La Divina Commedia La terra La Commedia Pur continuando i modi caratteristici della letteratura e dello stile medievali (ispirazione religiosa, fine morale, linguaggio e stile basati sulla percezione visiva e immediata delle cose), il poema tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, ben lontana dalla spiritualità tipica del Medioevo, tesa a cristallizzare la visione del reale. Il cocito Nel pozzo de' traditori la vita scende di un grado più giù: l'uomo bestia diviene l'uomo ghiaccio, l'essere petrificato, il fossile. In questo regresso dell'inferno, in questo cammino a ritroso dell'umanità siamo giunti a quei formidabili inizi del genere umano, regno della materia stupida, vuota di spirito, il puro terrestre, rappresentato ne' giganti, figli della terra, nella loro lotta contro Giove... Francesco De Sanctis L'INFERNO canto XXXIV Quando noi fummo fatti tanto avante, ch'al mio maestro piacque di mostrarmi la creatura ch'ebbe il bel sembiante, d'innanzi mi si tolse e fé restarmi, «Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco ove convien che di fortezza t'armi». Com'io divenni allor gelato e fioco, nol dimandar, lettor, ch'i' non lo scrivo, però ch'ogne parlar sarebbe poco. Io non mori' e non rimasi vivo: pensa oggimai per te, s'hai fior d'ingegno, qual io divenni, d'uno e d'altro privo. Lo 'mperador del doloroso regno da mezzo 'l petto uscìa fuor de la ghiaccia; e più con un gigante io mi convegno, che i giganti non fan con le sue braccia: vedi oggimai quant'esser dee quel tutto ch'a così fatta parte si confaccia. L'INFERNO canto XXXIV S'el fu sì bel com'elli è ora brutto, e contra 'l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui proceder ogne lutto. il brutto è se stesso e il suo contrario, ha nel suo grembo la contraddizione, perciò ha vita più ricca, più feconda di . situazioni drammatiche L'inferno è il regno del male, la morte dell'anima e il dominio della carne, il caos: esteticamente è il brutto. Dicesi che il brutto non sia materia d'arte, e che l'arte sia rappresentazione del bello. Ma è arte tutto ciò che vive, e niente è nella natura che non possa esser nell'arte. Non è arte quello solo che ha forma difettiva o in sè contraddittoria, cioè l'informe o il deforme o il difforme: e perciò non è arte il confuso, l'incoerente, il dissonante, il manierato, il concettoso, l'allegorico, l'astratto, il generale, il particolare: tutto questo non è vivo, è abbozzo o aborto di artisti impotenti. L'altro, bello o brutto che si chiami in natura, esteticamente è sempre bello. L'INFERNO IL BRUTTO Francesco de Sanctis In natura il brutto è la materia abbandonata a' suoi istinti, senza freno di ragione: e ne nasce una vita che ripugna alla coscienza morale e al senso estetico. Alla sua vista il poeta vede negata la sua coscienza, negato se stesso, e perciò lo concepisce come brutto e gli dice: - Tu sei brutto. Più il suo senso morale ed estetico è sviluppato, e più la sua impressione è gagliarda, più lo vede vivo e vero innanzi alla immaginazione. Perciò non pensa a palliarlo, e tanto meno ad abbellirlo, anzi lo pone in evidenza e lo ritrae co' suoi propri colori. Il brutto è elemento necessario così nella natura, come nell'arte; perchè la vita è generata appunto da questa contraddizione tra il vero e il falso, il bene e il male, il bello e il brutto. Togliete la contraddizione, e la vita si cristallizza. Verità così palpabile che le immaginazioni primitive posero della vita due princìpi attivi, il bene e il male, l'amore e l'odio, Dio e il demonio; antagonismo che si sente in tutte le grandi concezioni poetiche. Perciò il brutto, così nella natura, come nell'arte, ci sta con lo stesso dritto che il bello, e spesso con maggiori effetti, per la contraddizione che scoppia nell'anima del poeta. Il bello non è che se stesso; L'INFERNO IL BRUTTO Francesco de Sanctis Non è dunque maraviglia che il brutto riesca spesso nell'arte più interessante e più poetico. Mefistofele è più interessante di Fausto, e l'inferno è più poetico del paradiso. Lucifero Lucifero è immenso e stupido carname, il gradino infimo nella scala de' demòni. Il gigantesco è la poesia della materia; ma qui, vuoto e inerte, è prosa. Tra' giganti e Lucifero stanno i dannati fitti nel ghiaccio. Le acque putride di Malebolge, ventate dalle enormi ali di Lucifero, si agghiacciano, s'indurano, diventano mare di vetro, di dentro a cui traspariscono come festuche i traditori contro i congiunti nella Caina, contro la patria nell'Antenora, contro gli amici nella Tolomea, e contro i benefattori nella Giudecca. La pena è una, ma graduata secondo il delitto. Il movimento si estingue a poco a poco, la vita si va petrificando, finchè cessa in tutto la lacrima, la parola e il moto. L'immagine più schietta di questo mondo cristallizzato è il teschio dell'arcivescovo Ruggieri, inanimato e immobile sotto i denti di Ugolino. Francesco de Sanctis L'INFERNO canto XXXIV Ma la notte risurge, e oramai è da partir, ché tutto avem veduto». Com'a lui piacque, il collo li avvinghiai; ed el prese di tempo e loco poste, e quando l'ali fuoro aperte assai, appigliò sé a le vellute coste; di vello in vello giù discese poscia tra 'l folto pelo e le gelate croste. Quando noi fummo là dove la coscia si volge, a punto in sul grosso de l'anche, lo duca, con fatica e con angoscia, volse la testa ov'elli avea le zanche, e aggrappossi al pel com'om che sale, sì che 'n inferno i' credea tornar anche. L'INFERNO canto XXXIV Attienti ben, ché per cotali scale», disse 'l maestro, ansando com'uom lasso, « conviensi dipartir da tanto male». « Poi uscì fuor per lo fóro d'un sasso e puose me in su l'orlo a sedere; appresso porse a me l'accorto passo. Io levai li occhi e credetti vedere Lucifero com'io l'avea lasciato, e vidili le gambe in sù tenere; e s'io divenni allora travagliato, la gente grossa il pensi, che non vede qual è quel punto ch'io avea passato. Lèvati sù», disse 'l maestro, «in piede: la via è lunga e 'l cammino è malvagio, e già il sole a mezza terza riede». « Non era camminata di palagio là 'v'eravam, ma natural burella ch'avea mal suolo e di lume disagio «Prima ch'io de l'abisso mi divella, maestro mio», diss'io quando fui dritto, «a trarmi d'erro un poco mi favella: ov'è la ghiaccia? e questi com'è fitto sì sottosopra? e come, in sì poc'ora, da sera a mane ha fatto il sol tragitto?». L'INFERNO canto XXXIV Ed elli a me: «Tu imagini ancora d'esser di là dal centro, ov'io mi presi al pel del vermo reo che 'l mondo fóra. Di là fosti cotanto quant'io scesi; quand'io mi volsi, tu passasti 'l punto al qual si traggon d'ogne parte i pesi. E se' or sotto l'emisperio giunto ch'è contraposto a quel che la gran secca coverchia, e sotto 'l cui colmo consunto fu l'uom che nacque e visse sanza pecca; tu haï i piedi in su picciola spera che l'altra faccia fa de la Giudecca. Qui è da man, quando di là è sera; e questi, che ne fé scala col pelo, fitto è ancora sì come prim'era. Da questa parte cadde giù dal cielo; e la terra, che pria di qua si sporse, per paura di lui fé del mar velo, L'INFERNO canto XXXIV e venne a l'emisperio nostro; e forse per fuggir lui lasciò qui loco vòto quella ch'appar di qua, e sù ricorse». Luogo è là giù da Belzebù remoto tanto quanto la tomba si distende, che non per vista, ma per suono è noto d'un ruscelletto che quivi discende per la buca