UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “La Sapienza”
Dottorato di ricerca in Medicina Sperimentale- XVII ciclo (2001-2005)
Coordinatore: Prof.ssa Maria Rosaria Torrisi
Titolo tesi:
IL VIRUS DELLA SINDROME ACUTA RESPIRATORIA SEVERA
E IL SISTEMA INTERFERON: CAPACITA’ DI INDUZIONE ED
ATTIVITA’ ANTIVIRALE
CANDIDATA:
D.ssa Carolina Scagnolari - Dipartimento di Medicina Sperimentale e
Patologia, sezione di Virologia
Università degli studi di Roma “La Sapienza”
SUPERVISORE:
Prof. Guido Antonelli- Dipartimento di Medicina Sperimentale e
Patologia, sezione di Virologia
Università degli studi di Roma “La Sapienza”
Sommario
pg 5
INTRODUZIONE
pg 8
Coronaviridae
Classificazione
Struttura e composizione
Replicazione
pg 12
pg 13
pg 14
pg 16
Virus della Sindrome Acuta Respiratoria Severa
Notizie storiche
Morfologia, genoma e replicazione
Recettori del SARS-CoV
Ospite naturale
Patogenesi
Terapia
pg 18
pg 18
pg 19
pg 22
pg 23
pg 25
pg 27
Sistema Interferon
Induzione e produzione di IFNs
Induzione della trascrizione di IFNs
Meccanismo d’azione degli IFNs
Azione antivirale dell’IFN
pg 29
pg 32
pg 33
pg 37
pg 39
pg 40
pg 41
pg 41
pg 43
pg 43
pg 44
pg 46
Proteina chinasi dipendente da dsRNA
2’-5’ Oligoadenilato sintetasi
Proteine di resistenza ai Mixovirus
Deaminasi di adenosina RNA-specifica-1
P56
Azione immunomodulante dell’IFN
Meccanismi di evasione dei virus dall’IFN
2
L’IFN in terapia
IFN e virus della SARS
pg 49
pg 50
SCOPO DEL LAVORO
pg 52
MATERIALI E METODI
Cellule, virus e IFNs
Titolazione dei virus
Titolazione degli IFNs
Valutazione dell’attività antivirale degli IFNs nei
confronti della replicazione di SARS-CoV, EMCV,
VSV e NDV
Valutazione dell’attività antivirale di miscele degli
IFNs di tipo I e II nei confronti della replicazione
di SARS-CoV
RT-TaqMan per gli mRNAs delle proteine MxA,
ADAR-1, 2’-5’OAS e P56
RT-TaqMan per gli mRNAs degli IFNs di tipo I
Analisi statistica
pg 55
pg 56
pg 57
pg 59
RISULTATI
Attività antivirale degli IFNs alfa, beta e gamma
nei confronti del SARS-CoV
Attività antivirale delle miscele di IFNs di tipo I e
II nei confronti del SARS-CoV
pg 68
pg 60
pg 61
pg 62
pg 65
pg 67
pg 69
pg 77
3
Espressione degli mRNAs di MxA, ADAR-1,
2’-5’OAS e P56 in cellule Vero trattate con i
diversi tipi di IFNs
Valutazione dell’attività antivirale nei supernatanti
di linfomonociti infettati con il SARS-CoV
Caratterizzazione degli IFNs prodotti dai
linfomonociti infettati con il SARS-CoV
pg 83
pg 87
DISCUSSIONE
pg 92
BIBLIOGRAFIA
pg 105
pg 89
4
SOMMARIO
La sindrome acuta respiratoria severa (SARS) è una malattia infettiva causata da un
virus, recentemente identificato, appartenente alla famiglia Coronaviridae. Il quadro
clinico della SARS, a differenza delle comuni infezioni umane da coronavirus, può
comportare una grave compromissione del tessuto polmonare, che in una certa
percentuale dei casi, può essere associata ad esito fatale. Attualmente, nonostante
numerosi agenti antivirali siano in fase di sperimentazione, non esiste una terapia
efficace per il trattamento delle infezioni da coronavirus e sono scarse le informazioni
relative agli aspetti terapeutici e patogenetici associati all’infezione del coronavirus
associato alla SARS (SARS-CoV).
Alla luce di tali evidenze abbiamo ritenuto utile intraprendere uno studio che si prefigge
di raggiungere i seguenti obiettivi:
•
esaminare, in vitro, la sensibilità del SARS-CoV agli interferoni (IFNs) usati
singolarmente o in combinazione su cellule di rene di scimmia verde africana
(Vero);
•
valutare e caratterizzare l’induzione del sistema IFN dopo infezione, in vitro,
dei linfomonociti con SARS-CoV.
La valutazione dell’attività antivirale degli IFNs nei confronti del virus della SARS è
stata effettuata infettando le cellule Vero con il virus della SARS [molteplicità di
infezione (MOI): 0,1 TCID50/cellula; il ceppo utilizzato e’ l’HSR1 isolato nell’Aprile
2003 a Milano da un paziente proveniente dall’Asia] e misurando il valore della dose
inibente il 50% (IC50) della replicazione virale. Esperimenti analoghi sono stati eseguiti
con il virus dell’encefalomiocardite (EMCV), il virus della stomatite vescicolare (VSV)
e il virus della malattia di Newcastle (NDV) al fine di paragonare la sensibilità agli
IFNs del SARS-CoV con altri virus IFN-sensibili. I risultati indicano che gli IFNs
presentano, in vitro, una attività antivirale verso il SARS-CoV, sebbene le
concentrazioni di IFN alfa, beta e gamma necessarie per ottenere l’inibizione della
replicazione virale siano significativamente maggiori rispetto a quelle utilizzate per i
virus IFN-sensibili. L’IFN beta sembra essere più efficace nell’inibire la replicazione
del SARS-CoV rispetto agli altri IFNs saggiati [IFN alfa2 ricombinante (r), IFN alfa
naturale e IFN gamma]. In particolare, facendo riferimento alle Unità Internazionali
5
(UI) di IFN utilizzate sperimentalmente, risulta che sono necessarie 4000 UI/ml di IFN
beta per inibire il 90% della replicazione virale mentre per ottenere lo stesso effetto
impiegando IFN alfa naturale e IFN gamma occorrono concentrazioni molto più
elevate: rispettivamente, di 2 e 12 volte superiori a quella impiegata per l’IFN beta. E’
interessante osservare che l’rIFN alfa2 non presenta una significativa attività antivirale
nei confronti di SARS-CoV nemmeno a concentrazioni >100.000 UI/ml. I risultati
complessivamente non cambiano anche quando viene considerata l’attività specifica
delle diverse preparazioni di IFNs utilizzate nei confronti del SARS-CoV. Infatti
esprimendo le IC50 in ng/ml si evidenzia che l’IFN beta ha un’attività antivirale
superiore (IC50: 6,25 ng/ml) nei confronti di SARS-CoV rispetto all’IFN alfa naturale
(IC50: 32,5 ng/ml), all’IFN gamma (IC50: 100 ng/ml) e all’rIFN alfa2 (IC50: 1500
ng/ml).
L’analisi delle proteine associate all’attività antivirale dell’IFN nello stesso sistema
sperimentale rivelano che l’espressione degli mRNAs di MxA, ADAR-1, 2’-5’ OAS e
P56 non correla con l’attività anti-SARS-CoV degli IFNs usati singolarmente.
Considerando che gli IFNs di tipo I (IFN alfa e IFN beta) e l’IFN di tipo II (IFN
gamma), agendo separatamente, hanno un effetto moderatamente inibente nei confronti
della replicazione di SARS-CoV quando si impiegano a basse concentrazioni e che,
come è noto, essi agiscono legando recettori differenti sulla membrana cellulare,
abbiamo, successivamente, valutato la possibilità che gli IFN di tipo I e II possano agire
in maniera sinergica nei confronti di SARS-CoV. I risultati di questi esperimenti
indicano che impiegando una miscela contenente IFN alfa naturale (o beta) e IFN
gamma la resa virale di SARS-CoV viene significativamente diminuita rispetto a quella
che si ottiene utilizzando gli stessi IFNs separatamente. L’interazione di tipo sinergico
tra l’IFN di tipo I e IFN gamma nei confronti del SARS-CoV è stata ulteriormente
dimostrata applicando il metodo di Chou e Talalay con il quale è stato possibile
valutare che l’indice di combinazione (IC) tra i due tipi di IFNs risulta sempre inferiore
a 1.
La capacità di induzione di IFNs da parte di SARS-CoV è stata valutata in seguito
all’infezione con il virus della SARS (MOI: 0,1 TCID50/cellula) di linfomonociti
prelevati da soggetti sani. In particolare l’analisi è stata condotta a 24 e 48 ore dalla
infezione in vitro dei linfomonociti. E’ stato valutato il contenuto di IFNs, misurato
come attività antivirale, nel supernatante cellulare. E’ stata inoltre valutata l’espressione
6
genica dei diversi IFN di tipo I (alfa1, alfa2, alfa5, alfa6, alfa8, alfa10, alfa13,
alfa17,alfa21 e beta). I risultati di questa analisi sono stati successivamente paragonati
con quelli ottenuti eseguendo gli stessi esperimenti con virus noti in letteratura per la
loro capacità di indurre IFN e cioè l’NDV e il VSV. I risultati ottenuti indicano che
dopo l’infezione dei linfomonociti di soggetti sani con SARS-CoV si assiste, a 24 e 48
ore, ad una induzione del sistema IFN. In particolare l’IFN rilasciato dai linfomonociti
infettati con SARS-CoV nel supernatante possiede una attività antivirale pari a 165 ± 70
UI/ml nel sistema EMCV-cellule di carcinoma polmonare umano e 280 ± 50 UI/ml nel
sistema VSV-cellule di rene bovino e raggiunge un livello massimo di espressione a 48
ore dalla infezione virale. Dai risultati inoltre si osserva una induzione variabile
dell’espressione genica di alcuni sottotipi di IFN alfa (alfa1, alfa2, alfa5, alfa6, alfa8,
alfa10, alfa13, alfa17, alfa21) e dell’IFN beta. Tuttavia i risultati evidenziano che il
VSV e l’NDV inducono livelli maggiori di IFNs rispetto al virus della SARS.
In conclusione nell’insieme i risultati documentano la relativa resistenza di SARS-CoV
all’azione antivirale degli IFNs e la modesta capacità del SARS-CoV di attivare il
sistema IFN rispetto a virus noti in letteratura per essere forti induttori di IFN quali il
VSV e l’NDV. Il significato biologico e clinico-terapeutico di tali osservazioni è ancora
oggetto di studio, tuttavia, considerando che l’IFN di tipo I svolge un ruolo chiave
nell’immunità innata dell’ospite alle infezioni virali, i dati, indirettamente, suggeriscono
che il virus possa diffondere nell’organismo come conseguenza della sua resistenza
all’IFN.
7
INTRODUZIONE
8
La scoperta negli ultimi anni di tre nuovi virus appartenenti alla famiglia
dei Coronaviridae [coronavirus associato alla Sindrome Acuta Respiratoria
Severa (SARS-CoV), coronavirus NL63 (NL63-CoV) e coronavirus HKU1
(HKU1-CoV)] e le recenti emergenze epidemiche di influenza aviaria
hanno confermato alla comunità scientifica, e alla opinione pubblica in
generale, il considerevole pericolo costituito dalle infezioni da virus
respiratori. E’ noto, infatti, che le infezioni da virus respiratori (SARS-CoV
e altri coronavirus, metapneumovirus, rhinovirus, influenza A e B,
adenovirus, i virus parainfluenzali, virus respiratorio sinciziale) per l’entità
del loro impatto socio-economico, misurabile in termini di morbidità e
mortalità, costituiscono un serio problema sanitario pubblico.
La SARS è una grave infezione respiratoria individuata alla fine del 2002
nella Cina del Sud. L’agente eziologico della SARS è stato identificato alla
fine di Marzo 2003 quando, in alcuni laboratori di Hong Kong, Stati Uniti e
Germania, è stata dimostrata la presenza di un nuovo coronavirus in
pazienti che avevano manifestato tale malattia.
Il quadro clinico della SARS, a differenza delle comuni infezioni da
coronavirus della specie umana, che interessano in genere le vie
respiratorie superiori e causano affezioni simili al comune raffreddore,
presenta una grave compromissione del tessuto polmonare che in alcuni
casi può essere fatale.
La prova definitiva dell’associazione tra il nuovo coronavirus e la
sintomatologia della SARS è stata ottenuta mediante diversi tipi di
indagini, quali l’isolamento del virus in coltura cellulare (figura 1),
l’osservazione al microscopio elettronico dell’espettorato di pazienti affetti
da SARS, la dimostrazione della presenza di sequenze genomiche del virus
9
negli stessi materiali e l’evidenza di una risposta umorale specifica nel
siero dei pazienti affetti da SARS (Ksiazek et al., 2003).
Figura 1. Effetto citopatico del coronavirus della sindrome acuta respiratoria severa in
cellule di rene di scimmia verde africana. A) 0 ore (B) 24 ore, e (C) 48 ore dopo
l’infezione. Immagine tratta da Berger et al., 2004.
La relazione di causalità tra il nuovo coronavirus e la SARS è stata stabilita
e diffusa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sulla base della
dimostrazione che il virus risponde ai postulati di Koch, qui di seguito
elencati.
Il patogeno:
1. deve essere presente in tutti i casi della malattia;
2. deve poter essere isolato dall’ospite malato ed essere propagato in
coltura;
3. deve riprodurre la malattia originale quando introdotto in un ospite
suscettibile;
4. deve poter essere isolato dall’ospite infettato sperimentalmente.
Per verificare la rispondenza ai postulati, il virus isolato da un caso fatale di
SARS è stato coltivato in cellule di rene di scimmia verde africana (Vero).
Successivamente il virus propagato è stato inoculato in un gruppo di
scimmie che hanno sviluppato una polmonite interstiziale simile alla
SARS. Il virus è stato poi isolato dalle secrezioni respiratorie di questi
10
animali e il genoma è stato amplificato mediante una reazione di
retrotrascrizione e reazione di amplificazione a catena della polimerasi
(RT-PCR). Questo ha permesso di osservare che il virus isolato nelle
scimmie è identico al virus inoculato (Fouchier et al., 2003).
11
CORONAVIRIDAE
I coronavirus vengono così chiamati, perché, osservati al microscopio
elettronico, hanno l’aspetto di una corona solare (le proiezioni sulla
superficie). La famiglia Coronaviridae (ordine Nidovirales) comprende due
generi coronavirus e torovirus. I torovirus sono molto diffusi tra gli
ungulati e sembrano essere associati alla diarrea. I coronavirus
costituiscono invece la seconda più importante causa del comune
raffreddore nella specie umana. Le osservazioni al microscopio elettronico
hanno permesso, inoltre, di correlare i coronavirus alla gastroenterite nei
bambini e negli adulti. Inizialmente i ceppi patogeni, noti per l’uomo, erano
l’OC43 e il 229E. Tuttavia nel novembre 2002 una insolita sindrome acuta
respiratoria severa, denominata SARS, radiologicamente assimilabile alle
polmoniti interstiziali ma caratterizzata da un’elevate gravità e da una non
trascurabile letalità si diffuse nel mondo, assumendo i caratteri di una vera
e propria pandemia. Dopo gli iniziali tentativi di associazione della SARS
con i principali microorganismi che penetrano per via respiratoria
(Mycoplasma pneumoniae, Clamydia pneumonite, paramixovirus, virus
respiratorio sinciziale, adenovirus), il 19 aprile 2003, l’Organizzazione
mondiale della sanità (OMS) annunciò ufficialmente che l’agente
eziologico della sindrome acuta respiratoria severa era un virus
appartenente alla famiglia dei Coronaviridae che possedeva caratteristiche
inusuali di patogenicità e virulenza rispetto ai coronavirus fino a quel
tempo identificati nell’uomo e negli animali. Recentemente, a causa della
crescente attenzione, da parte dei ricercatori di tutto il mondo, sulla
famiglia dei coronavirus, suscitata dalla scoperta del virus della SARS,
sono stati identificati altri due coronavirus in grado di infettare l’uomo, il
12
HCoV-NL63 nei Paesi Bassi e il HCoV-HKU1 in Cina. Entrambi i
coronavirus causano affezioni all’apparato respiratorio di modesta entità,
soprattutto in bambini e adulti immunocompromessi (Bastien et al., 2005;
Woo et al., 2005) .
CLASSIFICAZIONE
La famiglia Coronaviridae è solitamente suddivisa in tre gruppi,
originariamente sulla base della cross-reattività sierologica e più
recentemente sulla base dell’omologia delle sequenze genomiche.
• Al Gruppo 1 appartengono i coronavirus responsabili della peritonite
infettiva felina (FIPV) e canina (CCoV), il coronavirus respiratorio e
della gastroenterite contagiosa del maiale (PrCoV e TGEV), il
coronavirus del coniglio (RbCoV), il coronavirus umano 229E
(HCoV-229E) e il NL63 (HCoV-NL63) (Hofmann et al., 2005).
• Del Gruppo 2 fanno parte il coronavirus dell’epatite murina (MHV)
e bovina (BHV), il coronavirus del ratto (RCoV) e i coronavirus
umani OC43 (HCoV-OC43) e HKU1 (Casas & Pozo, 2005).
• Il Gruppo 3 comprende soltanto coronavirus aviari, tra i quali il virus
della bronchite infettiva (IBV) aviaria e il coronavirus del tacchino.
L’ agente eziologico della SARS non appartiene a nessuno dei gruppi di
coronavirus noti, inclusi i 2 gruppi che comprendono i 4 coronavirus
umani, HCoV-OC43,HCoV-229E, HCoV-NL63, HCoV-HKU1 ai quali è
solo parzialmente correlato (Casas & Pozo, 2005). Esso mostra maggiore
somiglianza con i coronavirus murini, bovini, suini ed umani del gruppo 2
e il coronavirus aviario IBV del gruppo 3.
E’ stato dunque proposto che il nuovo virus costituisca un quarto gruppo di
coronavirus (Figura 2).
13
Figura 2. Albero filogenetico dei coronavirus. Immagine tratta da Casas & Pozo, 2005
STRUTTURA E COMPOSIZIONE
I coronavirus sono costituiti da particelle munite di involucro, con diametro
di 80-220 nm, contenenti un genoma di RNA non segmentato, a singolo
filamento, senso positivo (20-30 kb; PM 5-6 x 106); si tratta del genoma più
grande fra i virus ad RNA (figura 3). Il filamento di RNA ha un cap
metilato all’estremità 5’ e una sequenza poli-A all’estremità 3’. Il
nucleocapside a elica ha un diametro di 9-11 nm. Sulla superficie
dell’involucro si trovano proiezioni (aculei o peplomeri) a forma di clava o
14
di petalo, notevolmente distanziate fra di loro, che conferiscono alla
particella l’aspetto a “corona”.
solare”.
Figura 3. Struttura del coronavirus. Immagine tratta da Peiris et al., 2004
Le proteine strutturali del virus comprendono una proteina (N)
nucleocapsidica fosforilata alla quale è associato il genoma virale, una
glicoproteina di membrana che serve da proteina di matrice incastonata nel
doppio strato lipidico dell’involucro e che interagisce con il nucleocapside,
e infine la glicoproteina della proiezione (S) che fa parte dei peplomeri a
forma di petalo. La glicoproteina S conferisce al virus le sue proprietà
antigeniche e contiene il sito di legame per il recettore sulla superficie
cellulare, oltre ad avere proprietà emoagglutinanti e di fusione. Alcuni
virus, fra i quali il coronavirus umano OC43, contengono una terza
15
glicoproteina, la emagglutinina esterasi (HE) che forma spicole più corte
sulla superficie virale, ed è coinvolta nella liberazione del virione dalla
cellula nella quale si è replicato. I coronavirus non incorporano nel virione
la RNA polimerasi che viene invece sintetizzata subito dopo l’infezione.
REPLICAZIONE
I coronavirus si replicano con molta difficoltà in colture cellulari, pertanto
si conosce relativamente poco sul loro ciclo di replicazione. La Figura 4
schematizza quanto è noto sul ciclo replicativo di questi virus.
Figura 4. Ciclo replicativo dei coronavirus.
