La Divina Commedia
La terra
La Commedia
Pur continuando i modi caratteristici della
letteratura e dello stile medievali
(ispirazione religiosa, fine morale,
linguaggio e stile basati sulla percezione
visiva e immediata delle cose), il poema
tende a una rappresentazione ampia e
drammatica della realtà, ben lontana dalla
spiritualità tipica del Medioevo, tesa a
cristallizzare la visione del reale.
Il cocito
Nel pozzo de' traditori la vita
scende di un grado più giù:
l'uomo bestia diviene
l'uomo ghiaccio, l'essere
petrificato, il fossile. In
questo regresso
dell'inferno, in questo
cammino a ritroso
dell'umanità siamo giunti a
quei formidabili inizi del
genere umano, regno della
materia stupida, vuota di
spirito, il puro terrestre,
rappresentato ne' giganti,
figli della terra, nella loro
lotta contro Giove...
Francesco De Sanctis
L'INFERNO
canto XXXIV
Quando noi fummo fatti tanto
avante,
ch'al mio maestro piacque di
mostrarmi
la creatura ch'ebbe il bel
sembiante,
d'innanzi mi si tolse e fé
restarmi,
«Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il
loco
ove convien che di fortezza
t'armi».
Com'io divenni allor gelato e
fioco,
nol dimandar, lettor, ch'i' non lo
scrivo,
però ch'ogne parlar sarebbe
poco.
Io non mori' e non rimasi vivo:
pensa oggimai per te,
s'hai fior d'ingegno,
qual io divenni, d'uno e d'altro
privo.
Lo 'mperador del doloroso
regno
da mezzo 'l petto uscìa fuor de
la ghiaccia;
e più con un gigante io mi
convegno,
che i giganti non fan con le sue
braccia:
vedi oggimai quant'esser dee
quel tutto
ch'a così fatta parte si
confaccia.
L'INFERNO
canto XXXIV
S'el fu sì bel com'elli è
ora brutto,
e contra 'l suo fattore
alzò le ciglia,
ben dee da lui proceder
ogne lutto.
il brutto è se stesso e il suo
contrario, ha nel suo grembo
la contraddizione, perciò ha
vita più ricca, più feconda di
.
situazioni drammatiche
L'inferno è il regno del male, la
morte dell'anima e il dominio
della carne, il caos:
esteticamente è il brutto.
Dicesi che il brutto non sia
materia d'arte, e che l'arte sia
rappresentazione del bello.
Ma è arte tutto ciò che vive, e
niente è nella natura che non
possa esser nell'arte. Non è
arte quello solo che ha forma
difettiva o in sè
contraddittoria, cioè l'informe
o il deforme o il difforme: e
perciò non è arte il confuso,
l'incoerente, il dissonante, il
manierato, il concettoso,
l'allegorico, l'astratto, il
generale, il particolare: tutto
questo non è vivo, è abbozzo
o aborto di artisti impotenti.
L'altro, bello o brutto che si
chiami in natura,
esteticamente è sempre bello.
L'INFERNO
IL BRUTTO
Francesco de Sanctis
In natura il brutto è la
materia abbandonata a'
suoi istinti, senza freno di
ragione: e ne nasce una
vita che ripugna alla
coscienza morale e al
senso estetico. Alla sua
vista il poeta vede negata
la sua coscienza, negato se
stesso, e perciò lo
concepisce come brutto e
gli dice: - Tu sei brutto. Più il suo senso morale ed
estetico è sviluppato, e più
la sua impressione è
gagliarda, più lo vede vivo
e vero innanzi alla
immaginazione. Perciò non
pensa a palliarlo, e tanto
meno ad abbellirlo, anzi lo
pone in evidenza e lo ritrae
co' suoi propri colori.
Il brutto è elemento necessario
così nella natura, come
nell'arte; perchè la vita è
generata appunto da questa
contraddizione tra il vero e il
falso, il bene e il male, il
bello e il brutto. Togliete la
contraddizione, e la vita si
cristallizza. Verità così
palpabile che le
immaginazioni primitive
posero della vita due
princìpi attivi, il bene e il
male, l'amore e l'odio, Dio e
il demonio; antagonismo che
si sente in tutte le grandi
concezioni poetiche. Perciò il
brutto, così nella natura,
come nell'arte, ci sta con lo
stesso dritto che il bello, e
spesso con maggiori effetti,
per la contraddizione che
scoppia nell'anima del
poeta. Il bello non è che se
stesso;
L'INFERNO
IL BRUTTO
Francesco de Sanctis
Non è dunque maraviglia
che il brutto riesca
spesso nell'arte più
interessante e più
poetico.
Mefistofele è più
interessante di Fausto,
e l'inferno è più poetico
del paradiso.
Lucifero
Lucifero è immenso e stupido carname, il gradino infimo nella
scala de' demòni. Il gigantesco è la poesia della materia;
ma qui, vuoto e inerte, è prosa. Tra' giganti e Lucifero
stanno i dannati fitti nel ghiaccio. Le acque putride di
Malebolge, ventate dalle enormi ali di Lucifero, si
agghiacciano, s'indurano, diventano mare di vetro, di
dentro a cui traspariscono come festuche i traditori contro i
congiunti nella Caina, contro la patria nell'Antenora, contro
gli amici nella Tolomea, e contro i benefattori nella
Giudecca. La pena è una, ma graduata secondo il delitto. Il
movimento si estingue a poco a poco, la vita si va
petrificando, finchè cessa in tutto la lacrima, la parola e il
moto. L'immagine più schietta di questo mondo
cristallizzato è il teschio dell'arcivescovo Ruggieri,
inanimato e immobile sotto i denti di Ugolino.
Francesco de Sanctis
L'INFERNO
canto XXXIV
Ma la notte risurge, e oramai
è da partir, ché tutto avem
veduto».
Com'a lui piacque, il collo li
avvinghiai;
ed el prese di tempo e loco
poste, e quando l'ali fuoro
aperte assai,
appigliò sé a le vellute coste;
di vello in vello giù discese
poscia tra 'l folto pelo e le
gelate croste.
Quando noi fummo là dove la
coscia si volge,
a punto in sul grosso de
l'anche,
lo duca, con fatica e con
angoscia,
volse la testa ov'elli avea le
zanche,
e aggrappossi al pel com'om
che sale,
sì che 'n inferno i' credea
tornar anche.
L'INFERNO
canto XXXIV
Attienti ben, ché per cotali
scale», disse 'l maestro, ansando
com'uom lasso,
« conviensi dipartir da tanto male».
«
Poi uscì fuor per lo fóro d'un sasso
e puose me in su l'orlo a sedere;
appresso porse a me l'accorto passo.
Io levai li occhi e credetti vedere
Lucifero
com'io l'avea lasciato,
e vidili le gambe in sù tenere;
e s'io divenni allora travagliato,
la gente grossa il pensi, che non vede
qual è quel punto ch'io avea passato.
Lèvati sù», disse 'l maestro, «in
piede:
la via è lunga e 'l cammino è
malvagio,
e già il sole a mezza terza riede».
«
Non era camminata di palagio
là 'v'eravam, ma natural burella
ch'avea mal suolo e di lume disagio
«Prima ch'io de l'abisso mi divella,
maestro mio», diss'io quando fui
dritto, «a trarmi d'erro un poco mi
favella:
ov'è la ghiaccia? e questi com'è fitto sì
sottosopra? e come, in sì poc'ora,
da sera a mane ha fatto il sol
tragitto?».
L'INFERNO
canto XXXIV
Ed elli a me: «Tu imagini ancora
d'esser di là dal centro, ov'io mi
presi
al pel del vermo reo che 'l mondo
fóra.
Di là fosti cotanto quant'io scesi;
quand'io mi volsi, tu passasti 'l
punto
al qual si traggon d'ogne parte i
pesi.
E se' or sotto l'emisperio giunto
ch'è contraposto a quel che la
gran secca
coverchia, e sotto 'l cui colmo
consunto
fu l'uom che nacque e visse
sanza pecca;
tu haï i piedi in su picciola
spera
che l'altra faccia fa de la
Giudecca.
Qui è da man, quando di là è
sera;
e questi, che ne fé scala col
pelo,
fitto è ancora sì come
prim'era.
Da questa parte cadde giù dal
cielo;
e la terra, che pria di qua si
sporse,
per paura di lui fé del mar
velo,
L'INFERNO
canto XXXIV
e venne a l'emisperio nostro;
e forse per fuggir lui lasciò qui
loco vòto
quella ch'appar di qua, e sù
ricorse».
