LE GARANZIE DELLO STATUTO IN TEMA DI ILLECITO TRIBUTARIO
Lorenzo del Federico
straordinario di Diritto tributario nell’Università di Chieti-Pescara
Sommario: -Premessa -1) Le obiettive condizioni di incertezza sulla norma
tributaria. -2) L’inapplicabilità degli interessi moratori. -3) La non punibilità
delle mere violazioni formali. -4) I problemi posti dal tentativo di ripiegamento
legislativo. -5) Il diverso ambito applicativo dell’art. 10, 3 co., Statuto, e dell’art.
6, comma 5 bis, D. Lgs. n. 472/1997. -6) La marginale rilevanza dei principi dello
Statuto in materia di reati tributari. - Conclusioni
-Premessa.
L’impatto dello Statuto del contribuente sulle garanzie in tema di illecito tributario
risulta piuttosto limitato, in quanto il sistema sanzionatorio tributario è stato
radicalmente riformato pochi anni prima dell’emanazione della legge n. 212/2000.
Gli illeciti amministrativi sono stati interessati dai D. Lgs. 18.12.1997, nn. 471, 472 e
473; i reati dal D. Lgs. 10.3.2000, n. 74.
Tali interventi legislativi hanno indubbiamente rafforzato il livello delle garanzie per
il contribuente, pur introducendo istituti caratterizzati da un marcato rigore punitivo;
il contesto è comunque quello di un sistema sanzionatorio che nel suo insieme ha
ormai superato la frammentarietà, l’esasperato specialismo e le contraddizioni di
fondo che caratterizzavano la previgente legislazione.
Nella sostanza si può quindi dire che per quanto riguarda l’illecito tributario lo
Statuto ha avuto poco da aggiungere all’opera di razionalizzazione e rafforzamento
delle garanzie già attuata dalle suindicate riforme.
L’unica disposizione di specifico rilievo sanzionatorio contenuta nello Statuto si
rinviene nell’art. 10, rubricato <<Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori
del contribuente>>.
Tale norma dopo aver affermato che i rapporti fra contribuenti ed Amministrazione
sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede, ha disposto che:
-a) non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora
egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione, ancorché
successivamente modificate, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a
seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori
dell’Amministrazione (2 co.);
-b) le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive
condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma
tributaria o <<quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di
imposta>> (3 co.);
1
-c) le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono
essere causa di nullità del contratto (3 co.)1.
Chiarito preliminarmente che in base all’art. 1 gran parte delle norme dello Statuto, e
tra queste certamente quelle di cui all’art. 10, si applicano non solo
all’Amministrazione finanziaria dello Stato, ma a tutti gli enti impositori (sul punto
rinvio alla relazione del Prof. Uricchio), va evidenziato che per quanto riguarda i
profili punitivi l’art. 10 risulta norma alquanto pleonastica, giacché per lo più
ripetitiva di principi generali già posti per le violazioni e sanzioni amministrative
dagli artt. 5 e 6, D. Lgs. n. 472/1997.
-1) Le obiettive condizioni di incertezza sulla norma tributaria.
Già nell’ambito della disciplina delle cause di non punibilità, contenuta nell’art. 6 si
rinviene la riproposizione, con significativi ampliamenti, dell'
esimente delle obiettive
condizioni di incertezza e di errore sulla norma tributaria, introdotta dall’art. 39 bis,
D.P.R. 26.10. 1972, n. 636 e poi ripresa dall’art. 8, D. Lgs. 31.12.1992, n. 5462.
Nel secondo comma dell'
art. 6 si legge infatti che <<non è punibile l'
autore della
violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla
portata e sull'
ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono,
nonché>> (e questa è una delle novità) <<dovute alla <<indeterminatezza delle
richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione ed il pagamento>>.
Già prima dello Statuto la collocazione della norma nella legge generale sulle
sanzioni consentiva anche agli uffici finanziari di applicare l'
esimente, che in passato
era invece concepita come articolazione dei poteri del Giudice tributario.
In ragione di tale sua generalità l’esimente è applicabile anche dall’AGO per le
controversie tributarie rientranti nella sua giurisdizione, peraltro si segnala che
secondo l’art. 12, 2 co., L. 28.12.2001, n. 448 (che ha modificato l’art. 2, D. Lgs.
31.12.1992, n. 546) oggi appartengono alla giurisdizione delle Commissioni
Tributarie tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie3;
conseguentemente la giurisdizione delle Commissioni si configura ormai come
giurisdizione generale per la materia tributaria.
1
Questo tema non verrà trattato in quanto la nullità non è riconducibile alla categoria giuridica delle
sanzioni strictu sensu, circoscritta alle sanzioni punitive (sulle così dette sanzioni improprie v. del
Federico, Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano 1993, 276 ss.).
