IL CAFFÈ 13 aprile 2014 Gli scenari I modelli di vita finora vincenti non valgono più Ignoriamo i sistemi sociali del futuro e quelli del passato sono “scaduti” F ra dieci anni la popolazione mondiale sarà un miliardo in più rispetto ad oggi. Un cittadino su tre avrà più di 60 anni. Informatica, ingegneria genetica e nanotecnologie domineranno, ma non avremo più un modello sociale di riferimento. O meglio, ignoriamo gli elementi che caratterizzeranno il sistema sociale che si va profilando. E neanche sappiamo se ci sarà un modello socioeconomico egemone, così come nelle epoche passate lo sono stati l’agricoltura, il mercato e l’industria con le loro grandi correnti religiose, culturali e ideologiche. Non sappiamo cosa resterà dei quindici modelli “mappati” dal sociologo Domenico De Masi nel saggio “Mappa Mundi”, che nella sua analisi sono in parte già superati. I cambiamenti e la globalizzazione spingono anche la Svizzera a chiedersi quali saranno i tratti distintivi di un nuovo sistema politico e sociale. Perché pure il federalismo, ad esempio, sta vivendo una fase di mutazione. Fuori dai confini elvetici addirittura si parla già di “post democrazia”. Forse non basterà un solo modello centrale vincente, anzi è probabile che uno dei tratti distintivi della futura organizzazione sociale sarà il policentrismo. Un reticolo portante di processi e di elementi nessuno dei quali, da solo, potrebbe determinare la dinamica del tutto. Meglio se, come suggerisce De Masi, frutto delle idee di un team mondiale di esperti “illuminati”. e.r.b. DOMENICO DE MASI, sociologo i MODELLI IL BRASILIANO La sfida (oltre ad analfabetismo, violenza e disuguaglianza) è ridistribuire la ricchezza puntando a mantenere la miglior relazione tra economia e felicità L’INDUSTRIALE CAPITALISTA Capace di generare un’impennata della produzione, ma anche il costante raggrumarsi della ricchezza in poche mani e l'allargamento delle povertà, vecchie e nuove L’INDUSTRIALE COMUNISTA L’automazione e la divisione industriale del lavoro centuplicarono la produttività, ma pochi artigiani divennero “padroni” e la massa fu sospinta nel proletariato IL POSTINDUSTRIALE Caratterizzato soprattutto dalla prevalenza numerica dei lavoratori addetti al settore terziario, con il passaggio dalla produzione di beni all’economia di servizi C ome diceva Seneca “nessun vento è favorevole per il marinaio che non sa dove vuole andare”. Se oggi stesso, per incanto, la disoccupazione fosse debellata, il debito pubblico fosse cancellato, lo spread fosse colmato, i conflitti sociali fossero sedati, tuttavia noi non sapremmo dove puntare per la conquista della sperata felicità. Ci manca, cioè, un modello di convivenza e di sviluppo adeguato ai nostri tempi. Girando per il pianeta s’incontra pochissima gente soddisfatta della società in cui vive. Non solo l’Occidente, ma l’intero pianeta vive in uno stato di disagio e disorientamento. Eppure, in pochi decenni, l’umanità è riuscita ad allungare la durata della vita media, a decuplicare la popolazione mondiale, a fare scoperte scientifiche inimmaginabili, a scrivere capolavori letterari e musicali, a esplorare con uguale precisione atomi e pianeti. Di fronte a questo paradosso si è costretti a riconoscere che non è in crisi la realtà ma è in crisi il nostro modo di interpretarla, sono in crisi i no- Non solo l’Occidente, ma è l’intero pianeta che vive in uno stato di disagio e disorientamento stri modelli esplicativi: poiché le categorie mentali mutuate dal passato non sono più capaci di spiegarci il presente, noi siamo indotti a diffidare del futuro, proiettando un’ombra negativa anche sulle prossime generazioni. In ogni epoca e in ogni angolo del mondo gli umani hanno dovuto affrontare le sfide perenni che la natura si diverte a tendere: come vincere il dolore, le malattie, la morte? come debellare la miseria e la fatica? come eliminare l’ignoranza, la noia, la solitudine? come liberarsi dai lacci della tradizione e dalla violenza dell’autoritarismo? come ingentilire la rozzezza e abbellire la bruttezza? Ognuna di queste sfide è stata affrontata ricorrendo a singoli strumenti; tutte insieme sono state affrontate