Review n. 4 – Italus Hortus 13 (4), 2006: 42-52 Storia delle relazioni pianta-acqua: dalla fisica alla biologia Albino Maggio1* e Ray A. Bressan2 1 Dipartimento di Ingegneria Agraria ed Agronomia del Territorio, Università di Napoli “Federico II”, via Università 100, 80055 Portici (NA) 2 Center for Plant Environmental Stress Physiology, Department of Horticulture and Landscape Architecture, Purdue University, 625 Agriculture Mall Dr., West Lafayette, IN 47907, USA Data di ricezione: 20 maggio 2006; data di accettazione: 29 agosto 2006 History of plant-water relations: from physics to biology Abstract. In this essay we presented an historical overview of plant water relation studies. We first analyzed how early observations on seeds imbibition and water uptake by microcapillarity were developed in a systematic analysis of water absorption and movement within the plant. Subsequently, we explained how the concept of osmosis became critical in analyzing water movement in plant tissues. We finally presented the formalization of the water potential concept, on which most physiological studies during the 60s’ and 80s’ were developed. The second part of this review is focussed on the impact of biotechnologies and how they have contributed to advancing our current understanding of plant water relations. Further advancement in this field is expected to occur as a result of integration of disciplines, which may turn out to be critical to understand the physiology of plant water relations in an agricultural context and to highlight novel applications of the acquired knowledge. Key words: plant water relations, osmosis, water potential, saline stress, water stress. cisione e maggior dettaglio a specifici quesiti scientifici e di verificare nel corso del tempo ipotesi sempre più illuminanti. L’avanzamento della conoscenza in questo settore non è stato in realtà velocissimo e, come vedremo, ha visto forse solo di recente l’introduzione di elementi innovativi (quali ad esempio la scoperta delle acquaporine per la quale è stato conferito il Premio Nobel per la chimica nel 2003) e l’apertura verso un’interpretazione più biologica che fisica del movimento dell’acqua nella pianta. L’obiettivo di questa breve nota è quello di tracciare un legame tra la sequenza di idee, osservazioni e sperimentazioni che hanno portato a delineare ciò che sappiamo sulle relazioni pianta-acqua ed individuare possibili applicazioni scaturite dalla conoscenza acquisita. Un significativo impulso al progresso in quest’area della ricerca scientifica è da attribuirsi alla rapida evoluzione, nell’ultimo ventennio, di tecniche di biologia molecolare che hanno consentito di rivelare la base genetica di molte funzioni fisiologiche che controllano l’omeostasi idrica. A questa tuttavia si farà solo cenno nelle pagine che seguono rimandando il lettore a trattazioni più specifiche sull’argomento. Le origini Premessa ✝ Lo studio delle relazioni pianta-acqua è un argomento che ha incuriosito il mondo scientifico sin dall’epoca di Talete (624-547 a.C.), il primo tra i filosofi ionici a riconoscere nell’acqua il principio della vita. Il percorso storico che ha portato alla nostra comprensione attuale di questo e molti altri argomenti della fisiologia vegetale ha tuttavia seguito il progresso tecnologico che ha consentito di rispondere con più pre* [email protected] La prima parte di questa review (pag. 42-47) è stata tradotta ed adattata da pag. 1542-1547 del lavoro originale di Maggio A., Zhu J.K., Hasegawa P.M., Bressan R.A., 2006. Osmogenetics: Aristotle to Arabidopsis. Plant Cell 18:1542-1557. © 2006 American Society of Plant Biologists. Utilizzato previa autorizzazione. ✝ 42 Le prime osservazioni sulle relazioni suolo-piantaacqua risalgono ad Aristotele (384-322 a.C.) e Teofrasto (372-287 a.C.) i quali intuirono che le piante assorbivano gli elementi nutritivi dal suolo e, similmente a quanto accadeva per gli esseri animali, convertivano questi elementi in biomassa attraverso un non-definito principio vitale, unico elemento di differenziazione tra organismi viventi e non viventi. L’idea del principio vitale scaturiva da una semplice, altresì inesatta, constatazione: le piante assorbono elementi nutritivi dal suolo ma non generano alcun prodotto di scarto. Dopo un vuoto storico di poco più di un millennio, si riporta che un fisico italiano, Andrea Cesalpino (1519-1603), riferendosi a studi precedenti di Claudius Galen (129-200), abbia presentato le Storia delle relazioni pianta-acqua prime descrizioni del movimento dell’acqua nella pianta in base a principi di fisica. Cesalpino, studiando il movimento dell’acqua nella pianta e nei semi in germinazione, descriveva questo come un processo di imbibizione consentito dalla struttura microcapillare dei tessuti vegetali (Meidner, 1983). Questa idea fu sviluppata negli anni a seguire da John Ray (16271705) e da Marcello Malpighi (1628-1694) che per primi considerarono la possibilità che il movimento dell’acqua dalle radici attraverso il tessuto vascolare fino alle foglie avvenisse per moto capillare. Capillarità, osmosi e le prime osservazioni sul movimento dell’acqua nei tessuti vegetali La prima analisi sistematica e quantitativa dell’assorbimento e movimento dell’acqua nella pianta fu condotta da Stephen Hales (1727) (Meidner, 1983). Attraverso semplici misure di peso fresco e peso secco, Hales fu in grado di determinare che la maggior parte dell’acqua assorbita dalla pianta era in realtà persa attraverso la traspirazione. Questi esperimenti, rivelarono che l’acqua veniva in qualche modo espulsa/eliminata dalla pianta e sovvertirono il concetto di principio