INTRODUZIONE
La prima esperienza cromatografica fu eseguita dal botanico
russo Twsett all’inizio del secolo scorso. Egli riempì una colonna
con CaSO4 (gesso) in polvere, vi depositò in testa un estratto di
foglie verdi ed eluì con etere di petrolio.
I vari pigmenti fogliari si separarono in bande colorate, e per
questo che fu coniato il termine cromatografia, tuttora usato per
indicare tutta una serie di tecniche analitiche di separazione di
una miscela nei suoi componenti, basate sulla distribuzione
differenziale dei vari componenti tra due fasi, di cui una mobile ed
una fissa (fase stazionaria).
Nella Cromatografia Liquida la fase mobile è un liquido. A
seconda della fase stazionaria esistono quattro processi distinti
per il ritardo dei soluti:
a) Cromatografia di ripartizione Liquido – Liquido
b) Cromatografia Liquido – Solido o di adsorbimento
c) Cromatografia a Scambio Ionico
d) Cromatografia per esclusione o permeazione su Gel (Gel
Permeation)
L’apparecchiatura utilizzata in queste tecniche è sempre il
cromatografo liquido ad alte prestazioni (HPLC)
Confronto fra HPLC e GC
In GC sono eluibili, direttamente senza alcuna modificazione del
campione, solo circa il 20% dei composti organici noti.
Le limitazioni maggiori sono dovute al fatto che i soluti devono
essere volatili e termostabili. Non possono essere analizzati
direttamente composti ionici e macromolecole.
La sola fase stazionaria è disponibile per l’interazione con il
campione
La Cromatografia Liquida non presenta limitazioni di questo tipo.
Per questo essa è adatta sia per analizzare composti con bassa
tensione di vapore come macromolecole, proteine, polisaccaridi,
composti ionici, che per analizzare prodotti termolabili come
aminoacidi, coloranti, acidi nucleici etc.
Sia la fase stazionaria che la fase mobile interagiscono con il
campione
Strumentazione
Strumentazione
Un Cromatografo Liquido è costituito da un serbatoio di solvente,
una pompa che invia attraverso la colonna il solvente, un sistema
di iniezione del campione, una colonna analitica, un sistema di
rivelazione (detector) ed un sistema di elaborazione del segnale.
Pompe
Le pompe impiegate nei cromatografi HPLC devono soddisfare
diversi requisiti.
a) Il flusso deve essere costante, senza pulsazioni. I flussi devono
poter essere impostati nell’intervallo fra 0.1 e 10 mL/min. Per l’uso
analitico i flussi sono normalmente di 1 – 2 mL/min.
b) Si deve avere la possibilità di operare anche a pressioni
massime molto alte per consentire l’impiego di colonne lunghe.
c) Non deve produrre apprezzabili segnali di fondo
d) Le parti della pompa in contatto con l’eluente devono essere
costituite da materiali chimicamente inerti.
e) Devono essere caratterizzate da semplicità d’uso.
Esistono quattro tipi principali di pompe:
1) Pneumatiche; 2) A siringa; 3) Reciprocanti; 4) Ad amplificazione
idraulica.
Syringe-Type Pumps
Le pompe a siringa sono generalmente costituite da un cilindro
contenente la fase mobile che viene poi spinta in colonna da un
pistone.
Queste pompe presentano notevoli vantaggi: sono robuste,
possono dare pressioni elevatissime, non danno un flusso
pulsato.
Gli svantaggi sono dati soprattutto dal fatto che presentano una
capacità limitata (20 mL) e che con esse non è possibile
eseguire gradienti.
Le pompe attualmente utilizzate sono le reciprocanti. Possono
essere singolo o doppio pistone.
Schematic of the reciprocating single piston pump. CAM is
pushing a sapphire piston back and force. When the piston is
moving backwards it sucks the eluent through the inlet check
valve (on the bottom). The sapphire ball is lifted and opens the
path for the eluent. When the piston moves forward, the liquid
pushes the inlet ball down and closes the path, but the outlet ball
is lifted and opens the outlet valve (upper).
Schematic of a dual-head reciprocating pumps.
Altro esempio di pompa reciprocante; essa produce un flusso
quasi privo di pulsazioni.
Pressure Dampers
Flow and pressure profiles for different types of pumps and cam
shape
INJECTORS
Rheodyne injector
In HPLC i campioni vengono introdotti per mezzo di un iniettore.
Esso consiste di una valvola ed un “loop”. Il volume del loop può
variare da 10 a 500 μL.
Esistono colonne di differenti dimensioni, la loro lunghezza è
generalmente di 10 o 15 cm ed il diametro interno di 0,26 – 0,3
cm o 0,46 – 0,5 cm.
Nelle colonne per HPLC in “Fase Inversa” la fase stazionaria più
utilizzata è composta da particelle di silice derivatizzata con
catene ad 8 o 18 atomi di carbonio.