Immagine tratta dal sito internet www-micro.msb.le.ac.uk/ 3035/Coronaviruses.html
16
Nella fase di adsorbimento il virus si attacca al recettore cellulare attraverso
le due glicoproteine di superficie S ed M, penetra all’interno della cellula
per via endocitotica e in seguito l’envelope si fonde con la membrana
dell’endosoma.
L’emagglutinina, se presente, si attacca ai residui di acido neuraminico
della membrana cellulare e, grazie alla sua attività acetilesterasica, permette
al virione di staccarsi dal recettore liberandolo nel citoplasma.
La replicazione virale avviene dunque nel citoplasma della cellula ospite.
Inizialmente, dalle prime 20 kb disposte nella regione 5’ del genoma viene
trascritto un mRNA per la sintesi della polimerasi virale, che a sua volta
trascrive un filamento intermedio di RNA a polarità negativa della
lunghezza dell’intero genoma.
Tale RNA viene usato come stampo per produrre una serie di mRNAs con
una identica sequenza leader non trascritta di 72 nucleotidi al 5’ e una
sequenza terminale poliadenilata coincidente al 3’. Gli mRNAs sono
monocistronici e i geni al 5’ vengono trascritti a partire dall’ mRNA di
maggiori dimensioni.
Ogni gene è separato da una sequenza intergenica ripetuta, -UCUAAAC-,
che interagisce con la RNA polimerasi, e con fattori cellulari per creare la
sequenza leader all’inizio di ciascuna “open reading frame” (ORF). I
virioni si assemblano nel reticolo endoplasmatico e nell’apparato di Golgi e
successivamente vengono trasportati in vescicole fino alla membrana e
rilasciati all’esterno attraverso un meccanismo di gemmazione.
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VIRUS DELLA SINDROME ACUTA
RESPIRATORIA SEVERA
NOTIZIE STORICHE
La “Severe Acute Respiratory Sindrome” (SARS) è una grave affezione
respiratoria ad eziologia virale, individuata inizialmente nella provincia
cinese del Guangdong. I primi casi vennero registrati nel novembre 2002
ma a partire dal febbraio 2003, in seguito ad un caso letale, che contagiò gli
ospiti di un albergo di Hong Kong, l’infezione si diffuse anche ad Hong
Kong, Toronto, Singapore e Vietnam (Tsang et al., 2003). Da allora nel
giro di pochi mesi si ebbero casi di SARS in 29 stati diversi sparsi nei 5
continenti grazie anche alla rapidità e all’elevato numero di viaggi aerei
internazionali. Le nazioni maggiormente colpite furono la Cina (comprese
Hong Kong e Taiwan), Singapore, Canada (area di Toronto), Vietnam e
Filippine (Figura 5).
Figura 5. Diffusione nel mondo del coronavirus
della sindrome acuta respiratoria
severa (SARS-CoV) durante l’epidemia del 2002-2003. Immagine tratta da Peiris et al.,
2004.
18
L’epidemia causò l’infezione di 8098 persone portandone alla morte 774
con una mortalità quindi del 9,6%. L’organizzazione sanitaria mondiale
dichiarò la fine dell’epidemia mondiale di SARS nel luglio 2003 (Fujii et
al., 2004).
Nel 2004 furono registrati solo alcuni casi sporadici di infezione da SARSCoV in Cina. I pazienti ebbero una manifestazioni più lieve della sindrome
acuta respiratoria severa rispetto a quanto osservato durante l’epidemia di
SARS nel 2003 (Zhong, 2004). Nel 2005 non è stata documentata nel
mondo nessuna nuova infezione da SARS-CoV.
MORFOLOGIA, GENOMA E REPLICAZIONE
L’osservazione al microscopio elettronico dei campioni clinici e dei
sovranatanti di coltura cellulare infetta da SARS-CoV rivela particelle
pleiomorfe fornite di rivestimento esterno simil-coronavirus, con un
diametro tra 60 e 130 nm (Ksiazek et al., 2003; Peiris et al., 2003).
L’esame di sezioni sottili di cellule infette, mette in evidenza particelle
simil-coronavirus all’interno di vacuoli citoplasmatici rivestiti da una
membrana e all’interno delle cisterne del reticolo endoplasmatico rugoso.
Le particelle extracellulari appaiono frequentemente raggruppate sulla
superficie della membrana citoplasmatica.
Figura 6. Fotografia al microscopio elettronico di una particella simil-coronavirus.
Immagine tratta da Ksiazek et al., 2003.
19
Il genoma di SARS-CoV è costituito da un filamento di RNA poliadenilato
di circa 29.700 nucleotidi e presenta una elevata frequenza di guanidina o
citidina (41%). L’RNA virale contiene circa 14 ORFs che codificano per
tre classi di proteine: due grandi proteine, denominate pp1a and pp1ab,
quattro proteine strutturali [le glicoproteine delle proiezioni cellulari
esterne “Spikes” (S), del rivestimento esterno “Envelope” (E) e di
membrana (M), e la proteina del nucleocapside (N)] e otto proteine
accessorie (Bartlam et al., 2005).
Il gene che codifica per la glicoproteina HE caratteristico di alcuni
coronavirus in SARS-CoV sembra essere assente.
Le ORF1a e 1b, in analogia agli altri coronavirus, occupano 2/3 del
genoma virale in posizione 5’ e vengono tradotte in due grandi proteine,
pp1a e pp1ab. Il taglio proteolitico delle due proteine diversamente dagli
altri coronavirus è mediato da due proteasi virali ricche di cisteina,
chiamate PL2PRO e 3CLPRO, e produce circa 16 proteine non strutturali
che intervengono nella replicazione dell’RNA virale (una RNA polimerasi
RNA dipendente; una RNA elicasi, una 3’-5’ esonucleasi e delle proteine
accessorie).
Le rimanenti ORFs occupano 1/3 del genoma e codificano per le proteine
strutturali (S, M, E, N) e per una serie di proteine accessorie.
La proteina S è costituita da due domini, HR1 e HR2, altamente idrofobici.
La funzione della proteina S è permettere il legame specie-specifico tra il
virus e i recettori della cellula ospite ed avviare la fusione tra l’envelope
virale e la membrana cellulare. La proteina S è inoltre il principale antigene
virale che stimola la produzione di anticorpi neutralizzanti nell’ospite.
20
Figura 7. Mappa genomica del coronavirus della sindrome acuta respiratoria severa.
Immagine tratta da Wang & Chi, 2003.
La proteina M è il maggior componente del pericapside. Determina la
morfogenesi del virione selezionando la proteina S da inserire nei virioni
durante la fase di assemblaggio. Si pensa che sia la stessa proteina M a
dirigere l’incorporazione del genoma nel virione.
La proteina E è coinvolta insieme alla proteina M nell’assemblaggio del
virione. Entrambe le proteine sembrano non stimolare una risposta umorale
durante l’infezione con SARS-CoV.
La proteina N viene sintetizzata in abbondanza in cellule Vero E6 infettate
con SARS-CoV e numerosi studi hanno riportato che nel 90% dei pazienti
affetti da SARS sono presenti anticorpi che riconoscono la proteina N. La
proteina N è coinvolta nella fase di assemblaggio del virione: sembra infatti
possedere una sequenza segnale che riconosce il filamento di RNA e lo
lega formando il nucleocapside.
Tra i geni strutturali sono comprese altre ORFs che codificano per diverse
proteine di cui non è nota la funzione.
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Per quanto riguarda il ciclo replicativo di SARS-CoV si conosce ancora
poco. Gli mRNA sub-genomici vengono trascritti mediante un processo
discontinuo non del tutto chiarito, a partire dal filamento negativo
neosintetizzato.
Sono stati condotti degli esperimenti sulle cellule Vero E6 che hanno
dimostrato un comportamento di SARS-CoV analogo a quello degli altri
coronavirus, ad eccezione dei tempi di adsorbimento, eclissi e
assemblaggio che risultano essere relativamente diversi. L’effetto
citopatico emerge dopo 16-24 ore dall’infezione ed è totale intorno a 72 ore
(Ng et al., 2003).
RECETTORI DEL SARS-CoV
Il primo recettore identificato per SARS-CoV è stato la metallopeptidasi
ACE-2 (da “Angiotensin Convertine Enzyme 2”) (Kuhn et al., 2004). Si
tratta di una carbossipeptidasi, importante componente del sistema reninaangiotensina che controlla la pressione sanguigna e l’attività cardiaca. La
metalloproteina è espressa sulla membrana di cellule Vero e si è osservato
che, quando queste cellule sono infettate con SARS-CoV, ACE-2 si lega ad
un dominio (S1) di approssimativamente 300-510 aminoacidi in posizione
NH terminale della glicoproteina S di SARS-CoV determinando la
formazione di sincizi tra le cellule. Inoltre è stato dimostrato che gli
anticorpi anti- ACE-2 sono in grado di bloccare l’infezione da SARS-CoV.
Recentemente è stato osservato che anche il coronavirus umano NL63,
sebbene strettamente correlato al HCoV-229E, usa come recettore cellulare
la metalloproteina ACE-2 (Hofmann et al., 2005).
ACE-2 è stata identificata sulla superficie dei pneumociti di tipo I e II,
degli enterociti dell’intestino tenue e delle cellule del tubulo prossimale del
rene. Queste osservazioni sembrano spiegare il tropismo tessutale di
22
SARS-CoV nei polmoni e nel tratto gastrointestinale oltre al suo
isolamento nelle urine dei pazienti con SARS (Peiris et al., 2004).
Tuttavia ACE-2 è espressa anche in altri tessuti che non vengono infettati
da SARS-CoV (cellule endoteliali di arterie e vene, tessuto muscolare liscio
del tratto intestinale). Alla luce di queste osservazioni è stata valutata la
possibilità dell’esistenza di altri recettori di SARS-CoV indipendenti
dall’espressione di ACE-2.
Direttamente collegata a questo aspetto, è la recente identificazione di una
glicoproteina transmembrana di tipo II della famiglia delle lectine di tipo C,
denominta CD 209L (Jeffers et al., 2004), in grado sia di legare la
glicoproteina S di SARS-CoV che di rendere, se espressa mediante
trasfezione, cellule non permissive suscettibili all’infezione da SARS-CoV.
La proteina CD 209L è espressa nelle cellule alveolari di tipo II del
polmone umano e nelle cellule endoteliali, che, come è noto, sono
potenziali bersagli del virus della SARS.
OSPITE NATURALE
La spiegazione più plausibile per l’emergere di questa infezione nella
popolazione umana sembra essere la trasmissione interspecie animaleuomo.
Infatti ricercatori di Hong Kong e Shenzhen hanno individuato diversi
ceppi di coronavirus strettamente correlati dal punto di vista genetico al
coronavirus della SARS in animali selvatici in vendita per il consumo
umano in un mercato nel sud della Cina. Gli studiosi hanno isolato il virus
in sei tipi di Zibetto (Paguma larvata), un piccolo animale appartenente
alla famiglia dei Viverridi, simile ad un grosso gatto, con la pelliccia di
colore grigiastro a macchie scure, righe nere sul collo, zampe corte e nere,
e una caratteristica cresta nera (figura 8).
23
Figura 8. Lo zibetto (Paguma Larvata). Immagine tratta da Peiris et al., 2004.
Il siero di questi animali si è dimostrato in grado di inibire la crescita in
coltura cellulare di SARS-CoV isolato dall’uomo. Viceversa, il siero
umano di pazienti affetti da SARS inibisce la crescita di SARS-CoV isolato
dagli stessi animali.
Lo studio del genoma di SARS-CoV isolato dallo zibetto, ha dimostrato
che, con l’eccezione di una piccola frazione aggiunta di sequenza
genomica, è identico al SARS-CoV umano (Enserink, 2003). Già a maggio
del 2003, in seguito al ritrovamento del virus nei tessuti e nelle feci dei sei
esemplari esaminati, alcuni ricercatori dell'
Università di Hong Kong
avevano ipotizzato che all'
origine della malattia potesse esserci questo
piccolo mammifero.
Due furono le ipotesi formulate sulle modalità di infezione di questi
animali: potevano aver contratto il virus mangiando cibo offerto loro al
mercato, oppure tramite le feci umane utilizzate nei fertilizzanti. L'
uomo
potrebbe essere stato a sua volta contagiato macellando le carni
dell'
animale. In realtà non ci sono prove certe del passaggio del virus
24
dall'
animale all'
uomo e della sua successiva mutazione per adattarsi
all'
organismo umano. Nonostante le incertezze, il solo sospetto ha
determinato la scelta da parte delle autorità cinesi di vietare la vendita degli
zibetti.
Recentemente tuttavia è stato proposto che il pipistrello della specie
Rhinolophus sia il vero ospite naturale del SARS-CoV attraverso il quale il
virus infetta l’uomo e gli zibetti (figura 9). Infatti è stato osservato che
l’80% dei campioni di siero raccolti dai pipistrelli presentano anticorpi
verso il SARS-CoV e che nel 40% dei tamponi fecali sono presenti
particelle simili al SARS-CoV (Dobson, 2005).
Figura 9. Il pipistrello Rhinolophus. Immagine tratta da Dobson, 2005.
PATOGENESI
Non differentemente da altri coronavirus, il SARS-CoV penetra
nell’organismo sia per via inalatoria che orofaringea. Ad una prima fase di
replicazione virale, segue quella viremica primaria, per mezzo della quale il
virus raggiunge gli organi bersaglio.
La carica virale è maggiore nelle basse vie respiratorie che in quelle alte, ed
è bassa nei primi 4 giorni di infezione, mentre inizia ad aumentare fino a
25
raggiungere il massimo a circa 10 giorni dall’infezione. Questo spiega la
bassa trasmissibilità dell’infezione nelle prime fasi della malattia. Tra i 10 e
i 15 giorni dall’instaurarsi dell’infezione, un alto titolo virale nell’aspirato
nasofaringeo, feci e siero, oltre alla presenza del virus in diversi siti
anatomici sono predittivi di un esito clinico sfavorevole.
Nel tessuto polmonare si evidenzia un danneggiamento diffuso degli
alveoli con infiltrati alveolari, edema polmonare e presenza di cellulle
multinucleate anche in sincizi. Nella genesi del danno tessutale concorrono
gli effetti citopatici specifici, l’attivazione della risposta reticoloistiocitaria
e il rilascio di citochine infiammatorie, in concomitanza ad alterazioni della
coagulazione ematica.
Il SARS-CoV sembra in grado di infettare numerosi tipi di cellule presenti
in organi diversi. In particolare l’RNA del SARS-CoV e il virus stesso
sono stati ritrovati in pazienti, morti a causa della SARS, nei linfociti e
monociti di sangue periferico, nei linfonodi, in cellule epiteliali del tratto
respiratorio, in cellule della mucosa dell’intestino, nell’epitelio dei tubuli
renali distali, nei neuroni del cervello e nei macrofogi (Lu et al., 2005).
E’ stato inoltre osservato che il SARS-CoV è in grado di indurre il processo
di apoptosi, accelerando la distruzione di alcune cellule del sistema
immunitario. In uno studio immunoistochimico condotto su tessuti di
pazienti affetti da SARS è stata infatti riscontrata una forte attivazione di
macrofagi (in milza e linfonodi), associata a un evidente decremento di
linfociti T e di cellule natural killer [NK (nei polmoni)], i quali vanno
incontro a un processo di apoptosi significativo, tale da indicare proprio in
questo fenomeno il principale meccanismo patogenetico dell’infezione
(Yang et al., 2004; Yan et al., 2004). L’apoptosi sembra essere indotta nelle
cellule polmonari, renali e di fegato dalla proteina 3a di SARS-CoV
attraverso il processo che coinvolge la famiglia delle caspasi (Tan et al.,
2004).
26
TERAPIA
Attualmente, nonostante numerosi agenti antivirali siano stati o siano
tuttora in fase di sperimentazione, non esiste una terapia efficace per il
trattamento dell’ infezione da SARS-CoV.
I farmaci più utilizzati durante i primi mesi dell’epidemia di SARS del
2003 furono la ribavirina e gli steroidi. La ribavirina, agente antivirale ad
ampio spettro, è un analogo nucleosidico della guanosina. Il farmaco è
attivo verso numerosi virus a RNA, e viene utilizzato in combinazione con
l’interferone alfa (IFN) nel trattamento dell’epatite cronica da virus C
(HCV). Gli steroidi sono una classe di farmaci antinfiammatori di origine
glucocorticoidea.
L’utilizzo della ribavirina in combinazione con gli steroidi si dimostrò
inefficace nei pazienti affetti da SARS (Lee et al., 2003; Poutanen et al.,
2003; Tsang et al., 2003) nonostante alcuni ricercatori di Hong Kong
descrissero una riduzione della mortalità del 50% nei pazienti trattati con
ribavirina
in
associazione
al
farmaco
antiretrovirale
Kaletra.
Successivamente numerosi esperimenti, in vitro, dimostrarono che, anche
ad alte concentrazioni, la ribavirina non era in grado di inibire la
replicazione del virus della SARS (Stroher et al., 2004). Inoltre,
l’osservazione che la carica virale, in alcuni pazienti, raggiunge il picco
dopo 14 giorni di terapia con ribavirina, contribuì ad indicare la poca
efficacia del farmaco nei confronti di SARS-CoV. In uno studio canadese,
l’uso della ribavirina fu associato alla comparsa di numerosi effetti
collaterali. In particolare in seguito all’assunzione della ribavirina, il 49%
dei pazienti presentò una riduzione significativa dell’emoglobina mentre il
76% dei pazienti mostrò segni di emolisi (Booth et al., 2003). L’anemia
emolitica, osservata nel 90% dei pazienti trattati con ribavirina aggravò il
quadro clinico e portò ad un incremento della mortalità (Avendano et al.,
2003). Di conseguenza, nel Maggio 2003 i funzionari della Sanità canadese
27
decisero la sospensione della somministrazione di ribavirina nel
trattamento delle infezioni da SARS-CoV.
E’ noto che gli IFNs, una classe di proteine appartenenti alla famiglia delle
citochine, esplicano sia un’azione antivirale diretta sulla replicazione della
maggior parte dei virus animali, sia un’azione indiretta potenziando la
risposta immunitaria (sia innata che adattativa) dell’organismo attivata
nell’ospite al momento dell’infezione virale.
Dal momento che il virus della SARS e gli IFNs rappresentano l’oggetto di
tesi, viene di seguito riportata una più approfondita descrizione del sistema
IFN.
28
SISTEMA INTERFERON
L’IFN descritto alla fine degli anni ’50 come proteina secreta da fibroblasti,
in seguito ad infezione virale, è stato successivamente caratterizzato come
un complesso gruppo di proteine, denominato oggi sistema interferon
perché composto da proteine diverse dal punto di vista strutturale e
funzionale. Esso partecipa attivamente alla risposta immune dell’organismo
ed in particolare alla risposta alle infezioni virali. Oltre alla ben nota attività
antivirale, ad esso sono state attribuite numerosissime attività biologiche
quali un’ attività immunomodulante, un’ attività differenziante, un’attività
inibente la crescita di cellule tumorali ed un’attività inibente l’angiogenesi.
Le proteine del sistema IFN possiedono le seguenti caratteristiche comuni:
• non possiedono attività antivirale diretta, ma sono capaci di indurre
nelle cellule con cui vengono a contatto uno stato di resistenza
antivirale legato alla produzione di altre proteine, dette effettrici;
• la loro azione non è specifica per il virus inducente, essendo capaci
di agire su virus differenti da quelli che ne hanno indotto la
produzione;
•
sono dotate di specificità di specie, cioè sono capaci di inibire la
replicazione virale solo in cellule della stessa specie o molto vicine.
Originariamente le proteine del sistema sono state classificate, in base alla
provenienza cellulare, in IFN leucocitario, IFN fibroblastico ed IFN
immune. La nomenclatura attuale, basandosi sulla struttura primaria delle
proteine, distingue gli IFNs in due tipi:
IFN di tipo I: IFN alfa, IFN beta, IFN delta, IFN epsilon, IFN kappa, IFN
tau, IFN omega;
IFN di tipo II: IFN gamma.