vitale che aveva retto per più di un millennio. Si introdussero due nuovi principi: • le piante sono composte principalmente di acqua; • le piante eliminano gran parte dell’acqua assorbita (Weevers e Went, 1949). L’originalità delle osservazioni di Hales segnarono un passaggio importante in quanto stabilirono che il movimento dell’acqua nel sistema suolo-pianta-atmosfera era determinato da leggi fisiche e, benché Hales non fosse riuscito a presentare una descrizione formale di questi principi, ne individuò sicuramente gli aspetti concettuali (Lander e Weinburg, 2000). All’inizio del XIX secolo, le scoperte di Nicolas Théodore de Saussure segnarono un altro momento importante. Egli riporta che gli elementi minerali in soluzione acquosa non vengono assorbiti dalla pianta in misura proporzionale all’acqua assorbita. E, cosa ancora più importante, l’assorbimento dei diversi elementi non mantiene il rapporto percentuale con cui sono presenti nella soluzione nutritiva (de Saussure, 1804). Le osservazioni di de Saussure hanno stabilito le basi teoriche dell’assorbimento differenziale, un concetto che ha trovato la sua esposizione formale con Henri Joakim Dutrochet, che nel 1837 coniò il termine osmosi. Dutrochet aveva intuito che l’acqua veniva attratta da una soluzione con una bassa concentrazione di soluti (zuccheri o sali) ad una soluzione con una concentrazione più elevata. Pertanto gli esperimenti di Dutrochet stabilirono che il movimento dell’acqua nella pianta segue dei principi fisico-chimici e segnarono una netta ed irreversibile rottura con il vecchio concetto di forza vitale. Le osservazioni sull’osmosi furono oggetto di grande interesse da parte di numerosi scienziati che seguirono a Dutrochet. Ma il concetto di osmosi non fu inquadrato nel contesto biologico più appropriato fino a quando non fu resa nota la struttura della cellula in seguito alla quale si definì il protoplasma come entità separata dalla circostante parete cellulare. A questo punto Pfeffer (1877) presentò l’idea fondamentale secondo cui la pressione osmotica, determinata dalla concentrazione di soluti dell’acqua (protoplasmica) della cellula, fosse in grado di generare una forza di spinta/pressione all’interno della parete cellulare (pressione di turgore) e, conseguentemente, di determinare un incremento di volume della cellula. Pfeffer intuì la presenza di uno strato eterogeneo (membrana plasmatica) all’interno della parete cellulare con proprietà semipermeabili attraverso cui potesse generarsi osmosi. Quindi il lavoro di Dutrochet, Pfeffer ed altri che lavoravano su questi concetti stabilì che la cellula, in seguito all’accumulo di soluti, è in grado di richiamare acqua al suo interno per un fenomeno di osmosi che si genera attraverso la membrana plasmatica. Furono necessari ancora degli anni perché la natura non esclusivamente fisica della membrana plasmatica si svelasse e si potesse così stabilire un legame tra assorbimento idrico ed espansione cellulare (Kramer e Boyer, 1995). Energia libera, potenziale chimico e potenziale idrico Gran parte della nostra comprensione del movimento dell’acqua nella pianta si basa su un concetto fondamentale: tutte le molecole, inclusa l’acqua, contengono energia che può essere dissipata in varie forme (Slatyer, 1967; Salisbury e Ross, 1992). Parte dell’energia dissipata e trasferita tra un sistema e l’ambiente circostante può generare lavoro in proporzione al numero di molecole che scambiano energia. Questo lavoro può essere utilizzato per diverse funzioni tra cui muovere acqua all’interno della pianta. Willard Gibbs (1931) è stato il primo a formalizzare questo principio e a definire la quantità di energia necessaria per compiere del lavoro, incluso quello richiesto per attivare funzioni biologiche. Gibbs definì questo lavoro come variazione di energia libera (G) in funzione di variazioni di entropia (S), entalpia (H) e temperatura (T) del sistema: ΔG=ΔH –TΔS Eq. 1 43 Maggio e Bressan Secondo l’espressione di Gibbs, qualsiasi processo biologico che si verifica spontaneamente procede verso un livello più basso di energia libera. Un valore negativo di ΔG indica un processo spontaneo, mentre un ΔG positivo indica la quantità minima di lavoro necessaria affinchè si possa verificare un qualsiasi un processo. In base a questo principio, anche il movimento dell’acqua nella pianta può essere descritto secondo variazioni di energia libera (Nobel, 1991). Considerando che l’energia libera di Gibbs è data dalla somma di tutte le componenti del sistema, è possibile assegnare una quantità di energia libera a ciascuna componente di una soluzione acquosa su base molare. Il potenziale chimico (μj) di una specie j è pertanto definito come la quantità di energia libera (disponibile per compiere lavoro) che possiede una mole della sostanza j (Slatyer, 1967). Questa quantità è matematicamente definita dall’Eq. 2: μj=μj + RT ln aj +VjP + zjFE + mjgh Eq. 2 dove: R=costante dei gas; T =temperatura in gradi Kelvin; aj =attività di j; Vj =volume parziale molale di j; P =pressione (in eccesso a quella atmosferica); zj =numero di cariche di j; F = costante di Faraday; E = potenziale elettrico; mj = massa per mole; g = accelerazione gravitazionale; h = altezza; m j = potenziale chimico allo stato di riferimento, che si ha quando: j = 1 (per cui RT ln aj=0); V jP=0 (cioè la pressione in eccesso a quella atmosferica=0); zjFE=0 (cioè j non ha carica o il potenziale elettrico = 0); mjgh=0 (cioè non c’è una componente gravitazionale). Quando esistono tutte queste condizioni mj=mj. La presenza di un termine per uno stato standard (mj) è importante perchè come si vedrà di