Luogo è là giù da Belzebù remoto
tanto quanto la tomba si
distende,
che non per vista, ma per suono
è noto
d'un ruscelletto che quivi
discende
per la buca d'un sasso, ch'elli ha
roso,
col corso ch'elli avvolge, e poco
pende.
Lo duca e io per quel
cammino ascoso,
intrammo a ritornar nel
chiaro mondo;
e sanza cura aver d'alcun
riposo,
salimmo sù, el primo e io
secondo,
tanto ch'i' vidi de le cose
belle
che porta 'l ciel, per un
pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le
stelle.
L’inferno x Il Purgatorio
“Nell’inferno ogni azione è spenta; non vi è più
storia” (De Sanctis)
...la realtà dell’inferno è visibile solo dall’alto, dalla
certezza cioè che essoè soltanto una parte, la
parte afflitta dell’eternità” (Luzi)
“Dante ha già detto molto nell’ultimo verso
dell’Inferno. Il poeta e la sua guida, Virgilio, sono
usciti «a riveder le stelle». Il Purgatorio non è
sotterraneo. Il suo livello è quello della terra, sotto
il cielo stellato. Un vegliardo, un saggio
dell’antichità, Catone Uticense, li accoglie come
guardiano del Purgatorio” (Le Goff, La nascita del
Purgatorio, p.382).
Il Purgatorio
Il Purgatorio
Il Purgatorio è l’unico dei regni oltretomba, che è transitorio.
Dopo il Giudizio Universale sparirà.
L’anima che è nel Purgatorio è stata già perdonata da Dio e
deve, purgare, ossia lavare l’impurità dell’anima per
salire in cielo. La classificazione delle anime espianti non
è fatta secondo i suoi atti peccaminosi, ma secondo le
tendenze peccaminose.
Per questo l’architettura del Purgatorio è molto più semplice
di quella dell’Inferno, perché nel Purgatorio ci sono sono
quelli che hanno commesso uno dei 7 peccati capitali. I
ladri, gli assassini, i fraudolenti e i traditori non hanno
nessuna speranza di salvezza.
L’anima che arriva al Purgatorio deve liberarsene di tutte le
illusioni della vita terrena, deve conquistare il libero
arbitrio, deve salire in cielo con la coscienza piena di sé
stessa. Per arrivare in Paradiso totalmente liberate dal
peccato, le anime passano per i vari gironi, per espiare
tutte le tendenze peccaminose che portano in sé.
Il Purgatorio
Il purgatorio è una montagna che sta nell’oceano
disabitato che ricopre la metà meridionale, australe
della sfera terrestre. Ha la forma di un cono, però
lassù non vi è una punta, ma una pianura. È
antipodo di Gerusalemme, cioè è posto nella sfera
terrestre nel punto diametralmente opposto a
Gerusaleme; tutto ill mondo dantesco si svolge
intorno a una linea ideale, che, partendo, da sotto
questa città, è per così dire l’asse intorno al quale si
apre il grande imbuto infernale, raggiunge il centro
della terra, risale nell’emisfero australe, costituisce
l’asse interno della montagna del Purgatorio, per
sboccare quindi nel centro del Paradiso terrestre.
(BOSCO, Umberto Dante - il Purgatorio. 2.ed.
Torino: ERI, 1967. p.8)
Il Purgatorio
Ai piedi della montagna c’è una spiaggia. La parte
inferiore del monte e la spiaggia costituiscono
l’antipurgatorio. Il purgatorio comincia solo a
una certa altezza della montagna.
Il purgatorio è diviso in sette gironi, in ognuno di
essi si espia una dei sette vizi capitali in ordine
decrescente di gravità. Il girone più lontano da
Dio, ospita i superbi e l’ultimo i lussuriosi. I
peccatori che possono avere speranza di
salvezza sono: i superbi, gli invidiosi, gli
iracondi, gli accidiosi, gli avari e i prodighi, i
golosi e i lussuriosi.
Il Purgatorio
Lo scrittore, accingendosi a
lavorare attorno al
Purgatorio, ha da vari anni
presente il quadro
linguistico in cui dovrà
essere calata la triplice
materia della Commedia.
Le idee espresse nel De
vulgari eloquentia sono da
un pezzo superate, ché egli
ha trovato uno stile unico
che comprende tutte e tre
le possibilità enunciate
nella trattatistica e insieme
congloba l'elevatezza dello
stile tragico, la fluidità
narrativa del comico,
l'asprezza realistica
dell'elegiaco
PETROCCHI, G. Il Purgatorio di Dante.
Milano: BUR saggistica, 1998.
Canto I, Sandro Botticelli
Il Purgatorio
la seconda cantica è una lunga preparazione al
ritorno di Beatrice, ed è naturale che riaffiorino
alla memoria poetica di Dante quelle tonalità
formali che erano state al centro dell'esperienza
verbale della Vita Nuova. Attraverso strappi,
diversioni verso il recupero realistico, memorie della
presente situazione d'Italia, incontri con amici e con
poeti (è il Purgatorio la cantica dove più fitto vive il
motivo del reincontro con gli amici della giovinezza e
con i maestri del suo tirocinio letterario), tutta la
cantica tende verso il ritorno di Beatrice, e ciò
reca con sé echi delle occasioni poetiche più
elevate della Vita Nuova, reminiscenze di alcune
ballate dalla ondosa musicalità, di erranti
fantasmi di sogni "cortesi" come nel sonetto
Guido, i' vorrei, momenti di abbandono. (PETROCCHI,
G. Il Purgatorio di Dante. Milano: BUR saggistica,
1998.)
Il Purgatorio
A differenza del sistema di pena dell'Inferno quello in atto nel
Purgatorio è duplice (e se ne intende facilmente la ragione: le
anime purganti non debbono solo patire, ma deve esser loro
fornito il mezzo per superare la fase di sofferenza in preparazione
del gaudio eterno): al patimento è unito un esempio morale, di
segno opposto a quello del peccato che le anime scontano nel
secondo regno e che è indispensabile affinché esse siano in grado
di esercitare, o, meglio, di prepararsi ad esercitare la virtù di cui
difettarono in vita, meditando sulla virtù e aspirando fortemente
ad essa. Gli esempi non sono astratti, ma, in forme diverse di
rappresentazione scenica o fonica, nascono dalla storia sacra e da
quella profana antica, anche da antichi prodotti del novellare caro
al popolo devoto; e seguono un percorso non fisso, tranne per il
primo esempio che è sempre relativo alla vita di Maria Vergine, in
quanto assomma tutte le virtù in un supremo grado di perfezione.
La varietà dell'exemplum morale è eccezionale per originalità
d'invenzione, ed è sempre in ordine alla rappresentazione
narrativa specifica d'ogni girone.
Da Petrocchi, Vita di Dante
Il Purgatorio
LE GOFF, J. La nascita del Purgatorio. Torino:Einaudi
La purgazione sulla montagna
si compie in tre modi: con
un castigo materiale
(che mortifica le passioni e
incita alla virtù); con la
meditazione sul peccato
da purgare e sulla virtù
che ne è l’opposto (il
Purgatorio contiene un
trattato delle virtù e dei
vizi), con la preghiera che
purifica l’anima, la fortifica
nella grazia di Dio e ne
esprime la speranza.
(1996:386)
Il principio che informa la
ripartizione delle anime nei
gironi è l’amore. Il fondamento
comune di tutti i peccati è
l’assenza dell’amor di Dio, cioè
del bene... La montagna del
Purgatorio restaura il vero
amore, la scalata del Purgatorio
è una risalita verso il bene.
(387)
Tutta la logica di questo Purgatorio
montano risiede nel progresso
che si compie salendo: ad ogni
passo l’anima progredisce,
diventa più pura [e più leggera
– e più rapida, al contrario di
quelle che vanno
nell’antipurgatorio]. (p.387)
Nel Purgatorio la giustizia divina
(che fa soffrire le anime) si
confonde con la misericordia e
con la speranza di modo che
attenua la sofferenza man mano
che ci si eleva. (p.388)
LE GOFF, J. La nascita del Purgatorio. Torino:Einaudi
Dante fu sicuramente il più grosso teologo del Purgatorio dato che
raccolse tutti gli elementi precedentemente proposti e offrì un
modello esaustivo che rispondeva a tutte le domande sopracitate.