Tuttavia si segnala che recentemente nella giurisprudenza e nella prassi amministrativa stanno
emergono sorprendenti aperture garantiste in favore dell’applicabilità di alcuni principi generali del D.
Lgs. n. 472/1997 anche alle sanzioni improprie (Cass., sez. trib., 28.6.2000, n. 15088, in Fisco, 2001,
4132; Min. Fin. Nota 24.7.1998, n. 6/1998/91003, in Dir. prat. trib., 1999, I, 278; sul problema degli
interessi moratori v. infra § 2.
2
In questa sede non sono consentite digressioni su tali tematiche, per le quali si rinvia quindi ai recenti
contributi di Della Valle, L’affidamento nella certezza del diritto tributario, Milano 2001, e Logozzo,
L’ignoranza della legge tributaria, Milano 2002.
3
V. per tutti Marongiu, La rinnovata giurisdizione delle Commissioni tributarie, in Rass. trib. 2003, I,
127 e seg.
2
Un breve cenno merita la diversa formulazione letterale delle due omologhe norme
contenute nel D. Lgs. n. 472/1997 e nello Statuto: l’art. 6 parla in modo tecnicamente
appropriato di non punibilità dell’autore della violazione, mentre l’art. 10 parla
semplicisticamente di non irrogazione delle sanzioni, quasi a voler accentuare la
completezza dell’illecito in tutti i suoi elementi, affiancata dalla mera rinuncia alla
potestà punitiva giustificata da esigenze di natura equitativa. Tuttavia a ben guardare,
considerando la ratio complessiva dello Statuto, si può ritenere che si tratti di mere
sbavature di natura letterale, prive di qualsivoglia rilievo sostanziale.
Pertanto in merito all'
esimente delle obiettive condizioni di incertezza sulla norma
tributaria lo Statuto non innova alcunché.
Ma anche per quanto riguarda l’inapplicabilità delle sanzioni qualora il contribuente
si sia conformato ad indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione, ancorché
successivamente modificate, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a
seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori
dell’Amministrazione (2 co.), il D. Lgs. n. 472/1997 risultava già di per sé idoneo ad
assicurare la non punibilità del trasgressore, in base alla ordinaria operatività del
principio di colpevolezza ex art. 5, 1 co.. Infatti in casi del genere non vi può essere
dubbio alcuno circa l’insussistenza della colpa in capo al contribuente che ha fatto
legittimo affidamento sulle indicazioni fornite dall’Amministrazione, ovvero sia stato
da questa sviato a causa di ritardi, omissioni od errori4.
-2) L’inapplicabilità degli interessi moratori.
L’art. 10, 2 co., prevede l’inapplicabilità degli interessi moratori negli stessi casi in
cui le sanzioni non sono dovute in ragione del legittimo affidamento e/o della buona
fede del contribuente a fronte di comportamenti negligenti dell’Amministrazione.
Tuttavia tale norma non può essere intesa come espressione della tendenza ad
assimilare gli interessi moratori, spesso qualificati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza come sanzioni civili, alle sanzioni vere e proprie.
In via di estrema sintesi il discrimine tra le sanzioni civili e le sanzioni in senso stretto
và rinvenuto nella funzione, risarcitoria, o reintegratoria che dir si voglia, nel primo
caso, punitiva nel secondo5.
Alle sanzioni civili si applicano istituti e principi di matrice civilistica, viceversa le
sanzioni punitive si collocano nell’ambito del diritto punitivo comune, trovando
comunque specifica e diretta disciplina nel D.Lgs. n. 472/1997.
4
Sul profilo soggettivo dell’illecito amministrativo tributario e sulle cause di non punibilità v.:
Giovannini, Sui principi del nuovo sistema sanzionatorio non penale in materia tributaria, in Dir. prat.
trib., I, 1997, 1196; Batistoni Ferrara, Principio di personalità, elemento soggettivo e responsabilità del
contribuente, ibidem, 1999, I, 1509; Tosi, Profili soggettivi della disciplina delle sanzioni tributarie, in
Rass. trib. 1999, 1337; Ambrosetti, sub art. 6, in AA.VV., Commentario alle disposizioni generali sulle
sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti e L. Tosi, Padova, 2000, 183; del
Federico, Violazioni e sanzioni in materia tributaria. I) Violazioni e sanzioni amministrative, in Enc.
giur.,7.
5
Sul tema v. retro nota 3.
3
L’inapplicabilità degli interessi moratori ex art. 10, 2 co., dello Statuto non discende
quindi dai principi del diritto punitivo, come dimostra inequivocabilmente, a
contrario, la normale applicabilità degli interessi in caso di obiettive condizioni di
incertezza ex art. 10, 3 co., ovvero, più in generale, in caso di insussistenza del
requisito soggettivo ex art. 5, 1 co., o di ricorrenza delle ordinarie cause di non
punibilità ex art. 6, D.L.gs. n. 472/1997.
