vi consente anche di programmare la realizzazione della vostra casa. Perchè i disegni sono utili e necessari? Se fate qualsiasi analisi storica dei successi dell’uomo vi accorgerete che tutte le operazioni di maggior successo sono state studiate con un disegno ben preciso”6. La realtà virtuale ha due componenti particolarmente importanti, il disegno ed il colore; nella realtà noi non vediamo il disegno ma vediamo le masse ed il colore, allora il colore è protagonista assieme alle masse e agli elementi. “Dal momento in cui si ha l’intenzione di modificare lo spazio cominci a muovere la realtà virtuale, ma non arrivi da nessuna parte se non hai un disegno ben preciso ed il disegno è sempre realtà virtuale. Il disegno è strumento di conoscenza e strumento di progetto ed è quindi un attributo della realtà virtuale; in molti casi il disegno è un attitudine”7. La visione tridimensionale, teorizzata nel Rinascimento, che pone il problema della relazione tra osservatore e oggetto osservato e che allora venne risolta con la visione monocentrica della prospettiva centrale, trova oggi altre possibilità di studio ed indagine mediante l’uso appropriato di modelli realizzati con l’ausilio del computer. Tramite la modellazione virtuale si tenta di risolvere il problema della “rappresentazione del tempo”, considerato come una delle variabili per la conoscenza e la percezione dell’architettura. Lo studio di realtà architettoniche, attraverso una rappresentazione che utilizza modelli informatici, consente una visione dinamica dello spazio architettonico; da la possibilità di entrare dentro le architetture, siano esse realizzate o solo pensate, cercando di risolvere anche il problema del rapporto di scala tra osservatore e modello. La semplice modificabilità di un modello tridimensionale al computer e la possibilità che esso offre di potere cambiare facilmente il punto di vista consentendo la realizzazione di filmati dinamici, fanno si che esso appaia quale ulteriore mezzo di controllo da affiancare al modello concreto. Modellare l’architettura è una fase importante per il completamento della comprensione del progetto. Il processo di progettazione implica l’applicazione di un mezzo di 034 rappresentazione e modellazione con cui esemplificare le idee del progetto e simulare la sua realtà fisica. Se registrare velocemente un pensiero o un’idea è un possibile fine di un disegno, la combinazione di carta e penna è sicuramente insostituibile per la facilità di utilizzo e la possibilità di comunicazione. Quando poi l’obiettivo diventa la descrizione esatta di un edificio, durante la fase di progettazione e/o di rilievo, i vantaggi del disegno e della modellazione eseguita con personal computer risultano molto più chiari, perché il computer è in grado di strutturare, automatizzare e permettere di manipolare i dati con estrema facilità. In questo senso la modellazione digitale è lo strumento più interessante per ottenere una simulazione veloce, perché offre al progettista la costruzione di un modello del progetto che è al tempo stesso verifica, disegno di studio ed esecutivo. II potenziale della cognizione digitale 3D deriva tuttavia dalla sua intrinseca possibilità di essere al tempo stesso astrazione e rappresentazione del progetto e quindi evocazione stessa delle percezioni, delle esperienze e del pensiero. In questo senso quindi, pur sempre lavorando con elementi grafici, il vantaggio della rappresentazione digitale sta nel consentire l’elaborazione di strutture complesse in modo veloce e accurato, esemplificando la forma e al tempo stesso prefigurando i contenuti del progetto. Molti aspetti della modellazione digitale sono ugualmente validi per la realizzazione dei modelli concreti, quali ad esempio i plastici di studio, le maquette, la prototipazione. Tuttavia la differenza forse più interessante e più produttiva dal punto di vista creativo risiede nel fatto che nel processo realizzativo della modellazione digitale, il progettista instaura con il modello una sorta di dialogo. Si realizza così un ciclo continuo di costruzione e valutazione, in cui il progettista interagisce con la realtà fisicodigitale esemplificata dal modello, apportando correzioni, modifiche, interpretazioni che restano sempre modificabili ed interagenti8. In effetti, il disegno digitale ha compiuto una sorta di rivoluzione nel modo di rappresentare e progettare l’architettura. Esso consente una facile e rapida visualizzazione di quanto elaborato, e ciò è particolarmente congeniale agli architetti legati ad una cultura essenzialmente visiva. L’utilizzo di programmi di disegno e di modellazione permette un’immediata visualizzazione delle architetture su uno schermo, che in brevi passaggi assumono la vista assonometrica o prospettica; queste possono essere facilmente modificabili man mano che l’idea progettuale evolve e va definendosi. Pertanto il modello digitale affianca il modello tradizionale, ponendosi come strumento competitivo nella progettazione. Ad esempio, la rappresentazione di T. Ando. Kidosaki House. Modello virtuale entità inafferrabili come la luce costituisce una difficoltà seria in una lettura esaustiva di opere di architetti contemporanei come Steven Holl, che utilizza la luce come elemento integrato dell’architettura. Geometria e natura, astratto e concreto sono gli elementi che caratterizzano tali architetture. Il vivere in maniera virtuale le relazioni sensoriali e la temporalità degli spazi non pone come contraddizioni, ma instaura un paradigma tra impalpabile e illusorio, tra “concretezza naturale” e “concretezza artificiale”, tra natura e tecnologia. note 1 Cfr. M. Bini, Disegno, rilievo, progetto, in “Firenze Architettura n. 1&2”, anno VII 2003. 2 M. Unali, Spazio Digitale: Disegno=Progetto, Atti del Convegno “Il Progetto del Disegno”, Lerici 2004 3 Ibidem 4 Ibidem 5 Ivi p.263 6 R. Valenti, Architettura e Simulazione, Mediterraneo Tipografia Ed. Siracusa, 2003 7 Ibidem 8 P.G. Mancia, Architecture&PC, editore Urlico Hoepli, Milano 2004 pp. 9-11 9 Ibidem 10 R. Valenti, op. cit., p.135 035 Il modello informatico, con le sue “rappresentazioni realistiche”, ben si offre come mezzo che riesce a colmare la distanza tra ciò che è “pensato” e ciò che viene realizzato, tra l’idea e la sua “visualizzazione”, tra l’immagine mentale e la sua espressione verosimile al reale9. Infatti, anche per le architetture nelle quali prevale l’uso di modi espressivi astratti e di forme elementari della geometria euclidea, lo studio condotto mediante i metodi di rappresentazione tradizionali può non essere pienamente esaustivo per “mostrare” e “comprendere” le ragioni, il pensiero o, se vogliamo, la filosofia che fa da supporto fondativo alla loro progettazione. Se da una parte la lettura tradizionale di architetture concepite con strutture geometriche semplici e rigorose può non destare dubbi sulla comprensione degli spazi, delle logiche aggregative e delle relazioni funzionali, dall’altra può creare fraintendimento o addirittura ignorare gli aspetti più “concreti” propri dell’architettura contemporanea. La formulazione del modello virtuale dimostra da un lato la propria versatilità nella rappresentazione, dall’altro pone uno strumento ambiguo, sospeso tra illusione e rappresentazione veritiera della realtà, ma pur sempre stabilisce una possibilità, singolare al momento, di percepire un’esperienza fittizia, illusoria e forse verosimile di architetture in cui il binomio natura-tempo o luce-tempo è elemento fondativo delle stesse. Ancora più “illusorio” come effetto, resta la possibilità di percepire il proprio punto di vista inserito all’interno degli spazi progettati, posto in movimento da sistemi di telecamere virtuali che producono un’esperienza completa di rumori e di suoni che verosimilmente simulano il futuro luogo di fruizione. Il soggetto appare all’interno della “scena virtuale” e la sua partecipazione diventa attiva nel momento in cui viene coinvolto dagli effetti sonori realistici. Rappresentazioni simili sono state sperimentate in esposizioni di progetti di architettura e, in tal caso, si configurano come vere e proprie “rappresentazioni” non più dettate dalle sole leggi delle proiezioni centrali, ma prossime alle regole del linguaggio cinematografico, in cui l’osservatore trasmigra nello spazio dell’opera, per comprendere e vivere, anche se virtualmente, con maggiore consapevolezza gli “spazi emozionali” che vengono plasmati nel fare architettura10. Un’architettura sempre più “virtuale” anche nella scelta dei materiali, trasparenti, sottili quasi incorporei, come sempre più evanescente è la rappresentazione che utilizza supporti differenziati per fermare un attimo, un istante del progetto di architettura oramai orientato verso la produzione di luoghi in cui si vogliono sperimentare nuove sensazioni. Le esemplificazioni grafiche Seconda Parte Santiago Calatrava | Steven Holl | Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano | Santiago Calatrava | Steven Holl | Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano | Santiago Calatrava | Steven Holl | Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano | Santiago Calatrava | Steven Holl | Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano | Santiago Calatrava | Steven Holl | Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano | Santiago Calatrava | Steven Holl | Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano | Santiago Calatrava | Steven Holl Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano | Santiago Calatrava | Steven Holl | Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano | Santiago Calatrava | Steven Holl | Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano Santiago Calatrava | Steven Holl | Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano | Santiago Calatrava | Steven Holl | Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano | Santiago Calatrava | Steven Holl | Toyo Ito | Daniel Libeskind | Renzo Piano | Santiago 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Se guardiamo indietro nella storia delle arti visive, sicuramente diventa più facile ricordare maestri che hanno dimostrato la capacità di unire molte competenze e conoscenze, impresse in capolavori che sono a giusto titolo ammirati e considerati irripetibili. Una lista di nomi potrebbe diventare troppo lunga e tuttavia essere carente rispetto a tutte le maestrie che le differenti epoche ci hanno consegnato. Immediatamente la mente ci richiama figure uniche come Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci, ma anche personaggi più recenti del secolo scorso, quali Antoni Gaudì, Frank Lloyd Wright, Pier Luigi Nervi. Meno immediata diventa la ricerca se si confrontano gli autori di opere architettoniche contemporanee. In effetti, l’architettura dei nostri giorni è pervasa da un estremo tecnicismo e anche l’immagine che si percepisce di tali forme rimanda sempre più spesso a tentativi di spingere la tecnica e la tecnologia verso confini non ancora esplorati. La questione è che la progettazione del nostro tempo è caratterizzata da una continua partecipazione di diverse professionalità e l’atto creativo è, quasi sempre, frutto di una sinergia di pensieri e di menti con formazioni scientifiche differenti, che necessariamente apportano un contributo di conoscenze e di culture specifiche, atte ad essere il miglior patrimonio conoscitivo per risolvere una limitata quantità di problemi relazionati alla fattibilità del progetto. Quindi, se da un lato l’architettura contemporanea mostra una estrema ricercatezza tecnica, visualizzata sempre più anche nel suo aspetto finale, dall’altro tale risultato è raggiunto non da una singola mente ma quasi sempre da un organizzazione complessa di conoscenze. La progettazione diventa, così, simultanea in un team che comprende specificità puntuali. Diventa, perciò, non facile identificare un’unica personalità che immagina, verifica e ipotizza quella che è la propria visione atta a dare un nuovo contributo alla modificazione della realtà - l’opera, appunto -; ma la necessità di affiancare ad un singolo lavoro una singola personalità ci porta a intravedere come architetto-regista la figura che meglio riesce a coniugare le diverse competenze, canalizzandole verso un unico flusso ideativo che darà origine alla forma finale del progetto. I grandi studi professionali che oramai dominano la scena architettonica mondiale sono spesso riconosciuti attraverso il nome di un unico soggetto. In realtà, si parla di organizzazioni professionali che assomigliano ad una grande struttura aziendale piuttosto che alla bottega d’arte che un tempo caratterizzava lo studio professionale dell’architetto. 039 La necessità di comunicare il progetto di architettura: alcune considerazioni sulle esemplificazioni didattiche 040 Conseguenza probabilmente inevitabile quando il confronto professionale avviene su commissioni sempre più grandi e difficili, in un mercato che oramai ha assunto dimensioni che coprono l’intero pianeta e che quindi sviluppa condizioni di competitività sempre più agguerrita. Aeroporti, stazioni dell’alta velocità, grandi contenitori museali, importanti concorsi ad inviti diventano il banco di prova dove l’architettura globale si palesa secondo un codice che sembra sempre più riconoscibile: le pagine patinate delle riviste specialistiche fanno da eco a considerevoli percorsi progettuali; le immancabili mostre elevano il carattere scientifico e artistico delle future e/o recenti costruzioni; i media digitali più innovativi - e innovatori - quali video/simulazioni, rendering, percorsi interattivi, ecc. prefigurano anche visivamente la fruizione degli spazi progettati. Lungi dall’esprimere qualsiasi eventuale considerazione a riguardo, non è sempre chiaro quanto questa strategia sia figlia di proficue pratiche di marketing professionale oppure di nuove e più dinamiche metodologie di comunicazione e quindi, se vogliamo, di rappresentazioni di un’idea. In ogni caso, la professione di architetto deve necessariamente confrontarsi con questo mondo e imparare i linguaggi che consentono l’affermazione di un concetto progettuale. Pertanto conoscere le nuove modalità di rappresentazione costituisce uno dei tanti fondamentali passi che bisogna affrontare per praticare architettura. In questo quadro, si collocano gli architetti contemporanei, trovando posizioni non sempre omogenee, e alcuni di essi pur non sottraendosi al ruolo di “personaggio” quando ciò divenga un efficace volano verso l’affermazione, mantengono, quale principale obiettivo, la ricerca di un’idea progettuale che ancora si fondi sui principi di funzionalità e di estetica che hanno sempre governato anche le opere più celebrate del passato. Ma per quanto riguarda la durata nel tempo che l’architettura classica si impegnava a perseguire, probabilmente gli ideali sono cambiati spingendosi più verso la progettazione di forme e la visualizzazione di idee che hanno nei loro fondamenti programmatici un carattere di transitorietà, che costituisce, almeno apparentemente, una specifica proprietà della nostra architettura. L’architettura attuale, pur sempre digitale se non negli obiettivi, sicuramente negli strumenti e nei mezzi che ne consentono la trasmissione, ha trovato un nuovo spazio, una nuova dimensione, un nuovo disegno che rende più semplice ed efficace la prefigurazione di idee e di pensieri che, inevitabilmente, si moltiplicano ad una velocità elevata, aumentando un rumore di fondo che può distogliere e annebbiare una corretta lettura delle opere progettate, ma che allo stesso tempo offre la possibilità ad un maggior numero di professionisti di far giungere le proprie idee ad un sempre più ampio bacino di utenza. Non a caso le giovani generazioni che hanno capito l’utilità dello strumento e che non sempre però ne controllano la direzione, hanno saputo veicolare il nuovo linguaggio per mostrare la propria abilità nel prefigurare spazi. Tuttavia, per meglio cogliere la validità di queste nuove forme bisognerà aspettare che il tempo ci consegni l’inevitabile giudizio. Nel frattempo bisogna mettere da parte qualsiasi pregiudizievole opinione e tentare di analizzare, per comprenderli, i fenomeni che si manifestano nel nostro mondo sociale e ne condizionano gli specifici aspetti. Nel caso dell’architettura, In quest’ottica ci sembra opportuno presentare alcune opere selezionate tra i lavori di cinque esponenti importanti dell’architettura contemporanea, che, pur esibendo stili e linguaggi diversi, mostrano con il loro lavoro la capacità di immaginare nuove forme, anticipando possibilità innovative di trasformazione dell’ambiente antropico. L’illustrazione di architetture di Santiago Calatrava, di Steven Holl, di Toyo Ito, di Daniel Libeskind, di Renzo Piano, eseguita da allievi architetti che affrontano il disegno digitale in alcuni casi per la prima volta, costituisce un’esercitazione interessante, che, senza voler formulare categorici giudizi di valore, propone l’utilizzo della rappresentazione quale strumento di conoscenza oltre che di comunicazione. L’obiettivo è stato quello di analizzare le architetture disegnandole e insieme comunicandone i principi compositivi. Il linguaggio grafico via via costruito ha avuto la finalità di realizzare un veicolo visivo, che potesse trasmettere in maniera immediata ed efficace le informazioni e gli insegnamenti raccolti nell’indagine. Questa rassegna di esercitazioni didattiche mostra non solo un interessante approccio all’architettura, ma anche una corretta sperimentazione del disegno digitale: considerato nelle sue componenti tradizionali di linguaggio e di veicolo di conoscenza, esso assume anche le rimarchevoli valenze estetiche che possono esaltare la forza e la qualità del messaggio che la comunicazione è chiamata a veicolare. Una particolare ammirazione è rivolta a tutti gli allievi dei corsi di Tecniche della Rappresentazione e di Disegno Automatico (Facoltà di Architettura dell’Università Federico II di Napoli) che con entusiasmo hanno approfondito le tematiche e affrontato le difficoltà emerse. Infine, un ringraziamento sentito è dovuto ai miei collaboratori ed amici, che negli anni mi hanno aiutato a svolgere il difficile ma pregevole esercizio della didattica. Massimiliano Campi 041 poi, che condiziona lo sviluppo figurale e spaziale della nostra realtà, l’attenzione che merita è considerevole, in quanto i processi trasformativi che avvia non sempre mantengono un rassicurante carattere di reversibilità. Quindi, senza banalmente cadere nell’errore di fermarsi in uno stagnante immobilismo che congela e atrofizza l’innarestabile dinamica del pensiero, conviene tentare di comprendere quali sono le leggi e le regole che governano taluni processi ideativi, in modo da poterli orientare ad un miglior sviluppo, identificando quelli da emulare. SANTIAGO CALATRAVA Una famosa mostra intitolata Santiago Calatrava, scultore, ingegnere, architetto, tenutasi nello storico Palazzo Strozzi a Firenze nell’anno 2000, stigmatizzava le molteplici capacità artistiche rinvenibili nelle sue opere. Il carattere poliedrico del progettista spagnolo rende difficile qualsiasi tentativo di inquadrare univocamente il suo lavoro. Eppure la necessità di tentare di descrivere le invarianti del suo operato è sostenuta da un’esigenza di sintesi didattica. Tale modus operandi, necessario per trasmettere le conoscenze derivate da un’indagine, diventa uno strumento insufficiente nel momento in cui si analizzano personaggi complessi, in cui l’evidenziare peculiarità è l’unico strumento di vera conoscenza. Questa premessa è opportuna nell’avvicinarsi all’opera originale dell’architetto di Valencia, protagonista eterodosso di una pratica progettuale dai caratteri peculiarmente compositi e dai tratti fortemente personali, verso la quale la critica non sembra disporre ancora di strumenti propri di esame e di lettura. Le ragioni sono certamente molteplici, certo legate alla confusa specializzazione dei linguaggi attuali e all’afasico dialogo tra arte e tecnica, tra architettura e ingegneria, tra espressione e costruzione. L‘insieme della sua opera, infatti, non solo sfugge alle classificazioni, alle etichette, alle formule, alle tendenze entro cui abitualmente si inquadrano e vengono perlopiù proposte le esperienze recenti o attuali, ma soprattutto non sembra avere limiti definiti. Una ricerca sostanzialmente unica, isolata, autoreferenziale, quella di Calatrava? Probabilmente ha molto influito sulla sua visione dell’architettura e sul suo modo di proporla l’esperienza di Zurigo, dove ha studiato ingegneria presso l’Eth, il celeberrimo politecnico svizzero, laureandosi nel 1979; nello stesso istituito ha conseguito la specializzazione con la tesi dottorale Zur Faltbarkeit von Fachwerken, sulla piegabilità delle strutture, nel 1981, che sembra anticipare quello che sarà l’indirizzo e l’evoluzione delle sue idee. “Un severo e plurale corso di studi decennale, dunque, sorretto e spinto dalla necessità di approfondire una vocazione scientifica per la costruzione e di dotarsi di strumenti conoscitivi adeguati, su più versanti”1. Prima lavoro fondamentale per la sua carriera di architetto è stata la realizzazione della stazione ferroviaria Stadelhofen a Zurigo (1983-90), opera che subito manifesta la sua vena compositiva sempre attratta dallo studio anatomico.