creando modelli di vita adottati da milioni di persone nell’arco di secoli o di millenni. Ma ormai, sempre più spesso, in tutto il mondo e in tutte le classi sociali si sente dire: “Così non si può andare avanti. Questo nostro modello di vita non funziona. Ne occorre uno nuovo”. Questa esigenza è diventata evidente nell’attuale società postindustriale che, a differenza dei sistemi precedenti, non è nata in base a un modello, a un progetto ma per successioni rapide di idee geniali ma parziali, di tecnologie sorprendenti ma anche di prodotti superflui, di riti noiosi, di comportamenti insensati, cresciuti uno accanto all’altro prima ancora che qualcuno li mettesse a sistema, teorizzandone, disegnandone, indirizzandone l’insieme. Non fu così per molte società precedenti. Quella medievale, ad esempio, nacque dal modello cristiano che ispirava la città dell’uomo alla città di Dio. Nel Settecento, in pieno assolutismo re- gio e in piena inquisizione religiosa, poche decine di intellettuali illuministi osarono elaborare e proporre un modello di società “borghese” basato sulla ragione, sulla libertà, sulla laicità e sull’eguaglianza, affrontando le persecuzioni, il carcere e persino la morte. Le socialdemocrazie sono nate in base ai modelli anticipati da socialisti come Owen e Bernstein. La società sovietica è nata sul modello precedentemente concepito da Marx, da Il libro Il fenomeno Se il mondo ha smarrito la bussola della società Tra il popolo e il partito un ambiguo benessere U MAPPA MUNDI Modelli di vita per una società senza orientamento, di Domenico De Masi, Rizzoli editore n nuovo modello di vita probabilmente c’è, ma è diventato una scommessa nel libro del sociologo Domenico De Masi che, con “Mappa Mundi”, non si limita ad offrire una sintesi inedita dei grandi sistemi sociali elaborati finora ad ogni latitudine, ma invita anche ad immaginare altri mondi possibili. A corredo, come se si trattasse di una guida di viaggio, illustra con dovizia di particolari tutti i valori e i disvalori della nostra e delle altre culture. Al padre e strenuo sostenitore dell’“ozio creativo”, non sfugge né l’attuale carenza di lavoro, né il fatto che le uniche economie in ascesa siano quelle dei Paesi dove si sono “delocalizzate” la produzione e la creazione di nuovi prodotti. Come non nasconde il rischio che, al declino economico dell’Occidente, si accompagni anche la fine della nostra cultura. L’invito ad elaborare un nuovo stile di vita, però, non è rivolto a governi, industriali o magnati della finanza, ma agli intellettuali. Stimolando un insieme di pensieri in grado di superare confini ed orizzonti culturali per ribaltare (costi quel che costi) l’esistente. Perché un nuovo modello di riferimento, non può che essere frutto dell’elaborazione di tante e concrete idee “illuministe”. E “Mappa Mundi” indica già le rotte che sarebbe anacronistico ripercorrere. e.r.b. D a un punto di vista economico l’unico modello che, negli anni recenti, inclusi gli ultimi tempi di crisi finanziaria globale, ha saputo raggiungere un Pil a doppia cifra è quello cinese. Il fenomeno del “Capicomunismo”, come l’ha definito l’economista Loretta Napoleoni nel suo “Maonomics”, come amara medicina cinese contro gli scandali dell’economia occidentale. Un modello difficilmente replicabile, e ancor più difficilmente accettabile, perché basato sul singolare rapporto tra la popolazione e il Partito comunista di Pechino. Rapporto a sua volta basato su una rudimentale forma di benessere: fintanto che l’economia cresce e il benessere si diffonde, la popolazione sarà d’accordo con il sistema. Fatto sta che in trent’anni la Cina è passata dall’essere un Paese in cui si moriva di fame ad una superpotenza, in grado di sfidare gli Stati Uniti per il primato economico. Un “miracolo economico” che, secondo Napoleoni, è riuscito sfruttando i vantaggi della globalizzazione, ma creando un modello che non è nè un sistema capitalista, nè comunista in senso classico. Un modello ibrido, il “Capicomunismo” appunto. Sistema molto più flessibile del neoliberismo in Occidente, forse più utile a capire cosa da noi non ha funzionato che a spingerci all’emulazione. e.r.b.