seguito, nella maggior parte delle applicazioni del potenziale chimico ci riferiamo a differenze di potenziale chimico piuttosto che ai valori assoluti. Conseguentemente il potenziale chimico viene espresso in relazione ad un valore di riferimento. Il potenziale chimico di una sostanza può essere influenzato da molti fattori tra cui la pressione, la forza di gravità ed altri fattori fisici. L’equazione 2 consente di prevedere direzione ed entità del movimento di soluzioni acquose nella pianta. Il concetto di energia libera di Gibbs fu ulteriormente sviluppato per descrivere proprietà e movimento dell’acqua durante lo sviluppo della pianta attraverso l’integrazione del concetto di potenziale chimico di soluzioni acquose e quello di osmosi esposto da Dutrochet (1837) e Pfeffer (1877). Nel 1886 Francois Marie Raoult dimostrava che la pressione di vapore di un miscuglio di liquidi dipende dalla pressione di vapore dei singoli liquidi componenti il miscuglio e dalla frazione molare di ciascuno di essi. La legge di Raoult consente di 44 calcolare la pressione di vapore di una qualsiasi soluzione dal momento che la pressione parziale di vapore al di sopra della soluzione è correlata al potenziale chimico di ciascun componente per cui, all’equilibrio, il potenziale chimico μ del componente j in soluzione è lo stesso di quello nella fase di vapore. Poco dopo la formulazione della legge di Raoult, nello stesso anno 1887, Jacobus Henricus van‘t Hoff (Premio Nobel per la chimica nel 1901), utilizzando i dati sperimentali di Pfeffer (1877) sviluppava un’equazione (Eq. 3) che legava la pressione osmotica (la pressione esercitata dal flusso di acqua attraverso una membrana semi permeabile che separa due soluzioni con differente concentrazione di soluti) alla concentrazione di soluti (Nobel, 1991; Salisbury e Ross, 1992). L’equazione di van’t Hoff (Eq. 3) formalizza le osservazioni sull’osmosi di Pfeffer (1877) ed attribuisce un ruolo chiave ai soluti nel determinare la direzione del movimento dell’acqua e le variazioni di turgore in un ambiente delimitato da una membrana semipermeabile, quale la cellula vivente. πV=nsRT Eq. 3 dove: π= pressione osmotica (MPa); V= volume del solvente (m3); n s= mole di soluto; R= costante dei gas; T= temperatura in gradi Kelvin (K). In seguito al lavoro di van’t Hoff c’è stato un proliferare di studi sul movimento dell’acqua nella pianta in ambiente iperosmotico (Kramer, 1950) fino a quando nel 1960, Slatyer e Taylor combinando l’equazione del potenziale chimico (Eq. 2) e l’equazione di van’t Hoff (Eq. 3) presentarono il concetto di potenziale idrico Ψw secondo cui: Ψw=(μw-μw)/Vw = P- π + gh w Eq. 4 dove tutti i simboli sono come in Eq. 2; w = densità dell’acqua; Ψw, potenziale idrico, è una quantità proporzionale a Δμw. Il termine μw si riferisce in questo caso al potenziale chimico dell’acqua pura alla pressione atmosferica. Inoltre il potenziale chimico è stato diviso per il volume parziale molale dell’acqua (Vw) per ottenere valori espressi in unità di pressione, una misura di uso più comune (Nobel, 1991; Kramer e Boyer, 1995). Dopo la formulazione originaria del Ψw proposta da Slatyer e Taylor (1960) e derivante dal concetto di potenziale chimico, sono state proposte numerose espressioni alternative (Nobel, 1991; Salisbury e Ross, 1992; Taiz e Zeiger, 1998). Tra queste una delle più familiari è sicuramente la seguente: Ψw=Ψπ + Ψp + Ψm Eq. 5 dove: Ψπ= potenziale osmotico; Ψp= potenziale di Storia delle relazioni pianta-acqua pressione, Ψm= potenziale di matrice. Il potenziale osmotico e di pressione si riferiscono, rispettivamente, all’effetto dei soluti e della pressione sul potenziale idrico totale. Il potenziale di matrice si riferisce alle interazioni liquido-solido. Il contributo della componente gravitazionale (Ψg) è 0,0098 MPa m-1. Il concetto di potenziale idrico ha fornito la base scientifica attraverso cui prevedere, entro certi limiti, il movimento dell’acqua da un punto ad un altro del sistema. Inoltre l’Eq. 5 consente di standardizzare le misure avendo come riferimento il potenziale dell’acqua pura. Questo ha reso possibile effettuare confronti tra dati rilevati da diversi ricercatori in ambienti diversi, utilizzando specie diverse. Quindi il risultato più importante del passaggio da potenziale chimico µ al potenziale idrico Ψ w è stato quello di stabilire un metodo semplice per confrontare misure di µ riferendo queste misure al µ dell’acqua pura. Negli anni ‘80, la solidità del concetto di potenziale idrico e delle sue applicazioni è stata criticata (Passioura, 1988; Kramer, 1988), tuttavia l’Eq. 5 rimane una delle formule di più ampia applicazione nello studio delle relazioni idriche nei sistemi vegetali. Osmosi, tensione e traspirazione: il c o n t i n u u m suolo-pianta-atmosfera Con la definizione di potenziale idrico, si stabiliscono due nuovi principi: • l’acqua si muove in un sistema verso lo stato di più bassa energia libera (Ψw più negativo) per ristabilire un equilibrio; • le componenti del Ψw rappresentano la forza motrice che determina la direzione e la quantità del flusso idrico. In assenza o a bassa traspirazione, il Δ Ψ w c h e genererà il flusso idrico dipenderà dalla concentrazione del liquido cellulare e dal Ψw della soluzione esterna alla pianta che sarà fondamentalmente determinato dai soluti in essa disciolti (condizioni saline) e dalla componente matriciale del Ψw (suoli aridi). La prima descrizione del movimento idrico a bassi flussi traspirativi risale a Renner che già nel 1912 descriveva un assorbimento attivo. In queste condizioni la radice si comporta essenzialmente come un osmometro