Review n. 4 – Italus Hortus 13 (4), 2006: 42-52
Storia delle relazioni pianta-acqua: dalla fisica alla biologia
Albino Maggio1* e Ray A. Bressan2
1
Dipartimento di Ingegneria Agraria ed Agronomia del Territorio, Università di Napoli “Federico II”,
via Università 100, 80055 Portici (NA)
2
Center for Plant Environmental Stress Physiology, Department of Horticulture and Landscape
Architecture, Purdue University, 625 Agriculture Mall Dr., West Lafayette, IN 47907, USA
Data di ricezione: 20 maggio 2006; data di accettazione: 29 agosto 2006
History of plant-water relations:
from physics to biology
Abstract. In this essay we presented an historical
overview of plant water relation studies. We first
analyzed how early observations on seeds imbibition
and water uptake by microcapillarity were developed
in a systematic analysis of water absorption and
movement within the plant. Subsequently, we explained how the concept of osmosis became critical in
analyzing water movement in plant tissues. We finally
presented the formalization of the water potential concept, on which most physiological studies during the
60s’ and 80s’ were developed. The second part of this
review is focussed on the impact of biotechnologies
and how they have contributed to advancing our current understanding of plant water relations. Further
advancement in this field is expected to occur as a
result of integration of disciplines, which may turn out
to be critical to understand the physiology of plant
water relations in an agricultural context and to highlight novel applications of the acquired knowledge.
Key words: plant water relations, osmosis, water
potential, saline stress, water stress.
cisione e maggior dettaglio a specifici quesiti scientifici e di verificare nel corso del tempo ipotesi sempre
più illuminanti. L’avanzamento della conoscenza in
questo settore non è stato in realtà velocissimo e,
come vedremo, ha visto forse solo di recente l’introduzione di elementi innovativi (quali ad esempio la
scoperta delle acquaporine per la quale è stato conferito il Premio Nobel per la chimica nel 2003) e l’apertura verso un’interpretazione più biologica che fisica
del movimento dell’acqua nella pianta.
L’obiettivo di questa breve nota è quello di tracciare un legame tra la sequenza di idee, osservazioni e
sperimentazioni che hanno portato a delineare ciò che
sappiamo sulle relazioni pianta-acqua ed individuare
possibili applicazioni scaturite dalla conoscenza
acquisita. Un significativo impulso al progresso in
quest’area della ricerca scientifica è da attribuirsi alla
rapida evoluzione, nell’ultimo ventennio, di tecniche
di biologia molecolare che hanno consentito di rivelare la base genetica di molte funzioni fisiologiche che
controllano l’omeostasi idrica. A questa tuttavia si
farà solo cenno nelle pagine che seguono rimandando
il lettore a trattazioni più specifiche sull’argomento.
Le origini
Premessa
✝
Lo studio delle relazioni pianta-acqua è un argomento che ha incuriosito il mondo scientifico sin dall’epoca di Talete (624-547 a.C.), il primo tra i filosofi
ionici a riconoscere nell’acqua il principio della vita.
Il percorso storico che ha portato alla nostra comprensione attuale di questo e molti altri argomenti della
fisiologia vegetale ha tuttavia seguito il progresso tecnologico che ha consentito di rispondere con più pre*
[email protected]
La prima parte di questa review (pag. 42-47) è stata tradotta ed adattata
da pag. 1542-1547 del lavoro originale di Maggio A., Zhu J.K., Hasegawa
P.M., Bressan R.A., 2006. Osmogenetics: Aristotle to Arabidopsis. Plant
Cell 18:1542-1557. © 2006 American Society of Plant Biologists.
Utilizzato previa autorizzazione.
✝
42
Le prime osservazioni sulle relazioni suolo-piantaacqua risalgono ad Aristotele (384-322 a.C.) e
Teofrasto (372-287 a.C.) i quali intuirono che le piante assorbivano gli elementi nutritivi dal suolo e, similmente a quanto accadeva per gli esseri animali, convertivano questi elementi in biomassa attraverso un
non-definito principio vitale, unico elemento di differenziazione tra organismi viventi e non viventi. L’idea
del principio vitale scaturiva da una semplice, altresì
inesatta, constatazione: le piante assorbono elementi
nutritivi dal suolo ma non generano alcun prodotto di
scarto. Dopo un vuoto storico di poco più di un millennio, si riporta che un fisico italiano, Andrea
Cesalpino (1519-1603), riferendosi a studi precedenti
di Claudius Galen (129-200), abbia presentato le
Storia delle relazioni pianta-acqua
prime descrizioni del movimento dell’acqua nella
pianta in base a principi di fisica. Cesalpino, studiando il movimento dell’acqua nella pianta e nei semi in
germinazione, descriveva questo come un processo di
imbibizione consentito dalla struttura microcapillare
dei tessuti vegetali (Meidner, 1983). Questa idea fu
sviluppata negli anni a seguire da John Ray (16271705) e da Marcello Malpighi (1628-1694) che per
primi considerarono la possibilità che il movimento
dell’acqua dalle radici attraverso il tessuto vascolare
fino alle foglie avvenisse per moto capillare.
Capillarità, osmosi e le prime osservazioni sul
movimento dell’acqua nei tessuti vegetali
La prima analisi sistematica e quantitativa dell’assorbimento e movimento dell’acqua nella pianta fu
condotta da Stephen Hales (1727) (Meidner, 1983).
Attraverso semplici misure di peso fresco e peso
secco, Hales fu in grado di determinare che la maggior parte dell’acqua assorbita dalla pianta era in
realtà persa attraverso la traspirazione. Questi esperimenti, rivelarono che l’acqua veniva in qualche modo
espulsa/eliminata dalla pianta e sovvertirono il concetto di principio vitale che aveva retto per più di un millennio. Si introdussero due nuovi principi:
• le piante sono composte principalmente di acqua;
• le piante eliminano gran parte dell’acqua assorbita
(Weevers e Went, 1949).
