Gassendi affronta Cartesio
• non si accontenta di qualche
osservazione, ma prende passo
dietro passo le Meditazioni
metafisiche per capovolgerne
la prospettiva
• un punto di vista nominalistico,
sensistico e materialistico, di stampo
epicureo
Gassendi adopera tutte le armi anche
l’ironia più sottile
• ...credevo di parlare ad un’anima
umana, ossia a quel principio interno
per cui l’uomo vive, si muove, sente
e intende
• e invece ... parlavo a un puro spirito,
spogliato non solo del corpo ma
anche di ogni parte dell’anima
voi dite di essere solo
una sostanza che pensa
• Ma allora pretendete di pensare
sempre,
• forse anche nel sonno più profondo?
ma poi parlate anche
dell’immaginazione
• Come potete dire che immaginare è
solo contemplare la figura di una
cosa corporea,
• e pretendere poi di conoscere voi
stesso non con l’immaginazione, ma
con qualcosa di totalmente diverso?
come può esserci un pensiero senza
alcuna immaginazione?
• se nella seconda meditazione non
avevate ancora escluso
l’immaginazione (“sono una
sostanza che pensa, vuole, sente,
immagina anche, ecc.”),
• perché poi dite di essere solo
pensiero?
Cartesio risponde
con una certa sufficienza
p. 343:
“c’è un equivoco sulla parola ‘anima’:
ne ho parlato tante volte, che quasi mi
vergogno a tornarci su ancora una
volta”
Ma, al di là del tono, Cartesio offre una
precisazione interessante:
all’inizio, gli antichi filosofi, avevano
una concezione monistica dell’uomo:
ossia non distinguevano tra le funzioni
del corpo (nutrirsi, muoversi, ecc.) e la
funzione del pensare, e usavano per
entrambe la parola anima
dopo aver adoperato il termine “anima”
per tutte le funzioni
hanno adoperato il termine “mente”
(latino: mens; tradotto in francese
come esprit, spirito) per indicare la
facoltà di pensare
Ho quindi voluto eliminare ogni
possibilità di equivoco
e per questo, dice Cartesio, ho parlato
della mente (spirito) per indicare che
l’anima pensa;
per me la mente non è una parte
dell’anima, ma è tutta l’anima: è
l’anima che pensa ed è res cogitans
Se mi domandi perché sembra che
certe volte l’anima non pensi
come accade prima di nascere, oppure
durante il sonno,
ti risponderò che per ricordarsi dei
pensieri, quando la mente è unita al
corpo, occorre che i pensieri lascino
una traccia nel nostro cervello
E così per la differenza tra intendere e
immaginare
l’ho già detto tante volte che non è
necessario che ci ritorni su;
l’importante è chiarire che io ho detto
nella seconda meditazione di sapere
solo di essere una sostanza che
pensa; non ho detto che nella mia
essenza possa esserci dell’altro
immaginare e pensare sono tuttavia
due cose ben diverse
e Cartesio ribatte a Gassendi che lo ha
chiamato “puro spirito”:
“Tutto quello che dite qui, carissima
Carne, mi sembrano non obiezioni, ma
solo mormorazioni, che non hanno
bisogno di replica”
Gassendi insiste
sulla terza meditazione
• a proposito della distinzione tra le
idee innate, avventizie e fittizie
• domanda: “ma non sembra che tutte
le idee vengano dal di fuori e che
vengano da quel che esiste fuori di
noi e colpisce i nostri sensi?”
osserva inoltre a proposito delle idee
fittizie
• anche queste in fondo potrebbero
ridursi a quelle che ci vengono dal di
fuori;
• quando ci formiamo l’idea di una
chimera non facciamo che unire la
testa d’un leone, il ventre di una
capra e la coda d’un serpente
tutte le idee possono quindi essere
considerate come avventizie
• anche le idee innate vengono
dall’esperienza, come ad esempio
l’idea generale di “cosa” (res)
• un’idea generale di “cosa” può
essere nella mente solo se prima vi
sono le idee delle cose particolari
per Gassendi le idee innate sono idee
naturali
• sono cioè idee che vengono
dall’esperienza, e che sono naturali,
ossia “innate” in un senso diverso da
quello di Cartesio
• sono idee che spontaneamente
formiamo dall’esperienza
e così anche l’idea di verità
• la verità è infatti la conformità del
giudizio alla cosa di cui si giudica
• tale conformità è una relazione, che
richiede il confronto tra la cosa di cui
abbiamo esperienza e l’idea che è
nella mente
per questo il dubbio non può essere
preso sul serio
• non si può dubitare dell’esistenza
reale delle cose fuori di noi
Gassendi enuncia un principio di
carattere generale
• se uno ha un’idea, è perché ha avuto
un’esperienza di qualcosa
• un cieco nato o un sordo non hanno
l’idea di colore o di suono perché non
ne hanno esperienza
è un principio generale
di carattere fenomenologico
• anche quando Cartesio osserva che
l’idea che abbiamo del sole
dall’esperienza è diversa da quella che
ne ha lo scienziato
• è sempre a partire dall’esperienza che
precisiamo la cosa: un cieco nato non
ha nessuna idea di sole
Cartesio risponde con una certa
sufficienza (p. 347):
sono ammirato dello sforzo fatto per
giustificare tutte le idee
dall’esperienza:
ma allora, uno scultore non avrebbe
altra idea che quella del marmo?
come potrebbe progettare una statua
se non ne ha prima un’idea?