“Con la nervosa trama strutturale degli esterni, egli organizza una membrana concettual- 043 L’esaltazione della forma tra calcolo e natura: l’opera di Santiago Calatrava 044 mente unitaria, capace di suturare la collina che ha inciso, conferendo forte identità urbana a un luogo di transito”2. L’intervento nel Bce Place a Toronto (1987-92) reinterpreta il tipo del passage e della piazza coperta, conferendo all’ambiente una dendritica trasparenza, che amplifica con ogivale slancio verticale la fiabesca copertura dell’aula magna di Wohlen.“L’attrazione per l’osteologia gotica è uno dei motori della ricerca di Calatrava: qui, la narrazione spaziale assume un esotico sapore goticheggiante, ove la candida foresta delle strutture libera l’invaso parabolico di una tenda-cattedrale di luce”3. “Nell’Auditorium di Santa Cruz di Tenerife, Calatrava conferma l’intima vocazione scultorea della sua architettura: il complesso volume, frutto dell’intersezione tra corpi conici e cilindrici, è coperto da un gigantesco spicchio di foglia sospeso, che richiama un’immagine alata”4. L’approccio progettuale di Calatrava, mirato a dar evidenza al “movimento” delle forze che animano le costruzioni o, meglio, a cristallizzare e sospendere nel tempo il fluirne dell’intimo disegno, implica frequentemente soluzioni mobili e configurazioni dinamiche, spesso asimmetriche. A questa produzione architettonica, che lo ha qualificato in termini tradizionali tra i più attivi “strutturisti” contemporanei, Calatrava affianca però una parallela, incessante investigazione teorica e figurativa, supportata da un raro talento disegnativo. “L’architettura si fa da dentro verso fuori - si legge in un cahier di Calatrava - la naturalezza del materiale è decisiva. Se la natura dell’architettura viene significativamente concepita da dentro verso fuori, strumento principe di progetto per Calatrava è coerentemente la sezione, come si è già notato”5. “Le relazioni spazio-materia dell’opera architettonica e di quella scultorea sono identiche; possono essere intese come un problema di limiti tra materia e vuoto, all’interno di un sentire plastico puro. Una dichiarazione esplicita, con cui Calatrava chiarisce l’architettonica essenza del suo costruire come interazione tra materia, struttura, tecnica nel definire dei limiti. Limiti che tentano di rendere visibile nella materia l’invisibile del tempo, facendosi tendini e ossa, costole e muscoli, petali e corolle, carapaci e artigli pronti a schiudersi e muoversi: natura mater et magistra - si legge significativamente in epigrafe della tesi dottorale Zur Faltbarkeit von Fachwerken -. Nel duttile lavorio critico di Calatrava sul senso dell’architettura, si riconosce una sottesa, tacita, penetrante maniera di ripensare le altre vie del moderno”6. Travalicando le feticistiche ovvietà della “razionalità” delle tecniche, con l’atto di estrarre forme dalla materia si esibiscono, infatti, le ragioni dell’arbitrio che presiede al progetto, tanto nel farsi plasticità di calcolo quanto formalizzazione di funzioni. Ripercorrere il metodo di progetto di Calatrava, attraverso le serie spesso fittissime di appunti, schizzi, disegni dei suoi quaderni, rivela una felice facilità di scrittura progettuale, un procedere in cui la figurazione umana e, più in generale, biologica, si intreccia con le ipotesi architettoniche, in un gioco quasi ossessivo di rimandi e allusioni, variazioni e ripetizioni tematiche, scarti simbolici e memorie private. Questo processo possiede ora una nuova libertà, non più legata alle regole del calcolo o ad un unico modello strutturale: l’opzione è ormai svincolata da parametri aprioristici rigidi. Potendo costruire secondo le leggi dell’intuizione, legate solo note 1 Cfr. S. Polano, Santiago Calatrava-opera completa, Electa, Milano 1996, p. 10 2 Ibidem 3 Ivi, pp. 13-14 4 Ivi, p. 16 5 Ivi, p. 18 6 Ivi, p. 22 7 Ivi, p. 154 045 alla sensibilità, anch’egli è oggi in grado di “provocare emozioni”. Forse è proprio in questo grado ritrovato di libertà creativa che la critica può individuare lo scarto opportuno per mettere a fuoco, senza troppi disagi, la figura di un progettista in grado di far dialogare serenamente arte e scienza sotto il segno di metrici canoni che danno ordine al costruire. Anche se la produzione di Calatrava è stata ricca e variegata per i temi che ha affrontato e per le soluzioni che di volta in volta le sue architetture hanno proposto, alcune sembrano particolarmente emblematiche per avanzare un’iniziale sintesi rappresentativa del suo percorso. Un esempio concreto è dato dalla stazione del Tgv a Lione, “che si pone come elemento autonomo, al centro del futuro quartiere aeroportuale, disposto ad anello ai due lati della ferrovia. La stazione si compone di tre elementi distinti: il corpo principale con il nucleo dei servizi, che definisce l’articolazione planivolumetrica del complesso; la zona dei binari; la galleria sospesa di collegamento all’aeroporto”7. La realizzazione di un padiglione temporaneo per la Swissbau del 1989 permette a Calatrava di sperimentare le possibilità cinetiche e plastiche del calcestruzzo, coniugando le tecnologie costruttive proprie dell’ingegneria al mondo delle forme naturali. Il padiglione galleggiante a Lucerna è concepito come auditorium. La piattaforma può essere utilizzata per esibizioni, stage e manifestazioni, diventando per la sua mobilità punto di incontro tra storia e cultura locali e gli eventi nazionali. Sia la mutevolezza delle forme che la possibilità di movimento nel lago vogliono richiamare lo scorrere naturale del tempo. Il padiglione del Kuwait all’Expo ‘92 di Siviglia sperimenta, forse più di ogni altra opera costruita, l’idea di mobilità, di cinetica architettonica che il progettista pone al centro della sua ricerca. Il centro delle scienze di Valencia, nelle sue numerose varianti, dimostra la sistematica paratassi di Calatrava nell’organizzare in sequenza articolata una serie di edifici di grandi dimensioni, connotati ciascuno da forte individualità: dal fuso sospeso sul tripode della torre delle comunicazioni all’occhio-palpebra del planetarium, dal lungo corpo del museo della scienza e della tecnica - ulteriore esempio di lavoro generato in sezione - fino al grande spazio coclearie per esposizioni. [ADT] 046 biografia SANTIAGO CALATRAVA Santiago Calatrava nasce a Benimamet (Valencia) nel 1951. Dopo aver frequentato l’accademia d’arte, si laurea in architettura nel 1974 a Valencia, dove consegue anche il diploma post-laurea in urbanistica. Terminati gli studi in architettura si trasferisce a Zurigo, qui nel 1979 si laurea in ingegneria presso l’Eth, celeberrimo politecnico svizzero. Ed è proprio all’interno del politecnico che comincia a sperimentare e a ricercare nuove forme per l’architettura; indagine che si concluderà nel 1981 con una tesi di dottorato. Nello stesso anno, apre a Zurigo il primo dei suoi studi, che lo porteranno anche a Parigi e a Valencia. L’intero lavoro di Santiago Calatrava è stato fortemente caratterizzato dai suoi studi, prima da quelli in architettura, preceduti da quelli non meno importanti presso l’accademia d’arte, e poi da quelli in ingegneria. Analizzando i suoi lavori non è facilmente trovabile un etichetta, una classificazione in cui includerli. Essi sfuggono alle correnti entro cui abitualmente si inquadrano e vengono proposte le esperienze recenti. Per meglio delineare la linea progettuale seguita da Calatrava è opportuno delineare almeno un profilo sintetico di alcune opere nodali nel nutritissimo curriculum dell’architetto-ingegnere. Significativamente rappresentativi del lavoro di Calatrava sono i quattro interventi realizzati nella scuola a Wohlen, tra il 1983 e il 1988. Lo studio delle strutture resistenti per forma porterà alla realizzazione della pensilina metallica d’ingresso e della grande tenda dell’atrio che copre una corolla di petali lignei. Il guscio della biblioteca, non gravando sulle pareti perimetrali, si scarica unicamente su una colonna dal profilo a fuso. Nella realizzazione della copertura dell’aula magna, infine, la fitta sequenza di archi lignei, con sezione segmentata a V e supporti inclinati con capitelli taurino-zoomorfi, conferiscono allo spazio un’atmosfera irreale dove la luce si muove tra trasparenze e leggerezze. Nella stazione ferroviaria Stadelhofen a Zurigo (1983-90), Calatrava manifesta chiaramente le strade della ricerca formale e progettuale che sta percorrendo, che tendono ad analizzare il rapporto anatomia-architettura. Con il Bach de Roda a Barcellona (1984-87), l’architetto, affronta il tema dei ponti. Esaltandone il valore figurativo come oggetto architettonico, ne fa il principale protagonista delle trasformazioni e delle riqualificazioni urbane. Nello specifico, il progetto si sviluppa in due archi gemelli che definiscono un elegante disegno strutturale, confinano funzionalmente la carreggiata veicolare e, indirizzando il flusso pedonale lungo gli archi inclinati esterni, definiscono una sorta di promenade. Nel 1992 completa il padiglione del Kuwait all’Expo di Siviglia, dove sperimenta l’idea di mobilità, di cinetica architettonica. Il modo di ideare e realizzare un’idea di architettura passa sempre attraverso la realizzazioni di schizzi di studio. Le tavole sono disegnate a matita con sicura rapidità, a mano libera, e spesso acquerellate e rappresentano il primo sistematico elaborato progettuale. Destinate a successivi perfezionamenti, sia sui tavoli da disegno che mediante l’elaborazione al computer, queste tavole sono frutto di una spettacolare padronanza di mezzi ideativi, dove la definizione dell’immagine generale è strettamente collegata alla definizione dei dettagli costruttivi, anzi nasce dal continuo raffronto tra particolare e generale, ovvero dalla continua verifica dell’intuizione creativa e della cognizione scientifica. [MDF] 1979 1983 1983 1983 1983 1983 1983 1983 1983 1983 1984 1984 1984 1984 1985 1986 1986 1986 1986 1986 1987 1987 1987 1987 1987 1987 1987 1988 1988 1988 1988 1988 1988 1989 1989 1989 1989 1989 1989 1989 1989 1989 Ponte alpino Acleta, Disentis, Svizzera Sistemazioni esterne di casa Thalberg, Zurigo, Svizzera Deposito delle officine Jakem, Müncwilen, Svizzera Fabbrica Ernsting’s, Coesfeld, Germania Balcone Baumwollhof, Zurigo, Svizzera Stazione ferroviaria Stadelhofen, Zurigo, Svizzera Copertura del centro postale, Lucerna, Svizzera Fermata degli autobus, San Gallo, Svizzera Scuola cantonale, Wohlen, Svizzera Nuovo atrio della stazione feroviaria, Suhr, Svizzera Sala da concerti del centro comunitario, Suhr, Svizzera Uffici Henz Ag & Dobi Inter Ag, Suhr, Svizzera Padiglione de Sede, Zurigo, Svizzera Ponte Felipe II – Bach de Roda, Barcellona, Spagna Palestra scolastica, Bienne, Svizzera Segnaletica stradale, Barcellona, Spagna Ponte 9 d’Octubre, Valencia, Spagna Sala per concerti della scuola di musica giovanile, San Gallo, Svizzera Studio televisivo Blackbox Ag, Zurigo, Svizzera Cabaret Tabourettli, Basilea, Svizzera Ponte pedonale Oudry-Mesly, Créteil, Francia Ponte pedonale, Thiers, Francia Stazione metropolitana Basarrate, Bilbao, Spagna Ponte Alamillo e viadotto La Cartuja, Siviglia, Spagna Complesso residenziale Pcw, Würenligen, Svizzera Banco Exterior, Zurigo, Svizzera Ponte pedonale sull’Arno, Firenze, Italia Centro sportivo Pré Babel, Ginevra, Svizzera Ponte Lusitania, Merida, Spagna Torre delle telecomunicazioni, Barcellona, Spagna Ponte Wettstein, Basilea, Svizzera Ponte Gentil, Parigi, Francia Ristorante Bauschänzli, Zurigo, Svizzera Centro d’emergenza, San Gallo, Svizzera Ponte Miraflores, Cordoba, Spagna Torre Montejuic, Barcellona, Spagna Pensilina, Zurigo, Svizzera Ponte pedonale sul Reuss, Flüelen-Seedorf, Svizzera Padiglione Swissbau, Basilea, Svizzera Pensilina, San Gallo, Svizzera Biblioteca della facoltà di legge, Zurigo, Svizzera Copertura del monastero Muri, Canton d’Argovia, Svizzera 1989 1989 1989 1989 1989 1989 1990 1990 1990 1990 1990 1990 1991 1991 1991 1991 1991 1991 1992 1992 1992 1992 1993 1993 1993 1993 1994 1994 1994 1994 1994 1995 1996 1998 1998 1999 1999 2001 2003 2003 2004 Stazione Tgv Rhône-Alpes, Satolas, Lione, Francia Padiglione galleggiante, Lago di Lucerna, Svizzera Ponte Gran Via, Barcellona, Spagna Ponte di Ondarroa, Ondarroa, Spagna Ponte pedonale La Devesi, Ripoll, Spagna Ponte girevole Port de la Lune, Bordeaux, Francia Ponte pedonale Campo de Volantin, Bilbao, Spagna Galleria Spitalfields, Londra, Gran Bretagna Ponte sul Tamigi, Londra, Gran Bretagna Nuovo ponte sul Vecchio, Corsica, Francia Teatro del forte Belluard, Friburgo, Svizzera Aeroporto di Sondica, Bilbao, Spagna Palazzo dei congressi e auditorium, Santa Cruz di Tenerife, Spagna Padiglione del Kuwait, Siviglia, Spagna Beton Forum Standard Bridge, Stoccolma, Svezia Ponte ferroviario Klosterstrasse, BerlinoSpandau, Germania Completamento del ponte Oberdaum, Berlino, Germania Stazione modulare metropolitana, Londra, Gran Bretagna Ponte Serreria, Valencia, Spagna Shadow machine, New York, Usa Piazza España, Alcoy, Spagna Ponte sul Serpis, Alcoy, Spagna Ponte pedonale Trinity, Salford, Gran Bretagna Ponte a Murcia, Murcia, Spagna Southpoint pavillon, New York, Usa Velodromo Herne Hill, Londra, Gran Bretagna Ponte St. Paul, Londra, Gran Bretagna Ponte pedonale Manrique, Murcia, Spagna Ponte pedonale Quay Point, Bristol, Gran Bretagna Ampliamento del Millwaukee Art Museum, Millwaukee, Usa Centro Congressi, Fiuggi, Italia Stadio di Calcio, Bilbao, Spagna Ponte pedonale, Venezia, Italia Bodegas Ysio, San Sebastian, Spagna Ponte pedonale Puerto Mujer, Buenos Aires, Argentina High Rise, Malmö Tre ponti olandesi, Haarlemmermeer, Olanda Complesso Olimpico, Atene, Grecia WTC Path Terminal, New York, USA 80th South Street Tower, New York, USA Ponte a Turtle Bay, Sundial 047 opere principali Stazione Tgv Rhône-Alpes 048 Lione, Francia - 1989 Il concorso nazionale e ad inviti per i progettisti stranieri fu bandito dalle Ferrovie Francesi (S.N.C.F.), dalle autorità della Regione delle Alpi Rhône, nonchè dalla Camera di Commercio ed Industria di Lione, come una delle iniziative di rilancio economico e commerciale da attuarsi attraverso una migliore e più efficiente rete di trasporti e comunicazioni. In questo modo, non solo Lione si sarebbe meglio collegata al suo aeroporto, situato a Satolas, 30 km a nord-est da essa, ma anche a paesi e città più lontane. A questi, infatti, si sarebbe offerto un collegamento diretto all'aereoporto attraverso i nuovi tratti di alta velocità, realizzando, in tal senso, il primo aeroporto ad essere collegato alla rete europea di alta velocità, sempre più in espansione. Le direttive del concorso stabilivano espressamente che si offrisse agli utenti del servizio, oltre che una soluzione ad una necessità funzionale, una struttura simbolica, un forte segno, riferimento topico, iconologico e linguistico nel paesaggio. L'aggiudicazione del primo premio comportò a Calatrava anche la commissione del progetto esecutivo e la direzione dei lavori. Dimensionato per un transito di 270.000 viaggiatori annui e collocato in un contesto particolare, il progetto si pone come elemento autonomo al centro del futuro quartiere aeroportuale, disposto ad anello ai due lati della ferrovia. L'intera struttura è costituita da tre elementi distinti: il corpo principale con il nucleo dei servizi, che definisce l'articolazione planivolumetrica del complesso, la zona dei binari e la galleria sospesa di collegamento all'aeroporto. La stazione ferroviaria si compone essenzialmente di due parti: la hall, situata simmetricamente sopra i binari e le banchine dei binari, coperte per 500 metri. Al piano terreno la hall - commissionata dal Consiglio delle Alpi Rhône - contiene tutti i servizi della stazione e i banchi check-in per l'aeroporto; a livello della galleria, due balconate superiori aggettanti e un'area di sosta e ristoro collegate da scale mobili. La hall triangolare, collegata all'aereoporto con tapis roulan e coperta da una galleria di acciaio lunga 180 metri e a forma di enorme uccello ad ali spiegate, assume per la sua configurazione il significato simbolico di portale d'ingresso. Disegnata dall'intersezione di diverse sezioni di cono a forma di W, alta 30 m, la hall è retta da archi reticolari in acciaio, di circa 100 m di luce, ancorati, ai vertici del triangolo planimetrico, a basi di calcestruzzo che definiscono le facciate vetrate nord e sud. I due alti curtain-wall inclinati, con montanti in acciaio disposti radialmente con un angolo di 2,25 gradi, si appoggiano agli archi in calcestruzzo, che raccordano la copertura dei binari. Una leggera tettoia in lamiera di alluminio si protende a sbalzo oltre le facciate, raggiungendo un'altezza di 40 m. Essa serve, inoltre, i vari 049 parcheggi d'auto ed un'area sotterranea dotata di ascensori. Il terminaI dei pullman e quello dei taxi, sono ubicati sul lato ovest