Donne e politica: un rapporto ancora difficile
di M. Antonella Cocchiara
1. Un’amara premessa
Vorrei iniziare con una considerazione dal sapore amaro. Sembra quasi che
quando l’Unione Europea dedica un certo anno a un tema specifico, il nostro Paese risponda con iniziative di facciata cui, di fatto, corrispondono
scelte in aperto contrasto con gli obiettivi comunitari.
Il 2008, designato “Anno europeo del dialogo interculturale”, sarà ricordato per le misure repressive e l’ostilità alimentata contro popolazioni
che esprimono culture diverse dalla nostra: extracomunitari, romeni e, in
particolare, contro le comunità rom.
Una sorte non diversa ha avuto il 2007, “Anno europeo delle pari opportunità per tutti”1, che è scivolato via senza
segnare una svolta in quella che è certamente
la più vistosa tra le discriminazioni: quella che
continua a colpire le donne – quindi non un
gruppo minoritario, ma la maggioranza del popolo italiano – visibilmente
sottorappresentate nelle istituzioni e negli altri luoghi della decisione politica.
1. Proclamando il 2007 Anno europeo delle pari opportunità per tutti l’Unione Europea ha inteso perseguire l’obiettivo generale di promuovere
cambiamento; gli obiettivi specifici erano, invece, quattro: diritti, rappresentatività, riconoscimento e rispetto:
a) Diritti: ovvero sensibilizzare sul diritto alla parità e alla non discriminazione, nonché sulla problematica delle discriminazioni
multiple. I cittadini europei avrebbero dovuto essere informati sulla legislazione vigente così da sapere che l’U.E. possiede uno dei quadri
legislativi più avanzati del mondo in base al quale tutti, indipendentemente dal sesso, dalla razza o dalle origini etniche, dalla religione o dalle
convinzioni personali, da eventuali handicap, dall’età o dalle tendenze sessuali, hanno diritto ad essere trattati allo stesso modo.
b) Rappresentatività: cioè stimolare il dibattito sulle possibilità di incrementare la partecipazione alla vita sociale dei gruppi vittime
di discriminazioni nonché una partecipazione equilibrata alla vita sociale di uomini e donne. L’Anno europeo doveva favorire la riflessione e
la discussione sulla necessità di una maggiore partecipazione di tali gruppi alla vita sociale e di un loro coinvolgimento nelle azioni volte a
combattere le discriminazioni in tutti i settori e a tutti i livelli.
c) Riconoscimento: ovvero valorizzare e accogliere la diversità e favorire così la parità. Evidenziando i benefici della diversità, l’Anno
europeo doveva sottolineare il contributo positivo e concreto che tutti, indipendentemente dal sesso, dalla razza e dall’origine etnica, dalla
religione, dalle convinzioni personali, da eventuali handicap, dall’età o dalle tendenze sessuali, possono dare alla società nel suo complesso.
d) Rispetto: cioè promuovere una società più solidale. Durante l’Anno europeo i cittadini dovevano essere sensibilizzati sull’importanza
di eliminare gli stereotipi, i pregiudizi e la violenza, di favorire buone relazioni tra tutti i membri della società, in particolare tra i giovani, e
di promuovere e diffondere i valori che sottendono la lotta contro le discriminazioni.
Significava, in sostanza, che, a partire dal 1° gennaio 2007 e per tutto l’anno, obiettivo degli Stati membri doveva essere quello di rendere
i cittadini europei più consapevoli dei loro diritti, più informati sulla legislazione che tutela contro le diverse forme di discriminazioni, sui
vantaggi di una società solidale in cui tutti abbiano pari opportunità in tutti gli ambiti, dal lavoro al diritto alla salute, e sulla convenienza a
far sì che le diversità rendano l’Unione Europea più forte. Tutto ciò avendo ben chiaro che il cammino da compiere è ancora lungo visto che la
migliore delle leggi si rivela inadeguata se non esiste la volontà politica di tradurla in iniziative concrete a lungo termine e se non può contare
su un solido sostegno popolare. L’orizzonte tracciato dall’Europa guarda alle politiche di pari opportunità come “politiche dei diritti e contro
ogni forma di discriminazione”, avendo riguardo a un ampio ventaglio di discriminazioni, che non contempla solo le differenze di genere ed
è definito dall’art. 13 del trattato CE, che recita: «1. Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell’ambito delle competenze da
esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento
europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione
o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali».
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M. Antonella Cocchiara
Concretamente in Italia, nel 2007, ben poco si è fatto per
dare attuazione alla tanto enfatizzata modifica dell’art. 51 della
Costituzione2, che senza un intervento del legislatore ordinario
resta pura affermazione di principio, comunque importante, dicono alcuni; inutile, dicono altri; dannosa in quanto inutile, dicono altri ancora.
A pensarla così era, ad esempio, la filosofa del diritto Letizia
Gianformaggio3. Le ragioni di questo suo severo giudizio sono
state di recente sintetizzate dalla filosofa della politica Maria
Luisa Boccia, che peraltro ne condivide pienamente l’opinione4.
Approfondiremo in seguito le ragioni di questa critica, quando parleremo delle possibili soluzioni al
problema.
Un’altra giurista, Lorenza Carlassare, che era all’inizio della stessa idea, ritiene, viceversa, che ciò che
prima appariva inutile, oggi non le sembra più tale: la revisione costituzionale dell’art. 51 si può, infatti,
utilmente adoperare a sostegno di una futura legge che assicuri il riequilibrio della rappresentanza, per
renderne più certa la legittimità costituzionale “oltre ogni ragionevole dubbio”. Dice la Carlassare: visto
che ormai c’è, «è il caso di utilizzare il pezzo aggiunto all’art. 51, di richiamarlo continuamente al fine di
rafforzare ogni richiesta; prenderlo sul serio è una buona strategia»5.
E invece sembra che nessuno voglia prenderlo sul serio… Tornando al 2007, dopo quello che, Maria
Luisa Boccia ha definito «lo “scandalo” del recente dibattito parlamentare relativo all’introduzione di
quote femminili nella nuova legge elettorale»6 – scandalo trasversale agli schieramenti politici – non è
accaduto più nulla. Nei due anni di governo del centro-sinistra, nessuna decisa azione è stata intrapresa
per dare attuazione all’art. 51 Cost., così come nessuna seria iniziativa è stata avviata per cambiare la
legge elettorale, da tutti criticata (anche da chi ne era stato artefice) per la denunciata antidemocraticità
2. Con legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1, il primo comma dell’art. 51 Cost., secondo cui «Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro
sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza secondo i requisiti stabiliti dalla legge», è stato
modificato aggiungendo il seguente periodo: «A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne
e uomini»; si è così rimosso qualunque ostacolo di ordine costituzionale a eventuali interventi normativi di riequilibrio della rappresentanza
in deroga al principio di eguaglianza formale, che tuttavia il Parlamento non ha mai, in seguito, votato. Va ricordato che già nel 2001 sono
state votate la legge costituzionale n. 2 del 31 gennaio 2001 che, in materia di elezione diretta dei Presidenti delle Regioni a Statuto speciale,
dispone «La legge promuove condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali», e la legge costituzionale n. 3 dell’8 ottobre 2001
(revisione del titolo V della Costituzione) che modifica l’art. 117 Cost., comma 7°, disponendo: «Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo
che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive». Molti Statuti regionali hanno adottato conseguenti norme di riequilibrio della rappresentanza femminile,
non sempre efficaci nei risultati (vedi caso Regione Siciliana).
3. L. Gianformaggio, La promozione della parità di accesso alle cariche elettive in Costituzione, in Eguaglianza, donne e diritto, a cura di A.
Facchi, C. Faralli, T. Pitch, Bologna, il Mulino, 2005, p. 249.
4. M. L. Boccia, Crisi e critica della rappresentanza, in Una democrazia incompiuta. Donne e politica in Italia dall’Ottocento ai nostri giorni,
a cura di N. M. Filippini e A. Scattigno, Società Italiana delle Storiche, Milano, FrancoAngeli, 2007, pp. 308-309. Nella sintesi proposta
dalla Boccia, la critica di Gianformaggio alla modifica dell’art. 51 riposa su tre considerazioni: «a. ha contribuito a considerare disponibile
per maggioranze politiche il testo costituzionale; b. tributa un omaggio molto astratto alle donne, mentre molto concretamente, con altre iniziative legislative e politiche, si limita pesantemente la loro autonomia personale (il riferimento è alla riproduzione assistita ed all’affidamento
condiviso); c. incide molto ipoteticamente sulla rappresentanza, dal momento che prevalgono tendenze allo smantellamento delle strutture e
delle garanzie che ad esse danno senso, ovvero un’involuzione della democrazia di tipo plebiscitario». Sono questi i processi cui bisognerebbe
guardare con attenzione e apprensione, «invece di farsi distrarre dal compiacimento per una vittoria apparente, qual è quella della modifica
dell’art. 51». Il giudizio critico della Gianformaggio potrebbe risultare confermato dal fatto che sono trascorsi oltre sei anni da quella modifica e nessuna norma di riequilibrio della rappresentanza è stata introdotta nell’ordinamento giuridico italiano.
5. L. Carlassare, Costituzione democratica e rappresentanza, in Una democrazia incompiuta, cit., p. 289.
6. Boccia, Crisi e critica della rappresentanza, cit., pp. 304 ss. Il riferimento è a quanto accaduto tra l’autunno 2005 e il 21 dicembre dello
stesso anno, data di approvazione della nuova legge elettorale politica che sostituisce il cosiddetto “maggioritario zoppo” con un sistema che
prevede l’assegnazione dei seggi con formula proporzionale e premio di maggioranza per la coalizione vincente. Il numero di candidati eletti
è proporzionale alla percentuale dei voti di lista ottenuti, ma non è previsto voto di preferenza: è l’ordine dei candidati, così come stabilito
dai partiti, a decretarne l’elezione. Sul punto si veda infra, §. 11.
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Donne e politica: un rapporto ancora difficile
del sistema delle “liste bloccate”7 e tuttavia unanimemente (sebbene non esplicitamente) gradita alle
“nomenklature” dei partiti. Anche tra le esponenti di associazioni e movimenti da anni impegnati nella
battaglia per l’inserimento nelle leggi elettorali di quote di riequilibrio di genere tra gli eletti/e o di altro
tipo di norme antidiscriminatorie è serpeggiato il gradimento verso l’attuale normativa, considerata
“utile” – ovviamente in quei partiti che lo avessero voluto – per portare in Parlamento un maggior numero di donne. Si sperava in risultati addirittura più vantaggiosi del 25% - 30% di candidature previsto
dalla legge sulle “quote”, miseramente abortita alla fine della XIV legislatura, tra misoginia dichiarata
dei deputati (uomini) del centro-destra, ipocrisia dei deputati (uomini) del centro-sinistra e sostanziale
debolezza delle donne parlamentari.