dal momento che i soluti che si accumulano nelle cellule radicali abbassano il Ψw a valori inferiori a quelli della soluzione nutritiva. Ciò consente all’acqua di diffondere attraverso le strutture cellulari e di muoversi seguendo un gradiente di potenziale idrico verso il sistema vascolare, attraversando almeno una membrana plasmatica, all’endodermide, dove ha luogo un assorbimento selettivo dei soluti (ioni) (Boyer, 1985). Già negli anni ‘50 era noto che il movimento idrico radicale potesse avvenire per via simplastica (attraversando il citoplasma ed una serie di membrane plasmatiche) che apoplastica (negli spazi intercellulari). Tuttavia il dibattito sui flussi idrici negli organismi viventi esposti a diverse condizioni ambientali si è ravvivato considerevolmente solo dopo la scoperta delle acquaporine, identificate prima nelle membrane animali (Preston et al., 1992) e successivamente da Maarten Chrispeels e colleghi in pianta (Maurel et al., 1993; Maggio e Joly, 1995). La scoperta delle acquaporine non ha sovvertito le basi teoriche secondo cui prevediamo direzione e quantità totale di acqua che si muove per raggiungere l’equilibrio, ma ha inserito un elemento di controllo della resistenza al flusso idrico, quindi della quantità di acqua che si muove nei tessuti vegetali nell’unità di tempo (Steudle e Henzler, 1995). Il movimento idrico in piante che traspirano attivamente, altresì definito assorbimento passivo, è controllato da altri fenomeni che si verificano alla superficie fogliare. Alphonse de Candolle nel 1832 propone il termine s t o m a per descrivere i piccoli pori che aveva individuato sulle foglie. Negli anni che seguirono, Sachs (1882) e Francis Darwin (Darwin e Pertz, 1911) descrissero in dettaglio l’anatomia e la funzione degli stomi puntualizzando che l’apertura stomatica può essere controllata attraverso una variazione di turgore delle cellule di guardia determinato da un movimento di soluti non meglio identificati. Piante con gli stomi aperti che fotosintetizzano attivamente rilasciano una significativa quantità d’acqua nell’atmosfera, un fenomeno che domina il gradiente di Ψw, generando una pressione negativa (tensione) nello xilema. La tensione viene trasmessa alla colonna d’acqua all’interno dei vasi xilematici fino alle radici. Ciò contribuirà ulteriormente a ridurre il Ψw radicale facilitando un rapido assorbimento idrico da parte della pianta. L’idea originale secondo cui la tensione xilematica fosse generata dalla traspirazione a sua volta responsabile per il movimento dell’acqua dalle radici verso le foglie, è stata proposta da Eugen Askenasy (Weevers e Went, 1949) e successivamente elaborata da Henry Dixon e John Joly (1895) nella teoria, ancora oggi valida, della coesione-tensione (Steudle, 2001). In piante che traspirano intensamente, l’evaporazione dell’acqua dalla foglia è il fattore principale che controlla la velocità e la quantità di acqua assorbita dall’apparato radicale, dal momento che le forze termodinamiche che determinano la perdita d’acqua attraverso gli stomi sono molto più grandi di quelle che determinano l’assorbimento di acqua attraverso le radici in assenza di traspirazione (Nobel, 1991). 45 Maggio e Bressan In base a queste informazioni risultava evidente che la pianta poteva controllare e ridurre la perdita di acqua dalle foglie attraverso una chiusura “passiva” degli stomi che si verificava quando questi perdevano turgore in seguito ad un generale appassimento delle foglie. Tuttavia, verso la fine del XIX secolo Hugo de Vries intuì che la chiusura stomatica poteva verificarsi “attivamente” (prima che si raggiungesse un palese appassimento fogliare) attraverso uno specifico segnale ambientale (ad es. la luce), l’attivazione del movimento di soluti fuori delle cellule di guardia e la conseguente perdita di turgore (Kramer e Boyer, 1995). Queste osservazioni hanno stabilito l’esistenza di una chiusura attiva degli stomi ed allo stesso tempo hanno individuato nell’aumento della resistenza al flusso traspirativo una delle risposte critiche a perturbazioni del continuum suolo-pianta-atmosfera (SPAC). A questo punto era ormai chiaro che, quando gli stomi sono aperti e la resistenza foglia/aria è bassa, è il potenziale idrico delle diverse componenti del sistema SPAC a definire il ΔΨw che controlla le perdite di acqua attraverso le foglie e l’assorbimento idrico a livello radicale. Questo concetto cominciava già a diffondersi nel 1914 quando Lyman Briggs e Homer L. Shantz dimostrarono che l’appassimento era associato ad una sorta di bilancio tra contenuto idrico dell’atmosfera, della pianta e del suolo. Oggi noi sappiamo bene che l’appassimento (perdita netta di acqua dalla cellula) si verifica in suoli con basso Ψw perchè la bassa resistenza stomatica (tale fino a che gli stomi non si chiudono) e il grande ΔΨw all’interfaccia foglia/aria risulta in una perdita d’acqua più rapida dell’assorbimento a livello radicale, dove c’è una resistenza al flusso idrico in entrata relativamente grande ed un ΔΨw relativamente piccolo. Questa situazione diventa considerevolmente più critica quando il ΔΨw all’interfaccia suolo/radice diminuisce, come si verifica in suoli aridi o salinizzati, dove i valori di Ψw si avvicinano a quelli della radice, mentre il ΔΨw all’interfaccia foglia/atmosfera rimane molto ampio. In queste condizioni la pianta può contare su un aumento della resistenza al flusso idrico in uscita attraverso la chiusura stomatica per prevenire la morte per disidratazione, dando così alla chiusura stomatica un ruolo chiave in condizioni di carenza idrica o salinizzazione. In seguito si sarebbe individuato