della stazione. Molto interessante è la zona dei binari nella stazione, con una galleria lunga 180 m, a copertura dei sei binari, dei quali i due centrali incassati in un nucleo di cemento armato ad archi incrociati a maglia romboidale. Tale copertura è realizzata in parte in lamiera intervallata da elementi vitrei, in parte è aperta in testata per liberare il vuoto d'aria e favorire la decompressione dei treni che viaggiano a 260 km/h. Articolata in due livelli, l'area ospita i binari - due centrali in un tunnel, per percorrenze veloci, e quattro laterali - serviti da banchine collegate ad un percorso posto sulla copertura del tunnel. Il sistema strutturale in calcestruzzo bianco a vista è definito da archi che, impostandosi su piedritti inclinati a Y distanziati da un interasse di 9,35 m (la lunghezza standard del vagone ferroviario), si incrociano in figure romboidali, inizialmente previste vetrate e poi parzialmente sostituite da pannelli in cemento. L'ottimizzazione della sezione resistente ha portato a concentrare il materiale nel punto in cui si trasmette il momento torcente della copertura, vale a dire all'innesto dei bracci della Y, incastrando le mensole del tetto nella trave di bordo e rendendo invece puntiforme il contatto con il terreno. Dalla galleria centrale ci si affaccia sulle zone dei sottostanti binari, con un gioco di compenetrazioni spaziali di particolare complessità e bellezza. La galleria è sostenuta ai lati da supporti in cemento armato a "V", omologhi degli altri a "V" rovescia che costituiscono la struttura laterale del cassone centrale in cemento armato. Cosi la struttura a cavalletto, senza soluzione di continuità, plastica e fluida, copre "tre navate" memore di altri grandi storici spazi pubblici: dalle stazioni ottocentesche ai grandi mercati pubblici. [MDF] Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Santiago Calatrava Opera: Stazione Tgv Rhône-Alpes Città: Lione - Francia Anno di realizzazione: 1989-1994 Allievo: A. Capone (a.a. 2002/2003) concorso: 1989 completamento: 1994 050 Indirizzo: Satolas, Lione, Francia Committente: French Railways (SNCF), Region Rhône Alpes, Lyon Chamber of Commerce and Industry (CCIL). Concept, Design e progettazione esecutiva: Alexis Bourrat, Sebastien Mamet, Dan Burr, David Long Lighting Designers: Berretta-Girardet-Instalux Dettagli tecnici: Area netta: 13.000 mq Area lorda: 25.000mq latitude: 52.53; longitude: -2.34 Lione, Francia Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Santiago Calatrava Opera: Stazione Tgv Rhône-Alpes Città: Lione - Francia Anno di realizzazione: 1989-1994 Allievo: M. Artiola (a.a. 2002/2003) concorso: 1989 completamento: 1994 056 Indirizzo: Satolas, Lione, Francia Committente: French Railways (SNCF), Region Rhône Alpes, Lyon Chamber of Commerce and Industry (CCIL). Concept, Design e progettazione esecutiva: Alexis Bourrat, Sebastien Mamet, Dan Burr, David Long Lighting Designers: Berretta-Girardet-Instalux Dettagli tecnici: Area netta: 13.000 mq Area lorda: 25.000mq latitude: 52.53; longitude: -2.34 Lione, Francia Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Santiago Calatrava Opera: Stazione Tgv Rhône-Alpes Città: Lione - Francia Anno di realizzazione: 1989-1994 Allievo: L. Marciello (a.a. 2003/2004) concorso: 1989 completamento: 1994 060 Indirizzo: Satolas, Lione, Francia Committente: French Railways (SNCF), Region Rhône Alpes, Lyon Chamber of Commerce and Industry (CCIL). Concept, Design e progettazione esecutiva: Alexis Bourrat, Sebastien Mamet, Dan Burr, David Long Lighting Designers: Berretta-Girardet-Instalux Dettagli tecnici: Area netta: 13.000 mq Area lorda: 25.000mq latitude: 52.53; longitude: -2.34 Lione, Francia Movimento e forma in tre padiglioni espositivi 066 Il Padiglione Swissbau. Basilea, Svizzera - 1989 Il Padiglione Galleggiante. Lago di Lucerna, Svizzera - 1989 Il Padiglione del Kuwait. Siviglia, Spagna - 1991 Padiglione Swissbau Calatrava comincia ad applicare i primi studi inerenti le possibilità cinetiche e plastiche del calcestruzzo nel 1989. La possibilità gli è data dalla realizzazione del Padiglione Swissbau, a Basilea. Qui egli riesce a coniugare le tecnologie costruttive proprie dell'ingegneria al mondo delle forme naturali. La struttura esibisce una caratteristica del calcestruzzo prefabbricato normalmente non esaltata: l’intrinseca possibilità di modellazione. La risposta alle esigenze di libertà figurativa viene data tramite materiali di elevata qualità, basse tolleranze e l'uso di elementi in serie che assicurano economicità di produzione anche per forme complesse. Caratteristica principale di quest'opera è quella di poter cambiare la propria configurazione mediante il movimento coordinato degli elementi; mensole ancorate ad un setto portante sostengono quattordici costole collegate da aste che ruotano circolarmente su dischi. La modulazione della luce, esito di tale movimento, è percepibile nell'armonica periodicità con cui le ombre mutano sulle superfici; l'effetto plastico dell'insieme risulta accentuato da fonti di illuminazione diretta a pavimento. Padiglione Galleggiante Il padiglione realizzato sul Lago di Lucerna in occasione della commemorazione del 700° anniversario della fondazione della Confederazione svizzera, è costituito da una zattera sulle acque del lago Vierwaldstätter e si conforma come una conchiglia fluttuante in calcestruzzo. Tale forma nasce da diverse esigenze: innanzitutto la scelta del materiale, il calcestruzzo, è dovuta alla richiesta della federazione elvetica dell'industria del cemento che vuole dimostrare come tale materiale possa relazionarsi armonicamente con la natura, mentre la struttura vuole definire uno spazio culturale all'interno della manifestazione. La struttura è concepita come un auditorium in grado di poter ospitare quattrocento persone, al cui interno possono essere svolte esibizioni, stage e manifestazioni. Di notevole interesse è il fatto che la struttura possa muoversi sulle acque del lago, diventando quindi punto di incontro tra storia e cultura locali e gli eventi nazionali. Padiglione del Kuwait Nel 1992, il governo del Kuwait, commissiona a Santiago Calatrava, la realizzazione di un Padiglione con cui poter degnamente divulgare la cultura di questo paese durante l'Expo tenutosi in Spagna nel ‘92. Fu cosi che Calatrava decise di realizzare una costruzione singolare e fortemente caratterizzata, anche se di ridotte dimensioni rispetto a molti degli oltre cento padiglioni presenti nell'area. Planimetricamente, l'edificio, che si presenta pressoché rettangolare, si sviluppa su due livelli. Il primo, costituito da un piano interrato, è adibito a mostra permanente; il secondo, sopraelevato, è dedicato a proiezioni ed esibizioni. Il primo ambiente, è suddiviso in un anello perimetrale e in una corte centrale; l'anello perimetrale a tre gradini è pavimentato con lastre di marmo bianco e illuminato da fenditure di disegno triangolare, poste sull'alzata della gradonata; la corte centrale, alta 5,90 m, rifinita con marmo bianco e nero, è coperta da dieci travi arcuate in legno, con sezione a V, definite da stecche radiali. Particolarmente interessante è il sistema di illuminazione di questa sala interrata. La luce naturale filtra dal pavimento della piazza superiore, realizzato in marmo traslucido incollato su vetro stratificato, che risplende di notte grazie al sistema di illuminazione della sala. Un sistema mobile di diciassette costoloni di legno a sezione triangolare, lunghi 25 m, simili a foglie di palma disposte in due file contrapposte, coprono lo spazio superiore intrecciandosi; la rotazione avviene mediante sottili elementi tubolari, imperniati su pilastri affusolati in cemento armato alla soglia tra gradonata e piazza e costituiti da due pezzi incollati con resine speciali. Grazie a un sistema idraulico, ciascun pezzo della struttura di copertura può assumere angolazioni variabili da 45 a 90 gradi. I singoli movimenti di ciascun costolone, comandati da motori indipendenti, creano perciò mutevoli giochi di forme tra i due limiti: completamente chiusi, per proteggere dal sole durante il giorno; tutti aperti, la notte, per consentire proiezioni su uno schermo di 30 mq, innalzato su una delle pareti. [MDF] 067 Da un punto di vista planimetrico, il padiglione si presenta come un'"isola" a pianta triangolare dai Iati curvi - un cassero in calcestruzzo armato compartimentato e impermeabile -, in cui è inscritta una struttura circolare di pilastri inclinati, di 30 m di diametro, che sorregge una corolla di ventiquattro elementi indipendenti a forma di petalo, la cui configurazione può trasformarsi grazie a un sistema meccanico di apertura. I diversi elementi caratterizzanti l'opera vogliono metaforicamente evocare il passaggio degli elementi naturali. Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Santiago Calatrava Opera: Padiglione del Kuwait Città: Siviglia - Spagna Anno di realizzazione: 1991 - 1992 Allievo: I.Rossi (a.a. 2002/2003) completamento: 1992 068 Indirizzo: Zona 6, Avenida 5 Isla de la Cartuja Siviglia, Spagna Committente: Governo del Kuwait Dettagli tecnici: Altezza corte centrale: 5.90 m Copertura: 17 costoloni in legno a sezione triangolare di lunghezza 25 m ciascuno. latitude: 41.12; longitude: -1.16 Siviglia, Spagna Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Santiago Calatrava Opera: P. del Kuwait, P. Galleggiante, P. Swissbau Città: Siviglia - Spagna; Lucerna - Svizzera; Basilea - Svizzera Anni di realizzazione: 1991-1992/1989/1989 074 Allievo: M. Colella (a.a. 2003/2004) PADIGLIONE DEL KUWAIT completamento: 1992 PADIGLIONE GALLEGGIANTE completamento: 1989 Indirizzo: Zona 6, Avenida 5 Isla de la Cartuja Siviglia, Spagna Indirizzo: Lago Vierwaldstatter Lucerna, Svizzera Committente: Governo del Kuwait Dettagli tecnici: Altezza corte centrale: 5.90 m Copertura: 17 costoloni in legno a sezione triangolare di lunghezza 25 m ciascuno. Committente: Fondazione Commemorazione Svizzera Dettagli tecnici: Piattaforma di calcestruzzo armato compartimentato e impermeabile su struttura circolare di pilastri inclinati (diametro 30 m) PADIGLIONE SWISSBAU completamento: 1989 Indirizzo: MCH Fiera Svizzera (Basilea) SA CH-4005 Basilea Tel. +41 (0)58 200 20 20 Fax. +41 (0)58 206 21 88 Committente: Swissbau Dettagli tecnici: Struttura di elementi semoventi in calcestruzzo prefabbricato. latitude: 45.16; longitude: -8.26 Lucerna, Svizzera Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Santiago Calatrava Opera: Padiglione Swissbau Città: Basilea - Svizzera Anno di realizzazione: 1989 Allievo: A. Merone (a.a. 2003/2004) completamento: 1989 080 Indirizzo: MCH Fiera Svizzera (Basilea) SA CH-4005 Basilea Tel. +41 (0)58 200 20 20 Fax. +41 (0)58 206 21 88 Committente: Swissbau Dettagli tecnici: Struttura di elementi semoventi in calcestruzzo prefabbricato. latitude: 45.12; longitude: -7.11 Basilea, Svizzera Museo della scienza e planetarium Il Museo della scienza è stato realizzato da Calatrava a Valencia nel 1991, successivamente alla vittoria conseguita al concorso organizzato per la progettazione della città della scienza. L'area interessata dal concorso era divisa in due parti integrate e interrelate da una strada di attraversamento: l'area più piccola ospita la torre delle telecomunicazioni, mentre quella più estesa, di forma rettangolare, accoglie il museo della scienza e della tecnica e il planetarium. I tre edifici realizzati da Calatrava si dispongono lungo un asse, che è la traccia dell'antico corso fluviale. Il planetarium è costituito da un corpo a pianta ellittica, la cui copertura a guscio serve ad accogliere al suo interno una sala emisferica in cemento armato, che ospita la funzione richiesta dal concorso. L’edificio è apribile alla sommità e alla base mediante tre elementi, realizzati con una struttura mobile metallica, a cui sono fissate lastre vetrate. Archi perimetrali inclinati sostengono il guscio e il lucernario, mentre uno specchio d'acqua copre la zona destinata ai servizi sottostanti. La restante parte dell'area è invece occupata dal museo vero e proprio. Esso è costituito da un edificio a pianta rettangolare, limitato longitudinalmente da un’asse - elemento compositivo e fondativo del complesso - definito mediante la ripetizione modulare della sezione trasversale. La costruzione si caratterizza come una lunga galleria espositiva dalla quale si sviluppano terrazze e mezzanini per le sezioni tematiche, si configura come una sorta di enorme copertura, aperta verso il verde, chiusa a sud da un sistema di archi tesi in cemento armato bianco a vista e a nord da una facciata leggera in vetro e acciaio e da testate contraffortate. [MDF] 085 Valencia, Spagna - 1991 Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Santiago Calatrava Opera: Museo della Scienza e Planetarium Città: Valencia - Spagna Anno di realizzazione: 1991 - 2004 086 Allievo: I. Risimini (a.a. 2002/2003) concorso: 1991 completamento: 2004 Segovia, Fernández Asociados Indirizzo: Ciudad de las Artes y las Ciencias Avenida Autopista del Saler nº 1, 3, 5, 7 46013 Valencia, Spagna Ingegneria civile: Leing Ingegneria Pallás y Committente: Generalitat Valenciana Dettagli tecnici: Area lorda: 26.000 mq Concept, Design e progettazione esecutiva: Aguilera Ingenieros, Martínez latitude: 40.12; longitude: -1.30 Valencia, Spagna S T E V E N H O L L Capita spesso di sovrapporre l’opera e il percorso culturale di un architetto ad uno specifico stile, che riassuma e renda immediatamente leggibile quanto di ineffabile può esserci nel suo lavoro. Ancor più spesso si ricerca nella sequenza delle sue realizzazioni un tratto di continuità che possa rappresentare l’unicità del suo progettare e quindi evidenziare un’impronta rassicurante e costante per far coincidere pensiero e forma. Questo processo analitico avviene sopratutto quando l’oggetto dell’indagine è l’insieme di realizzazioni firmate da un unico progettista e riguarda in modo particolare l’architettura contemporanea. Il metodo di tale investigazione è necessario al fine di rispondere ad obiettivi di sintesi, pur sempre necessari, ma può anche rendere imperscrutabile la più profonda essenza che accompagna forme d’arte complesse e di difficile catalogazione, quali sono le arti visive. La problematica appena descritta si manifesta con accenti ancor pù evidenti se si tenta di esaminare il lavoro di Steven Holl, riconosciuto quale protagonista indiscusso del panorama architettonico mondiale. Pochi anni fa, Kenneth Frampton tra i più autorevoli critici d’architettura, scriveva che “l’immaginazione di Holl non si limita alla ricerca di combinazioni dei vari aspetti con cui l’architettura si presenta, ma permea anche la costruzione stessa, dando luogo a una tettonica che per quanto in tono minore, è espressa dalle tecnologie e dal carattere tattile dei materiali impiegati”1. Ancora riferendosi ad alcuni aspetti fondamentali rimasti invariati nel corso di tutta la carriera dell’architetto americano, l’importante critico sottolinea che “la sua architettura si esprime in modo pienamente poetico quando il tema affrontato e l’intuizione euristica risultano inseparabili dalla soluzione costruttiva scelta” e “ ciò indipendentemente dal fatto che la costruzione sia caratterizzata dall’impiego di un unico materiale [...] o, come avviene in [alcune] opere, da involucri traforati, in muratura, vetro o metallo, che le avviluppano completamente, dove la complessità fenomenologica può essere resa evidente da un giunto posto in evidenza, indipendentemente dal modo in cui è realizzato”2. L’approccio con cui Holl affronta il progetto di architettura ha una struttura portante coerente che egli modula a secondo della scala di intervento. Dall’unità abitativa monofamiliare al masterplan urbanistico si possono intravedere i caratteri di una continua ricerca in divenire, dove far confluire gli innumerevoli interessi artistici più volte da egli stesso rimarcati, coniugati e tradotti in forma attraverso sapienti accostamenti di effetti materici e di luminescenza, solo apparentemente destabilizzanti, in geometrie che conservano una matrice dichiaratamente regolare, generando un codice linguistico originale e scenografico, oltre che inconsue- 093 La forma quale visione prospettica di arte e cultura nell'immagine architettonica di Steven Holl 094 to. Proprio nei suoi progetti per la città si rintracciano i caratteri esemplificativi dell’opera di Steven Holl che abbiamo descritto. La scala urbana, infatti, gli permette di realizzare il progetto intendendolo come occasione di comporre delle vere e proprie modulazioni ritmiche, ottenute da elementi e funzioni diverse, che pur mantenendo una specifica individualità, sono resi partecipi di un unico concetto, così come in un discorso che veicola un pensiero complesso le parole mantengono la loro unicità significante ed allusiva (o eloquente ed evocativa). In alcuni suoi progetti a carattere urbano un aspetto sorprendente è il modo in cui sono stati elaborati “come un montaggio prospettico e tridimensionali di edifici, poi definiti in pianta e sezione, e infine adattati alle funzioni e al contesto urbano esistente”3. Unicità e congiunzione urbana sembra essere la matrice su cui elaborare un’articolata struttura progettuale. Il traguardo comporta il tentativo di relazionarsi ad un insieme preesistente senza necessariamente adeguarsi alla riduttiva proposizione di uno stilema rappresentativo di uno stato consolidato, ma contemporaneamente senza ridurre l’architettura della città ad un accostamento di “pezzi” dal design identificabile con l’autore, che spesso trovano soltanto labili connessioni con l’intorno. Anche se la produzione di Holl è stata ricca e variegata per i temi che ha affrontato e per le soluzioni, originali sia per geometrie sia per uso dei materiali, che di volta in volta le sue architetture hanno proposto, alcune sembrano particolarmente emblematiche per avanzare un’iniziale sintesi rappresentativa del suo percorso. Un parametro comune è il rilevante uso della luce che, sapientemente composta e dosata per creare particolari ambienti e enfatizzare il ruolo degli spazi, diventa un fondamentale materiale costruttivo che fa dimenticare la sua impalpabile fisicità. Di questa condizione è particolarmente emblematico il Bellevue Art Museum4, realizzato nello stato di Washington nel 2001, che ha mostrato la capacità dell’architetto americano di realizzare volumi articolati partendo da una geometria regolare ed elementare. Lavorando su un parallelepipedo, egli attua un processo di sottrazione di singole unità dimensionali, quasi fossero particelle da modulare per modificare la materia, per scavare il volume e realizzare vuoti che scandiscono il ritmo figurativo delle facciate. Ottiene, così quattro prospetti principali, senza una gerarchia specifica, dove un acceso colore con dominanti di rosso alternato ai tagli rivestiti di acciaio smaltato di candido bianco enfatizza il carattere scultoreo di quest’architettura. Sulla sommità dell’edificio, tre volumi che derivano dalla cesellature effettuate in facciata, determinano un interessante gioco di luce per gli ambienti interni: l’illuminazione nadirale e laterale convoglia verso un grande atrio centrale a doppia altezza, intorno al quale si sviluppano, nei diversi piani, gli spazi espositivi. La luce gioca un ruolo fondamentale, anche se con un diverso linguaggio, nel blocco per uffici in Sarphatistraat5 costruito ad Amsterdam, Olanda, nel 2000, dove i temi caratteristici di Steven Holl si incontrano in un eccellente equilibrio. Nel lessico architettonico dell’architetto ha sempre avuto un ruolo predominante la funzione espressiva della “pelle” che riveste e protegge l’edificio. In questo caso, note 1 Kenneth Frampton, Steven Holl architetto, Electa, Milano 2002, p. 19 2 Ibidem, p. 31 3 Ivi, pp. 31-32 4 Cfr. “GA Document”, n° 66, ottobre 2001, pp. 24-43; R. Raymund, Un centro per la città-confine, in “Domus” n° 842, novembre 2001, pp. 64-67; J. Pastier, Urbanism cubed, in “Metropolis”, giugno 2001, pp. 168-169; J. Hogrete, Devine Interventions, in “Interiors”, maggio 2001, pp. 58-68; Bellevue Art Museum, in “Casabella” n° 673-674, dicembre-gennaio 1999, pp. 120-126. 