d'un sasso, ch'elli ha roso, col corso ch'elli avvolge, e poco pende. Lo duca e io per quel cammino ascoso, intrammo a ritornar nel chiaro mondo; e sanza cura aver d'alcun riposo, salimmo sù, el primo e io secondo, tanto ch'i' vidi de le cose belle che porta 'l ciel, per un pertugio tondo. E quindi uscimmo a riveder le stelle. L’inferno x Il Purgatorio “Nell’inferno ogni azione è spenta; non vi è più storia” (De Sanctis) ...la realtà dell’inferno è visibile solo dall’alto, dalla certezza cioè che essoè soltanto una parte, la parte afflitta dell’eternità” (Luzi) “Dante ha già detto molto nell’ultimo verso dell’Inferno. Il poeta e la sua guida, Virgilio, sono usciti «a riveder le stelle». Il Purgatorio non è sotterraneo. Il suo livello è quello della terra, sotto il cielo stellato. Un vegliardo, un saggio dell’antichità, Catone Uticense, li accoglie come guardiano del Purgatorio” (Le Goff, La nascita del Purgatorio, p.382). Il Purgatorio Il Purgatorio Il Purgatorio è l’unico dei regni oltretomba, che è transitorio. Dopo il Giudizio Universale sparirà. L’anima che è nel Purgatorio è stata già perdonata da Dio e deve, purgare, ossia lavare l’impurità dell’anima per salire in cielo. La classificazione delle anime espianti non è fatta secondo i suoi atti peccaminosi, ma secondo le tendenze peccaminose. Per questo l’architettura del Purgatorio è molto più semplice di quella dell’Inferno, perché nel Purgatorio ci sono sono quelli che hanno commesso uno dei 7 peccati capitali. I ladri, gli assassini, i fraudolenti e i traditori non hanno nessuna speranza di salvezza. L’anima che arriva al Purgatorio deve liberarsene di tutte le illusioni della vita terrena, deve conquistare il libero arbitrio, deve salire in cielo con la coscienza piena di sé stessa. Per arrivare in Paradiso totalmente liberate dal peccato, le anime passano per i vari gironi, per espiare tutte le tendenze peccaminose che portano in sé. Il Purgatorio Il purgatorio è una montagna che sta nell’oceano disabitato che ricopre la metà meridionale, australe della sfera terrestre. Ha la forma di un cono, però lassù non vi è una punta, ma una pianura. È antipodo di Gerusalemme, cioè è posto nella sfera terrestre nel punto diametralmente opposto a Gerusaleme; tutto ill mondo dantesco si svolge intorno a una linea ideale, che, partendo, da sotto questa città, è per così dire l’asse intorno al quale si apre il grande imbuto infernale, raggiunge il centro della terra, risale nell’emisfero australe, costituisce l’asse interno della montagna del Purgatorio, per sboccare quindi nel centro del Paradiso terrestre. (BOSCO, Umberto Dante - il Purgatorio. 2.ed. Torino: ERI, 1967. p.8) Il Purgatorio Ai piedi della montagna c’è una spiaggia. La parte inferiore del monte e la spiaggia costituiscono l’antipurgatorio. Il purgatorio comincia solo a una certa altezza della montagna. Il purgatorio è diviso in sette gironi, in ognuno di essi si espia una dei sette vizi capitali in ordine decrescente di gravità. Il girone più lontano da Dio, ospita i superbi e l’ultimo i lussuriosi. I peccatori che possono avere speranza di salvezza sono: i superbi, gli invidiosi, gli iracondi, gli accidiosi, gli avari e i prodighi, i golosi e i lussuriosi. Il Purgatorio Lo scrittore, accingendosi a lavorare attorno al Purgatorio, ha da vari anni presente il quadro linguistico in cui dovrà essere calata la triplice materia della Commedia. Le idee espresse nel De vulgari eloquentia sono da un pezzo superate, ché egli ha trovato uno stile unico che comprende tutte e tre le possibilità enunciate nella trattatistica e insieme congloba l'elevatezza dello stile tragico, la fluidità narrativa del comico, l'asprezza realistica dell'elegiaco PETROCCHI, G. Il Purgatorio di Dante. Milano: BUR saggistica, 1998. Canto I, Sandro Botticelli Il Purgatorio la seconda cantica è una lunga preparazione al ritorno di Beatrice, ed è naturale che riaffiorino alla memoria poetica di Dante quelle tonalità formali che erano state al centro dell'esperienza verbale della Vita Nuova. Attraverso strappi, diversioni verso il recupero realistico, memorie della presente situazione d'Italia, incontri con amici e con poeti (è il Purgatorio la cantica dove più fitto vive il motivo del reincontro con gli amici della giovinezza e con i maestri del suo tirocinio letterario), tutta la cantica tende verso il ritorno di Beatrice, e ciò reca con sé echi delle occasioni poetiche più elevate della Vita Nuova, reminiscenze di alcune ballate dalla ondosa musicalità, di erranti fantasmi di sogni "cortesi" come nel sonetto Guido, i' vorrei, momenti di abbandono. (PETROCCHI, G. Il Purgatorio di Dante. Milano: BUR saggistica, 1998.) Il Purgatorio A differenza del sistema di pena dell'Inferno quello in atto nel Purgatorio è duplice (e se ne intende facilmente la ragione: le anime purganti non debbono solo patire, ma deve esser loro fornito il mezzo per superare la fase di sofferenza in preparazione del gaudio eterno): al patimento è unito un esempio morale, di segno opposto a quello del peccato che le anime scontano nel secondo regno e che è indispensabile affinché esse siano in grado di esercitare, o, meglio, di prepararsi ad esercitare la virtù di cui difettarono in vita, meditando sulla virtù e aspirando fortemente ad essa. Gli esempi non sono astratti, ma, in forme diverse di rappresentazione scenica o fonica, nascono dalla storia sacra e da quella profana antica, anche da antichi prodotti del novellare caro al popolo devoto; e seguono un percorso non fisso, tranne per il primo esempio che è sempre relativo alla vita di Maria Vergine, in quanto assomma tutte le virtù in un supremo grado di perfezione. La varietà dell'exemplum morale è eccezionale per originalità d'invenzione, ed è sempre in ordine alla rappresentazione narrativa specifica d'ogni girone. Da Petrocchi, Vita di Dante Il Purgatorio LE GOFF, J. La nascita del Purgatorio. Torino:Einaudi La purgazione sulla montagna si compie in tre modi: con un castigo materiale (che mortifica le passioni e incita alla virtù); con la meditazione sul peccato da purgare e sulla virtù che ne è l’opposto (il Purgatorio contiene un trattato delle virtù e dei vizi), con la preghiera che purifica l’anima, la fortifica nella grazia di Dio e ne esprime la speranza. (1996:386) Il principio che informa la ripartizione delle anime nei gironi è l’amore. Il fondamento comune di tutti i peccati è l’assenza dell’amor di Dio, cioè del bene... La montagna del Purgatorio restaura il vero amore, la scalata del Purgatorio è una risalita verso il bene. (387) Tutta la logica di questo Purgatorio montano risiede nel progresso che si compie salendo: ad ogni passo l’anima progredisce, diventa più pura [e più leggera – e più rapida, al contrario di quelle che vanno nell’antipurgatorio]. (p.387) Nel Purgatorio la giustizia divina (che fa soffrire le anime) si confonde con la misericordia e con la speranza di modo che attenua la sofferenza man mano che ci si eleva. (p.388) LE GOFF, J. La nascita del Purgatorio. Torino:Einaudi Dante fu sicuramente il più grosso teologo del Purgatorio dato che raccolse tutti gli elementi precedentemente proposti e offrì un modello esaustivo che rispondeva a tutte le domande sopracitate. Esiste ancora uno spazio per il Purgatorio ? La risposta va trovata nell’evoluzione intercorsa tra il Medioevo