Esiste ancora uno spazio per il Purgatorio ?
La risposta va trovata nell’evoluzione intercorsa tra il Medioevo e i
nostri giorni. Il Purgatorio nacque in una società fortemente
comunitaria, in cui la morte e il peccato non erano questioni
individuali riguardanti l’uomo e Dio, ma coinvolgevano una
pluralità di rapporti difficilmente immaginabili per noi moderni.
L’apparizione di un defunto che richiedeva suffragi veniva
puntualmente raccolta e trascritta da qualche ecclesiastico colto
per essere inserita in quadro di rapporti sociali che non
coinvolgevano mai due persone, ma sempre, e almeno, tre : il
morto, colui che riceve la visione, l’intermediario che la trascrive.
Ci si può chiedere, nella nostra prospettiva, se quei meccanismi
fossero soltanto funzionali a mettere in giro una credenza, ma
quello di cui bisogna tener conto è che difficilmente un alto
ecclesiastico, persona colta e difficilmente “credulona”,
“inventava” apparizioni, visioni, ma, anzi, si premurava di
trascrivere soltanto ciò che aveva potuto accertare personalmente.
Tutta la società spingeva a credere che dovesse esistere un luogo
in cui il peccatore poteva redimersi, in cui il peccato non
coincidesse tragicamente con la dannazione dell’anima. Noi
viviamo dopo l’Illuminismo ed è da qui bisogna partire. Tutto
l’apparato di credenze elaborato dal Medioevo è stato considerato
pura superstizione che la Ragione poteva facilmente comprendere
e criticare, in prospettiva della costruzione di una società basata
su rapporti razionali.
Il Purgatorio
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Antipurgatorio - Spiaggia, Anime
appena sbarcate
Antipurgatorio - ai piedi della
montagna, Scomunicati
Antipurgatorio - Balzo 1, Pentiti in
punto di morte
Antipurgatorio - Balzo 2, Morti di
morte violenta
Antipurgatorio - Valletta, Principi
negligenti
Antipurgatorio - Porta
Cornice I, Superbi
Cornice II, Invidiosi
Cornice III, Iracondi
Cornice IV, Accidiosi
Cornice V, Avari e Prodighi
Cornice VI, Golosi
Cornice VII, Lussuriosi
Paradiso Terrestre
Balzo = luogo scosceso, ripiano nel pendio di un monte
Il Purgatorio
Ordinamento del Purgatorio
Dante ordina la struttura della montagna del Purgatorio
partendo dall'affermazione evangelica che "Dio è amore"
(Giovanni 4,8): nessuna creatura, di conseguenza, è senza
amore, sia esso istintivo o motivato da una scelta. L'amore
istintivo non può sbagliare oggetto, in quanto è come una
bussola posta nel cuore dell'uomo per dirigerlo verso il
proprio fine.
L'amore motivato da una scelta, invece, può errare per
eccessiva od insufficiente forza nel conseguire i propri
obiettivi oppure per essersi volto ad un cattivo oggetto: da
ciò si può dedurre che tale amore può essere, insieme,
origine di ogni virtù e di ogni peccato. Poichè ogni creatura
vuole naturalmente il proprio bene, nessuna creatura odia
se stessa; e poichè ogni creatura non può odiare se stessa,
nessuna creatura può odiare il suo creatore.
http://www.ladante.it/dantealighieri/hochfeiler/purgator/naviga/purg.htm
Il Purgatorio
canto I
Per correr miglior acque alza le
vele
omai la navicella del mio
ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì
crudele;
e canterò di quel secondo
regno
dove l'umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.
Ma qui la morta poesì resurga,
o sante Muse, poi che vostro
sono;
e qui Calïopè alquanto surga,
seguitando il mio canto con
quel suon
di cui le Piche misere sentiro
lo colpo tal, che disperar
perdono.
Calïopè _- Le Figlie di Zeus e della ninfa
Mnemosine, erano nell'Olimpo greco le
divinità che sovraintendevano alle arti.
Calliope, che già Esiodo riteneva la più nobile
delle Muse, è l'ispiratrice e la protettrice della
poesia in generale e della poesia epica ed
elegiaca in particolare. Nei lessici medievali
Dante poteva trovare anche il significato del
nome: "dalla bella voce".
Piche misere - Le figlie di Pierio, re di Tessaglia,
ebbero un giorno l'audacia di sfidare nel
canto le Muse.
Calliope, tuttavia, le vinse e per le fanciulle
fu subito chiaro che alla sconfitta sarebbe
seguita la punizione ("disperar perdono" Pg.
I,12).
La Musa, infatti, le tramutò in gazze (piche)
Da
http://www.ladante.it/dantealighieri/hochfeiler/purgator/cit
ati/c_muse.htm.
Il Purgatorio
canto I
Dolce color d'orïental zaffiro,
che s'accoglieva nel sereno
aspetto
del mezzo, puro infino al primo
giro,
li occhi miei ricominciò diletto,
tosto ch'io usci' fuor de l'aura
morta
che m'avea contristati li occhi e 'l
petto.
Lo bel pianeto che d'amar
confort
faceva tutto rider l'orïente,
velando i Pesci ch'erano in sua
scorta.
mi volsi a man destra, e puosi
mente
a l'altro polo,
e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch'a la prima
gente.
Goder pareva 'l ciel di lor
fiammelle
oh settentrïonal vedovo sito
poi che privato se' di mirar
quelle!
Com'io da loro sguardo fui
partito,
un poco me volgendo a l 'altro
polo,
là onde 'l Carro già era sparito,
Il Purgatorio
canto I
Dolce color d'orïental zaffiro
Buti afirma que a safira é uma pedra preciosa de
cor entre celeste e o azul, muito agradável à
vista, e que a safira oriental é uma variedade que
se encontra na Média.
No verso citado, Dante sugere a cor do Oriente
por meio de uma safira em cujo nome se
encontra o Oriente. Insinua, assim, um jogo
recíproco que bem pode ser infinito
Borges , J. L. Nove ensaios dantescos
Il Purgatorio
canto I
vidi presso di me un veglio solo,
degno di tanta reverenza in vista,
che più non dee a padre alcun
figliuolo.
Lunga la barba e di pel bianco
mista
portava, a' suoi capelli
simigliante,
de' quai cadeva al petto doppia
lista
Li raggi de le quattro luci sante
fregiavan sì la sua faccia di lume,
ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse
davante.
Il Purgatorio
canto I
«Chi siete voi che contro al cieco
fiume
fuggita avete la pregione
etterna?»
diss'el, movendo quelle oneste
piume.
Chi v'ha guidati, o che vi fu
lucerna,
uscendo fuor de la profonda
notte
che sempre nera fa la valle
inferna?
Son le leggi d'abisso così rotte?
o è mutato in ciel novo consiglio,
che, dannati, venite a le mie
grotte?»
Lo duca mio allor mi diè di piglio
e con parole e con mani e con
cenni
reverenti mi fé le gambe e 'l
ciglio.
Poscia rispuose lui: «Da me non
venni:
donna scese del ciel, per li cui
prieghi
de la mia compagnia costui
sovvenni.
Ma da ch'è tuo voler che più si
spieghi
di nostra condizion com'ell'è
vera,
esser non puote il mio che a te si
nieghi.
Il Purgatorio
canto I
Questi non vide mai l'ultima sera;
ma per la sua follia le fu sì
presso,
che molto poco tempo a volger
era.
Sì com'io dissi, fui mandato ad
esso
per lui campare; e non lì era altra
via
che questa per la quale i' mi son
messo.
Mostrata ho lui tutta la gente ria:
e ora intendo mostrar quelli
spirti
che purgan sé sotto la tua balìa.
Com'io l'ho tratto, saria lungo a
dirti;
de l'alto scende virtù che m'aiuta
conducerlo a vederti e a udirti.
Il Purgatorio
canto I
Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu 'l sai, ché non ti fu per lei
amara
in Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch'al gran dì sarà sì
chiara.
Non son li editti etterni per noi
guasti,
ché questi vive, e Minòs me non
lega;
ma son del cerchio ove son li
occhi casti
Il Purgatorio
canto I
di Marzia tua, che 'n vista ancor ti
priega,
o santo petto, che per tua la tegni:
per lo suo amore adunque a noi ti
piega.
Lasciane andar per li tuoi sette
regni;
grazie riporterò di te a lei,
se d'esser mentovato là giù degni».