5 Cfr. Peek Performance, in “Interiors”, maggio 2001, pp. 102-109; “GA Document”, n° 63, marzo 2001, pp. 38-47; C. Schittich, Building Skins, Birkhäuser, Basel, pp. 88-91; Y. Safran, Il padiglione di Amsterdam, in “Domus” n° 830, ottobre 2000, pp.92-103. 095 una membrana metallica intelligentemente microforata, costituisce un esemplare diaframma che filtra la luce prima che essa valichi l’ingresso verso gli spazi interni. In questo cammino l’illuminazione naturale assume un carattere fortemente espressivo, che condiziona piacevolmente la fruizione degli ambienti. Durante le ore di buio, poi, la luce artificiale interna sembra voler restituire all’ambiente esterno la quantità di meraviglia ricevuta, rendendo impalpabile la membrana forata e alternando diverse cromie in facciata, che riflettendosi sulla vicina superficie d’acqua creano una eterea atmosfera evocativa. Ancora una volta il colore della corteccia che caratterizza il volume, verde in questo caso per il rame dei pannelli, gioca un contrasto netto con l’ambiente circostante, ma paradossalmente senza entrare in opposizione con esso, come in questo caso dove il manufatto di Holl dialoga piacevolmente con il rosso bruno dei mattoni che racchiudono l’edificio preesistente. Il Centro enologico a Langenlois, costruito in Austria nel 2003 mostra l’evoluzione del pensiero architettonico di Steven Holl e il livello raggiunto dalla sua incessante ricerca, che in questa opera continua il suo percorso sui temi della luce, della “porosità” dell’involucro esterno, ma soprattutto della geometria della forma che, in questo caso, si confronta con la relazione del costruito con l’ambiente naturale. Il centro infatti, si erge su una distesa di vigneti e di antiche cantine, la cui planimetria viene ridisegnata nelle facciate dell’edificio, quasi a voler portare in primo piano ciò che non può essere percepito per la sua natura sotterranea, elevando ciò che non è immediatamente osservato ma che costituisce la memoria radicata del luogo a pura monumentalità figurativa. [MC] 096 biografia STEVEN HOLL Nato nel 1947 a Bremerton (Washington). Pratica la professione di architetto dal 1974 negli Stati Uniti, Francia, Australia, Italia, Germania, Giappone, Austria, Olanda. Steven HoII ha costituito lo studio Steven Holl Architects nel 1976. Conseguito il titolo professionale presso l'Università di Washington, ha studiato architettura a Roma e alla Architectural Association di Londra. Qualche anno dopo tiene un’esposizione alla Yale School of Architecture Gallery dal titolo: "Young Architects". Nell'1981 e fino all'89 è professore aggiunto alla Scuola Superiore di Architettura e Urbanistica dell'Università della Columbia in New York. Attualmente è docente della Graduate School of Architecture della Columbia University e ha tenuto corsi presso vari altri istituti, fra cui l'università di Washington a Seattle, il Pratt Institute di New York e l'Università della Pennsylvania. I suoi lavori sono stati esposti, fra l'altro, al Museum of Modern Art e al Walker Art Center di Minneapolis. Alcune manifestazioni hanno reso possibile la diffusione della sua opera anche oltre oceano, come nell'1981 con la mostra alla Galleria d' Arte Moderna di Roma dal titolo "The bridges". Numerosi riconoscimenti e premi dimostrano lo straordinario percorso dell’architetto e del suo studio, tra cui il prestigioso elogio dell’AIA New York per l'Andrew Cohen Apartment di New York. Un tappa fondamentale della sua carriera è la mostra alla Princeton School of Architecture del New Jersey dal titolo "Anchorage". Nel 1985 ottiene il premio AIA New York per la Pace Collection Showroom di New York. Nel 1987 espone alla XVII Triennale di Milano con un allestimento dal titolo "Urban Section" e riceve il premio AIA New York per la migliore proposta urbana dell’anno per il progetto Porta Vittoria di Milano. Nel 1998 riceve il premio nazionale AIA per il Berkowitz-Ogdis House di Martha's Vineyard in Massachusetts e nello stesso anno espone i suoi progetti al MOMA di New York. Nel 1990 riceve il premio "Progressive Architecture" per il College of Architecture & lanscape Architecture del Minnesota; il premio di Architettura "Arnold W. Brunner" per l'American Academy and Institute of Arts and Letters. L'anno successivo riceve il premio "Progressive Architecture" per Void Space/Hinged Space Housing di Fukuoka in Giappone; riceve il NYC Art Commission Excellence per la Renovation of the Strand Theater ed espone i suoi progetti alla Biennale di Venezia. Nel 1991 riceve il premio AIA New York per la Stretto House di Dallas in Texas. Nel 1995 ottiene il premio AIA New York per Cranbrook Institute of Science e poco tempo dopo il premio "Progressive Architecture" per il Museum of the City di Cassino in Italia. Nel 1997 gli viene consegnata la medaglia d'onore dalla AIA New York; riceve il National AIA Religious Architecture per la Chapel of St. Ignatius, Washington. L'anno dopo riceve la medaglia "Alvar Aalto" e il premio Chrysler for Innovation Design. Per il Kiasma Museum of Contemporary Art di Helsinki, inaugurato nel maggio 1998, riceve il premio del National AIA Design. Nel 1999 ultima l'ampliamento del Cranbrook Institute of Science a Bloomfield HiIIs, nel Michigan. Numerosi altri lavori hanno segnato la sua carriera dall’inizio del nuovo millennio: si ricorda in particolare, la Casa "Y", il Bellevue Art Museum, gli uffici Sarphatistraat, il Nelson Atkins Museum of Art. [AL] 1974/75 Residence Manchester, Washington 1977/78 Gymnasium Bridge, Bronx, New York 1978/79 Millville Coutyard, Millville, New Jersey (con J. Fenton) 1979/82 Bridge of Houses New York, New York (con M. Janson, J. Fenton, J. Rosen) 1980/81 Pool House and Sculpture Studio Scarsdale, New York (con M. Janson J. Rosen) 1982/83 Van Zandt House, East Hampton, New York, (con J. Fenton, M. Janson, P. Shinoda) 1982/83 Cohen Apartment, New York 1984/88 Berkowitz-Ogdis House, Martha's Vineyard, Massachusetts (con R.Nelson, P. Shinoda S. Cassel) 1984/88 Hybrid Building, Seaside, Florida 1986/87 Apartment, Museum of Modern Art Tower, New York (P. Lynch, R.Nelson) 1987/88 45 Christopher Street Apartment, New York (con P. Lynch) 1987/88 Apartment, Metropolitan Tower, New York (con S. Cassel) 1989 College of Architecture and lanscape Architecture, University of Minnesota, Minneapolis, Minnesota (con T. Jenkinson, P. Lynch) 1989/91 Void Space/Hinged Space Housing, Fukuoka, Japan (con H. Ariizumi) 1989/92 Stretto House, Dallas, Texas (con A. Yarinsky) 1990/91 Palazzo del Cinema, Venice, Italy (con W.Wilson, P. Lynch) 1990/91 Showroom, Anne Klein A-Line, New York (con M. Janson, A. Yarinsky) 1992 Makuhari Housing, Chiba, Giappone 1996 Cappella di S. Ignazio, Washington 1999 Casa "Y" un rifugio, Catskills, New York 2000 Bellevue Art Museum, Bellevue, Washington (con T.Bade, M.Cox) 2000 Sarphatistraat Office, Amsterdam 2001 Casa del vino, Austria 2004 Engineering Excellent honor Award, Simmoons Hall, MIT 2004 Charles Harleston Parker, Simmoons Hall, MIT, Cambrige. MA 2004 International Parhing Institute, Nelson Atkins Museum of Art, Kansas City, MO 097 opere principali Bellevue Art Museum 098 Bellevue, Washington - 2000 Bellevue è una zona ad oriente del lago di Washington, caratterizzata da una periferia borghese, non troppo urbanizzata con tanto verde e piccole case tra gli alberi, con i moli gettati nel lago, le strade regolari che conducono, stringendo la visuale, ad un centro cittadino tranquillo con le sue strutture per uffici, il tempo libero e il commercio. Ci troviamo nella zona dove Holl si è laureato e dove ha da poco concluso la sua Cappella di Sant’Ignazio. In questa, come in altre opere, cerca un contatto con il sito di progetto, trova l’idea guida che accompagni il lavoro fino all’ultimazione dell’opera. Il suo linguaggio è cambiato, la matrice conoscitiva e l’impatto formale sono gli stessi, ma posti in un altro modo: utilizzando le stesse affermazioni dell’architetto, sarebbe lecito chiedersi “in quanti modi è possibile cantare una canzone o recitare un testo teatrale?”. Evidentemente moltissimi, almeno quanto può essere geniale colui che se ne occupa. Forse il cruccio è quello di trovare segni riconoscibili di uno stile e accorgersi che sono presenti ma che ogni volta si superano e si rimescolano a dare nuova forma all’arte: Holl, infatti, ammette: ”Sto cercando fortemente di non avere un linguaggio; questo perché io possa rendere fresco ogni progetto. E’ più difficile di quello che pensassi perché nel corso dell’evoluzione di ciascuno ci sono delle cose che arrivano più velocemente e spontaneamente, […] ogni progetto è diverso. Per uno ci si può impiegare un giorno e per un altro possono volerci dei mesi per elaborarlo”1. Nel Bellevue Museum la linea guida viene ritrovata nel movimento del sole. Cosi come accadeva per il museo di Arte Contemporanea a Helsinki, dove le linee urbanistiche della città vengono intersecate con la linea diagonale del sole che non raggiunge mai più di 51°. Il sole diventa ancora matrice ispiratrice ed in particolare generatore di quella “triplicità” di sensazioni che può offrire succedendosi in spazi che si incurvano ad accogliere nuove percezioni, a solleticare la curiosità di fruire ancora di scenografiche viste sulla città. Un rapido sguardo ai suoi schizzi a tempera, a quel colore che ritroveremo sulla facciata, e tutto è chiaro i tre grandi spicchi sono le tre espressioni della luce che il suo occhio ha colto guardandosi un attimo attorno. La luce espressione del “tempo lineare” quello che ci accompagna nella galleria nord, poi di seguito saremo catturati dal “tempo ciclico” in quella a sud con un arco corrispondente all’arco del sole a 48°nord, ed infine il “tempo della conoscenza” un ordine frammentato di radiazioni solari che si riflettono nei lucernai accogliendo la luce che proviene da est-ovest2. La “triplicità” guida il suo pensiero fino al punto di collegare tre materie che il museo intende promuovere, l’arte, la tecnologia e la scienza, con tre gallerie e tre ambienti per piano disposti su tre livelli. Sembra il prologo di un manuale pitagorico, il numero tre era nume- note 1 Cfr. C. Tannini, M. Valli, Sessantuno domande a steven Holl, Clean Edizioni, Napoli 2005 2 Cfr. K. Frampton, Steven Holl architetto, Electa, Milano 2002 3 Cfr. DOMUS, n°842, novembre 2001, pp.64-77; F. Bucci, Magic city, Mancosu editore, Roma 2005; K. Frampton, Storia dell’Architettura moderna, Zanichelli editore, Bologna 1998; www.stevenholl.com; www.architettura.supereva.it/files/20030103/ articolo sullo stile di Steven Holl; www.floornature.it/worldaround/articolophp/art9/5/itarch10 intervista di Mattew Peek. 099 ro sacro sintetizzato nel triangolo equilatero, e probabilmente anche le teorie che riguardano la direzione degli elettroni in un campo magnetico hanno ispirato il progettista nella sua intuizione sulle triplicità. Aldilà di qualsiasi base intellettualistica, il piccolo museo (soli 33000 mq) definito come un “art garage”, a sottolineare la sua natura di ospitare non solo mostre permanenti ma qualsiasi manifestazione riguardi l’espressione del contemporaneo, rimane un episodio interessantissimo di architettura. Il blocco tagliato verticalmente nelle sue infinite curve su superfici orizzontali ad inseguire il movimento del sole, mostra il colore della sua razionale recisione in un rosso acceso, che gli conferisce un certo carattere ed una riconoscibilità durante il giorno nel tessuto cittadino. Ma all’imbrunire le grandi vetrate illuminate nascondono il vivo colore, eliminando il confine e lasciando entrare lo sguardo dei passanti, cercando un consenso o forse solo stimolando la curiosità per ciò che viene esposto all’interno. L’ accesso al museo, oltre che dalla strada, è possibile con un ascensore che, dai sotterranei a parcheggio, ci conduce ad un ambiente di forma perfettamente cubica che ospita un bookshop, una caffetteria e tutti i servizi utili ad iniziare il “viaggio della conoscenza”. Le diverse gallerie sono collegate tramite rampe che conducono il visitatore in una morbida ascesa verso l’ultima corte esterna, ritagliando uno spazio esterno di forma ellittica, che incastona la visione del cielo e del suggestivo movimento delle nuvole. Sembra che Holl oltre a quel fondo di interiorizzazione di radice spiccatamente classica abbia ben presente il Guggenheim Museum di F.L. Wright, con la salita verso l’alto dove più ampio è lo spazio, qui sostituito da quello che lo stesso Holl definisce “la corte della luce”. A diversi livelli si trovano corti accessibili alla stessa quota, che peraltro è possibile osservare con nuove prospettive man mano che si sale, grazie all’uso di spazi a doppia altezza modulati in modo da offrire sempre nuovi scorci e possibilità di illuminazione. La ritmica e la “venustas” sono simili a quelli usati nel nord Europa e non stupisce che Holl abbia avuto tanto successo ad Helsinki. Sembra ritrovare quel pacato equilibrio di A. Aalto con le sue corti chiuse a confine col cielo. I richiami alla classicità di L. Kahn, all’organicismo di Wrigth, ai dibattiti sulle nuove discipline scientifiche, oltre agli accenni al lessico dell’architettura contemporanea, sono tutti elementi rinvenibili in un dettaglio o in uno scorcio prospettico ed evidenziano, con la loro fisica presenza, l’appartenenza di Holl all’arte del nuovo millennio3. [AL] Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Steven Holl Opera: Bellevue Art Museum Città: Bellevue - Washington Anno di realizzazione: 2000 Allievi: M. Coppola - S. Palmieri (a.a. 2003/2004) completamento: 2000 Indirizzo: Bellevue, Washington 100 Committente: Bellevue Art Museum Dettagli tecnici: Area lorda: 36,000 square feet Concept, Design e progettazione esecutiva: Steven Holl, Tim Bade, M.Cox latitude: 44.05; longitude: 123.09 Bellevue, Washington Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Steven Holl Opera: Bellevue Art Museum Città: Bellevue - Washington Anno di realizzazione: 2000 Allievi: A. L. Lodato - G. Stanzione (a.a. 2003/2004) completamento: 2000 Indirizzo: Bellevue, Washington 104 Committente: Bellevue Art Museum Dettagli tecnici: Area lorda: 36,000 square feet Concept, Design e progettazione esecutiva: Steven Holl, Tim Bade, M.Cox latitude: 44.05; longitude: 123.09 Bellevue, Washington Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Steven Holl Opera: Bellevue Art Museum Città: Bellevue - Washington Anno di realizzazione: 2000 Allievi: S. Baruffo - P. De Martino (a.a. 2003/2004) completamento: 2000 Indirizzo: Bellevue, Washington 110 Committente: Bellevue Art Museum Dettagli tecnici: Area lorda: 36,000 square feet Concept, Design e progettazione esecutiva: Steven Holl, Tim Bade, M.Cox latitude: 44.05; longitude: 123.09 Bellevue, Washington Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Steven Holl Opera: Bellevue Art Museum Città: Bellevue - Washington Anno di realizzazione: 2000 Allievo: D. Corbisiero - G. Nappii(a.a. 2003/2004) completamento: 2000 Indirizzo: Bellevue, Washington 118 Committente: Bellevue Art Museum Dettagli tecnici: Area lorda: 36,000 square feet Concept, Design e progettazione esecutiva: Steven Holl, Tim Bade, M.Cox latitude: 44.05; longitude: 123.09 Bellevue, Washington Sarphatistraat Office 122 Amsterdam, Olanda - 2000 “L’intensità e la piccola scala costituiscono veramente un terreno molto fertile per un progetto di architettura. Quindi la pazienza e l’umiltà di guardare a questa piccola scala, sono assolutamente i due più preziosi consigli che io possa dare”1. Il Padiglione di Amsterdam rappresenta proprio la concezione di Holl di piccola scala, ci si trova, infatti, dinanzi ad un manufatto che è di dimensioni contenute ed a metà tra il progetto ex-novo e il “ri-uso” di magazzini ottocenteschi abbandonati. Un edificio che sporge sul Singel Canal viene abbattuto nell’area dove l’architetto è chiamato ad intervenire. In questo modo, si ristabilisce l’intenso connubio di Holl con l’acqua, elemento che dissimula e dialoga continuamente con l’edificio nuovo che egli progetta per il complesso. In un‘intervista si ritrovano i pensieri chiave: “confesso che sono veramente ossessionato dall’acqua, specialmente se introdotto nella scala più vasta dello spazio urbano”2. Riecheggia il suo passato accanto all’architetto paesaggista Lawrence Halprin, la sua formazione inconsueta per un americano tra Roma e Londra, il suo perdersi nella spiritualità del chiaroscuro del Pantheon. L’architettura come inserimento in un contesto, la lezione del “landscape” nella sua matrice di organicità tra materia e natura diventano la sua base creatrice. In questa ottica si muove il pensiero del Padiglione di Amsterdam. La visione dall’alto mostra la vecchia “u” formata dai due edifici preesistenti3, chiusi razionalmente in una quasi corte, e l’evoluzione attuale ad “y” con l’inserimento del Padiglione per Conferenze che diviene quasi l’estensione con la quale l’intero complesso si raccorda al canale, una sorta di “cerniera con l’acqua”. Questo concetto diventa propulsione ispiratrice fin dall’inizio e prendono corpo i primi acquerelli che l’autore realizza di consueto quando inizia a ragionare su una nuova opera. Il pensiero rappresentato mostra prospettive ed elementi che sono quelli che pressappoco ritroveremo a lavori ultimati; la tecnica dell’acquerello gli permette di descrivere ciò che gli suggerisce il movimento del sole e il fluire dell’acqua. In quei primi segni - come d’altronde spiega nelle sue interviste - ci sono le basi sulle quali si muove il suo linguaggio formale, che non si standardizza né si scompone ma si arricchisce di genius loci e che non si ripete ma si ricrea ogni volta. Questo è quanto accade nel progetto realizzato ad Amsterdam, che si concretizza in un continuo snodarsi e sovrapporsi di spazi che dialogano continuamente con chi li percorre. La luce naturale è studiata in ogni più piccola fessura, lo spazio diviene denso di sensazione che non è possibile nemmeno riprodurre attraverso la fotografia ed il tempo