29
Questa classificazione tiene conto della scoperta di quattro nuove citochine
che sembrano essere strettamente correlate da un punto di vista strutturale e
funzionale agli IFNs di tipo I. Queste sono state chiamate limitina (presente
solo nel topo) e IFN lambda1 o IL-28A, lambda2 o IL-28B e lambda3 o IL29 (Sheppard et al., 2003; Vilcek, 2003). Gli IFNs lambda si legano a un
recettore diverso da quello degli IFN di tipo I, costituito da due catene
denominate IL-28R/LICR2 e IL-10R beta (Dumoutier et al., 2004). Per tale
motivo, non è chiaro se gli IFNs lambda siano una classe distinta di IFN o
siano piuttosto più strettamente correlati alle interleuchine.
I geni degli IFNs alfa, beta, epsilon, kappa, omega e lambda sono presenti
nell’uomo e negli animali mentre i geni degli IFNs delta e tau e della
limitina sono presenti rispettivamente nei maiali, nei ruminanti e nel topo.
Gli IFN di tipo I sono molecole acido resistenti (a pH 2), il cui processo di
induzione è prevalentemente di tipo virale e quindi rapidissimo. E’ infatti
sufficiente un solo minuto di contatto tra la molecola di IFN ed il recettore
perché si inizi a sintetizzare l’mRNA necessario per la sintesi delle proteine
effettrici.
L’IFN di tipo II è invece acido sensibile e il processo di induzione è
prevalentemente di tipo immunologico e quindi lento. Occorrono ore per la
sintesi delle proteine effettrici che non vengono indotte direttamente ma
richiedono una fase intermedia nella quale la cellula non ha ancora
acquisito lo stato di resistenza.
- L’IFN alfa, un tempo conosciuto come IFN leucocitario, è rappresentato
da una vasta famiglia, composta da diversi sottotipi, denominati con un
ordine numerico crescente (IFN alfa-1, IFN alfa -2, ecc). Queste proteine
costituite da 165-166 aminoacidi, hanno un peso molecolare di 19-24 KDa,
e risultano stabili fino ad una temperatura di 56°C. Sono stati identificati
almeno 14 geni distinti non allelici che codificano per gli IFN alfa,
30
localizzati sul braccio corto del cromosoma umano 9. L’IFN alfa viene
prodotto prevalentemente da linfociti B e macrofagi in risposta ad
un’infezione virale, a prodotti microbici, polimeri organici e al contatto con
cellule eterologhe (Pestka, 1986). Le maggiori produttrici di IFNs di tipo I
sono le cellule dendritiche (DC) plasmacitoidi chiamate anche Interferonproducing cells (IPC). Queste cellule che, non esprimono il recettore delle
Immunoglobuline e il recettore dei linfociti T (TCR), si trovano
prevalentemente nel sangue e negli organi linfoidi secondari e
rappresentano nell’uomo lo 0,2%-0,8% delle cellule mononucleate del
sangue periferico (Colonna et al., 2002; Liu, 2005).
- L’IFN beta, noto anche come IFN fibroblastico, viene prodotto da cellule
di tipo fibro-epiteliale, presenti nelle mucose, in seguito alla stimolazione
da parte di virus, acidi nucleici virali e polinucleotidi sintetici. E’ instabile
a 56°C (Pestka, 1986) e viene codificato da geni che si trovano sul braccio
corto del cromosoma 9.
-L’IFN kappa, è espresso nei cheratinociti dell’epidermide ed è
strettamente correlato agli IFNs alfa (LaFleur et al., 2001)
-L’IFN epsilon, sebbene non sia stato caratterizzato in dettaglio, è espresso
in maniera costitutiva nella placenta e nei tessuti ovarici dei topi e sembra
intervenire nel processo di riproduzione dei mammiferi (Hardy et al.,
2004).
- L’IFN omega, precedentemente chiamato IFN alfa II, è strettamente
correlato all’IFN alfa e come quest’ultimo è un IFN leucocitario. Esso si
lega agli stessi recettori degli IFN alfa e beta e media effetti biologici
simili.
31
- L’IFN tau, caratterizzato fino ad ora solo nei ruminanti ungulati, è
denominato fattore trofoblastico perché viene secreto dall’epitelio
dell’embrione prima dell’annidamento e ha la funzione di preservare il
corpo luteo al fine di permettere l’avvio della gravidanza (Parmar &
Platanias, 2003).
- L’IFN gamma è una glicoproteina costituita da due monomeri, ciascuno
con 166 aminoacidi, per un peso molecolare complessivo di 45 KDa,
codificata da un solo gene localizzato sul cromosoma 12. La presenza di
una rilevante percentuale di aminoacidi basici nella sua formula di
composizione gli conferisce una instabilità a pH inferiore a 4. Possiede solo
una modesta attività antivirale e la sua funzione principale è quella di
mediare i meccanismi effettori della risposta immunitaria.
INDUZIONE E PRODUZIONE DI IFNs
Nel corso di un’infezione virale gli IFNs sono prodotti immediatamente in
quantità elevate. Nel caso di una infezione virale in vivo si può ipotizzare
che il primo tipo di IFN, prodotto da cellule fibroblastiche o epiteliali delle
mucose, sia l’IFN beta. Nei casi in cui il virus dal tessuto d’impianto
raggiunga il sistema linfatico e venga a contatto con le cellule linfoidi può
indurre la produzione di IFN alfa. Se l’infezione virale procede,
l’attivazione dei meccanismi immunitari specifici determina la produzione
di IFN gamma da parte dei linfociti T, precedentemente sensibilizzati verso
gli antigeni virali. Al contrario degli IFNs di tipo I che possono essere
prodotti in limitate quantità da molte cellule, la produzione di IFN gamma è
ristretta solo ai linfociti T e alla cellule NK. Tra i differenti tipi di linfociti
T, le cellule CD4+ a fenotipo Th1 e le cellule CD8+ sono i maggiori
32
produttori di questa citochina, che è anche la principale attivatrice dei
macrofagi.
INDUZIONE DELLA TRASCRIZIONE DI IFNs
Sono stati identificati numerosi fattori di trascrizione, che legandosi al
promotore degli IFNs, sono coinvolti nell’attivazione e modulazione
dell’espressione dei geni degli IFNs.
In particolare la trascrizione di IFN alfa o beta sembra essere controllata da
due proteine, che appartengono alla famiglia dei fattori di regolazione
dell’IFN [IRF (da “Interferon regulatory element”)], denominate IRF3 e
IRF7 (Malmgaard, 2004). La famiglia delle proteine IRFs svolge un ruolo
chiave nell’attivazione dell’immunità innata dell’ospite. Tutti i membri
della famiglia sono caratterizzati dalla presenza di un dominio, di circa 120
aminoacidi in posizione amminoterminale, che riconosce delle sequenze
simili di DNA, denominate ISRE (da“Interferon-stimulated response
element”). E’ stato dimostrato, che dopo l’infezione con un virus, gli
intermedi replicativi di RNA a doppia elica (dsRNA) virali presenti
all’interno delle cellule, interagiscono con fattori citoplasmatici che a loro
volta attivano alcune proteine chinasi. Le proteine chinasi successivamente
attivano la proteina IRF-3, mediante fosforilazione di un residuo di serina
in posizione carbossiterminale. La proteina IRF-3 è espressa generalmente
in maniera costitutiva in numerosi tipi di cellule e si trova nel citoplasma
delle cellule sotto forma di monomero inattivo. Una volta attivata, la
proteina IRF3, forma un omodimero e insieme alla proteina CBP/p300 (da
“cAMP-response element binding protein (CREB)-binding protein”),
trasloca dal citoplasma al nucleo della cellula dove si lega a delle sequenze
specifiche del promotore dell’IFN beta, attivandone la trascrizione. Nel
processo di induzione genica dell’IFN beta sono inoltre coinvolti i fattori
di trascrizione NF-κb (da “nuclear factor κB”), cJUN/ATF-2 (da “ c-JUN
33
activated transcription factor”) e AP-1 (da activator protein-1), che si
legano, insieme alla proteina IRF-3, al promotore dell’IFN beta e
garantiscono una efficiente produzione di IFN beta. Una volta prodotto,
l’IFN beta agisce in maniera autocrina e paracrina e legandosi al recettore
dell’IFN di tipo I induce la sintesi della proteina IRF-7, normalmente
presente in limitate quantità nelle cellule dei tessuti linfoidi, e di numerose
proteine ad attività antivirale. Successivamente la proteina IRF-7 induce
una forte attivazione della trascrizione dei geni dell’IFN di tipo I.
All’induzione della trascrizione dell’IFN di tipo I partecipa inoltre la
proteina chinasi dipendente da RNA bicatenario (PKR) che, in seguito al
legame dei
dsRNA, attiva il fattore di trascrizione NF-κb (Nato &
Williams, 2000).
I dsRNA, comunque, non risultano essere l’unico mezzo mediante il quale i
virus inducono la produzione di IFNs. Nei leucociti mononucleati, ad
esempio, la sintesi di IFNs può essere indotta anche dal contatto della
superficie cellulare con le glicoproteine dell’involucro virale (De Maeyer
& De Maeyer-Guignard, 1998).
Recentemente è stato sottolineato il ruolo svolto dalla famiglia dei Toll like
receptors (TLR) nei meccanismi molecolari che regolano l’induzione della
trascrizione degli IFN di tipo I (Takeuchi et al., 2004). Come è noto
l’espressione dei TLRs consegue al riconoscimento da parte delle cellule
infiammatorie e del sistema immunitario di alcune molecole associate ai
patogeni (PAMPs da “pathogen-associated microbial patterns”) e attiva le
risposte immunitarie innate. Attualmente sono stati identificati 11 TLRs e
sembra che ogni recettore sia in grado di riconoscere solo un pannello
molto ristretto di componenti o di molecole prodotte dai batteri, virus,
funghi e protozoi (vedi tabella 1).
34
TOLL LIKE RECEPTORS (TLRs)
LIGANDI
1, 2
Lipoproteine dei batteri o delle spirochete
2,6
Lipoproteine dei batteri
2
Peptidoglicano
3
RNA a doppio filamento
4
Lipopolisaccaride e alcune proteine virali
5
Flagellina dei batteri
7
RNA a singolo filamento
8
RNA a singolo filamento
9
DNA con motivi di CpG
10
Sconosciuto
11
Batteri Uropatogeni
I TLRs sono recettori transmembrana espressi sulla membrana plasmatica
o all’interno dei compartimenti endosomiali della cellula. Sono costituiti
da un dominio extracellulare ricco di ripetizioni di leucina e da un dominio
citoplasmatico chiamato motivo TIR (da “Toll IL-1 receptor resistance”).
I TLRs utilizzano numerose proteine adattatrici che riconoscono il motivo
TIR e attivano distinte cascate del segnale all’interno delle cellule. In
particolare l’attivazione della maggior parte dei TLRs, coinvolge il legame
35
della proteina MyD88 (da “myeloid differentiation factor-88”) al dominio
intracellulare TIR. Tuttavia sono state identificate altre proteine che
possono partecipare alla trasduzione del
segnale dei TLRs quali la
proteina TIRAP (da “TIR domain-containing adapter protein”) anche
chiamata MAL (da “MyD88-adapter-like”), la proteina TRIF (da
“Toll/IL-1 receptor domain-containing adaptor inducing IFNbeta “), e la
proteina TRAM (da “Toll-receptor-associated molecole”). L’attivazione
dei TLRs avviene in risposta al legame di molecole prodotte dai
microorganismi e induce, mediante i fattori di trascrizione NF-κB e i
membri della famiglia IRFs, l’espressione di citochine proinfiammatorie,
di IFNs e di molecole ad attività costimolatoria. E’ noto che solo i TLR 3,
4, 7 e 9 sono in grado di indurre la sintesi di IFN. In particolare il legame
di dsRNA virali al TLR3 o del lipopolissacaride dei batteri al TLR4 attiva
la cascata del segnale che coinvolge TRIF e induce la sintesi di IFN beta
mediante la fosforilazione di IRF-3 e l’attivazione di NF-κb. Il TLR3
tuttavia, a differenza di TLR4 che induce unicamente la trascrizione di
IFN beta, attiva anche l’espressione dei geni degli IFNs alfa (Honda et al.,
2005). Il TLR7 e il TLR9 invece, in seguito al legame di molecole di RNA
a singolo filamamento o di sequenze di DNA non metilate con motivi di
CpG, trasducono un segnale, mediante la proteina Myd88, che porta alla
fosforilazione di IRF7, alla sua traslocazione nel nucleo e all’induzione di
IFNs. Interessante è stata l’osservazione che sia il TLR7 che il TLR9 a
differenza del TLR3 e del TLR 4 sono espressi sulle cellule plasmacitoidi
DCs. Al contrario le cellule mieloidi dendritiche esprimono i TLR2, 4, 5
e 8 sulla superficie ma non il TLR7 e 9. Queste osservazioni
contribuiscono a dimostrare come il segnale di induzione dell’IFN sia
alquanto complesso e diverso in base al tipo di cellula che viene presa in
considerazione.
36
L’IFN gamma viene invece indotto dall’IL-2, dall’IL-18, dall’ IFN alfa e
beta e dalla stimolazione del TCR e dei recettori delle cellule NK
attraverso l’attivazione dei fattori di trascrizione NFAT (da “nuclear
factor activating transcription” ), STATs ( da “signal transducer and
activator of transcription”) e NF-κb (Malmgaard, 2004).
MECCANISMO D’AZIONE DEGLI IFNs
Gli IFNs esercitano la loro attività legandosi su specifici recettori disposti
sulla membrana cellulare e attivandoli. Ciò determina una cascata di eventi
che si conclude con la trasduzione del segnale e la produzione di proteine
effettrici che hanno la funzione di rendere la cellula resistente alle infezioni
virali. Il numero dei recettori dell’IFN varia da cellula a cellula e da ciò
potrebbe dipendere il grado di sensibilità di una cellula all’IFN.
Per l’IFN alfa e l’IFN beta l’attivazione di tale processo è molto rapida:
dopo un solo minuto di contatto tra IFN e recettore si avvia il processo di
induzione che si completa, circa 30 minuti più tardi, con la produzione di
mRNAs per le proteine effettrici. Il livello massimo di produzione viene
raggiunto dopo 5-8 ore.
Sia l’IFN alfa che l’IFN beta utilizzano il medesimo recettore cellulare,
denominato recettore dell’IFN di tipo I. Diversamente, il recettore dell’IFN
gamma è di tipo II e mostra una distribuzione più limitata rispetto ai
recettori di tipo I.
Sia i recettori di tipo I che quelli di tipo II sono glicoproteine
transmembrana costituite da due catene polipeptidiche tra loro correlate,
IFNR1 e IFNR2. Essi hanno domini extracellulari con siti attivi deputati al
legame con l’IFN e domini citoplasmatici associati a membri della famiglia
di proteine chinasi Jak (da “Janus Kinase”). Le subunità dei recettori di tipo
I, IFNAR1 e IFNAR2, sono codificate da geni collocati sul cromosoma
umano 21. IFNAR1 è legata costitutivamente ad una tirosina chinasi, Tyk2,
37
e IFNAR2 è associata alla proteina Jak1 appartenente alla famiglia delle
proteine Janus Kinase.
Le subunità dei recettori di tipo II, IFNGR1 e IFNGR2, sono associate a
due proteine chinasi, rispettivamente Jak1 e Jak2.
L’insieme degli eventi che porta alla trasduzione del segnale è mediato
dalla via JAK/STAT.
Il legame degli IFN di tipo I al proprio recettore determina l’attivazione
delle proteine Tyk2 e JAK1 per transfosforilazione. In seguito Jak1, grazie
alla sua attività chinasica, fosforila residui di tirosina presenti nella
porzione intracellulare del recettore in modo che vengano riconosciuti dai
domini SH2 delle proteine STATs ( da “Signal Transducers and activators
of transcription”), trasduttori del segnale e attivatori della trascrizione
(STAT1, STAT2, STAT3 e STAT5). Le proteine STAT, presenti nel
citoplasma in forma monomerica, si associano così al recettore e vengono a
loro volta fosforilate dalla chinasi JAK1 adiacente.
Nel caso dei recettori di tipo II si impiega principalmente STAT1 come
attivatore trascrizionale. L’importanza delle proteine STAT nella via di
trasduzione degli IFN di tipo I è stata confermata mediante differenti studi
in vitro condotti negli ultimi quindici anni (Samuel, 2001). In particolare, è
stato visto che STAT1 è richiesta per la successione di eventi mediati
dall’IFN alfa e dall’IFN gamma. STAT1 e STAT2 legano una proteina di
48 Kda (p48) e formano il complesso ISGF-3 (fattore-3 del gene stimolato
e indotto dall’IFN) che migra nel nucleo e lega una regione specifica dei
promotori di alcuni geni stimolati dall’IFN, detti elementi di risposta
stimolati dall’IFN, e ne determina l’attivazione per la trascrizione. In
associazione al complesso ISGF-3, possono formarsi anche altri complessi
indotti dall’IFN di tipo I coinvolgendo altre proteine STATs (STAT1,
STAT3, STAT5) sia in forma omodimerica che eterodimerica.
38
Sia per gli IFN di tipo I che di tipo II, affinché il processo trascrizionale
risulti completo, oltre alla fosforilazione dei residui tirosinici è necessaria
la fosforilazione di alcune serine. Recenti studi hanno individuato la
proteina chinasi C (PKC)- come responsabile della fosforilazione della
serina 727 in risposta all’IFN alfa e all’IFN gamma (Uddin et al., 2002).
Rimane da scoprire quali altre isoforme della PKC siano coinvolte in
questo processo.
Come precedentemente accennato, le attività biologiche degli IFNs sono
numerose, noi riserveremo un maggiore approfondimento sulla attività
antivirale e immunomodulante che possono essere coinvolte più
direttamente nella risposta dell’ospite all’infezione da SARS-CoV.
AZIONE ANTIVIRALE DEGLI IFNs
Grande attenzione è stata rivolta alla comprensione dei meccanismi
mediante i quali l’IFN impedisce la replicazione virale. In base al tipo di
cellula e al tipo di virus, l’IFN opera in modo diverso sulle varie fasi del
ciclo replicativo: penetrazione, scapsidazione, replicazione del genoma,
trascrizione, traduzione, assemblaggio e rilascio della progenie virale. Ciò
comporta che esso sia attivo contro la maggior parte dei virus; tuttavia la
sua azione non è assolutamente selettiva e ciò comporta la possibilità di
compromissione del metabolismo cellulare.
L’attività antivirale è il risultato finale dei molteplici effetti sia diretti che
indiretti espletati dagli IFNs.
Gli effetti indiretti si concretizzano in vario modo:
1. tramite le proteine effettrici indotte;
2. per trasferimento dello stato di resistenza antivirale alle cellule
circostanti;
3. per attivazione dei leucociti dell’ospite e conseguente aumento della
loro azione fagocitica o citocida sulle cellule infette o trasformate.
39
Gli effetti indiretti sono mediati dalle citochine indotte dagli stessi IFNs.
Alcuni autori reputano che almeno 100 proteine vengano sintetizzate in
risposta all’interazione dell’IFN con il recettore cellulare, comunque solo
alcune di queste sembrano essere associate alla resistenza antivirale indotta
dall’IFN.
Tra queste le più studiate sono:
• PKR
• 2’-5’oligoadenilato sintetasi (2’-5’ OAS);
• Ribonucleasi L;
• Proteine di resistenza ai Mixovirus (Mx);
• Deaminasi di adenosina RNA-specifica (ADAR-1);
• P56
PKR
Conosciuta anche come chinasi P68, P1 o dsI, la PKR è stata studiata
nell’ambito dello stato antivirale dell’IFN e il suo ruolo è stato suggerito
dalla scoperta di numerosi inibitori di questo enzima che vengono
codificati o indotti da virus differenti. La stimolazione della sintesi
dell’enzima proteina chinasi rappresenta uno dei meccanismi fondamentali
tramite i quali l’IFN determina la condizione intracellulare di resistenza ai
virus (Hovanessian, 1991). Questo enzima deve essere attivato da un
dsRNA che, in questo caso, è strettamente correlato agli acidi nucleici del
virus. E’ interessante sottolineare che l’interazione con tali fattori è un
processo reversibile. Ogni molecola di dsRNA può, quindi, attivare
numerose proteine chinasi, le quali agiscono direttamente sulle sequenze
regolatrici dei geni dell’IFN. L’effetto derepressore esercitato su queste
sequenze consente la trascrizione dei geni e la loro successiva traduzione a
livello ribosomiale. Il legame tra la PKR e il dsRNA porta ad una
40
autofosforilazione dell’enzima che, in tal modo, risulta attivato. Una volta
attivato l’enzima blocca il fattore iniziatore eIF-2, necessario alla
traduzione dell’mRNA a livello ribosomiale, fosforilandone una subunità.