L’originalità delle osservazioni di Hales segnarono
un passaggio importante in quanto stabilirono che il
movimento dell’acqua nel sistema suolo-pianta-atmosfera era determinato da leggi fisiche e, benché Hales
non fosse riuscito a presentare una descrizione formale di questi principi, ne individuò sicuramente gli
aspetti concettuali (Lander e Weinburg, 2000).
All’inizio del XIX secolo, le scoperte di Nicolas
Théodore de Saussure segnarono un altro momento
importante. Egli riporta che gli elementi minerali in
soluzione acquosa non vengono assorbiti dalla pianta
in misura proporzionale all’acqua assorbita. E, cosa
ancora più importante, l’assorbimento dei diversi elementi non mantiene il rapporto percentuale con cui
sono presenti nella soluzione nutritiva (de Saussure,
1804). Le osservazioni di de Saussure hanno stabilito
le basi teoriche dell’assorbimento differenziale, un
concetto che ha trovato la sua esposizione formale con
Henri Joakim Dutrochet, che nel 1837 coniò il termine
osmosi. Dutrochet aveva intuito che l’acqua veniva
attratta da una soluzione con una bassa concentrazione di soluti (zuccheri o sali) ad una soluzione con una
concentrazione più elevata. Pertanto gli esperimenti di
Dutrochet stabilirono che il movimento dell’acqua
nella pianta segue dei principi fisico-chimici e segnarono una netta ed irreversibile rottura con il vecchio
concetto di forza vitale.
Le osservazioni sull’osmosi furono oggetto di
grande interesse da parte di numerosi scienziati che
seguirono a Dutrochet. Ma il concetto di osmosi non
fu inquadrato nel contesto biologico più appropriato
fino a quando non fu resa nota la struttura della cellula in seguito alla quale si definì il protoplasma come
entità separata dalla circostante parete cellulare. A
questo punto Pfeffer (1877) presentò l’idea fondamentale secondo cui la pressione osmotica, determinata dalla concentrazione di soluti dell’acqua (protoplasmica) della cellula, fosse in grado di generare una
forza di spinta/pressione all’interno della parete cellulare (pressione di turgore) e, conseguentemente, di
determinare un incremento di volume della cellula.
Pfeffer intuì la presenza di uno strato eterogeneo
(membrana plasmatica) all’interno della parete cellulare con proprietà semipermeabili attraverso cui
potesse generarsi osmosi. Quindi il lavoro di
Dutrochet, Pfeffer ed altri che lavoravano su questi
concetti stabilì che la cellula, in seguito all’accumulo
di soluti, è in grado di richiamare acqua al suo interno
per un fenomeno di osmosi che si genera attraverso la
membrana plasmatica. Furono necessari ancora degli
anni perché la natura non esclusivamente fisica della
membrana plasmatica si svelasse e si potesse così stabilire un legame tra assorbimento idrico ed espansione
cellulare (Kramer e Boyer, 1995).
Energia libera, potenziale chimico e potenziale
idrico
Gran parte della nostra comprensione del movimento dell’acqua nella pianta si basa su un concetto
fondamentale: tutte le molecole, inclusa l’acqua, contengono energia che può essere dissipata in varie
forme (Slatyer, 1967; Salisbury e Ross, 1992). Parte
dell’energia dissipata e trasferita tra un sistema e
l’ambiente circostante può generare lavoro in proporzione al numero di molecole che scambiano energia.
Questo lavoro può essere utilizzato per diverse funzioni tra cui muovere acqua all’interno della pianta.
Willard Gibbs (1931) è stato il primo a formalizzare
questo principio e a definire la quantità di energia
necessaria per compiere del lavoro, incluso quello
richiesto per attivare funzioni biologiche. Gibbs definì
questo lavoro come variazione di energia libera (G) in
funzione di variazioni di entropia (S), entalpia (H) e
temperatura (T) del sistema:
ΔG=ΔH –TΔS
Eq. 1
43
Maggio e Bressan
Secondo l’espressione di Gibbs, qualsiasi processo
biologico che si verifica spontaneamente procede
verso un livello più basso di energia libera. Un valore
negativo di ΔG indica un processo spontaneo, mentre
un ΔG positivo indica la quantità minima di lavoro
necessaria affinchè si possa verificare un qualsiasi un
processo. In base a questo principio, anche il movimento dell’acqua nella pianta può essere descritto
secondo variazioni di energia libera (Nobel, 1991).
Considerando che l’energia libera di Gibbs è data
dalla somma di tutte le componenti del sistema, è possibile assegnare una quantità di energia libera a ciascuna componente di una soluzione acquosa su base
molare. Il potenziale chimico (μj) di una specie j è
pertanto definito come la quantità di energia libera
(disponibile per compiere lavoro) che possiede una
mole della sostanza j (Slatyer, 1967). Questa quantità
è matematicamente definita dall’Eq. 2:
μj=μj + RT ln aj +VjP + zjFE + mjgh
Eq. 2
dove: R=costante dei gas; T =temperatura in gradi
Kelvin; aj =attività di j; Vj =volume parziale molale di
j; P =pressione (in eccesso a quella atmosferica); zj
=numero di cariche di j; F = costante di Faraday; E =
potenziale elettrico; mj = massa per mole; g = accelerazione gravitazionale; h = altezza; m j = potenziale
chimico allo stato di riferimento, che si ha quando: j =
1 (per cui RT ln aj=0); V jP=0 (cioè la pressione in
eccesso a quella atmosferica=0); zjFE=0 (cioè j non ha
carica o il potenziale elettrico = 0); mjgh=0 (cioè non
c’è una componente gravitazionale). Quando esistono
tutte queste condizioni mj=mj. La presenza di un termine per uno stato standard (mj) è importante perchè
come si vedrà di seguito, nella maggior parte delle
applicazioni del potenziale chimico ci riferiamo a differenze di potenziale chimico piuttosto che ai valori
assoluti. Conseguentemente il potenziale chimico
viene espresso in relazione ad un valore di riferimento.