La giustificazione dell’inapplicabilità degli interessi moratori è invece conseguenza
del principio di buona fede, che per sua natura permea l’intero rapporto tributario, ben
oltre la sfera dell’illecito amministrativo (sul punto rinvio alla relazione del Prof.
Stevanato).
Non a caso valorizzando la tutela dell’affidamento parte della dottrina, già anni negli
anni passati, aveva ritenuto addirittura non dovuto il tributo laddove
l’Amministrazione abbia prima espresso un orientamento interpretativo favorevole
all’inapplicabilità del tributo, e poi, a distanza di anni, mutato orientamento6; si era
ritenuto che in casi del genere l’interpretazione sopravvenuta non potesse che operare
a far data dalla sua emanazione, senza alcuna rilevanza per le pregresse fattispecie.
In tale contesto si collocano oggi quelle ardite contestazioni che palesano dubbi di
legittimità, per violazione degli artt. 3 e 97, 1 co., Cost., dell’art. 10, 2 co., che a
tutela della buona fede e dell’affidamento si limita a prevedere l’inapplicabilità delle
sanzioni e degli interessi moratori, mentre l’art. 11, sull’interpello giunge a
precludere anche l’azione impositiva per il recupero del tributo7.
-3) La non punibilità delle mere violazioni formali.
In questa sede merita particolare considerazione la previsione dell’inapplicabilità
delle sanzioni per le violazioni formali, che prima facie potrebbe indurre a ritenere
ormai del tutto privi di antigiuridicità comportamenti di tale natura.
Sul piano sistematico le violazioni sostanziali sono quelle che incidono sulla
determinazione o sul pagamento del tributo, mentre le violazioni formali sono, al
contrario, quelle irrilevanti ai fini della determinazione o del pagamento del tributo8.
Tuttavia anche le violazioni formali possono risultare caratterizzate da un
significativo disvalore, in quanto finalizzate a consentire al contribuente di fruire di
indebiti vantaggi patrimoniali ed idonee ad arrecare strumentale pregiudizio
all’esercizio dei controlli e degli accertamenti.
In tale ottica, evitando suggestioni letterali, palesemente incoerenti rispetto al sistema,
l’art. 10, 3 co., va interpretato nel senso che le sanzioni non possono essere irrogate
6
De Mita, Interesse fiscale e tutela del contribuente, Milano 1995, 189 ss.; per i necessari
approfondimenti si vedano i fondamentali studi di Della Valle, L’affidamento nella certezza cit., e
Logozzo, L’ignoranza della legge tributaria cit.
7
Sul tema v. Della Valle, La tutela dell’affidamento del contribuente, in Rass. Trib., 2002, I, 467 ss., e
Comelli, La disciplina dell’interpello dall’art. 21 della L. n. 413/1991 allo Statuto dei diritti del
contribuente, in Dir. prat. trib., 2001, I, 627 ss.
8
Per un inquadramento teorico di tale bipartizione v.: Coppa- Sammartino, Sanzioni tributarie, in Enc.
dir., 1989, 448 ss.; del Federico, Le sanzioni cit., 38-39, 408 ss..
4
quando il comportamento del contribuente, complessivamente considerato e valutato
ex post sulla base degli effetti cui in concreto da luogo, <<si traduce in una mera
violazione formale senza alcun debito di imposta>>9. Pertanto non è ipotizzabile
alcuna abrogazione delle norme sanzionatorie relative alle violazioni meramente
formali, in quanto tali violazioni restano punibili ove risultino connesse con
fattispecie in cui si configura un debito di imposta 10.
Tale tentativo di lettura “razionalizzante” lascia comunque aperti molteplici
interrogativi, in quanto l’art. 10, 3 co., dello Statuto è norma quantomai problematica,
della quale il Legislatore non ha percepito la portata dirompente11.
-4) I problemi posti dal tentativo di ripiegamento legislativo.
A posteriori si è cercato di porre riparo con il D. Lgs. 26.1.2001, n. 32 -giustificato
agli occhi dell’opinione pubblica come decreto di attuazione dello Statuto- che ha
inserito nell’art. 6 del D. Lgs. n. 472/1997 il comma 5 bis secondo cui <<non sono
inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di
controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e
sul versamento del tributo>>12.
Il ripiegamento legislativo è stato ulteriormente accentuato dalla prassi
amministrativa13 secondo cui <<le condizioni negative appena richiamate devono
intendersi alternative e non concorrenti, con la conseguenza che non può
configurarsi una violazione meramente formale ove manchi in concreto una sola di
esse>>14.