Marzïa piacque tanto a li occhi miei
mentre ch'i' fu' di là», diss'elli
allora
«che quante grazie volse da me,
fei.
Or che di là dal mal fiume dimora,
più muover non mi può, per quella
legge
che fatta fu quando me n'usci'
fora.
Ma se donna del ciel ti muove e
regge
come tu di', non c'è mestier
lusinghe:
bastisi ben che per lei mi
richegge.
Va dunque, e fa che tu costui
ricinghe
d'un giunco schietto e che li lavi
'l viso,
sì ch'ogne sucidume quindi
stinghe;
ché non si converria, l'occhio
sorpriso
d'alcuna nebbia, andar dinanzi al
primo
ministro, ch'è di quei di paradiso.
Questa isoletta intorno ad imo ad
imo
là giù colà dove la batte l'onda,
porta di giunchi sovra 'l molle
limo;
Il Purgatorio
canto I
null'altra pianta che facesse fronda
o indurasse, vi puote aver vita,
però ch'a le percosse non seconda.
Poscia non sia di qua vostra
reddita;
lo sol vi mosterrà, che surge omai
prendere il monte a più lieve
salita».
Così sparì; e io sù mi levai
sanza parlare, e tutto mi ritrassi
al duca mio, e li occhi a lui drizzai.
El cominciò: «Figliuol, segui i miei
passi
volgianci in dietro, ché di qua
dichina
questa pianura a' suoi termini
bassi».
Il Purgatorio
canto I
L'alba vinceva l'ora mattutina
che fuggia innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar de la marina.
Noi andavam per lo solingo piano
com'om che torna a la perduta
strada,
che 'nfino ad essa li pare ire in
vano
Quando noi fummo là 've la rugiada
pugna col sole, per essere in parte
dove, ad orezza, poco si dirada,
ambo le mani in su l'erbetta sparte
soavemente 'l mio maestro pose:
ond'io, che fui accorto di sua arte,
Il Purgatorio
canto I
porsi ver' lui le guance lagrimose
ivi mi fece tutto discoverto
quel color che l'inferno mi
nascose.
Venimmo poi in sul lito diserto
che mai non vide navicar sue
acque
omo, che di tornar sia poscia
esperto.
Quivi mi cinse sì com'altrui
piacque:
oh maraviglia! ché qual elli
scelse
l'umile pianta, cotal si rinacque
subitamente là onde l'avelse.
Il Purgatorio
canto I
“Come ha voluto Catone, Virgilio, in una simbolica luce
d’alba, purifica con la rugiada il volto di Dante e, in riva
al mare, gli cinge i fianchi di un ramo di giunco. È un rito
di rinnovamento e di rinascita, in cui tutti gli elementi
hanno un valore simbolico: l’alba assume il valore della
speranza di recuperare il bene, in contrapposizione al
buio infernale, che simboleggia il peccato; la solitudine
del luogo e il riferimento allo smarrimento ricordano la
caduta nel peccato e l’importanza della Grazia divina per
recuperare il bene; l’abluzione del viso di Dante, su cui
erano ancora le tracce delle lacrime versate durante il
viaggio infernale, simboleggia la riconquista della virtù;
il giunco, per la sua flessibilità e assenza di nodi,
rappresenta l’umiltà necessaria al penitente per
accettare le pene espiatorie. Il rinascere del giunco,
infine, indica la forza dell’umiltà, virtù inesauribile”
Luperini
Figura
AUERBACH, E. Figura. Trad. Duda Machado. Introdução de Modesto Carone.
São Paulo: Ática, 1997.
Auerbach afirma que “figura é mais concreta e
dinâmica do que forma”. (p.17). Acrescentará
ainda outras derivações como “cópia”, “ficção”,
“visão de sonho”.
afirma que a figura difere-se da alegoria que pode
ter várias maneiras de representar como as
formas simbólicas ou míticas. O crítico observa
que “O simbolo deve possuir poder mágico, a
figura não; a figura , por outro lado, deve ser
histórica, mas o símbolo não” (p.49)
Figura
“Catão de Útica foi designado por Deus guardião da entrada do Purgatório:
um pagão, um inimigo de César e um suicida” ...”O enigma é resolvido
pelas palavras de Virgílio, ao afirmar que Dante procura a liberdade,
tão preciosa como tu próprio sabes, tu que por ela renunciaste à vida. A
história de Catão é retirada de seu contexto terreno-político, tal como
as histórias de Isaac, Jacó etc. também foram retiradas de seus
contextos pelos exegetas patrísticos do Velho testamento e convertidas
em figura futurorum. Catão é uma figura, ou melhor, o Catão terreno,
que renunciou a vida em nome da liberdade, era uma figura, e o Catão
que agora aparece no Purgatório é a figura revelada ou preenchida, a
verdade daquela situação temporal. A liberdade terreno-política pela
qual morreu era apenas uma umbra futurorum: uma perfiguração da
liberdade cristã de que agora foi designado guardião e em nome da
qual resiste a toda a tentação terrena; a liberdade cristã ante os
impulsos do mal, que conduz ao verdadeiro autodomínio, aquela
liberdade em nome de cuja conquista Dante é cingido com os juncos da
humildade, até que, no alto da montanha, ele possa conquistá-la de
fato e seja coroado por Virgílio como senhor de si mesmo. A escolha
voluntária da morte por Catão para libertar-se da servidão política é
mostrada como uma figura para a eterna liberdade dos filhos de Deus,
em nome da qual as coisas terrenas devem ser rejeitadas, para que a
alma liberte-se da servidão do pecado” (p.55-6).
Figura
“Não há dúvida de que Catão
é uma figura; não uma
alegoria, como as
personagens do Roman de
la rose, mas uma figura
que se tornou a verdade. A
Comédia é uma visão que
considera e proclama a
verdade figural como já
preenchida; caracteriza-se
precisamente por realizar,
inteiramente dentro do
espírito de interpretação
figural, a ligação da
verdade revelada pela
visão com os
acontecimentos terrenos,
históricos” (p.57)
Figura
Catão era um homem severo, justo, mas piedoso
que em um momento importante do próprio
destino coloca a liberdade acima da morte.
Auerbach salienta que ele, no Purgatório,
“permanece um indivíduo único, tal como Dante
o via; mas é alçado acima de sua provisória
condição humana, na qual considerava a
liberdade política como o bem supremo... e
transposto para uma condição de preenchimento,
não mais voltado para os deveres mundanos de
virtude cívica ou legal, mas para o ben
dell’intelleto, o mais alto bem, a liberdade da
alma imortal diante de Deus” (p.57)
Il Purgatorio
canto II
Già era 'l sole a l'orizzonte
giunto
lo cui merïdian cerchio coverchi
Ierusalèm col suo più alto
punto;
sì che le bianche e le vermiglie
guance
là dov'i' era, de la bella Aurora
per troppa etate divenivan
rance.
la notte, che opposita a lui
cerchia,
uscia di Gange fuor con le
Bilance,
che le caggion di man quando
soverchia;
Ed ecco, qual, sorpreso dal
mattino,
per li grossi vapor Marte
rosseggia
giù nel ponente sovra 'l suol
marino,
sì che le bianche e le vermiglie
guance
là dov'i' era, de la bella Aurora
per troppa etate divenivan
rance.
cotal m'apparve, s'io ancor lo
veggia,
un lume per lo mar venir sì
ratto,
che 'l muover suo nessun volar
pareggia.
Il Purgatorio
canto II
Dal qual com'io un poco ebbi
ritratto
l'occhio per domandar lo
duca mio,
rividil più lucente e maggior
fatto.
Poi d'ogne lato ad esso
m'appario
un non sapeva che bianco, e
di sotto
a poco a poco un altro a lui
uscio.
Lo mio maestro ancor non
facea motto,
mentre che i primi bianchi
apparver ali;
allor che ben conobbe il
galeotto,
Il Purgatorio
canto II
gridò: «Fa, fa che le ginocchia
cali.
Ecco l'angel di Dio: piega le
mani
omai vedrai di sì fatti officiali.
Vedi che sdegna li argomenti
umani
sì che remo non vuol, né altro
velo
che l'ali sue, tra liti sì lontani.
Vedi come l'ha dritte verso 'l
cielo
trattando l'aere con l'etterne
penne,
che non si mutan come mortal
pelo».