Il potenziale chimico di una sostanza può essere
influenzato da molti fattori tra cui la pressione, la
forza di gravità ed altri fattori fisici. L’equazione 2
consente di prevedere direzione ed entità del movimento di soluzioni acquose nella pianta. Il concetto di
energia libera di Gibbs fu ulteriormente sviluppato per
descrivere proprietà e movimento dell’acqua durante
lo sviluppo della pianta attraverso l’integrazione del
concetto di potenziale chimico di soluzioni acquose e
quello di osmosi esposto da Dutrochet (1837) e
Pfeffer (1877). Nel 1886 Francois Marie Raoult dimostrava che la pressione di vapore di un miscuglio di
liquidi dipende dalla pressione di vapore dei singoli
liquidi componenti il miscuglio e dalla frazione molare di ciascuno di essi. La legge di Raoult consente di
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calcolare la pressione di vapore di una qualsiasi soluzione dal momento che la pressione parziale di vapore
al di sopra della soluzione è correlata al potenziale
chimico di ciascun componente per cui, all’equilibrio,
il potenziale chimico μ del componente j in soluzione
è lo stesso di quello nella fase di vapore. Poco dopo la
formulazione della legge di Raoult, nello stesso anno
1887, Jacobus Henricus van‘t Hoff (Premio Nobel per
la chimica nel 1901), utilizzando i dati sperimentali di
Pfeffer (1877) sviluppava un’equazione (Eq. 3) che
legava la pressione osmotica (la pressione esercitata
dal flusso di acqua attraverso una membrana semi permeabile che separa due soluzioni con differente
concentrazione di soluti) alla concentrazione di soluti
(Nobel, 1991; Salisbury e Ross, 1992). L’equazione di
van’t Hoff (Eq. 3) formalizza le osservazioni sull’osmosi di Pfeffer (1877) ed attribuisce un ruolo chiave
ai soluti nel determinare la direzione del movimento
dell’acqua e le variazioni di turgore in un ambiente
delimitato da una membrana semipermeabile, quale la
cellula vivente.
πV=nsRT
Eq. 3
dove: π= pressione osmotica (MPa); V= volume
del solvente (m3); n s= mole di soluto; R= costante dei
gas; T= temperatura in gradi Kelvin (K).
In seguito al lavoro di van’t Hoff c’è stato un proliferare di studi sul movimento dell’acqua nella pianta
in ambiente iperosmotico (Kramer, 1950) fino a quando nel 1960, Slatyer e Taylor combinando l’equazione
del potenziale chimico (Eq. 2) e l’equazione di van’t
Hoff (Eq. 3) presentarono il concetto di potenziale
idrico Ψw secondo cui:
Ψw=(μw-μw)/Vw = P- π +
gh
w
Eq. 4
dove tutti i simboli sono come in Eq. 2; w = densità dell’acqua; Ψw, potenziale idrico, è una quantità
proporzionale a Δμw. Il termine μw si riferisce in questo caso al potenziale chimico dell’acqua pura alla
pressione atmosferica. Inoltre il potenziale chimico è
stato diviso per il volume parziale molale dell’acqua
(Vw) per ottenere valori espressi in unità di pressione,
una misura di uso più comune (Nobel, 1991; Kramer e
Boyer, 1995).
Dopo la formulazione originaria del Ψw proposta
da Slatyer e Taylor (1960) e derivante dal concetto di
potenziale chimico, sono state proposte numerose
espressioni alternative (Nobel, 1991; Salisbury e
Ross, 1992; Taiz e Zeiger, 1998). Tra queste una delle
più familiari è sicuramente la seguente:
Ψw=Ψπ + Ψp + Ψm
Eq. 5
dove: Ψπ= potenziale osmotico; Ψp= potenziale di
Storia delle relazioni pianta-acqua
pressione, Ψm= potenziale di matrice. Il potenziale
osmotico e di pressione si riferiscono, rispettivamente,
all’effetto dei soluti e della pressione sul potenziale
idrico totale. Il potenziale di matrice si riferisce alle
interazioni liquido-solido. Il contributo della componente gravitazionale (Ψg) è 0,0098 MPa m-1.
Il concetto di potenziale idrico ha fornito la base
scientifica attraverso cui prevedere, entro certi limiti,
il movimento dell’acqua da un punto ad un altro del
sistema. Inoltre l’Eq. 5 consente di standardizzare le
misure avendo come riferimento il potenziale dell’acqua pura. Questo ha reso possibile effettuare confronti
tra dati rilevati da diversi ricercatori in ambienti diversi, utilizzando specie diverse. Quindi il risultato più
importante del passaggio da potenziale chimico µ al
potenziale idrico Ψ w è stato quello di stabilire un
metodo semplice per confrontare misure di µ riferendo queste misure al µ dell’acqua pura. Negli anni ‘80,
la solidità del concetto di potenziale idrico e delle sue
applicazioni è stata criticata (Passioura, 1988;
Kramer, 1988), tuttavia l’Eq. 5 rimane una delle formule di più ampia applicazione nello studio delle relazioni idriche nei sistemi vegetali.
Osmosi, tensione e traspirazione: il c o n t i n u u m
suolo-pianta-atmosfera
Con la definizione di potenziale idrico, si stabiliscono due nuovi principi:
• l’acqua si muove in un sistema verso lo stato di più
bassa energia libera (Ψw più negativo) per ristabilire un equilibrio;
• le componenti del Ψw rappresentano la forza motrice che determina la direzione e la quantità del flusso idrico.