In tale contesto si pongono tre problemi estremamente complessi e dalle incerte
soluzioni: -l’individuazione della ratio e delle implicazioni applicative dell’art. 10, 3
9
Ovviamente l’espressione debito di imposta è da intendere in senso lato, dovendo rilevare anche i
comportamenti che danno luogo ad un maggior credito d’imposta (Alemanno- Ricca, Violazioni
formali addio?, in Corr. trib., 2000, 3059).
10
In tale ordine di idee v. del Federico, Violazioni e sanzioni in materia tributaria cit., 8, prima del D.
Lgs. 26.1.12001, n. 32.
11
In argomento v.: Brighenti, Statuto del contribuente e violazioni formali, in Boll. trib., 2000, 1132;
Deotto, Divieto di sanzioni per violazioni formali senza debito d’imposta, in Corr. Trib., 2000, 2461;
Alemanno- Ricca, Violazioni formali cit., 3056; Id., Ancora una “nuova” nozione di violazione
formale?, ibidem, 2001, 1162; Id., Ha ancora senso parlare di violazioni formali ?, ibidem, 27774;
Alice, Statuto del contribuente. Le violazioni “meramente formali”, in Fisco, 2001, 11419; DeottoMiele, Ancora sul concetto di violazione “meramente formale”, in Corr. Trib., 2002, 511; Serranò, Le
condizioni di non punibilità nelle violazioni formali, ibidem, 781.
12
Il D. Lgs. n. 32/2001 ha pure, conseguentemente, abrogato il comma quarto dell’art. 13 del D.Lgs. n.
472/1997, che, in tema di ravvedimento, prevedeva l’inapplicabilità delle sanzioni nei casi di
omissioni o errori che non ostacolavano un’attività di accertamento in corso e che non incidevano
sulla determinazione o sul pagamento del tributo, se la regolarizzazione avveniva entro tre mesi dalla
violazione.
13
Ag. Entrate, circolare 3.8.2001, n. 2001, in Fisco, 2001, 10649.
14
Tale passo della circolare risulta alquanto contraddittorio, giacché in coerenza con le proprie
conclusioni l’Agenzia avrebbe dovuto parlare di circostanze concomitanti (concorrenti) e non
alternative (sul punto v. Serranò, Le condizioni di non punibilità cit., 783).
5
co., dello Statuto; -l’individuazione della portata dell’art. 6, comma 5 bis, del D. Lgs.
n. 472/1997; -la verifica della compatibilità tra le due norme.
Nell’art. 10, 3 co., dello Statuto il Legislatore, sia pure con formulazione ambigua, ha
inteso escludere la punibilità ogniqualvolta il comportamento antigiuridico del
contribuente, seppure in violazione di specifici obblighi di legge, in concreto non dia
luogo ad alcun debito di imposta. Quello che conta è il danno arrecato all’erario
dall’illecito e non il mero pericolo; per tale via si riesce a spiegare agevolmente la
non punibilità quando il comportamento del contribuente, complessivamente inteso,
<<si traduce>>, in concreto, <<in una mera violazione formale senza alcun debito di
imposta>>.
La norma afferma una concezione sostanzialistica dell’illecito amministrativo
tributario, in cui si trova eco della teoria penalistica del principio di offensività15,
secondo cui il reato è punibile soltanto ove si concreti in un’offesa del bene giuridico
tutelato, essendo superata (o meglio non compatibile con la griglia dei valori
costituzionali) la logica del reato come mera disubbidienza; tuttavia la non punibilità
delle violazioni meramente formali è concepibile anche in termini di proporzionalità
della sanzione al disvalore dell’illecito (tali spunti verranno ripresi nelle Conclusioni).
Palesemente l’art. 10, 3 co., dello Statuto è norma di diretta applicazione, che non
necessitava di alcun intervento sulla preesistente legislazione; ne è quindi evidente
l’assoluta estraneità rispetto a quanto previsto dall’art. 16 dello Statuto, contenente la
delega per gli interventi attuativi e correttivi strettamente necessari16. Ciononostante il
Legislatore è intervenuto con il suindicato D. Lgs. n. 32/2001, inserendo nell’art. 6
del D. Lgs. n. 472/1997 il comma 5 bis.
-5) Il diverso ambito applicativo dell’art. 10, 3 co., Statuto, e dell’art. 6, comma 5
bis, D. Lgs. n. 472/1997.
E’ chiaro che la formula di cui all’art. 6, comma 5 bis, tende a sovrapporsi all’art. 10,
3 co., dello Statuto impedendone l’applicazione nel suo originario (e quantomai
originale) ambito di operatività17. Tuttavia la sopravvalutazione dell’intervento
legislativo e l’interpretazione avallata dalla prassi amministrativa, tendendo ad
obliterare l’art. 10, 3 co., non potrebbero che portare alla illegittimità costituzionale
dell’art. 6, comma 5 bis, D. Lgs. n. 472/1997 (o meglio dell’art. 7 lett.a, D. Lgs., n.