“Scandalo” di rappresentanti-uomini pervicacemente misogini, ma anche “scandalo” di una rappresentanza femminile che poco e male è riuscita a esprimere la mutata soggettività delle donne italiane;
deputate e senatrici che – obbedienti a ordini di partito, condizionate da logiche di schieramento – «non
hanno espresso un proprio diverso discorso sulla rappresentanza, e soprattutto non hanno incarnato
una rappresentazione della libertà ed autorevolezza femminile più prossima alla coscienza di sé di molte
donne»8.
2. La strada indicata dalle istituzioni comunitarie
L’amarezza di queste considerazioni non deve scoraggiare, ma semmai deve indurre ad esaminare la questione della parità tra uomini e donne con maggiore attenzione, molteplicità di sguardi e senza pregiudizi; soprattutto non sottovalutandola come “un problema ormai risolto” né tanto meno considerandola
“solo una questione di donne”.
A tal fine può giovare un richiamo alle raccomandazioni rivolte agli Stati membri dall’Unione
Europea, il cui consistente e convinto impegno (anche economico) dovrebbe, da solo, bastare per sfatare
l’idea che la piena eguaglianza tra uomo e donna sia stata ormai raggiunta, per dimostrare che ancora
bisogna lavorare per realizzare questo obiettivo, ma soprattutto per ribadire che raggiungere la parità,
nella società come nella famiglia, nel mondo del lavoro come nell’economia, nella finanza e soprattutto
nei luoghi della decisione politica, conviene a tutti, e non solo alle donne.
Non a caso, nei documenti dell’Unione Europea si denuncia, ad esempio, il «costo economico della
disuguaglianza tra uomo e donna» con allarmate affermazioni come la seguente: «si tratta di uno spreco
di capitale umano che l’UE non può permettersi»9.
E uno tra gli sprechi più evidenti di “capitale femminile” riguarda
proprio un ambito che forse più di altri richiederebbe, specie in questo particolare momento storico, nuove risorse, capaci di implementare
cambiamento.
Il noto costituzionalista Michele Ainis qualche anno fa scriveva: se
«c’è un settore in cui il divario fra i due sessi somiglia a quello tra pigmei
e watussi» questo è il settore della politica10. Un’affermazione supportata
da numeri e percentuali risalenti al 2000 ma che, paragonati a quelli del
2008, hanno subìto solo un minimo, irrilevante incremento: soltanto 9
7. Il criticato istituto delle “liste bloccate” impedisce all’elettore/elettrice di esprimere un voto di preferenza: i/le candidati/e sono prescelti/e
dalle direzioni dei rispettivi partiti e collocati/e in lista secondo un ordine che ne assicura, con ridotti margini di incertezza, l’eleggibilità
(i primi in lista sono gli unici ad avere chances). Va tuttavia osservato che un tale sistema potrebbe garantire alle donne non solo un certo
numero di candidature, ma anche una percentuale (persino superiore al 25%-30%) di sicure elette, facendo venir meno la stessa esigenza
di una norma di riequilibrio. È chiaro che dal dibattito in Parlamento la questione finisce per spostarsi all’interno dei partiti, non solo in
ordine alle percentuali di donne collocate in “posizione utile” per poter essere elette, ma soprattutto con riferimento al grado di autonomia
e “qualità” delle candidate/deputate in nuce.
8. Ibidem.
9. Commissione delle Comunità Europee, Una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010, Comunicazione della
Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, COM(2006) 92
definitivo, p. 2.
10. M. Ainis, Le libertà negate. Come gli italiani stanno perdendo i loro diritti, Milano, Rizzoli, 2004, p. 139.
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M. Antonella Cocchiara
donne al mondo erano allora capi di Stato; l’11% era la media di donne nei Parlamenti nazionali, mentre
le donne ministro (fatta eccezione per la Svezia = 55%) costituivano solo l’8%.
Questi evidenti squilibri ci hanno indotto a dedicare l’ultimo modulo del percorso formativo
sull’“orientamento di genere e le pari opportunità” a questo tema, ovviamente non con l’intenzione di
rappresentare la politica come un mestiere o una professione cui ragazzi e ragazze potevano formarsi
per poi sceglierla in luogo (o in mancanza…) di altre occupazioni, ma perché ne cogliessero la valenza
etica, ne comprendessero certe anomalie e guardassero ad essa come a qualcosa di cui doversi interessare,
innanzitutto sul presupposto che comunque è la politica che si interessa a noi e poi perché oggi più che
mai la politica di “casa nostra”, affetta com’è da “andro-gerontocrazia”, ha più che mai bisogno di rinnovarsi: ha bisogno che sempre più giovani e più donne consapevoli si avvicinino ad essa.
3. L’avvio del percorso su “ donne e politica”
Con queste riflessioni il modulo “Donne e politica” ha avuto inizio in tutti e tre i corsi realizzati all’interno dell’Iniziativa ORE03 del “Progetto Icaro II – Messina”. Le reazioni sono state però molto diverse.
Vivace è stato l’interesse del gruppo del liceo scientifico, anche perché un paio di ragazzi, con caratteristiche da “aspirante leader”, hanno immediatamente polemizzato sul tema delle cosiddette “quote rosa”
ancor prima che si potessero offrire loro ulteriori elementi di valutazione per affrontare consapevolmente
il discorso, liberi da preconcetti o da scontate e superficiali rappresentazioni del problema.
Ragazzi e ragazze del professionale alberghiero hanno, invece, manifestato d’impulso il loro “disinteresse per la politica”, considerandola distante, autorevole ma lontana da loro, arroccata nel “palazzo”,
ed è stato quindi più difficile il loro coinvolgimento. Il gruppo del tecnico-commerciale di Sant’Agata
Militello – composto da undici ragazze e un solo ragazzo – si è mostrato mediamente interessato e comunque disponibile all’ascolto, un po’ meno all’interazione. Si è allora chiesto loro di dire cosa intendessero per politica, proponendo in chiusura una definizione che recuperasse l’etimologia ma soprattutto il
senso etico e partecipativo del termine, nettamente contrario a come essi – e, con loro, buona parte degli
italiani – la percepivano identificando, in negativo, la politica con i politici di professione e con i molti
privilegi di cui dispongono. Il dibattito così avviato ha aperto la porta agli approfondimenti successivi.
Si è proposto un itinerario scandito da alcune domande e dalle relative “risposte”. Innanzitutto, ci si
è chiesto in cosa consistesse il problema e se si trattasse di un’anomalia solo italiana; se non lo era, come
si differenziava l’Italia rispetto agli altri paesi europei? in che termini si poneva il problema nel nostro
Paese? quali erano i “numeri” delle donne italiane in politica? e ancora: perché erano così poche? e perché
quello da noi posto era da considerarsi davvero un problema da risolvere? quale sarebbe stato il vantaggio
(o i vantaggi) di avere più donne in politica? e infine: come lo si sarebbe potuto risolvere?
4. Qual è il problema?
La prima domanda è stata posta con l’obiettivo di delineare le coordinate della questione, identificando
ascisse e ordinate dell’asimmetria di genere nei luoghi della politica e nelle istituzioni. Ci si è chiesti: qual
è il problema? in che termini va posto? è solo una questione di numeri? è un problema che riguarda solo
il mondo della politica?
Che vi sia un deficit di rappresentanza non v’è dubbio. Di questo deficit, però, sono date due letture:
A) c’è chi ritiene che lo squilibrio di presenza femminile nei luoghi della rappresentanza politica non
fa che riprodurre una persistente condizione di ingiustizia, un pesante sistema di disuguaglianze e discriminazioni tra uomini e donne di cui queste ultime sono vittima, ancor prima che nelle istituzioni, nella
società;
B) c’è, viceversa, chi punta il dito proprio sul divario tra una realtà sociale in rapido cambiamento
che, sia pure tra contraddizioni e ambivalenze, vede le donne protagoniste coscienti dei mutamenti in
atto, né seconde né svantaggiate rispetto all’altro sesso, capaci di assumere autorevolezza e ruolo nei più
diversi ambiti della vita sociale, e un sistema politico autoreferenziale, separato, cieco e sordo alle istanze
della società, chiuso in se stesso, tendente ad auto-riprodursi nella sua dimensione gerontocratica decli-
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nata al maschile, impegnato a tener fuori o comunque a limitare e soprattutto a controllare gli ingressi
femminili nei luoghi di potere.
C’è un che di vero in entrambe le letture, ma la Boccia osserva acutamente come la prima finisca per
essere più coerente con l’obiettivo di avere più elette, mentre l’altra mette in evidenza un problema che
numeri più alti di presenza femminile da soli non sono in grado di risolvere. A nulla vale che ci siano più
donne (analogo discorso vale per i giovani…) se poi, al di là della legittima richiesta antidiscriminatoria,
la loro presenza, pur nel rispetto delle appartenenze, non diventa «condizione per imporre nell’agenda
politica le priorità di contenuti che interessano le donne; dunque per incidere nei rapporti tra i sessi in
tutti gli ambiti della vita»11. Insomma, non vi è rapporto diretto – dice la Boccia – tra il numero delle
elette e la soggettività che rappresentano. E questo, aggiungiamo, è qualcosa che nessuna legge potrà mai
introdurre e/o imporre: risiede piuttosto nella sensibilità delle elette, nella loro formazione, nel grado di
consapevolezza della loro identità di genere e del ruolo da svolgere. “Rappresentare” è qualcosa in più e
di diverso dal ricoprire un posto istituzionale per delega.
In sostanza, nel rispondere alla domanda “qual è il problema?”, possiamo dire che vi è un vistoso
problema di sottorappresentazione delle donne, di disparità numerica, ma vi è anche un problema di rappresentazione, che le norme di riequilibrio non sono in grado di risolvere. Questo è un problema tutto
politico, di qualità delle pratiche e del discorso, nelle istituzioni e nei partiti, come negli altri luoghi della
vita delle donne e degli uomini.
Anche su questo punto torneremo al momento di rispondere all’ultima delle domande, e cioè: “come
risolvere il problema?” Per adesso, andiamo avanti con la seconda domanda.
5. È un problema solo italiano?
Quando Michele Ainis parlava di «divario tra pigmei e watussi» non
si riferiva solo alla politica locale. In questo primo decennio del terzo
millennio, solo 13 donne al mondo sono o sono state capi di Stato o
premier (4 in più rispetto al 2000) e, salvo poche eccezioni, di loro si
sa ben poco: non ne conosciamo il volto o non associamo al volto un
nome e uno Stato, tanto bassa è la percentuale di visibilità nei media.
E allora si è pensato di cogliere l’occasione per rendere loro almeno
un po’ di “equità mediatica”; eccole, a cominciare dalle europee e dalla
più nota tra esse, la cancelliera tedesca Angela Merkel.
Seguono, nell'ordine, Tarja Karina Halonen, presidente della
Finlandia, Micheline Calmy-Rey, presidente della Svizzera, Mary McAleese, presidente dell’Irlanda e Iulia Timoshenko, premier ucraina.