In assenza o a bassa traspirazione, il Δ Ψ w c h e
genererà il flusso idrico dipenderà dalla concentrazione del liquido cellulare e dal Ψw della soluzione esterna alla pianta che sarà fondamentalmente determinato
dai soluti in essa disciolti (condizioni saline) e dalla
componente matriciale del Ψw (suoli aridi). La prima
descrizione del movimento idrico a bassi flussi traspirativi risale a Renner che già nel 1912 descriveva un
assorbimento attivo. In queste condizioni la radice si
comporta essenzialmente come un osmometro dal
momento che i soluti che si accumulano nelle cellule
radicali abbassano il Ψw a valori inferiori a quelli della
soluzione nutritiva. Ciò consente all’acqua di diffondere attraverso le strutture cellulari e di muoversi
seguendo un gradiente di potenziale idrico verso il
sistema vascolare, attraversando almeno una membrana plasmatica, all’endodermide, dove ha luogo un
assorbimento selettivo dei soluti (ioni) (Boyer, 1985).
Già negli anni ‘50 era noto che il movimento idrico
radicale potesse avvenire per via simplastica (attraversando il citoplasma ed una serie di membrane plasmatiche) che apoplastica (negli spazi intercellulari).
Tuttavia il dibattito sui flussi idrici negli organismi
viventi esposti a diverse condizioni ambientali si è ravvivato considerevolmente solo dopo la scoperta delle
acquaporine, identificate prima nelle membrane animali (Preston et al., 1992) e successivamente da Maarten
Chrispeels e colleghi in pianta (Maurel et al., 1993;
Maggio e Joly, 1995). La scoperta delle acquaporine
non ha sovvertito le basi teoriche secondo cui prevediamo direzione e quantità totale di acqua che si muove
per raggiungere l’equilibrio, ma ha inserito un elemento di controllo della resistenza al flusso idrico, quindi
della quantità di acqua che si muove nei tessuti vegetali
nell’unità di tempo (Steudle e Henzler, 1995).
Il movimento idrico in piante che traspirano attivamente, altresì definito assorbimento passivo, è controllato da altri fenomeni che si verificano alla superficie fogliare. Alphonse de Candolle nel 1832 propone
il termine s t o m a per descrivere i piccoli pori che
aveva individuato sulle foglie. Negli anni che seguirono, Sachs (1882) e Francis Darwin (Darwin e Pertz,
1911) descrissero in dettaglio l’anatomia e la funzione
degli stomi puntualizzando che l’apertura stomatica
può essere controllata attraverso una variazione di turgore delle cellule di guardia determinato da un movimento di soluti non meglio identificati.
Piante con gli stomi aperti che fotosintetizzano
attivamente rilasciano una significativa quantità d’acqua nell’atmosfera, un fenomeno che domina il gradiente di Ψw, generando una pressione negativa (tensione) nello xilema. La tensione viene trasmessa alla
colonna d’acqua all’interno dei vasi xilematici fino
alle radici. Ciò contribuirà ulteriormente a ridurre il
Ψw radicale facilitando un rapido assorbimento idrico
da parte della pianta. L’idea originale secondo cui la
tensione xilematica fosse generata dalla traspirazione
a sua volta responsabile per il movimento dell’acqua
dalle radici verso le foglie, è stata proposta da Eugen
Askenasy (Weevers e Went, 1949) e successivamente
elaborata da Henry Dixon e John Joly (1895) nella
teoria, ancora oggi valida, della coesione-tensione
(Steudle, 2001). In piante che traspirano intensamente, l’evaporazione dell’acqua dalla foglia è il fattore
principale che controlla la velocità e la quantità di
acqua assorbita dall’apparato radicale, dal momento
che le forze termodinamiche che determinano la perdita d’acqua attraverso gli stomi sono molto più grandi di quelle che determinano l’assorbimento di acqua
attraverso le radici in assenza di traspirazione (Nobel,
1991).
45
Maggio e Bressan
In base a queste informazioni risultava evidente
che la pianta poteva controllare e ridurre la perdita di
acqua dalle foglie attraverso una chiusura “passiva”
degli stomi che si verificava quando questi perdevano
turgore in seguito ad un generale appassimento delle
foglie. Tuttavia, verso la fine del XIX secolo Hugo de
Vries intuì che la chiusura stomatica poteva verificarsi
“attivamente” (prima che si raggiungesse un palese
appassimento fogliare) attraverso uno specifico segnale ambientale (ad es. la luce), l’attivazione del movimento di soluti fuori delle cellule di guardia e la conseguente perdita di turgore (Kramer e Boyer, 1995).
Queste osservazioni hanno stabilito l’esistenza di una
chiusura attiva degli stomi ed allo stesso tempo hanno
individuato nell’aumento della resistenza al flusso traspirativo una delle risposte critiche a perturbazioni del
continuum suolo-pianta-atmosfera (SPAC). A questo
punto era ormai chiaro che, quando gli stomi sono
aperti e la resistenza foglia/aria è bassa, è il potenziale
idrico delle diverse componenti del sistema SPAC a
definire il ΔΨw che controlla le perdite di acqua attraverso le foglie e l’assorbimento idrico a livello radicale. Questo concetto cominciava già a diffondersi nel
1914 quando Lyman Briggs e Homer L. Shantz dimostrarono che l’appassimento era associato ad una sorta
di bilancio tra contenuto idrico dell’atmosfera, della
pianta e del suolo. Oggi noi sappiamo bene che l’appassimento (perdita netta di acqua dalla cellula) si
verifica in suoli con basso Ψw perchè la bassa resistenza stomatica (tale fino a che gli stomi non si chiudono)
e il grande ΔΨw all’interfaccia foglia/aria risulta in una
perdita d’acqua più rapida dell’assorbimento a livello
radicale, dove c’è una resistenza al flusso idrico in
entrata relativamente grande ed un ΔΨw relativamente
piccolo. Questa situazione diventa considerevolmente
più critica quando il ΔΨw all’interfaccia suolo/radice
diminuisce, come si verifica in suoli aridi o salinizzati,
dove i valori di Ψw si avvicinano a quelli della radice,
mentre il ΔΨw all’interfaccia foglia/atmosfera rimane
molto ampio. In queste condizioni la pianta può contare su un aumento della resistenza al flusso idrico in
uscita attraverso la chiusura stomatica per prevenire la
morte per disidratazione, dando così alla chiusura stomatica un ruolo chiave in condizioni di carenza idrica
o salinizzazione. In seguito si sarebbe individuato
nelle acquaporine un altro fattore di controllo dei flussi idrici, benché il loro ruolo in risposta a perturbazioni ambientali resta ad oggi non chiaro.