e i nostri giorni. Il Purgatorio nacque in una società fortemente comunitaria, in cui la morte e il peccato non erano questioni individuali riguardanti l’uomo e Dio, ma coinvolgevano una pluralità di rapporti difficilmente immaginabili per noi moderni. L’apparizione di un defunto che richiedeva suffragi veniva puntualmente raccolta e trascritta da qualche ecclesiastico colto per essere inserita in quadro di rapporti sociali che non coinvolgevano mai due persone, ma sempre, e almeno, tre : il morto, colui che riceve la visione, l’intermediario che la trascrive. Ci si può chiedere, nella nostra prospettiva, se quei meccanismi fossero soltanto funzionali a mettere in giro una credenza, ma quello di cui bisogna tener conto è che difficilmente un alto ecclesiastico, persona colta e difficilmente “credulona”, “inventava” apparizioni, visioni, ma, anzi, si premurava di trascrivere soltanto ciò che aveva potuto accertare personalmente. Tutta la società spingeva a credere che dovesse esistere un luogo in cui il peccatore poteva redimersi, in cui il peccato non coincidesse tragicamente con la dannazione dell’anima. Noi viviamo dopo l’Illuminismo ed è da qui bisogna partire. Tutto l’apparato di credenze elaborato dal Medioevo è stato considerato pura superstizione che la Ragione poteva facilmente comprendere e criticare, in prospettiva della costruzione di una società basata su rapporti razionali. Il Purgatorio • • • • • • • • • • • • • • Antipurgatorio - Spiaggia, Anime appena sbarcate Antipurgatorio - ai piedi della montagna, Scomunicati Antipurgatorio - Balzo 1, Pentiti in punto di morte Antipurgatorio - Balzo 2, Morti di morte violenta Antipurgatorio - Valletta, Principi negligenti Antipurgatorio - Porta Cornice I, Superbi Cornice II, Invidiosi Cornice III, Iracondi Cornice IV, Accidiosi Cornice V, Avari e Prodighi Cornice VI, Golosi Cornice VII, Lussuriosi Paradiso Terrestre Balzo = luogo scosceso, ripiano nel pendio di un monte Il Purgatorio Ordinamento del Purgatorio Dante ordina la struttura della montagna del Purgatorio partendo dall'affermazione evangelica che "Dio è amore" (Giovanni 4,8): nessuna creatura, di conseguenza, è senza amore, sia esso istintivo o motivato da una scelta. L'amore istintivo non può sbagliare oggetto, in quanto è come una bussola posta nel cuore dell'uomo per dirigerlo verso il proprio fine. L'amore motivato da una scelta, invece, può errare per eccessiva od insufficiente forza nel conseguire i propri obiettivi oppure per essersi volto ad un cattivo oggetto: da ciò si può dedurre che tale amore può essere, insieme, origine di ogni virtù e di ogni peccato. Poichè ogni creatura vuole naturalmente il proprio bene, nessuna creatura odia se stessa; e poichè ogni creatura non può odiare se stessa, nessuna creatura può odiare il suo creatore. http://www.ladante.it/dantealighieri/hochfeiler/purgator/naviga/purg.htm Il Purgatorio canto I Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele; e canterò di quel secondo regno dove l'umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno. Ma qui la morta poesì resurga, o sante Muse, poi che vostro sono; e qui Calïopè alquanto surga, seguitando il mio canto con quel suon di cui le Piche misere sentiro lo colpo tal, che disperar perdono. Calïopè _- Le Figlie di Zeus e della ninfa Mnemosine, erano nell'Olimpo greco le divinità che sovraintendevano alle arti. Calliope, che già Esiodo riteneva la più nobile delle Muse, è l'ispiratrice e la protettrice della poesia in generale e della poesia epica ed elegiaca in particolare. Nei lessici medievali Dante poteva trovare anche il significato del nome: "dalla bella voce". Piche misere - Le figlie di Pierio, re di Tessaglia, ebbero un giorno l'audacia di sfidare nel canto le Muse. Calliope, tuttavia, le vinse e per le fanciulle fu subito chiaro che alla sconfitta sarebbe seguita la punizione ("disperar perdono" Pg. I,12). La Musa, infatti, le tramutò in gazze (piche) Da http://www.ladante.it/dantealighieri/hochfeiler/purgator/cit ati/c_muse.htm. Il Purgatorio canto I Dolce color d'orïental zaffiro, che s'accoglieva nel sereno aspetto del mezzo, puro infino al primo giro, li occhi miei ricominciò diletto, tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta che m'avea contristati li occhi e 'l petto. Lo bel pianeto che d'amar confort faceva tutto rider l'orïente, velando i Pesci ch'erano in sua scorta. mi volsi a man destra, e puosi mente a l'altro polo, e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch'a la prima gente. Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle oh settentrïonal vedovo sito poi che privato se' di mirar quelle! Com'io da loro sguardo fui partito, un poco me volgendo a l 'altro polo, là onde 'l Carro già era sparito, Il Purgatorio canto I Dolce color d'orïental zaffiro Buti afirma que a safira é uma pedra preciosa de cor entre celeste e o azul, muito agradável à vista, e que a safira oriental é uma variedade que se encontra na Média. No verso citado, Dante sugere a cor do Oriente por meio de uma safira em cujo nome se encontra o Oriente. Insinua, assim, um jogo recíproco que bem pode ser infinito Borges , J. L. Nove ensaios dantescos Il Purgatorio canto I vidi presso di me un veglio solo, degno di tanta reverenza in vista, che più non dee a padre alcun figliuolo. Lunga la barba e di pel bianco mista portava, a' suoi capelli simigliante, de' quai cadeva al petto doppia lista Li raggi de le quattro luci sante fregiavan sì la sua faccia di lume, ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante. Il Purgatorio canto I «Chi siete voi che contro al cieco fiume fuggita avete la pregione etterna?» diss'el, movendo quelle oneste piume. Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna, uscendo fuor de la profonda notte che sempre nera fa la valle inferna? Son le leggi d'abisso così rotte? o è mutato in ciel novo consiglio, che, dannati, venite a le mie grotte?» Lo duca mio allor mi diè di piglio e con parole e con mani e con cenni reverenti mi fé le gambe e 'l ciglio. Poscia rispuose lui: «Da me non venni: donna scese del ciel, per li cui prieghi de la mia compagnia costui sovvenni. Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi di nostra condizion com'ell'è vera, esser non puote il mio che a te si nieghi. Il Purgatorio canto I Questi non vide mai l'ultima sera; ma per la sua follia le fu sì presso, che molto poco tempo a volger era. Sì com'io dissi, fui mandato ad esso per lui campare; e non lì era altra via che questa per la quale i' mi son messo. Mostrata ho lui tutta la gente ria: e ora intendo mostrar quelli spirti che purgan sé sotto la tua balìa. Com'io l'ho tratto, saria lungo a dirti; de l'alto scende virtù che m'aiuta conducerlo a vederti e a udirti. Il Purgatorio canto I Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta. Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara. Non son li editti etterni per noi guasti, ché questi vive, e Minòs me non lega; ma son del cerchio ove son li occhi casti Il Purgatorio canto I di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega, o santo petto, che per tua la tegni: per lo suo amore adunque a noi ti piega. Lasciane andar per li tuoi sette regni; grazie riporterò di te a lei, se d'esser mentovato là giù degni». Marzïa piacque tanto a li occhi miei mentre ch'i' fu' di là», diss'elli allora «che quante grazie volse da me, fei. Or che di là dal mal fiume dimora, più muover non mi può, per quella legge che fatta fu quando me n'usci' fora. Ma se donna del ciel ti muove e regge come tu di', non c'è mestier lusinghe: bastisi ben che per lei mi richegge. Va dunque, e fa che tu costui ricinghe d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso, sì ch'ogne sucidume quindi stinghe; ché non si converria, l'occhio sorpriso d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo ministro, ch'è di quei di paradiso. Questa isoletta intorno ad imo ad imo là giù colà dove la batte l'onda, porta di giunchi sovra 'l molle limo; Il Purgatorio canto I null'altra pianta che facesse fronda o indurasse, vi puote aver vita, però ch'a le percosse non seconda. Poscia non sia di qua vostra reddita; lo sol vi mosterrà, che surge omai prendere il monte a più lieve salita». Così sparì; e io sù mi levai sanza parlare, e tutto mi ritrassi al duca mio, e li occhi a lui drizzai. El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi volgianci in dietro, ché di qua dichina questa pianura a' suoi termini bassi». Il Purgatorio canto I L'alba vinceva l'ora mattutina che fuggia innanzi, sì che di lontano conobbi il tremolar de la marina. Noi andavam per lo solingo piano com'om che torna a la perduta strada, che 'nfino ad essa li pare ire in vano Quando noi fummo là 've la rugiada pugna col sole, per essere in parte dove, ad orezza, poco si dirada, ambo le mani in su l'erbetta sparte soavemente 'l mio maestro pose: ond'io, che fui accorto di sua arte, Il Purgatorio canto I porsi ver' lui le guance lagrimose ivi mi fece tutto discoverto quel color che l'inferno mi nascose. Venimmo poi in sul lito diserto che mai non vide navicar sue acque omo, che di tornar sia poscia esperto. Quivi mi cinse sì com'altrui piacque: oh maraviglia! ché qual elli scelse l'umile pianta, cotal si rinacque subitamente là onde l'avelse. Il Purgatorio canto I “Come ha voluto Catone, Virgilio, in una simbolica luce d’alba, purifica con la rugiada il volto di Dante e, in riva al mare, gli cinge i fianchi di un ramo di giunco. È un rito di rinnovamento e di rinascita, in cui tutti gli elementi hanno un valore simbolico: l’alba assume il valore della speranza di recuperare il bene, in contrapposizione al buio infernale, che simboleggia il peccato; la solitudine del luogo e il riferimento allo smarrimento ricordano la caduta nel peccato e l’importanza della Grazia divina per recuperare il bene; l’abluzione del viso di Dante, su cui erano ancora le tracce delle lacrime versate durante il viaggio infernale, simboleggia la riconquista della virtù; il giunco, per la sua flessibilità e assenza di nodi, rappresenta l’umiltà necessaria al penitente per accettare le pene espiatorie. Il rinascere del giunco, infine, indica la forza dell’umiltà, virtù inesauribile” Luperini Figura AUERBACH, E. Figura. Trad. Duda Machado. Introdução de Modesto Carone. São Paulo: Ática, 1997. Auerbach afirma que “figura é mais concreta e dinâmica do que forma”. (p.17). Acrescentará ainda outras derivações como “cópia”, “ficção”, “visão de sonho”. afirma que a figura difere-se da alegoria que pode ter várias maneiras de representar como as formas simbólicas ou míticas. O crítico observa que “O simbolo deve possuir poder mágico, a figura não; a figura , por outro lado, deve ser histórica, mas o símbolo não” (p.49) Figura “Catão de Útica foi designado por Deus guardião da entrada do Purgatório: um pagão, um inimigo de César e um suicida” ...”O enigma é resolvido pelas palavras de Virgílio, ao afirmar que Dante procura a liberdade, tão preciosa como tu próprio sabes, tu que por ela renunciaste à vida. A história de Catão é retirada de seu contexto terreno-político, tal como as histórias de Isaac, Jacó etc. também foram retiradas de seus contextos pelos exegetas patrísticos do Velho testamento e convertidas em figura futurorum. Catão é uma figura, ou melhor, o Catão terreno, que renunciou a vida em nome da liberdade, era uma figura, e o Catão que agora aparece no Purgatório é a figura revelada ou preenchida, a verdade daquela situação temporal. A liberdade terreno-política pela qual morreu era apenas uma umbra futurorum: uma perfiguração da liberdade cristã de que agora foi designado guardião e em nome da qual resiste a toda a tentação terrena; a liberdade cristã ante os impulsos do mal, que conduz ao verdadeiro autodomínio, aquela liberdade em nome de cuja conquista Dante é cingido com os juncos da humildade, até que, no alto da montanha, ele possa conquistá-la de fato e seja coroado por Virgílio como senhor de si mesmo. A escolha voluntária da morte por Catão para libertar-se da servidão política é mostrada como uma figura para a eterna liberdade dos filhos de Deus, em nome da qual as coisas terrenas devem ser rejeitadas, para que a alma liberte-se da servidão do pecado” (p.55-6). Figura “Não há dúvida de que Catão é uma figura; não uma alegoria, como as personagens do Roman de la rose, mas uma figura que se tornou a verdade. A Comédia é uma visão que considera e proclama a verdade figural como já preenchida; caracteriza-se precisamente por realizar, inteiramente dentro do espírito de interpretação figural, a ligação da verdade revelada pela visão com os acontecimentos terrenos, históricos” (p.57) Figura Catão era um homem severo, justo, mas piedoso que em um momento importante do próprio destino coloca a liberdade acima da morte. Auerbach salienta que ele, no Purgatório, “permanece um indivíduo único, tal como Dante o via; mas é alçado acima de sua provisória condição humana, na qual considerava a liberdade política como o bem supremo... e transposto para uma condição de preenchimento, não mais voltado para os deveres mundanos de virtude cívica ou legal, mas para o ben dell’intelleto, o mais alto bem, a liberdade da alma imortal diante de Deus” (p.57) Il Purgatorio canto II Già era 'l sole a l'orizzonte giunto lo cui merïdian cerchio coverchi Ierusalèm col suo più alto punto; sì che le bianche e le vermiglie guance là dov'i' era, de la bella Aurora per troppa etate divenivan rance. la notte, che opposita a lui cerchia, uscia di Gange fuor con le Bilance, che le caggion di man quando soverchia; Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino, per li grossi vapor Marte rosseggia giù nel ponente sovra 'l suol marino, sì che le bianche e le vermiglie guance là dov'i' era, de la bella Aurora per troppa etate divenivan rance. cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia, un lume per lo mar venir sì ratto, che 'l muover suo nessun volar pareggia. Il Purgatorio canto II Dal qual com'io un poco ebbi ritratto l'occhio per domandar lo duca mio, rividil più lucente e maggior fatto. Poi d'ogne lato ad esso m'appario un non sapeva che bianco, e di sotto a poco a poco un altro a lui uscio. Lo mio maestro ancor non facea motto, mentre che i primi bianchi apparver ali; allor che ben conobbe il galeotto, Il Purgatorio canto II gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali. Ecco l'angel di Dio: piega le mani omai vedrai di sì fatti officiali. Vedi che sdegna li argomenti umani sì che remo non vuol, né altro velo che l'ali sue, tra liti sì lontani. Vedi come l'ha dritte verso 'l cielo trattando l'aere con l'etterne penne, che non si mutan come mortal pelo». Il Purgatorio canto II Poi, come più e più verso noi venne l'uccel divino, più chiaro appariva: per che l'occhio da presso nol sostenne, ma chinail giuso; e quei sen venne a riva con un vasello snelletto e leggero, tanto che l'acqua nulla ne 'nghiottiva. Da poppa stava il celestial nocchiero, tal che faria beato pur descripto; e più di cento spirti entro sediero. 