11. Boccia, Crisi e critica della rappresentanza, cit., p. 306.
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M. Antonella Cocchiara
E per l’Europa abbiamo finito; passiamo adesso agli altri continenti:
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presidente della Liberi
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98
dall’11 marzo 20
06 all ’11 marzo
2010
2008: 13 capi di
Stato e premier,
alcune delle quali
non esenti – per il
sol fatto di essere
donne – da giudizi
anche molto severi
sul loro operato,
ma pur sempre
solo 13, ovvero
troppo poche…
s Diogo,
Luisa Dia
ico
Monzamb
premier in
Donne e politica: un rapporto ancora difficile
Poche, poco note, ma che denotano comunque il lento progresso conseguito, se solo si pensa che
la nomina della prima donna ministro, la danese Nina Bang, risale agli anni Venti dello scorso secolo,
mentre la prima donna premier al mondo è degli anni Cinquanta: Suhbaataryn Yanjmaa, premier della
Mongolia.
Dal sito internet “50-50 by 2020” risulta chiaro che il Novecento, definito con enfasi il “secolo delle
donne”, è stato piuttosto avaro di donne premier: ricordiamo, tra le altre, Margareth Tatcher, Golda
Meir, Indira Gandhi, donne potenti che erano, comunque, tutte emblema di un modo “maschile” di
interpretare la politica; donne che si sono ben guardate dal portare il femminile nei luoghi del potere,
dal “mettere in scena la differenza al potere”. Divenute rappresentanti dello Stato, hanno indossato la
maschera del potere, quella arcinota, così da dimostrare la loro capacità di essere “Stato”.
Ritanna Armeni nel suo libro Prime donne prova a rinvenire una qualche “differenza” nel loro agire
politico, a individuare il “femminile”, da esse stesse negato, eppure emerso nella gestione del potere: cita a
tal fine l’esempio di Indira Ghandi, che, costretta a prendere misure che limitassero la crescita smisurata
della popolazione indiana, propose la sterilizzazione maschile
per via chirurgica. Si chiede l’Armeni: «È un caso che sia stata
una donna a introdurre su larga scala una modalità di controllo delle nascite che non prevede l’intervento sul corpo delle
donne, ma per una volta su quello dell’uomo?»12.
In base ai dati dell’Interparliamentary Union, la media di
donne nei Parlamenti nazionali è oggi del 18,6% (dati aggiornati al 30 novembre 2009); un incremento rispetto alle
presenze del dicembre 1997, quando le parlamentari erano
l’11,7%, ma si tratta pur sempre di percentuali molto basse13.
Va detto, inoltre, che, quando le donne sono nominate
ministre, il più delle volte sono poste ai vertici di dicasteri
(spesso senza portafoglio) che perpetuano l’immagine della
donna dedita a ruoli che le sono tradizionalmente più congeniali, come quelli di cura alla persona: famiglia, solidarietà, istruzione, salute, politiche sociali, infanzia, pari opportunità... Spicca, nel panorama europeo, la nomina di Carme
Chacón Piqueras a capo del ministero spagnolo della Difesa
nel I e nel II governo Zapatero. Del pari, solo da qualche
anno l’economia internazionale – altra riserva di caccia per
soli uomini – può contare su due ministre: sono la francese Christine Lagarde, confermata anche
nel II esecutivo guidato da François Fillon alla guida del ministero dell’Economia, dell’Industria e
dell’Impiego, e la spagnola Elena Salgado Méndez, che il 7 aprile 2009 è assurta al vertice del ministero dell’Economia e delle Finanze del II governo Zapatero. Persino il premier finlandese Matti
Vanhanen, che vanta uno tra gli esecutivi più femminili d’Europa (su 20 ministri, ben 12 sono donne), e il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt, alla guida del “più paritario” tra i 27 Stati membri
dell’UE14, hanno tenuto saldamente in mano maschile i dicasteri economici.
È stato proprio il World Economic Forum a rilevare, a conclusione di un’indagine condotta su 115
paesi, come le donne, per quanto siano riuscite per il 90% a colmare il gap di genere nell’istruzione
e nella salute, non siano andate oltre il 15% nel superare il divario nei livelli più alti della politica15.
12. R. Armeni, Prime donne. Perché in politica non c’ è spazio per il secondo sesso, Milano, Ponte alle Grazie, 2008, p. 60.
13. I dati dell’Interparliamentary Union, che aggiorna mensilmente la classifica mondiale relativa alla percentuale di presenze femminili nei
Parlamenti di 187 Paesi, sono visibili nel sito http://www.ipu.org/wmn-e/world.htm.
14. La Svezia è al vertice della classifica mondiale per presenze femminili in Parlamento; 10 dei 21 ministri in carica sono donne; ha una
legislazione all’avanguardia in materia di politiche sociali e un sistema di welfare particolarmente friendly per le famiglie.
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M. Antonella Cocchiara
È vero, tuttavia, che qualcosa sta cambiando: i casi “Hillary Clinton” e “Ségolène Royal” vanno nella
stessa direzione e ci dicono che le donne cominciano a chiedere quel potere che è stato loro negato per secoli.
Lo hanno chiesto, anche contro una parte consistente del loro schieramento politico: è questa la
grande novità. Fino ad ora ne erano state cooptate, con tutto ciò che di limitativo c’è nella cooptazione.
Queste valutazioni riguardano tutti i paesi del mondo, ma – limitandoci a quelli europei – mentre
in Europa si conquistano significativi traguardi verso una democrazia sempre più “paritaria”16, in Italia
la situazione appare complessa, niente affatto lineare.
Non siamo più – come nel 2004 – il fanalino di coda dell’Unione Europea, ma rispetto a paesi europei a noi molto vicini, in cui la presenza e la qualificata partecipazione femminile in politica continuano
ad aumentare, siamo in controtendenza17. È quella che la politologa Giovanna Zincone prima e, in
seguito, la giornalista Chiara Valentini hanno definito “la democrazia del granchio”18: un passo avanti
e due indietro. La sociologa Bianca Beccalli la chiama “sindrome dei paesi dell’Est”, riferendosi al fatto
che in URSS e negli Stati satelliti, negli anni del socialismo reale, la presenza femminile nelle istituzioni
politiche, pur non sfondando “tetti di cristallo”, era sufficientemente solida, mentre, dopo il crollo del
socialismo, le donne sono state molto presenti nella fase di transizione e poi, consolidatisi i regimi postsocialisti, sono letteralmente sparite dalla politica.
Qualcosa di analogo sarebbe accaduto in Italia dopo la crisi dei partiti degli anni ’90 e la creazione di schieramenti più fluidi. «Quando i giochi si fanno più duri – osserva la Beccalli – quando
più chiaramente la posta in gioco è il potere, le donne tendono a ritirarsi o a venire allontanate»19;
16. Qualche esempio: nel Belgio, mentre nel 2004 su 21 ministri, solo 6 erano donne, nel successivo esecutivo su 15 ministri, figuravano 7
donne e 8 uomini; in Francia, dove nel 2004 l’esecutivo contava 11 donne su 39 ministri, all’incremento del I governo Fillon (7 donne su 15
ministri), ha fatto seguito una contrazione: il II governo Fillon conta infatti, su 14 ministri, 4 donne, ma tra esse la ministra della Giustizia e
quella dell’Economia; in Spagna il II governo Zapatero, in carica dal 12 aprile 2008, ha superato se stesso: mentre il precedente esecutivo, oltre a
ripartire tra un uomo e una donna le cariche di vice presidente del governo, aveva affidato, su un totale di 16, ben 8 dicasteri a ministri-donna, il
II governo Zapatero ha decretato il sorpasso poiché, dopo il rimpasto del 7 aprile 2009, su 17 ministeri, ben 9 sono affidati a donne, e tra questi
il ministero della Difesa e quello dell’Economia e Finanze. Anche la Germania guidata dalla cancelliera Angela Dorothea Merkel è passata dalle
8 ministre del 2004, su un totale di 33 ministeri (pari al 24,24%), a 5 ministre su un totale di 15 (pari al 33,33%). Alla Finlandia che, oltre ad
essere il primo Paese europeo ad aver riconosciuto il diritto di voto alle donne, ha dal 2000 un capo dello Stato donna - Tarja Kaarina Halonen
– e una percentuale di presenze femminili in parlamento del 42%, spetta anche il primato del “governo più rosa”: 12 ministre su un esecutivo di
20 (pari al 60%), con un ulteriore incremento rispetto al 2004, quando su 18 ministri le donne erano 8.
17. Cfr. B. Beccalli, La peculiarità italiana nel contesto internazionale, in Una democrazia incompiuta, cit., p. 299.
18. G. Zincone, Il maggioritario per le donne. Lista trasparente e maggioritario a squadre, in «Noi donne», marzo 1993; C. Valentini, Le donne
fanno paura, Milano, Est, 2000, pp. 173 ss.
19. Beccalli, La peculiarità italiana, cit., p. 299. Cfr. anche F. Sartori, Differenze e disuguaglianze di genere, Bologna, il Mulino, 2009, pp. 201 e ss.
100
Donne e politica: un rapporto ancora difficile
questa tendenza alla marginalizzazione e al “passo indietro” non riguarda purtroppo solo la politica20.
L’immagine che mi viene in mente pensando alle donne italiane è quella di equilibriste che camminano su un bordo scivoloso, il crinale scivoloso di una cittadinanza compiuta, di diritti conquistati con
fatica e che si pensano ormai definitivamente acquisiti al catalogo dei diritti fondamentali, e pertanto
irrinunciabili. E invece le equilibriste incontrano continuamente ostacoli che tendono a farle precipitare
giù, verso la perdita di quei diritti, verso l’incompiutezza di una cittadinanza in fondo mai vissuta come
piena partecipazione alla vita del Paese.
6. I numeri delle donne italiane in politica, ma non solo…
Quanto alla domanda “quali sono i numeri delle donne italiane in politica?”, conviene prendere le
mosse da un dato che risale al giugno 2004, quando i cittadini e le cittadine europee andarono alle urne
per eleggere il Parlamento Europeo. La seguente tabella (tab. n. 1), che illustra le percentuali di presenza
3DUODPHQWR(XURSHR
Stati membri
seggi
Donne
Svezia
19
11
Lussemburgo
6
3
Olanda
27
12
Slovenia
7
3
Francia
78
33
Austria
18
7
Irlanda
13
5
Lituania
13
5
Ungheria
24
9
Danimarca
14
5
Finlandia
14
5
Slovacchia
14
5
Estonia
6
2
Spagna
54
18
Germania
99
31
Belgio
24
7
Grecia
24
7
Portogallo
24
6
Regno Unito
78
19
Lettonia
9
2
Repubblica Ceca
24
5
Italia
78
15
Polonia
54
7
Cipro
6
0
Malta
5
0
Totale
732
222
Situazione al marzo 2005
tab. n. 1
percentuali
57.9%
50.0%
44.4%
42.9%
42.3%
38.9%
38.5%
38.5%
37.5%
35.7%
35.7%
35.7%
33.3%
33.3%
31.3%
29.2%
29.2%
25.0%
24.4%
22.2%
20.8%
19.2%
13.0%
00.0%
00.0%
30.3%
femminile in quel Parlamento, colloca l’Italia al quart’ultimo posto tra i 27 Paesi dell’Unione Europea,
prima soltanto rispetto alla Polonia, a Cipro e a Malta.