Una volta stabilite le basi termodinamiche cui riferire il movimento idrico nel sistema SPAC, questo
stesso concetto è stato utilizzato per definire come le
relazioni idriche avessero potuto interagire col processo di crescita. Vale la pena ricordare che la quantità
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d’acqua che contribuisce all’espansione cellulare (crescita) è meno dell’1% di quella trasportata dal suolo
all’atmosfera e persa con la traspirazione. La necessità da parte della pianta di assorbire acqua e CO2 per
poter crescere rimane il grande dilemma che le piante
devono affrontare specialmente in ambienti con insufficiente disponibilità idrica (Raschke e Hedrich,
1985). La diffusione della CO2 all’interno della foglia
si verifica quasi esclusivamente per via stomatica, dal
momento che la superficie fogliare è praticamente
impermeabile agli scambi gassosi per la presenza di
cuticola e formazioni epicuticolari. La regolazione
dell’apertura stomatica è pertanto l’unico meccanismo
attraverso cui la pianta può ottimizzare le perdite idriche e l’acquisizione di CO2. Il rapporto tra incremento
in peso secco (fondamentalmente associato all’acquisizione di CO 2) e l’acqua utilizzata per questo processo è definito Water Use Efficiency (WUE) ed è una
caratteristica fisiologica fondamentale che controlla la
crescita massima in ambienti con limitata disponibilità idrica. La WUE è stata definita da Bierhuizer e
Slayter (1965) e varia considerevolmente tra diverse
specie come già intuito da Briggs e Shantz (1914) e
successivamente da molti altri (de Wit, 1958;
Passioura, 1977; Farquhar e Sharkey, 1982). Fino a
tempi recenti, era opinione diffusa che la WUE fosse
un carattere genetico complesso che potesse variare
poco all’interno di una stessa specie. Tuttavia in questi ultimi anni sono stati isolati singoli geni in grado
di controllare la WUE (Masle et al., 2005).
Potenziale idrico ed espansione cellulare
L’associazione tra crescita, flusso osmotico e turgore cellulare è stata definita da Lockart nel 1965 che
formalizza queste relazioni nella funzione:
E= m(P-Y)
Eq. 6
dove E= espansione cellulare (crescita); m= estensibilità cellulare; P= pressione di turgore cellulare;
Ψ= soglia di pressione di turgore necessaria perché si
verifichi l’espansione cellulare.
In base a questa equazione, la crescita/espansione
cellulare si verifica quando il Ψw è inferiore a quello
all’esterno della cellula (apoplasto) che è termodinamicamente connesso al suolo (attraverso le radici) e
all’atmosfera (attraverso le foglie). L’interno della
cellula in queste condizioni è sotto una pressione di
turgore che è generata dalla differenza tra pressione
osmotica cellulare e potenziale idrico dell’apoplasto.
Quando la parete cellulare cede alla pressione di turgore si verifica un aumento di volume della cellula
(espansione) associato all’ingresso di acqua. Questo
Storia delle relazioni pianta-acqua
processo avrà un effetto anche sulla divisione cellulare dal momento che il volume cellulare aumenterà
sino ad una determinata soglia, alla quale comincia la
divisione (Cleland, 1971; Cosgrove, 1987; Beemster
et al., 2005). La relazione descritta nell’equazione 6
indica che qualsiasi fattore in grado di ridurre la pressione di turgore come la diminuzione del potenziale
idrico del suolo conseguente a salinizzazione o carenza idrica o un aumento del gradiente di pressione di
vapore all’interfaccia foglia/aria avrà anche un effetto
sull’espansione cellulare e quindi sulla crescita. Molti
degli studi pubblicati dopo l’equazione di Lockart
hanno esclusivamente stabilito l’esistenza di una relazione lineare tra crescita, espansione cellulare (radicale/fogliare) e turgore (Passioura e Fry, 1992; Turner,
1997). Con l’eccezione della più evoluta teoria del l’accrescimento acido proposta anni dopo, secondo
cui il “rilassamento” della parete cellulare è causato
da un’acidificazione dell’apoplasto dovuta all’estrusione cellulare di protoni (Rayle e Cleland, 1970;
Cosgrove et al., 2002), non c’è stata una vera evoluzione verso una comprensione meccanicistica del processo di crescita cellulare.
Nel 1981 Meyer e Boyer riportano l’importante
osservazione che la riduzione della crescita, conseguente alla perdita di turgore, persisteva nei tessuti
vegetali anche dopo che la pianta avesse ristabilito il
turgore a livelli uguali, se non maggiori, a quelli esistenti prima che un abbassamento del potenziale idrico extracellulare risultasse in una riduzione della crescita. Zhu e Boyer introducevano nel 1992 la growthinduced water potential gradient theory che stabiliva
una nuova lettura concettuale dell’interazione tra stato
idrico cellulare e crescita. Questa interpretazione
implicitamente poneva il processo di crescita in se,
attraverso il metabolismo della parete cellulare, quale
induttore di una minore pressione di turgore. In questo
caso quindi lo stato idrico (ed il turgore) non era più
in controllo della crescita ma era la crescita stessa che,
al contrario, controllava il primo. Il turgore diventa
quindi una condizione necessaria ma non sufficiente
per la crescita. Questo concetto è stato per lungo
tempo piuttosto ostico a molti perchè la visione tradizionale dei water relationists non dava molto peso al
controllo coordinato, da parte della cellula, di altri
processi importanti per la crescita quali l’espansione
delle membrane, la biosintesi della parete cellulare,
l’aggiustamento osmotico, lo sviluppo del citoscheletro, la sintesi proteica e molti altri processi tra cui la
divisione cellulare. In risposta allo stress osmotico, la
relazione tra divisione ed espansione cellulare risulta
profondamente alterata e, cosa più importante, non
controllata dal turgore o dallo stato osmotico della
cellula. L’ipotesi ad oggi più accreditata è che esista
un controllo genetico pro-attivo del processo di crescita che viene probabilmente resettato in seguito
all’adattamento osmotico, risultando in una crescita
rallentata anche in presenza di un turgore uguale o
addirittura più elevato delle condizioni pre-stress
(Bressan et al., 1990). Pertanto il processo di rilassa mento della parete cellulare e successiva espansione,
nonchè molti altri processi coinvolti nella crescita,
devono necessariamente essere sotto il controllo di un
sistema regolatore, non ancora ben identificato, della
espansione e divisione cellulare (Ruggiero et al.,
2004). Il decennio 1980-1990 segna chiaramente una
fase di transizione da una trattazione chimico-fisica
delle relazioni idriche e dei processi fisiologici ad
esse associati ad una trattazione decisamente più bio logica (tab. 1).