diventa scansione di eventi, di scorci e di mutevoli visioni alle diverse ore del giorno, ricordando il ritmo delle ombre delle antiche basiliche note 1 Cfr. C. Tannini, M. Valli, Sessantuno domande a steven Holl, Clean Edizioni, Napoli 2005 2 Op. Cit. 3 Cfr. K. Frampton, Steven Holl architetto, Electa, Milano 2002 4 Op. Cit. 5 Cfr. F. Bucci, Magic city, Mancosu editore, Roma 2005 123 romane. Il movimento del corpo nello spazio, inteso non solo come misura ma come esperienza, viene espresso con la parola “Parallax”, che sarà poi il titolo di un libro nel quale descrive la sua costante ricerca architettonica. Il manufatto architettonico diventa quindi l’espressione materica di tutti questi fenomeni sensoriali, di cui Holl è grande difensore ed erge contro chi crede di poter fare architettura tralasciando le esperienze che la fruizione deve offrire. Da qui l’idea di dover necessariamente trovare una linea guida, ovvero un concetto che diventa elemento conduttore di tutte le percezioni sensoriali e che nel caso del Padiglione di Amsterdam è rappresentato da una visione organica del colore della luce e delle forme, la cui estrinsecazione diventa una membrana a “spugna” posta sulla superficie dell’edificio, scandita da piccoli fori regolari che cambiano di dimensione e il cui colore si divide e si confonde con l’acqua. Le forme morbide accompagnano lo sguardo fino a precise prospettive, il fluire si interrompe solo con quadrati di finestre disposti asimmetricamente e con angoli smaterializzati, che all’esterno suggeriscono un capriccio formale, ma all’interno proiettano, come su tele ben studiate, precisi scorci della città. La lezione di L. Kahn, con cui Holl anelava collaborare, è stata assimilata. In un intervista l’architetto americano afferma: ”la personalità che realmente mi attraeva dal punto di vista architettonico, era quella di Louis Kahn”4. Di Kahn riusciamo a percepirne la stessa importanza data allo schizzo nell’approccio al progetto quando ancora non si conoscono le misure, quello studio del percorso e della contemporanea fruizione da parte del corpo dello spazio, relazione che in età più matura diventerà “Parallasse”. Forse di Kahn aveva visto il Kimbell Art Museum in Texas, rappresentazione concreta di assoluto connubio tra architettura e paesaggio, che da un lato è nascosto dagli alberi e dall’altro biancheggia e quasi si dissolve sotto la luce solare, per effetto del travertino delle pareti5. E poi la luce - ente fondamentale nella “poetica” di Holl - era per Kahn, “unpredictable”, ovvero imprevedibile come la natura dell’uomo. Ed ancora le pavimentazioni, l’uso dell’acqua e quello squisito senso di appartenere al tutto, pur riconoscendone la diversità, sono l’insegnamento più grande per Steven Holl. Un fondo di classicità fatto di percorsi e di spiritualità, di ritenere l’uso della mano prioritario ad ogni altro mezzo di rappresentazione, di riconoscere l’importanza di inserire l’architettura nel paesaggio danno unicità al lavoro di questo architetto. [AL] Corso di Disegno Automatico Autore: Steven Holl Opera: Sarphatistraat Office Città: Amsterdam - Olanda Anno di realizzazione: 2000 Allievi: M. Gasparrini - G. Giaccio (a.a. 2004/2005) completamento: 2000 Indirizzo: Sarphatistraat, Amsterdam, The Netherlands Heleen van Heel Ingegneria civile: Ingenieursgroep+Van Rossum 124 Committente: Woningbouwvereniging Het Osten Dettagli tecnici: Area netta: 35.000 square feet Area lorda: 50.000 square feet Concept, Design e progettazione esecutiva: Hideaki Ariizumi, Martin Cox Annette Goderbauer, Yoh Hanaoka latitude: 52.4; longitude: -5 Amsterdam, Olanda Corso di Disegno Automatico Autore: Steven Holl Opera: Sarphatistraat Office Città: Amsterdam - Olanda Anno di realizzazione: 2000 Allievo: I. Polito (a.a. 2004/2005) completamento: 2000 Indirizzo: Sarphatistraat, Amsterdam, The Netherlands Heleen van Heel Ingegneria civile: Ingenieursgroep+Van Rossum 130 Committente: Woningbouwvereniging Het Osten Dettagli tecnici: Area netta: 35.000 square feet Area lorda: 50.000 square feet Concept, Design e progettazione esecutiva: Hideaki Ariizumi, Martin Cox Annette Goderbauer, Yoh Hanaoka latitude: 52.4; longitude: -5 Amsterdam, Olanda Casa del vino 134 Langenlois, Austria - 2001 La produzione del vino e il suo consumo hanno subito un sostanziale cambiamento negli usi contemporanei, assumendo nuove abitudini e cerimoniali. La curiosità sviluppatasi negli ultimi anni sui ritmi e le modalità che regolano la vita delle vigne e delle cantine, ha dato vita ad una forma di turismo proficuo e interessante che vuole fortemente relazionarsi all’enologia. Non sono pochi i casi in cui grandi aziende hanno commissionato edifici significativi e rappresentativi ad importanti architetti di fama. Un nuovo connubio che vuole da un lato un prodotto del tutto tradizionale e dall'altro il design architettonico che risponda alle nuove esigenze contemporanee, con ambienti rilassanti ed esteticamente curati. Questo nuovo modo di concepire il tempo libero ha dato sviluppo a strutture immerse nel verde dove è possibile il contatto con la natura e al contempo arricchirsi di nuove esperienze. Nasce da qui l'idea di coinvolgere un grande architetto come Steven Holl nella progettazione di una casa del vino nel Langenlois, la più importante zona viticola dell'Austria, per dar vita a un progetto speciale chiamato "Loisium". Le belle e antiche cantine dell’area risalgono addirittura all'epoca gotica e formano nel territorio un gigantesco labirinto, rimasto finora in disuso. Questo universo di cunicoli e di ambienti interrati è stato ripensato secondo criteri sensoriali/didattici, e combinato a un progetto turistico sviluppato dallo studio svizzero Steiner-Sarner, specializzato in allestimenti museali. Steven Holl sin dal primo momento è rimasto affascinato dal paesaggio, memore forse delle sue prime esperienze da paesaggista, con la convinzione che l'architettura debba essere ispirata al contesto, pur conservando innegabili qualità materiche e statiche. Egli stesso in Anchoring e Intertwining del 1996, dice: "l'architettura è soggetta alle circostanze; a differenza di musica, pittura, scultura, cinema e letteratura, una costruzione è anche il risultato dell'esperienza di un luogo. [...] Il sito di un edificio non è una semplice componente della sua concezione; è un fondamento fisico e metafisico. La definizione degli aspetti funzionali di sito ed edificio, le vedute, l'incidenza dei raggi del sole sono la "fisica" che richiede la "metafisica" dell'architettura […]. L'architettura non è tanto un inserimento nel paesaggio quanto lo strumento per spiegarlo. […] Attualmente, il legame tra sito e architettura deve essere ricercato in modi nuovi, che sono parte di una trasformazione costruttiva della vita moderna"1. Da queste considerazioni e da quelle che si possono istantaneamente percepire in un luogo nuovo, nasce l'idea di un blocco che tenta di conservare la sua forma geometricamente pura, se non fosse interrotta dagli squarci di finestre che lo fessurano irregolarmente in senso verticale, di piani note 1 K. Frampton, Steven Holl architetto, traduzione di Bergamin A., Electa, Milano 2002 2 C. Tannini e M. Valli, Sessantuno domande a Steven Holl, Clean Edizioni, Napoli 2005 3 Cfr. F. Bucci, Magic city, Mancosu editore, Roma 2005; K. Frampton, Storia dell'Architettura moderna, Bologna 1998 135 che ruotano l'uno accanto all'altro di pochi gradi lungo le facciate, formando una superficie vibrata e spigolosa, accentuata dalla luce solare e dalla sua pelle traslucida di alluminio. La planimetria delle antiche cantine gotiche è riportata in superficie per diventare il disegno delle bucature lungo le pareti; il blocco, quasi evanescente, diventa così la punta di un iceberg sotterraneo formato da passaggi e cantine. L’immagine volutamente tecnologica all'esterno è controbilanciata dall'interno contemplativo, caratterizzato da uno strato di pannelli di sughero lungo le pareti che assorbono la luce delle snelle finestre, il cui unico capriccio è il colore dei vetri. Ecco ritrovati gli antichi suggerimenti delle architetture romane, delle chiese gotiche, del senso di contemplazione intimistica che è continuamente ricercata dagli edifici di Holl. In un’intervista egli dichiara: "uno degli edifici religiosi che preferisco è il Pantheon. Sono veramente convinto che l'architettura serve come recipiente, uno spazio per la riflessione. […] Quando ho realizzato la Cappella di S. Ignazio, la cosa veramente entusiasmante era pensare a quanta gente che pur non essendo cattolica né gesuita vi sarebbe andata anche solamente per sedere a meditare, per stare in uno spazio in grado di conciliare la riflessione"2. Tale volontà si esplica nella creazione di un lungo percorso scandito da vari elementi che sfociano nel grande "ambulacro" centrale del blocco: “superato un bacino d'acqua, si prosegue per un breve tratto attraverso un vigneto, raggiungendo infine con un ascensore una suggestiva scenografia sotterranea, un labirinto di 800 metri in cui si perde l'orientamento. Stando nel labirinto, ci si stupisce alla vista del bacino, che si intravede grazie ad aperture di cristallo, prima di tornare nuovamente al padiglione e al suo impressionante volume aperto su tre piani. L'atrio verrà usato per ospitare eventi, oltre che per un negozio, una enoteca e un caffé."3 Il Padiglione del vino ha richiesto la collaborazione di molte persone tra cui Franz Sam e Irene Ott-Reinisch, gli architetti locali con i quali Holl ha potuto realizzare la sua idea e affidarla alle imprese edili della zona. Accanto alla casa del vino sorgerà ad opera dello stesso architetto anche un piccolo albergo: sarà interessante vedere il modo singolare col quale si raccorderà alla sua stessa opera e quale altra atmosfera evocativa riuscirà a materializzare. [AL] Corso di Disegno Automatico Autore: Steven Holl Opera: Casa del Vino Città: Langenlois - Austria Anno di realizzazione: 2001 Allievo: A. Triggianese (a.a. 2004/2005) 136 concorso: 2000 completamento: 2002 Indirizzo: Walterstrasse 4 A-3550 Langenlois Austria Tel +43 27342492-19 Fax +43 2734 2492-12 Committente: LOISIUM Kellerwelt Betriebs GmbH & Co Concept, Design e progettazione esecutiva: Christian Wassmann Martin Cox, Jason Frantzen, Brian Melcher, Olaf Schmidtr Ingegneria civile: Cziesielski + Partner, Berlin Lighting Designers: Zumtobel Staff Strutture: Retter&Partner, Civil Engineer GmbH Mechanical Engineer: Altherm Engineering latitude: 48.20; longitude: -16.20 Langenlois, Austria Corso di Disegno Automatico Autore: Steven Holl Opera: Casa del Vino Città: Langenlois - Austria Anno di realizzazione: 2001 Allievo: M. Criscitiello (a.a. 2004/2005) 140 concorso: 2000 completamento: 2002 Indirizzo: Walterstrasse 4 A-3550 Langenlois Austria Tel +43 27342492-19 Fax +43 2734 2492-12 Committente: LOISIUM Kellerwelt Betriebs GmbH & Co Concept, Design e progettazione esecutiva: Christian Wassmann Martin Cox, Jason Frantzen, Brian Melcher, Olaf Schmidtr Ingegneria civile: Cziesielski + Partner, Berlin Lighting Designers: Zumtobel Staff Strutture: Retter&Partner, Civil Engineer GmbH Mechanical Engineer: Altherm Engineering latitude: 48.20; longitude: -16.20 Langenlois, Austria T O Y O I T O Parlando di Toyo Ito e, soprattutto guardando le immagini delle sue architetture e delle sue mostre, non si può fare a meno di notare quella differenza sostanziale, che è oggetto di continua attrazione, tra cultura occidentale ed orientale. Un modo di sentire e trasmettere messaggi poetico ed etereo, diventa la ricerca di un arcaico senso di appartenenza al tutto, un'attenzione al particolare ed una volontà di generare immagini iconografiche. L'attenzione cinematografica di Kurosawa per le gocce di pioggia, il fermare la macchina da presa per un tempo inconsueto su un paesaggio o su un volto, oppure il rosso che riempie la vista nel film Lanterne Rosse di Zhang Yi Mou, aiutano a spiegare il senso di quel mondo che aleggia come cultura che si nutre di passato e si espande con i mezzi del presente. Dinanzi alla Mediateca di Senday oltre ad una ricercatezza dei materiali e una grande dovizia tecnica, quello che risuona è quel pensiero elementare di fondo e che produce un grande impatto percettivo: il grande acquario con le sue alghe fluttuanti si muove verso di noi ad insegnarci un nuovo divenire. Come nella torre realizzata per Tod's a Tokyo dove la facciata diventa la corteccia di albero di Zelkova, riletta e ingrandita fino a diventare membrana del parallelepipedo di vetro che diventa contenitore di riti contemporanei. Oppure la grande Torre dei venti: involucro tanto luminescente ed effimero di notte quanto ingannevolmente grave di giorno. La tradizione giapponese per la poesia trasmessa dal manifestarsi degli eventi naturali, viene interpretata in chiave tecnologia e mediatica. Siamo pur sempre nel paese più tecnologicamente avanzato, dove la sola capitale conta 31.559.000 abitanti densamente costipati in una metropoli la cui unica via di crescita è l'altezza. Ito è figlio anche di questo mondo, in cui in un giorno sono prodotti milioni di nuovi artifici tecnologici che sembrano annebbiare i margini tra la realtà e lo spazio virtuale. Esiste però una misura entro la quale possono sussistere le due facce di una cultura tanto contraddittoria di certo Toyo Ito è riuscito a coglierla. La sua formazione è tipicamente nipponica, tanto che nelle sue mostre itineranti ci confida nostalgicamente le reminiscenze della sua "isola", ma lo fa proiettandole con telecamere digitali incrociate in cilindri luminosi o su pavimenti traslucidi. Ancora ci mostra come una tenda possa essere una casa, una mediateca diventare un acquario attraverso il quale assistere alla dinamicità interna, oppure un ovoide sospeso apparire come il luogo di proiezioni d’immagini nel cielo. Non ha dimenticato il suo fondamento teorico anche se ogni volta si supera alla ricerca di un nuovo "divenire". La sua filosofia espressa nelle parole pronunciate nel 2001: "nella mia progettazione c'è un elemento antico, di osservazione del cambiamento e dunque di instabilità percettiva, ma il dato più forte è quel- 145 L'immagine della modernità: Toyo Ito 146 lo della realtà odierna, dove la velocità delle comunicazioni non ha paragone con il passato; [...] infine, c'è una rivoluzione rispetto alla storica immutabilità alla quale l'architettura legava la sua identità: questa immutabilità era lo specchio di una società ferma, mentre oggi noi sappiamo che la società si muove molto velocemente; l'architettura deve rappresentarla, e dunque pensare se stessa diversamente; e la sua nuova scorrevolezza va percepita da chi guarda e da chi la progetta"1. Sembrano lontani i tempi in cui lo si poteva annoverare semplicisticamente nel gruppo dei giovani architetti discepoli di Isozaki e Shinohara2. Dei maestri ha conservato gli insegnamenti e si è evoluto percorrendo molta strada da allora; seguendo la sua poetica che si alimenta anche dei viaggi a contatto con l'altra parte del globo, cosi profondamente diverso, riuscendo a fondere tutte queste esperienze e ad estrinsecarle nelle sue opere. Saranno tutte queste ragioni e certe particolari predisposizioni artistiche, che rendono possibile la creazione di eventi architettonici come quelli pensati da Ito, utilizzando una definizione delle opere contemporanee che le contraddistingue nel più vasto contesto delle metropoli moderne. Parafrasando il saggio di Kevin Lynch, Visualizzare il mutamento, si può affermare che "dobbiamo vedere, sentire qualcosa che cambia; vi sono anche straordinarie visualizzazioni naturali del mutamento: nuvole, tramonti, acqua che scorre, onde, erba che si increspa e riflette il sole. [...] Un progettista di eventi potrebbe usare una visualizzazione ambientale come elemento chiave del suo programma. Si potrebbero visualizzare quadri e scene del futuro. Le luci delle metropoli sono molto più interessanti di un banale spettacolo psichedelico"3. Precursore dei tempi, Lynch aveva capito fin dagli anni '70 che un chiave di lettura dell'architettura che si stava prefigurando era il concetto antico del "tutto scorre e muta" e che non si può tornare indietro sulla freccia del tempo per "ritoccare la stessa sponda di fiume". Ito ha fatto suoi questi pensieri estrinsecandoli nel modo a lui più congeniale e cioè attraverso l'arte. Pioniere del nuovo millennio, egli accoglie e rigenera i recenti influssi creativi ed usa l'architettura come metafora e nell’elaborare le sue architetture lavora in modo lineare e chiaro. Elabora una matrice che contempla, come primo dato, l'intero universo narrativo presente nella nostra cultura; a questi fa seguire i concetti base che si voglio esprimere e infine le forme. Il risultato di questo ordine è la sua opera architettonica, che può mutare con la modifica di uno di questi dati. Ogni sua architettura è il risultato di un ragionamento per fasi: metodo semplice ed efficace che sembra ripercorrere tutto il suo lavoro. "Bisogna essere in grado di pensare e comunicare con le persone intorno a noi. Questo è realmente fondamentale"4. Per arrivare però a questo risultato finale, Toyo Ito utilizza le tecnologie più avanzate, realizzando forme che fanno rientrare la sua opera nel movimento derivato dall’uso dei computer e dell’informatica non più solo nella rappresentazione, ma come parte attiva del processo progettuale, da alcuni definito Hyperarchitettura. L'architettura viene elevata da semplice metafora a generatrice di metafore. Il passaggio, sottile, è importante e necessita di ulteriore approfondimento, che per sintesi rimandiamo ad altra sede. L'architettura nell'era dell'elettronica è la visualizzazione di un vortice di informazioni. L'approccio fondamentale di Ito alla progettazione non si riduce però unicamente all'utilizzo delle tecnologie più avanzate, ma è importante come queste note 1 Cfr.: BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, intervista a Toyo Ito, in occasione della mostra a Vicenza, 14 febbraio 2002, n. 289. http://www.bta.it/txt/a0/02/bta00289.html 2 K. Frampton, Storia dell'Architettura moderna, Bologna 1998, pp.335-336. 