In quegli anni la posizione dell’Italia nella classifica mondiale stilata dall’Interparliamentary Union
sulle presenze femminili nei Parlamenti nazionali era, del resto, ancora più bassa (vedi tab. n. 2).
20. Si pensi alle periodiche minacce alla legge n. 194/78 per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza,
alla piaga della violenza alle donne e ai numerosi tentativi (a volte riusciti) di limitare la libertà individuale e le scelte procreative delle donne.
Il pensiero va, ad esempio, alla legge n. 40/2004 sulla fecondazione assistita o alle polemiche che hanno frenato l’introduzione in Italia della
“famigerata Ru486”, ovvero della “pillola del giorno dopo”.
101
M. Antonella Cocchiara
situazione al 31 dicembre 2005
Classifica mondiale presenze femminili nei Parlamenti nazionali
posizione
classifica
mondiale
1
2
3
4
5
6
7
8
“
9
10
83
84
“
85
86
“
“
tab. n. 2
87
“
“
88
89
90
Paesi
Rwanda
Sweden
Norway
Finland
Denmark
Netherlands
Argentina
Cuba
Spain
Costa Rica
Mozambique
------Niger
France
Slovenia
Colombia
Dem. Republic
of the Congo
Maldives
Syrian Arab
Republic
Burkina Faso
Jamaica
Lesotho
Italy
Indonesia
Romania
Camera dei Deputati
o Parlamento monocamerale
Elezioni
Seggi Donne % D
Elezioni
Seggi
Donne
%D
09 2003
09 2002
09 2005
03 2003
02 2005
01 2003
10 2005
01 2003
03 2004
02 2002
12 2004
11 2004
06 2002
10 2004
03 2002
80
349
169
200
179
150
257
609
350
57
250
113
574
90
165
39
158
64
75
66
55
93
219
126
20
87
14
70
11
20
48.8
45.3
37.9
37.5
36.9
36.7
36.2
36.0
36.0
35.1
34.8
12.4
12.2
12.2
12.1
09 2003
--------06 2003
10 2005
--03 2004
--------09 2004
12.2002
03 2002
26
--------75
72
--259
--------331
40
102
9
--------22
30
--60
--------56
3
9
34.6
--------29.3
41.7
--23.2
--------16.9
7.5
8.8
08 2003
500
60
12.0
08 2003
120
3
2.5
01 2005
50
6
12.0
---
---
---
---
03 2003
250
30
12.0
---
---
---
---
05 2002
10 2002
05 2002
05 2001
04 2004
11 2004
111
60
120
616
550
331
13
7
14
71
62
37
11.7
11.7
11.7
11.5
11.3
11.2
--10 2002
N.A.
05 2001
--11 2004
--21
33
321
--137
--4
12
26
--13
--19.0
36.4
8.1
--9.5
Camera alta o Senato
Da quel “disonorevole” 88° posto del dicembre 2005 ci si è gradualmente allontanati. Il Bel Paese ha registrato un lieve, ma costante, incremento21, abbandonando finalmente le retrovie delle classifiche mondiali,
dove ha raggiunto il 51° posto e ponendosi al 10° posto tra i 27 Paesi dell’UE (vedi tab. n. 3).
21. Dalla percentuale di presenze relativa al 2001 (XIV Legislatura: Senato D. 7,76%; U. 92,24% - Camera dei Deputati D. 11,67%; U.
88,33%), si è passati dopo un incremento, sia al Senato (13,66%) che alla Camera (17,14%), in seguito delle elezioni del 10-11 aprile 2006,
all’attuale percentuale del 18% di senatrici e del 21,3% di deputate elette (ma sarebbe forse più esatto dire “nominate”) nell’ultima consultazione
elettorale del 13-14 aprile 2008.
102
Donne e politica: un rapporto ancora difficile
situazione al 30 novembre 2009
Classifica Paesi Unione Europea
posizione
classifica N.
mondiale
tab. n. 3
2
7
8
10
13
15
18
29
33
51
54
"
55
56
"
58
59
64
66
68
76
80
87
"
95
97
108
Paese
1
Svezia
2
Finlandia
3
Olanda
4
Danimarca
5
Spagna
6
Belgio
7
Germania
8
Austria
9
Portogallo
10
Italia
11
Bulgaria
12
Estonia
13
Polonia
14
Lettonia
15 Lussemburgo
16 Regno Unito
17
Slovacchia
18
Francia
19
Lituania
20
Grecia
21 Repubblica Ceca
22
Cipro
23
Irlanda
24
Slovenia
25
Romania
26
Ungheria
27
Malta
Camera dei Deputati
o Parlamento monocamerale
Elezioni seggi Donne % D
Elezioni seggi
9 2006
3 2007
11 2006
11 2007
3 2008
6 2007
9 2009
9 2008
9 2009
4 2008
7 2009
3 2007
10 2007
10 2006
6 2009
5 2005
6 2006
6 2007
10 2008
10 2009
6 2006
5 2006
5 2007
9 2008
11 2008
4 2006
3 2008
----5 2007
--3 2008
6 2007
N.A.
N.A.
--4 2008
----10 2007
----N.A.
--9 2008
----10 2008
--7 2007
11 2007
11 2008
-----
349
200
150
179
350
150
622
183
230
630
240
101
460
100
60
646
150
577
141
300
200
56
166
90
334
386
69
164
83
62
68
127
53
204
51
63
134
50
21
93
20
12
126
29
105
25
52
31
8
22
12
38
43
6
47.0%
41.5%
41.3%
38.0%
36.3%
35.3%
32.8%
27.9%
27.4%
21.3%
20.8%
20.8%
20.2%
20.0%
20.0%
19.5%
19.3%
18.2%
17,7%
17.3%
15.5%
14.3%
13.3%
13.3%
11.4%
11.1%
8.7%
Camera alta o Senato
----75
--263
71
69
61
--322
----100
----746
--343
----81
--60
40
137
-----
Donne
%D
----26
--79
27
15
15
--58
----8
----147
--75
----14
--13
1
8
-----
----34.7%
--30.0%
38.0%
21.7%
24.6%
--18.0%
----8.0%
----19.7%
--21.9%
----17.3%
--21.7%
2.5%
5.8%
-----
Ciò, tuttavia, a fronte di regressi di altro tipo.
Innanzitutto, l’esecutivo ha fatto piccoli passi indietro riducendo la percentuale di donne-ministro dal
24% al 21,7% (da 6 donne su 25 ministri si è passati a 5 donne su 23 ministri), così come non accenna a
crescere la percentuale di presenze femminili negli organismi dirigenti dei partiti (circa 19%) e destano
103
M. Antonella Cocchiara
forti perplessità i meccanismi di selezione di certe candidature femminili22 e, più in generale, l’immagine
restituita dai media «di giovani donne disposte a tutto pur di calcare, in alternativa ai palcoscenici dei
teatri di posa, le aule di consigli e parlamenti» e di uomini politici che alimentano tali aspettative23.
Di fronte a queste considerazioni e alle cifre sopra indicate, nessuno può sostenere che non esistano
tuttora, anche nei Paesi occidentali, forme di discriminazione tra i due sessi, vere e proprie “aree di segregazione” che si traducono in concreti svantaggi per le donne.
Poche donne nelle istituzioni e negli altri luoghi delle decisioni politiche sta, infatti, a significare che
l’universo femminile continua a non trovare voce e rappresentanza: la “metà del cielo” non trova rappresentanza autonoma e consapevole nella metà del nostro Parlamento e non può imprimere nelle scelte
politiche italiane il punto di vista delle donne, la prospettiva di genere, come invece i governi, compreso
il nostro, si erano impegnati a fare a conclusione della IV Conferenza mondiale di Pechino (1995).
Parafrasando lo slogan di una campagna di sensibilizzazione realizzata da “Arcidonna” per contrastare
gli stereotipi di genere, potremmo dire che «La Repubblica italiana è governata… a sesso unico».
«Ecco perché l’universo femminile continua a venire relegato in una posizione subalterna nella famiglia, nella cultura, nel lavoro. Ed ecco perché le donne non
hanno alcuna speranza d’emancipazione fintanto che ne perdura l’esclusione dalla
politica, dalla vita pubblica»24.
Sono sempre parole di Ainis, giurista sensibile alle tematiche dei diritti negati e quindi al tema dei
diritti delle donne, il quale aggiunge che dietro ogni conquista femminile c’è un manipolo di donne
che ha lottato per raggiungerla; ma si tratta di una battaglia che potrà essere vinta solo a condizione
che le donne possano mettere le mani sulle leve del comando, possano esserci.
Le parole d’ordine lanciate nel 1995 a Pechino – ovvero mainstreaming (che significa “integrare
la dimensione delle pari opportunità di genere in qualunque scelta politica, in ogni azione di governo, in ogni programmazione”) ed empowerment (che significa “attribuire potere e responsabilità
alle donne”) – solo incrementando, anche nei numeri
oltre che nell’intensità, la voce delle donne nelle istituzioni politiche potranno diventare «uno strumento
per realizzare uno sviluppo più equo, una politica
più democratica, una società più libera e solidale»25;
solo così potranno essere attuate, favorendo concretamente il passaggio dalle pari opportunità, viste
in termini di rafforzamento di tutela per conseguire l’eguaglianza sostanziale, a politiche dei governi
nazionali che facciano valere il punto di vista delle
donne e l’interesse dell’intera società. Una società di
donne e uomini finora governata prevalentemente da
uomini e in futuro, grazie a una maggiore presenza
22. Inutile sottacere il disagio che molte – la maggior parte delle – donne italiane hanno avvertito di fronte agli scandali che hanno coinvolto,
nell’estate del 2009, il premier italiano a proposito di certi criteri di reclutamento di giovani e piacenti donne candidate nelle liste del suo partito.
Un disagio chiaramente espresso, ad esempio, dall’appello lanciato nel luglio 2009 dalla SIS (Società Italiana delle Storiche) dal titolo “Rompere
il silenzio: una scelta di forza”, che invita a una profonda riflessione «sulla deriva ogni giorno più allarmante che sembra caratterizzare in Italia il
rapporto donne e politica/donne in politica» e denuncia al contempo «l’impoverimento e la strumentalizzazione dei linguaggi della politica e il degrado delle sue pratiche, per non soggiacere inerti alla trivialità di cui è permeata gran parte della scena pubblica, così intrisa di una “idea di donna”
che era lecito sperare superata da tempo». Il testo integrale dell’appello, firmato da migliaia di persone in pochi giorni, può leggersi in http://www.
societadellestoriche.it. In proposito si veda anche l’articolo di N. Urbinati, L’Italia, il potere e il silenzio delle donne, in “La Repubblica”, 30 giugno
2009 e i successivi interventi raccolti nella rassegna stampa del luglio-settembre 2009, pubblicata nel suddetto sito della SIS. Un dibattito di grande
interesse, seppure interno al femminismo italiano.