Biologia funzionale del trasporto idrico
Una delle prime indicazioni del contributo che
avrebbe potuto dare la conoscenza della base genetica
di ciò che regola l’omeostasi idrica alla comprensione
delle relazioni causa-effetto è apparsa quando sono
stati scoperti alcuni mutanti di pomodoro incapaci di
mantenere un bilancio idrico favorevole alla crescita.
Le caratteristiche di questi mutanti, tra cui la spiccata
ipersensibilità ad un moderato stress osmotico, erano
associate ad un basso livello di ABA e conseguente
incapacità di chiudere gli stomi (Tal e Imber, 1971;
Pierce et al., 1980; Saab et al., 1990). Tuttavia questi
mutanti erano disponibili in specie che non consentivano una facile identificazione del gene mutato.
Pertanto anche se la base genetica per il controllo
della crescita in risposta allo stress osmotico cominciava ad essere sempre più evidente, gli studi sulle
relazioni idriche fino al 1990 rimanevano focalizzati
sulla fisica del movimento idrico e su semplici correlazioni tra stress osmotico e risposte fisiologiche.
Ngli anni ‘80 e ‘90 si è cominciato ad isolare
mutanti con risposta alterata allo stress osmotico in
Arabidopsis thaliana, una specie che era già considerata una pianta modello in molti studi di biologia
vegetale (Saleki et al. , 1993; Alonso-Blanco e
Koorneef, 2000; Finkelstein e Gibson, 2002). Tra i
vantaggi associati all’introduzione di Arabidopsis c’è
stato quello di aver semplificato gli screening funzionali su larga scala per individuare il legame specifico
tra il prodotto di un gene ed il suo ruolo nella fisiologia dell’omeostasi idrica. Lo sviluppo rapido di tecniche di biologia molecolare associate ad un sistema
semplice come Arabidopsis (ed altri sistemi modello
simili) ha contribuito significativamente all’elucida47
Maggio e Bressan
Tab. 1 - Alcune tappe essenziali nello studio delle relazioni pianta-acqua.
Tab. 1 - Critical milestones in plant-water relations studies.
Anno
Scoperta/Contributo Scientifico
Autore di riferimento
384-322 a.C.
Un principio vitale media l’assorbimento di acqua/nutrienti e la conversione
in biomassa
Prime descrizioni del movimento dell’acqua nella pianta
L’acqua nei tessuti vegetali si muove per capillarità
Analisi sistematica del movimento dell’acqua nella pianta
Assorbimento differenziale degli elementi nutritivi
Descrizione degli stomi
Descrizione del fenomeno dell’osmosi
Studi sulla pressione osmotica
Studi sulla pressione di vapore delle soluzioni
Studi sulla pressione osmotica e concentrazione di soluti
Teoria della coesione-tensione
Studi sul movimento degli stomi
Il movimento degli stomi è associato a variazioni di turgore delle cellule di guardia
Descrizione dei flussi idrici nella pianta
La perdita di turgore (appassimento) è funzione del bilancio idrico nel sistema SPAC
Definizione di energia libera
Definizione di potenziale idrico
Presentazione formale della relazione tra espansione cellulare e flusso osmotico
Teoria dell’accrescimento acido
Identificazione di mutanti ABA in pomodoro
Growth-induced water potential gradient theory
Scoperta delle acquaporine in pianta
Primi mutanti di Arabidopsis in grado di germinare in presenza di elevate concentrazioni di NaCl
Prima pianta transgenica tollerante allo stress salino
Elucidazione del primo signal transduction pathway indotto dallo stress salino
Introduzione di Thellungiella halophila per lo studio delle relazioni idriche e risposta
allo stress osmotico
Aristotele
1519-1603
1628-1694
1727
1800
1832
1837
1877
1886
1887
1895
1900
1911
1912
1914
1931
1960
1965
1970
1971
1992
1993
1993
1993
1998
2004-2005
zione di molti meccanismi alla base del controllo
ormonale ed aggiustamento osmotico (Ruggiero et al.,
2004), trasporto idrico (Maurel et al., 1993) ed omeostasi ionica (Zhu, 2002) ed all’individuazione della
serie di eventi che dalla percezione dello stress portano all’adattamento della pianta ad un ambiente sfavorevole alla sua crescita (Zhu, 2003).