32/2001) per violazione della delega di cui all’art. 16 dello Statuto del contribuente.
15
Alice, Il principio di offensività nell’illecito sanzionato in via amministrativa, in Fisco, 2000, 13442;
Comm. Trib. Prov., Pisa, 10.10.2001, n. 97, in Giur. trib., 2002, 385.
16
Art. 16, 1 co., <<il Governo è delegato ad emanare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in
vigore della presente legge, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più
decreti legislativi recanti le disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti strettamente necessarie
a garantire la coerenza con i principi desumibili dalle disposizioni della presente legge>>.
17
Certo è che l’art. 10, 3 co., dello Statuto è norma di favore applicabile retroattivamente ex art. 3, D.
Lgs. n. 472/1997 (Comm. Trib. Centr., 13.8.2001, n. 5983, in Boll. trib., 2001, 1589, con nota adesiva
di Brighenti, Non punibilità delle violazioni formali tra contrordine del Fisco e giurisprudenza).
6
Pertanto è necessario tentare di trovare un punto di equilibrio tra le due norme, in
base al noto principio dell’interpretazione adeguatrice18, secondo cui in presenza di
diverse letture, una difforme ed una conforme alla legge delega, deve essere preferita
quella rispondente ai principi ed ai criteri direttivi della delega19.
Certamente si può concordare con la prassi amministrativa laddove ritiene che in ogni
caso <<gli uffici debbano valutare in concreto (a posteriori), nei singoli casi
specifici, se gli illeciti commessi abbiano determinato pregiudizio all’esercizio
dell’azione di controllo>>. Così, ad esempio, <<si può verificare che violazioni
potenzialmente idonee ad incidere negativamente sull’attività di controllo, come ad
esempio le irregolarità formali relative al contenuto delle dichiarazioni di cui
all’articolo 8, comma 1, del D. Lgs. n. 471 del 1997, non siano punibili, essendo
risultato in concreto che le stesse, anche per effetto dell’eventuale regolarizzazione
delle medesime, non abbiano ostacolato l’azione dell’ufficio>>20. Secondo la prassi
restano poi normalmente punibili tutte <<le violazioni per le quali l’esistenza del
pregiudizio all’attività di controllo è palese per essere quest’ultima già iniziata>>;
conseguentemente le violazioni relative all’omessa restituzione di questionari o
all’invito a comparire in ufficio, <<pur dovendosi considerare di natura formale
(in quanto non incidenti direttamente sull’imponibile, sull’imposta o sul
versamento della stessa), continuano ad essere sanzionabili ai sensi dell’articolo
11, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997, poiché arrecano sempre
pregiudizio alla già avviata attività di controllo>>; altrettanto dicasi per <<l’omessa
tenuta delle scritture contabili prescritte dalle leggi in materia d’imposte dirette e
18
Invero <<fra le varie interpretazioni in astratto possibili di una fonte legislativa l'
interprete è tenuto a
privilegiare quella che non si pone in contrasto con la Costituzione>> (così, fra le tante, Corte Cost.
27.12.1996, n. 418, in Giust. civ., 1997, I, 591).
19
Si consideri altresì che <<la legge delegata si collega, in un naturale rapporto di "riempimento", con
la legge delegante, con la conseguenza che il silenzio della norma di delegazione non osta
all'
emanazione di norme rappresentanti il coerente sviluppo e completamento della scelta espressa dal
Legislatore delegante e delle ragioni ad essa sottese, fermo restando che il potere si deve conformare
non soltanto alle finalità che lo hanno determinato, ma pure al sistema delineato dalla legislazione
precedente>> (Corte Cost. 27.4.1997, n. 111, in Riv. dir. trib. 1997, II, 451).
20
Così Ag. Entrate circ. n. 77-E/2001, secondo cui tuttavia <<l’esimente in esame non tornerebbe…
applicabile per quelle violazioni, pur sempre formali, aventi ad oggetto la presentazione, entro
termini predeterminati normativamente, di atti che, per definizione, sono soggetti a controllo>>; si
pensi a <<quelle connesse all’obbligo di presentazione di dichiarazioni entro determinate scadenze
(ad esempio: omessa presentazione della dichiarazione dei redditi nel caso in cui non sono dovute
imposte, la cui sanzione e’ prevista dall’articolo 1, comma 1, secondo periodo, del d.lgs. n. 471 del
1997; omessa presentazione della dichiarazione dei sostituti d’imposta se le ritenute relative ai
compensi, interessi ed altre somme sono state interamente versate, sanzionata ai sensi
dell’articolo 2, comma 3, del d.lgs. n. 471 del 1997; omessa presentazione della dichiarazione
annuale IVA allorché il soggetto effettua esclusivamente operazioni per le quali non e’ dovuta
l’imposta, ovvero omessa presentazione della dichiarazione periodica IVA o quella prescritta
dall’articolo 50, comma 4, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, la cui sanzione e’ prevista
dall’articolo 5, comma 3, del d.lgs. n. 471 del 1997)>>.
