BIGLIETTI Una proiezione: € 5 Abbonamento a tutte le proiezioni: € 10 OCCHI APERTI SU KUBRICK Dieci anni fa moriva Stanley Kubrick. Aveva 71 anni. Era nato nel Bronx il 26 luglio 1928. Famiglia ebrea, di origine austriaca, il padre medico. Primi amori gli scacchi, la musica jazz, la fotografia. Sguardo danzante sull’immaginario filmico più evoluto e magmatico. Sempre in anticipo. Da terzo millennio. 2001 appunto. Ogni volta un film diverso. Ogni volta un’opera prima. Alla stregua del viaggiatore romantico, curioso e indomito. Fino a Eyes wide shut, epifania conclusiva, scarto erotico, trionfo dell’ambiguità. Doppio sogno, doppia visione. Il corpo e l’anima divisi in due. Chiusura del cerchio o riapertura dell’occhio dopo il taglio di Bunuel? Dirà: “Odio che mi si chieda come ‘funziona’ il film, cosa avevo in mente e così via. Dal momento che si muove su un livello non-verbale, l’ambiguità è inevitabile. Ma è l’ambiguità di ogni arte, di un bel pezzo musicale o di un dipinto. Spiegarlo non ha senso, ha solo un superficiale significato ‘culturale’, buono per i critici e gli insegnati che devono guadagnarsi da vivere”. Per assecondare l’armonia, l’andamento plastico (e teorico) del film, Kubrick gioca di qua e di là dello schermo. La voce fuori campo (Barry Lindon), la musica narrante (Arancia meccanica), il non-racconto (Dottro Stranamore), il primo e il secondo tempo (Full Metal Jacket), la realtà e l’inconscio (Shining), il cinema e la letteratura (Lolita), il cinema e il “suo” movimento (Orizzonti di gloria). Abbandonati Usa e Studios con Lolita per l’Inghilterra (ci resterà per sempre, isolato in campagna, a Hertfordshire, a mezz’ora da Londra), Kubrick esalta la dimensione del cineasta artista, scontroso, intellettuale, maniacale, ossessivo, intrattabile, perfezionista fino allo sfinimento/smarrimento, che elabora grandi progetti e spende un sacco di soldi. E guadagna il piedistallo del “cult”. Anzi dello “stra/(star)/cult. Gabriele rizza ORE15.00 RAPINA A MANO ARMATA (The killing) di Stanley Kubrick. Sceneggiatura S. Kubrick dal romanzo “Clean Break” di Lionel White. Fotografia: Lucien Ballard. Musica Gerald Fried. Interpreti: Sterling Hayden, Jay C. Flippen, Marie Windsor, Elisha Cook, Collen Gray. Usa 1956; b/n; 80 min. Grandissimo noir, variante gangster movie. Prototipo “Giungla d’asfalto” di John Huston (1950) che non a caso vede lo stesso protagonista, Sterling Hayden. Il colpo all’ippodromo sembra perfetto. E tutto sembra filare liscio. Saranno alcuni particolari trascurabili a mandarlo a monte. Kubrick costruisce un meccanismo implacabile, teso come una corda di violino. Bracca i suoi uomini, li insegue sulle lancette dell’orologio, li disegna “umanamente”, slitta sulle coordinate temporali come un consumato slalomista, perturba l’orizzonte e la linearità della storia abbreviando e saldando le “varianti” con controllato, abilissimo determinismo. ORE16.30 ORIZZONTI DI GLORIA (Paths of Glory) di Stanley Kubrick. Sceneggiatura: S. Kubrick, Calder Willingham, Jim Thompson dall’omonimo romanzo di Humphrey Cobb. Fotografia: George Krauser. Musica: Gerald Fried. Interpreti: Kirk Douglas, Ralph Meeker, Adolphe Menjou, George Macready, Wayne Morris, Richard Anderson, Joseph Turkel, Timothy Carey. Usa 1957; b/n; 85 min. Girato in Germania con maestranze tedesche il film segna il ritorno di Kubrick al genere bellico già praticato in “Fear and Desire” (1953). Una solida riaffermazione delle tematiche pacifiste e antimilitariste che va ben oltre le (e)semplificazioni del “messaggio”. La macelleria legalizzata della Grande Guerra contempla largamente anche questo tipo di episodi. Kubrick lo trasforma in una scacchiera morfologica, e dialettica, sensazionale, mossa dall’intelligenza ideologica e stilistica della macchina da presa. Bloccato a lungo dalla censura francese (fino