Ricerca di base e ricerca applicata: trasferimento e
sviluppo di tecnologie
L’intenso lavoro di ricerca verso la comprensione
dei meccanismi fisiologici che governano le relazioni
idriche nella pianta è stato implicitamente inteso, nel
corso degli anni, come una via necessaria per poter
individuare tecnologie innovative che consentissero di
migliorare le produzioni agricole, sia attraverso la
riduzione dei danni produttivi causati dagli stress
ambientali che l’estensione delle coltivazioni in aree
particolarmente esposte a carenza idrica o salinizzazione. Note le funzioni fisiologiche critiche per l’adattamento allo stress, il passo successivo era il potenzia 48
Cesalpino
Malpighi
Hales
de Saussure
de Candolle
Dutrochet
Pfeffer
Raoult
Van’t Hoff
Dixon e Joly
de Vries
Darwin
Renner
Briggs e Shantz
Gibbs
Slatyer e Taylor
Lockart
Rayle e Cleland
Tal e Imber
Boyer
Chrispeels
Saleki
Bohnert
Zhu
Amtmann, Bohnert, Bressan, Zhu
mento di queste funzioni per migliorare la tolleranza
allo stress.
Ciò che è emerso dall’attività di studio delle relazioni pianta-acqua nell’ultimo ventennio è che la
risposta a variazioni del potenziale idrico o perturbazioni di un bilancio idrico ideale comporta un adattamento della pianta secondo una sequenza di eventi
che prevede:
• la percezione del segnale di stress dall’ambiente;
• il trasferimento del segnale di stress attraverso
molecole che fungono da carrier per attivare funzioni necessarie per l’adattamento;
• l’attivazione di una serie di meccanismi di adattamento;
• il coordinamento, da parte di molecole regolatrici,
di signal transduction pathway che agiscono in
parallelo e che possono essere indotti da stress differenti e/o rispondere agli stessi stimoli ambientali
(Chinnusamy et al., 2004).
In base a questo modello, la strategia seguita per
migliorare la tolleranza allo stress idrico e salino è
stata quella di ottenere, tramite ingegneria genetica,
Storia delle relazioni pianta-acqua
una sovraproduzione costitutiva delle molecole coinvolte nel processo di adattamento. In realtà l’identificazione di geni codificanti per molecole utili nell’adattamento allo stress è stata inizialmente effettuata in
organismi unicellulari quali batteri (Fujita et al.,
1999) e lieviti (Pardo et al., 1998) che evidentemente
presentano risposte allo stress simili a quelle degli
organismi superiori, e solo successivamente in
Arabidopsis (Zhu, 2001). Le prime funzioni cui si è
attribuito un ruolo critico sono state l’aggiustamento
osmotico (per lo stress idrico e salino) e la compartimentalizzazione di ioni tossici (nel caso dello stress
da NaCl).
La prima generazione di piante transgeniche per
tolleranza a bassi potenziali idrici ha visto il proliferare di piante che accumulavano soluti compatibili tra
cui mannitolo, trealosio, prolina e glicinbetaina
(Wang et al., 2003). Nel caso della tolleranza allo
stress salino, un aspetto critico è stata l’identificazione
di componenti coinvolte nella detossificazione da Na+
e Cl - attraverso la compartimentalizzazione vacuolare
o esclusione citoplasmatica. Questo ha portato alla
generazione di piante capaci di accumulare più Na +
nei vacuoli o di escluderlo più efficientemente dal
citoplasma (Zhang e Blumwald, 2001; Shi et al.,
2003).
Questa prima generazione di piante transgeniche è
stata caratterizzata da una limitata tolleranza allo
stress non trasferibile al pieno campo (Maggio et al.,
2002a). In seguito ad i modesti risultati ottenuti tramite la sovra-espressione di singoli geni (singole componenti del processo di adattamento o singole funzioni)
la seconda generazione di piante transgeniche ha
mirato al potenziamento dell’espressione di molecole
in grado di percepire e trasferire (amplificare) il
segnale di stress attivando simultaneamente più processi importanti per l’adattamento. Mentre le informazioni disponibili sull’individuazione dei sensori dello
stress sono piuttosto limitate (Suzuky et al., 2000;
Aguilar et al., 2001), maggiori informazioni si hanno
relativamente alle componenti intermedie del processo di adattamento (Chinusamy et al., 2003). La sovraespressione di alcune di queste componenti, per la
maggior parte fattori di trascrizione quali CBF1,
DREB1a, Tsi1, ABF3/4, SCOF-1 (Wang et al., 2003),
ha conferito effetti positivi verso i danni da freddo,
sale, carenza idrica e stress ossidativi, rivelando una
funzione generalizzata nei confronti di varie tipologie
di stress.
Il trasferimento di questi caratteri di tolleranza per
una valutazione del loro effetto in specie ortive è stato
tuttavia lento e dei numerosi geni coinvolti nella tolleranza allo stress ed isolati in Arabidopsis (www.plant-
stress.com; www.arabidopsis.org) ne sono stati testati
solo alcuni, in genere in pomodoro (tab. 2). La sovraespressione di queste molecole ha tuttavia fatto evidenziare complesse interazioni tra alcune funzioni
quali l’accumulo di soluti compatibili ed il controllo
della crescita, in parte già rilevate da Bressan e collaboratori agli inizi degli anni ’90, successivamente
confermate in relazione alla generazione della prima
pianta transgenica tollerante lo stress osmotico da
Tarczynski et al. (1993) e più di recente analizzata in
maggior dettaglio da altri autori (Maggio e t a l. ,
2002b; Ruggiero et al., 2004).
Considerazioni conclusive e prospettive future
Allo stato attuale, ciò che è emerso dagli studi in
Arabidopsis ed altri sistemi modello può essere sintetizzato in alcuni punti:
• la sovraproduzione di singole molecole (ad es.
soluti compatibili) generalmente prodotte a valle
del processo di adattamento potrebbe non essere
sufficiente per migliorare la tolleranza allo stress
osmotico.
• La sovraproduzione di molecole a monte del processo di adattamento (molecole segnale e/o regolatrici) potrebbe conferire una maggiore tolleranza
ma queste molecole sono di più complessa individuazione.
• Esiste un legame critico tra il controllo della crescita ed il controllo dell’omeostasi idrica in
ambiente iperosmotico.
• L’adattamento dipende da un controllo ormonale e
non-ormonale attraverso pathway indipendenti di
trasduzione del segnale di stress.