7
IVA e il rifiuto da parte del contribuente della citata documentazione richiesta in
sede di accessi eseguiti ai fini dell’accertamento delle stesse imposte>>21.
Acquisito il dato di comune accettazione, secondo cui la valutazione degli effetti della
violazione deve essere svolta ex post, e cioè in concreto, si giunge a configurare una
coesistenza dell’esimente ex art. 10, 3 co., e della diversa esimente ex art. 6, comma 5
bis, che rende più agevole, sul piano operativo, l’apprezzamento della non offensività
dell’illecito, ma è insuscettibile di obliterare l’esimente statutaria.
La norma statutaria riguarda le violazioni tributarie -siano esse sul piano astratto
formali o sostanziali- che in concreto si traducono, ovvero si risolvono, in mere
violazioni formali, senza alcun debito di imposta22; le violazioni formali restano
quindi punibili allorché risultino connesse, ad esempio a titolo di continuazione23, con
violazioni sostanziali che hanno dato luogo a debito d’imposta; pertanto rileva il
comportamento del contribuente complessivamente considerato e valutato ex post
sulla base degli effetti cui in concreto ha dato luogo.
Viceversa l’art. 6, comma 5 bis, si incentra sulle conseguenze della singola
violazione, e non sul comportamento del contribuente complessivamente considerato,
in ragione degli effetti delle diverse violazioni commesse; ai fini della sua
applicazione è necessario quindi che la singola violazione non abbia arrecato concreto
pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, non abbia inciso sulla
determinazione della base imponibile e del tributo ed infine non abbia avuto
conseguenze ai fini del versamento.
-6) La marginale rilevanza dei principi dello Statuto in materia di reati tributari.
21
Per un’ampia ed interessante casistica v.: Alemanno- Ricca, Violazioni formali cit., 3056; Id.,
Ancora una “nuova” nozione cit., 1162; Id., Ha ancora senso parlare di violazioni formali cit., 27774;
Deotto- Miele, Ancora sul concetto di violazione “meramente formale” cit., 511.
22
Anche le violazioni che in astratto hanno natura sostanziale possono tradursi in comportamenti che in
concreto non danno luogo ad alcun debito d’imposta; si pensi all’omessa autofatturazione da parte del
committente, di una prestazione resa da un soggetto non residente, in violazione dell’ art. 17, 3 co.,
D.P.R. 26.10.1973, n. 633, alla mancata applicazione dell’IVA sull’acquisto intracomunitario, o
all’acquisto in sospensione di imposta in misura superiore a quella spettante; in questi casi <<la
violazione è sostanziale, in quanto il committente o cessionario diventa soggetto passivo (e dunque
debitore di IVA) in sostituzione del prestatore o cedente, oppure autorizza il soggetto passivo a non
applicare il tributo; tuttavia se egli non soffre limitazioni al diritto di detrazione, il tributo dovuto e non
applicato sarebbe stato detraibile, con assenza di danno per l’Erario>> (si tratta di spunti tratti dal
pregevole studio di Alemanno- Ricca, Violazioni formali cit. 3059).
23
Non è detto che la connessione sia giuridicamente rilevante nel solo caso della continuazione, si
pensi alle più problematiche ipotesi del concorso formale eterogeneo, dell’illecito complesso ecc. E’
ragionevole ritenere che sia configurabile una connessione apprezzabile ogni qual volta il Legislatore
deroghi al principio naturalistico del cumulo materiale delle sanzioni, in favore del cumulo giuridico, e
ciò indipendentemente dalla ratio di tale opzione, sia essa giustificata dalla riunificazione reale dei vari
comportamenti, da una fictio iuris ovvero semplicemente dal favor rei. Ove mai prevalga la tesi volta a
circoscrivere l’applicabilità dell’art. 12, D. Lgs. n. 472/1997, all’illecito progressivo, svalutando la
rilevanza della continuazione (concepita in senso tradizionale), essa resterebbe comunque apprezzabile
ai fini di che trattasi, risultando rilevante la connessione fra diverse violazioni nel caso di più azioni od
omissioni esecutive di una medesima disegno (sul tema v. del Federico, Violazioni e sanzioni in
materia tributaria cit., 11 ss).