nelle acquaporine un altro fattore di controllo dei flussi idrici, benché il loro ruolo in risposta a perturbazioni ambientali resta ad oggi non chiaro. Una volta stabilite le basi termodinamiche cui riferire il movimento idrico nel sistema SPAC, questo stesso concetto è stato utilizzato per definire come le relazioni idriche avessero potuto interagire col processo di crescita. Vale la pena ricordare che la quantità 46 d’acqua che contribuisce all’espansione cellulare (crescita) è meno dell’1% di quella trasportata dal suolo all’atmosfera e persa con la traspirazione. La necessità da parte della pianta di assorbire acqua e CO2 per poter crescere rimane il grande dilemma che le piante devono affrontare specialmente in ambienti con insufficiente disponibilità idrica (Raschke e Hedrich, 1985). La diffusione della CO2 all’interno della foglia si verifica quasi esclusivamente per via stomatica, dal momento che la superficie fogliare è praticamente impermeabile agli scambi gassosi per la presenza di cuticola e formazioni epicuticolari. La regolazione dell’apertura stomatica è pertanto l’unico meccanismo attraverso cui la pianta può ottimizzare le perdite idriche e l’acquisizione di CO2. Il rapporto tra incremento in peso secco (fondamentalmente associato all’acquisizione di CO 2) e l’acqua utilizzata per questo processo è definito Water Use Efficiency (WUE) ed è una caratteristica fisiologica fondamentale che controlla la crescita massima in ambienti con limitata disponibilità idrica. La WUE è stata definita da Bierhuizer e Slayter (1965) e varia considerevolmente tra diverse specie come già intuito da Briggs e Shantz (1914) e successivamente da molti altri (de Wit, 1958; Passioura, 1977; Farquhar e Sharkey, 1982). Fino a tempi recenti, era opinione diffusa che la WUE fosse un carattere genetico complesso che potesse variare poco all’interno di una stessa specie. Tuttavia in questi ultimi anni sono stati isolati singoli geni in grado di controllare la WUE (Masle et al., 2005). Potenziale idrico ed espansione cellulare L’associazione tra crescita, flusso osmotico e turgore cellulare è stata definita da Lockart nel 1965 che formalizza queste relazioni nella funzione: E= m(P-Y) Eq. 6 dove E= espansione cellulare (crescita); m= estensibilità cellulare; P= pressione di turgore cellulare; Ψ= soglia di pressione di turgore necessaria perché si verifichi l’espansione cellulare. In base a questa equazione, la crescita/espansione cellulare si verifica quando il Ψw è inferiore a quello all’esterno della cellula (apoplasto) che è termodinamicamente connesso al suolo (attraverso le radici) e all’atmosfera (attraverso le foglie). L’interno della cellula in queste condizioni è sotto una pressione di turgore che è generata dalla differenza tra pressione osmotica cellulare e potenziale idrico dell’apoplasto. Quando la parete cellulare cede alla pressione di turgore si verifica un aumento di volume della cellula (espansione) associato all’ingresso di acqua. Questo Storia delle relazioni pianta-acqua processo avrà un effetto anche sulla divisione cellulare dal momento che il volume cellulare aumenterà sino ad una determinata soglia, alla quale comincia la divisione (Cleland, 1971; Cosgrove, 1987; Beemster et al., 2005). La relazione descritta nell’equazione 6 indica che qualsiasi fattore in grado di ridurre la pressione di turgore come la diminuzione del potenziale idrico del suolo conseguente a salinizzazione o carenza idrica o un aumento del gradiente di pressione di vapore all’interfaccia foglia/aria avrà anche un effetto sull’espansione cellulare e quindi sulla crescita. Molti degli studi pubblicati dopo l’equazione di Lockart hanno esclusivamente stabilito l’esistenza di una relazione lineare tra crescita, espansione cellulare (radicale/fogliare) e turgore (Passioura e Fry, 1992; Turner, 1997). Con l’eccezione della più evoluta teoria del l’accrescimento acido proposta anni dopo, secondo cui il “rilassamento” della parete cellulare è causato da un’acidificazione dell’apoplasto dovuta all’estrusione cellulare di protoni (Rayle e Cleland, 1970; Cosgrove et al., 2002), non c’è stata una vera evoluzione verso una comprensione meccanicistica del processo di crescita cellulare. Nel 1981 Meyer e Boyer riportano l’importante osservazione che la riduzione della crescita, conseguente alla perdita di turgore, persisteva nei tessuti vegetali anche dopo che la pianta avesse ristabilito il turgore a livelli uguali, se non maggiori, a quelli esistenti prima che un abbassamento del potenziale idrico extracellulare risultasse in una riduzione della crescita. Zhu e Boyer introducevano nel 1992 la growthinduced water potential gradient theory che stabiliva una nuova lettura concettuale dell’interazione tra stato idrico cellulare e crescita. Questa interpretazione implicitamente poneva il processo di crescita in se, attraverso il metabolismo della parete cellulare, quale induttore di una minore pressione di turgore. In questo caso quindi lo stato idrico (ed il turgore) non era più in controllo della crescita ma era la crescita stessa che, al contrario, controllava il primo. Il turgore diventa quindi una condizione necessaria ma non sufficiente per la crescita. Questo concetto è stato per lungo tempo piuttosto ostico a molti perchè la visione tradizionale dei water relationists non dava molto peso al controllo coordinato, da parte della cellula, di altri processi importanti per la crescita quali l’espansione delle membrane, la biosintesi della parete cellulare, l’aggiustamento osmotico, lo sviluppo del citoscheletro, la sintesi proteica e molti altri processi tra cui la divisione cellulare. In