In particolare la fosforilazione blocca il complesso di inizio formato da
l’eIF-2, la guanosina trifosfato (GTP) e la Met-tRNA con l’unità
ribosomiale 40S e l’mRNA. Poiché l’eIF-2 non può essere riciclato, la
sintesi proteica è inibita o arrestata e questo si traduce nell’inibizione della
replicazione virale attraverso il blocco della sintesi di nuove catene
polipeptidiche del virus.
2’-5’oligoadenilato sintetasi e ribonucleasi L
La 2’-5’OAS comprende una famiglia di enzimi, indotti dall’IFN, che
possono essere raggruppati in tre classi di proteine codificate da tre distinti
gruppi di geni e caratterizzate da differenti pesi molecolari (Hovanessian,
1991).
In seguito all’attivazione da parte del dsRNA, sintetizzano un
oligonucleotide di adenina, contenente tre o più nucleotidi con un insolito
legame fosfodiesterico 2’-5’A tra i residui di ribosio (Hovanessian, 1991).
L’oligonucleotide, a sua volta, attiva una endoribonucleasi, denominata
ribonucleasi L, capace di idrolizzare ogni tipo di RNA a singola elica.
Questo enzima scinde le molecole di mRNA prima che vengano tradotte a
livello dei ribosomi. In questo modo si assiste ad un blocco della traduzione
delle proteine virali. L’azione enzimatica ha un tempo limitato perché gli
oligoadenilati, idrolizzati dalla fosfodiesterasi, hanno vita breve e pertanto
la cellula può riprendere la propria sintesi proteica.
Proteine di resistenza ai Mixovirus
Le proteine Mx fanno parte di una famiglia di proteine ad attività
GTPasica (Staeheli et al., 1993), indotte unicamente dagli IFNs di tipo I e
41
in grado di inibire la moltiplicazione di molti virus a RNA quali, ad
esempio, il virus della stomatite vescicolare, gli ortomyxovirus, i
paramixovirus e i bunyavirus (Haller et al., 1998). Inizialmente sono state
caratterizzate nel topo, (es. Mx1 murina), e, successivamente, sono state
identificate in moltissime altre specie animali (Horisberger et al., 1983;
Horisberger & Gunst, 1991). Nell’uomo, sono state identificate due
proteine, MxA ed MxB, con peso molecolare rispettivamente di 76 kDa e
73 kDa.
I geni delle proteine Mx sono collocati, nell’uomo, sul cromosoma 21 e
vengono trascritti in seguito alla stimolazione con IFN. Tuttavia, solo la
proteina MxA presenta un’attività antivirale (Haller & Kochs, 2002).
Le proteine Mx presentano tre sequenze omologhe a quelle di proteine
leganti il GTP, nella regione amino-terminale e ciò gli conferisce
un’intrinseca attività GTP-asica. Vi sono, inoltre, delle sequenze che
presentano delle omologie con altre proteine. In particolare sono stati
osservati diversi gradi di omologia con le “dinamine”, proteine che nei
vertebrati e in Drosophila sono coinvolte nel meccanismo dell’endocitosi
(Chen et al., 1991) e con due proteine presenti nei lieviti: VPS1, coinvolta
nell’esocitosi delle proteine cellulari (Rothman et al., 1990), e MGM1,
necessaria per il mantenimento del genoma mitocondriale (Jones &
Fangman, 1992). Nella regione carbossiterminale delle proteine Mx è
presente un dominio conservato, ricco di leucine (dominio “leucinezipper”), al quale sembra essere attribuita la capacità di formare aggregati
nel citoplasma cellulare. In particolare, studi recenti hanno dimostrato che,
nelle cellule trattate con IFN, sono presenti delle forme aggregate di MxA
associate al reticolo endoplasmatico liscio (Accola et al., 2002).
42
Deaminasi di adenosina RNA-specifica-1
La proteina ADAR-1 è una adenosina deaminasi RNA-specifica che
catalizza la conversione delle adenosine in inosine. Queste modificazioni
destabilizzano le molecole di RNA virali e cellulari, impedendo il corretto
appaiamento delle basi dei nucleotidi nelle strutture secondarie. Inoltre le
molecole di RNA modificate spesso non sono più in grado di codificare
l’esatta sequenza aminoacidica della proteina che avrebbero specificato in
quanto l’inosina viene riconosciuta come una guanosina dal macchinario di
traduzione della cellula. Nell’uomo esistono due forme della proteina
ADAR-1 derivate da un meccanismo di splicing alternativo dello stesso
gene: una proteina inducibile dall’IFN sia di tipo I che di tipo II con un
peso molecolare di 150 kDA presente nel nucleo e nel citoplasma cellulare;
una proteina costitutivamente espressa di 110 kDA espressa unicamente nel
citoplasma (Samuel, 2001)
Un’altra proteina ADAR denominta ADAR-2 è presente nelle cellule e
non viene indotta dagli IFNs (Samuel, 2001).
P56
Le proteina P56 o IFIT1 appartiene ad una famiglia di proteine
strutturalmente correlate che vengono indotte dagli IFNs, dalle molecole di
dsRNA e da numerosi virus. La P56 è caratterizzata dalla presenza di
motivi multipli tetratricopeptidici (TPR) che assumono una conformazione
elica-giro-elica e che mediano specifiche interazioni proteina-proteina. P56
probabilmente lega eIF-3 (subunità del fattore 3 di inizio di trascrizione
negli eucarioti) inattivandolo, portando così all’inibizione della sintesi
proteica (Sarkar et al., 2004).
43
AZIONE IMMUNOMODULANTE DELL’IFN
Tutti gli IFNs, ed in particolare l’IFN gamma, si sono dimostrati in grado di
esercitare un effetto modulante positivo o negativo sulla risposta
immunitaria. La loro azione influenza sia la risposta umorale che la risposta
cellulo-mediata. Essi sono in grado di potenziare l’attività dei macrofagi,
delle cellule NK, dei linfociti T helper e T citotossici.
Ognuna di queste cellule, infatti, esplica un’azione precisa nei confronti di
microorganismi o di cellule tumorali.
I macrofagi svolgono una funzione di primaria importanza nella difesa
contro malattie neoplastiche e virali in virtù di tre proprietà fondamentali:
fagocitosi, attività citotossica e produzione di citochine. In presenza di IFN,
in particolare di IFN gamma, si assiste ad un potenziamento di tutte queste
attività. L’aumento della fagocitosi e dell’attività citocida sono legate ad un
aumento del metabolismo ossidativo di queste cellule e ad un aumento
dell’espressione dei recettori tramite i quali i macrofagi si legano al
frammento cristallizzabile (Fc) degli anticorpi (IgG) legati ad antigeni
estranei. Inoltre i macrofagi attivati inibiscono la replicazione di numerosi
microorganismi
intracellulari
come
Mycobacterium
tubercolosis,
Leishmania donovani e Toxoplasma condii. L’inibizione del ciclo
replicativo
l’induzione
dei
microorganismi
dell’espressione
avviene,
probabilmente,
attraverso
dell’indoleamina-2,3-diossigenasi
che
converte il triptofano a N-formilchinurenina promuovendo la degradazione
di questo aminoacido.
L’IFN
agisce
sulle
cellule
pre-NK
immature
stimolandone
la
differenziazione in cellule NK mature e dotate di attività citotossica,
aumentandone, altresì, l’attività (Reiter, 1993). Un ulteriore aumento
dell’attività di questi elementi cellulari può dipendere, inoltre, dagli effetti
che l’IFN esercita sui linfociti T soppressori. E’ stato, infatti, documentato
che la presenza di IFN causa una notevole riduzione del numero di tali
44
linfociti ed un’inibizione degli effetti soppressori di questi nei confronti
delle cellule NK (Saksela, 1981). Occorre sottolineare che gran parte dei
fenomeni immunomodulatori attribuiti all’IFN è legata alla sua capacità di
modulare l’espressione degli antigeni di istocompatibilità coinvolti nei
fenomeni di citotossicità (classe I) e di presentazione antigenica (classe II).
In particolare, quest’ultimo evento risulta di fondamentale importanza per
l’avvio della risposta immunitaria. Tutti gli IFNs sono in grado di
aumentare l’espressione cellulare di molecole di MHC di classe I. Per
quanto riguarda le molecole MHC di classe II, gli IFN alfa e beta sono in
grado di ridurne l’espressione mentre l’IFN gamma la aumenta. Inoltre gli
IFNs, in particolare l’IFN gamma, sono capaci di modulare l’espressione di
diversi recettori, quali il recettore dell’IL-2, il recettore del TNF alfa (da
“Tumor Necrosis Factor”).
Oltre alla regolazione della risposta cellulo-mediata, l’IFN è in grado di
modulare la risposta anticorpale. Gli effetti sulla produzione di anticorpi
possono essere di tipo inibitorio, o di potenziamento, a seconda delle dosi e
dei tempi di somministrazione. E’ stato dimostrato che la produzione di
anticorpi viene inibita se l’IFN viene a contatto con i linfociti B
contemporaneamente all’antigene, mentre viene potenziata quando il
contatto si verifica dopo un intervallo di 48-72 ore dal contatto dei linfociti
con l’antigene (Dianzani et al., 1990). Sembra che l’effetto di
potenziamento derivi da un processo di inibizione della proliferazione e
dell’attività
dei
linfociti
T
soppressori
oltre
che
dall’aumento
dell’espressione degli antigeni MHC sui linfociti B. L’inibizione, invece,
sembra essere in relazione all’effetto negativo che le cellule NK, attivate
dall’IFN, esercitano sui linfociti B.
45
MECCANISMI DI EVASIONE DEI VIRUS DALL’IFN
La maggior parte dei virus hanno a disposizione sofisticati meccanismi per
bloccare le attività inibitorie esplicate dagli IFNs sulla replicazione virale, e
indispensabili per superare questa linea di difesa dell’ospite. In natura,
tuttavia, la capacità patogena dei virus e l’efficienza dei meccanismi del
sistema IFN tendono a equilibrarsi a vantaggio sia del parassita che
dell’ospite. E’ infatti evidente che se l’azione antivirale degli IFNs
eradicasse completamente l’infezione impedirebbe all’ospite di attivare le
difese specifiche, più lente ad entrare in funzione ma che possono talvolta
durare per tutta la vita del soggetto proteggendolo da successive
reinfezioni. Al contrario una modesta attivazione del sistema IFN sarebbe
accompagnata da una infezione grave e letale che porterebbe alla mancata
diffusione del virus nella specie umana.
Le numerose strategie di evasione dall’IFN, che vengono utilizzate dai
virus, mirano a bloccare principalmente le diverse componenti del sistema
IFN quali il segnale dei recettori TLRs, la sintesi di IFN, il legame al
recettore cellulare, la cascata del segnale JAK/STAT, l’induzione e
l’attivazione delle proteine IFN-indotte (figura 10) (Sen, 2001; Weber et
al., 2004).
Recentemente è stato osservato che sia le proteine A46R e A52R del virus
vaccinico che la proteina NS3-4a del virus HCV legano TRIF bloccando, in
questa maniera, la cascata del segnale indotta dal TLR3 (Schroder &
Bowie, 2005).
Inoltre è noto che numerosi virus codificano proteine che inibiscono la
sintesi di IFNs di tipo I: la oncoproteina E6 di HPV16 lega IRF-3
bloccandone la capacità di attivare il gene dell’IFN beta; la proteina NS1
del virus dell’influenza A blocca l’attivazione di IRF-3 inibendo la
produzione di IFNs.
46
I virus possono sottrarsi alla azione biologica dell’IFN anche mediante la
sintesi di proteine virali che legano le molecole di dsRNA, rendendole, in
questo modo, non più disponibili per attivare le proteine effettrici
dell’attività antivirale dell’IFN.
Infine un’altra strategia è quella di bloccare direttamente l’attivazione di
specifiche proteine IFN-indotte che interferiscono con la replicazione del
virus. Degli esempi sono la proteina NS5A di HCV che si lega alla PKR e
ne impedisce la sua attivazione per dimerizzazione; lo stesso meccanismo
d’azione è proprio anche della proteina P58 del virus dell’influenza.
47
Blocco del segnale dei
TRLs
Blocco della
sintesi di IFN
Sintesi di analoghi del
recettore dell’IFN
Blocco della cascata
del segnale
Blocco delle funzioni
delle proteine IFN-indotte
VIRUS
VACCINICO,
HCV
HBV
HPV
HHV-8
INFLUENZA VIRUS
MEASLES VIRUS
POXVIRUS
ADENOVIRUS, HBV,
HPV, EBV, HCMV,
HHV8, SENDAI, VIRUS,
RSV,HCV, EBOLA,
INFLUENZA VIRUS
ADENOVIRUS, EBV,
HSV, HIV, HCV, POLIO
VIRUS, INFLUENZA
VIRUS, EMCV
Figura 10. Meccanismi di interferenza dei virus con il sistema IFN. Alcuni virus che
bloccano le principali componenti del sistema IFN.
48
L’IFN IN TERAPIA
Le sperimentazioni animali avviate subito dopo la scoperta dell’IFN,
documentarono ben presto che la somministrazione di IFN esogeno in
animali da esperimento poteva migliorare il decorso di molte infezioni
virali. I risultati di questi studi incoraggiarono quindi il successivo utilizzo
dell’IFN nella terapia di diverse patologie. Attualmente gli IFNs hanno
trovato applicazione in numerose infezioni virali croniche; in alcuni tumori
solidi, e in alcune neoplasie ematologiche. L’utilizzo dell’IFN nel
trattamento delle infezioni virali manifesta la più valida efficacia solo nei
confronti delle forme croniche nelle quali la produzione endogena dell’IFN
è insufficiente, la replicazione del virus avviene ad un ritmo contenuto e gli
antigeni virali compaiono in grande quantità sulla membrana cellulare.
Nelle infezioni virali acute è stata dimostrata invece solo una sua possibile
azione preventiva. Gli IFNs sono ampiamente impiegati nel trattamento
delle infezioni virali, con risultati consolidati nella terapia dell’epatiti
croniche di virus C e B e nel trattamento di papillomi laringei, condilomi
acuminati
e
crioglobulinemia
mista.
Accanto a queste indicazioni dell’IFN può essere ricordato anche l’utilizzo
di alcuni tipi di IFNs nella profilassi dell’infezione da rinovirus o nella
terapia delle infezioni da herpesvirus o papovavirus. Non ultimo in ordine
di importanza è l’utilizzo dell’IFN alfa in combinazione con altri farmaci
nella terapia dell’infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV) o
dell’IFN gamma nella terapia della malattia granulomatosa cronica. La
novità più significativa e del tutto recente in tema di trattamento dell'
HCV
è la disponibilità dell'
IFN consensus e dell’IFN peghilato.
L’attività antitumorale degli IFNs si manifesta invece su forme tumorali
diverse, indipendentemente dalla specifica eziopatogenesi. Benché i
meccanismi d’azione attraverso i quali gli IFNs svolgono la loro attività
49
antineoplastica siano ancora poco conosciuti, è fondato ritenere che tale
attività sia la risultante di una serie di effetti diretti antiproliferativi e
differenziativi sulle cellule tumorali, nonché di effetti indiretti di
immunoregolazione sulle cellule effettrici citotossiche e sui macrofagi. Le
forme neoplastiche nelle quali è stata documentata una reale e consistente
efficacia terapeutica dell’IFN sono: carcinoma renale; melanoma; sarcoma
di Kaposi associato ad AIDS; tricoleucemia; leucemia mieloide cronica;
linfoma non-Hodgkin (Moschos et al., 2005). Recentemente l’IFN è stato
introdotto nel trattamento della sclerosi multipla (Javed & Reder, 2005).
IFN E VIRUS DELLA SARS
Numerosi studi hanno riportato che gli IFNs esercitano una significativa
attività antivirale verso i coronavirus animali (Kato et al., 1986; Pei et al.,
2001) e umani (Sperber & Harden, 1989).
Per quanto riguarda l’utilizzo degli IFNs come agenti antivirali nel
trattamento dell’infezione da SARS-CoV l’argomento è invece al centro di
una accesa discussione. Infatti i risultati ottenuti in vitro sulla valutazione
della sensibilità del SARS-CoV all’azione antivirale dell’IFN alfa, beta e
gamma sono piuttosto controversi. Infatti mentre alcuni autori asseriscono
che il virus della SARS è sensibile all’azione antivirale dell’ IFN beta e
dell’IFN alfa giustificando un utilizzo clinico degli IFNs nell’infezione da
SARS-CoV (Hensley et al., 2004; Stroher et al., 2004), in altri lavori si
evidenzia che il virus della SARS è moderatamente sensibile all’azione
dell’IFN beta e relativamente resistente all’azione antivirale degli IFN alfa
e gamma se paragonato al virus della stomatite vescicolare, noto in
letteratura per essere sensibile all’IFN (Cinatl et al., 2003).
E’ inoltre importante sottolineare che la maggior parte dei dati riportati in
letteratura (Zheng et al., 2004; Stroher et al., 2004; Hensley et al., 2004)
50
sull’attività antivirale degli IFN sulla SARS fanno riferimento alle unità
internazionali di IFN senza prendere in considerazione l’attività specifica
degli IFN che viene espressa come rapporto tra unità e peso (U/mg). E’
noto infatti che le preparazioni di IFN alfa, beta e gamma possiedono una
diversa attività specifica. In particolare l’IFN alfa possiede una attività
specifica maggiore o uguale a quella dell’IFN beta, mentre l’IFN gamma
possiede una attività specifica minore rispetto a quella delle preparazioni di
IFN di tipo I.
La discussione sull’utilizzo degli IFNs per la terapia di pazienti colpiti da
SARS è tuttora accesa anche a causa della discordanza dei risultati clinici.
Infatti mentre da una parte è stato osservato che il trattamento di pazienti
affetti da SARS con IFN alfacon-1 e corticosteroidi porta alla riduzione
dell’entità di alcuni sintomi quali gli anormali livelli di creatina chinasi e la
diminuzione della saturazione dell’ossigeno (Loufty et al., 2003); dall’altra
è stato dimostrato che la somministrazione di IFN alfa peghilato in macachi
infettati con SARS-CoV riduce in maniera significativa la replicazione
virale e il danneggiamento polmonare, rispetto ai macachi non trattati, solo
se l’IFN è impiegato come profilassi. Infatti la somministrazione di IFN
alfa
peghilato dopo l’esposizione al virus della SARS determina nei
macachi una diminuzione dei sintomi meno evidente (Haagmans et al.,
2004; Enserink, 2004).
51
SCOPO DEL LAVORO
52
La SARS (acronimo di “severe acute respiratory sindrome”) è una malattia
infettiva causata da un nuovo membro della famiglia Coronaviridae
(SARS-CoV). Attualmente, nonostante i rapidi successi raggiunti nella
caratterizzazione molecolare dell’agente eziologico, sono scarse le
informazioni relative agli aspetti terapeutici e
patogenetici associati
all’infezione da SARS-CoV.
Il sistema IFN, come è noto, costituisce la prima linea di difesa dell’ospite
ad una infezione virale. Esso esercita numerose attività biologiche
all’interno dell’organismo; tra queste si possono annoverare l’attività
antivirale, immunomodulante e antiproliferativa.
Gli IFNs vengono ampiamente impiegati nel trattamento delle infezioni
virali, con risultati consolidati nella terapia di infezioni di virus ad RNA a
polarità positiva, quali il virus dell’epatite cronica di tipo C e il coronavirus
umano 229E (Sperber & Harden, 1989).
Alla luce di tali evidenze lo studio che abbiamo affrontato si prefigge di
raggiungere i seguenti obiettivi:
• esaminare, in vitro, la sensibilità del SARS-CoV agli IFN alfa, beta e
gamma;
• valutare, in vitro, la possibilità che gli IFNs di tipo I e II possano
agire in maniera sinergica nei confronti di SARS-CoV;
• valutare, in vitro, l’esistenza di una correlazione tra i livelli di alcune
proteine IFN-indotte e l’attività antivirale delle diverse preparazioni
di IFNs utilizzate da sole o in combinazione verso il SARS-CoV;
•
valutare e caratterizzare l’induzione del sistema IFN dopo infezione,
in vitro, dei linfomonociti con SARS-CoV.