8
L’art. 10 dello Statuto non ha una diretta e specifica rilevanza penalistica24. Ciò si
desume agevolmente dal contesto dell’intero Statuto, nonché dalla formulazione
letterale della norma che parla di “rapporti fra contribuente ed amministrazione
finanziaria”, di “irrogazione delle sanzioni”, di “violazioni”. Insomma il quadro
evocato è quello dell’illecito amministrativo e non del reato tributario; siamo fuori
dall’area dell’esercizio dell’azione penale e della sfera cognitiva dell’Autorità
Giudiziaria.
Ciò non toglie che laddove le disposizioni dell’art. 10 si risolvano nella
riaffermazione di principi generali del diritto punitivo comune, già facenti parte
dell’apparato normativo penalistico, emerga una identità di soluzioni tra illeciti
amministrativi e reati tributari.
Si pensi all'
esimente delle obiettive condizioni di incertezza sulla norma tributaria,
nonché all’insussitenza dell’elemento soggettivo del reato laddove il contribuente si
conformi alle indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione, che vengano
successivamente modificate, o laddove il suo comportamento risulti posto in essere a
seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori
dell’Amministrazione.
In tale prospettiva si deve riconoscere la non punibilità del contribuente che si sia
avvalso della procedura di interpello ex art. 11 e che abbia fatto affidamento su
risultanze favorevoli, poi rilevatesi contra legem.
L’art. 16 D. Lgs. n. 74/2000 si limita a prevedere la non punibilità del soggetto che
<<avvalendosi della procedura stabilita dall’art. 21, commi 9 e 10, della legge 30
dicembre 1991, n. 413, si è uniformato ai pareri del Ministro delle finanze o del
Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive previsti dalle
medesime disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell’istanza sulla
quale si è formato il silenzio assenso>>. Tuttavia la stessa ratio si riscontra anche in
relazione all’interpello ex art. 11, pur emergendo diversi ambiti di rilevanza della non
punibilità, sotto il profilo soggettivo piuttosto che oggettivo25 (si rinvia alla relazione
del Prof. Miccinesi).
-Conclusioni
A questo punto è evidente che per quanto riguarda il tema dell’illecito tributario il
problema centrale posto dallo Statuto è quello della non punibilità delle mere
violazioni formali ex art. 10, 3 co.
E’ stato evidenziato che tale norma afferma la concezione sostanzialistica dell’illecito
amministrativo tributario, riconducibile:
24
In senso analogo v. per tutti Screpanti, Le violazioni dipendenti da interpretazione delle norme
tributarie, in AA. VV., Diritto penale cit., 349 ss.
25
Caraccioli, Interpello “ordinario” ed interpello “speciale”. Diversi effetti e necessità di
coordinamento, in Fisco, 2000, 12375 ss.
9
-al principio di offensività, per cui posta l’omogeneità funzionale tra pena criminale e
sanzione amministrativa il Legislatore ha ritenuto che, così come il reato26, anche
l’illecito amministrativo possa essere punibile soltanto ove concretizzi un’offesa del
bene giuridico tutelato, essendo ormai superata la logica della punibilità della mera
disubbidienza27;
-al principio comunitario di proporzionalità dell’attività amministrativa, e più in
generale ad una diffusa reazione antiformalistica nei rapporti tributari;
-al principio di proporzionalità delle sanzioni, ed invero negli ultimi anni si è
verificato un significativo recupero della centralità del bene finale a discapito della
tutela della funzione amministrativa impositiva, con la consequenziale svalutazione
degli interessi latamente strumentali e/o meramente organizzatori28, secondo un trend
normativo comune a tutta l’area del diritto punitivo, che infatti ha caratterizzato sia il
nuovo sistema dell’illecito amministrativo tributario (D. Lgs. nn. 471, 472 e 473 del
1997)29, sia la nuova disciplina dei reati tributari (D. Lgs. n. 74/2000)30.
Ciononostante, sia pure con talune significative attenuazioni rispetto al passato,
l’illecito amministrativo tributario ha conservato la sua natura di illecito
26
V. per tutti Mantovani, Il principio di offensività del reato nella costituzione, in AA. VV., Aspetti e
tendenze del diritto costituzionale. Scritti in onore di C. Mortati, IV, Milano 1977, 444 ss. Si consideri
che, nell’ambito dei lavori preparatori per la riforma del codice penale, il principio di offensività è
stato valorizzato, giungendosi a proporre un art. 2, 2 co., secondo cui <<le norme incriminatici non si
applicano ai fatti che non determinano una offesa del bene giuridico>>.