anche le altre idee fittizie richiedono
l’intervento della mente
anche per comporre l’idea di una
chimera, devo essere io ad unire
insieme quello che viene
dall’esperienza
e per quanto riguarda
le idee generali
è assurdo pensare che io debba
astrarre dalle cose materiali l’idea di
cosa, e quindi non possa pensare che
sono appunto una cosa senza prima
conoscere le cose materiali
non puoi dire che le due idee di sole
vengono tutte dall’esperienza
sarebbe come dire che il vero e il falso
sono la stessa cosa;
non puoi scambiare le idee con le sole
immagini delle cose
(ossia con quello che ci dà l’esperienza
dei sensi)
osservazione
• Cartesio ha certamente ragione
quando rivendica l’originarietà della
mente (l’esperienza richiede un io
che faccia esperienza)
• così come ha ragione quando
osserva che non occorrono tante
cose particolari per arrivare ad
un’idea astratta
infatti
• un’idea è prima necessaria e poi
universale, e può essere ricavata
anche da un solo caso particolare
• così come l’esperienza non è solo
sensazione, ma richiede
l’intelligenza, ossia una mente
per questo il sensismo non basta
• una cosa infatti è il concetto o idea,
che formiamo nella mente,
• un’altra cosa l’immagine che
ricaviamo dall’esperienza:
• l’idea dice che cosa percepiamo
• l’immagine ci rappresenta l’oggetto
della percezione
e tuttavia Cartesio ha torto
• perché nega che l’esperienza
sensibile possa dare qualcosa di
certo
• e pretende che ciò che è necessario
sia ricavato solo dalla mente, cioè
che sia a priori
ma, sempre alla terza meditazione,
Gassendi ha da aggiungere:
parlando delle diverse idee, arrivi a
quella di Dio, che non sai ancora se
esiste; come fai a dire che non l’hai
formata dalle cose di cui hai
esperienza?
e a proposito della realtà oggettiva
dell’idea di Dio
se è vero che lo spirito umano è finito,
come farà a formare l’idea di qualcosa
di infinito?
l’idea di Dio è solo la somma delle
perfezioni delle cose particolari
l’idea che ne abbiamo non può
corrispondere all’infinità di Dio,
è solo un’idea parziale, che basta per
l’uso che ne possiamo fare e si adatta
alla nostra debolezza
Gassendi può così affermare,
concludendo la propria obiezione:
non c’è bisogno di cercare la causa
delle idee in voi stesso:
sono le cose rappresentate dalle idee
a mandare le immagini in voi
Gassendi enuncia così ancora una
volta il suo principio generale
ogni conoscenza viene dall’esperienza
e può essere giustificata solo a partire
dall’esperienza
osservazione:
• di per sé il principio è in sé valido
• occorre però vedere se l’esperienza
si riduce o meno all’esperienza dei
sensi, come vuole Gassendi
Cartesio risponde (p. 349):
a proposito dell’idea di infinito, parti da
un equivoco:
un conto è l’idea che possiamo averne
nei limiti della nostra mente;
un conto la conoscenza intera della
cosa, che nessuno ha nemmeno a
riguardo della più piccola cosa
l’idea di Dio non può venire sommando
le perfezioni delle cose
non si può confondere l’intellezione
con l’immaginazione:
voi immaginate di formarvi l’idea di Dio
sommando le immagini che avete delle
cose
Tu inoltre dici che l’idea di Dio non è
vera perché non la comprendi
Io Ti rispondo che proprio perché è
l’idea dell’infinito, per essere vera, non
può essere compresa.
L’idea di infinito lo rappresenta tutto
intero, non solo una sua parte, anche
se nei limiti in cui può rappresentarselo
un intelletto finito
Gassendi insiste
sulla quinta meditazione
• p. 310: nell’argomento fate
confusione tra esistenza e proprietà
(predicato):
• l’esistenza non è mai una perfezione
(un predicato),
ma solo un atto che realizza le
perfezioni
quando qualcosa non esiste
• non si dice che è meno perfetta, ma
semplicemente che non è nulla,
• ossia che non c’è un atto che realizzi
la sua essenza
ecco perché, conclude Gassendi,
• si può benissimo pensare a Dio
come non esistente;
• dato che anche per Dio, al pari di
ogni altra cosa, posso pensare
l’essenza senza includere
l’esistenza
Nella sua risposta Cartesio riprenderà
il problema:
p. 363: non capisco perché l’esistenza
non può essere una proprietà;
almeno per quanto riguarda Dio,
senz’altro l’esistenza necessaria è una
sua proprietà.
Ma ritorna, prima, sul problema delle
verità matematiche
Gassendi aveva obiettato, riguardo
all’inizio della quinta meditazione, che
forse non ci sono verità immutabili, o
comunque qualcosa di eterno, al di
fuori di Dio
Cartesio precisa la sua posizione:
Certo anch’io ritengo che le essenze
delle cose, e quindi anche le verità
matematiche, dipendono da Dio
(avrebbe potuto far sì che 2+3 non
fosse eguale a 5).
Eppure, una volta che Dio le ha
stabilite così,
le essenze delle cose,
così come le verità matematiche, sono
immutabili ed eterne:
poco importa se il tuo empirismo ti
impedisce di capirlo
le idee della matematica non sono
tratte dalle cose singole:
se non avessimo già in noi l’idea di
triangolo, non potremmo mai
distinguerlo da quella figura
geometrica che in modo imperfetto
abbiamo tracciato sulla carta
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V obiezioni: Gassendi