Il Purgatorio
canto II
Poi, come più e più verso noi
venne
l'uccel divino, più chiaro
appariva:
per che l'occhio da presso nol
sostenne,
ma chinail giuso; e quei sen
venne a riva
con un vasello snelletto e
leggero,
tanto che l'acqua nulla ne
'nghiottiva.
Da poppa stava il celestial
nocchiero,
tal che faria beato pur
descripto;
e più di cento spirti entro
sediero.
'In exitu Isräel de Aegypto (1)
cantavan tutti insieme ad una
voce
con quanto di quel salmo è
poscia scripto.
Poi fece il segno lor di santa
croce
ond'ei si gittar tutti in su la
piaggia;
ed el sen gì, come venne, veloce.
(1) “Quando il popolo di Israele fu liberato
dall’Egitto”. Le anime, al momento
dell’approdo, intonano il salmo 113 in
cui si canta la livberazione degli ebrei
dalla schiavitù dell’Egitto. Si usava
cantare questo salmo nei funerali.
Il Purgatorio
canto II
Da tutte parti saettava il
giorno
lo sol, ch'avea con le saette
conte
di mezzo 'l ciel cacciato
Capricorno,
quando la nova gente alzò la
fronte
ver' noi, dicendo a noi: «Se
voi sapete,
mostratene la via di gire al
monte».
E Virgilio rispuose: «Voi
credete
forse che siamo esperti
d'esto loco;
ma noi siam peregrin come
voi siete.
Il Purgatorio
canto II
Dianzi venimmo, innanzi a voi
un poco,
per altra via, che fu sì aspra
e forte,
che lo salire omai ne parrà
gioco».
L'anime, che si fuor di me
accorte,
per lo spirare, ch'i' era ancor
vivo,
maravigliando diventaro
smorte.
E come a messagger che
porta ulivo
tragge la gente per udir
novelle,
e di calcar nessun si mostra
schivo,
così al viso mio s'affisar
quelle
anime fortunate tutte
quante,
quasi oblïando d'ire a farsi
belle.
I
o vidi una di lor trarresi
avante
per abbracciarmi con sì
grande affetto,
che mosse me a far lo
somigliante.
Ohi ombre vane, fuor che ne
l'aspetto!
tre volte dietro a lei le mani
avvinsi,
e tante mi tornai con esse al
petto.
Il Purgatorio
canto II
Di maraviglia, credo, mi
dipinsi:
per che l'ombra sorrise e si
ritrasse,
e io, seguendo lei, oltre mi
pinsi.
Casella mio, per tornar altra
volta
là dov'io son, fo io questo
viaggio»,
diss'io; «ma a te com'è tanta
ora tolta?»
«
Soavemente disse ch'io
posasse;
allor conobbi chi era, e pregai
che, per parlarmi, un poco
s'arrestasse.
Ed elli a me: «Nessun m'è fatto
oltraggio
se quei che leva quando e cui li
piace,
più volte m'ha negato esto
passaggio;
Rispuosemi: «Così com'io
t'ama
nel mortal corpo, così t'amo
sciolta:
però m'arresto; ma tu perché
vai?»
ché di giusto voler lo suo si
face
veramente da tre mesi elli ha
tolto
chi ha voluto intrar, con tutta
pace.
Il Purgatorio
canto II
Ond'io, ch'era ora a la marina
vòlto
dove l'acqua di Tevero s'insala,
benignamente fu' da lui
ricolto.
di ciò ti piaccia consolare
alquanto
l'anima mia, che, con la sua
persona
venendo qui, è affannata
tanto!»
A quella foce ha elli or dritta
l'ala
però che sempre quivi si
ricoglie
qual verso Acheronte non si
cala».
'Amor che ne la mente mi
ragiona‘
cominciò elli allor sì
dolcemente,
che la dolcezza ancor dentro
mi suona.
E io: «Se nuova legge non ti
toglie
memoria o uso a l'amoroso
canto
che mi solea quetar tutte mie
doglie,
Lo mio maestro e io e quella
gente
ch'eran con lui parevan sì
contenti,
come a nessun toccasse altro la
mente.
Il Purgatorio
canto II
Noi eravam tutti fissi e attenti
a le sue note; ed ecco il veglio
onesto
gridando: «Che è ciò, spiriti
lenti?
qual negligenza, quale stare è
questo?
Correte al monte a spogliarvi
lo scoglio
ch'esser non lascia a voi Dio
manifesto».
Come quando, cogliendo biado
o loglio,
li colombi adunati a la pastura,
queti, sanza mostrar l'usato
orgoglio,
Il Purgatorio
canto II
se cosa appare ond'elli
abbian paura,
subitamente lasciano star
l'esca,
perch'assaliti son da maggior
cura;
così vid'io quella masnada
fresca
lasciar lo canto, e fuggir ver'
la costa,
com'om che va, né sa dove
riesca:
né la nostra partita fu men
tosta.
Il Purgatorio
canto II
Il sorgere del sole sulla
spiaggia del Purgatorio
è in evidente
opposizione
Al tramonto che
inaugurava il canto II
dell’Inferno. Alla
discesa nella notte
della valle infernale
succede adesso
l’ingresso nel regno
della speranza, la cui
ora è appunto l’alba, il
tempo della promessa
(V. Russo)
Inferno – canto II
Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno
m'apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra.
Purgatorio – canto II
Già era 'l sole a l'orizzonte giunto
lo cui merïdian cerchio coverchi
Ierusalèm col suo più alto punto;
la notte, che opposita a lui cerchia,
uscia di Gange fuor con le Bilance,
che le caggion di man quando
soverchia;
Il Purgatorio
canto II
Osserva finemente il Chiari che, nonostante il brusco richiamo di
Catone alla realtà, il paragone dei colombi "ci riporta alla quiete
offerta dalla amorosa pastura del canto di Casella, e bene
armonizza con tutta l'immagine di dolce mitezza con la quale è
entrata nell'animo nostro questa prima delle molte schiere di
anime che incontreremo lungo la montagna del purgatorio; ed è
immagine del nuovo mondo, ove deve sparire del tutto ogni
turbamento del mondo terreno". A questa la prima delle
similitudini che illustrano la condizione delle anime dei purgatorio,
caratterizzata, come ha ben veduto il De Sanctis, dall'obliarsi della
coscienza individuale "in uno stesso spirito di carità e d'amore.
Nell'Inferno vi sono grandi individualità, ma non vi sono cori;
l'odio è solitario: nel Purgatorio non ci ha grandi individualità, ma
invece vi son cori: l'amore è simpatia, dualità, un'anima che cerca
un'altra anima". Per questo numerose similitudini della seconda
cantica riguardano gruppi di anime, anziché anime singole,
propongono alla nostra meditazione il tema dell'umiltà e
dell'armonia, anziché quello dell'affermazione orgogliosa di sé che
introduce nell'universo il seme della ribellione e del disordine.
2000 © Luigi De Bellis - [email protected]
Il Purgatorio
canto III - Manfredi
E un di loro incominciò: «Chiunque
tu se', così andando, volgi 'l viso:
105 pon mente se di là mi vedesti
unque».
Io mi volsi ver lui e guardail fiso:
biondo era e bello e di gentile aspetto,
108 ma l'un de' cigli un colpo avea
diviso.
.
Quand'io mi fui
umilmente disdetto
d'averlo visto mai, el
disse: «Or vedi»;
111 e mostrommi una
piaga a sommo 'l
petto.
Poi sorridendo disse: «Io
son Manfredi,
nepote di Costanza
imperadrice;
114 ond'io ti priego che,
quando tu riedi,
Codice Chigi: Nozze di Enrico VI
con Costanza d'Altavilla.
Stemma d'oro, con l'aquila
spiegata di nero
Il Purgatorio
canto III - Manfredi
vadi a mia bella figlia, genitrice
de l'onor di Cicilia e d'Aragona,
117 e dichi 'l vero a lei, s'altro si
dice
Poscia ch'io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi
rendei,
120 piangendo, a quei che
volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran
braccia,
123 che prende ciò che si rivolge
a lei.
Incoronazione di Manfredi nel duomo di Palermo,
dalla Cronaca del Villani.
Il Purgatorio
canto III- Manfredi
Se 'l pastor di Cosenza, che
a la caccia
di me fu messo per
Clemente allora,
126 avesse in Dio ben letta
questa faccia,
l'ossa del corpo mio
sarieno ancora
in co del ponte presso a
Benevento,
129 sotto la guardia de la
grave mora.