'In exitu Isräel de Aegypto (1) cantavan tutti insieme ad una voce con quanto di quel salmo è poscia scripto. Poi fece il segno lor di santa croce ond'ei si gittar tutti in su la piaggia; ed el sen gì, come venne, veloce. (1) “Quando il popolo di Israele fu liberato dall’Egitto”. Le anime, al momento dell’approdo, intonano il salmo 113 in cui si canta la livberazione degli ebrei dalla schiavitù dell’Egitto. Si usava cantare questo salmo nei funerali. Il Purgatorio canto II Da tutte parti saettava il giorno lo sol, ch'avea con le saette conte di mezzo 'l ciel cacciato Capricorno, quando la nova gente alzò la fronte ver' noi, dicendo a noi: «Se voi sapete, mostratene la via di gire al monte». E Virgilio rispuose: «Voi credete forse che siamo esperti d'esto loco; ma noi siam peregrin come voi siete. Il Purgatorio canto II Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco, per altra via, che fu sì aspra e forte, che lo salire omai ne parrà gioco». L'anime, che si fuor di me accorte, per lo spirare, ch'i' era ancor vivo, maravigliando diventaro smorte. E come a messagger che porta ulivo tragge la gente per udir novelle, e di calcar nessun si mostra schivo, così al viso mio s'affisar quelle anime fortunate tutte quante, quasi oblïando d'ire a farsi belle. I o vidi una di lor trarresi avante per abbracciarmi con sì grande affetto, che mosse me a far lo somigliante. Ohi ombre vane, fuor che ne l'aspetto! tre volte dietro a lei le mani avvinsi, e tante mi tornai con esse al petto. Il Purgatorio canto II Di maraviglia, credo, mi dipinsi: per che l'ombra sorrise e si ritrasse, e io, seguendo lei, oltre mi pinsi. Casella mio, per tornar altra volta là dov'io son, fo io questo viaggio», diss'io; «ma a te com'è tanta ora tolta?» « Soavemente disse ch'io posasse; allor conobbi chi era, e pregai che, per parlarmi, un poco s'arrestasse. Ed elli a me: «Nessun m'è fatto oltraggio se quei che leva quando e cui li piace, più volte m'ha negato esto passaggio; Rispuosemi: «Così com'io t'ama nel mortal corpo, così t'amo sciolta: però m'arresto; ma tu perché vai?» ché di giusto voler lo suo si face veramente da tre mesi elli ha tolto chi ha voluto intrar, con tutta pace. Il Purgatorio canto II Ond'io, ch'era ora a la marina vòlto dove l'acqua di Tevero s'insala, benignamente fu' da lui ricolto. di ciò ti piaccia consolare alquanto l'anima mia, che, con la sua persona venendo qui, è affannata tanto!» A quella foce ha elli or dritta l'ala però che sempre quivi si ricoglie qual verso Acheronte non si cala». 'Amor che ne la mente mi ragiona‘ cominciò elli allor sì dolcemente, che la dolcezza ancor dentro mi suona. E io: «Se nuova legge non ti toglie memoria o uso a l'amoroso canto che mi solea quetar tutte mie doglie, Lo mio maestro e io e quella gente ch'eran con lui parevan sì contenti, come a nessun toccasse altro la mente. Il Purgatorio canto II Noi eravam tutti fissi e attenti a le sue note; ed ecco il veglio onesto gridando: «Che è ciò, spiriti lenti? qual negligenza, quale stare è questo? Correte al monte a spogliarvi lo scoglio ch'esser non lascia a voi Dio manifesto». Come quando, cogliendo biado o loglio, li colombi adunati a la pastura, queti, sanza mostrar l'usato orgoglio, Il Purgatorio canto II se cosa appare ond'elli abbian paura, subitamente lasciano star l'esca, perch'assaliti son da maggior cura; così vid'io quella masnada fresca lasciar lo canto, e fuggir ver' la costa, com'om che va, né sa dove riesca: né la nostra partita fu men tosta. Il Purgatorio canto II Il sorgere del sole sulla spiaggia del Purgatorio è in evidente opposizione Al tramonto che inaugurava il canto II dell’Inferno. Alla discesa nella notte della valle infernale succede adesso l’ingresso nel regno della speranza, la cui ora è appunto l’alba, il tempo della promessa (V. Russo) Inferno – canto II Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno toglieva li animai che sono in terra da le fatiche loro; e io sol uno m'apparecchiava a sostener la guerra sì del cammino e sì de la pietate, che ritrarrà la mente che non erra. Purgatorio – canto II Già era 'l sole a l'orizzonte giunto lo cui merïdian cerchio coverchi Ierusalèm col suo più alto punto; la notte, che opposita a lui cerchia, uscia di Gange fuor con le Bilance, che le caggion di man quando soverchia; Il Purgatorio canto II Osserva finemente il Chiari che, nonostante il brusco richiamo di Catone alla realtà, il paragone dei colombi "ci riporta alla quiete offerta dalla amorosa pastura del canto di Casella, e bene armonizza con tutta l'immagine di dolce mitezza con la quale è entrata nell'animo nostro questa prima delle molte schiere di anime che incontreremo lungo la montagna del purgatorio; ed è immagine del nuovo mondo, ove deve sparire del tutto ogni turbamento del mondo terreno". A questa la prima delle similitudini che illustrano la condizione delle anime dei purgatorio, caratterizzata, come ha ben veduto il De Sanctis, dall'obliarsi della coscienza individuale "in uno stesso spirito di carità e d'amore. Nell'Inferno vi sono grandi individualità, ma non vi sono cori; l'odio è solitario: nel Purgatorio non ci ha grandi individualità, ma invece vi son cori: l'amore è simpatia, dualità, un'anima che cerca un'altra anima". Per questo numerose similitudini della seconda cantica riguardano gruppi di anime, anziché anime singole, propongono alla nostra meditazione il tema dell'umiltà e dell'armonia, anziché quello dell'affermazione orgogliosa di sé che introduce nell'universo il seme della ribellione e del disordine. 2000 © Luigi De Bellis - [email protected] Il Purgatorio canto III - Manfredi E un di loro incominciò: «Chiunque tu se', così andando, volgi 'l viso: 105 pon mente se di là mi vedesti unque». Io mi volsi ver lui e guardail fiso: biondo era e bello e di gentile aspetto, 108 ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. . Quand'io mi fui umilmente disdetto d'averlo visto mai, el disse: «Or vedi»; 111 e mostrommi una piaga a sommo 'l petto. Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi, nepote di Costanza imperadrice; 114 ond'io ti priego che, quando tu riedi, Codice Chigi: Nozze di Enrico VI con Costanza d'Altavilla. Stemma d'oro, con l'aquila spiegata di nero Il Purgatorio canto III - Manfredi vadi a mia bella figlia, genitrice de l'onor di Cicilia e d'Aragona, 117 e dichi 'l vero a lei, s'altro si dice Poscia ch'io ebbi rotta la persona di due punte mortali, io mi rendei, 120 piangendo, a quei che volontier perdona. Orribil furon li peccati miei; ma la bontà infinita ha sì gran braccia, 123 che prende ciò che si rivolge a lei. Incoronazione di Manfredi nel duomo di Palermo, dalla Cronaca del Villani. Il Purgatorio canto III- Manfredi Se 'l pastor di Cosenza, che a la caccia di me fu messo per Clemente allora, 126 avesse in Dio ben letta questa faccia, l'ossa del corpo mio sarieno ancora in co del ponte presso a Benevento, 129 sotto la guardia de la grave mora. Il Purgatorio canto III - Manfredi Or le bagna la pioggia e move il vento di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde, 132 dov'e' le trasmutò a lume spento. per ognun tempo ch'elli è stato, trenta, in sua presunzïon, se tal decreto 141 più corto per buon prieghi non diventa. Per lor maladizion sì non si perde che non possa tornar, l'etterno amore, 135 mentre che la speranza ha fior del verde. Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto, revelando a la mia buona Costanza come m'hai visto, e anco esto divieto; Vero è che quale in contumacia more di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta, 138 star li convien da questa ripa in fore, 145 ché qui per quei di là molto s'avanza». MANFREDI nasce nel 1232 ed accompagna il padre in molte avventure militari e diplomatiche, lo assiste in punto di morte il 13 dicembre 1250. Per testamento Federico gli lega varie rendite e possedimenti e soprattutto lo nomina vicario del Regno di Sicilia che aveva assegnato a Corrado IV — il primogenito figlio di Iolanda di Brienne — che al momento si trovava in Germania. Questa decisione lo inimica subito al Papa, che avrebbe voluto liberamente disporre dell’intero patrimonio svevo. Fin dall’inizio la reggenza si dimostra difficile, anche se i rapporti tra i due fratelli promettono di essere buoni. Diventa sovrano dopo la morte del fratello Corrado IV, enl 1258, secondo alcuni, com la fasa notizia della morte del nipote Corradino erede del trono paterno. Da Luperini e da http://www.stupormundi.it/Manfredi.htm MANFREDI Nel nuovo ruolo, Manfredi rafforza la compagine interna del Regno, ogni residuo di ribellione e dissenso. Contemporaneamente, cerca in Italia ed in Germania alleanze contro il Papato ed i nemici che questi gli avrebbe inevitabilmente procurato. Sotto il profilo governativo, prosegue la politica paterna: solidarietà con i Ghibellini di tutta Italia ma senza cercare la guerra. Sotto il profilo culturale e legislativo, l’intelligenza, la sapienza, la cultura, lo conducono a proporre ai sudditi un periodo di illuminata serenità, anche se non avrà il tempo di raccoglierne i frutti. MANFREDI Nel nuovo ruolo, Manfredi rafforza la compagine interna del Regno, distruggendovi Sotto il profilo dell’eleganza, la vita alla Corte di un Re giovane, bello, con gli occhi azzurri, i capelli e la barba fini… si svolge in un clima di gioioso, ricco di donne belle e raffinate; cose queste che consentono alla propaganda guelfa di alimentare dicerie ed accuse di corruzione. Ma i tempi stringono. Il nuovo Papa Clemente IV, succeduto a Urbano IV, ha già individuato in Carlo I d’Angiò, fratello di Luigi IX, il Re Santo di Francia, l’uomo che spazzerà via Manfredi dal Regno di Sicilia. Clemente IV inizia quindi è ad inviare a governi alleati e compiacenti messaggi di mobilitazione che alla fine si esprimono nel lancio contro Manfredi di una Crociata che rasenta il fanatismo; è a corrompere con il denaro i governanti che non condividono i suoi obiettivi; è a fare ogni sforzo per agevolare con ogni mezzo la strada di Carlo I. MANFREDI Battaglia di Benevento: Carlo I d'Angiò opposto a Manfredi (1266). Biblioteca Nazionale di Francia (FR 2813) fol. 295 Grandes Chroniques de France France, Paris, 14th Century. MANFREDI Il mattino del 26 febbraio, seguendo il consiglio di un astrologo, Manfredi decide l’attacco. Dopo un aspro scontro, le sue forze sono sopraffatte. Sconfitta di Manfredi Febbraio 1266). a Benevento (26 Manfredi potrebbe lasciare il campo, mettersi in salvo, allontanarsi dal Regno in attesa di tempi più favorevoli. Ma non vuole abbandonare i suoi prodi che combattono al grido di "Svevia!". Deciso a gettarsi nella mischia, sta vestendo l’armatura, quando l’aquila reale si stacca dall’elmo e cade in terra. "Ecco la volontà di Dio" mormora: è il segno della fine. La giornata si conclude con un massacro e Carlo I resta padrone del campo. Uno dei suoi soldati aveva ucciso Manfredi con un colpo di spada, senza nemmeno riconoscerlo. Da http://www.stupormundi.it/Manfredi.htm Il Purgatorio canto III Manfredi è presentato da Dante con pochi tratti ma significativi: la bellezza e la gentilezza, il sorriso. Egli è il rappresentante di un mondo aristocratico, caratterizzato da valori, quali la magnanimità, la liberalità, la cortesia in via di estinzione al tempo di Dante.... La vicenda di Manfredi fa riflettere inoltre sulla validità della scomunica pontificia e sulla grandezza della misericordia divina in contrapposizione all’odio umano. La posizione di Dante è chiara: la scomunica, se comminata per fini politici, non può determinare il destino ultraterreno di un’anima. Dante coraggiosamente salva Manfredi, immaginando il suo pentimento in punto di morte... La riesumazione poi del corpo di Manfredi e la sua traslazione in terra sconsacrata ad opera del vescovo di Cosenza, su ordine di Clemente IV sono un’ulteriore prova della strumentalizzazione dei poteri religiosi. L’odio umano permane sino dopo la morte, ma è grande la misericordia divina, nella sua imperscrutabilità. Da MINEO, N. et alii, La Divina Commedia - testi, strumenti, percorsi. Palumbo, 1999. Il Purgatorio canto III Ettore Caccia, nel suo testo Il canto III del Purgatorio (Firenze, Le Monnier, 1963), afferma che la figura di Manfredi porta con sé malinconia e speranza. Il dramma della colpa (non tanto grande come si crede nel mondo dei vivi), la difficoltà della salita, la tragedia della sconfitta e dell’odio verso la sua figura anche dopo la morte [però la sua speranza si accende ancor di più quando vede Dante vivo che può ritornare e portare notizie sue a sua figlia e chiederle di pregare per lui]. La storia di Manfredi riflette due motivi fondamentali del Purgatorio: malinconia e speranza (che possono corrispondere alla nostalgia di Dante per la patria natia e la speranza di poter tornarci). La malinconia e la speranza sono le ragioni poetiche, perché sono le vive compagne di ogni umana vicenda e le ispiratrici di tanti moti del cuore. (p.132) Il Purgatorio canto III Ora, tra malinconia e speranza si trama pure il tessuto poetico di fondo del canto terzo... Qui la malinconia è già nel primo tremore di solitudine di Dante, e nell’ accenno di Virgilio al proprio corpo sepolto lontano, in una terra su cui già è scesa la sera; malinconia è nel motivo del silenzio, dell’isolamento, del raccoglimento...” (p.132-3) [La solitudine e la malinconia fanno parte della purgazione dei peccati, perché ognuno deve subire da solo i patimenti del purgatorio per poter liberarsi del peccato e della materia]. Apud PETROCCHI, G. Il Purgatorio di Dante. Milano: BUR saggistica, 1998. Il Purgatorio canto III Fissiamo un modulo di scrittura che sia legato all'exemplum: esso potrebb'essere costituito dal personaggio di Manfredi: figura descritta con procedimento insolito: biondo era e bello e di gentile aspetto (in Purg., III,107) in un'opera in cui, con recisa decisione, anche per i personaggi femminili (e faccia eccezione qualche tratto di Beatrice) è espunta qualsivoglia stasi fisiognomica, e non per altro motivo che per far emergere ancora di più nel panorama dei personaggi un uomo cui era andata l'esecrazione del casato degli Alighieri e della propria parte politica (di quel guelfismo oltranzista cui Dante aveva aderito oltre dieci anni prima), e che ora sente caduta nell'errore d'aver combattuto proprio coloro, Manfredi o