www.lucabenci.it articolo del 18 maggio 2013
L’esercizio abusivo di professione in radiologia:
i rapporti tra tecnici e medici.
Analisi di un fatto riportato dagli organi di stampa
Luca Benci
Notizie di stampa riportano la richiesa di rinvio a giudizio di alcuni tecnici di radiologia, per
esercizio abusivo della professione medica per
avere effettuato esami radiologici in una radiologia di Marlia, dell’azienda sanitaria di Lucca,
senza la presenza del medico radiologo.
A quanto è dato capire, la richiesta di rinvio a
giudizio è pervenuta anche a due medici – direttore sanitario e dirigente radiologo – perché
in concorso tra di loro permettevano l’atto abusivo. Per i medici – attingo sempre a notizie di
stampa – si contesterebbe anche il rifiuto di atti
d’ufficio.
Leggo che intervengono a difesa dei tecnici
le rappresentanze professionali nella persona
del presidente della Federazione nazionale dott.
Alessandro Beaux e leggo che alcune società
professionali di medici specialisti in radiologia
intervengono, con una certa soddisfazione, con
un comunicato di adesione alle ragioni della
magistratura inquirente.
Credo di avere qualche titolo a intervenire sul
punto dato che sono numerosi anni che mi occupo della materia, del rapporto tra professioni
sanitarie con pubblicazioni e consulenze.
Il punto di partenza è l’equivoco che si genera
tra la normativa di abilitazione all’esercizio professionale e la normativa sulla radioprotezione.
La normativa abilitante è costituita – questo è
largamente pacifico e noto – in particolare dalla legge 26 febbraio 199, n. 42 “Disposizioni in
materia di professioni sanitarie” che definisce il
campo “proprio di attività e di responsabilità”
delle professioni sanitarie - e quindi anche del
tecnico di radiologia – su tre criteri cardine rappresentati dal profilo professionale, dal codice
deontologico e dalla formazione ricevuta con
l’unico limite delle competenze previste per la
professione medica.
Il profilo professionale, ex D.M. 26 settembre
1994, n. 746, con una certa chiarezza stabilisce
che il tecnico sanitario di radiologia medica è
l’operatore sanitario abilitato - espressione che
non si ritrova in altri profili professionali – a
svolgere in via autonoma o in collaborazione
con altre figure sanitarie, su prescrizione medica, “tutti gli interventi che richiedono l’uso di
sorgenti di radiazioni ionizzanti, sia artificiali
che naturali, di energie termiche, ultrasoniche,
di risonanza magnetica nucleare nonché gli interventi per la protezionistica fisica o dosimetrica”.
Questa, in estrema sintesi, la normativa abilitante.
Esiste poi – in ossequio a obblighi comunitari – la normativa radioprotezionistica recepita
con il D.Lgs 26 maggio 2000, n. 187 “Attuazione della direttiva 97/43/Euratom in materia
di protezione sanitaria delle persone contro i
pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad
esposizioni mediche”. La finalità della normativa, oltre a essere contenuta nella sua epigrafe, è
precisata con nettezza dall’art. 1, rubricato, non
a caso, “campo di applicazione” e specifica che
–1–
www.lucabenci.it articolo del 18 maggio 2013
tutto il complesso normativo “definisce i principi generali della radioprotezione” delle persone
che si espongono a radiazioni ionizzanti. E’ normativa generale sulla radioprotezione che, solo
incidentalmente, contiene norme trattano anche
di esercizio professionale collidendo – con una
interpretazione invero fortemente restrittiva
- con la normativa italiana di abilitazione che
abbiamo sopra riportato.
Citiamo testualmente in primo luogo il punto a) dell’articolo 2, comma 1 che definisce gli
“aspetti pratici” definendoli come “le azioni
connesse ad una qualsiasi delle esposizioni di
cui all’articolo 1, comma 2, quale la manovra e
l’impiego di attrezzature radiologiche, e la valutazione di parametri tecnici e fisici, comprese
le dosi di radiazione, la calibrazione e la manutenzione dell’attrezzatura, la preparazione e la
somministrazione di radiofarmaci e lo sviluppo
di pellicole”.
Riportiamo anche l’articolo 5, terzo comma,
del decreto sulla radioprotezione:
“Gli aspetti pratici per l’esecuzione della procedura o di parte di essa possono essere delegati
dallo specialista al tecnico sanitario di radiologia medica o all’infermiere o all’infermiere pediatrico, ciascuno nell’àmbito delle rispettive
competenze professionali”.