Qui è rappresentata una sezione di una particella di silice;
possiamo notare la grande area superficiale (zone bianche) fuori
e dentro la particella.
La superficie delle particelle (internamente ed esternamente) è
ricoperta da uno strato di molecole organiche chimicamente
legate alla superficie della silice.
Ingrandimento della sezione di particella in cui si possono notare
le catene alchiliche legate alla superficie della silice.
Schematic of monomeric and polymeric bonded layers
Picture of dodecilsilane model on the silica surface and three
octadecylsilane chains
Anche in HPLC l’efficienza di una colonna viene valutata per
mezzo del numero di piatti teorici.
Il numero di piatti teorici viene calcolato utilizzando il tempo di
ritenzione e la larghezza del picco (alla base o a metà altezza).
Il fattore di capacità k’ viene calcolato utilizzando il tempo di
ritenzione di un picco (tR) ed il tempo morto del del sistema (t0).
Se il campione presenta due o più componenti, possiamo anche
calcolare il rapporto di ritenzione (α) per ogni coppia di picchi.
α è semplicemente il rapporto dei fattori di capacità dei due picchi.
(k’ del secondo picco diviso k’ del primo picco).
Esso ci dà informazioni
cromatografico.
sulla
selettività
del
sistema
La principale differenza chimica tra la fase stazionaria e la fase
mobile, in HPLC “fase inversa”, può essere descritta in questo
modo.
Possiamo dire che la fase mobile acqua/solvente organico è
polare, mentre la fase stazionaria legata alla silice è apolare.
Possiamo descrivere la fase mobile come idrofila, mentre la fase
stazionaria legata come idrofoba. La fase legata può essere
paragonata ad una cera o ad un film oleoso che scaccia l’acqua
ed i composti che si solubilizzano bene in essa.
Quindi i composti polari preferiranno la fase mobile polare e
percorreranno la colonna velocemente; composti non polari
tenderanno a preferire la fase legata non polare e si muoveranno
in colonna più lentamente.
Osservando il cromatogramma a destra, vediamo
che la ritenzione aumenta all’aumentare della
non polarità del composto (il nitrobenzene è il più
polare di questi composti)
Separazione di composti nitroaromatici su colonna C18 con fase
mobile composta dal 60% di metanolo in acqua.
Generalmente, una diminuzione del 10% del
contenuto d’acqua della fase mobile dà come
risultato una diminuzione dei tempi di ritenzione
di un fattore 2 o 3.
Quindi, variando il contenuto d’acqua della
fase mobile possiamo controllare i tempi
d’analisi.
Bisogna notare però che questo comporta un
peggioramento della separazione; i picchi si
avvicinano tra loro.
Separazione dello stesso campione usando però il 70% di
metanolo in acqua.
DETECTORS
Il detector misura la concentrazione del campione nel momento in
cui esce dalla colonna e passa attraverso la sua cella a flusso.
Quando la cella viene attraversata solamente dalla fase mobile,
viene registrato un segnale costante detto linea di base del
cromatogramma o del detector.
Quando assieme alla fase mobile vi è un composto, il detector
risponde dando un aumento della sua risposta che viene poi
tradotta in segnale grafico (picco cromatografico).
Il detector più usato in HPLC è quello spettrofotometrico,
comunemente chiamato UV o UV-VISIBILE.
Schema semplificato del detector UV
a lunghezza d’onda fissa (254 nm).
Oggi vengono utilizzati principalmente due tipi di detector UV:
1) A lunghezza d’onda variabile, comunemente chiamato “UV”
2) A serie di fotodiodi, detto comunemente “Diode Array”
Il detector UV a lunghezza d’onda variabile usa un
monocromatore (fenditura e reticolo) per selezionare una
lunghezza d’onda della luce da far passare attraverso la cella a
flusso
Nel detector a serie di fotodiodi tutte le lunghezze d’onda della
luce passano attraverso la cella a flusso, poi ogni lunghezza
d’onda viene focalizzata su singoli sensori.
Il detector elettrochimico è basato sulla misurazione della corrente
risultante da una reazione di ossido/riduzione dell’analita con uno
specifico elettrodo.
Essendo la corrente prodotta direttamente proporzionale alla
concentrazione dell’analita, questo detector può essere usato per
analisi quantitative.
Optical schematic of a typical fluorescence detector for liquid
chromatography.
I detector a fluorescenza sono probabilmente i più sensibili fra i
moderni detector per HPLC. La loro sensibilità è tipicamente da
10 a 1000 volte più elevata di quella di un detector UV, per analiti
fortemente rivelati in UV.
I detector a fluorescenza sono molto più specifici e selettivi
rispetto agli altri detector ottici.
Questo risulta essere un grande vantaggio quando, in un
campione, si devono quantificare analiti che presentano
fluorescenza nativa.
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