risposta allo stress osmotico, la relazione tra divisione ed espansione cellulare risulta profondamente alterata e, cosa più importante, non controllata dal turgore o dallo stato osmotico della cellula. L’ipotesi ad oggi più accreditata è che esista un controllo genetico pro-attivo del processo di crescita che viene probabilmente resettato in seguito all’adattamento osmotico, risultando in una crescita rallentata anche in presenza di un turgore uguale o addirittura più elevato delle condizioni pre-stress (Bressan et al., 1990). Pertanto il processo di rilassa mento della parete cellulare e successiva espansione, nonchè molti altri processi coinvolti nella crescita, devono necessariamente essere sotto il controllo di un sistema regolatore, non ancora ben identificato, della espansione e divisione cellulare (Ruggiero et al., 2004). Il decennio 1980-1990 segna chiaramente una fase di transizione da una trattazione chimico-fisica delle relazioni idriche e dei processi fisiologici ad esse associati ad una trattazione decisamente più bio logica (tab. 1). Biologia funzionale del trasporto idrico Una delle prime indicazioni del contributo che avrebbe potuto dare la conoscenza della base genetica di ciò che regola l’omeostasi idrica alla comprensione delle relazioni causa-effetto è apparsa quando sono stati scoperti alcuni mutanti di pomodoro incapaci di mantenere un bilancio idrico favorevole alla crescita. Le caratteristiche di questi mutanti, tra cui la spiccata ipersensibilità ad un moderato stress osmotico, erano associate ad un basso livello di ABA e conseguente incapacità di chiudere gli stomi (Tal e Imber, 1971; Pierce et al., 1980; Saab et al., 1990). Tuttavia questi mutanti erano disponibili in specie che non consentivano una facile identificazione del gene mutato. Pertanto anche se la base genetica per il controllo della crescita in risposta allo stress osmotico cominciava ad essere sempre più evidente, gli studi sulle relazioni idriche fino al 1990 rimanevano focalizzati sulla fisica del movimento idrico e su semplici correlazioni tra stress osmotico e risposte fisiologiche. Ngli anni ‘80 e ‘90 si è cominciato ad isolare mutanti con risposta alterata allo stress osmotico in Arabidopsis thaliana, una specie che era già considerata una pianta modello in molti studi di biologia vegetale (Saleki et al. , 1993; Alonso-Blanco e Koorneef, 2000; Finkelstein e Gibson, 2002). Tra i vantaggi associati all’introduzione di Arabidopsis c’è stato quello di aver semplificato gli screening funzionali su larga scala per individuare il legame specifico tra il prodotto di un gene ed il suo ruolo nella fisiologia dell’omeostasi idrica. Lo sviluppo rapido di tecniche di biologia molecolare associate ad un sistema semplice come Arabidopsis (ed altri sistemi modello simili) ha contribuito significativamente all’elucida47 Maggio e Bressan Tab. 1 - Alcune tappe essenziali nello studio delle relazioni pianta-acqua. Tab. 1 - Critical milestones in plant-water relations studies. Anno Scoperta/Contributo Scientifico Autore di riferimento 384-322 a.C. Un principio vitale media l’assorbimento di acqua/nutrienti e la conversione in biomassa Prime descrizioni del movimento dell’acqua nella pianta L’acqua nei tessuti vegetali si muove per capillarità Analisi sistematica del movimento dell’acqua nella pianta Assorbimento differenziale degli elementi nutritivi Descrizione degli stomi Descrizione del fenomeno dell’osmosi Studi sulla pressione osmotica Studi sulla pressione di vapore delle soluzioni Studi sulla pressione osmotica e concentrazione di soluti Teoria della coesione-tensione Studi sul movimento degli stomi Il movimento degli stomi è associato a variazioni di turgore delle cellule di guardia Descrizione dei flussi idrici nella pianta La perdita di turgore (appassimento) è funzione del bilancio idrico nel sistema SPAC Definizione di energia libera Definizione di potenziale idrico Presentazione formale della relazione tra espansione cellulare e flusso osmotico Teoria dell’accrescimento acido Identificazione di mutanti ABA in pomodoro Growth-induced water potential gradient theory Scoperta delle acquaporine in pianta Primi mutanti di Arabidopsis in grado di germinare in presenza di elevate concentrazioni di NaCl Prima pianta transgenica tollerante allo stress salino Elucidazione del primo signal transduction pathway indotto dallo stress salino Introduzione di Thellungiella halophila per lo studio delle relazioni idriche e risposta allo stress osmotico Aristotele 1519-1603 1628-1694 1727 1800 1832 1837 1877 1886 1887 1895 1900 1911 1912 1914 1931 1960 1965 1970 1971 1992 1993 1993 1993 1998 2004-2005 zione di molti meccanismi alla base del controllo ormonale ed aggiustamento osmotico (Ruggiero et al., 2004), trasporto idrico (Maurel et al., 1993) ed omeostasi ionica (Zhu, 2002) ed all’individuazione della serie di eventi che dalla percezione dello stress portano all’adattamento della pianta ad un ambiente sfavorevole alla sua crescita (Zhu, 2003). Ricerca di base e ricerca applicata: trasferimento e sviluppo di tecnologie L’intenso lavoro di ricerca verso la comprensione dei meccanismi fisiologici che governano le relazioni idriche nella pianta è stato implicitamente inteso, nel corso degli anni, come una via necessaria per poter individuare tecnologie innovative che consentissero di migliorare le produzioni agricole, sia attraverso la riduzione dei danni produttivi causati dagli stress ambientali che l’estensione delle coltivazioni in aree particolarmente esposte a carenza idrica o salinizzazione. Note le funzioni fisiologiche critiche per l’adattamento allo stress, il passo