Corradino (combattuto o consentito che gli alleati del momento li combattessero: gli Angioini), i quali avrebbero potuto precedere d'un cinquantennio l'arrivo del Veltro, se la bassezza degli uomini, il loro gusto dello scontro e dell'assoluto diniego non avessero infranto i più che sacrosanti sogni di redenzione dell'umanità dei giovani prìncipi. PETROCCHI, G. Vita di Dante Purgatorio IX - entrata nel Purgatorio - riassunto L’alba del nuovo giorno sorprende Dante immerso nel sonno, mentre si trova ancora nella valletta dei principi. In sogno gli appare un’aquila dalle ali d’oro e gli sembra che essa, dopo averlo ghermito, prenda fuoco. Spaventato dalla visione il poeta si sveglia bruscamente, Purgatorio IX riassunto ma viene subito confortato dalla vista di Virgilio, il quale lo informa che sono finalmente giunti all’ingresso del Purgatorio e che è stata Lucia - simbolo della Giustizia e quindi apparsa a Dante come aquila - a portarlo dalla valletta alla soglia del secondo regno. Si legge a questo punto un secondo appello al lettore che viene avvisato, analogamente a quanto Dante ha già fatto nel canto ottavo, che la materia della sua poesia si va innalzando sempre più e che pertanto essa richiede sempre maggiore concentrazione. I due pellegrini giungono quindi alla porta del Purgatorio cui si accede salendo tre scalini di tre colori diversi (il primo di marmo bianco, il secondo di una pietra quasi nera, il terzo di porfido rosso): la porta è custodita da un angelo che impugna una spada e che, seduto sulla soglia (che a Dante sembra di diamante) poggia i piedi sul gradino più alto. Costui interroga Virgilio su chi li abbia condotti fin lì e il poeta latino risponde che loro guida è stata Lucia. All’umile richiesta di Dante di poter varcare quella soglia, il guardiano celeste inscrive prima sulla fronte del poeta sette P - tante quante i peccati di cui egli via via andrà purificandosi - per aprire poi con due chiavi la porta sacra. Al cigolare dei cardini, si sovrappone un altro rumore, simile a quello prodotto dall’esecuzione di un canto accompagnato dall’organo. http://www.italica.rai.it/principali/dante/strumenti/riassunti.htm Purgatorio IX Dianzi, ne l'alba che procede al giorno, quando l'anima tua dentro dormia, 54 sovra li fiori ond'è là giù addorno venne una donna, e disse: "I' son Lucia; lasciatemi pigliar costui che dorme; 57 sì l'agevolerò per la sua via". Sordel rimase e l'altre genti forme; ella ti tolse, e come 'l dì fu chiaro, 60 sen venne suso; e io per le sue orme. Qui ti posò, ma pria mi dimostraro li occhi suoi belli quella intrata aperta; 63 poi ella e 'l sonno ad una se n'andaro». Sordello - Sordello da Goito fu un trovatore dell'Italia settentrionale (territorio di Mantova), che si ispirò nella sua attività poetica al modello provenzale, ed adottò la lingua d'oc per i suoi versi. Purgatorio IX A guisa d'uom che 'n dubbio si raccerta e che muta in conforto sua paura, 66 poi che la verità li è discoperta, mi cambia' io; e come sanza cura vide me 'l duca mio, su per lo balzo 69 si mosse, e io di rietro inver' l'altura. Lettor, tu vedi ben com'io innalza la mia matera, e però con più arte 72 non ti maravigliar s'io la rincalzo. Noi ci appressammo, ed eravamo in parte, che là dove pareami prima rotto, 75 pur come un fesso che muro diparte, vidi una porta, e tre gradi di sotto per gire ad essa, di color diversi, 78 e un portier ch'ancor non facea motto. E come l'occhio più e più v'apersi, vidil seder sovra 'l grado sovrano, 81 tal ne la faccia ch'io non lo soffersi; e una spada nuda avëa in mano, che reflettëa i raggi sì ver' noi, 84 ch'io drizzava spesso il viso in vano. Purgatorio IX «Dite costinci: che volete voi?», cominciò elli a dire, «ov'è la scorta? 87 Guardate che 'l venir sù non vi nòi». «Donna del ciel, di queste cose accorta», rispuose 'l mio maestro a lui, «pur dianzi 90 ne disse: "Andate là: quivi è la porta"». «Ed ella i passi vostri in bene avanzi», ricominciò il cortese portinaio: 93 «Venite dunque a' nostri gradi innanzi». Purgatorio IX Là ne venimmo; e lo scaglion primaio bianco marmo era sì pulito e terso, 96 ch'io mi specchiai in esso qual io paio. Era il secondo tinto più che perso, d'una petrina ruvida e arsiccia, 99 crepata per lo lungo e per traverso. Lo terzo, che di sopra s'ammassiccia, porfido mi parea, sì fiammeggiante, 102 come sangue che fuor di vena spiccia. Sovra questo tenëa ambo le piante l'angel di Dio, sedendo in su la soglia, 105 che mi sembiava pietra di diamante. Purgatorio IX Il primo gradino, di marmo bianco e lucidissimo, simboleggia l'esame di coscienza, il profondo e completo guardarsi dentro dell'anima. Il secondo gradino, di una pietra grezza, ruvida, scura e spezzata, simboleggia la fatica della ammissione della colpa e lo spezzarsi della durezza dell'animo. Il terzo gradino, di porfido, una roccia compatta, dura e di color rosso, simboleggia la fortezza d'animo necessaria al proposito di non ricadere nella colpa. Purgatorio IX Per li tre gradi sù di buona voglia mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi 108 umilemente che 'l serrame scioglia». Divoto mi gittai a' santi piedi; misericordia chiesi e ch'el m'aprisse, 111 ma tre volte nel petto pria mi diedi. Sette P ne la fronte mi descrisse col punton de la spada, e «Fa che lavi, 114 quando se' dentro, queste piaghe», disse. Purgatorio canto XVI Buio d'inferno e di notte privata d'ogne pianeto, sotto pover cielo, 3 quant'esser può di nuvol tenebrata, non fece al viso mio sì grosso velo come quel fummo ch'ivi ci coperse, 6 né a sentir di così aspro pelo, che l'occhio stare aperto non sofferse; onde la scorta mia saputa e fida 9 mi s'accostò e l'omero m'offerse. Sì come cieco va dietro a sua guida per non smarrirsi e per non dar di cozzo 12 in cosa che 'l molesti, o forse ancida, Purgatorio canto XVI m'andava io per l'aere amaro e sozzo, ascoltando il mio duca che diceva 15 pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo». Quei sono spirti, maestro, ch'i' odo?», diss'io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi, 24 e d'iracundia van solvendo il nodo». Io sentia voci, e ciascuna pareva pregar per pace e per misericordia 18 l'Agnel di Dio che le peccata leva «Or tu chi se' che 'l nostro fummo fendi, e di noi parli pur come se tue 27 partissi ancor lo tempo per calendi?» Pur 'Agnus Dei' eran le loro essordia; una parola in tutte era e un modo, 21 sì che parea tra esse ogne concordia. Così per una voce detto fue; onde 'l maestro mio disse: «Rispondi, 30 e domanda se quinci si va sùe». Purgatorio canto XVI E io: «O creatura che ti mondi per tornar bella a colui che ti fece, 33 maraviglia udirai, se mi secondi». «Io ti seguiterò quanto mi lece», rispuose; «e se veder fummo non lascia, 36 l'udir ci terrà giunti in quella vece». Allora incominciai: «Con quella fascia che la morte dissolve men vo suso, 39 e venni qui per l'infernale ambascia. Purgatorio canto XVI E se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso, tanto che vuol ch'i' veggia la sua corte 42 per modo tutto fuor del moderno uso, non mi celar chi fosti anzi la morte, ma dilmi, e dimmi s'i' vo bene al varco; 45 e tue parole fier le nostre scorte». Lombardo fui, e fu' chiamato Marco; del mondo seppi, e quel valore ama 48 al quale ha or ciascun disteso l'arco. Per montar sù dirittamente vai». Così