La valutazione dell’attività antivirale degli IFNs usati da soli o in
combinazione nei confronti del virus della SARS è stata effettuata
53
infettando le cellule di rene di scimmia verde africana (Vero) con il virus
della SARS [ceppo HSR1 isolato nei laboratori dell’Università Vita-Salute
“S. Raffaele” di Milano, nell’Aprile del 2003 (Vicenzi et al., 2004)] e
misurando le concentrazioni di IFN in grado di inibire il 50% (IC50) della
replicazione virale. Esperimenti analoghi sono stati eseguiti con il virus
dell’encefalomiocardite (EMCV), il virus della stomatite vescicolare
(VSV) e il virus della malattia del Newcastle (NDV) al fine di paragonare
la sensibilità di SARS-CoV agli IFNs con virus noti in letteratura per essere
molto sensibili all’attività antivirale degli IFNs.
Il livello dell’espressione di mRNAs che codificano alcune proteine indotte
dall’IFN (MxA, ADAR-1, 2’-5’OAS e P56) è stato valutato mediante la
metodica
TaqMan
in
cellule
Vero
pre-trattate
con
gli
IFNs.
Successivamente i risultati ottenuti sono stati messi in relazione con quelli
relativi alla valutazione della sensibilità del SARS-CoV agli IFNs.
La capacità di induzione di IFNs da parte di SARS-CoV, è stata invece
valutata in seguito all’infezione, con il virus della SARS, di linfomonociti
prelevati da soggetti sani. In particolare l’analisi è stata condotta a 24 e 48
ore dalla infezione, in vitro, dei linfomonociti. E’ stato valutato il contenuto
di IFN, misurato come attività antivirale, nel supernatante cellulare. E’ stata
inoltre valutata l’espressione genica dei diversi IFNs di tipo I (alfa1, alfa2,
alfa5, alfa6, alfa8, alfa10, alfa13, alfa17,alfa21 e beta) mediante la
metodica TaqMan.
I risultati di questa analisi sono stati successivamente paragonati con quelli
ottenuti eseguendo gli stessi esperimenti con virus noti in letteratura (Aoki
& Kawakita, 1996; Lam et al., 2005; Trottier et al., 2005) per la loro
capacità di indurre IFNs e cioè l’NDV e il VSV.
54
MATERIALI E METODI
55
Gli esperimenti sul virus della SARS sono stati eseguiti presso il
laboratorio di classe BL3 dell’Università Centro-Vita “S. Raffaele” di
Milano e dell’Ospedale “Sandro Pertini” di Roma.
CELLULE, VIRUS E IFNS
Cellule di rene di scimmia verde africana (Vero) sono state mantenute in
coltura ad una temperatura di 37°C, 90% di umidità e 5% di CO2, in terreno
“minimum essential medium” (MEM; Sigma Spa, Milano) contenente 10%
di siero fetale bovino (FCS, HyClone, Perbio Science, ErembodegemAalast, Belgio), L-glutamina (Sigma Spa) ad una concentrazione di 2mM e
50µg/ml di gentamicina (Sigma Spa). La linea Vero è sensibile alla
replicazione del virus del SARS-CoV, del EMCV, del VSV e dell’ NDV.
Cellule di carcinoma polmonare umano (A549) sono state mantenute in
coltura ad una temperatura di 37°C, 90% di umidità e 5% di CO2, in terreno
“Dulbecco’s modified Eagle’s medium” (D-MEM; Sigma Spa) contenente
10% di FCS, L-glutamina ad una concentrazione di 2 mM, 50 µg/ml di
gentamicina e 2,5 mM di Hepes (Sigma Spa). La linea A549 è suscettibile
alla replicazione virale del EMCV, del VSV e dell’NDV.
Cellule di rene bovino (MDBK) sono state mantenute in coltura ad una
temperatura di 37°C, 90% di umidità e 5% di CO2, in terreno MEM
contenente 10% di FCS, L-glutamina ad una concentrazione di 2mM e
50µg/ml di gentamicina.
Il ceppo HSR1 di SARS-CoV (Vicenzi et al., 2004) è stato ottenuto
inoculando su cellule Vero un campione di espettorato isolato da un
paziente Italiano affetto da una forma atipica di polmonite, riscontrata al
ritorno da un viaggio in Vietnam nel Marzo 2003. In seguito il virus è stato
56
propagato sulle cellule Vero e l’intero genoma è stato amplificato e
sequenziato. Le sequenze genomiche di HSR1 sono conservate nella Banca
del Gene con numero di accesso AY32397.
Sono stati impiegati i seguenti tipi di IFNs:
IFN alfa2 ricombinante umano [(rIFNalfa2), Intron®, Schering
Corporation; attività specifica 200 MIU/mg];
IFN
alfa
naturale
[(nIFN
alfa),
IFN
leucocitario,
ALFA
WASSERMAN; attività specifica 200 MIU/mg)];
IFN beta1b ricombinante [(Betaferon), Schering; attività specifica 32
MIU/mg];
IFN gamma ricombinante [(Imukin®), Boehringer Ingelheim; attività
specifica 20 MIU/mg];
alcuni sottotipi dell’IFN alfa quali: IFN alfa 1b, alfa 5, alfa 6, alfa
8b, alfa 10a, alfa 14a, alfa 17a, alfa 21a, (PBL Biomedical
Laboratories, New BrunswicK, NJ; attività specifica compresa tra 50
e 250 MIU/mg).
TITOLAZIONE DEI VIRUS
Per la titolazione dei virus è stato utilizzato il metodo della diluizione
limite. In particolare cellule Vero sono state seminate (2,5 x 104
cellule/pozzetto) con terreno MEM al 10% di FCS, in piastre da 96 pozzetti
(Falcon, Necton Dickinson Labware, Lincoln Parck, NJ) e incubate a 37°C.
Dopo 24 ore, a monostrato confluente, le cellule sono state infettate
eseguendo diluizioni seriali del virus (SARS-CoV o EMCV o VSV o
NDV) in ragione 3. Sono stati dispensati 180µl di virus al primo pozzetto
di tutte le file della piastra (eccetto due, adibite al controllo delle cellule) e
120µl di terreno MEM al 2% di FCS negli altri pozzetti ed in seguito sono
57
stati effettuati passaggi seriali di 60µl dal primo all’ultimo pozzetto. La
piastra è stata incubata 1 ora a 37°C. Successivamente sono stati eseguiti
due lavaggi con il terreno MEM per rimuovere il virus non adsorbito. La
piastra, quindi, è stata incubata con 100 l di terreno MEM al 2% in ciascun
pozzetto per un tempo necessario all’ottenimento di un effetto citopatico
(CPE) visibile al microscopio ottico (24 ore per EMCV e VSV, 48 ore
NDV e 72 ore per SARS-CoV). Il titolo virale è stato calcolato con il
metodo di Reed e Muench (Reed & Muench, 1938) che viene di seguito
illustrato.
Per ogni prova sperimentale eseguita in piastra si considera l’intervallo di
diluizione entro il quale viene rilevata la dose infettante il 50% delle cellule
(TCID50). Successivamente si considerano le intere colonne comprese
nell’intervallo e si calcola con un metodo statistico il quoziente di mortalità
(rapporto tra il numero totale delle cellule vive e il numero totale delle
cellule morte) assumendo che la proporzione di cellule morte varii
linearmente con il logaritmo (Log) della diluizione. Il valore di TCID50
viene ricavato per interpolazione ed è dato dalla seguente espressione:
h (% di cellule morte alla diluizione superiore al 50% - 50%)
(% di cellule morte alla diluizione superiore al 50% - % di cellule morte
alla diluizione inferiore al 50%)
Nella formula h è il logaritmo dell’intervallo di diluizione. Il valore
interpolato viene quindi aggiunto aritmeticamente al logaritmo della
diluizione immediatamente superiore al 50% delle cellule morte per
ottenere il logaritmo della TCID50 da cui ricavare il titolo del virus.
58
TITOLAZIONE DEGLI IFNs
Il titolo dei vari IFNs è stato determinato mediante il saggio di inibizione
del ciclo replicativo di EMCV nelle cellule A549.
Le unità di misura per il titolo degli IFNs sono state espresse come Unità
Internazionali calcolate in base agli standard degli IFNs forniti dall’NIH
(National Institutes of Healt, Bethesda, MD codice Gg23-901-530; Gb23902-531; Ga23-901-532).
Il saggio prevede la semina delle cellule A549 in piastre da 96 pozzetti ad
una concentrazione di 3x104 cellule/pozzetto. Il giorno successivo, a
monostrato confluente, gli IFNs sono stati diluiti serialmente in ragione di
3 ed incubati a 37°C in atmosfera di CO2 al 5%. Dopo 18-24 ore le cellule
sono state lavate e infettate con 100µl del virus EMCV ad una molteplicità
di infezione di 0,1 (MOI: 0,1 TCID50/cellula). La piastra così trattata è stata
incubata nuovamente a 37°C per 24 ore. In ogni piastra è prevista una serie
di pozzetti per controllo della vitalità cellulare e per il controllo della
replicazione virale. Dopo l’incubazione, è stata valutata l’attività antivirale
degli IFNs (IFN alfa, IFN beta e IFN gamma) tramite lettura dell’effetto
citopatico rilevabile dopo colorazione con una soluzione contenente lo
0,2% di cristal-violetto, il 20% di etanolo e il 3% di gluteraldeide
(soluzione al 25%). Le cellule così fissate sono state eluite con acido
acetico al 33% che permette la solubilizzazione del colorante. E’ stata poi
eseguita la lettura spettrofotometrica, delle piastre eluite, alla lunghezza
d'
onda di 570 nm. In base alla determinazione spettrofotometrica è stata
calcolata la diluizione corrispondente al 50% dell’inibizione dell’effetto
citopatico che corrisponde ad 1 unità (U) di IFN. I valori sono stati riportati
in termini di Unita Internazionali.
59
VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ ANTIVIRALE DEGLI IFNs
NEI CONFRONTI DELLA REPLICAZIONE DI SARS-CoV, EMCV,
VSV E NDV
La valutazione dell’attività antivirale degli IFNs nei confronti di SARSCoV è stata eseguita sulle cellule Vero. In particolare il saggio prevede la
semina delle cellule Vero in piastre da 96 pozzetti ad una concentrazione di
2,5x104 cellule/pozzetto. Dopo 24 ore le cellule sono state trattate con i
differenti tipi di IFNs (0-1.000.000 UI/ml di IFN alfa, IFN beta e IFN
gamma) diluiti in ragione 3. Dopo 18-24 ore le cellule sono state lavate e
infettate con 100µl del virus della SARS ad una molteplicità di infezione di
0,1 (MOI: 0,1 TCID50/cellula). La piastra così trattata è stata incubata
nuovamente a 37°C per 72 ore. In ogni piastra è prevista una serie di
pozzetti per controllo della vitalità cellulare e per il controllo della
replicazione virale.
Dopo 72 ore il supernatante è stato raccolto e titolato come illustrato
precedentemente. Il titolo del virus è stato calcolato mediante il metodo di
Reed e Muench ed è stato espresso in termini di TCID50/ml. Le piastre sono
state colorate con una soluzione contenente lo 0,2% di cristal-violetto, il
20% di etanolo e il 3% di gluteraldeide (soluzione al 25%). Le cellule così
fissate sono state eluite con acido acetico al 33% che permette la
solubilizzazione
del
colorante.
E’
stata
poi
eseguita
la
lettura
spettrofotometrica, delle piastre eluite, alla lunghezza d'
onda di 570 nm.
L’attività antivirale dell’IFN è stata espressa, in log TCID50/ml, come la
riduzione del titolo del SARS-CoV, ottenuta confrontando il titolo del virus
prodotto dalle cellule trattate con IFN con quello prodotto dalle cellule
senza IFN, secondo la seguente formula:
log TCID50/ml (-IFN)
log TCID50/ml (+ IFN)
60
Le stesse procedure sono state eseguite per l’EMCV, il VSV e l’NDV. I
tempi necessari per osservare un CPE evidente al microscopio ottico sono
stati 24 ore (EMCV e VSV) e 48 ore (NDV).
VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ ANTIVIRALE DI MISCELE
DEGLI IFNs DI TIPO I E DI TIPO II SULLA REPLICAZIONE DI
SARS-CoV
Per stabilire la presenza di una interazione di tipo sinergico, additivo
oppure antagonista tra gli IFN di tipo I (IFN alfa o IFN beta) e l’IFN
gamma è stato utilizzato un metodo sviluppato da Chou e Talalay (Chou &
Talalay, 1984)
In particolare differenti diluizioni di IFN gamma (1-1000 UI/ml), sono state
aggiunte a differenti concentrazioni di IFN beta o IFN alfa naturale (1-1000
UI/ml). Le miscele di IFNs sono state dispensate in una piastra con 96
pozzetti di cellule Vero (2,5 x 104 cellule/pozzetto) e incubate per 24 ore.
In seguito, le cellule sono state infettate con SARS-CoV, ad una MOI di
0,1. Dopo 72 ore il supernatante è stato raccolto e la resa virale è stata
misurata in termini di TCID50/ml, secondo il metodo di Reed e Muench.
L’indice di combinazione (IC), invece, è stato calcolato mediante la
seguente equazione:
IC= (D1/Dx1) + (D2/Dx2) + α[(D1)(D2)]/[(Dx1)(Dx2)] .
Il significato dei simboli utilizzati nell’equazione è il seguente:
- D1: indica la quantità di IFN 1 da somministrare alle cellule per ottenere
una riduzione x della resa virale in combinazione con l’IFN 2 ;
- D2: indica la quantità di IFN 2 da somministrare alle cellule per ottenere
una riduzione x della resa virale in combinazione con l’IFN 1;
61
- Dx1: indica la concentrazione dell’IFN 1 che, somministrato
singolarmente, determina una percentuale x di riduzione;
- Dx2: indica la concentrazione dell’IFN 2 che, somministrato
singolarmente, determina una percentuale x di riduzione;
- α: coefficiente che determina se i due IFN sono esclusivi.
Se α=0 i due IFN hanno un’azione tra loro esclusiva, se α=1 i due IFN
hanno un’azione tra loro non esclusiva.
Per stabilire il tipo di relazione che sussiste tra i due tipi di IFNs è
necessario, dunque, calcolare l’IC:
se IC >1 i due farmaci (in questo caso gli IFNs) sono antagonisti;
se IC =1 i due farmaci determinano un effetto additivo;
se IC <1 i due farmaci sinergizzano.
RT-TAQMAN PER GLI mRNAs DELLE PROTEINE MxA, ADAR-1,
2’-5’OAS E P56
La tecnologia della Real Time PCR basata sul saggio fluorogenico 5’
nucleasico (TaqMan) è stata impiegata per quantificare i livelli degli
mRNAs delle proteine MxA, 2’-5 OAS, ADAR-1 e P56. In particolare
cellule Vero sono state trattate con 5 ng/ml di IFN alfa, IFN beta o IFN
gamma, e con delle miscele di IFN beta o IFN alfa (5 ng/ml) + IFN gamma
(5 ng/ml) e incubate a 37°C in atmosfera di CO2 al 5%. Dopo 24 ore l’RNA
totale è stato estratto da 5x106 cellule Vero utilizzando il metodo della
guanidina isotiocianato (TRIZOL, Gibco BRL, NY, USA). L’RNA estratto
è stato risospeso in 50µl di acqua sterile priva di RNAsi ed è stato incubato
ad una temperatura di 60°C per 10 minuti in modo da eliminare le strutture
secondarie presenti nell’RNA.
62
Per la retrotrascrizione 10µl dei campioni di RNA sono stai aggiunti a 10µl
di una miscela contenente deossiribonucleotidi trifosfato [(dNTP), Roche,
Milano, Italia] ad una concentrazione finale di 0,5 mM, 0,8 U/µl di
inibitore dell’RNasi (Roche), 300 nM del primer antisenso specifico per
ciascuna proteina (tabella 2), 0,8 U/µl di Trascriptasi Inversa [Moloney
Murine Leukaemia Virus (M-MuLV), Roche] e una soluzione per la
reazione contenente 50 mM di Tris-HCl, 40 mM di KCl, 6 mM di MgCl2 e
10 mM di ditioeritritolo (Applied Biosystem, Monza, Italia).
Le condizioni per la reazione di RT sono state: 1 ora a 42°C e 15 minuti a
65°C.
Successivamente, le reazioni TaqMan sono state eseguite in apposite
piastre a reazione ottica da 96 pozzetti (Applied Biosystem) nelle quali
sono state dispensate 25µl di una Mastermix Universale per il TaqMan
(Applied Biosystem), 20µl di cDNA, 300nM di ciascun primer senso
(tabella 2) e 100 nM di sonda fluorogenica specifica per ciascuna proteina
(tabella 3). Il volume finale di 50µl è stato ottenuto mediante aggiunta di
acqua distillata. Lo strumento ABI Prism 7000 (Applied Biosystem) è stato
impostato per eseguire i seguenti cicli: 50°C per 2 minuti ; 95°C per 10
minuti , seguiti da 45 cicli a 95°C per 15 secondi, e 60°C per 1minuto.
63
Proteina
Tipo di primer
Sequenza del primer
MxA
senso
5’-CTGCCTGGCAGAAAAACTTAC-3’
antisenso
5’-CTCTGTTATTCTCTGGTGAGTCTCCTT-3’
senso
5’-TCAGCGAGGCCAGTAATCTTG-3’
antisenso
5’-TCAGCCATTGCCAGCATATTT-3’
senso
5’-AATCTGTCACATTGGGTTACCTTTT-3’
antisenso
5’-AATGCACTCCCATCTCTTGTCA-3’
senso
5’-TGAAGAAGCTCTAGCCAACATGTC-3’
antisenso
5’-GAGCTTTATCCACAGAGCCTTTTC -3’
2’-5’OAS
ADAR-1
P56
Tabella 2. Primers di MxA, 2’-5’OAS, ADAR-1, P56 (MWG Biotech AG) utilizzati
per la reazione di retrotrascrizione e la metodica TaqMan. La sequenza nucleotidica dei
primers del GAPDH non è stata indicata perché la sequenza è stata fornita direttamente
dall’Applied Biosystems (“Assay on demand”).
Proteina
Sequenza della sonda
MxA
6-carbossifluoresceina (6-FAM)-5’CATCACACATATCTGTAAATCTCTGCCCCTGTTAGA-3’tetrametilrodamina (TAMRA)
2’-5’OAS 6-FAM- TCCAGTTGACCCAACCAATAATGTGAGTGG-TAMRA
ADAR-1
6-FAM-5’-AGCCAAGGGCATCTGACCCGTG-3’- TAMRA
P56
6-FAM-5’-TATGTCTTTCGATATGCAGCCAAGTTTTACCG-3’- TAMRA
Tabella 3. Sonde dell’MxA, 2’-5’ OAS, ADAR-1, P56 utilizzate per la metodica
TaqMan (MWG Biotech AG). La sequenza nucleotidica della sonda del GAPDH non è
stata indicata perché la sonda è stata fornita direttamente dall’Applied Biosystems
(“Assay on demand”).
64
A causa della possibile variabilità, associata alla fase di estrazione
dell’RNA dalle cellule, si è reso necessario eseguire una reazione TaqMan
per la rilevazione dell’mRNA della gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi
(GAPDH), (proteina il cui gene viene espresso in modo costitutivo
nell’ambito di uno stesso tipo cellulare).
La quantificazione relativa degli mRNAs di ciascuna proteina analizzata,
normalizzata con il gene della GAPDH, è data dalla seguente formula:
2dove
C=
CT,q- CT,cb dove
C
CT è la differenza, in cicli soglia, tra il
gene considerato e quello di riferimento; q e cb sono
due diverse
condizioni di analisi (condizione –IFN, condizione + IFN).