Il Purgatorio
canto III - Manfredi
Or le bagna la pioggia e move il
vento
di fuor dal regno, quasi lungo 'l
Verde,
132 dov'e' le trasmutò a lume
spento.
per ognun tempo ch'elli è stato,
trenta,
in sua presunzïon, se tal decreto
141 più corto per buon prieghi
non diventa.
Per lor maladizion sì non si perde
che non possa tornar, l'etterno
amore,
135 mentre che la speranza ha
fior del verde.
Vedi oggimai se tu mi puoi far
lieto,
revelando a la mia buona
Costanza
come m'hai visto, e anco esto
divieto;
Vero è che quale in contumacia
more
di Santa Chiesa, ancor ch'al fin si
penta,
138 star li convien da questa ripa
in fore,
145 ché qui per quei di là molto
s'avanza».
MANFREDI
nasce nel 1232 ed accompagna il padre in molte avventure
militari e diplomatiche, lo assiste in punto di morte il 13
dicembre 1250. Per testamento Federico gli lega varie
rendite e possedimenti e soprattutto lo nomina vicario
del Regno di Sicilia che aveva assegnato a Corrado IV —
il primogenito figlio di Iolanda di Brienne — che al
momento si trovava in Germania. Questa decisione lo
inimica subito al Papa, che avrebbe voluto liberamente
disporre dell’intero patrimonio svevo.
Fin dall’inizio la reggenza si dimostra difficile, anche se i
rapporti tra i due fratelli promettono di essere buoni.
Diventa sovrano dopo la morte del fratello Corrado IV, enl
1258, secondo alcuni, com la fasa notizia della morte del
nipote Corradino erede del trono paterno.
Da Luperini e da http://www.stupormundi.it/Manfredi.htm
MANFREDI
Nel nuovo ruolo, Manfredi
rafforza la compagine
interna del Regno, ogni
residuo di ribellione e
dissenso.
Contemporaneamente, cerca
in Italia ed in Germania
alleanze contro il Papato ed i
nemici che questi gli
avrebbe inevitabilmente
procurato.
Sotto il profilo governativo,
prosegue la politica paterna:
solidarietà con i Ghibellini di
tutta Italia ma senza cercare
la guerra.
Sotto il profilo culturale e
legislativo, l’intelligenza, la
sapienza, la cultura, lo
conducono a proporre ai
sudditi un periodo di
illuminata serenità, anche se
non avrà il tempo di
raccoglierne i frutti.
MANFREDI
Nel nuovo ruolo, Manfredi rafforza la compagine interna del
Regno, distruggendovi Sotto il profilo dell’eleganza, la vita
alla Corte di un Re giovane, bello, con gli occhi azzurri, i
capelli e la barba fini… si svolge in un clima di gioioso,
ricco di donne belle e raffinate; cose queste che
consentono alla propaganda guelfa di alimentare dicerie ed
accuse di corruzione.
Ma i tempi stringono. Il nuovo Papa Clemente IV, succeduto a
Urbano IV, ha già individuato in Carlo I d’Angiò, fratello di
Luigi IX, il Re Santo di Francia, l’uomo che spazzerà via
Manfredi dal Regno di Sicilia.
Clemente IV inizia quindi è ad inviare a governi alleati e
compiacenti messaggi di mobilitazione che alla fine si
esprimono nel lancio contro Manfredi di una Crociata che
rasenta il fanatismo;
è a corrompere con il denaro i governanti che non
condividono i suoi obiettivi; è a fare ogni sforzo per
agevolare con ogni mezzo la strada di Carlo I.
MANFREDI
Battaglia di
Benevento: Carlo I
d'Angiò opposto a
Manfredi (1266).
Biblioteca Nazionale
di Francia (FR 2813)
fol. 295 Grandes
Chroniques de
France
France, Paris, 14th
Century.
MANFREDI
Il mattino del 26 febbraio, seguendo il
consiglio di un astrologo, Manfredi
decide l’attacco. Dopo un aspro scontro,
le sue forze sono sopraffatte.
Sconfitta di Manfredi
Febbraio 1266).
a
Benevento
(26
Manfredi potrebbe lasciare il
campo, mettersi in salvo,
allontanarsi dal Regno in attesa
di tempi più favorevoli. Ma non
vuole abbandonare i suoi prodi
che combattono al grido di
"Svevia!". Deciso a gettarsi
nella mischia, sta vestendo
l’armatura, quando l’aquila reale
si stacca dall’elmo e cade in
terra. "Ecco la volontà di Dio"
mormora: è il segno della fine.
La giornata si conclude con un
massacro e Carlo I resta
padrone del campo. Uno dei suoi
soldati aveva ucciso Manfredi
con un colpo di spada, senza
nemmeno riconoscerlo.
Da http://www.stupormundi.it/Manfredi.htm
Il Purgatorio
canto III
Manfredi è presentato da Dante con pochi tratti ma significativi:
la bellezza e la gentilezza, il sorriso. Egli è il rappresentante di
un mondo aristocratico, caratterizzato da valori, quali la
magnanimità, la liberalità, la cortesia in via di estinzione al
tempo di Dante....
La vicenda di Manfredi fa riflettere inoltre sulla validità della
scomunica pontificia e sulla grandezza della misericordia
divina in contrapposizione all’odio umano.
La posizione di Dante è chiara: la scomunica, se comminata per
fini politici, non può determinare il destino ultraterreno di
un’anima. Dante coraggiosamente salva Manfredi,
immaginando il suo pentimento in punto di morte...
La riesumazione poi del corpo di Manfredi e la sua traslazione in
terra sconsacrata ad opera del vescovo di Cosenza, su ordine di
Clemente IV sono un’ulteriore prova della strumentalizzazione
dei poteri religiosi. L’odio umano permane sino dopo la morte,
ma è grande la misericordia divina, nella sua imperscrutabilità.
Da MINEO, N. et alii, La Divina Commedia - testi, strumenti, percorsi. Palumbo, 1999.
Il Purgatorio
canto III
Ettore Caccia, nel suo testo Il canto III del Purgatorio
(Firenze, Le Monnier, 1963), afferma che la figura di
Manfredi porta con sé malinconia e speranza. Il dramma
della colpa (non tanto grande come si crede nel mondo dei
vivi), la difficoltà della salita, la tragedia della sconfitta e
dell’odio verso la sua figura anche dopo la morte [però la
sua speranza si accende ancor di più quando vede Dante
vivo che può ritornare e portare notizie sue a sua figlia e
chiederle di pregare per lui].
La storia di Manfredi riflette due motivi fondamentali del
Purgatorio: malinconia e speranza (che possono
corrispondere alla nostalgia di Dante per la patria natia e la
speranza di poter tornarci).
La malinconia e la speranza sono le ragioni poetiche, perché
sono le vive compagne di ogni umana vicenda e le ispiratrici
di tanti moti del cuore. (p.132)
Il Purgatorio
canto III
Ora, tra malinconia e speranza si trama pure il tessuto
poetico di fondo del canto terzo... Qui la malinconia è già
nel primo tremore di solitudine di Dante, e nell’ accenno
di Virgilio al proprio corpo sepolto lontano, in una terra
su cui già è scesa la sera; malinconia è nel motivo del
silenzio, dell’isolamento, del raccoglimento...” (p.132-3)
[La solitudine e la malinconia fanno parte della
purgazione dei peccati, perché ognuno deve subire da
solo i patimenti del purgatorio per poter liberarsi del
peccato e della materia].
Apud PETROCCHI, G. Il Purgatorio di Dante. Milano: BUR saggistica,
1998.
Il Purgatorio
canto III
Fissiamo un modulo di scrittura che sia legato all'exemplum: esso
potrebb'essere costituito dal personaggio di Manfredi: figura
descritta con procedimento insolito: biondo era e bello e di
gentile aspetto (in Purg., III,107) in un'opera in cui, con recisa
decisione, anche per i personaggi femminili (e faccia eccezione
qualche tratto di Beatrice) è espunta qualsivoglia stasi
fisiognomica, e non per altro motivo che per far emergere
ancora di più nel panorama dei personaggi un uomo cui era
andata l'esecrazione del casato degli Alighieri e della propria
parte politica (di quel guelfismo oltranzista cui Dante aveva
aderito oltre dieci anni prima), e che ora sente caduta
nell'errore d'aver combattuto proprio coloro, Manfredi o
Corradino (combattuto o consentito che gli alleati del momento
li combattessero: gli Angioini), i quali avrebbero potuto
precedere d'un cinquantennio l'arrivo del Veltro, se la bassezza
degli uomini, il loro gusto dello scontro e dell'assoluto diniego
non avessero infranto i più che sacrosanti sogni di redenzione
dell'umanità dei giovani prìncipi.