27
In passato –in un ben diverso quadro legislativo- era stata evidenziata l’estraneità del principio di
offensività all’illecito amministrativo (Sgubbi, Depenalizzazione e principi dell’illecito
amministrativo, in Ind. Pen., 1983, 256) ed in particolare all’illecito amministrativo tributario (del
Federico, Le sanzioni amministrative cit., 141), tuttavia ciò non può certo precludere al Legislatore di
ispirarsi a tale principio in un testo, quale lo Statuto del contribuente, caratterizzato da un alto profilo
istituzionale e dalla presenza di norme di principio marcatamente garantiste. L’insindacabile scelta
legislativa comporta peraltro molteplici e complesse problematiche interpretative ed applicative,
rispetto alle quali è evidente il disagio dell’Amministrazione finanziaria, della prassi amministrativa e
dei commentatori delle norme tributarie, abituati a concepire l’illecito amministrativo tributario come
illecito formale, fondato sulla mera trasgressione di precetti comportamentali a carattere ordinatorio,
in cui alle poche violazioni di danno (per le quali si verifica una effettiva lesione del bene giuridico), si
affiancano numerose violazioni di pericolo (in cui il bene giuridico è soltanto minacciato), talvolta di
pericolo concreto (ove è necessaria la sussistenza di un pericolo effettivo, che dovrà essere di volta in
volta accertato), ma molto più spesso di pericolo astratto (ove il pericolo si ritiene insito nella condotta
del trasgressore, presumendosene quindi l’esistenza in modo assoluto).
28
Sulla cui rilevanza v. per tutti Gallo, Tecnica legislativa e interesse protetto nei nuovi reati tributari:
considerazioni di un tributarista, in Giur. comm., 1984, I, 279.
29
Basti pensare: -alle esimenti previste dall’art. 6, 1 co., introdotte dal D. Lgs. n. 203/1998; - alla
riduzione della sanzione ex art. 7, 4 co., per manifesta sproporzione rispetto all’entità del tributo; -alla
complessiva ratio dell’istituto del ravvedimento operoso ecc. .
30
Sull’interesse tutelato in materia penale tributaria v.: Musco, La riforma del diritto penale tributario,
in Riv. G.d.F., 1999, 2471, secondo cui <<l’obiettivo politico- criminale della legge è, all’evidenza,
sufficientemente chiaro: sul presupposto della valorizzazione del recupero a valori etico sociali della
repressione penale, si mira ad eliminare dall’area del penalmente rilevante tutte le violazioni di
carattere meramente formale, sanzionando, con il più estremo dei mezzi di difesa, esclusivamente i
fatti concretamente lesivi dell’erario>>; Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario
nel D. Lgs. 10 marzo 200, n. 74, Milano 2000, 47; AA. VV., Diritto penale tributario, a cura di E.
Musco, Milano, 2002, 13, 69, 123, 173.
10
essenzialmente formale, incentrato sulla mera trasgressione di precetti
comportamentali a carattere ordinatorio; le profonde innovazioni della disciplina
della potestà sanzionatoria amministrativa non ne hanno alterato la sua tradizionale
natura strumentale rispetto alla tutela della potestà impositiva sostanziale. Il bene
finale tutelato si identifica quindi con l’interesse alla percezione dei tributi, pronta e
perequata alla capacità contributiva, mediante l’esatto funzionamento del sistema
tributario considerato globalmente31.
In tale prospettiva si colloca l’esimente di cui all’art. 10, 3 co., dello Statuto: le
violazioni delle norme tributarie che in concreto si risolvono in mere violazioni
formali, senza alcun debito di imposta non sono punibili; le violazioni formali restano
invece comunque punibili allorché risultino in qualche modo connesse con violazioni
sostanziali in presenza di debito d’imposta; in tali casi l’illecito di pericolo viene
valutato sulla base dei complessivi effetti derivanti dai comportamenti antigiuridici
tenuti dal contribuente.
31
Perrone, Discrezionalità e norma interna nell’imposizione tributaria, Milano 1969, 16, 25, 46, nota
67; Sammartino, In tema di interpretazione delle norme penali tributarie, in Riv. dir. fin., 1985, I, 433
ss.; del Federico, Le sanzioni amministrative cit., 126 ss., partic. nota 348; Id., Violazioni e sanzioni in
materia tributaria cit., 1-2, ove si fa riferimento alla più recente legislazione; sull’interesse fiscale in
generale v.: De Mita, Razionalità e certezza della tassazione, in AA. VV., La Costituzione economica a
quarant’anni dall’approvazione della carta costituzionale, Atti del convegno di Milano 6/7.5.1988,
Milano 1990, 403 ss.; Id., Interesse fiscale e tutela del contribuente cit., 54 ss., 123 ss.; Antonini,
Dovere tributario, interesse fiscale e diritto costituzionale, Milano 1996, 251 ss.; Boria, L’interesse
fiscale, Torino 2002.
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