RT-TAQMAN PER GLI mRNAs DEGLI IFNs DI TIPO I
Cellule mononucleate di sangue periferico (PBMCs) sono state separate dal
plasma di donatori sani e risospese in terreno RPMI 1640 medium (Sigma
Spa) con FCS al 10%. Sono state poi infettate con SARS-CoV, VSV o
NDV per 24 e 48 ore ad una MOI di 0,1. Successivamente l’RNA totale è
stato estratto da 2x106 PBMCs utilizzando il TRIZOL (Gibco BRL, NY,
USA). L’RNA estratto è stato risospeso in 50µl di acqua sterile priva di
RNAsi ed è stato incubato ad una temperatura di 60°C per 10 minuti in
modo da eliminare le strutture secondarie presenti nell’RNA.
L’RNA estratto è stato sottoposto ad una reazione di retrotrascrizione e
successivamente ad una reazione TaqMan seguendo il protocollo
precedentemente riportato. Per la quantificazione relativa degli mRNAs
degli IFN alfa -1, -2, -5, -6, -8, -10, -13, -17,-21 e dell’IFN beta, sono stati
utilizzati i primers e le sonde riportate nelle tabelle 4 e 5.
I livelli di mRNAs degli IFNs sono stati normalizzati con i livelli di
espressione del GAPDH, come descritto precedentemente nel testo.
65
TIPI DI IFNs
Tipo di
Sequenza del primer
primer
alfa2
alfa6
alfa8
alfa13/1
alfa 5,-10,-17,-21
senso
5’-CTTGAAGGACAGACATGACTTTGGA-3’
antisenso
5’-GGATGGTTTCAGCCTTTTGGA-3’
senso
5’-TCCATGAGGTGATTCAGCAGAC-3’
antisenso
5’-GCTGCTGGTAAAGTTCAGTATAGAGTTT-3’
senso
5’-CCTTCTAGATGAATTCTACATCGAACTTG-3’
antisenso
5’-ACTCTATCACCCCCACTTCCTG-3’
senso
5’-CTTCAACCTCTTTACCACAAAAGATTC-3’
antisenso
5’-TGCTGGTAGAGTTCGGTGCA-3’
senso
5’-GAAGAATCTCTCCTTTCTCCTGCC-3’
antisenso
5’-ATGGAGGACAGAGATGGCTTG-3’
Tabella 4. Primers degli IFN alfa1, -2, -5, -6, -8, -10, -13, -17,-21 (MWG Biotech AG)
utilizzati per la reazione di retrotrascrizione e la metodica TaqMan La sequenza
nucleotidica dei primers dell’IFN beta non è stata indicata perché la sequenza è stata
fornita direttamente dall’Applied Biosystems (“Assay on demand”).
66
TIPI DI IFNs
Sequenza della sonda
alfa 2
6-carbossifluoresceina(6-FAM) -5’-TTCCCCAGGAGGAGTTGGCAACC-3’tetrametilrodamina (TAMRA)
alfa 6
6-FAM -5’-CTGTTGCTTGGGATGAGAGGCTTCTAGAC-3’- TAMRA
alfa 8
6-FAM-5’-CAGCTGAATGACCTGGAGTCCTGTGTG-3’- TAMRA
alfa 13/1
6-FAM-5’-TGCTTGGGATGAGGACCTCCTAGACA-3’- TAMRA
alfa 5,-10,-17,-21
6-FAM-5’-AGGAGTTTGATGGCAACCAGTTCCAGAAG-3’- TAMRA
Tabella 5. Sonde degli IFN alfa1, -2, -5, -6, -8, -10, -13, -17,-21 e di IFN beta utilizzate
per la metodica TaqMan (MWG Biotech AG) La sequenza nucleotidica della sonda
dell’IFN beta non è stata indicata perché la sonda è stata fornita direttamente dall’
Applied Biosystems (“Assay on demand” ).
ANALISI STATISTICA
Tutti i risultati sono stati riportati come la media + la deviazione standard.
La significatività statistica è stata determinata con il t-test di Student.
67
RISULTATI
68
ATTIVITÀ ANTIVIRALE DEGLI IFNs ALFA, BETA E GAMMA
NEI CONFRONTI DEL SARS-COV
Gli esperimenti di valutazione dell’attività antivirale dell’IFN alfa naturale
(nIFN alfa) e ricombinante (rIFN alfa2), dell’IFN beta (rIFN beta1b) e
dell’IFN gamma (rIFN gamma) nei confronti di SARS-CoV sono stati
eseguiti in cellule Vero. In particolare le cellule Vero sono state trattate con
differenti concentrazioni di IFNs (1-100.000 UI/ml) per 20 ore.
Successivamente le cellule sono state infettate con SARS-CoV (il ceppo
HSR1) ad una MOI di 0,1 TCID50/cellula. Trascorse 72 ore dall’infezione è
stato raccolto il supernatante cellulare ed il titolo di SARS-CoV è stato
misurato in termini di TCID50/ml, secondo il metodo di Reed e Muench. I
risultati di un singolo esperimento rappresentativo sono illustrati nella
figura 11 (pannello A).
Pannello A-SARS-CoV
2,1
Riduzione della resa virale (Log)
1,8
IFN beta
nIFN alfa
rIFN alfa 2
IFN gamma
♦
1,5
1,2
0,9
0,6
0,3
0
1
10
100
1000
IFN (UI/ml)
10000
100000
1000000
69
Pannello B- EMCV
Riduzione della resa virale (Log)
2,1
1,8
1,5
1,2
0,9
0,6
0,3
0
1
10
100
1000
10000
1000
10000
IFN (UI/ml)
Pannello C-VSV
2,1
Riduzione della resa virale (Log)
1,8
1,5
1,2
0,9
0,6
0,3
0
1
10
100
IFN (UI/ml)
70
Pannello D-NDV
2,1
Riduzione della resa virale (Log)
1,8
1,5
1,2
0,9
0,6
0,3
0
1
10
100
1000
IFN (UI/ml)
Figura 11. Resa virale del coronavirus della sindrome acuta respiratoria severa [SARSCoV (pannello A)], del virus dell’encefalomiocardite [ EMCV (pannello B) ], del virus
della stomatite vescicolare [VSV (pannello C)], del virus della malattia di New Castle [
NDV (pannello D)] in seguito al pre-trattamento di cellule Vero con differenti
concentrazioni di IFN beta, IFN alfa naturale (n), IFNalfa2 ricombinante (r) e IFN
gamma per un tempo di 20 ore. In seguito le cellule sono state infettate con SARSCoV, EMCV, VSV e NDV (MOI: 0,1 TCID50/cellula). La riduzione del titolo virale, in
seguito al pre-trattamento delle cellule Vero con gli IFNs, è stata espressa in logaritmo
(Log) TICD50/ml ed è stata determinata come il rapporto tra la resa virale (-IFN) e la
resa virale (+IFN).
71
Come si può osservare l’IFN beta sembra essere più efficace nell’inibire la
replicazione di SARS-CoV rispetto agli altri IFNs saggiati (nIFN alfa, rIFN
alfa2, IFN gamma). In particolare, quando le cellule Vero vengono trattate
con 4000 UI/ml di IFN beta si osserva una riduzione della resa virale di
SARS-CoV del 90%. Per ottenere lo stesso effetto impiegando nIFN alfa e
IFN gamma occorrono, invece, concentrazioni più elevate, rispettivamente
di 2 e 12 volte rispetto alla concentrazione impiegata per l’IFN beta. E’
interessante osservare che rIFN alfa2 anche a concentrazioni >100.000
UI/ml non presenta una significativa attività antivirale nei confronti di
SARS-CoV.
Successivamente è stato valutato un parametro molto importante dal punto
di vista applicativo, ovvero, l’attività specifica dei differenti tipi di IFNs,
espressa in termini di concentrazione inibente il 50% della replicazione
virale (IC50), calcolata in ng/ml (tabella 6).
72
Tabella 6. Sensibilità del SARS-CoV all’azione antivirale degli IFNs. I risultati sono espressi come media ± deviazione standard di tre distinte
determinazioni. (IFN, interferone, SARS-CoV, coronavirus della sindrome acuta respiratoria severa, EMCV, virus dell’encefalomiocardite, VSV, virus della
stomatite vescicolare, NDV, virus della malattia di New Castle; IC50, dose inibente il 50% della replicazione virale).
Tipo di IFNs
IC50
IFN beta
rIFN alfa2
UI/ml
ng/ml
SARS-CoV
200,01 ± 42,11
6,25 ± 1,31
EMCV
3,01 ± 0,71
VSV
NDV
nIFN alfa
ng/ml
IU/ml
3 x 105 ± 105
1500 ± 500
6500,01 ± 930,21
0,09 ± 0,02
400,11 ± 150,02
2,00 ± 0,75
4,21 ± 0,98
0,12 ± 0,03
220,42 ± 20,31
15,11 ± 4,21
0,46 ± 0,13
300,31 ± 140,12
IU/ml
IFN gamma
ng/ml
IU/ml
ng/ml
32,51 ± 4,62
2000,02 ± 240,44
100,11 ± 12,30
2,81 ± 0,31
0,012 ± 0,0015
80,25 ± 39,52
4,45 ± 1,95
1,10 ± 0,12
15,12 ± 0,82
0,075 ± 0,004
270,14 ± 50,15
13,50 ± 2,51
1,51 ± 0,72
75,23 ± 20,14
0,37 ± 0,11
60,12 ± 28,21
3,05 ± 1,42
73
I risultati ottenuti indicano che l’IFN beta (IC50: 6,25 ng/ml) ha una attività
antivirale maggiore verso il SARS-CoV rispetto all’nIFN alfa (IC50: 32
ng/ml) e all’IFN gamma (IC50: 100 ng/ml). Concentrazioni più elevate di
l’rIFN alfa2 sono inoltre necessarie per inibire del 50% la replicazione del
SARS-CoV (IC50: 1500 ng/ml) rispetto all’IFN beta.
Parallelamente è stata valutata l’attività antivirale degli IFNs nei confronti
di virus noti in letteratura per essere sensibili all’attività antivirale dell’IFN
quali il EMCV, il VSV e l’NDV.
I risultati ottenuti indicano che il EMCV (Figura 11 pannello B) e il VSV
(Figura 11 pannello C) sono sensibili all’azione antivirale dell’IFN alfa,
beta e gamma. In particolare per inibire del 50% la replicazione di
EMCV sono necessarie 3 UI/ml di IFN beta o di nIFN alfa. Al contrario
concentrazioni più elevate di IFN gamma e di rIFN alfa2, rispettivamente
80 UI/ml e 400 UI/ml, sono necessarie per inibire del 50% la replicazione
di EMCV su cellule Vero. Risultati analoghi sono stati ottenuti valutando
l’attività antivirale delle diverse preparazioni di IFNs nei confronti del
VSV. Infatti concentrazioni di IFN beta
(4 UI/ml) e di nIFN alfa (15
UI/ml) inferiori rispetto alle concentrazioni di IFN gamma (270 UI/ml) e di
rIFN alfa2 (280 UI/ml) sono necessarie per inibire la replicazione del VSV
del 50%.
E’ stato infine valutata la sensibilità dell’ NDV all’azione antivirale degli
IFNs, perché caratterizzato, analogamente a quanto osservato per il SARSCoV, da una lenta cinetica di replicazione su cellule Vero.
I risultati indicano che il pre-trattamento di cellule Vero con le diverse
preparazioni di IFNs (rIFN alfa2, nIFN alfa, IFN beta e IFN gamma)
comporta una significativa riduzione della resa virale di NDV (figura 11
pannello D).
74
Analogamente a quanto osservato per il EMCV e il VSV, sia l’IFN beta
che l’nIFN alfa sono gli IFNs più efficaci nell’inibire la replicazione
dell’NDV mentre
l’attività antivirale della preparazione di rIFN alfa2
risulta significativamente più debole.
Confrontando i valori delle IC50 delle diverse preparazioni di IFNs ottenute
per il SARS-CoV, il EMCV, il VSV e il NDV si osserva che sono
necessarie concentrazioni significativamente maggiori di IFN alfa, beta e
gamma per inibire la replicazione di SARS-CoV rispetto a quelle
necessarie per inibire la replicazione di virus IFN-sensibili. In particolare
dai risultati, espressi come media e deviazione standard di tre distinte
determinazioni, si evince che i valori della IC50 delle diverse preparazioni
di IFNs sono comprese tra 6,25 ng/ml (per l’IFN beta ) e 1500 ng/ml (per
l’rIFN alfa2) nei confronti nel virus della SARS e tra 0, 01 ng/ml (per nIFN
alfa) e 13,5 ng/ml (per IFN gamma) nei confronti di EMCV, VSV e NDV
(tabella 6).
Avendo osservato che la preparazione di IFN alfa naturale esercita nei
confronti di SARS-CoV una attività antivirale maggiore rispetto alla
preparazione ricombinante abbiamo valutato, successivamente,
la
possibilità che alcuni dei sottotipi di IFNs alfa, di cui è costituita la miscela
dell’nIFN alfa, fossero più efficaci rispetto ad altri nell’inibire la
replicazione del virus della SARS su cellule Vero.
In particolare l’attività antivirale di alcuni sottotipi di IFN alfa (IFN alfa -1,
-5, -6, -7a, -8b, -10a, -17a e -21a), disponibili nel nostro laboratorio, è stata
valutata qualitativamente nei confronti di SARS-CoV, EMCV, VSV e
NDV.
I risultati ottenuti evidenziano che sono necessarie concentrazione dei
sottotipi di IFN alfa -1, -5, -6, -7a, -8b, -10a, -17a e -21a maggiori di 1 x
105 UI/ml o di 0,81 g/ml per inibire la replicazione di SARS-CoV su
75
cellule Vero (tabella 7). Al contrario, analogamente a quanto osservato per
le preparazioni di IFN alfa (naturale e ricombinante), beta e gamma, i
sottotipi di IFNs alfa inibiscono la replicazione dei virus IFN sensibili
(EMCV, VSV e NDV).
Tabella 7. Sensibilità del SARS-CoV all’azione antivirale di alcuni sottotipi di IFNs
alfa. ( IFN, interferone, SARS-CoV, coronavirus della sindrome acuta respiratoria
severa, EMCV, virus dell’encefalomiocardite, VSV, virus della stomatite vescicolare,
NDV, virus della malattia di New Castle).
SOTTOTIPI DI
DOSE MASSIMA DI
INIBIZIONE DELLA FORMAZIONE
IFNs ALFA
IFN SAGGIATA
DELL’EFFETTO CITOPATICO
(UI/ml)
SARS-CoV
EMCV
VSV
NDV
IFN alfa 1
1 x105
no
si
si
si
IFN alfa 5
1 x105
no
si
si
si
IFN alfa 6
1 x105
no
si
si
si
IFN alfa 7a
1 x105
no
si
si
si
IFN alfa 8b
1 x105
no
si
si
si
IFN alfa 10a
1 x105
no
si
si
si
IFN alfa 17a
1 x105
no
si
si
si
IFN alfa 21a
1 x105
no
si
si
si
76
ATTIVITA’ ANTIVIRALE DELLE MISCELE DI IFNs DI TIPO I II
NEI CONFRONTI DEL SARS-COV
Considerando che gli IFNs di tipo I (IFN alfa e IFN beta) e l’IFN di tipo II
(IFN gamma), hanno un effetto antivirale modesto nei confronti della
replicazione di SARS-CoV su cellule Vero quando si impiegano a basse
concentrazioni, e che, come è noto, essi agiscono legando recettori
differenti sulla membrana cellulare, abbiamo valutato se l’impiego di una
miscela di IFN di tipo I e II aumentasse l’attività antivirale degli IFNs nei
confronti del virus della SARS.
In particolare differenti diluizioni di IFN gamma (1-1000 UI/ml), sono state
aggiunte a differenti concentrazioni di IFN beta o nIFN alfa
(1-1000
UI/ml). Successivamente gli IFNs usati in combinazione sono stati
distribuiti sul monostrato confluente di cellule Vero per un tempo di 20
ore. In seguito le cellule sono state infettate con SARS-CoV ad una MOI di
0,1 TCID50/cellula e trascorse 72 ore il supernatante è stato raccolto e il
prodotto virale è stato retrotitolato.
I risultati indicano che quando 100 UI/ml di IFN gamma vengono aggiunte
a concentrazioni crescenti di IFN beta si ottiene una diminuzione
significativa della resa virale SARS-CoV (Figura 12).
In particolare, quando le cellule Vero vengono trattate con 137 UI/ml di
IFN beta in combinazione a 100 UI/ml di IFN gamma il prodotto virale di
SARS-CoV è ridotto del 99%.
Al contrario se le stesse concentrazioni di IFN beta o gamma vengono
impiegate separatamente la resa virale viene inibita rispettivamente del
43% e dello 0%.
77
8
no IFN
TCID50/ml (Log)
7
beta
gamma
6
beta+ gamma
5
4
3
2
1
0
SARS-CoV
3700
411
137
45
UI/ml
Figura 12. Effetto della combinazione degli IFN beta e gamma sulla replicazione del
coronavirus della sindrome acuta respiratoria severa (SARS-CoV). Cellule Vero in
monostrato sono state trattate con IFN beta e IFN gamma separatamente o in
combinazione e incubate per 24 ore. In seguito sono state infettate con SARS-CoV
(MOI: 0,1 TCID50/cellula). Il virus è stato raccolto a 72 ore dall’infezione e la resa
virale è stata determinata come descritto nel testo. Il titolo di SARS-CoV è espresso
come il Log TCID50/ml.
IFN beta + gamma vs IFN beta p<0,05;
IFN beta + gamma vs IFN gamma p<0,05.
Risultati analoghi sono stati ottenuti anche utilizzando la preparazione di
nIFN alfa in combinazione con quella di IFN gamma (figura 13). Infatti
quando le cellule Vero sono state trattate con una miscele contenenti 137
UI/ml di nIFN alfa e 100 UI/ml di IFN gamma la resa virale è ridotta del
99%.
78
Al contrario se le stesse unità di nIFN alfa o gamma vengono
somministrate separatamente la replicazione di SARS-CoV non viene
inibita affatto.
no IFN
alfa
gamma
TCID50/ml (Log)
alfa+gamma
SARS-CoV
3700
411
137
45
UI/ml
Figura 13. Effetto della combinazione degli IFN alfa e gamma sulla replicazione del
coronavirus della sindrome acuta respiratoria severa (SARS-CoV). Cellule Vero in
monostrato sono state trattate con IFN alfa naturale e IFN gamma separatamente o in
combinazione e incubate per 24 ore. In seguito sono state infettate con SARS-CoV
(MOI: 0,1 TCID50/cellula). Il virus è stato raccolto a 72 ore dall’infezione e la resa
virale è stata determinata come descritto nel testo. Il titolo di SARS-CoV è espresso
come il Log TCID50/ml.
IFN alfa + gamma vs IFN alfa p<0,05;
IFN alfa + gamma vs IFN gamma p<0,05
79
L’aumento della sensibilità del virus della SARS agli IFNs di tipo I e II
usati in combinazione risulta ancora più evidente quando si analizzano i
valori delle IC50 delle diverse preparazioni di IFNs verso SARS-CoV come
è schematizzato nel grafici sotto riportati (figure 14).
Pannello A
IC50
IFN beta
IFN gamma
IFN beta + IFN gamma *
0
1
2
3
4
5
IFN (Log UI/ml)
Pannello B
IFN alfa
IC50
IFN gamma
IFN alfa + IFN gamma *
0
1
2
3
4
5
IFN (Log UI/ml)
Figura 14. Effetto della combinazione degli IFNs di tipo I [beta (pannello A) e alfa
(pannello B)] e gamma (pannello A e B) sulla replicazione del coronavirus della
80
sindrome acuta respiratoria severa (SARS-CoV). Cellule Vero in monostrato sono state
trattate con gli IFNs di tipo I e l’IFN gamma separatamente o in combinazione e
incubate per 24 ore. In seguito sono state infettate con SARS-CoV (MOI:0.1
TCID50/cellula). Il virus è stato raccolto a 72 ore dall’infezione e il titolo del virus è
stata determinata come descritto nel testo. I dati sono espressi in termini di IC50 e
rappresentano la media ± la deviazione standard di tre distinte determinazioni.
*: p<0,05 confrontato con i valori degli IC50 degli IFN di tipo I e gamma somministrati
singolarmente.