3 A. Muntoni, Architettura nell'era elettronica, Editore Mancosu, Roma 2005 4 Ibidem 5 Cfr.: B..Zevi, Architettura concetti di una controstoria, Editrice Newton, 1994 6 Cfr.: Barrie, Choochuey, Mirti, Toyo Ito. Istruzioni per l'uso, Postmedia books, Milano 2004; A. Maffei, Toyo Ito: le opere i progetti gli scritti, Electa, Milano 2001; Casabella n° 684/685, dicembre 2000 - gennaio 2001, pp.144-165 www.artsapace.org/shows/Ito.htm; www.bta.it/txt/ao/02/bta00289.html; www.designboom.com/eng/interview/ito statemente.html; http://architettura.supereva.com/architetture/index.htm. 147 vengano impiegate. Egli lavora per successioni, per fasi, si potrebbe dire quasi per layer. La sua matrice è composta di elementi fondamentali alla definizione della sua architettura. Ma i suoi elementi, composti da dati, sono modificabili in qualsiasi momento, generando opere diverse. Ed è in questa organizzazione diagrammatica della composizione di Toyo Ito che interviene la capacità di utilizzare lo strumento informatico piegandolo alle proprie necessità5, che sono quelle di riuscire a superare i limiti dell'attuale conoscenza per concretizzare quello che sembra un imminente precetto: "arriveremo a progettare il tempo come progettiamo lo spazio"6. [AL] 148 biografia TOYO ITO Toyo Ito nasce a Seoul 1941 nel sud della Corea. La sua formazione si realizza presso l’Università di Tokyo, dove si laurea nel 1965. Lavora con Kiyonori Kikutake, fondatore del Gruppo “Metabolism”, prima di aprire un proprio studio nel 1971. Si dedica inizialmente all’edilizia residenziale privata. Ne sono testimonianza la casa d’alluminio a Fujisawa-shi, Kanagawa (1970-71), la White U a Tokyo (1975), seguita dieci anni più tardi dalla Silver Hut, sempre a Tokyo (1984), che è anche la sua abitazione. In essa sono evidenti le sue origini: la casa ha uno stile spiccatamente orientale, con una corte centrale aperta, ma già sono evidenti le caratteristiche del suo linguaggio contemporaneo, con l’uso di soluzioni protese ad una fluttuazione degli spazi. Anche i materiali sono usati nella loro valenza metaforica, studiati per consentire l’esplicazione della sua poetica fatta di una concezione dell’architettura pervasa di leggerezza, di mutazioni nello scorrere delle diverse ore del giorno e delle stagioni. L’esterno, etereo e sfuggente, diventa l’involucro del preesistente, come nella Torre dei venti. “L’architettura è percepita quindi come se fosse un’estensione dell’epidermide dell’uomo, un continuum del senso tattile, perciò in questa dimensione il muro non può più essere pesante e in pietra, ma flessibile e duttile, come un rivestimento, come una pelle. L’architettura ricoperta da tale membrana, funziona come abito mediale.” L’interesse di Ito per i fenomeni elettronici, inizia con la Tower of Winds (1986), per divenire poi motore di costruzione in Egg of Winds (1991) e nei suoi numerosi allestimenti, arrivando alla massima espressione con il progetto della Mediateca di Senday (2001). Parlando del suo approccio alla tecnica e all’estetica costruttiva, Ito ricorre di frequente all’espressione metaforica “architettura del vento”: “in un mondo in continua trasformazione, anche gli edifici non devono più apparire come monumenti alla stabilità e alla solidità, ma piuttosto suggerire l’idea del mutamento, della versatilità, quasi strutture dotate di una propria vita, in rapporto osmotico con l’aria e la luce.” Esemplari con questa logica sono il ristorante Nomad a Tokyo (1986); l’uovo dei venti a Okawabata Rivercity (1991), gigantesca struttura computerizzata che trasmette immagini e informazioni; il Museo di Yatsushiro (1991); la Cupola di Odate (1997); la Mediateca di Senday (1996-2001), sostenuta da tredici colonne reticolari e interamente ricoperta di vetro trattato, che lascia filtrare la luce interna solo di sera. La simbiosi con il paesaggio è evidente, come nell’ingresso della birreria Sapporo a Hokkaido e il Giardino per l’infanzia a Francoforte, realizzato nel 1989. Dal 1990 arriva la svolta,Toyo Ito inizia ad occuparsi di progetti di dimensioni più vaste come il Museo municipale di Yatsushiro, il centro commerciale di Nagayama, il Centro lirico di Nagaoka, Niigata (1993-1996), il Parco agricolo di Oita (1995-2001). Nel corso della sua carriera l’architetto ha partecipato a importanti concorsi internazionali, tra i quali si ricordano la Maison du Japon (1990), la biblioteca universitaria di Jussieu (1992) a Parigi, l’ampliamento del MoMA di New York (1997). I suoi progetti sono stati esposti in importanti mostre internazionali, come quelle dell’Architectural Association di Londra, del Museum of Contemporary Art (Moca) di Los Angeles, della Biennale di Venezia. Ha inoltre insegnato in diverse università europee, giapponesi e statunitensi. [AL] opere principali 1986 1989 1990 1991 1992 1993 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2001 Casa di Alluminio a Kunagawa White U Tokio Silver Hut Tokio Allestimento “Pao as Dwelling of Tokio Nomad Woman” Torre dei Venti , Yokohama; Ristorante Nomad, Tokio; Foresteria della fabbrica di birra Sapporo, Hokkaido; Edificio T a Nakameguro, Tokio Museo municipale di Yatsushiro, Kukamoto; Hotel P, Hokkaido; Eggs of Winds, Tokio edificio ITM a Matsuiama, Ehime; Museo municipale di Shimosuwa, Nagano; Complesso per divertimenti H a Tokio; Asilo comunale Eckenheim, Francoforte; Casa per anziani a Yatsushiro, Kumamoto Caserma per i pompieri a Yatsushiro, Kumamoto Teatro e sala per concerti a Nagaoka Niigata; Centro ricreativo a Yokohama Kanagawa; Cupola O a Odate Akita T house in Yutenji, Tokyo T hall a Taisha-cho, Stimane Mediateca di Senday 149 1971 1976 1984 1985 T-Holl, teatro, biblioteca, centro civico 150 Taisha-cho, Giappone - 1999 Toyo Ito vince il concorso per il progetto di un centro policulturale da realizzarsi accanto ad un corso navigabile nella zona di Shimane, con una soluzione che ripropone le principali caratteristiche del teatro giapponese “kabuki”. Ancora una volta Ito riesce a stupire, a trovare una soluzione solidale al luogo ed al contempo mutevole e lontana da mimetismi. L’idea si articola nello sviluppo di due grosse circonferenze che si materializzano in archi che si fondono a diverse quote. Su uno di essi si erge il parallelepipedo che contiene la scena del teatro. L’architetto ha concepito la T hall come una sorta di collina artificiale che morbidamente si adagia in uno spazio urbano angusto, quasi a forma di “L”. La costruzione vista dall’alto sembra più un intervento urbanistico che voglia avvolgere sinuosamente le costruzioni preesistenti. Le grandi vetrate della hall creano l’elemento di contatto con l’esterno e sottolineano il taglio dell’arco centrale. L’uso di membrane a cui Ito ci ha abituato, è presente ad attrarre chi percorre l’esterno, soprattutto di sera quando l’illuminazione ravviva gli ampi spazi. Il complesso architettonico contiene diverse funzioni, tra cui un’ampia hall dove è più evidente l’intersezione dei due corpi circolari. Da questo spazio si ha accesso agli spazi comuni quali la caffetteria, la biblioteca e ad una particolare sala multimediale sviluppata su pianta circolare. Il teatro è ampio e può ospitare fino a seicento persone. Qui l’atmosfera è raccolta e minimalista e persino la luce entra moderatamente dalle vetrate laterali. Sembra quasi che la matrice orientale abbia avuto la meglio sull’espressione mediatica fondata sull’elettronica, alla quale Ito ci ha abituato. Un rapido colpo d’occhio e si ha la sensazione di percepire, come un segno fluente di acquerello che accompagna in un solo gesto la curva, quel senso di movimento e soprattutto le forme leggere e curve che si adagiano modellandosi alle spigolosità delle città, accogliendo strade e stabilendo un rinnovato tessuto cittadino. Di certo è gia presente la matrice linguistica che sfocerà poi nella Mediateca, ma sono anticipazioni che non alterano l’originalità dell’architetto, che è data anche dal suo dimostrato rinnovamento. Per definire meglio quanto l’opera di Toyo Ito risponda alle componenti che regolano l’enfasi espressa da una buona architettura, è utile ricordare un intervento di Sergio Pirrone: “Renzo [Piano] sussurra che l’architetto fa il mestiere più bello del mondo, modifica il vivere e il suo percorso. [...] Un dipinto ed il suo sguardo fermo, una scultura ed il suo girotondo, anche queste parole e queste foto su questa pelle liscia, sottile. L’architettura no. L’architettura non si nasconde in un cassetto, nè si dimentica in una soffitta. È qui, è lì. Modifica i nostri luoghi ed il nostro tempo, la nostra vita. Crea il nostro viaggio, ruota i nostri volti, regala e confonde suggestioni ed incon- tri, speranze e destino. Un architetto può fare tutto ciò, e Toyo Ito lo sa bene. Dalla celebrazione postuma della U House alla propria Silver Hut, dalla camaleontica evaporazione della Wind Tower al trionfo mediatico millenario della Mediateca, Toyo Ito ha sempre giocato all’architettura con grande serietà. Tra il curioso sperimentare e le sue camicie a pois arcobaleno, ha continuato a guardare, ascoltare, annusare lo scorrere vitale, le contaminazioni, le svolte. E tra il sostenibile e l’effimero, ha modellato germogli di pensiero in spazio carnale e, di nuovo, in pensiero”1. [AL] 151 note 1 Cfr.:www.internimagazine.it; Barrie, Choochuey, Mirti, Toyo Ito. Istruzioni per l'uso, Postmedia books, Milano 2004; A. Maffei, Toyo Ito: le opere i progetti gli scritti, Electa, Milano 2001; Casabella, n° 682, ottobre 2000, pp.40-49; www.artsapace.org/shows/Ito.htm www.bta.it/txt/ao/02/bta00289.html www.designboom.com/eng/interview/ito lhttp://architettura.supereva.com/architetture/index.htm http://www.noemalab.org/sections/specials/tetcm/2002-03/toyo_ito/architettura_citta.html Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Toyo Ito Opera: T-Holl, teatro, biblioteca, centro civico Città: Taisha-cho - Giappone Anno di realizzazione: 1999 152 Allievo: F. Cirillo (a.a. 2003/2004) concorso: 1996 completamento: 1999 Architettura del paesaggio: Nippon Koei Co. Ltd Indirizzo: 1338-9, kizuki-Minami, Taicha, Hikawa-gun, Shimane, 699-0711 Concept, Design e progettazione esecutiva: K. T. Architecture/Hirono Koike + Yoshiaki Tezuka Committente: Città di Taisha Dettagli tecnici: Area netta: 5.847 mq Area lorda: 20.400 mq Strutture: Sasaki Structural Consultans latitude: 35.75; longitude: -139.58 Taisha-cho, Giappone Lighting Designers: Koizumi SangYo Lcr Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Toyo Ito Opera: T-Holl, teatro, biblioteca, centro civico Città: Taisha-cho - Giappone Anno di realizzazione: 1999 156 Allievo: F. Russo (a.a. 2003/2004) concorso: 1996 completamento: 1999 Architettura del paesaggio: Nippon Koei Co. Ltd Indirizzo: 1338-9, kizuki-Minami, Taicha, Hikawa-gun, Shimane, 699-0711 Concept, Design e progettazione esecutiva: K. T. Architecture/Hirono Koike + Yoshiaki Tezuka Committente: Città di Taisha Dettagli tecnici: Area netta: 5.847 mq Area lorda: 20.400 mq Strutture: Sasaki Structural Consultans latitude: 35.75; longitude: -139.58 Taisha-cho,Giappone Lighting Designers: Koizumi SangYo Lcr Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Toyo Ito Opera: T-Holl, teatro, biblioteca, centro civico Città: Taisha-cho - Giappone Anno di realizzazione: 1999 162 Allievo: G. Cirillo (a.a. 2003/2004) concorso: 1996 completamento: 1999 Architettura del paesaggio: Nippon Koei Co. Ltd Indirizzo: 1338-9, kizuki-Minami, Taicha, Hikawa-gun, Shimane, 699-0711 Concept, Design e progettazione esecutiva: K. T. Architecture/Hirono Koike + Yoshiaki Tezuka Committente: Città di Taisha Dettagli tecnici: Area netta: 5.847 mq Area lorda: 20.400 mq Strutture: Sasaki Structural Consultans latitude: 35.75; longitude: -139.58 Taisha-cho, Giappone Lighting Designers: Koizumi SangYo Lcr Corso di Disegno Automatico Autore: Toyo Ito Opera: T-Holl, teatro, biblioteca, centro civico Città: Taisha-cho - Giappone Anno di realizzazione: 1999 168 Allievi: M. Petrucci - M. T. Sanseverino (a.a. 2003/2004) concorso: 1996 completamento: 1999 Architettura del paesaggio: Nippon Koei Co. Ltd Indirizzo: 1338-9, kizuki-Minami, Taicha, Hikawa-gun, Shimane, 699-0711 Concept, Design e progettazione esecutiva: K. T. Architecture/Hirono Koike + Yoshiaki Tezuka Committente: Città di Taisha Dettagli tecnici: Area netta: 5.847 mq Area lorda: 20.400 mq Strutture: Sasaki Structural Consultans latitude: 35.75; longitude: -139.58 Taisha-cho, Giappone Lighting Designers: Koizumi SangYo Lcr Corso di Disegno Automatico Autore: Toyo Ito Opera: T-Holl, teatro, biblioteca, centro civico Città: Taisha-cho - Giappone Anno di realizzazione: 1999 174 Allievo: M. A. Nuzzo (a.a. 2004/2005) concorso: 1996 completamento: 1999 Architettura del paesaggio: Nippon Koei Co. Ltd Indirizzo: 1338-9, kizuki-Minami, Taicha, Hikawa-gun, Shimane, 699-0711 Concept, Design e progettazione esecutiva: K. T. Architecture/Hirono Koike + Yoshiaki Tezuka Committente: Città di Taisha Lighting Designers: Koizumi SangYo Lcr Dettagli tecnici: Area netta: 5.847 mq Area lorda: 20.400 mq Strutture: Sasaki Structural Consultans latitude: 35.75; longitude: -139.58 Taisha-cho,Giappone Corso di Disegno Automatico Autore: Toyo Ito Opera: T-Holl, teatro, biblioteca, centro civico Città: Taisha-cho - Giappone Anno di realizzazione: 1999 178 Allievo: S. Gallo (a.a. 2004/2005) concorso: 1996 completamento: 1999 Architettura del paesaggio: Nippon Koei Co. Ltd Indirizzo: 1338-9, kizuki-Minami, Taicha, Hikawa-gun, Shimane, 699-0711 Concept, Design e progettazione esecutiva: K. T. Architecture/Hirono Koike + Yoshiaki Tezuka Committente: Città di Taisha Lighting Designers: Koizumi SangYo Lcr Dettagli tecnici: Area netta: 5.847 mq Area lorda: 20.400 mq Strutture: Sasaki Structural Consultans latitude: 35.75; longitude: -139.58 Taisha-cho,Giappone Mediateca 182 Senday, Giappone - 2000 La Mediateca di Toyo Ito a Senday rappresenta un vero e proprio monumento alla modernità e al suo progresso1. Lo sviluppo che hanno avuto i media nell’ultimo ventennio appare a dir poco strabiliante: le vie di comunicazione si sono moltiplicate e le distanze - anche quelle fisiche - sembrano avere nuovi e ben più ridotti rapporti dimensionali. Oramai possiamo entrare in contatto, dialogare, scambiare documenti, lavorare con persone situate dall'altra parte del mondo - magari anche guardandoci attraverso lo schermo di un computer - in un tempo reale che abbatte confini geografici e limiti temporali. Le informazioni, che rappresentano forse una delle principali sorgenti economiche del sistema professionale occidentale, sono diventate maggiormente accessibili. Gli enti fondamentali della conoscenza sono ormai patrimonio diffuso. Sono cambiate le connessioni tra spazio e tempo. Einstein aveva avviato la concezione di spazio e tempo come enti assolutamente mutabili e non descrivibili in un diagramma lineare: basta modificare la velocità e lo spazio acquista il suo connotato di relatività. Allora diventa non facile dare ordine al "caos": le relazioni legate da causa ed effetto - che definiscono la base della sperimentazione scientifica - si modificano in funzione di una determinazione incentrata sulla probabilità. Il paradigma è trovare la legge del caos, di cui la città contemporanea è vera espressione. Come porsi negli angusti spazi della stratificazione metropolitana per realizzare continuità con l’esistente, senza cadere nella ripetizione e trovare un messaggio innovativo, una sorta di "anomalia”, che fornisca un nuovo stimolo? L'entropia è in parte dissipata dalla creatività. Nel dubbio che ci accompagna può essere chiarificatrice la teoria di J. F. Lyotard, che afferma: "strutture dissipative, di non equilibrio sono le città, le megalopoli, cosi fortemente relazionate al loro territorio circostante […]; il caos dinamico infrange, quindi, ogni simmetria temporale, e le trasformazioni provocate da eventi irripetibili rendono differente il prima dal dopo, ristabilendo la freccia del tempo. Sono le collisioni, gli scontri casuali che diventano base per conoscere le leggi del caos. Tale rottura di simmetria ci conduce, secondo I. Prigogine, a dare un’importanza eccezionale all'evento. E se, anche in questo caso, ragioniamo metaforicamente, per noi l'evento è l'opera architettonica, il piano, il progetto, intesi come trasformazione del reale"2. In questo scenario confuso che esprime l’inizio del nuovo millennio, la Mediateca di Senday ci appare come “collisione” che aiuta a intravedere le leggi del caos. Nel 1994 la giuria del concorso bandito dalla municipalità e presieduta da Arata Isozaki attribuisce allo studio Ito la realizzazione della Mediateca. La progettazione dell'edificio si basa su tre elementi principali: 1) l’altezza defini- note 1 Cfr.: A. Maffei, Toyo Ito: le opere i progetti gli scritti, Electa, Milano 2001;2 Kenneth Frampton, Storia dell'Architettura moderna, Bologna 1998, pp.335-336; BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, intervista a Toyo Ito, in occasione della mostra a Vicenza, 14 febbraio 2002, n. 289. http://www.bta.it/txt/a0/02/bta00289.html 2 A. Muntoni, Architettura nell'era elettronica, Editore Mancosu, Roma 2005 3 Cfr.: Barrie, Choochuey, Mirti, Toyo Ito. Istruzioni per l'uso, Postmedia books, Milano 2004; Casabella n° 684/685, dicembre 2000 -gennaio 2001, pp.144-165; www.artsapace.org/shows/Ito.htm; www.designboom.com/eng/interview/ito statemente.html; http://www.noemalab.org/sections/specials/tetcm/2002 183 ta da sei piani lineari; 2) la struttura scandita da tredici colonne reticolari; 3) l’involucro costituito da una pelle di vetro tecnologicamente avanzato. "I piani sono costituiti da sottili fogli quadrati, sospesi nel vuoto ad altezze variabili, per evitare l'andatura costante della facciata e per creare un ritmo. Le tredici colonne sono formate da strutture tubolari in acciaio e permettono l'illuminazione naturale delle pareti centrali dei piani e contengono i sistemi di circolazione e le tubazioni degli impianti.