PETROCCHI, G. Vita di Dante
Purgatorio IX
- entrata nel Purgatorio - riassunto
L’alba del nuovo giorno
sorprende Dante
immerso nel sonno,
mentre si trova ancora
nella valletta dei
principi. In sogno gli
appare un’aquila dalle
ali d’oro e gli sembra
che essa, dopo averlo
ghermito, prenda fuoco.
Spaventato dalla visione
il poeta si sveglia
bruscamente,
Purgatorio IX
riassunto
ma viene subito confortato dalla vista di Virgilio, il quale lo
informa che sono finalmente giunti all’ingresso del Purgatorio
e che è stata Lucia - simbolo della Giustizia e quindi apparsa a
Dante come aquila - a portarlo dalla valletta alla soglia del
secondo regno. Si legge a questo punto un secondo appello al
lettore che viene avvisato, analogamente a quanto Dante ha
già fatto nel canto ottavo, che la materia della sua poesia si va
innalzando sempre più e che pertanto essa richiede sempre
maggiore concentrazione. I due pellegrini giungono quindi alla
porta del Purgatorio cui si accede salendo tre scalini di tre
colori diversi (il primo di marmo bianco, il secondo di una
pietra quasi nera, il terzo di porfido rosso): la porta è custodita
da un angelo che impugna una spada e che, seduto sulla soglia
(che a Dante sembra di diamante) poggia i piedi sul gradino
più alto. Costui interroga Virgilio su chi li abbia condotti fin lì e
il poeta latino risponde che loro guida è stata Lucia. All’umile
richiesta di Dante di poter varcare quella soglia, il guardiano
celeste inscrive prima sulla fronte del poeta sette P - tante
quante i peccati di cui egli via via andrà purificandosi - per
aprire poi con due chiavi la porta sacra. Al cigolare dei cardini,
si sovrappone un altro rumore, simile a quello prodotto
dall’esecuzione di un canto accompagnato dall’organo.
http://www.italica.rai.it/principali/dante/strumenti/riassunti.htm
Purgatorio IX
Dianzi, ne l'alba che procede al
giorno,
quando l'anima tua dentro dormia,
54 sovra li fiori ond'è là giù addorno
venne una donna, e disse: "I' son
Lucia;
lasciatemi pigliar costui che dorme;
57 sì l'agevolerò per la sua via".
Sordel rimase e l'altre genti forme;
ella ti tolse, e come 'l dì fu chiaro,
60 sen venne suso; e io per le sue
orme.
Qui ti posò, ma pria mi dimostraro
li occhi suoi belli quella intrata
aperta;
63 poi ella e 'l sonno ad una se
n'andaro».
Sordello - Sordello da Goito fu un trovatore
dell'Italia settentrionale (territorio di
Mantova), che si ispirò nella sua attività
poetica al modello provenzale, ed adottò la
lingua d'oc per i suoi versi.
Purgatorio IX
A guisa d'uom che 'n dubbio
si raccerta
e che muta in conforto sua
paura,
66 poi che la verità li è
discoperta,
mi cambia' io; e come sanza
cura
vide me 'l duca mio, su per lo
balzo
69 si mosse, e io di rietro
inver' l'altura.
Lettor, tu vedi ben com'io
innalza
la mia matera, e però con più
arte
72 non ti maravigliar s'io la
rincalzo.
Noi ci appressammo, ed eravamo
in parte,
che là dove pareami prima rotto,
75 pur come un fesso che muro
diparte,
vidi una porta, e tre gradi di
sotto
per gire ad essa, di color diversi,
78 e un portier ch'ancor non
facea motto.
E come l'occhio più e più
v'apersi,
vidil seder sovra 'l grado
sovrano,
81 tal ne la faccia ch'io non lo
soffersi;
e una spada nuda avëa in mano,
che reflettëa i raggi sì ver' noi,
84 ch'io drizzava spesso il viso in
vano.
Purgatorio IX
«Dite costinci: che volete
voi?»,
cominciò elli a dire, «ov'è la
scorta?
87 Guardate che 'l venir sù
non vi nòi».
«Donna del ciel, di queste cose
accorta»,
rispuose 'l mio maestro a lui,
«pur dianzi
90 ne disse: "Andate là: quivi è
la porta"».
«Ed ella i passi vostri in bene
avanzi»,
ricominciò il cortese portinaio:
93 «Venite dunque a' nostri
gradi innanzi».
Purgatorio IX
Là ne venimmo; e lo scaglion primaio
bianco marmo era sì pulito e terso,
96 ch'io mi specchiai in esso qual io
paio.
Era il secondo tinto più che perso,
d'una petrina ruvida e arsiccia,
99 crepata per lo lungo e per traverso.
Lo terzo, che di sopra s'ammassiccia,
porfido mi parea, sì fiammeggiante,
102 come sangue che fuor di vena
spiccia.
Sovra questo tenëa ambo le piante
l'angel di Dio, sedendo in su la
soglia,
105 che mi sembiava pietra di
diamante.
Purgatorio IX
Il primo gradino, di marmo
bianco e lucidissimo,
simboleggia l'esame di
coscienza, il profondo e
completo guardarsi dentro
dell'anima.
Il secondo gradino, di una
pietra grezza, ruvida,
scura e spezzata,
simboleggia la fatica della
ammissione della colpa e
lo spezzarsi della durezza
dell'animo.
Il terzo gradino, di porfido,
una roccia compatta, dura
e di color rosso,
simboleggia la fortezza
d'animo necessaria al
proposito di non ricadere
nella colpa.
Purgatorio IX
Per li tre gradi sù di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo:
«Chiedi
108 umilemente che 'l serrame
scioglia».
Divoto mi gittai a' santi piedi;
misericordia chiesi e ch'el
m'aprisse,
111 ma tre volte nel petto pria mi
diedi.
Sette P ne la fronte mi descrisse
col punton de la spada, e «Fa che
lavi,
114 quando se' dentro, queste
piaghe», disse.
Purgatorio
canto XVI
Buio d'inferno e di notte privata
d'ogne pianeto, sotto pover cielo,
3 quant'esser può di nuvol
tenebrata,
non fece al viso mio sì grosso
velo
come quel fummo ch'ivi ci
coperse,
6 né a sentir di così aspro pelo,
che l'occhio stare aperto non
sofferse;
onde la scorta mia saputa e fida
9 mi s'accostò e l'omero
m'offerse.
Sì come cieco va dietro a sua
guida
per non smarrirsi e per non dar
di cozzo
12 in cosa che 'l molesti, o forse
ancida,
Purgatorio
canto XVI
m'andava io per l'aere amaro e
sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva
15 pur: «Guarda che da me tu
non sia mozzo».
Quei sono spirti, maestro, ch'i'
odo?»,
diss'io. Ed elli a me: «Tu vero
apprendi,
24 e d'iracundia van solvendo il
nodo».
Io sentia voci, e ciascuna pareva
pregar per pace e per misericordia
18 l'Agnel di Dio che le peccata
leva
«Or tu chi se' che 'l nostro
fummo fendi,
e di noi parli pur come se tue
27 partissi ancor lo tempo per
calendi?»
Pur 'Agnus Dei' eran le loro
essordia;
una parola in tutte era e un modo,
21 sì che parea tra esse ogne
concordia.
Così per una voce detto fue;
onde 'l maestro mio disse:
«Rispondi,
30 e domanda se quinci si va
sùe».
Purgatorio
canto XVI
E io: «O creatura che ti mondi
per tornar bella a colui che ti
fece,
33 maraviglia udirai, se mi
secondi».
«Io ti seguiterò quanto mi lece»,
rispuose; «e se veder fummo
non lascia,
36 l'udir ci terrà giunti in quella
vece».
Allora incominciai: «Con quella
fascia
che la morte dissolve men vo
suso,
39 e venni qui per l'infernale
ambascia.
Purgatorio
canto XVI
E se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso,
tanto che vuol ch'i' veggia la sua corte
42 per modo tutto fuor del moderno
uso,
non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi, e dimmi s'i' vo bene al
varco;
45 e tue parole fier le nostre scorte».
Lombardo fui, e fu' chiamato Marco;
del mondo seppi, e quel valore ama
48 al quale ha or ciascun disteso
l'arco.