23. Cfr. SIS, Appello “Rompere il silenzio: una scelta di forza”.
24. Ainis, Le libertà negate, cit., pp. 141-142.
25. Così Livia Turco, allora presidente della Commissione nazionale di parità e di pari opportunità, nella Prefazione alla Piattaforma di Pechino,
gennaio 1996.
104
Donne e politica: un rapporto ancora difficile
di donne nei luoghi della rappresentanza politica e dove maturano i processi decisionali, “guardata
anche con gli occhi delle donne”.
7. Perché le donne italiane in politica sono così poche? le tante spiegazioni…
Le spiegazioni che il “comune sentire” è solito dare all’anomalia italiana della scarsa presenza di donne nei
luoghi istituzionali della politica, cui corrisponde – come suggerisce l’UE – un altrettanto singolare spreco
di intelligenze e di energie femminili, sono molte, tra loro divaricate o più comunemente intrecciate. Una
sorta di catalogo di queste spiegazioni – proposto da Marina Piazza nell’ambito di una ricerca da lei condotta per conto della Commissione Pari Opportunità della Provincia di Grosseto26 – finisce per restituire
un quadro semplificato dei tanti luoghi comuni attraverso i quali viene letto questo fenomeno. Ci è parso
utile sintetizzarli e riproporli ai ragazzi e alle ragazze coinvolti nel percorso di “orientamento di genere”,
anche per osservare le loro reazioni:
a) le donne sono entrate tardi nel mercato del lavoro e nella vita sociale e politica del Paese; bisogna, pertanto, limitarsi ad aspettare il naturale evolversi degli eventi e il progressivo rafforzarsi della loro presenza che, così come è avvenuto per il mercato del lavoro, avverrà anche per la rappresentanza politica;
b) la DC e il PCI, che hanno dominato la politica italiana nei primi cinquant’anni di vita repubblicana,
non hanno considerato rilevante la questione, sottovalutandone la portata; l’attuale situazione sopporta il peso del passato e ci vorrà tempo per superarlo;
c) più donne in politica equivale a meno uomini in quegli stessi posti: «il monopolista non cede volontariamente il monopolio così come il tacchino non ringrazia nel giorno del ringraziamento»;
d) le donne non ambiscono a entrare nella politica attiva perché assorbite da altri interessi (in particolare,
quelli familiari, asimmetricamente loro addossati);
e) le donne non riescono a imporsi in politica perché non sanno fare rete tra loro, non creano “cordate”
così da sostenersi vicendevolmente: le loro esperienze di rappresentanza politica si traducono in momenti di grande solitudine, tali da determinarne spesso la fuoriuscita precoce o la determinazione a
non replicare l’esperienza;
f) le donne non votano le donne, quindi perché mai dovrebbero votarle gli uomini?
g) «le donne, per le loro caratteristiche di genere, non riescono a fare propri i canoni stilistici della politica», che prevedono lotta e competizione;
h) le donne, concrete e pragmatiche, non riescono a entrare nelle dinamiche politiche, che comportano
mediazione, astrattezza, pazienza e lungimiranza.
Tra le varie letture, le più gettonate dai ragazzi e dalle ragazze che hanno partecipato al progetto
formativo sull’“Orientamento di genere” sono state quelle indicate dalle lettere c) e g), ma va detto che
anche le ipotesi e) e f), sintomatiche delle contraddizioni e del deficit di coesione che attraversa “l’universo
femminile”, hanno fatto riflettere e discutere.
8. Perché porsi il problema? perché più donne in politica?
Nel corso di questo contributo si sono già fornite parziali risposte a queste domande27, e se le precedenti
osservazioni non fossero state sufficienti, si potrebbe ricorrere al §. 11 della Dichiarazione di Iula (1998)
di seguito trascritto:
26. Cfr. M. Piazza, Introduzione a Ingressi Riservati. Donne e uomini nelle carriere politiche, a cura di M. Piazza, Provincia di Grosseto,
Commissione pari opportunità, Consigliera di Parità, Grosseto, Grafiche Vieri, 2005, pp. 20-21. La sintesi è preceduta da un’interessante
osservazione sull’intera questione dello “squilibrio di genere nella rappresentanza politica” che la sociologa pone a premessa della stessa
indagine: «…bisogna essere consapevoli che un’eventuale soluzione positiva non potrà che essere l’esito di una strategia composita, di una
battaglia condotta su più fronti e supportata dalle donne stesse: certo non sarà il monopolista a rompere il monopolio e quand’anche questo
accadesse non avverrà “spontaneamente”».
6LYHGDVXSUD†
105
M. Antonella Cocchiara
«L’ integrazione sistematica delle donne [nel governo locale] rafforza la democrazia, l’efficacia e la qualità delle attività delle collettività territoriali. Se il governo
locale intende rispondere sia ai bisogni delle donne sia ai bisogni degli uomini,
deve appoggiarsi sulle esperienze sia delle donne sia degli uomini, attraverso una
uguale rappresentanza a tutti i livelli e in tutti i settori decisionali che riguardano le responsabilità dei governi locali »28
Si è voluto, tuttavia, offrire un ventaglio più ampio di argomentazioni sottese alla richiesta di una maggiore presenza di donne in politica 29, sia per attestare la molteplicità di approcci alla questione che,
soprattutto, per sottolineare che le diverse risposte non vanno considerate in contrapposizione, ma in
sovrapposizione l’una con l’altra. Eccone una sintesi:
ɼ argomento della giustizia e della democrazia: non è tollerabile che la politica sia monopolio maschile, che le donne, pur essendo numericamente superiori agli uomini, occupino ruoli così marginali;
oltre che ingiusto, ciò è in aperta violazione del diritto alla parità inteso come diritto fondamentale,
basato sul riconoscimento della dualità del genere umano e sul diritto all’uguaglianza. La parità tra
i sessi è un diritto umano universale, che non riguarda solo le donne, trattandosi di una questione
di democrazia sostanziale. Il mancato esercizio o la non attuazione di questo diritto, con le inevitabili ricadute sul sistema della rappresentanza, inficia il compiuto funzionamento del nostro sistema
democratico proprio perché condiziona pesantemente il livello di partecipazione democratica dei
cittadini;
ɼ argomento della proporzionalità e rappresentatività: questo argomento lega l’importanza quantitativa delle donne nella popolazione all’idea di una rappresentanza politica proporzionale; alla base c’è
l’idea che il rappresentante debba riflettere il rappresentato;
ɼ argomento dell’antieconomicità e dell’utilità: privarsi delle competenze di una metà della società è
“antieconomico”, è uno spreco di risorse; tenuto conto, peraltro, dell’attuale stato di crisi della politica, l’ingresso delle donne potrebbe costituire una chance in più per il suo rinnovamento, per renderla
migliore, più vicina ai cittadini, meno legata a logiche di potere: è la politica che ha bisogno delle
donne e non il contrario!
ɼ argomento della differenza: le donne porterebbero un valore aggiunto alla politica legato alla loro
specificità e differenza di punto di vista. Non solo le elette terrebbero maggiormente conto degli
“interessi delle donne”, ma soprattutto un maggior numero di donne può essere l’ingrediente di una
trasformazione degli obiettivi della politica.
Quest’ultimo argomento rinvia al cuore del problema, ovvero al senso da dare al «fatto di eleggere
donne al posto di uomini»30. Non si tratta di assegnare loro ruoli salvifici o riconoscere in esse maggiori
e/o migliori capacità di gestione del potere. Ne è convinta la politologa Alisa del Re, sostenitrice comunque dell’importanza dei numeri, che al riguardo osserva:
«probabilmente non sono né migliori né peggiori. Ma se c’ è un problema relativo
alla scarsità di donne al potere, questo è anche legato alla struttura maschile della
politica ed alla scarsa attrazione che per questo essa esercita sulla grande maggioranza delle donne»31.
28. Iula (International Union of Local Authorities), Dichiarazione mondiale sulle donne nel governo locale, 1998, §. 11 (versione in lingua
inglese) in www.rgre.de/schlagzeilen/resolutionen/iula_declaration_women.htm.
29. Si sono riassunti gli argomenti riportati in vari saggi, tra i quali segnaliamo: A. Del Re, Cittadinanza politica e questioni di genere, in «Il
Paese delle donne», dicembre 2002; Piazza, Introduzione a Ingressi riservati, cit., p. 22; Beccalli, La peculiarità italiana, cit., pp. 300-302.
30. Cfr. A. Del Re, L’esclusione dalla rappresentanza per le donne: il contesto, le ragioni, gli ostacoli, le vie per una soluzione, in Donne in politica.
Un’ indagine sulle candidature femminili nel Veneto, a cura di A. Del Re, Milano, FrancoAngeli, 1999, pp. 56-57.
31. Ibidem, p. 56.
106
Donne e politica: un rapporto ancora difficile
Se, però, un cambiamento delle regole della politica per renderle “a misura di donna” è ipotizzabile, ciò
potrà avvenire innanzitutto se a rappresentare i bisogni femminili e a imprimere una svolta sono le donne
e sempre che esse siano messe in grado di manovrare le leve nei luoghi decisionali della politica. E poiché
in democrazia il potere «è fatto anche di numeri e presenze», la necessità di più donne nei luoghi della
politica diventa essenziale. Non meno importante è però comprendere se le donne vogliano realmente
assumere il ruolo di “agenti del cambiamento”. A tal fine, il numero fa la differenza. Una consistente
percentuale di donne (la cosiddetta “massa critica” di cui si dirà in seguito) in molte assemblee rappresentative rende, infatti, visibile e significativa la volontà di trasformazione:
ɼ perché sarà tale da neutralizzare la tendenza dell’omologazione al maschile, che ovviamente non
produce cambiamento;
ɼ perché potrà rappresentare un modello di riferimento per la popolazione femminile, che tenderà a
riconoscersi in esse e intrecciare complicità capaci di «ridisegnare la mappa dei valori e dei bisogni
riconosciuti»;
ɼ perché – conclude la Del Re – il «rapporto tra l’esperienza del corpo sessuato e la decisione politica
può tendere, se i numeri ne danno il potere, a prendere in considerazione un ventaglio più largo di
temi con un approccio vicino alla “sapienza del fare” delle donne»32.
La condivisibile opinione della Del Re non deve, tuttavia, indurci a immaginare un omogeneo “plotone-di-donne-in-guerra” che combatte unito la propria battaglia contro le regole maschili della politica:
fino ad oggi a farsi carico del problema è stata solo una parte minoritaria di donne (come in passato,
del resto). È come se il problema del riequilibrio di presenza femminile, a tutti i livelli, fosse questione
che riguarda solo loro, quasi fosse questione irrilevante ai fini di una politica che voglia tenere in conto i
bisogni e i punti di vista di tutti i cittadini. Probabilmente sull’erroneo presupposto che le «donne sono
ricomprese nel neutro universale maschile»33 e non hanno, quindi, bisogno di dar voce attraverso loro
rappresentanti, ai bisogni specifici e alla prospettiva peculiare del genere femminile.
