REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio - Presidente Dott. GRECO Antonio - rel. Consigliere Dott. CIGNA Mario - Consigliere Dott. FERRO Massimo - Consigliere Dott. IOFRIDA Giulia - Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
SIOCM srl, rappresentata e difesa dall'avv. Catania Salvatore e reddito nuova dall'avv.
Cucinotta Francesco ed elettivamente domiciliata in Roma presso l'avv. Rosario Rao in via
Fasana n. 16;
- ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore generale pro tempore;
- intimata avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 93/26/07,
depositata il 19 settembre 2007;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14 marzo 2013 dal Relatore
Cons. Antonio Greco;
udito l'avv. Francesco Cucinotta per la ricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA
Vincenzo, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
Svolgimento del processo
La srl SICOM propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, nei confronti della
sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che, rigettandone l'appello,
ha confermato la legittimità dell'avviso di accertamento, ai fini dell'IRPEG e dell'ILOR per
l'anno 1996, con il quale veniva rideterminato il reddito d'impresa della società in lire
1.605.393.000 contro quello dichiarato di lire 10.528.000.
Il giudice d'appello ha confermato la decisione di primo grado avendo rilevato come dal
verbale di constatazione emergesse "la mancata esibizione delle scritture contabili, di gran
parte delle fatture e della documentazione relativa alle operazioni di acquisti e
contabilizzazione dei costi, chiaramente inesistenti"; ha quindi rilevato che la società
contribuente aveva contabilizzato costi inesistenti per lire 1.594.865.000, "documentati con
alcune fatture forse emesse dalla spa Bull Hn Information, ma non riscontrabili nella
contabilità della predetta società"; ed ha perciò ritenuto che tali spese dovevano essere
"escluse" in base al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75.
L'Agenzia delle entrate non ha svolto attività nella presente sede.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società contribuente denuncia la nullità assoluta della sentenza per
violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., concludendo con il seguente
quesito di diritto: "Può l'Organo Giudicante decidere una controversia esaminando nel
merito soltanto alcuni fatti ed eccezioni non aventi, comunque, natura pregiudiziale ed
omettere l'esame di altri fatti ed eccezioni egualmente prospettati come specifici motivi
d'impugnativa?".
Il motivo è inammissibile per essere formulato il quesito in termini del tutto generici e
senza riferimento alla fattispecie.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, "ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc.
civ., il quesito inerente ad una censura in diritto - dovendo assolvere alla funzione di
integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del
principio giuridico generale - non può essere meramente generico e teorico, ma deve
essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere
dalla sua sola lettura, l'errore asseritamene compito dal giudice di merito e la regola
applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di
accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza
della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello
svolgimento del motivo" (Cass. n. 3530 del 2012).
E' in altri termini inammissibile "il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si
risolva in una generica istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge
denunziata nel motivo: nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso con il quale
veniva posto un quesito circa la possibilità per il giudice, ai sensi degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ., di fondare la propria decisione attenendosi a mere dichiarazioni difensive svolte
in atti dai difensori delle parti in lite, senza chiarire l'errore di diritto imputato alla
sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia" (Cass., sez. un., 23 settembre
2013, n. 21672).
Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del combinato
disposto del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 53 e 75, la contribuente critica la decisione
assumendo che ai fini della determinazione del reddito d'impresa l'ufficio non possa
prescindere dal considerare la stretta correlazione fra i ricavi ed i costi, sulla base del
principio dell'incidenza percentuale di questi ultimi, assoggettando a tassazione, come
nella specie, solo ed esclusivamente i ricavi dichiarati, e disconoscendo in toto i costi
correlati, anch'essi dichiarati.
La censura è fondata nei termini di seguito indicati.
Con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8,
comma 2, come convertito nella L. 26 aprile 2012, n. 44, costituente ius superveniens
applicabile alla controversia in forza del successivo comma 3 - a tenore del quale "le
disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24
dicembre 1997, n. 537, art. 15, comma 4-bis, previgente ("Nella determinazione dei redditi
di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1, (TUIR), non sono ammessi in
deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto
salvo l'esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti"), anche per fatti, atti o attività
posti in essere prima dell'entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli..." -,
ha infatti stabilito che, "ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi non concorrono
alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti
a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o
prestati entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o
altri componenti negativi", ed ha previsto "in tal caso" l'applicazione di una sanzione
amministrativa.
In ipotesi siffatte grava pertanto sul contribuente l'onere di provare che i componenti
positivi, che si duole abbiano nell'accertamento concorso alla formazione del reddito,
siano fittizi anch'essi perchè ricavi "correlati" (come sostenuto dalla ricorrente), vale a dire
"direttamente afferenti" a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non
effettivamente scambiati o prestati.
In conclusione, il primo motivo del ricorso va dichiarato inammissibile mentre va accolto
nei termini indicati il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al
motivo come accolto e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della
Commissione tributaria regionale della Sicilia, la quale procederà ad un nuovo esame
della controversia uniformandosi al principio di diritto sopra enunciato.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il primo, cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra
sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2013
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sentenza n. 25967