Ci sono quindi, apparentemente, due norme in
conflitto: le norme italiane sull’esercizio professionale che definiscono, come abbiamo riportato, il tecnico sanitario di radiologia medica come
l’operatore sanitario abilitato a porre in essere le
attività connesse all’uso di apparecchiature radiologiche come espressione del “proprio campo di attività e responsabilità” con il solo limite
della prescrizione medica.
Dall’altro lato, una norma di recepimento di
una direttiva comunitaria sulla radioprotezione
recepita nel nostro paese, come di consueto, con
alcune modifiche “interessate”, come vedremo,
che avventatamente introduce un curioso caso
di “delega di funzioni” di attività che si assumerebbero come mediche.
E’ largamente noto, in dottrina e in giurisprudenza, che la delega di funzioni non sia in alcun
modo applicabile all’esercizio professionale.
Espressioni che venivano usate negli anni novanta dello scorso secolo, soprattutto nel campo
dell’emergenza sanitaria, che configuravano la
inesistente e giuridicamente impossibile categoria degli “atti medici delegati” si pensavano
dimenticate per sempre.
Il nostro ordinamento professionale non le
contempla e non le può contemplare. La giurisprudenza sull’articolo 348 del codice penale
sull’esercizio abusivo di professione, copiosa e
lunga come gli ottantatre anni di vigenza della
nostra normativa codicistica, è chiara. Se riteniamo un atto rientrante nella esclusiva competenza medica non possono esistere atti di delega
verso chi medico non è.
Quando un atto “è tipico e esclusivo” di una
certa professione è da considerarsi “riservato” e
non estendibile ad altra professione pena l’abusività dell’agire professionale.
Questa considerazione porta ad affermare
che - mi si perdoni la citazione ma essa calza
a pennello – Lex specialis derogat Lex generalis. Questo è il tradizionale brocardo che ci proviene dal diritto romano proprio per risolvere le
tradizionali antinomie normative. In questo caso
la speciale legge sull’esercizio professionale deroga la norma sulla radioprotezione che si occupa, giustappunto, di radioprotezione e non di
esercizio professionale. Essa continua ad avere
effetto sugli altri campi ma non su quelli inerenti all’esercizio professionale in quanto esistente
una normativa specifica.
Per altro la direttiva europea 97/43 Euratom
è stata recepita in Italia con curiose modificazioni relative ai rapporti tra medici, tecnici e
infermieri improntati, come abbiamo visto,
all’illegittimo rapporto di delega di funzioni se
rapportato all’esercizio professionale. Riportiamo testualmente l’articolo 5 comma 3 della direttiva europea:
“Gli aspetti pratici per la procedura o parte di
essa possono essere delegati dal titolare dell’impianto radiologico o dal medico specialista, se
del caso, ad uno o più soggetti, abilitati ad operare nella fattispecie in un campo di specializzazione riconosciuto”.
Non vi è alcun cenno ai tecnici di radiologia
–2–
www.lucabenci.it articolo del 18 maggio 2013
e agli infermieri come compare nella normativa
italiana ma sembra piuttosto riferirsi al rapporto tra medici specialisti ed altre specialità per
le attività radiodiagnostiche complementari per
quanto concerne le attività di radioprotezione.
Questo in Europa!
In conclusione non si può parlare di esercizio
abusivo di professione medica per un tecnico
sanitario di radiologia medica che in ossequio
alla normativa di esercizio professionale utilizzi
apparecchiature dietro prescrizione e in assenza
del medico specialista.
Sembra sovrabbondante doverlo specificare
ma i fatti di cronaca lo impongono. Piuttosto
stupisce il comunicato delle associazioni mediche che di fatto plaudono alle vicende giudiziarie di Marlia che potrebbero fare correre
il rischio di paralizzare l’attività radiologica in
tutta Italia, bloccare i piccoli presidi, bloccare
l’innovazione (teleradiologia), la prevenzione
come gli screening mammografici e quant’altro
in nome di una aprioristica difesa di una centralità di ruolo basata, come sembra di capire, sulla
pura presenza del medico specialista all’interno
della struttura.
La normativa di radioprotezione può e deve
in sede processuale, laddove si arrivi a tale evenienza, essere – come in genere viene fatto in
casi consimili - disapplicata dal giudice competente.
–3–
Scarica

Marlia tecnici radiologia