[...] Ogni livello si caratterizza per colori, forme e materiali diversi, come se si sovrapponessero fra loro diversi frammenti della città. Per mantenere l'interazione con l'esterno le quattro pareti sono state realizzate completamente in vetro. L'uso di plans libre, collegati tramite le colonne tubolari, permettono l'adattabilità dei piani alle diverse esigenze funzionali. Le tredici colonne, piene all'origine del progetto, sono trasformate in strutture tubolari rivestite di vetro trasparente, come se fossero alghe che ondeggiano in un enorme water cube. La forma della colonna è stata studiata partendo dal concetto di cilindro, prima sottoposto a torsione e poi deformato per oscillazione. […] Ci sono due spazi espositivi: al quarto piano si trova la galleria suddivisa da pareti a tutta altezza, mentre al quinto livello un piano libero si adatta a qualsiasi installazione. L'ultimo piano ospita la mediateca vera e propria, dove una parete curvilinea in vetro traslucido delimita il volume centrale con un auditorio e sale riunioni. I prospetti di tale piano sono completamente vetrati; si crea così una sorta di belvedere verso la città"3. Singolare è la concezione della facciata dell’edificio rispetto alla città, considerata come una "pelle" che deve traspirare le immagini della vita che si svolge all’interno. I vari piani - sostenuti da solai a "sandwich", cioè griglie di travi coperte da piastre in acciaio ed ancorate alle quattro colonne perimetrali sono concepiti in maniera minimalista, cioè grosse superfici libere appaiono perforate dalle colonne cave, le "luminose alghe" in cui si nascondono gli elementi di collegamento e gli impianti. Di giorno la città entra negli interni attraverso la sottile membrana di vetro per partecipare agli spazi sapientemente allestiti e di notte l'acquario di luci si accende e i cilindri portanti, piegati da dinamiche torsioni, sembrano fluttuare nello spazio. La facciata si presta alla poetica dell'autore che studia un modo di creare una doppia vetrata ventilata ad ogni livello, la cui lunghezza sfida il vuoto superando il limite ipotetico dell'edificio. [AL] Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Toyo Ito Opera: Mediateca Città: Senday - Giappone Anno di realizzazione: 2000 Allievo: H. Schuster (a.a. 2003/2004) concorso: 1995 completamento: 2000 184 Indirizzo: 2-1, Kasuga-cho, Aoba-ku, Senday, Miyagi, Giappone Committente: Città di Senday Dettagli tecnici: Area netta: 3.948 mq Area lorda: 21.583 mq Strutture: Sasaki Structural Consultans latitude: 36.55; longitude: -136.58 Senday, Giappone Corso di Disegno Automatico Autore: Toyo Ito Opera: Mediateca Città: Senday - Giappone Anno di realizzazione: 2000 Allievo: V. Trofa (a.a. 2004/2005) concorso: 1995 completamento: 2000 190 Indirizzo: 2-1, Kasuga-cho, Aoba-ku, Senday, Miyagi, Giappone Committente: Città di Senday Dettagli tecnici: Area netta: 3.948 mq Area lorda: 21.583 mq Strutture: Sasaki Structural Consultans latitude: 36.55; longitude: -136.58 Senday, Giappone DANIEL LIBESKIND Ci sono architetti che diventano protagonisti della scena mondiale, la cui abilità professionale viene riconosciuta improvvisamente dopo la realizzazione di un’opera assunta a simbolo ed emblema di una particolare situazione urbana. Questo almeno nelle apparenze. In effetti, il percorso di tali progettisti comincia da ben più lontano e l’opera che li conduce ad una visibilità planetaria è solo una sintesi di un lessico progettuale che si è andato raffinando nel tempo. I motivi che aumentano la popolarità del lavoro sono, a nostro avviso, molteplici e probabilmente meritano di essere approfonditi in un’altra sede, ma tra questi vale la pena riflettere su come la funzione a cui è destinato un intervento progettuale e il suo potenziale significato sociale possono esaltare la sua visibilità anche presso ambienti culturali non direttamente relazionati all’architettura. Naturalmente, poi, è fondamentale la forma, che gioca un ruolo essenziale nel processo di riconoscibilità di una costruzione e che fa accostare l’opera all’identificazione di una intera città o di una parte di essa. In alcuni casi tale riconoscimento raggiunge picchi di enfasi tali che architetture contemporanee assurgono alla condizione di monumento, al pari delle testimonianze storiche che continuamente ci ricordano il passato del nostro territorio. Per Daniel Libeskind il museo ebraico di Berlino ha rappresentato un momento di totale svolta, almeno per quanto riguarda la visibilità mediatica dell’architetto. In esso sono rintracciabili gli elementi che percorrono tutta la sua ricerca formale e che in esso trovano un momento di particolare levatura. L’approccio che sembra seguire è sintetizzato dalle sue parole ad apertura del suo sito internet: ”da quando ho cominciato a fare architettura, ho avuto reticenza verso gli studi di architettura convenzionali. C’era qualcosa nell’atmosfera di ridondanza, routine e di produzione che mi ha reso allergico a qualsiasi forma di specializzazione di cosiddetto professionalismo”1. Continuando si legge, in riferimento alla procedura di progettazione adottata dal suo ufficio, che il suo è “un metodo che cerca di non imitare procedure codificate ma vuole attraversare l’eccitazione, l’avventura e il mistero dell’architettura. [...] Le celebrazioni del disegno di un edificio, il pathos della realizzazione e un percorso assoggettato alla volontà del sogno si configura in una concretezza che non è rappresentabile su nessuna tavola da disegno. Questa concretezza, che talvolta appare totalmente opaca imperscrutabile, spesso brilla con la determinazione e offre un contatto con la realtà di una più profonda speranza”2. Queste parole ben esprimono la filosofia dell’architetto, che con le sue opere sembra voler ricercare e trasmettere più un insieme di sensazioni e di atmosfere piuttosto che una consuetudine di elementi, ripetuti per dare origine ad 195 Architettura evocativa. L’immagine della memoria nel linguaggio formale contemporaneo di Daniel Libeskind 196 un vocabolario di segni assimilabile all’autore. Certo gli edifici della sua più recente produzione non sono completamente immuni da questa logica: il progetto del nuovo World Trade Center, che ha purtroppo subito una sovraesposizione mediatica tale da rendere difficile qualsiasi opinione non condizionata, vive di strutture linguistiche sorrette da geometrie irregolari, texture di facciata spiazzanti per il loro contrasto con la percezione prospettica dei nostri organi visivi, una troppo accentuata enfasi nei rimandi metaforici - come quella che vuole la freedom tower eletta a simbolo di rinascita con la sua altezza (1776 piedi) di numero pari alla data della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti - che non sempre dimostrano un carattere di originalità e innovazione. Elementi simili si rinvengono nei suoi progetti per l’ampliamento del Denver Art Museum, che si innesta sul vecchio museo disegnato da Giò Ponti, oppure nel Grand Canal Performing Arts Centre and Galleria di Dublino, o ancora nel Renaissance ROM, l’estensione del Royal Ontario Museum a Toronto, dove la struttura geometrica a diamante e le bucature irregolari che si rifiutano di seguire la spazialità interna, hanno evidenti relazioni con l’elegante facciata del museo ebraico di Berlino. Vero è che ogni architetto genera, volontariamente o involontariamente, elementi che si ripropongono nei differenti progetti e che identificano l’autore creando un proprio stile, ma la ricerca affrontata sapientemente da Libeskind sembra più interessante in progetti quali l’Imperial Museum North, a Manchester in Gran Bretagna, dove la combinazione geometrica delle parti è sapientemente modulata con un esito originale e inedito, rimanendo pur sempre riconducibile all’intera opera dell’architetto. L’edificio è costituito da tre scocche monolitiche congiunte tra loro: la scocca della terra, genera lo spazio flessibile dell’area espositiva e costituisce la metafora dell’indefinito stato di conflitto sulla terra; la scocca dell’aria, è caratterizzata da proiezioni che con il loro flusso di immagini ed evocazioni aumentano la drammaticità ricercata per l’ingresso al museo; la scocca dell’acqua relaziona gli spazi interni con il canale esterno, aprendo all’ambiente circostante il ristorante, il cafè e uno spazio per esibizioni. La forma data ai tre elementi, terra, aria, acqua, allude alle guerre che hanno attraversato il XX secolo, che non state un’astrazione ma purtroppo hanno avuto concretezza nelle innumerevoli battaglie di uomini della fanteria, dell’aviazione e della marina militare. Ancora nella direzione di un’architettura che coniughi metafora e poesia, è il progetto dell’Ascent at Roebling's Bridge a Covington, in via di realizzazione in un’area vicino al fiume Ohio: un grattacielo di 21 piani per 93 m circa che termina con una curva rivolta verso il cielo, rendendo dinamico lo skyline di Cincinnati. Nella parte in sommità dell’edificio, ogni piano è orientato in modo particolare in maniera da ottenere viste prospettiche uniche ad ogni singolo livello. La facciata è trattata in modo da avere un’articolazione non ripetitiva, distinguendosi dai tipici edifici alti che sono nelle vicinanze. L’originalità dell’architettura risalta nella “pelle” di rivestimento che genera un elegante gioco di ombre, cancellando confini evidenti tra l’interno e l’esterno. Poesia, simbolismo, materia, in sintesi, sembrano essere le parole chiave dell’espressività dello studio Libeskind, che forse riesce ad esprime al meglio la propria arte in progetti e realizzazioni che esulano dalla necessità di auto-referenza, sem- note 1 http://www.daniel-libeskind.com 2 Ivi 3 Ivi 197 pre più richiesta ad architetti di fama mondiale, quando devono rispondere alla esigenza di intervenire per “segnare” indelebilmente il territorio urbano. Allora può accadere di porre il progetto su una sottile, ma indispensabile, linea di continuità con il luogo che deve accoglierlo, riuscendo ad esaltarlo piuttosto che assoggettarlo, dando vita ad una stimolante relazione tra preesistente e nuovo che si pone come suggestione prefigurata, determinando, in questo modo, uno degli obiettivi primari dell’architettura contemporanea. Libeskind raggiunge tutto ciò in progetti di dimensioni più piccole, come nel caso dello Studio Weil, una galleria d’arte realizzata nel 2003 a Maiorca in Spagna, dove lo spazio espositivo dell’artista americana Barbara Weil pensato per la fruizione pubblica si confonde con l’accoglienza e la semplicità di un ambiente domestico3. Le intenzioni del progettista di creare un edificio che non solo corrisponda al paesaggio che lo circonda, ma che dialoghi in relazione alle opere che deve contenere, sembrano raggiunte in maniera univoca. La struttura in calcestruzzo armato, rifinito con un candito colore bianco, e la pietra locale costituiscono un nobile fondo ai lavori di pittura e scultura esposti, mentre la luce naturale crea effetti che fanno risaltare lo spazio interno. La geometria circolare dell’edificio, realizzata con cerchi mai concentrici, dichiara all’esterno l’esistenza di un fulcro intorno al quale si “muovono” fluidi i diversi ambienti disegnati come tracce di percorsi orbitali. L’eventuale rigidezza dei solidi che definiscono la volumetria del fabbricato è sapientemente fugata da tagli obliqui e bucature che alleggeriscono la composizione e incorniciano prospettive e parti di cielo. La dialettica che in questa architettura, come in alcune altre, Daniel Libeskind riesce a instaurare con il sito dove erge a forma i suoi concetti progettuali dimostra quanto le forme contemporanee possano rappresentare il proprio tempo, proponendosi quale punto di convergenza di valori culturali differenti senza rincorrere alla sola spettacolarizzazione della composizione quale precetto di originalità. [MC] 198 biografia DANIEL LIBESKIND Daniel Libeskind nasce in Polonia nel 1946. Dopo aver studiato musica in Israele e a New York, ed essere diventato un musicista professionista, decide di abbandonare questa passione per intraprendere gli studi in architettura. Nel 1970, ottenuta anche la cittadinanza americana, si laurea in architettura presso la "Cooper Union for the Advancement of Science and Art" di New York. Nel 1972 consegue la specializzazione in "Storia e Teoria dell'Architettura" presso la "School of Comparative Studies" della Essex University, in Inghilterra. Tra il 1978 ed il 1985 è a capo del dipartimento di architettura della "Cranbrook Academy of kind", mentre tra il 1986 ed il 1989, insegna in diverse università, quali la "Royal Danish Academy of kind", la "University of London" e la "Yale University". Grafico e progettista di straordinario talento, Libeskind si distinse nel dibattito teorico internazionale per le sue idee innovative. Nel 1988 partecipò alla celebre mostra del "Museum of Modern Art" di New York, atto di nascita ufficiale del "decostruttivismo". Ampi consensi trovò la sua posizione a favore di una rivoluzione estetica in cui l'architettura fosse "liberata" dalla tecnica e dall'ingegneria, ovvero svincolata dai canoni tradizionali che imponevano una forma conforme alla razionalità e la geometria del fare costruttivo, lontana dalla dimensione emozionale di altre arti quali la scultura o la pittura. Nel 1990 si trasferisce a Berlino, dove Libeskind l'anno prima aveva vinto il concorso internazionale bandito per l'estensione del Museo della Città, destinata a ospitare la sezione ebraica. Tra il 1990 e il 1996, diventa membro della "Academy of the Arts"; membro della "Federal Employers Association"; membro della "European Academy of kind and Letters", oltre che professore ordinario alla "Harvard University". In questi anni Libeskind comincia ad imporsi all'attenzione internazionale con la sua prima opera di rilievo, il padiglione per la Fiera internazionale del verde di Osaka (1990). Negli anni successivi realizzò alcune delle architetture più originali del panorama contemporaneo: oltre all'importante Museo ebraico di Berlino (1989-1999), per il quale ottenne il Deutsche Architekturpreis, meritano di essere ricordati il piano urbanistico per Groninga (terminato nel 1990), gli interventi per i quartieri residenziali e direzionali a Berlino (1987-1991). Nel 1997 viene insignito del titolo di docente onorario presso la "Humboldt University of Berlin". Ottiene, inoltre, l’incarico di professore presso la "UCLA". Nel 1998 è docente in architettura presso la "National University for Organization in Karlsruhe". Nel 1999 riceve un dottorato onorario dall'università delle arti e degli studi umanistici dalla Essex University, in Inghilterra. Numerosi premi gli sono stati assegnati sia in America che in Europa. Tra questi va ricordato il premio culturale della città di Berlino. Tra gli altri riconoscimenti ricevuti in ambito internazionale vanno segnalati: il Leone di Pietra alla Biennale di Venezia nel 1985, il primo premio all'International Bauaustellung di Berlino nel 1987, il medaglione 2000 di Goethe per il contributo culturale, l'Hiroshima Art Prize nel 2001, e i premi del RIBA, Royal Institute of British Architects, nel 2004. [MDF] opere principali Chamber Works Architectural Meditations on Themes from Heraclitus, Cranbrook, USA 1989-1999 The Jewish Museum Berlin Between The Lines, Berlino, Germania 1995-1998 Felix Nussbaum Haus Museum ohne Ausgang, Osnabrück, Germania 1996-2004 The Danish Jewish Museum Mitzvah, Copenhagen, Danimarca 1997-2002 Imperial War Museum North Earth Time, Manchester, Trafford, Gran Bretagna 1998-2003 Studio Weil Private gallery for Barbara Weil, Port d'Andratx, Mallorca, Spagna 1998-2007 The Contemporary Jewish Museum L'Chai'm: To Life, San Francisco, USA 2000-2005 The Wohl Centre The Book and the Wall, Bar-Ilan University, Tel Aviv, Israele 2000-2006 The Museum Residences, Denver, USA 2000-2006 Extension to the Denver Art Museum The Eye and the Wing, Denver, USA 2000-2009 WEST side Freizeit- und Einkaufen im Westen Berns, Berna, Svizzera 2001 Tristan und Isolde Stage Set and Costume Design, Germany und Salzburg, Austria 2001-2003 London Metropolitan University Graduate Centre, Londra, Gran Bretagna 2002 Saint Francis of Assisi, Berlino, Germania 2002 Renaissance ROM Extension to the Royal Ontario Museum: The Crystal, Toronto, Canada 2002-2008 Creative Media Centre, Hong Kong 2003 Facade for Hyundai Development Corporation Headquarters Tangent, Seoul, Sud Korea 2003-2008 Militärhistorisches Museum Dresda, Germania 2004-2005 Memoria e Luce 9/11 Memorial, Padova, Italia 2004-2008 Grand Canal Performing Arts Centre and Galleria, Dublino, Irlanda 2004-2008 New Center for Arts and Culture, USA 2004-2014 Fiera Milano, Italia 199 1983 Museo Ebraico 200 Berlino, Germania - 1989 Daniel Libeskind si aggiudica, nel giugno del 1989, la vittoria del concorso internazionale bandito per l'estensione del Museo della Città di Berlino, destinata a ospitare la sezione ebraica. La giuria scelse il progetto di Libeskind tra i centosessantacinque progetti presentati, sollecitandone una rapida realizzazione. La caratteristica principale del progetto di Libeskind era quelle di intaccare e stravolgere non solo quelli che erano i fondamenti stessi dell'approccio morfologico consolidatosi in quegli anni (messo in opera da Rob Krier nella contigua ricostruzione della Ritterstraße), ma anche di rimettere in discussione il programma stesso del concorso, basato sulla integrazione della sede preesistente del Berlin Museum con il nuovo edificio e, più in generale, della storia berlinese con quella della sua comunità ebraica. L'impianto principale del progetto di Libeskind prevedeva un sottile corpo edilizio che penetrava in profondità nell'isolato, con il profilo drammaticamente spezzato di una saetta, annichilendo le geometrie insediative originarie del tridente barocco di Berlino. Tale deframmentazione dell'opera, che ricalca le teorie del "decostruttivismo" in architettura precedentemente adottate da Libeskind, voleva rappresentare la stratificazione incoerente e allusiva di figure diverse del pensiero e della memoria, quelle della storia berlinese e quelle della vicenda ebraica a Berlino. Il progetto prendeva forma partendo dalla geometria di una saetta; la scelta non era nuova, visto che era stata già usata in una precedente installazione (Line of Fire, Ginevra, 1988). Qui però la figura della saetta assumeva un significato simbolico particolarmente intenso. Le testimonianze di una sintesi irraggiungibile, di una forma alla quale è negato di compiersi, si ripetono negli episodi diversi del progetto: nella figura della saetta che l'osservatore non riesce a percepire nella sua interezza se non dal punto di vista del volo d'uccello; nella impenetrabile segretezza dei volumi architettonici privi di qualsiasi varco di accesso, collocato, invece, nell'edificio adiacente che ospita il Berlin Museum, l'interno del quale è scavato per ospitare una torre in cemento armato, pozzo di drammatica luce che conduce a un percorso sotterraneo; nella cesura che isola irreparabilmente il sotterraneo del museo ebraico dal perimetro spezzato del suo volume fuori terra, attraversato solo da camminamenti che si incrociano per condurre alle diverse stazioni del percorso museale; nella grande scalinata lungo la quale si aprono i diversi piani dell'edificio e che si conclude in alto in una invalicabile parete chiusa. Particolarmente suggestivo, è l'alternarsi delle sale espositive ed il susseguirsi di 201 "vuoti", ovvero spazi architettonici inutilizzabili ai fini pratici, ma che danno al visitatore la possibilità di partecipare al progetto architettonico in quanto tale, di vivere il museo stesso come opera d'arte piena di significati simbolici. Il museo ebraico progettato da Libeskind ha richiesto tempi di realizzazione particolarmente lunghi - circa dieci anni -, in quanto il passaggio dall'idea progettuale alla sua costruzione ha preteso una revisione laboriosa, perché il sistema delle metafore e dei simboli potesse trasformarsi nella concretezza della materia architettonica. Non facili sono state le operazioni per realizzare una corrispondenza tra le aperture arbitrarie delle murature ricoperte da un rivestimento zincato e gli squarci sapienti rivolti verso il paesaggio della città, con le trasparenze capaci di illuminare le grandi sale del museo. L'inaugurazione dell’edificio si è svolta nel 1999, senza alcun allestimento interno. In questo modo è stato consentito alle sale ancora spoglie, ai labirintici percorsi, ai 'vuoti' ricorrenti segnalati dalla nera superficie dei loro involucri, di esercitare un sensuale fascino sui visitatori. [MDF] Corso di Disegno Automatico Autore: Daniel Libeskind Opera: Museo Ebraico Città: Berlino - Germania Anno di realizzazione: 1989 Allievo: T. Vitiello (a.a. 2004/2005) 202 concorso: 1989 completamento: 1999 Indirizzo: Lindenstrasse 9-14 10969 Berlin (Kreuzberg) Germany Tel +49 (30) 259 93 410 Fax +49 (30) 259 93 411 Strutture: GSE Tragwerkplaner, Berlin IGW Ingenieurgruppe Wiese, Berlin Architettura del paesaggio: Müller, Knippschild, Wehberg, Berlin Committente: Land Berlin Concept, Design e progettazione esecutiva: Cornelia Müller, Jan Wehberg with Frank Kießling, K. Louafi, G. Maser Dettagli tecnici: Area netta: 12.000 mq.