Anche questo è un dato su cui riflettere. Prima di passare alle possibili soluzione del problema, va
fatta chiarezza: finché l’obiettivo sarà perseguito solo da un manipolo – per di più non sempre coeso – di
donne e non si avvierà una fase nuova, incentrata sul coinvolgimento degli uomini come alleati e non
come “coloro che devono cedere il posto”, come cointeressati, soggetti attivi che pretendono l’attuazione
di un’eguaglianza sostanziale anche nel proprio interesse, sarà difficile, a mio avviso, mettere a punto
misure efficaci per realizzare il riequilibrio della rappresentanza, come pure sarà impervia la strada per
integrare la dimensione delle pari opportunità di genere in politica o in materia di sviluppo economico, di formazione, di orientamento… al fine di contribuire a migliorare la società: una società di donne
e uomini da governare tenendo conto delle diverse prospettive, guardata con sguardo plurale, con gli
occhi di entrambi.
9. Come risolverlo?
L’ultima domanda, anziché chiudere il discorso, avrebbe potuto aprirlo ex novo per la complessità della
questione e, di conseguenza, per l’ampiezza di prospettive percorribili e di possibili soluzioni. Si è deciso, invece, anche in considerazione dei tempi a nostra disposizione, di limitare l’orizzonte del nostro
obiettivo: piuttosto che indicare soluzioni preconfezionate e definite, si è preferito svolgere solo il ruolo
di “suscitatori d’interesse” su un tema che i giovanissimi di solito non hanno a cuore. Del resto, la scuola
avrebbero potuto realizzare, con interventi successivi, quell’azione formativa idonea a completare in profondità i discorsi appena accennati. Si è pertanto deciso di indicare, in termini assolutamente generali,
tre possibili strade da seguire per contribuire, in modo congiunto, alla soluzione del “problema”: a) con-
32. Ibidem, p. 57.
33. Piazza, Introduzione, cit. p. 23.
107
M. Antonella Cocchiara
sapevolezza che una questione “donne e politica” esiste; b) conoscenza specifica della questione attraverso
idonei interventi formativi; c) adozione di eventuali normative antidiscriminatorie e di riequilibrio.
a)
Per imboccare e seguire fino in fondo la strada della consapevolezza, tenuto conto che uno dei
rischi individuati è quello di sottovalutare la questione e non avere adeguata comprensione del
fenomeno, ieri come oggi connesso alla condizione sociale e giuridica delle donne, un ruolo strategico ricoprono la storia e la comparazione. In generale, la mancanza di prospettiva storica appiattisce
lo sguardo e impedisce di cogliere il senso profondo delle cose, ma relativamente alla storia delle donne,
gioca un ruolo ancora più insidioso perché induce le giovani donne:
ɼ a non dare il giusto “valore” ai diritti di cui oggi godono;
ɼ a non avere consapevolezza del valore della loro differenza di genere;
ɼ a vivere nella scuola e all’università la “grande illusione della parità”…
ɼ…e a rifiutare l’idea che col tempo potrebbero dover fare i conti con discriminazioni di fatto, se non
di diritto;
ɼ a giungere, pertanto impreparate quando si scontreranno, nel corso della carriera, con il cosiddetto
“soffitto di cristallo”;
ɼ a finire per ritrovarsi anch’esse ingabbiate in stereotipi di genere o, all’incontrario, nel mito dell’omologazione maschile;
ɼ a trovarsi culturalmente non attrezzate per difendere quei diritti cui non hanno saputo o potuto dare
valore.
La storia del lungo, difficile e non lineare cammino verso la cittadinanza politica femminile può fare
acquisire, invece, ai giovani piena coscienza del valore delle faticose conquiste delle donne e della storicità
sia degli ostacoli frapposti al raggiungimento, prima, dell’eguaglianza e, dopo, della parità, sia dei diritti
finalmente acquisiti. Meritano di essere ricordate in proposito le parole di Norberto Bobbio:
«i diritti […] per fondamentali che siano, sono diritti storici, cioè nati in certe circostanze, contrassegnate da lotte per la difesa di nuove libertà contro vecchi poteri,
gradualmente, non tutti in una volta e non una volta per sempre»34.
Chi non ha consapevolezza di ciò, non dà valore a quanto possiede e rischia pertanto di non comprendere
quanto grave sia la sottrazione dei diritti e delle libertà di cui dispone, frutto delle conquiste altrui. Di contro, esserne consapevoli non solo tiene alta l’attenzione verso la difesa di qualunque diritto e tutela giuridica, ma oltretutto incoraggia nel perseguire gli obiettivi di piena cittadinanza: se le asimmetrie persistenti
sono frutto di scelte politiche e di processi storici che non hanno ancora cessato di produrre i loro effetti,
possono essere destrutturate e sostituite da comportamenti e atteggiamenti virtuosi che siglino un nuovo
e diverso “patto tra i generi”, tra giovani donne e giovani uomini consapevoli che «con la parità si vince in
due»35 per costruire una politica più vicina ai cittadini e dove le diversità siano fedelmente rappresentate
con soddisfazione e a vantaggio di tutte e di tutti.
Altrettanto significativa, nel graduale processo di consapevolezza, è la comparazione, per lo meno
con gli altri paesi europei. Mettere a confronto la condizione femminile e il tema della rappresentanza di
genere tra realtà sociali e politico-istituzionali analoghe è utile sia per fugare alcuni luoghi comuni, sia per
assumere a modello soluzioni normative e politiche che altrove sono riuscite a risolvere il problema.
34. N. Bobbio, L’età dei diritti, 2a ed., Torino, Einaudi, 1995, p. xiii.
35. Con questo slogan Andrea Flori, del liceo scientifico “G. Galilei” di Siena, ha vinto il concorso a premio “Un sms per la parità” bandito
da “Arcidonna” nell’ambito dell’Iniziativa Comunitaria Equal – Progetto “Esserci”. Sul punto, vedi infra, nota 49.
108
Donne e politica: un rapporto ancora difficile
b)
La conoscenza e la sensibilizzazione non possono essere veicolate che attraverso un’idonea informazione/formazione. Merita, in proposito, di essere ricordata un’iniziativa avviata dalla ministra
per le pari opportunità, on. Stefania Prestigiamo, e confermata, con qualche variante, dalla successiva ministra, on. Barbara Pollastrini.
Si tratta di un progetto pilota varato con il coinvolgimento del mondo accademico proprio per promuovere le pari opportunità nei luoghi decisionali della politica: un corso di formazione intitolato “Donne,
politica e istituzioni”, configurato inizialmente come un’azione positiva, e pertanto rivolto solo alle donne
con l’obiettivo di fornire loro una formazione specifica per avvicinarle alla politica, alla consapevolezza di
sé e della necessità di integrare in tutte le politiche il punto di vista di genere, muovendo dall’assunto che
le differenze tra i sessi costruiscono relazioni sociali che riproducono a loro volta altre differenze36.
Oltre 40 sono state le Università coinvolte (17 del Centro-Sud e 25 del Centro-Nord), e tra queste
l’Università di Messina, che ha siglato con il Ministero una convenzione in base alla quale, avvalendosi dei
docenti della Facoltà di Scienze Politiche, si è impegnata a realizzare tale Corso. Il successo dell’iniziativa,
che nei soli primi due anni ha raccolto ben 14.000 richieste di partecipazione, sta a dimostrare l’interesse
delle donne per una maggiore partecipazione politica preceduta da un’adeguata formazione e, di conseguenza, la non attendibilità di chi sostiene che siano le stesse donne a farsi da parte in politica 37. Semmai
“si fanno da parte” da “questa politica” che ha perso il legame con l’etica e con le esigenze dei cittadini, dai
suoi tempi e dalle sue asfittiche regole.
Anche interventi come il nostro, frutto dell’impegno congiunto di scuola e università, sarebbero da
incentivare, ma a mio avviso è augurabile che tale formazione abbia luogo attraversando trasversalmente
i corsi curriculari, nelle aule e nelle ore scolastiche, con l’autorevolezza e la maggiore legittimazione che i
luoghi e i tempi istituzionali del sapere conferiscono agli argomenti trattati.
c)
L’ultima tra le strade percorribili è quella su cui converge l’interesse dei mass media e divergono
maggiormente le posizioni: le cosiddette “quote rosa”, ovvero misure antidiscriminatorie che da
più parti, in condizioni di persistente deficit di presenza femminile nelle assemblee politiche, sono
considerate come un passaggio “doloroso” (perché a vantaggio del “gruppo” sottorappresentato e quindi
in violazione del principio di eguaglianza formale) “ma necessario”.
Un passaggio inevitabile in presenza di un sistema di selezione della classe politica che non premia le
donne, le esclude, le lascia ai margini o, nel migliore dei casi, le coopta, controllandone l’azione. Pur considerandole misure transitorie e strumentali, adottate “a tempo determinato”, finché, «cambiato il costume,
mutate le regole di selezione» e pervenuti alla cosiddetta “massa critica”38, non si possa decidere di abbandonarle39, tali norme antidiscriminatorie – che preferisco definire non “quote rosa” ma regole di riequilibrio
della rappresentanza politica – hanno avuto, tuttavia, vita difficile nel nostro Paese fino a risultare oggi
superate da proposte di legge che alla “quota” antepongono il concetto di “parità” e di democrazia paritaria. L’argomento merita un ultimo approfondimento.
36. Cfr. per tutti S. Piccone Stella – C. Saraceno, Genere. La costruzione sociale del maschile e femminile, Bologna, il Mulino, 1996.
37. Il corso è giunto alla sua seconda edizione, ma con caratteristiche in buona parte diverse: non si pone come azione di riequilibrio della
rappresentanza politica, ma, pur continuando a intitolarsi alla stessa maniera, è finalizzato alla diffusione della cultura di genere e delle pari
opportunità. In ragione di ciò, i destinatari della seconda edizione sono stati sia uomini che donne. Anche per questa seconda edizione, l’Università di Messina è stata ammessa al cofinanziamento. Il corso ha avuto inizio il 1° ottobre 2008 con una lezione inaugurale tenuta da Laura
Balbo, già ministra delle pari opportunità, e i ragazzi e le ragazze che seguivano l’ultimo dei tre percorsi di “Orientamento di genere” hanno
con interesse partecipato all’inaugurazione del corso e ricevuto in omaggio il Report 2, a cura di M. A. Cocchiara, L. Galletta e L. Zingale,
Messina, Edizione Samperi, 2008, sulla precedente edizione (2004-2007).