al 1975) e distribuito negli Usa solo grazie alla presenza del divo Douglas. Suzanne Christian, la ragazza tedesca che canta alla fine coi soldati francesi, diventerà la terza moglie di Kubrick. ORE18.15 STANLEY AND US di Stefano Landini, Federico Greco, Mauro Di Flaviano. Italia 1999; colore; 60 min. Costruito sul modello di “Roger and Me” di Michael Moore (in cui Moore tenta, senza riuscirci, di intervistare Roger Smith, capo della General Motors) e strutturato in tre parti, divise da riflessioni affidate a Michel Ciment (autore della più importante monografia su Kubrick), Alexander Walker (amico di Kubrick), John Baxter (autore di una biografia su Kubrick), è una “mission impossible” sulle tracce dell’uomo e dell’artista. Un viaggio di “ricerca” anche per i tre autori che rischiano l’autostima e si mettono in gioco. Tra speranza e sconfitta. Così oltre a una evoluzione della conoscenza all’interno del mondo kubrickiano, fornendo numerose informazioni, confermando alcuni celebri concetti ma sfatando anche molte leggende inutili e false , Stanley and Us diviene anche la rappresentazione del fabbisogno psicologico dei suoi autori, che man mano che il film avanza, si riempie fino quasi a colmarsi. Uscito in cofanetto (libro+film) per la Edizioni Lindau. ORE21.00 “Io lo conoscevo bene” EMILIO D’ALESSANDRO amico, confidente, factotum, uomo di fiducia del regista durante il periodo londinese racconta Stanley Kubrick A SEGUIRE:ORE21.30 IL DOTTOR STRANAMORE (Dr. Strangelove) di Stanley Kubrick. Sceneggiatura: S. Kubrick, Terry Southern e Peter George dal suo romanzo “Red Alert”. Fotografia: Gilbert Tayler. Musica: Laurie Johnson. Interpreti: Peter Sellers, George G. Scott, Sterling Hayden, Keenan Wynn, Slim Pickens, Peter Bull, Tracy Reed. Gb 1963; b/n; 90 min. Il titolo completo recita “ovvero come ho imparato a non preoccuparmi e ad amar la bomba”. E dice tutto. A cavalcioni della bomba è come stare in sella al cavallo sulle praterie di un film western. Arrivano i nostri. Il mondo è salvo. Il comunismo non passerà. Uno dei pochi capolavori di satira politica nella storia del cinema che riflette gli incubi apocalittici dei primi anni 60 infarciti di guerra fredda e corsa allo spazio. Kubrick sfodera la migliore ironia e il più feroce sarcasmo, questi sì davvero atomici, e la più indiavolata “indisciplina” per combattere la follia della guerra. Come regressione a una sorta di infantilismo erotico (evidenziato fin dalla prima sequenza di “allattamento/rifornimento”). La macchina cinema kubrickiana vola altissima e ingrana marce dissolute e sconvenienti, portando allo estreme conseguenza uno stile basato sulla discontinuità dei generi e dei richiami. Da antologia la performance una e trina di Peter Sellers al culmine del suo istrionismo. ORE23.00 COLOUR ME KUBRICK di Brian W. Cook. Sceneggiatura: Anthony Frewin. Interpreti: John Malkovich, Tom Allen, Nick Barber, Angus Barnett, Marisa Berenson, Peter Bowles, Jim Davidson, Jamie Davis, Ayesha Dharker, Bryan Dick. Gb/Francia 2006; colore; 90 min. Kubrick è il protagonista “involontario” del film. Involontario perché la storia narrata è in realtà quella di Alan Conway, un perfetto sconosciuto e un bizzarro personaggio che per tutti gli anni 90 a Londra riuscì a spacciarsi per Kubrick fino a intrufolarsi nel set blindatissimo di Eyes Wide Shut. Il particolare più stravagante e la cosa più incredibile dell’intera faccenda è che Conway non soltanto non assomigliava per niente al suo modello, ma soprattutto era totalmente all’oscuro di qualsivoglia rudimento cinematografico. A vestire i panni del temerario Conway uno straordinario John Malkovich. Che nel ruolo dell’improbabile sosia, sussurra all’orecchio di uno sconosciuto qualcosa che non sentiamo, ma che intuiamo benissimo non appena il giovane esclama esterrefatto: “Stanley Kubrick?”