Testimonianze C’ero anch’io Raffaele Altomare Socio del Gruppo di Taranto ul C.T. Aviere, nel 1960, eravamo ormeggiati alla banchina Torpediniere di Taranto. Alla nostra sinistra la Corvetta Albatros, con l’insegna di nave pronta a muovere per soccorso in mare (SVH). Noi invece innalzavamo l’insegna di Capo Squadriglia al comando del C.V.V. ... Alle ore 15.00 apertura non programmata del ponte girevole per l’uscita di Nave Albatros. Giornata soleggiata, ma molto ventilata. Eravamo già pronti al: “Franchi in riga a poppa per l’ispezione” quando invece fu annunciato: “tutte le licenze, permessi e franchigie sono sospese fino a nuovo ordine”. Il fumaiolo di prora iniziò ad emettere fumo nero. S 28 Marinai d’Italia Si pensò ad una esercitazione ma ad un tratto ancora per interfono ascoltammo: “Posto di manovra”: quest’ultimo ordine ci dette un pò di preoccupazione. Lasciammo la banchina torpediniere dirigendoci in Mar Grande con l’apertura straordinaria del ponte girevole. Attraversato il Canale navigabile ci dirigemmo ad una boa in Mar Grande e lì ci ormeggiammo in attesa di ordini. Arrivata la sera venne assemblea generale a poppa per l’ammaina bandiera e lettura della Preghiera del Marinaio. Ci si domandava la motivazione di quanto stava accadendo. Nessuno sapeva niente. A notte fonda venimmo svegliati dal Capo Cannoniere (credo Capo Bianchi): “Sveglia dormiglioni, la sera leoni leoni e la mattina cogli… cogli…”, con quel suo fischietto che trillava così forte da fargli anche scoppiare i polmoni. Posto di manovra, molliamo la boa d’ormeggio, macchine avanti tutta, terzo grado di approntamento: lasciammo il Golfo di Taranto per destinazione ignota. Spuntò l’alba e ci trovammo a navigare in un mare così agitato che solo il Padreterno conosceva la sua forza, la prora della nave infrangeva le onde, mentre altre riuscivano a sollevare la nave tenendola sospesa sulla cresta dell’onda per poi farla ricadere e successivamente riaffiorare per ripetere la stessa altalena continuamente. Dopo aver lasciato il Golfo di Taranto il personale addetto alla “plancia”, alle “macchine” e agli armamenti dovette sacrificarsi per la durata della navigazione non ricevendo il cambio perché buona parte del personale era stato messo a “pagliolo” dal mare agitato. Durante i miei frequenti controlli vedevo apparire dai boccaporti le teste degli addetti alle macchine che, agonizzanti, rigeneravano a turno l’aria nei loro polmoni pieni di fumo e aria maleodorante. Mi è rimasta impressa nella mente, la figura del Comandante in Seconda C.C. B...... che per tutta la navigazione, eseguiva controlli ai vari posti di guardia e soprattutto nella sala macchine e ci dava conforto, ci incoraggiava a mangiare le famosissime gallette ripetendoci: “mangiate ragazzi, buttate nello stomaco questi tozzi di gallette, vi salveranno”. Chi poteva, durante questo calvario, portava da mangiare e da bere, sopratutto al personale di macchina, seguiva poi il personale di guardia alle armi e alle apparecchiature di avvistamento. Veniva servita solo brenosa, la fatidica brenosa, con una fettina di arrosto di carne o di mortadella. Finalmente fu avvistata la Corvetta Albatros la quale girava intorno a due piccoli Dragamine che da Messina si trasferivano a Taranto. Durante la loro navigazione erano incappati nella tempesta che lì aveva portati alla deriva e quindi alla richiesta d’aiuto. L’Albatros, dopo vari tentativi di rimorchio dei dragamine, era stata costretta a chiedere supporto al Comando Navale di Taranto ed ecco spiegata la precipitosa uscita in mare del C.T. Aviere. Insieme le due unità riuscirono dopo vari tentativi a lanciare le sagole con attaccati i cavi per il rimorchio alle due imbarcazioni in difficoltà. I cavi vennero recuperati dai dragamine e si iniziò così la manovra del rimorchio da parte del C.T. Aviere. Diversi fasci di luce si scambiarono le due unità principali accompagnati da un urlo liberatorio da tutto il personale delle quattro unità: “Hurra” “Hurra”, imbarcazioni a rimorchio, missione riuscita. Buon rientro alla base, Nave Albatros. Così vedemmo allontanarsi Nave Albatros e noi prendemmo rotta verso terra, ripeto rotta verso terra perché le condizioni del mare non ci permettevano di rimorchiarli verso l’Italia bensì verso la costa più vicina, cioè Bengasi. Ancora una volta rifulse la figura paterna del Comandante B.. Finalmente avvistammo il porto di Bengasi. All’ordine del Comandante venne dato fondo all’ancora e, smorzato l’abbrivio, la nave si fermò. Venne calata la scialuppa con a bordo il Comandante la quale si diresse verso terra. Qualche autorità italiana, credo, lo stesse aspettando per delle informazioni. Noi pensavamo che, malgrado tutto l’accaduto, saremmo andati in franchigia a togliere un po’ di salsedine, mangiare qualcosa e … Ma al rientro della motobarca per interfono seguì il seguente messaggio: “Sganciare e recuperare i cavi di rimorchio dalle due imbarcazioni, salpare l’ancora rotta per l’Italia”. I due dragamine con i loro motori raggiunsero il porto di Bengasi, mentre noi riprendevamo la lotta contro le avversità del mare. Con la poppa rivolta al porto di Bengasi e la prora verso l’Italia, con un mare che finalmente col passare delle ore si placava, riprendemmo il mare. Arrivati nel porto di Taranto dopo cinque giorni e quattro notti trascorsi in mare ci ormeggiammo alla banchina torpediniere. Dopo il posto di manovra e la messa in sicurezza delle macchine, si videro uscire dai boccaporti delle sale macchine quei cadaveri viventi dei meravigliosi ragazzi di macchina, dal Direttore all’ultimo meccanico, che si sono sacrificati con tante e tante ore di lavoro senza mai abbandonare il proprio posto. n Marinai d’Italia 29