In particolare il calcolo dei valori di IC50 rivela un aumento significativo
dell’attività antivirale degli IFN di tipo I e II usati in combinazione nei
confronti di SARS-CoV. Infatti le IC50 delle preparazioni di IFN alfa, beta
e gamma usate singolarmente sono più elevate se paragonate alle IC50 di
IFN beta o alfa usate in combinazioni all’IFN gamma (p<0,05).
Succesivamente siamo andati a caratterizzare che tipo di interazione
(additiva o sinergica) esistesse tra i due tipi di IFN nei confronti del virus
della SARS. A tale scopo abbiamo applicato il metodo di Chou and Talalay
(Chou & Talalay, 1984) con il quale è stato possibile calcolare l’indice di
combinazione (IC) tra gli IFN di tipo I (nIFN alfa e IFN beta) e l’IFN
gamma.
Secondo questo metodo:
se IC >1 i due farmaci (in questo caso molecole di IFN) sono antagonisti;
se IC =1 i due farmaci determinano un effetto additivo;
se IC <1 i due farmaci sinergizzano.
L’analisi dei valori degli IC verso SARS-CoV evidenzia che gli IC relativi
alle diverse concentrazioni degli IFNs di tipo I e II sono sempre inferiori a
1 (Tabelle 8 e 9).
81
Tabelle 8-9. Indice di combinazione per le miscele di IFNs di tipo I (beta e alfa) e IFN
gamma nei confronti della replicazione di SARS-CoV nelle cellule Vero. (IC, indice di
combinazione, IFN, interferone, SARS-CoV, cornavirus della sindrome acuta
respiratoria severa).
.
IFN beta
IFN gamma
(ng/ml)
(ng/ml)
0,13
50
0,06
0,007
16,65
0,13
0,014
5,55
0,7
0,13
1,85
0,2
nIFN alfa IFN gamma
a
Indice di combinazione
Indice di combinazione
(ng/ml)
(ng/ml)
0,18
50
0,01
0,02
16,65
0,07
0,13
5,55
0,2
0,18
1,85
0,4
L’indice di combinazione è stato calcolato attraverso il Calcusyn software (Biosoft,
Ferguson, MO) che utilizza il metodo di Chou e Talalay. Valori di IC< 1, =1, e > 1
indicano rispettivamente sinergismo, effetto additivo ed effetto antagonistico. IC <0,1
indica un elevato livello di sinergismo
In conclusione, i risultati nel loro insieme indicano che, sebbene gli IFNs di
tipo I (nIFN alfa e IFN beta) e l’IFN gamma, agendo separatamente, non
82
riescano ad esplicare un’azione efficace contro la replicazione di SARSCoV, qualora usati in combinazione sinergizzano inducendo uno stato
antivirale molto significativo.
ESPRESSIONE DEGLI mRNAS DI MXA, ADAR-1, 2’-5’ OAS E P56
IN CELLULE VERO TRATTATE CON I DIVERSI TIPI DI IFNS
Allo scopo di caratterizzare l’azione antivirale dei differenti tipi di IFNs
verso il SARS-CoV, abbiamo valutato se i livelli di espressione genica di
alcune proteine IFN indotte (MxA, ADAR-1, 2’-5’OAS e P56) correlassero
con la diversa attività antivirale degli IFN alfa, IFN beta e l’IFN gamma,
quando usati singolarmente o in combinazione, verso il SARS-CoV.
In particolare cellule Vero sono state trattate per 20 ore con 5 ng/ml di IFN
alfa, IFN beta e l’IFN gamma separatamente o con miscele di IFN alfa o
beta e IFN gamma (5ng/ml). Successivamente i livelli di espressione degli
mRNAs di MxA, ADAR-1, 2’-5’OAS e P56 sono stati valutati mediante la
metodica TaqMan.
I risultati ottenuti indicano che tutte le proteine esaminate, ad eccezione
dell’MxA-mRNA, vengono indotte nelle cellule Vero dagli nIFN alfa, beta
e gamma. In particolare è stato osservato che l’IFN gamma non induce la
sintesi della proteina MxA a differenza degli IFNs di tipo I.
Dagli esperimenti condotti è stato interessante osservare che l’nIFN alfa,
sebbene possieda una antivirale significativamente minore rispetto all’IFN
beta nei confronti del SARS-CoV (tabella 6); induce nelle cellule Vero la
trascrizione di una quantità di copie di mRNAs per le proteine MxA,
ADAR-1, 2’-5’OAS e P56 paragonabile a quella che si ottiene dopo
trattamento con l’IFN beta.
83
Successivamente abbiamo valutato l’induzione di MxA, ADAR-1, 2’5’OAS e P56 dopo trattamento delle cellule Vero con miscele di un IFN di
tipo I (nIFN alfa o IFN beta) e IFN gamma. I risultati indicano che il
trattamento delle cellule Vero con una miscela di un IFN di tipo I e IFN
gamma induce maggiori livelli di mRNAs per le proteine MxA, ADAR-1,
2’-5’OAS e P56, rispetto a quelli che si ottengono trattando le stesse cellule
con gli IFNs alfa, beta e gamma separatamente (figura 15).
In conclusione i risultati indicano che il livello di induzione di MxA,
ADAR-1, 2’-5’OAS e P56, in seguito a pretrattamento delle cellule Vero
con IFNs, non correla in maniera significativa con la differente attività
antivirale di nIFN alfa, IFN beta e IFN gamma nei confronti del SARSCoV.
Pannello A-MxA-mRNA
1400
*
1200
*
n. volte di aumento
1000
800
600
400
200
0
nIFNalfa
IFNbeta
IFNgamma
nIFNalfa
IFN beta
+
+
IFN gamma IFN gamma
84
n° di volte di aumento
Pannello B-ADAR-1-mRNA
18
16
14
12
10
*
*
8
6
4
2
0
n I F N a l fa
1
IF N b eta
2
IF N g a m m a
3
n I F N a lf a I F N b e t a
4+
5+
IF N g a m m a IF N g a m m a
Pannello C-2’-5’-OAS mRNA
3000
*
n° di volte di aumento
2500
2000
*
1500
1000
500
0
n IF N a lfa
1
IF N b e ta
2
IF N g a m m a
3
n IF N a lfa
+
IF N g a m m a
4
IF N b e ta
+
IF N gam m a
5
85
Pannello D- P56 mRNA
5000
n° di volte di aumento
4000
*
3000
*
2000
1000
0
nIF N alfa
1
Figura 14.
IF N beta
2
IF N gam m a
3
n IFN alfa
IF N b eta
+
+
IFN gam m a IF N gam m a
4
5
Effetto degli IFNs sull’induzione degli mRNAs che codificano per le
proteine MxA (pannello A), ADAR-1 (pannello B), 2’-5’ OAS (pannello C) e P56
(pannello D) nelle cellule Vero. Cellule Vero sono state trattate con 5ng/ml di IFN alfa
naturale (n), 5ng/ml di IFN beta, 5ng/ml di IFN gamma, oppure con una miscela di IFN
di tipo I (alfa naturale o beta) e IFN gamma (5ng/ml per ciascuno tipo di IFNs) per un
tempo di 24 ore. L’RNA totale è stato estratto da 5x106 cellule Vero e successivamente
sono stati determinati i livelli di mRNAs che codificano per le proteine MxA, ADAR-1,
2’-5’ OAS e P56 mediante la metodica TaqMan. I dati sono espressi come aumenti dei
livelli dell’espressione degli mRNAs di ciascuna proteina confrontato con i valori basali
di espressione degli stessi trascritti ottenuti dalle cellule Vero non trattate con IFN. I
livelli di mRNAs sono stati normalizzati usando, come gene di riferimento, il gene della
gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi. L’aumento dei trascritti delle proteine MxA,
ADAR-1, 2’-5’ OAS e P56, espressi come n. di volte di aumento, sono stati determinati
utilizzando la formula 2-
C
(vedi “materiali e metodi”).
Per ciascuna proteina sono state fatte tre determinazioni riportate come media + la
deviazione standard .
*: p<0,05 confrontato con l’aumento dei livelli degli mRNAs che codificano per le
proteine MxA, ADAR-1, 2’-5’ OAS e P56 nelle cellule Vero trattate con nIFN alfa,
IFN beta e IFN gamma separatamente
86
VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ ANTIVIRALE NEI
SUPERNATANTI DI LINFOMONOCITI INFETTATI CON IL
SARS-CoV
Come già ricordato la seconda parte dello studio è stata dedicata alla
valutazione e caratterizzazione dell’attivazione del sistema IFN da parte del
SARS-CoV. In particolare i linfomonociti proveniente da soggetti sani
sono stati infettati con SARS-CoV (MOI: 0,1 TCID50/cellula) ed è stata
determinata la presenza di IFN nel supernatante cellulare, raccolto 24 e 48
ore dopo l’infezione, valutandone l’attività antivirale nei confronti sia del
virus dell’EMCV in cellule di adenocarcinoma polmonare umano (A549)
sia del VSV in cellule di rene bovino (MDBK). Esperimenti analoghi sono
stati eseguiti infettando i linfomonociti con i virus VSV o NDV, noti in
letteratura per la loro capacità di indurre IFN (Aoki & Kawakita, 1996;
Lam et al., 2005; Trottier et al., 2005).
I risultati ottenuti indicano che il virus della SARS induce a 24 e 48 ore la
sintesi di IFNs nei linfomonociti provenienti da soggetti sani, raggiungendo
un livello massimo di espressione a 48 ore (figura 15). In particolare la
quantità di IFN prodotta è 165±70 UI/ml nel sistema EMCV-A549 e
280±50 UI/ml nel sistema VSV-MDBK.
I risultati inoltre indicano che il VSV e l’ NDV, analogamente a quanto
osservato per il SARS-CoV, inducono la sintesi di IFN a 24 e 48 ore con un
picco massimo di induzione a 48 ore. In particolare a 48 ore nel
supernatante dei linfomonociti infettati con VSV si osserva una attività
antivirale di 900±220 UI/ml nel sistema EMCV-A549 e di 790±160 UI/ml
nel sistema VSV-MDBK, mentre in quello dei linfomonociti infettati con
NDV l’attività antivirale è di 1080±260 UI/ml nel sistema EMCV-A549 e
di 960±170 UI/ml nel sistema VSV-MDBK.
I risultati indicano che i virus VSV e NDV inducono una maggiore sintesi
di IFN rispetto al virus della SARS (p<0,05).
87
A549-EMCV
1400
SARS-CoV
1200
NDV
IFN (UI/ml)
1000
VSV
800
600
400
200
*
*
0
T24
MDBK-VSV
T48
1400
1200
IFN (UI/ml)
1000
800
600
400
*
*
200
0
T24
T48
Figura 15. Attività antivirale del supernatante proveniente dai linfomonociti infettati
con il coronavirus della sindrome acuta respiratoria severa (SARS-CoV), il virus della
stomatite vescicolare (VSV) o il virus della malattia di New Castle (NDV). In
particolare i linfomonociti sono stati infettati con SARS-CoV, NDV o VSV (MOI: 0,1
TCID50/cellula) e la presenza di IFN nel supernatante cellulare è stata determinata, a 24
e 48 ore dopo l’infezione, valutandone l’attività antivirale nei confronti sia del virus
EMCV in cellule di carcinoma polmonare umano (A549) sia del VSV in cellule di rene
di bovino (MDBK).
*:p<0,05 confrontato con l’attività antivirale del supernatante proveniente dai
linfomonociti infettati con VSV o NDV.
88
CARATTERIZZAZIONE
DEGLI
IFNs
PRODOTTI
DAI
LINFOMONOCITI INFETTATI CON IL SARS-CoV
Avendo osservato la presenza di attività antivirale nel supernatante dei
linfomonociti infettati con il virus della SARS, successivamente abbiamo
caratterizzato quali tipi di IFNs di tipo I venivano indotti.
In
particolare
mediante
la
metodica
TaqMan
abbiamo
valutato
l’espressione genica di alcuni sottotipi di IFNs alfa (-1, -2, -5, -6, -8, -10, 13, -17,-21) e dell’IFN beta nei linfomonociti infettati con SARS-CoV per
24 o 48 ore. Parallelamente abbiamo confrontato i dati ottenuti con quelli
relativi a linfomonociti infettati con il VSV o l’NDV.
Come si può osservare dal grafico (figura 16), il virus della SARS induce
l’espressione degli mRNAs di IFNs alfa (-1, -2, -5, -6, -8, -10, -13, -17,-21)
e dell’IFN beta sia a 24 che a 48 ore. In particolare il sottotipo di IFN alfa
maggiormente indotto, sia a 24 che a 48 ore dall’infezione dei
linfomonociti con SARS-CoV, è il sottotipo di IFN alfa -2. Al contrario gli
mRNAs degli IFNs prodotti in quantità minore sono i sottotipi di IFN alfa 5,-10,-17,-21.
n. volte di aumento
80
alfa2
70
60
alfa6
alfa8
50
alfa5/10/17/21
40
30
alpha1/13
beta
20
10
0
T24
T48
Figura 16. Livelli di espressione degli mRNAs che codificano per gli IFNs di tipo I
prodotti dai linfomonociti in seguito all’infezione con il coronavirus della sindrome
respiratoria acuta severa (SARS-CoV). L’RNA totale, estratto dai linfomonociti infettati
89
con SARS-CoV per 24 o 48 ore, è stato analizzato mediante la metodica TaqMan. I
livelli di mRNAs degli IFNs sono stati normalizzati usando come gene di riferimento il
gene della gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi. L’aumento degli mRNAs degli IFNs,
espressi come n. di volte di aumento, sono stati determinati utilizzando la formula 2-
C
(vedi “materiali e metodi”).
Risultati analoghi sono stati ottenuti analizzando l’espressione genica degli
IFN di tipo I nei linfomonociti infettati con VSV o NDV per 24 o 48 ore.
Dal confronto dei livelli di espressione di alcuni sottotipi di IFNs alfa e
dell’ IFN beta indotti nei linfomonociti in seguito all’infezione con SARSCoV, VSV o NDV (figura 17), si evince che il profilo di induzione degli
IFNs di tipo I è diverso e specifico per ciascun virus.
Interessante è stata l’osservazione che il VSV e NDV inducono una
maggiore sintesi dei sottotipi di IFNs alfa e dell’ IFN beta rispetto al
SARS-CoV (p<0,05).
In conclusione i risultati nel loro insieme indicano che il virus della SARS
induce l’attivazione genica di alcuni sottotipi di IFNs alfa e dell’IFN beta.
Tuttavia il livello degli mRNAs degli IFNs indotti dal SARS-CoV sono
inferiori rispetto a quelli indotti dall’NDV e dal VSV.
Figura 17. Pannello A-SARS-CoV
Pannello A- SARS-C0V
n. volte di aumento (Log)
6
5
4
alpha2
alpha6
3
alpha8
2
alpha5/10/17/21
alpha1/13
1
beta
0
T24
T48
90
Pannello B-NDV
6
n. volte di aumento (Log)
5
4
3
2
1
0
T2 4
T4 8
T2 4
T4 8
Pannello C-VSV
6
n. volte di aumento (Log)
5
4
3
2
1
0
Figura 17. Livelli di mRNAs di alcuni sottotipi di IFNs alfa e dell’IFN beta nei
linfomonociti infettatti con il coronavirus della sindrome respiratoria acuta severa
(SARS-CoV-pannello A), il virus della malattia di New Castle (NDV-pannello B) e il
virus della stomatite vescicolare (VSV-pannello C) L’RNA totale, estratto dai
linfomonociti infettati con SARS-CoV, NDV o VSV per 24 o 48 ore, è stato analizzato
mediante la metodica TaqMan. I livelli di mRNAs sono stati normalizzati usando, come
gene di riferimento, il gene della gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi. L’aumento degli
mRNAs degli IFNs, espressi come n. di volte di aumento, sono stati determinati
utilizzando la formula 2-
C
(vedi “materiali e metodi”).
91
DISCUSSIONE
92
La “Sindrome Acuta Respiratoria Severa” (SARS) è una patologia infettiva
che si è diffusa inizialmente nel sud della Cina alla fine del 2002 e che ha
destato molta preoccupazione in vari paesi del mondo a causa dell’esito
letale a cui è associta.
L’agente eziologico della SARS è stato identificato in maniera definitiva
solo alla fine di Marzo 2003 in alcuni laboratori di Hong Kong, Stati Uniti
e Germania, dopo la sua comparsa in Hong Kong, Toronto, Singapore e
Vietnam.
L’agente infettivo della SARS è un virus appartenente alla
famiglia Coronaviridae. Si tratta di un coronavirus nuovo rispetto agli altri,
da tempo noti, come causa di malattie infettive nell’uomo e negli animali
(Ksiazek et al., 2003).
La notizia riguardo alla relazione di causalità tra il nuovo membro della
famiglia dei coronavirus (SARS-CoV) e la SARS è stata stabilita e diffusa
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla base della dimostrazione
che l’infezione risponde ai postulati di Koch.
Da quando l’OMS ha dichiarato la fine dell’epidemia mondiale di SARS
nel luglio 2003 (Fujii et al., 2004) sono stati registrati solo alcuni casi
sporadici di SARS tra il 2003 e 2004 che, a differenza dei casi del 20022003, non hanno portato alla diffusione rapida del virus nella popolazione
umana (Zhong, 2004).
La
mancanza
di conoscenze
dettagliate
relative
alla patogenesi
dell’infezione da virus della SARS ha, tuttavia, reso quanto mai urgente
l’individuazione
di
agenti
antivirali
specifici
per
il
trattamento
dell’infezione da SARS-CoV. Attualmente, infatti, non è nota una terapia
efficace nei confronti di SARS-CoV.
Nel primo periodo della diffusione dell’epidemia i farmaci maggiormente
impiegati sono stati gli antinfiammatori steroidei e alcuni agenti antivirali
93
quali la Ribavirina e il Kaletra, quest’ultimo assunto esclusivamente in
associazione alla ribavirina.
In particolare è stato osservato che gli steroidi, per mostrare effetti efficaci
nei confronti di SARS-CoV, devono essere assunti a dosi elevate. Inoltre è
stato osservato che la ribavirina, se non somministrata in associazione con
gli steroidi o con il Kaletra, non manifesta effetti anti-SARS-CoV evidenti
(Fujii et al., 2004; Stroher et al., 2004). Alcuni studi (Booth et al., 2003;
Avendano et al., 2003) hanno anche dimostrato che la ribavirina determina
effetti collaterali importanti, quali l’insorgenza di un’anemia emolitica e
una riduzione considerevole dell’emoglobina, associati ad una significativa
tossicità e ad un conseguente aggravamento del quadro clinico dei pazienti.
Questo ha comportato, nel Maggio del 2003, l’invito alla sospensione della
sua somministrazione nel trattamento della SARS, formulato dal Ministero
dalla Sanità Canadese.
Gli IFNs vengono ampiamente impiegati nel trattamento delle infezioni
virali, con risultati consolidati nella terapia di infezioni di virus ad RNA a
polarità positiva, quali il virus dell’epatite cronica di tipo C e i coronavirus
umani e animali (Sperber & Harden, 1989; Jordan & Derbyshire, 1995;
Uetsuka et al., 1996; Pei et al., 2001).
Come noto, infatti, il sistema IFN, costituito da una classe di proteine
appartenenti alla famiglia delle citochine, esplica sia un’azione antivirale
diretta sulla replicazione della maggior parte dei virus animali, sia
un’azione indiretta potenziando la risposta immunitaria (sia innata che
adattativa) dell’organismo attivata nell’ospite al momento dell’infezione
virale. Questo processo inizia con il legame delle proteine IFNs a uno
specifico recettore sulla membrana citoplasmatica della cellula; gli IFNs di
tipo I usano il medesimo recettore, mentre l’IFN gamma si lega a un
recettore differente. Il legame degli IFNs al recettore cellulare attiva la
cascata del segnale JAK/STAT che porta all’espressione di varie proteine
94
effettrici, quali la PKR, la 2’-5’-OAS e la RNAsi L, responsabili dello stato
di resistenza virale.
Gli esperimenti di valutazione della sensibilità del SARS-CoV all’azione
antivirale degli IFN alfa, beta e gamma sono stati condotti utilizzando la
linea cellulare Vero, in quanto sensibile agli IFNs e permissiva
all’infezione da SARS-CoV.