successivo era il potenzia 48 Cesalpino Malpighi Hales de Saussure de Candolle Dutrochet Pfeffer Raoult Van’t Hoff Dixon e Joly de Vries Darwin Renner Briggs e Shantz Gibbs Slatyer e Taylor Lockart Rayle e Cleland Tal e Imber Boyer Chrispeels Saleki Bohnert Zhu Amtmann, Bohnert, Bressan, Zhu mento di queste funzioni per migliorare la tolleranza allo stress. Ciò che è emerso dall’attività di studio delle relazioni pianta-acqua nell’ultimo ventennio è che la risposta a variazioni del potenziale idrico o perturbazioni di un bilancio idrico ideale comporta un adattamento della pianta secondo una sequenza di eventi che prevede: • la percezione del segnale di stress dall’ambiente; • il trasferimento del segnale di stress attraverso molecole che fungono da carrier per attivare funzioni necessarie per l’adattamento; • l’attivazione di una serie di meccanismi di adattamento; • il coordinamento, da parte di molecole regolatrici, di signal transduction pathway che agiscono in parallelo e che possono essere indotti da stress differenti e/o rispondere agli stessi stimoli ambientali (Chinnusamy et al., 2004). In base a questo modello, la strategia seguita per migliorare la tolleranza allo stress idrico e salino è stata quella di ottenere, tramite ingegneria genetica, Storia delle relazioni pianta-acqua una sovraproduzione costitutiva delle molecole coinvolte nel processo di adattamento. In realtà l’identificazione di geni codificanti per molecole utili nell’adattamento allo stress è stata inizialmente effettuata in organismi unicellulari quali batteri (Fujita et al., 1999) e lieviti (Pardo et al., 1998) che evidentemente presentano risposte allo stress simili a quelle degli organismi superiori, e solo successivamente in Arabidopsis (Zhu, 2001). Le prime funzioni cui si è attribuito un ruolo critico sono state l’aggiustamento osmotico (per lo stress idrico e salino) e la compartimentalizzazione di ioni tossici (nel caso dello stress da NaCl). La prima generazione di piante transgeniche per tolleranza a bassi potenziali idrici ha visto il proliferare di piante che accumulavano soluti compatibili tra cui mannitolo, trealosio, prolina e glicinbetaina (Wang et al., 2003). Nel caso della tolleranza allo stress salino, un aspetto critico è stata l’identificazione di componenti coinvolte nella detossificazione da Na+ e Cl - attraverso la compartimentalizzazione vacuolare o esclusione citoplasmatica. Questo ha portato alla generazione di piante capaci di accumulare più Na + nei vacuoli o di escluderlo più efficientemente dal citoplasma (Zhang e Blumwald, 2001; Shi et al., 2003). Questa prima generazione di piante transgeniche è stata caratterizzata da una limitata tolleranza allo stress non trasferibile al pieno campo (Maggio et al., 2002a). In seguito ad i modesti risultati ottenuti tramite la sovra-espressione di singoli geni (singole componenti del processo di adattamento o singole funzioni) la seconda generazione di piante transgeniche ha mirato al potenziamento dell’espressione di molecole in grado di percepire e trasferire (amplificare) il segnale di stress attivando simultaneamente più processi importanti per l’adattamento. Mentre le informazioni disponibili sull’individuazione dei sensori dello stress sono piuttosto limitate (Suzuky et al., 2000; Aguilar et al., 2001), maggiori informazioni si hanno relativamente alle componenti intermedie del processo di adattamento (Chinusamy et al., 2003). La sovraespressione di alcune di queste componenti, per la maggior parte fattori di trascrizione quali CBF1, DREB1a, Tsi1, ABF3/4, SCOF-1 (Wang et al., 2003), ha conferito effetti positivi verso i danni da freddo, sale, carenza idrica e stress ossidativi, rivelando una funzione generalizzata nei confronti di varie tipologie di stress. Il trasferimento di questi caratteri di tolleranza per una valutazione del loro effetto in specie ortive è stato tuttavia lento e dei numerosi geni coinvolti nella tolleranza allo stress ed isolati in Arabidopsis (www.plant- stress.com; www.arabidopsis.org) ne sono stati testati solo alcuni, in genere in pomodoro (tab. 2). La sovraespressione di queste molecole ha tuttavia fatto evidenziare complesse interazioni tra alcune funzioni quali l’accumulo di soluti compatibili ed il controllo della crescita, in parte già rilevate da Bressan e collaboratori agli inizi degli anni ’90, successivamente confermate in relazione alla generazione della prima pianta transgenica tollerante lo stress osmotico da Tarczynski et al. (1993) e più di recente analizzata in maggior dettaglio da altri autori (Maggio e t a l. , 2002b; Ruggiero et al., 2004). Considerazioni conclusive e prospettive future Allo stato attuale, ciò che è emerso dagli studi in Arabidopsis ed altri sistemi modello può essere sintetizzato in alcuni punti: • la sovraproduzione di singole molecole (ad es. soluti compatibili) generalmente prodotte a valle del processo di adattamento potrebbe non essere sufficiente per migliorare la tolleranza allo stress osmotico. • La sovraproduzione di molecole a monte del processo di adattamento (molecole segnale e/o regolatrici) potrebbe conferire una maggiore tolleranza ma queste molecole sono di più complessa individuazione. • Esiste un legame critico tra il controllo della crescita ed il controllo dell’omeostasi idrica in ambiente iperosmotico. • L’adattamento dipende da un controllo ormonale e non-ormonale attraverso pathway indipendenti di trasduzione del segnale di stress. • Vi è una chiara necessità di individuare nuove componenti coinvolte nel processo di adattamento attraverso strategie di screening innovative, utilizzando le risorse genetiche sempre