Per montar sù dirittamente vai».
Così rispuose, e soggiunse: «I' ti
prego
51 che per me prieghi quando sù
sarai».
E io a lui: «Per fede mi ti lego
di far ciò che mi chiedi; ma io
scoppio
54 dentro ad un dubbio, s'io non
me ne spiego
Prima era scempio, e ora è fatto
doppio
ne la sentenza tua, che mi fa cert
57 qui, e altrove, quello ov'io
l'accoppio
Lo mondo è ben così tutto diserto
d'ogne virtute, come tu mi sone,
60 e di malizia gravido e
coverto;
ma priego che m'addite la
cagione,
sì ch'i' la veggia e ch'i' la mostri
altrui;
63 ché nel cielo uno, e un qua
giù la pone».
Purgatorio
canto XVI
Alto sospir, che duolo strinse in
«uhi!»,
mise fuor prima; e poi
cominciò: «Frate,
66 lo mondo è cieco, e tu vien
ben da lui.
Voi che vivete ogne cagion
recate
pur suso al cielo, pur come se
tutto
69 movesse seco di
necessitate.
Se così fosse, in voi fora
distrutto
libero arbitrio, e non fora
giustizia
72 per ben letizia, e per male
aver lutto.
Purgatorio XVI
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto ch'i' 'l
dica,
75 lume v'è dato a bene e a
malizia,
Esce di mano a lui che la vagheggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
87 che piangendo e ridendo
pargoleggia,
libero voler; che, se fatica
ne le prime battaglie col ciel dura,
78 poi vince tutto, se ben si notrica.
l'anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
90 volontier torna a ciò che la
trastulla.
A maggior forza e a miglior natura
liberi soggiacete; e quella cria
81 la mente in voi, che 'l ciel non ha
in sua cura.
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s'inganna, e dietro ad esso
corre,
93 se guida o fren non torce suo
amore.
Però, se 'l mondo presente disvia,
in voi è la cagione, in voi si
cheggia;
84 e io te ne sarò or vera spia.
Onde convenne legge per fren
porre;
convenne rege aver che
discernesse
96 de la vera cittade almen la torre.
Purgatorio
canto XVI
Le leggi son, ma chi pon mano ad
esse?
Nullo, però che 'l pastor che
procede,
99 rugumar può, ma non ha
l'unghie fesse;
per che la gente, che sua guida
vede
pur a quel ben fedire ond'ella è
ghiotta,
102 di quel si pasce, e più oltre
non chiede.
Ben puoi veder che la mala
condotta
è la cagion che 'l mondo ha fatto
reo,
105 e non natura che 'n voi sia
corrotta.
Nullo – nessuno.; perché l’ufficio
dell’imperatore è di fatto
vacante; e il pastore, il
pontefice, che procede, va
innanzi al gregge e lo guida,
ormai solo (avendo usurpato
anche il governo temporale),
possiede bensì la retta
cognizione della legge divina,
ma non distingue, come
dovrebbe il bene del male e,
mostrandosi avido dei beni
mondani, dá il malo esempio
agli altri uomini
(Sapegno – nota al canto XVI)
L’umanità segue la sua guida
spirituale, il papa, nella
ricerca dei beni materiali,
dimenticando i beni celesti
(Mineo et alii –nota ai vv 100102)
Purgatorio
canto XVI
La teoria dei due soli
Secondo Dante, Dio ha destinato
all’uomo due guide, una
spirituale, nella persona del
pontefice, per guidarlo alla
felicità eterna, ed una
temporale, che lo indirizzi alla
vita terrena. Le due autorità
ricevono direttamente da Dio
il loro dovere e devono essere
indipendenti l’una dell’altra,
pur operando per fini che si
integrano. Sono come due
soli, splendenti emtrambi di
luce propria e non come il sole
e la luna, secondo affermano i
teologi medievali, i quali,
identificano il sole nel
pontefice e la luna, che gode
di luce riflessa,
nell’imperatore. Quest’ultimo,
secondo Dante, deve essere
come um figlio nei confronti
del padre.
Sanguinetti (1985)
Soleva Roma, che 'l buon
mondo feo
due soli aver, che l'una e
l'altra strada
108 facean vedere, e del
mondo e di Deo.
L'un l'altro ha spento; ed è
giunta la spada
col pasturale, e l'un con
l'altro insieme
111 per viva forza mal
convien che vada;
però che, giunti, l'un l'altro
non teme:
se non mi credi, pon mente a
la spiga,
114 ch'ogn'erba si conosce
per lo seme.
Purgatorio
canto XVI
In sul paese ch'Adice e Po riga,
solea valore e cortesia trovarsi,
117 prima che Federigo avesse briga;
or può sicuramente indi passarsi
per qualunque lasciasse, per vergogna
120 di ragionar coi buoni o
d'appressarsi.
Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
per confondere in sé due reggimenti,
129 cade nel fango, e sé brutta e la
soma».
«O Marco mio», diss'io, «bene
argomenti
e or discerno perché dal retaggio
132 li figli di Levì furono essenti.
Ben v'èn tre vecchi ancora in
cui rampogna
l'antica età la nova, e par lor tardo
123 che Dio a miglior vita li ripogna:
Ma qual Gherardo è quel che tu per
saggio
di' ch'è rimaso de la gente spenta,
135 in rimprovèro del secol
selvaggio?»
Currado da Palazzo e 'l buon Gherardo
e Guido da Castel, che mei si noma
26 francescamente, il semplice
Lombardo.
O tuo parlar m'inganna, o el mi tenta»
rispuose a me; «ché, parlandomi
tosco,
138 par che del buon Gherardo nulla
senta.
Purgatorio
canto XVI
Per altro sopranome io nol
conosco,
s'io nol togliessi da sua figlia
Gaia.
141 Dio sia con voi, ché più
non vegno vosco.
Vedi l'albor che per lo fummo
raia
già biancheggiare, e me
convien partirmi
(l'angelo è ivi) prima ch'io li
paia».
145 Così tornò, e più non
volle udirmi.
Marco Lombardo
Sapegno – introdução ao Canto XVI (p.171)
“personaggio senza volto [perché Dante à avvolto da una nebbia così
fitta che non riesce a vedere nessuno] e quase senza storia,
distinguibille tutt’al più per certa asciuttezza e concisione del
discorrere sempre dignitoso e alto; non figura autonoma, ma
portavoce della dottrina etico-politica dello scrittore”.
Il discorso di Marco si può distinguere in tre parti:
1. pone una premessa filosofica generale: l’uomo è dotato di
libero arbitrio; dall’ uomo dunque e non dall’ influsso degli
astri, dipende l’attuale corruzione dei costumi.
2. svolge la dottrina del governo dell’umanità , secondo i
prindipi argomentati ne 4º libro del Convivio e poi nel
terzo della Monarchia: all’uomo, perché apprendesse a
distinguere fra i veri e i falsi beni, furono dati da Dio due
guide, una per la vista temporale e una per quella spirituale
[ma ora il primo a dare esempio è il più corrotto = il papa];
3. introduce l’esempio della decadenza morale dell’Alta Italia.
Il punto essenziale del ragionamento (l’ordine mondano è guasto
perché si svia dal modello divino a cui dovrebbe conformarsi).
Purgatorio
canto XVI
commenti
Anche sotto il profilo stilistico, oltre che per quel
che afferisce alla concezione politica, il canto di
Marco Lombardo può essere assunto a prova
della unitarietà stilistica del poema: canto
centrale nella seconda cantica, e di
conseguenza canto centrale, il cinquantesimo
dei cento della Commedia: un canto in cui
ritorna l'immagine del buio d'inferno e si anticipa,
come in molti altri, il tema della beatitudine
celeste nella preghiera. (Petrocchi)
SCHEDA CRITICA
L’immagine iniziale evoca una notte ottenebrata,
anzi “privata” degli astri; così è divenuto il
mondo privato dei “due soli” e perciò “cieco”.
Dante stesso viene dal mondo ed è irretito
dall’errore... se nella accezione letterale il fumo
indica l’ottenebramento dell’ira, nella sua
valenza metaforica, lo aveva suggerito il
Mazzamuto, richiama il buio sceso sul mondo in
seguito ad una gravissima crisi religiosa e
politica.
Da Mineo et alii La Divina Commedia - testi, strumenti, percorsi.
Palumbo, 1999. p. 319
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