(120,000 sq.ft.) Area lorda: 15.000 mq.(150,000 sq.ft.) Site control: Elmar-Knippschild, Paul Simons, Frank Kießling, Jan Wehberg From 31st of March 1997, site control and creative direction is by Müller, Knippschild, Wehberg i.L Ingegneria civile: Cziesielski + Partner, Berlin Controllo dei costi: Arge Beusterien und Lubic, Berlin Lighting Designers: Lichtplanung Dinnebier Wuppertal KG, latitude: 52.53; longitude: -13.42 Berlino, Germania R E N Z O P I A N O I lavori dei progettisti contemporanei sono spesso caratterizzati da un il filo conduttore che costituisce un invariante nel loro operato, una sorta di stile che l’architetto imprime su ogni nuovo progetto. Si pensi al pluripremiato Frank O. Gehry o alla celebrata Zaha Hadid: il primo cristallizzato dall’impronta data al museo di Bilbao, la seconda riconosciuta per l’immaterialità delle architetture. Tali considerazioni però non sembrano appropriate nel momento in cui si esamina l’architettura complessa e mutevole di Renzo Piano. La figura dell’architetto genovese, è esemplificativa se inquadrata all’interno del panorama contemporaneo. La sua crescita come architetto-costruttore è stata segnata indelebilmente dagli anni passati sui cantieri dell’impresa di famiglia, che gli hanno permesso di acquisire dimestichezza con i problemi reali del fare architettura, permettendogli di legare creatività e sapere tecnico in maniera simbiotica. Altrettanto formativa sono state le esperienze fatte presso studi molto prestigiosi come quello di Franco Albini, Frei Otto e Louis Kahn. I primi lavori di Renzo Piano si realizzano nella seconda metà degli anni sessanta, in cui sono evidenti i risultati delle esperienze avute presso i grandi maestri. Il periodo storico in cui si collocano le prime opera di Piano, è per l’Italia un momento particolarmente vivace sia da un punto di vista politico-sociale che culturale, e tale vivacità si riflette nell’operato dell’architetto genovese, intento a progettare, creare e costruire operosamente. La fama internazionale la ottiene con la vittoria, assieme a Richard Rogers, del concorso per il Centre National d’Art et de Culture Georges Pompidou di Parigi agli inizi degli anni settanta. Il periodo immediatamente successivo è per Piano e Rogers molto intenso, intenti a realizzare sul plateau Beaubourg un’opera di grande impatto sia visivo che culturale, concretizzando con una singola architettura le idee che si pensavano irrealizzabili. Probabilmente con quel tipo di linguaggio architettonico - un espressionismo tecnologico particolarmente spinto e dai tratti molto personali - Piano avrebbe potuto protrarlo per anni. Ma ciò non si adatta al suo spirito di ricercatore sempre proteso all’evoluzione e a definire un contributo al progresso tecnologico. La revisione continua del suo operato, lo porta diversi anni dopo l’exploit del Centre National d’Art et de Culture Georges Pompidou, a progettare e costruire il museo per la Menil Collection a Houston, Texas: un’opera, a prima vista, opposta come concezione all’edificio parigino. Infatti, se il Centre National d’Art et de Culture Georges Pompidou può essere considerato un gigantesco dispositivo 209 Un'architettura in continua evoluzione: l'opera di Renzo Piano 210 inneggiante ad uno spregiudicato attivismo culturale, l’opera americana si pone quale simbolo della discrezione in cui il protagonista è l’opera d’arte. L’intervento mostra un contenitore apparentemente moderato che lascia campo al contenuto: il culto della sovversione tecnicistica ha così lasciato il posto alla ricerca della pacatezza e del silenzio. Seguono anni fervidi, ricchi di impegni professionali e riconoscimenti internazionali per un personaggio atipico nel mondo dell’architettura contemporanea. Forse un’esaltante modello di architetto se visto con gli occhi di chi legge l’architettura con l’idea che essa è innanzitutto espressione della triade vitruviana: firmitas, venustas e utilitas. Egli è la migliore espressione del coordinatore tra le varie discipline che convergono e consentono di creare una vera opera di architettura. Il 1992 è l’anno per un nuovo ripensamento e rinnovamento. Vince il concorso per la ricostruzione del Potsdamer Platz a Berlino; un salto di scala, si passa dallo studio, progettazione e realizzazione di singoli fabbriche, se pur di notevoli dimensioni, all’organizzazione unitaria di una parte di città. Un ridisegno urbano che trasforma un’area determinante di Berlino, quale città simbolo di dinamismo e rinascita di un intera nazione, come era nelle ambizioni della Germania unita. Piano definisce un raffinato master plan, che si rivela eccellente guida per i grandi progettisti chiamati a realizzare le strutture fisiche. “E’ un esercizio in bilico tra regola e libertà, tra logica e arbitrio. E’ una sfida alla città storica, creata largamente autonoma che si costruisce lentamente nel tempo, per rifare artificialmente un frammento, in un tempo estremamente compresso e senza l’aiuto dell’inconsapevolezza (o, se si preferisce dell’innocenza) dei maestri costruttori del passato”1. L’opera di Piano così descritta potrebbe confondere, presentando un architetto mutevole e incoerente con il suo recente passato. Forse è corretto definire il suo operato mutevole, ma l’accezione riguarda un susseguirsi di cambiamenti e sperimentazioni non dettate dall’insicurezza ma da una fervida curiosità, dalla voglia di osare per vincere nuove sfide2. Al contempo la coerenza che lega il suo operato sta nell’attitudine che è quella, di memoria avanguardista, di porsi davanti a ogni problema come davanti ad un problema completamente nuovo e ogni volta, cercandone la soluzione, ricominciare da capo. E’ difficile raccontare un personaggio come Renzo Piano il cui lavoro poggia non su una base teorica standardizzata e ripetitiva, ma su un atteggiamento di porsi rispetto al progetto. E’ opportuno analizzare la sua ricerca come egli stesso si pone nei confronti del fare architettura: uno studio caso per caso, specifico, mai totalmente ripetitivo o legato a linguaggi effimeri supportati dalla moda del momento. Pur essendo la sua una produzione in divenire e aperta su più fronti, avendo lavorato sia sul singolo oggetto architettonico che su tessuti urbani complessi e stratificati, alcune opere sono emblematiche per struttura, forza rappresentativa e legame con il luogo. Senza dubbio è il caso del Centro Jean Marie Tjibaou per la cultura Kanak. Il complesso è costituito da una serie di padiglioni ogivali, a forma di conchiglie, collocate asimmetricamente lungo un asse principale, dove sono localizzati i servizi di maggiore frequentazione del centro: le esposizioni, la sala spettacoli, il ristorante. Una spina centrale collega i diversi gruppi di padiglioni organizzando la distribuzione dei percorsi e ospitando le strutture più pesanti. Lungo un asse minore, note 1 V. Magnano Lampugnani (a cura di), Renzo Piano. Progetti e architetture 1987-1994, Electa 1994 Milano, pp.7-9 2 Cfr.: R. Piano, R. Foni, G. Garbuglia, L. Tirelli, M. Filocco, Una struttura ad elementi standard, per la copertura di medie e grandi luci, in “La Prefaffricazione”, gennaio 1996; Renzo Piano verso una pertinenza tecnologica dei componenti, in “Casabella”, n°352, 1970, p.37; A Parigi, per i Parigini l’evoluzione del progetto Piano + Rogers per il Centre Beaubourg, in “Domus”, n° 511, giugno 1972, pp. 9-12; Renzo Piano monografia, in “AA” 219, febbraio 1982; Centro Cultural Kanak à Nouméa, in “L’Architecture d’Aujourd’hui”, n° 277, ottobre 1991, pp.9-13; M. Dini, Renzo Piano: progetti e architetture 1964-1983, Electa, Milano 1983; 3 Op. Cit., pp.7-9 211 perpendicolare al primo, sono disposti i servizi dedicati allo studio, quali la biblioteca e gli spazi per i ricercatori. Una caratteristica importante che contraddistingue il Centro, differenziandolo dagli altri musei, è la distribuzione delle funzioni in padiglioni comunicanti tra loro attraverso spazi esterni, che inducono il fruitore del museo a compiere, durante la visita, una vera e propria passeggiata all’aria aperta. Per esemplificare la filosofia che accompagna il metodo progettuale dell’architetto genovese è opportuno riportare un passaggio di un’intervista a Renzo Piano eseguita da Vittorio Magnano Lampugnani, in cui alla richiesta di descrivere la storia delle sue prime opere, il progettista replica con la sintesi dei concetti che hanno caratterizzato tutta la sua produzione architettonica, ovvero: “Trovo tutto estremamente semplice e consequenziale. Innanzi tutto l’infanzia e l’adolescenza passate con mio padre nei cantieri mi anno trasmesso una sorta di implicita convinzione che avrei continuato a fare lo stesso tipo di cose. [...] Già da quando facevo gli studi di architettura avevo un grande interesse per le articolazione dei pezzi. Allora la scommessa della leggerezza, il gusto per il togliere erano istintivi, così come il gusto di giuntare diversi pezzi assieme. Il giunto lo si vede, lo si esprime, diventa la traccia della mano dell’uomo che l’ha costruito. […] Poi è avvenuto un fatto molto importante dal punto di vista professionale qual è stata la parentesi del Beaubourg. Una parentesi che è durata sette anni e che sul piano organizzativo mi ha dato una consapevolezza diversa dal lavoro di gruppo. Precedentemente ero io il gruppo perché nelle mie mani concentravo tutto: ero il disegnatore, il costruttore, l’ingegnere, l’architetto. Dal Beaubourg è cominciata la liberazione verso altri progetti dove il lato umanistico e partecipativo prendeva più forza per arrivare alla professione più piena. Cominciai così a mettere assieme i tasselli del mosaico che è la professione, equilibrando meglio la professionalità, la sperimentalità, la storia, la forma; la forma di cui per anni non ho mai parlato, per pudore forse”3. [ADT] 212 biografia RENZO PIANO Renzo Piano nasce a Genova il 14 Settembre del 1937. Si laurea in architettura nel 1964 presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Subito dopo comincia a collaborare con alcuni degli architetti più affermati, come Franco Albini, Marco Zanuso, Louis Kahn e Makowskj. Contemporaneamente collabora con il padre, costruttore edile, entrando in diretto contatto con la vita di cantiere e la professione. Tra il 1965 ed il 1970 viaggia tra gli Stati Uniti e l'Inghilterra per completare la sua formazione. Durante questi anni Piano incontra Jean Prouvé (1901-1984), celebre architetto francese, con il quale instaura un'amicizia professionale solida e fruttifera, che lo porterà a dedicarsi alla ricerca e allo sviluppo di strutture spaziali a guscio, realizzate con sistemi costruttivi innovativi, sia per la concezione spaziale, sia per tecnologie utilizzate. Nello stesso periodo incontra Richard Rogers (1933), con il quale fonda lo studio "Piano & Rogers". Proprio con Rogers, Piano costruisce, tra il 1971 ed il 1977, il "Centre Georges Pompidou", noto anche come "Beaubourg", che rappresenta ancora oggi il manifesto per l'architettura high-tech dell'epoca. Nel 1977, separatosi da Rogers, Piano si unisce a Peter Rice (1935-1993), famoso ingegnere civile, per fondare l'"Atelier Piano & Rice". Nel 1981 nasce a Genova il "Renzo Piano Building Workshop", che nella sua attività progettuale punta all'uso di materiali e tecnologie innovative e sperimentali, con l'intento di sviluppare sempre di più la capacità di realizzare edifici e complessi urbani in tutto il mondo. Nel 1993 Piano apre una seconda sede del "Renzo Piano Building Workshop" a Parigi. La straordinaria mole del suo lavoro e i concetti innovativi sviluppati attraverso le sue opere hanno spinto a descrivere il suo fare architettura in un innumerevole numero di pubblicazioni e mostre tenutesi nelle principali città dell'Europa, degli Stati Uniti d'America, del Giappone e dell’Australia. Tra i principali riconoscimenti internazionali si ricordano: l'Honorary Fellowship Riba a Londra (1986), la Legione d'Onore a Parigi (1985), la Riba Royal Gold Medal for Architecture (1989), il titolo di "Cavaliere di Gran Croce", il premio Imperiale a Tokio (1995) e il premio Pritzker (1998). Dal 1994 è ambasciatore dell'UNESCO per l'architettura. Nel 2000 gli viene assegnato il Leone d'Oro alla carriera in occasione della Biennale di Venezia, mentre nel 2001 vince il Wexner Prize assegnato dal Wexner Center for the Arts, Columbus, Ohio, USA. [MDF] 1971-1973 B&B Italia Uffici, Novedrate (Como), Italy 1971-1977 Centre Georges Pompidou, Parigi, Francia 1978-1982 Il Rigo Evolutive Housing, Corciano (Perugia), Italia 1978 VSS Flying Carpet, Torino, Italia 1978 Mobile Construction Unit, Dakar, Senegal 1981 Schlumberger Facilities Restructuring, Parigi, Francia 1982 Alexander Calder Retrospective Exhibition, Torino, Italia 1982 Menil Collection, Houston, Texas 1983 IBM Travelling Pavilion 1983 Stazione a Genoa, Genova, Italia 1983 Ricorversione della fabbrica del Lingotto, Torino, Italia 1984 Lowara Company Uffici, Montecchio Maggiore (Vicenza), Italia 1985 Istituto di Ricerca sui Materiali Leggeri, Novara, Italia 1985 Credito Industriale Sardo, Cagliari, Italia 1985 Columbus International Exposition, Genova, Italia 1986 Cité Internationale, Lyon, Francia 1987 Stadio San Nicola, Bari, Italia 1987 Restauro dei Sassi, Matera, Italy 1987 Bercy 2, Shopping Centre, Charenton Le Pont (Parigi), Francia 1987 Rue de Meaux Housing, Parigi, Francia 1988 Thomson Optronics Factory, Saint Quentinen-Yvelines (Parigi), Francia 1988 IRCAM Extension, Parigi, Francia 1988 Kansai International Airport Terminal, Osaka, Giappone 1989 Ushibuka Bridge, Kumamoto, Giappone 1989 Punta Nave - Renzo Piano, Building Workshop, Genova, Italia 1991 Jean Marie Tjibaou Cultural Center, Nouméa, Nuova Caledonia 1991 Padre Pio Pilgrimage Church, San Giovanni Rotondo (Foggia), Italia 1991 Banca Popolare di Lodi and Auditorium, Lodi (Milano), Italia 1992 Ricostruzione della Potsdamer Platz, Berlin, Germania 1992 Cy Twombly Gallery, Houston, Texas 1992 National Center for Science and Technology, Amsterdam, Olanda 1992 Atelier Brancusi, Parigi, Francia 1993 Mercedes Benz Design Centre, Sindelfingen (Stuttgart), Germania 1995 Commercial, Leisure and Service Center, Nola (Napoli), Italia 1995 Restauro del Centre Georges Pompidou, Parigi, Francia 1996 Ferrari Wind Tunnel, Maranello (Modena), Italia 1996 - 88 Phillip Street Office Tower & Macquarie Apartments - Sydney, Australia 1997 1998 1998 1999 1999 1999 1999 2000 2000 2000 2000 2000 2000 2001 2001 2002 2004 2004 KPN Telecom Office Tower, Rotterdam, Olanda Maison Hermès, Tokyo, Giappone "Il Sole 24 Ore" headquarters, Milano, Italia Department Store, Colonia, Germania The Nasher Sculpture Center, Dallas, Texas, U.S.A Zentrum Paul Klee, Berna, Svizzera "Braço de Prata" housing complex, Lisbona, Portogallo London Bridge Tower, Londra, Inghilterra Interventions in the old harbour concerning the G8 summit, Genova, Italia The New York Times Building New York City (NY),.USA Renovation and Expansion of the Morgan Library, New York City (NY), USA La Grande Mostra, Parigi / Berlino Renovation and Expansion of the California Academy of Sciences, San Francisco, (CA), USA St. Giles Court mixed-use development, Londra, Inghilterra La Rocca winery, Gavorrano (Grosseto),Italia Columbia University Expansion, Masterplan WIP New York City (NY), USA EMI Music France Headquarters, Parigi, Francia A vision for Genoa Harbour, Genova, Italia 213 opere principali Centro Jean Marie Tijbaou La realizzazione del Centro Jean Marie Tjibaou per la cultura Kanak nasce dall’esigenza di costruire uno spazio dedicato alla cultura melanesiana Kanak, in seguito agli accordi raggiunti nel 1988 tra il governo francese e la Nuova Caledonia, avviata verso l'indipendenza. Il progetto del Centro, realizzato da Renzo Piano nel 1992, segue due grandi idee di partenza: da una parte c'è la volontà di riprendere la capacità dei Kanak di costruire con la natura e nella natura, dall'altra quella di voler utilizzare accanto a materiali tradizionali quali legno e pietra, materiali moderni, come vetro, alluminio, acciaio e tecnologie leggere d'avanguardia. Particolarmente interessante è il sito all'interno del quale sorge il centro, ovvero una penisola circondata dal mare e completamente immersa nella vegetazione tropicale. Il complesso è costituito da una serie di padiglioni ogivali, a forma di conchiglie, le cui altezze vanno dai nove ai ventiquattro metri, collocate asimmetricamente lungo un asse principale, dove sono collocati i servizi di maggiore frequentazione del centro: le esposizioni, la sala spettacoli, il ristorante. Una spina centrale collega i diversi gruppi di padiglioni organizzando la distribuzione dei percorsi e ospitando le strutture più pesanti. Lungo un asse minore, perpendicolare al primo, sono disposti i servizi dedicati allo studio, quali la biblioteca e gli spazi per i ricercatori. La caratteristica principale che contraddistingue il Centro Jean Marie Tjibaou, differenziandolo dagli altri musei, è l'essere costituito da padiglioni comunicanti tra loro attraverso gli spazi esterni, che inducono il fruitore del museo a compiere, durante la visita, una vera e propria passeggiata all'aria aperta. Le modalità di realizzazione delle strutture coniche, costituenti i padiglioni, confermano la simbiosi tra la memoria della cultura Kanak e l'utilizzo di tecniche moderne. Le pareti curve sono costituite da tre differenti diaframmi che permettono un'efficace illuminazione naturale: un sistema di tendaggi mobili, una parete lamellare in legno e un'ulteriore parete in bambù, che filtrano la luce e i suoni della foresta tropicale lasciando libera espressione alla natura. Ingegnoso e particolare è, infine, il sistema di aerazione naturale degli ambienti: le grandi conchiglie, infatti, catturano il vento convogliando l'aria nella parte inferiore della costruzione ed inviando all'esterno l'aria calda. [MDF] 215 Noumea, Nuova Caledonia - 1989 Corso di Tecniche della Rappresentazione Autore: Renzo Piano Opera: Centro Culturale J.M.Tjibaou Città: Noumea - Nuova Caledonia Anno di realizzazione: 1991 - 1992 Allievi: P. Alison - G. A. Simeone (a.a. 2003/2004) concorso: 1991 completamento: 1998 216 Indirizzo: Nouméa - New Caledonia Committente: Agence pour le Développement de la Culture Kanak Strutture: Agibat MTI Architettura del paesaggio: Végétude Concept, Design e progettazione esecutiva: 1° fase: A. Chaaya, D. Rat (architects in charge) with J. B. Mothes A. H. Téménidès and R. 2° fase: D. Rat, W. Vassal (architects in charge) with A. El Jerari, A. Gallissian, M. Henry, C. Jackman, P. Keyser, D. Mirallie, G. Modolo, J. B. Mothes, M. Pimmel, S. Purnama Ingegneria civile: GEC Ingénierie Controllo dei costi: GEC Ingénierie latitude: -21.80; longitude: -166.80 Noumea, Nuova Caledonia 222 bibliografia Libri e monografie: T. Alexander, Santiago Calatrava. Opera completa, Rizzoli Libri Illustrati, Milano 2005. Barrie, Choochuey, Mirti, Toyo Ito. Istruzioni per l'uso, Postmedia books, Milano 2004. F. Bucci, Magic city,Mancosu editore, Roma 2005. P. 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