più sofisticate disponibili in Arabidopsis ed in altre specie modello. Poichè l’adattamento allo stress prevede una serie di modifiche fisiologiche sembra evidente che il potenziamento di più funzioni complementari/sinergiche all’interno della pianta possa essere un approccio strategico da perseguire. A titolo di esempio, il potenziamento della capacità di accumulo vacuolare di Na+ dovrebbe essere associato ad una aumentata capacità delle piante di produrre soluti compatibili (prolina) che possa compensare a livello citoplasmatico la riduzione del potenziale osmotico vacuolare (conseguente all’accumulo di ioni tossici). Il pomodoro è tipicamente una pianta che accumula prolina in risposta allo stress idrico o salino. La 49 Maggio e Bressan Tab. 2 - Piante ortive transgeniche tolleranti allo stress idrico e/o salino (per un elenco completo delle piante transgeniche tolleranti agli stress abiotici ad oggi ottenute si rinvia il lettore a pubblicazioni recenti sull’argomento di Wang et al., 2003 e Umezawa et al., 2006). Tab. 2 - Transgenic vegetable crops for improved tolerance to drought and saline stress (for an exhaustive list of transgenic crops for abiotic stress tolerance we refer to recent reviews by Wang et al., 2003 and Umezawa et al., 2006). Specie Stress Funzione Gene Riferimento Melone Pomodoro Pomodoro Pomodoro Pomodoro Cavolo cappuccio cinese (Brassica pekinensis -Lour.) Salino Salino Salino Idrico Idrico Selettività K+/Na+ Na+/H+ antiporto Selettività K+/Na+ Fattore di trascrizione Accumulo di trealosio HAL1 AtNHX1 HAL1 CBF1 TPS1 Bordas et al., 1997 Zhang e Blumwald, 2001 Rus et al., 2001 Lee et al., 2003 Cortina e Culianez-Macia, 2005 Idrico Accumulo di proteine LEA LEA Park et al., 2005 compartimentalizzazione di ioni tossici ed il pathway di biosintesi della prolina sono stati descritti in dettaglio in questa specie sia dal punto di vista fisologico che molecolare (Fujita et al. , 1998; Zhang e Blumwald, 2001; Shi et al., 2003). Il potenziamento simultaneo di queste due funzioni migliorerebbe la capacità di detossificazione cellulare, preservando allo stesso tempo l’omeostasi idrica. Allo stesso modo il ruolo delle acquaporine nella mediazione/regolazione dei flussi idrici dovrebbe essere oggetto di maggior attenzione dal momento che la modifica delle proprietà idrauliche delle membrane (Steudle, 2000) in combinazione con fattori che possono influenzare l’omeostasi idrica e salina potrebbero contribuire significativamente a migliorare la tolleranza ad ambienti iperosmotici. Al fianco delle strategie di ricerca sviluppatesi intorno ad Arabidposis (incluse le numerose linee di mutanti accessibili pubblicamente) nuovi sistemi modello più promettenti si sono già imposti quali alternative più idonee allo studio della base fisiologica e molecolare dell’omeostasi idrica. Inan et al. (2004) hanno recentemente descritto la T h e l l u n g i e l l a halophyla, una pianta molto simile ad Arabidopsis (92 % similarità tra i due genomi) e spiccata estremofilia cioè elevata tolleranza alla salinità, carenza idrica e basse temperature. Questa specie è gia diventata un nuovo modello di studio per individuare le basi fisiologiche e molecolari che possono differenziare il comportamento di un’alofita (Thellungiella halophyla) verso una glicofita (Arabidopsis thaliana) (Amtmann et al., 2005). Lo sviluppo di biotecnologie ha reso certamente più rapido il percorso verso la comprensione di molte risposte fisiologiche alla base dell’omeostasi idrica. Tuttavia se da un lato nuove tecnologie stanno mettendo a nostra disposizione una quantità di informazioni sempre più affidabili, dall’altro sta emergendo la necessità di promuovere sinergie ed integrazioni di discipline apparentemente distanti per rispondere a 50 quesiti specificamente indirizzati al settore delle scienze agrarie. Questo consentirebbe di comprendere meglio le funzioni della pianta nel contesto colturale ed eventualmente di individuare possibili applicazioni di medio, breve e lungo periodo delle informazioni acquisite. Riassunto Nelle pagine che seguono abbiamo cercato di sintetizzare in una prospettiva storica lo studio delle relazioni pianta-acqua. Partendo dalle prime semplici osservazioni sull’imbibizione dei semi e l’assorbimento idrico per microcapillarità, abbiamo analizzato come queste si siano evolute negli anni in uno studio sistematico del movimento dell’acqua nella pianta. Si è successivamente discussa la centralità del concetto di osmosi nelle relazioni pianta-acqua e la formalizzazione del concetto di potenziale idrico, in base a cui si sono sviluppati molti degli studi di fisiologia del trasporto idrico tra gli anni 60’ e 80’. Nella seconda parte di questa review si è considerato il ruolo delle biotecnologie e come queste abbiano contribuito alla nostra comprensione attuale delle relazioni piantaacqua. Dalla nostra analisi è emerso come un progresso significativo in quest’area della ricerca possa derivare dall’integrazione di discipline, che potrebbe da un lato facilitare la comprensione della fisiologia del trasporto idrico nel contesto colturale e dall’altro contribuire ad individuare possibili applicazioni della conoscenza acquisita. Parole chiave: relazioni idriche, osmosi, potenziale idrico, stress salino, stress idrico. Bibliografia AGUILAR P., H ERNANDEZ-ARRIAGA, A.M., C YBULSKI, L.E., E RAZO, A.C., DE MENDOZA, D., 2001. Molecular basis of thermosen sing: a two-component signal transduction thermometer in Bacillus subtilis. EMBO J. 20: 1681-1691. Storia delle relazioni pianta-acqua ALONSO-BLANCO C., K OORNNEEF M., 2000. 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