• Vi è una chiara necessità di individuare nuove
componenti coinvolte nel processo di adattamento
attraverso strategie di screening innovative, utilizzando le risorse genetiche sempre più sofisticate
disponibili in Arabidopsis ed in altre specie modello.
Poichè l’adattamento allo stress prevede una serie
di modifiche fisiologiche sembra evidente che il
potenziamento di più funzioni complementari/sinergiche all’interno della pianta possa essere un approccio
strategico da perseguire. A titolo di esempio, il potenziamento della capacità di accumulo vacuolare di Na+
dovrebbe essere associato ad una aumentata capacità
delle piante di produrre soluti compatibili (prolina)
che possa compensare a livello citoplasmatico la riduzione del potenziale osmotico vacuolare (conseguente
all’accumulo di ioni tossici).
Il pomodoro è tipicamente una pianta che accumula prolina in risposta allo stress idrico o salino. La
49
Maggio e Bressan
Tab. 2 - Piante ortive transgeniche tolleranti allo stress idrico e/o salino (per un elenco completo delle piante transgeniche tolleranti agli
stress abiotici ad oggi ottenute si rinvia il lettore a pubblicazioni recenti sull’argomento di Wang et al., 2003 e Umezawa et al., 2006).
Tab. 2 - Transgenic vegetable crops for improved tolerance to drought and saline stress (for an exhaustive list of transgenic crops for
abiotic stress tolerance we refer to recent reviews by Wang et al., 2003 and Umezawa et al., 2006).
Specie
Stress
Funzione
Gene
Riferimento
Melone
Pomodoro
Pomodoro
Pomodoro
Pomodoro
Cavolo cappuccio cinese
(Brassica pekinensis -Lour.)
Salino
Salino
Salino
Idrico
Idrico
Selettività K+/Na+
Na+/H+ antiporto
Selettività K+/Na+
Fattore di trascrizione
Accumulo di trealosio
HAL1
AtNHX1
HAL1
CBF1
TPS1
Bordas et al., 1997
Zhang e Blumwald, 2001
Rus et al., 2001
Lee et al., 2003
Cortina e Culianez-Macia, 2005
Idrico
Accumulo di proteine LEA
LEA
Park et al., 2005
compartimentalizzazione di ioni tossici ed il pathway
di biosintesi della prolina sono stati descritti in dettaglio in questa specie sia dal punto di vista fisologico
che molecolare (Fujita et al. , 1998; Zhang e
Blumwald, 2001; Shi et al., 2003). Il potenziamento
simultaneo di queste due funzioni migliorerebbe la
capacità di detossificazione cellulare, preservando allo
stesso tempo l’omeostasi idrica. Allo stesso modo il
ruolo delle acquaporine nella mediazione/regolazione
dei flussi idrici dovrebbe essere oggetto di maggior
attenzione dal momento che la modifica delle proprietà idrauliche delle membrane (Steudle, 2000) in
combinazione con fattori che possono influenzare l’omeostasi idrica e salina potrebbero contribuire significativamente a migliorare la tolleranza ad ambienti iperosmotici.
Al fianco delle strategie di ricerca sviluppatesi
intorno ad Arabidposis (incluse le numerose linee di
mutanti accessibili pubblicamente) nuovi sistemi
modello più promettenti si sono già imposti quali
alternative più idonee allo studio della base fisiologica
e molecolare dell’omeostasi idrica. Inan et al. (2004)
hanno recentemente descritto la T h e l l u n g i e l l a
halophyla, una pianta molto simile ad Arabidopsis (92
% similarità tra i due genomi) e spiccata estremofilia
cioè elevata tolleranza alla salinità, carenza idrica e
basse temperature. Questa specie è gia diventata un
nuovo modello di studio per individuare le basi fisiologiche e molecolari che possono differenziare il comportamento di un’alofita (Thellungiella halophyla)
verso una glicofita (Arabidopsis thaliana) (Amtmann
et al., 2005).
Lo sviluppo di biotecnologie ha reso certamente
più rapido il percorso verso la comprensione di molte
risposte fisiologiche alla base dell’omeostasi idrica.
Tuttavia se da un lato nuove tecnologie stanno mettendo a nostra disposizione una quantità di informazioni sempre più affidabili, dall’altro sta emergendo la
necessità di promuovere sinergie ed integrazioni di
discipline apparentemente distanti per rispondere a
50
quesiti specificamente indirizzati al settore delle
scienze agrarie. Questo consentirebbe di comprendere
meglio le funzioni della pianta nel contesto colturale
ed eventualmente di individuare possibili applicazioni
di medio, breve e lungo periodo delle informazioni
acquisite.
Riassunto
Nelle pagine che seguono abbiamo cercato di sintetizzare in una prospettiva storica lo studio delle relazioni pianta-acqua. Partendo dalle prime semplici
osservazioni sull’imbibizione dei semi e l’assorbimento idrico per microcapillarità, abbiamo analizzato
come queste si siano evolute negli anni in uno studio
sistematico del movimento dell’acqua nella pianta. Si
è successivamente discussa la centralità del concetto
di osmosi nelle relazioni pianta-acqua e la formalizzazione del concetto di potenziale idrico, in base a cui si
sono sviluppati molti degli studi di fisiologia del trasporto idrico tra gli anni 60’ e 80’. Nella seconda
parte di questa review si è considerato il ruolo delle
biotecnologie e come queste abbiano contribuito alla
nostra comprensione attuale delle relazioni piantaacqua. Dalla nostra analisi è emerso come un progresso significativo in quest’area della ricerca possa derivare dall’integrazione di discipline, che potrebbe da
un lato facilitare la comprensione della fisiologia del
trasporto idrico nel contesto colturale e dall’altro contribuire ad individuare possibili applicazioni della
conoscenza acquisita.
Parole chiave: relazioni idriche, osmosi, potenziale
idrico, stress salino, stress idrico.
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