JPH - Year 7, Volume 6, Number 2, Suppl. 2, 2009
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Lo screening del carcinoma della cervice uterina
Introduzione
L’esame citologico cervico-vaginale, o test di
Papanicolau (pap test), è l’unico test di screening
per il carcinoma della cervice uterina e può essere
eseguito con striscio convenzionale o con sistemi
di preparazione in fase liquida [1]. Si raccomanda
l’esecuzione di un pap test ogni 3 anni nella
popolazione femminile di età compresa tra 25 e
64 anni ed è previsto, dalle linee guida europee,
che almeno l’85% della popolazione target rispetti
tale periodicità affinché il programma sia efficace
[1]. I pap test effettuati senza seguire le
raccomandazioni sono sconsigliati e non
dovrebbero superare il 10% del totale previsto dai
programmi organizzati [1]. L’attivazione di
programmi di screening in Italia è consigliata dal
1996 [2, 3]; prima di tale anno il ricorso allo
screening avveniva prevalentemente su base
spontanea ed ancora oggi lo screening
opportunistico costituisce una quota rilevante del
ricorso allo stesso con la possibilità di una bassa
copertura tra le donne a rischio. Si stima che
l’implementazione degli attuali metodi di
screening abbia permesso di prevenire più del
60% dei carcinomi della cervice uterina nella
popolazione [4].
L’indicatore principale da considerare nella
valutazione del ricorso allo screening è la
“copertura”, con la quale si intende la
proporzione di donne che hanno eseguito almeno
un pap test in un lasso di tempo corrispondente
all’intervallo di screening prestabilito, ossia negli
ultimi 3 anni. In Italia, il Gruppo Italiano Screening
del Cervicocarcinoma (GISCi) ha definito come
accettabili i livelli di copertura >65% e
desiderabili quelli >80% [5].
Altri due indicatori importanti sono l’”adesione”
o “compliance”, che rappresenta la percentuale di
donne invitate che accetta di eseguire il pap test,
e l’”estensione”, ossia la proporzione di donne
della popolazione target raggiunta, con invito
attivo, da parte del programma organizzato di
screening [5].
Estensione dei programmi di screening
organizzati
Dalle rilevazioni dell’Osservatorio Nazionale
Screening (ONS), è risultato che i 122 programmi
attivi in Italia nel 2006 hanno avuto una
popolazione obiettivo di 11.362.580 donne, pari
al 69% della popolazione femminile di 25-64 anni,
con un aumento del 2,3% rispetto alla rilevazione
del 2005 [6]. L’aumento si è verificato in
particolare al Centro Italia, dove si è raggiunto il
93,5%, e soprattutto al Sud, dove si è passati da
un’estensione del 50,2%, nel 2005, a una del
65,6%, nel 2006, grazie, soprattutto, all’attivazione
di numerosi programmi in Calabria [6].
Nel 2006, i programmi di screening hanno
raggiunto un’attivazione completa, ossia hanno
incluso, nella popolazione obiettivo, tutte le
donne di età tra 25 e 64 anni residenti in 13 fra
Regioni e Province autonome: Piemonte, Valle
d’Aosta, Veneto, Trentino, Alto Adige, Friuli-Venezia
Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche,
Abruzzo, Molise e Basilicata [6].
L’estensione dei programmi di screening è
andata progressivamente aumentando dal 1999 al
2006, in particolare al Sud e nelle Isole, dato
particolarmente positivo considerando la bassa
copertura spontanea in queste aree (Figura 1).
Tuttavia, se al Nord e al Centro i programmi di
screening hanno raggiunto una buona diffusione,
al Sud e nelle Isole ciò non si è ancora del tutto
verificato. Il 30% della popolazione non ancora
inserita in programmi di screening è il risultato di
processi di attivazione ancora in corso in alcune
Regioni meridionali e insulari e della ridotta o
assente attivazione di programmi organizzati in un
numero limitato di Regioni del Nord e del Sud.
Adesione ai programmi di screening
I dati sulla compliance elaborati, da parte
dell’ONS, su un campione di 2.899.817 donne
invitate allo screening nel corso del 2006, hanno
messo in evidenza che solo il 38,5% di esse ha
risposto all’invito sottoponendosi allo screening,
con un marcato gradiente tra Nord (45,6%), Centro
(35,7%) e Sud (28,7%) [6]. Tuttavia, nel 2006,
abbiamo finalmente assistito ad un nuovo
incremento della compliance allo screening in
seguito alla riduzione, correlata all’ingresso di
regioni meridionali nel sistema degli screening
organizzati, osservatasi dal 2003 al 2005 (Figura 2).
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Figura 1. Estensione dei programmi di screening del carcinoma della cervice uterina in Italia [6].
Figura 2. Adesione ai programmi di screening organizzato in Italia [6].
Copertura
Nell’indagine multiscopo dell’ISTAT “Condizioni
di salute e ricorso ai servizi sanitari” [7], il 70,9%
delle donne tra 25 e 64 anni ha dichiarato di aver
fatto ricorso allo screening per il cancro del collo
dell’utero almeno una volta nella propria vita. Fra
queste, l’82,5% ha fatto ricorso allo screening più di
una volta nella propria vita; solo il 13,7% ha, tuttavia,
rispettato la periodicità triennale e ben il 12,8% ha
eseguito i controlli con una cadenza superiore ai
tre anni con differenze correlate all’età (Figura 3). Il
ricorso al pap test è risultato maggiore tra le donne
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di età compresa tra 35 e 64 anni e, dal 1999-2000 al
2004-2005, la percentuale di donne che si è
sottoposta allo screening è aumentata in particolare
tra coloro che avevano un’età compresa tra 55 e 64
anni. La minor percentuale di donne che ha fatto
ricorso allo screening (44,5%) si è registrata invece
nella fascia di età compresa tra 25 e 29 anni. L’età
media di esecuzione del primo Pap test è risultata,
nel 2004-2005, pari a 31 anni e un valore perfino
maggiore (circa 35 anni) si è osservato al Sud, dove
si è rilevata anche una tendenza all’aumento della
stessa [7].