38. Il concetto di “massa critica” è stato proposto da Drude Dahlerup con l’intenzione di dimostrare che solo dopo una certa soglia – viene
ipotizzata la percentuale minima del 33% – la maggiore presenza quantitativa di donne in un sistema politico-istituzionale permette a quella
che era prima una minoranza (ovviamente in senso sociologico) sottorappresentata di «mobilitare le risorse dell’organizzazione o delle istituzioni al fine di accelerare l’incremento della sua presenza e migliorare la propria posizione» e di imprimere un significativo cambiamento nei
modi e tempi della politica, aprendo così «le istituzioni – osservano Nadia Maria Filippini e Anna Scattigno – ad una nuova rappresentazione
dell’essere donna e per modificarne il simbolico». Cfr. D. Dahlerup, Da una piccola a una grande minoranza. Il caso delle donne nella vita
politica scandinava, in Il genere della rappresentanza, a cura di M. L. Boccia e I. Peretti, Roma, Editori Riuniti, 1988, p. 214. Le osservazioni di
Filippini e Scattigno si leggono nella loro Introduzione a Una democrazia compiuta, cit., p. 19.
39. La citazione è di Romano Prodi, tratta da un’intervista resa a «Io donna» e pubblicata il 16 settembre 2006.
109
M. Antonella Cocchiara
10. Le “quote rosa”
Genericamente, potremmo dire che le “quote rosa” rientrano tra i sistemi di protezione per assicurare
un’equilibrata presenza femminile nelle istituzioni politiche rappresentative. Più in dettaglio, con il termine “quote” s’intende un ampio ventaglio di misure, diverse per la percentuale riservata a ciascuno dei
due sessi (dal 20% al 50%) e per tipologia. Ne fa una chiara illustrazione Alisa Del Re, che distingue tre
tipi di quote:
ɼ le “quote costituzionali”, adottate in molti paesi in via di sviluppo (Rwanda, Filippine, Uganda, Nepal,
Burkina Faso…), che riservano direttamente alle donne un certo numero di posti in Parlamento;
ɼ le “quote nelle leggi elettorali” che determinano per legge una riserva di posti nelle candidature (è il
caso di molti paesi dell’America latina, del Belgio e della Francia);
GLOBAL DATABASE OF QUOTAS FOR WOMEN
A joint project of
International IDEA and Stockholm University
ɼ le “quote nei partiti politici”, previste per statuto, che riguardano la percentuale minima di candidature che il partito si obbliga a presentare per l’uno e l’altro sesso (diffuse tra i partiti di sinistra o
centro-sinistra di alcuni paesi europei, come Germania, Svezia o Norvegia)40.
Ecco di seguito un’altra tabella che illustra i tipi di quota introdotti nei paesi collocati ai vertici della
classifica mondiale per percentuale di donne presenti nei Parlamenti:
paese
Rwanda
Africa - List PR
Sweden
tipo di quota
risultati %
Constitutional Quota for National Parliaments;
Election Law Quota Regulation, National Parliament;
Constitutional or Legislative Quota, Sub-National
Level
39 su 80
48.8%
Political Party Quota for Electoral Candidates
165 su 349
47.3%
Election Law Quota Regulation, National Parliament;
Constitutional or Legislative Quota, Sub-National
Level; Political Party Quota for Electoral Candidates
22 su 57
38.6%
Political Party Quota for Electoral Candidates
64 su 169
37.7%
Quotas existed previously or quota legislation has been
proposed
66 su 179
36.9%
Election Law Quota Regulation, National Parliament;
Political Party Quota for Electoral Candidates
55 su 150
36.7%
Political Party Quota for Electoral Candidates
55 su 150
36.7%
Europe - List PR
Costa Rica
South and Central America - List PR
Norway
Europe - List PR
Denmark
Europe - List PR
Belgium
Europe - List PR
Netherlands
Europe - List PR
40. A. del Re, A proposito di quote, in Donne, politica e istituzioni. Percorsi formativi per la promozione delle pari opportunità nei centri decisionali della politica (I ciclo 2005), a cura di A. del Re, A. Butticci, R. Mungiello, L. Perini, Padova, Cleup, 2005, pp. 7-14.
110
Donne e politica: un rapporto ancora difficile
Spain
Europe - List PR
Argentina
South and Central America - List PR
Election Law Quota Regulation, National Parliament;
Constitutional or Legislative Quota, Sub-National
Level; Political Party Quota for Electoral Candidates
126 su 350
36.0%
Constitutional Quota for National Parliaments;
Election Law Quota Regulation, National Parliament;
Constitutional or Legislative Quota, Sub-National
Level; Political Party Quota for Electoral Candidates
90 su 257
35.0%
Interessante anche la serie semplificata di obiezioni contro le “quote” elencate dalla Del Re e da lei
puntualmente contraddette. Le riportiamo pressoché fedelmente nel seguente quadro sinottico:
CRITICHE ALLE “QUOTE”
RISPOSTE
a)
le quote sono contro il principio di pari opportunità per
tutti, poiché le donne ne risulterebbero avvantaggiate;
¾dire che le donne sarebbero avvantaggiate dalle quote significa non
prendere in considerazione gli svantaggi sociali che, di fatto se non
di diritto, hanno impedito loro di occupare posti di potere. Le quote
non sono discriminanti perché servono a compensare quegli svantaggi,
derivanti soprattutto dalla divisione sessuale del lavoro e dalla storica
e tradizionale ripartizione tra i sessi della sfera pubblica e della sfera
privata. Oltretutto le quote, implicando la presenza di molte donne
in determinati organismi, riducono la pressione all’omologazione sulle
“donne-alibi” scelte dai partiti per non apparire monosessuati
b)
le quote non sono democratiche, perché sono gli elettori
che devono decidere chi sarà
eletto;
¾questa affermazione sembra frutto di un vuoto di memoria: sono sempre
stati i partiti a decidere chi sarebbe stato eletto perché le nomine dei
candidati sono nelle loro mani. Un elettore non può scegliere chi non
è incluso nelle liste elettorali; meno che mai oggi, in Italia, con l’attuale
legge elettorale che prevede le cosiddette “liste bloccate”
c)
le quote implicano che il sesso
interviene al posto delle competenze e così alcuni candidati tra i più competenti
vengono scartati;
¾perché si parla di competenze solo quando si parla di quote e soprattutto solo e se si parla di donne? forse che i candidati uomini sono
“competenti per natura”? o, al contrario, che le donne sono “per natura
incompetenti”? Attenzione: recenti indagini sul personale politico italiano hanno peraltro accertato che le donne elette sono mediamente
più colte e qualificate dei loro colleghi uomini. Probabilmente ci sono
donne incompetenti, come del resto è probabile che ci siano uomini
incompetenti: sta ai partiti scegliere i candidati migliori
d)
alcune donne non vogliono
essere elette solo perché sono
donne;
¾è vero che alcune donne hanno dichiarato di non voler appartenere a una
sorta di specie protetta, ma va ricordato che la presenza delle donne è
necessaria alla vita politica e che, se in Italia non si attivano strumenti
per invertire la tendenza in atto, non solo non avremo donne elette “in
quanto donne”, ma probabilmente nemmeno, tout court, donne elette
e)
l’introduzione delle quote
crea gravi conflitti all’interno degli stessi partiti
¾è evidente che una modifica imposta da “quote” può generare difficoltà,
ma si tratta di conflitti temporanei che trovano soluzione nel tempo
Il quadro va completato e aggiornato dalla considerazione che oggi la tendenza prevalente, se non in
Italia, nel resto del mondo, è quella «ad ampliare il discorso dalla quote alla parità»41, concetto che, mettendo in evidenza la dualità del genere umano, permetterebbe il passaggio dall’idea della «semplice parte-
41. Ibidem, p. 11.
111
M. Antonella Cocchiara
cipazione» al riconoscimento del diritto-dovere alla condivisione del potere. Le argomentazioni a sostegno
di tale posizione sono le seguenti42:
ɼ la parità nel potere politico è la naturale conseguenza di tre secoli di lotte delle donne per la realizzazione
dell’uguaglianza;
ɼ le quote rivestono un carattere umiliante: le donne non sono una categoria che corrisponde a una percentuale ridotta della popolazione, ma rappresentano la metà del genere umano e come tali vogliono
esserci ovunque si decida;
ɼ c’è il rischio che le quote diventino in realtà una soglia che, una volta raggiunta, sarebbe insuperabile;
ɼ le donne vogliono essere presenti come persone umane, nella loro interezza, e non come rappresentanti di una parte;
ɼ il concetto di parità, più e meglio della quota, incrocia il concetto di modernità e riattiva le dinamiche
sociali e l’immagine simbolica degli uomini e delle donne nella società.
In questa prospettiva si colloca la proposta di legge di iniziativa popolare promossa dall’Udi (Unione
Donne in Italia) intitolata “Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive” e accompagnata
dall’efficace slogan “50 & 50 ovunque si decide”, che in 5 brevi articoli43, propone regole valevoli per qualunque competizione elettorale, volte a realizzare una democrazia paritaria e duale, in cui uomini e donne abbiano le stesse
chances di partecipazione attiva al governo della cosa pubblica,
indipendentemente dal loro genere.
Viene pertanto abbandonata l’idea della «rappresentanza
di genere, perché – afferma Pina Nuzzo, delegata nazionale
dell’Udi – noi non vogliamo che le donne rappresentino le
donne ma che le donne esercitino un diritto costituzionale: la
possibilità di essere candidate ed eventualmente di farsi eleggere per rappresentare uomini e donne»; in altre parole, «vogliamo essere presenti ai nastri di partenza per gareggiare alla
pari»44.
11. Le “quote” in Italia
Negli anni di Tangentopoli e della “crisi dei partiti”, all’irresistibile sgretolamento di un sistema che, dagli anni della
L’on. Tina Anselmi
Costituente fino ai primissimi anni Novanta, aveva retto, incontrastato, le sorti della cosiddetta “prima Repubblica”, si pensò di far fronte con il passaggio dal sistema elettorale proporzionale a quello maggioritario, cui si finì per dare
significato e valore salvifico. Contemporaneamente alle nuove leggi elettorali (n. 81/1993, n. 277/1993 e n.
42. Ibidem.
43. Di seguito il testo della proposta: «Art. 1 - Finalità - In attuazione dell’art. 51 della Costituzione Italiana, la presente legge detta norme di
democrazia paritaria per l’accesso di cittadini e cittadine alle Assemblee elettive in condizioni di uguaglianza. Art. 2 - Ambito di applicazione
- Le presenti norme si applicano alle competizioni elettorali relative alle Assemblee elettive di: Circoscrizioni nei Comuni, Comuni, Città
Metropolitane, Province, Regioni a Statuto ordinario, nonché alle elezioni di Camera dei Deputati, Senato della Repubblica e dei componenti del Parlamento Europeo spettanti all’Italia. Art. 3 - Candidature in liste o gruppi - In ogni lista o gruppo di candidati, le candidature
sono costituite da un numero uguale di donne e uomini, sono disposte in ordine alternato per sesso e, in caso di disparità numerica, lo scarto
è di una unità. Liste o gruppi di candidati che non rispettano le predette norme sono irricevibili. Art. 4 – Candidature in collegi uninominali
- In ogni circoscrizione dove le candidature sono proposte in collegi uninominali, le candidature complessive contraddistinte dal medesimo
contrassegno sono costituite da un numero uguale di donne e uomini e, in caso di disparità numerica, lo scarto è di una unità. Partiti, movimenti o coalizioni di partiti recanti il medesimo contrassegno nella circoscrizione che non rispettano le predette norme non sono ammessi
alla competizione elettorale in quella circoscrizione. Art. 5 – Norma abrogativa di chiusura - Ogni disposizione in contrasto con le norme di
democrazia paritaria contenute nella presente legge è abrogata».