Esperimenti anologhi sono stati eseguiti con il virus ell’encefalomiocardite
(EMCV), il virus della stomatite vescicolare (VSV) e il virus della malattia
del New Castle (NDV) al fine di paroganare la sensibilità agli IFNs del
SARS-CoV con altri virus per i quali è nota la sensibilità all’IFN.
I risultati che abbiamo ottenuto hanno messo in luce la relativa resistenza di
SARS-CoV ai differenti tipi di IFNs, suggerendo che esso è resistente
all’azione antivirale dell’IFN alfa e dell’IFN gamma, mentre, risulta
debolmente sensibile all’IFN beta.
In particolare è stato osservato che gli IFNs presentano, in vitro, una
diversa attività antivirale verso il SARS-CoV: l’IFN beta sembra essere più
efficace nell’inibire la replicazione del SARS-CoV rispetto agli altri IFNs
saggiati (IFN alfa2 ricombinante, IFN alfa naturale, IFN gamma).
Tuttavia dalla valutazione del valore della dose inibente il 50% della
replicazione virale (IC50) degli IFNs nei confronti del SARS-CoV e
EMCV, VSV, NDV risulta che le IC50 degli IFNs alfa (naturale e
ricombinante), beta e gamma relative al virus della SARS sono
significativamente più elevate rispetto a quelle calcolate per i virus IFNsensibili.
La concentrazione di IFN beta necessaria per inibire la replicazione del
SARS-CoV è paragonabile a quelle che sono state riportate in letteratura
(Cinatl et al., 2003; Zheng et al., 2004; Hensley et al., 2004; Dahl et al.,
2004). Le differenze relative ai valori delle IC50 delle diverse preparazioni
95
di IFNs che si possono riscontrare con i diversi studi in letteratura sono
attribuibili sia all’utilizzo di standard diversi per definire le unità
internazionali (UI) di IFN che all’utilizzo di condizioni sperimentali
diverse. In particolare le cellule sono state infettate con MOI diverse di
SARS-CoV (da 0,1 a 0,001), l’IFN è stato aggiunto alle cellule in tempi
diversi (1 o 18 ore prima dell’infezione o anche solo dopo l’infezione),
sono state utilizzate cellule diverse [Vero, Vero E6, Caco2 (di
adenocarcinoma del colon) o FRhK4 (fetali di rene di scimmia “rhesus”)] e
diversi ceppi di SARS-CoV.
Interessante è stata anche l’osservazione che la preparazione di IFN alfa
naturale presenta una maggiore attività antivirale rispetto alla preparazione
di IFN alfa ricombinante nei confronti del SARS-CoV.
Alla luce di questa osservazione abbiamo valutato la possibilità che alcuni
sottotipi di IFNs alfa, disponibili nel nostro laboratorio, di cui è costituita
la miscela dell’IFN alfa naturale, fossero più efficaci rispetto ad altri
nell’inibire la replicazione del virus della SARS su cellule Vero. I risultati
ottenuti hanno evidenziato sia che nessuno dei sottotipi di IFNs alfa
analizzati possiede una significativa attività antivirale verso il SARS-CoV,
sia che il SARS-CoV è resistente all’azione antivirale dei sottotipi di IFNs
alfa -1, -5, -6, -7a, -8b, -10a, -17a e -21a rispetto a EMCV, VSV e NDV.
Bisogna, tuttavia, considerare che la maggiore attività antivirale della
preparazione di IFN alfa naturale rispetto alla ricombinate verso il SARSCoV potrebbe essere dovuta sia all’azione antivirale di altri sottotipi di
IFNs alfa presenti nella preparazione di IFN alfa naturale, sia all’azione
antivirale sinergica di alcuni sottotipi di IFNs alfa, come è stato riportato
in letteratura (Yamamoto et al., 2002). E’ stato infatti dimostrato che
l’utilizzo di una miscela di due sottotipi di IFN alfa, quali IFN alfa2 e IFN
alfa8,
aumenta
in
maniera
significativa
l’attività
antivirale
e
96
antiproliferativa degli IFNs rispetto a quando i sottotipi di IFNs alfa si
utilizzano separatamente.
Successivamente la nostra attenzione è stata rivolta alla valutazione dei
livelli di espressione degli mRNAs di MxA, ADAR, P56 e 2’-5’ OAS che,
come è noto, sono proteine specificamente indotte dall’IFN di tipo I e II, in
seguito all’ infezione virale della cellula. Lo scopo che ci siamo prefissati è
stato quello valutare, in vitro, l’esistenza di una correlazione tra i livelli di
alcune proteine IFN-indotte e l’attività antivirale delle diverse preparazioni
di IFNs utilizzate da sole o in combinazione verso il SARS-CoV.
Considerando questo aspetto è stato proposto che il livello di espressione
dell’ MxA, che risulta maggiore nelle cellule trattate con l’IFN beta rispetto
alle cellule trattate con l’IFN alfa, possa correlare con l’attività antivirale
degli IFNs nei confronti del virus della SARS (Cinatl et al., 2003).
I risultati che abbiamo ottenuto, tuttavia, non hanno evidenziato l’esistenza
di una correlazione tra l’espresisone degli mRNAs di MxA, ADAR-1, 2’5’ OAS e P56 e la diversa attività antivirale delle preparazioni di IFN alfa,
beta e gamma. Infatti i livelli di MxA, ADAR-1, 2’-5’ OAS e P56 indotti
dalla preparazione di IFN alfa naturale sono paragonabili a quelli indotti
dall’IFN beta, nonostante le due preparazioni di IFN di tipo I abbiano una
diversa attività antivirale verso il SARS-CoV.
I dati ottenuti relativamente alla valutazione dell’espressione dell’MxA
sembrano confermare quanto riportato in un recente articolo (Spiegel et al.,
2004). In particolare, Spiegel e collaboratori, infettando con il virus della
SARS, cellule Vero, precedentemente transfettate con la proteina MxA,
non hanno osservato alcuna riduzione della replicazione di SARS-CoV e
hanno pertanto concluso che non vi è alcuna correlazione tra l’espressione
di MxA e l’induzione dello stato antivirale dell’IFN nei confronti del
SARS-CoV.
97
Considerando che gli IFN di tipo I (IFN alfa e IFN beta) e di tipo II (IFN
gamma), usati singolarmente, hanno un effetto moderatamente inibente nei
confronti della replicazione di SARS-CoV qualora si impieghino a basse
concentrazioni e che, come è noto, essi agiscono legandosi su recettori
differenti della membrana cellulare, successivamente abbiamo condotto
degli esperimenti per valutare la possibilità che gli IFNs di tipo I e II
possano agire in maniera sinergica nei confronti di SARS-CoV.
In particolare, considerando la maggiore attività antivirale dell’IFN alfa
naturale e dell’IFN beta rispetto alle preparazioni di IFN alfa ricombinante
nei confronti di SARS-CoV, abbiamo valutato l’attività antivirale della
preparazione di IFN alfa naturale o di IFN beta in combinazione all’IFN
gamma in cellule Vero.
I risultati indicano che trattando le cellule Vero con una combinazione di
IFN di tipo I (alfa o beta) e di IFN gamma si osserva una significativa
azione sinergica degli IFNs sull’inibizione della replicazione di SARSCoV. Infatti impiegando delle miscele, contenti diverse concentrazioni di
IFN alfa o beta in combinazione con l’IFN gamma, la resa virale di SARSCoV diminuisce in maniera significativa rispetto a quando si utilizzano gli
IFNs singolarmente
I dati che abbiamo ottenuto sull’attività sinergica dell’IFN tipo I e IFN
gamma confermano quanto si può leggere in letteratura (Sainz et al., 2004;
Castelletti et al., 2005). Tuttavia è interessante osservare che i nostri
risultati indicano in particolare che l’interazione di tipo sinergico tra l’IFN
di tipo I e II nei confronti del SARS-CoV si esplica anche a concentrazioni
minori di 100 UI/ml di IFNs.
L’aumento dell’attività antivirale degli IFNs a causa di un’interazione di
tipo sinergico tra gli IFNs di tipo I e II nei confronti del virus della SARS
non è, tuttavia, un fenomeno nuovo. In passato è stato dimostrato che
miscele di IFN gamma e IFN alfa o beta producono un effetto inibitorio di
98
tipo sinergico sulla replicazione del virus herpes simplex sia in vivo che in
vitro (Sainz & Halford, 2002). Recentemente è stato inoltre osservato che
la somministrazione contemporanea di IFN alfa e gamma, in topi infettati
con il tipo 2 del virus dell’epatite (MHV-2), aumenta significativamente
l’attività antivirale degli IFNs (Fuchizaki et al., 2003).
Il meccanismo responsabile dell’aumento dell’attività biologica degli IFNs
per una interazione di tipo sinergico tra gli IFN di tipo I e II non è stato
attualmente chiarito, tuttavia sono state identificate alcune componenti del
sistema IFN, che sembrano subire dei cambiamenti rilevanti in presenza dei
due tipi di IFNs.
In particolare è stato riportato che l’interazione tra IFN alfa e IFN gamma
induce un aumento significativo sia dei livelli di una subunità del
complesso di trascrizione ISGF-3 (Levy et al., 1990) che del recettore degli
IFN di tipo I (Mizukoshi et al., 1999) rispetto a quelli indotti dagli IFNs
separatamente.
Direttamente collegati a queste osservazioni i nostri risultati indicano che,
in seguito al pre-trattamento di cellule Vero con miscele di IFN alfa o beta
e gamma, i livelli di mRNAs di alcune proteine IFN-indotte, quali l’MxA,
l’ADAR-1, la P56 e la 2’-5’ OAS, vengono maggiormente indotti rispetto a
quelli osservati quando gli IFNs vengono usati singolarmente. L’aumento
dei livelli degli mRNAs di alcune delle proteine effettrici della attività
antivirale dell’IFN potrebbe, pertanto, essere dovuto all’incremento della
sintesi del complesso ISGF-3 e del recettore degli IFN di tipo I indotto
dagli IFNs di tipo I e II. Infatti come è noto il complesso di trascrizione
ISGF-3, si attiva in seguito al legame degli IFNs al recettore cellulare, e
migra nel nucleo, legandosi ad una regione specifica dei promotori di
alcuni geni stimolati dall’IFN, e ne determina l’attivazione per la
trascrizione.
99
Tuttavia, l’osservazione che l’espressione delle medesime proteine non
correla con la diversa attività antivirale delle varie preparazioni di IFNs nei
confronti del SARS-CoV, sottolinea come il fenomeno dell’interazione di
tipo sinergico tra gli IFN di tipo I e II sia una processo complesso che
richiederà maggiori attenzioni di tipo sperimentale.
E’ importante sottolineare che la discussione sull’utilizzo degli IFN per la
terapia di pazienti colpiti da SARS rimane tuttora accesa a causa della
discordanza dei risultati sperimentali ottenuti in vitro. Infatti mentre alcuni
autori asseriscono che il virus della SARS sia sensibile all’azione antivirale
dell’ IFN beta e dell’IFN alfa giustificando un utilizzo clinico degli IFNs
nell’infezione da SARS-CoV (Hensley et al., 2004; Stroher et al., 2004), in
altri lavori si evidenzia che il virus della SARS è relativamente resistente
all’azione antivirale degli IFN alfa e gamma e moderatamente sensibile
all’azione dell’IFN beta se paragonato a virus IFN sensibili (Cinatl et al,
2003).
Analogamente a quanto osservato in vitro anche i risultati clinici
sull’utilizzo di IFN nell’infezione da SARS-CoV mostrano una certa
contraddittorietà.
Infatti da una parte il trattamento di pazienti affetti da SARS con IFN
alfacon-1 e corticosteroidi ha mostrato una certa efficacia dal punto di vista
clinico (Loufty et al., 2003); dall’altra la somministrazione di IFN alfa
peghilato, dopo l’esposizione al virus della SARS, non ha mostrato nei
macachi una diminuzione dei sintomi della patologia (Haagmans et al.,
2004). Alla luce di queste considerazioni è evidente che, allo stato attuale
delle conoscenze, non è chiaro se, e in quale misura, gli IFNs potranno
essere utilizzati nel trattamento di nuove infezioni da SARS-CoV.
I nostri risultati in sostanza indicano che gli IFNs da soli non hanno
potenzialità terapeutiche in quanto i valori di IC50 sono troppo elevati e
100
difficilmente raggiungibili in vivo. Nel contempo tuttavia porgono le basi
per speculare per il loro possibile utilizzo terapeutico in combinazione.
Nella seconda parte dello studio abbiamo valutato l’attivazione del sistema
IFN nell’ospite in risposta all’infezione da SARS-CoV. L’ analisi di questa
componente della risposta immunitaria innata dell’ospite riveste un ruolo
rilevante nella comprensione della patogenesi di SARS-CoV in quanto la
presenza o l’assenza di un’attivazione del sistema IFN nell’ospite si
accompagna ad una diversa evoluzione dell’infezione virale.
Questo aspetto è stato ampiamente documentato nell’infezione con il virus
dell’immunodicenza umana (HIV). In particolare è stata osservata una
riduzione nella produzione di IFN alfa da parte dei linfomonociti in
pazienti affetti da HIV che correla con il progredire della malattia
(Chehadeh et al., 1999). Il virus dell’HIV sembra, infatti, indurre una
deplezione progressiva e selettiva delle cellule, denominate IPCs, che sono
note per la loro abilità di produrre grosse quantità di IFN di tipo I in seguito
ad una infezione virale (Soumelis et al., 2001).
Alla luce di queste considerazioni abbiamo quindi valutato e caratterizzato
l’induzione del sistema IFN dopo stimolazione, in vitro, dei linfomonociti,
con il virus della SARS.
Dai nostri risultati si evince che il SARS-CoV induce la produzione di
IFNs, in accordo con quanto recentemente riportato in letteratura
(Castilletti et al., 2005). Infatti in linfomonociti stimolati con SARS-CoV si
osserva la produzione, a 24 e 48 ore, di diversi sottotipi di IFNs alfa (-1, -2,
-5, -6, -8, -10, -13, -17,-21) e dell’ IFN beta.
Tuttavia è interessante sottolineare che, allo stato attuale delle conoscenze,
non è stato ancora completamente chiarito se il virus della SARS sia in
grado di replicarsi all’interno dei linfomonociti. Infatti mentre alcuni autori
riportano la presenza dell’RNA di SARS-CoV nei linfomonociti di sangue
periferico (Castilletti et al., 2005), altri lavori mostrano solo una limitata
101
replicazione del SARS-CoV e una esigua produzione di progenie virale
nella linea monocito/macrofagica (Yilla et al., 2005).
Queste osservazioni sono particolarmente interessanti e potranno
contribuire in futuro ad identificare il meccanismo di attivazione del
sistema IFN da parte del SARS-CoV: in particolare se l’attivazione
avvenga per interazione del virus con alcuni recettori presenti sulla
superficie cellulare o se sia necessaria la presenza all’interno della cellula
dei dsRNA di SARS-CoV che attivano direttamente le cascate del segnale
dei TLRs e della proteina PKR.
Interessante è stata l’osservazione che il virus della SARS induce una
modesta sintesi di IFNs di tipo I rispetto a virus noti in letteratura per
essere forti induttori di IFN, quali il VSV e l’NDV. Questa osservazione è
in accordo con dei dati riportati in letteratura (Yilla et al., 2005; Ziegler et
al., 2005). Infatti è stato riportato sia che l’infezione con il SARS-CoV di
cellule della linea monocito-macrofagica induce una produzione di IFN
alfa, pari o inferiore a 8 UI/ml (Yilla et al., 2005) sia che il SARS-CoV non
induce l’espressione genica di IFN alfa e beta e di MxA in cellule di
carcinoma polmonare umano, nei macrofagi e nelle cellule dendritiche. Il
virus della SARS sembrerebbe pertanto essere un induttore poco efficiente
di IFN a differenza di altri coronavirus umani ed animali (Baudoux et al.,
1998; Cheung et al., 2005).
Alle luce di queste osservazioni il virus della SARS potrebbe aver
sviluppato delle strategie per interferire con l’attività delle principali
componenti del sistema IFN.
E’ noto che i virus hanno a disposizione sofisticati meccanismi per bloccare
le attività inibitorie esplicate dagli IFNs sulla replicazione virale. Le
strategie utilizzate dai virus per contrastare l’attività biologica dell’IFN
mirano principalmente a bloccare le diverse componenti del sistema IFN
quali il segnale dei recettori TLRs, la sintesi di IFN, il legame al recettore
102
cellulare, la cascata del segnale JAK/STAT, l’induzione e l’attivazione
delle proteine IFN-indotte (Sen, 2001; Weber et al., 2004).
L’attivazione genica degli IFNs di tipo I, in particolare dell’IFN beta,
rappresenta la prima risposta dell’ospite ad una infezione virale. Nel
processo di attivazione della sintesi di IFN beta, una proteina della famiglia
delle IRFs, denominata IRF-3, in seguito ad una infezione con un virus,
viene attivata da alcune chinasi cellulari e trasloca, sottoforma di dimero,
dal citoplasma al nucleo della cellula dove si lega, insieme ad altri fattori di
trascrizione, al promotore dell’IFN beta, attivando la sintesi di mRNA di
IFN beta.
Collegata a tale aspetto è la dimostrazione che il SARS-CoV blocca la
sintesi di IFN beta.
In particolare è stato dimostrato che il virus della SARS induce un
accumulo a livello nucleare della proteina IRF-3 solo durante la fase
precoce dell’infezione. Infatti nella fase tardiva dell’infezione la proteina
IRF-3 si ritrova unicamente nel citoplasma delle cellule sotto forma inattiva
(Spiegel et al., 2005). L’immediato trasferimento di IRF-3 dal citoplasma al
nucleo, in seguito all’infezione con SARS-CoV, e la mancata attivazione di
IRF-3, sembrerebbe bloccare la sintesi di IFN beta.
Questa strategia di inibizione della sintesi di IFN beta sembra essere
peculiare del SARS-CoV. Infatti i meccanismi di inibizione della sintesi di
IFN beta che sono stati proposti per le diverse famiglie di virus
comprendono l’inibizione della fosforilazione IRF-3, il legame diretto di
proteine virali alla proteina IRF-3, la sintesi di proteine virali omologhe
alla proteina IRF-3 e il sequestro di proteine che partecipano nel processo
di attivazione di IRF-3.
L’inibizione della sintesi di IFN beta non sembra, tuttavia, essere l’unica
strategia adottata da SARS-CoV per sovvertire l’attivazione del sistema
IFN.
103
E’ stato infatto osservato che, in pazienti affetti da SARS-CoV, durante la
fase acuta della malattia sono presenti livelli ridotti sia di alcune proteine
IFN indotte quali PKR, GBP-1e -2, CXCL-10 e -11, che di alcuni
componenti della cascata del segnale JAK/STAT (Yu et al., 2005).
Allo stato attuale delle conoscenze non è noto se sia direttamente il virus
della SARS ad inibire la cascata del segnale JACK/STAT dell’IFN o
piuttosto sia l’espressione di alcune citochine pro-infiamatorie quali IL-1,
IL-6 or IL-8 ( Khabar et al., 1997; Tian et al., 2000; Polyak et al., 2001),
indotte durante l’infezione da SARS-CoV, ad interferire con il segnale
dell’IFN.
In conclusione possiamo affermare che i dati ottenuti in questo studio
potrebbero avere delle implicazioni sia terapeutiche che patogenetiche sull’
infezione da SARS-CoV. Essi, infatti, documentano la resistenza del virus
della SARS all’azione antivirale degli IFNs e la presenza di una
significativa attività antivirale di tipo sinergico tra gli IFNs di tipo I e II a
concentrazioni compatibili con un impiego clinico per il trattamento
dell’infezione da SARS-CoV. Considerando che gli IFNs vengono prodotti
generalmente nella prima fase di un’infezione virale, indirettamente i dati
suggeriscono che SARS-CoV potrebbe diffondersi nell’organismo proprio
grazie alla sua resistenza agli IFNs.
Inoltre la considerazione che nei linfomonociti l’infezione con SARS-CoV
induce solo una modesta attivazione del sistema IFN avvalora l’ipotesi che
il SARS-CoV possa essere resistente agli IFNs.
Se e in quale grado la relativa resistenza di SARS-CoV agli IFN influenzi
la patogenesi dell’infezione da SARS-CoV non è ancora noto e riteniamo,
pertanto, che possa essere oggetto di studi futuri.
104
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