rispuose, e soggiunse: «I' ti prego 51 che per me prieghi quando sù sarai». E io a lui: «Per fede mi ti lego di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio 54 dentro ad un dubbio, s'io non me ne spiego Prima era scempio, e ora è fatto doppio ne la sentenza tua, che mi fa cert 57 qui, e altrove, quello ov'io l'accoppio Lo mondo è ben così tutto diserto d'ogne virtute, come tu mi sone, 60 e di malizia gravido e coverto; ma priego che m'addite la cagione, sì ch'i' la veggia e ch'i' la mostri altrui; 63 ché nel cielo uno, e un qua giù la pone». Purgatorio canto XVI Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!», mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate, 66 lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui. Voi che vivete ogne cagion recate pur suso al cielo, pur come se tutto 69 movesse seco di necessitate. Se così fosse, in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia 72 per ben letizia, e per male aver lutto. Purgatorio XVI Lo cielo i vostri movimenti inizia; non dico tutti, ma, posto ch'i' 'l dica, 75 lume v'è dato a bene e a malizia, Esce di mano a lui che la vagheggia prima che sia, a guisa di fanciulla 87 che piangendo e ridendo pargoleggia, libero voler; che, se fatica ne le prime battaglie col ciel dura, 78 poi vince tutto, se ben si notrica. l'anima semplicetta che sa nulla, salvo che, mossa da lieto fattore, 90 volontier torna a ciò che la trastulla. A maggior forza e a miglior natura liberi soggiacete; e quella cria 81 la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura. Di picciol bene in pria sente sapore; quivi s'inganna, e dietro ad esso corre, 93 se guida o fren non torce suo amore. Però, se 'l mondo presente disvia, in voi è la cagione, in voi si cheggia; 84 e io te ne sarò or vera spia. Onde convenne legge per fren porre; convenne rege aver che discernesse 96 de la vera cittade almen la torre. Purgatorio canto XVI Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? Nullo, però che 'l pastor che procede, 99 rugumar può, ma non ha l'unghie fesse; per che la gente, che sua guida vede pur a quel ben fedire ond'ella è ghiotta, 102 di quel si pasce, e più oltre non chiede. Ben puoi veder che la mala condotta è la cagion che 'l mondo ha fatto reo, 105 e non natura che 'n voi sia corrotta. Nullo – nessuno.; perché l’ufficio dell’imperatore è di fatto vacante; e il pastore, il pontefice, che procede, va innanzi al gregge e lo guida, ormai solo (avendo usurpato anche il governo temporale), possiede bensì la retta cognizione della legge divina, ma non distingue, come dovrebbe il bene del male e, mostrandosi avido dei beni mondani, dá il malo esempio agli altri uomini (Sapegno – nota al canto XVI) L’umanità segue la sua guida spirituale, il papa, nella ricerca dei beni materiali, dimenticando i beni celesti (Mineo et alii –nota ai vv 100102) Purgatorio canto XVI La teoria dei due soli Secondo Dante, Dio ha destinato all’uomo due guide, una spirituale, nella persona del pontefice, per guidarlo alla felicità eterna, ed una temporale, che lo indirizzi alla vita terrena. Le due autorità ricevono direttamente da Dio il loro dovere e devono essere indipendenti l’una dell’altra, pur operando per fini che si integrano. Sono come due soli, splendenti emtrambi di luce propria e non come il sole e la luna, secondo affermano i teologi medievali, i quali, identificano il sole nel pontefice e la luna, che gode di luce riflessa, nell’imperatore. Quest’ultimo, secondo Dante, deve essere come um figlio nei confronti del padre. Sanguinetti (1985) Soleva Roma, che 'l buon mondo feo due soli aver, che l'una e l'altra strada 108 facean vedere, e del mondo e di Deo. L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada col pasturale, e l'un con l'altro insieme 111 per viva forza mal convien che vada; però che, giunti, l'un l'altro non teme: se non mi credi, pon mente a la spiga, 114 ch'ogn'erba si conosce per lo seme. Purgatorio canto XVI In sul paese ch'Adice e Po riga, solea valore e cortesia trovarsi, 117 prima che Federigo avesse briga; or può sicuramente indi passarsi per qualunque lasciasse, per vergogna 120 di ragionar coi buoni o d'appressarsi. Dì oggimai che la Chiesa di Roma, per confondere in sé due reggimenti, 129 cade nel fango, e sé brutta e la soma». «O Marco mio», diss'io, «bene argomenti e or discerno perché dal retaggio 132 li figli di Levì furono essenti. Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna l'antica età la nova, e par lor tardo 123 che Dio a miglior vita li ripogna: Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio di' ch'è rimaso de la gente spenta, 135 in rimprovèro del secol selvaggio?» Currado da Palazzo e 'l buon Gherardo e Guido da Castel, che mei si noma 26 francescamente, il semplice Lombardo. O tuo parlar m'inganna, o el mi tenta» rispuose a me; «ché, parlandomi tosco, 138 par che del buon Gherardo nulla senta. Purgatorio canto XVI Per altro sopranome io nol conosco, s'io nol togliessi da sua figlia Gaia. 141 Dio sia con voi, ché più non vegno vosco. Vedi l'albor che per lo fummo raia già biancheggiare, e me convien partirmi (l'angelo è ivi) prima ch'io li paia». 145 Così tornò, e più non volle udirmi. Marco Lombardo Sapegno – introdução ao Canto XVI (p.171) “personaggio senza volto [perché Dante à avvolto da una nebbia così fitta che non riesce a vedere nessuno] e quase senza storia, distinguibille tutt’al più per certa asciuttezza e concisione del discorrere sempre dignitoso e alto; non figura autonoma, ma portavoce della dottrina etico-politica dello scrittore”. Il discorso di Marco si può distinguere in tre parti: 1. pone una premessa filosofica generale: l’uomo è dotato di libero arbitrio; dall’ uomo dunque e non dall’ influsso degli astri, dipende l’attuale corruzione dei costumi. 2. svolge la dottrina del governo dell’umanità , secondo i prindipi argomentati ne 4º libro del Convivio e poi nel terzo della Monarchia: all’uomo, perché apprendesse a distinguere fra i veri e i falsi beni, furono dati da Dio due guide, una per la vista temporale e una per quella spirituale [ma ora il primo a dare esempio è il più corrotto = il papa]; 3. introduce l’esempio della decadenza morale dell’Alta Italia. Il punto essenziale del ragionamento (l’ordine mondano è guasto perché si svia dal modello divino a cui dovrebbe conformarsi). Purgatorio canto XVI commenti Anche sotto il profilo stilistico, oltre che per quel che afferisce alla concezione politica, il canto di Marco Lombardo può essere assunto a prova della unitarietà stilistica del poema: canto centrale nella seconda cantica, e di conseguenza canto centrale, il cinquantesimo dei cento della Commedia: un canto in cui ritorna l'immagine del buio d'inferno e si anticipa, come in molti altri, il tema della beatitudine celeste nella preghiera. (Petrocchi) SCHEDA CRITICA L’immagine iniziale evoca una notte ottenebrata, anzi “privata” degli astri; così è divenuto il mondo privato dei “due soli” e perciò “cieco”. Dante stesso viene dal mondo ed è irretito dall’errore... se nella accezione letterale il fumo indica l’ottenebramento dell’ira, nella sua valenza metaforica, lo aveva suggerito il Mazzamuto, richiama il buio sceso sul mondo in seguito ad una gravissima crisi religiosa e politica. Da Mineo et alii La Divina Commedia - testi, strumenti, percorsi. Palumbo, 1999. p. 319