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Figura 3. Periodicità di esecuzione del pap test per classi di età.
Lo studio PASSI (Progressi nelle Aziende
Sanitarie per la Salute in Italia) [8] ha dato risultati
pressoché analoghi. Il 78,2% delle donne
intervistate, di età compresa tra 25 e 64 anni, ha
riferito di aver effettuato almeno un pap test a
scopo preventivo, in assenza di segni e sintomi,
nel corso della propria vita e il 69,5% delle donne
ha dichiarato di aver eseguito un pap test negli
ultimi tre anni, secondo quanto previsto dalle
linee guida. Le donne che hanno dichiarato di
essersi sottoposte allo screening negli ultimi tre
anni sono state il 59,0% nella fascia tra 25 e 34
anni, il 73,2% tra 35 e 49 anni e il 71,5% tra 50 e
64 anni [8].
Le disomogeneità nell’esecuzione del pap test,
oltre ad essere legata all’età, è imputabile all’area
geografica di residenza, al titolo di studio e allo
stato civile. Dall’indagine ISTAT è emerso, infatti,
che nelle regioni del Nord-Est si sono avute le più
alte percentuali di ricorso allo screening (Figura
4) e questo è stato tanto più vero quanto minore
era l’età delle donne considerate [7]. Le
percentuali di donne sottopostesi allo screening
sono state maggiori tra coloro che avevano un
titolo di studio superiore (laurea, diploma di
scuola media secondaria) piuttosto che tra quelle
con titolo di studio inferiore (72,3% vs 66,1%) [7].
Il dato è stato confermato anche dallo studio
PASSI relativamente alle donne che si sono
sottoposte allo screening in accordo alle linee
guida (67,6% tra le donne con istruzione bassa e
71,2% tra coloro con diploma di scuola media
superiore o titoli superiori) [8]. Delle differenze
statisticamente significative sono emerse anche
tra le donne coniugate e non: rispettivamente il
62,2% e il 51,8% ha dichiarato di avere effettuato
un pap test negli ultimi tre anni secondo quanto
previsto dalle linee guida [8].
Relativamente alle motivazioni che hanno
spinto le donne ad effettuare il pap test, lo studio
PASSI ha messo in luce che il 24% delle donne
intervistate ha effettuato il pap test in seguito al
ricevimento della lettera personale dall’ASL, il 31%
su consiglio del proprio medico di fiducia e il 44%
di propria iniziativa [8]. I motivi di non adesione ai
programmi di screening sono stati rilevati, invece,
con un’indagine campionaria condotta ad hoc.
Tra le ragioni più frequenti è stata riportata la
dimenticanza (27%), la fiducia esclusiva nel
proprio ginecologo (19%) e la paura (10%);
mentre il 25% delle donne che non ha aderito allo
screening organizzato non ha fornito spiegazioni
in merito alla propria scelta [9].
La copertura a livello della Regione Lazio è stata
valutata facendo riferimento ai report della
sperimentazione dello studio PASSI della ASL
Roma C [10] e della provincia di Latina [11].
Dallo studio PASSI di Latina è emerso che
l’84,5% delle donne tra 25 e 64 anni ha eseguito
almeno un pap test nella propria vita e che il 75%
l'ha eseguito ogni tre anni come raccomandato,
mentre nel territorio della ASL Roma C, il 92%
delle donne tra 25 e 64 anni ha eseguito almeno
un pap test nella vita e l’84% l'ha eseguito negli
ultimi tre anni.
Conclusioni
Le criticità degli attuali programmi di screening
per il cervicocarcinoma sono pertanto:
1. i livelli ancora non completamente
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soddisfacenti di estensione dei programmi di
screening, in gran parte determinati dal ritardo
nell’attivazione di programmi al Sud e nelle
Isole;
2. i livelli non desiderabili raggiunti dalla
copertura allo screening;
3. la necessità di migliorare le campagne
divulgative e informative sulla prevenzione del
tumore della cervice uterina.
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Il lavoro di revisione condotto ci ha permesso di
fare una stima del ricorso allo screening per il
tumore della cervice uterina, dato di rilevante
importanza nell’ambito della modellizzazione
matematica dell’impatto economico e sanitario
dell’introduzione della vaccinazione anti-HPV. Il
dato di copertura dello screening in Italia è stato
individuato, quindi, nell’intervallo compreso tra il
51% e il 69,5%.
Figura 4. Percentuali di ricorso allo screening per area geografica [8].
Bibliografia
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Prevenzione. Raccomandazioni per la pianificazione e
l’esecuzione degli screening di popolazione per la
prevenzione del cancro della mammella, del cancro della
cervice uterina e del cancro del colon retto. Disponibile
online
http://www.epicentro.iss.it/focus/screening/pdf/Screeningraccom.pdf . [Ultimo accesso: 01/02/2008].
2) Commissione Oncologica Nazionale. Proposte operative in
tema di prevenzione secondaria del cervico-carcinoma
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Oncologica Nazionale, in applicazione di quanto previsto dal
Piano Sanitario Nazionale per il triennio 1994-96, relativo
all’azione programmata ‘Prevenzione e cura delle malattie
oncologiche, concernenti l’organizzazione della prevenzione
e dell’assistenza in oncologia”. Supplemento Ordinario,
Gazzetta Ufficiale n. 127, 1.6.1996.
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Provvedimento 8 marzo 2001. Accordo tra il Ministro della
S14
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HEALTH
Disponibile online da:
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