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112
Donne e politica: un rapporto ancora difficile
43/1995), grazie all’impegno congiunto delle parlamentari pidiessine e cattoliche (con in testa Tina Anselmi),
venivano introdotte anche una serie di norme che tentavano, in forme e proporzioni diverse, di assicurare
l’equilibrio tra i due sessi nelle liste elettorali. È così che facevano ingresso nel sistema italiano le cosiddette.
“quote rosa”. Ma vi restavano per poco tempo. Quelle norme sarebbero state, infatti, ben presto “espunte”
dall’ordinamento giuridico italiano dalla sentenza n. 422 del 1995 della Corte Costituzionale, che ne dichiarava l’illegittimità immolandole sull’altare “dell’uguaglianza formale”, quasi che il principio sancito al successivo
comma dello stesso art. 3 della Costituzione – quello dell’eguaglianza sostanziale – fosse un optional.
Ma anche durante la loro breve esistenza le “quote” non avevano avuto vita facile. Contrastate (ovviamente) da una parte degli uomini politici, erano state contestate anche da alcune note parlamentari: la missina
Adriana Poli Bortone le considerò inutili perché «fra uomini e donne non ci sono differenze sostanziali», mentre resta famoso il grido d’allarme lanciato dalla democristiana Ombretta Fumagalli Carulli: «Le donne non
sono una specie in via di estinzione che va protetta. Non siamo panda». Slogan di successo evocato anche da
alcune esponenti della sinistra. Più raffinate erano le ragioni del dissenso provenienti dal “femminismo della
differenza” che, più radicalmente, rifiutava l’idea di partecipare a istituzioni politiche «prodotto di una storia
e una cultura contrassegnata dal dominio maschile»45 e ancora oggi declinate al maschile, mettendo pertanto
in discussione la stessa esigenza di una equilibrata rappresentanza di genere, rispetto alla quale si preferiva la
scelta della separatezza a garanzia di un’identità femminile sottratta da contaminazioni maschili.
Questa la “storia delle quote in Italia”; il resto è cronaca. La cronaca di un loro ingresso troppe volte annunciato e mai più avvenuto, nonostante l’ombrello costituzionale aperto a loro protezione dalla modifica dell’art.
51 Cost.46. Cronaca di quello scandalo di cui si è parlato all’inizio, riferendo le parole di Maria Luisa Boccia.
La vicenda risale al periodo in cui era in discussione in Parlamento la nuova legge elettorale politica a
“liste bloccate” (settembre-dicembre 2005). In quell’occasione, venivano presentati diversi emendamenti per
introdurre “quote riservate” di candidature femminili. Sostenuta dall’allora ministra alle pari opportunità, on.
Stefania Prestigiacomo (già fautrice della modifica dell’art. 51), veniva messa ai voti la proposta di inserire una
quota del 25% di candidature femminili, che tuttavia non prescriveva una severa sanzione in caso di inadempienza, né una garanzia, nei criteri di composizione delle liste, che assicurasse alle candidate l’opportunità di
essere elette (per esempio, l’alternanza uomo/donna). Il fronte delle parlamentari donne si divideva, mentre
quello degli uomini si univa. Alla Camera i deputati chiedevano di votare con voto segreto e il 12 ottobre la
proposta Prestigiacomo era bocciata con 452 voti contrari e 140 favorevoli; analoga sorte avevano subito due
emendamenti sulle “quote rosa” presentati dalle opposizioni. La ricerca di una mediazione da presentare al
Senato falliva.
La ministra Prestigiacomo chiedeva, allora, che il Consiglio dei ministri varasse un apposito disegno di
legge sulle “quote rosa”. Il 18 novembre 2005 il Consiglio dei ministri, dopo lacrime e tensioni e con il voto
contrario dei ministri Pisanu, Giovanardi e Martino, approvava il disegno di legge n. 366047, che ricalcava
l’emendamento alla legge elettorale bocciato dalla Camera un mese prima. Il testo prevedeva: l’obbligo di candidare nelle liste 1 donna ogni 3 uomini a cominciare dalle elezioni che si sarebbero svolte nel 2006 (1 ogni 2
dal 2011), nonché sanzioni fino al 50% del rimborso elettorale per i partiti che non avessero rispettato l’alternanza (dal 2011 era prevista l’inammissibilità della lista). L’8 febbraio 2006 il Senato approvava quel testo a
larga maggioranza, ma per mancanza dei tempi tecnici, a causa della fine della Legislatura, il disegno di legge
non passava alla discussione e al voto di Montecitorio. Il 14 dicembre 2005 si era, comunque, già concluso in
Senato l’iter parlamentare della nuova legge elettorale, approvata senza alcuna norma in attuazione dell’art. 51
della Costituzione.
Questa la cronaca dello scandalo. Uno scandalo ordito da partiti sempre più autoreferenziali, distanti, ciechi, sordi e impermeabili agli impulsi della società, più che mai al centro delle decisioni politiche del paese, che
45. Così R. Tosi, Le «quote» o dell’eguaglianza apparente, in La parità dei sessi nella rappresentanza politica. In occasione della visita della Corte
costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza di Ferrara. Atti del Seminario. Ferrara, 16 novembre 2002, a cura di R. Bin, G. Brunelli, A.
Pugiotto, P. Veronesi, Torino, Giappichelli, 2003, p. 106.
46. Si veda in proposito supra, nota 2.
47. S. 3660 – Disposizioni in materia di pari opportunità tra uomini e donne nell’accesso alle cariche elettive.
113
M. Antonella Cocchiara
stabiliscono non tanto i candidati, quanto piuttosto gli eletti, che – stigmatizza la Boccia – sono «organizzati
in funzione del consenso e non della partecipazione attiva. Attenti ai sondaggi e in osmosi con i media, poco
radicati nel sociale e poco impegnati nell’agire politico collettivo, sono sempre meno in grado di rappresentare
nella sfera istituzionale i soggetti e le politiche che si esprimono nella società»48. E questa “lavata di capo” è
rivolta sia agli uomini che alle donne dei partiti, ovviamente coinvolte in questi processi o, comunque, “resistenti passive”.
E allora? che fare? Forse le risposte più appaganti sono quelle indicate dai ragazzi e dalle ragazze che hanno
seguito il corso “Orientamento di genere e pari opportunità”. Ne parliamo in quest’ultimo paragrafo.
12. La “bacchetta magica”
L’associazione “Arcidonna”, nell’ambito del Programma comunitario Equal 2000-200649, progetto “Esserci”,
ha somministrato a un campione di studentesse e studenti selezionato per aree geografiche differenziate il questionario “La Bacchetta Magica” chiedendo loro di scegliere tra un ventaglio di soluzioni elencate, indicando
con una crocetta le “3 magie” che, se avessero avuto un bacchetta magica, avrebbero considerato efficaci «per
realizzare la democrazia paritaria». Il questionario proponeva «14 item che descrivono modi di pensare, atteggiamenti, suggerimenti e proposte di cambiamento rispetto al tema della rappresentanza di genere in ambito
politico nazionale» e costituiva lo strumento per accertare, a conclusione dell’intervento di sensibilizzazione
svolto con i 100 ragazzi e ragazze del campione, la validità dell’azione proposta e l’eventuale cambiamento di
consapevolezza rispetto ai temi trattati.
Si è pensato di proporlo anche ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze a conclusione degli incontri su “donne
e politica”50; ed è con le tre soluzioni da loro più gettonate che vogliamo concludere.
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della giu
2a bacchetta magica
“Realizzare la possibilità di
rappresentanza democratica
delle differenze, non
omologando le donne agli
uomini, ma insistendo sui
contributi specifici e originali
che, in quanto donne, esse
recano alla società”
3 a bacchetta
magica
“Cambiare la
pol
Per gli uomin itica. E basta.
i e per le don
ne”
Ci piacerebbe che la “bacchetta magica” funzionasse e per incanto ponesse fine al monopolio maschile
della politica italiana, rendendo proprio loro, i monopolisti, sinceramente convinti della necessità di promuovere l’elezione di più donne. Ma sappiamo bene che dietro la magia di solito c’è un trucco: magari l’elezione di
mogli o figlie di quei politici che dovrebbero cedere loro il posto o di donne perfettamente omologate «negli
interessi di categoria» piuttosto che di donne capaci di esprimere in piena autonomia un loro protagonismo
nella scena politica. Meglio, allora, contare su altri strumenti: sulla forza di «una mobilitazione sociale convinta e forte per innescare il circolo virtuoso delle riforme paritarie»51.
48. Boccia, Crisi e critica della rappresentanza, cit., p. 310.
49. In risposta alla call del Programma Comunitario “Equal 2000-2006” - misura 4.2 “Valorizzazione della risorsa femminile in contesti
imprenditoriali ed organizzativi – Promozione di interventi volti a contrastare forme di segregazione orizzontale negli ambiti professionali
sia delle donne che degli uomini”, l’associazione “Arcidonna”, insieme alla PS (Partnership di Sviluppo) composta anche da CGIL Sicilia,
Comuni di Cefalù e di San Giuseppe Jato (prov. PA), Comunità Montana del Grappa, DI GAY Project, EPTA, EXXA, FISAC CGIL,
Fondazione FIDAPA, La Luna, SELF, UDS, WOW, e a una PS transnazionale composta da partners austriaci, olandesi e spagnoli, ha
avuto finanziato il progetto settoriale “Esserci” IT-S-MDL-111, avente lo specifico obiettivo di promuovere la presenza femminile nei ruoli
decisionali della politica, dell’economia e della finanza attraverso interventi diversi, tra i quali una campagna di comunicazione integrata e
interventi di sensibilizzazione nelle scuole medie superiori diretti sia a studentesse e studenti che ad insegnanti. I risultati di tale attività sono
descritti nell’opuscolo Con la parità si vince in due. Indagine sulla percezione delle pari opportunità tra le ragazze e i ragazzi delle scuole italiane,
a cura di Arcidonna, Palermo, Luxograph, 2005.
50. L’elenco completo delle soluzioni proposte è pubblicato in Appendice, nell’ultima pagina del questionario “in uscita”.
51. Cfr. R. Bin, Donne e autoreferenzialità della politica, in La parità dei sessi nella rappresentanza politica, cit., p. 44.
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Donne e politica - Università degli Studi di Messina