70 Lunedì 28 Marzo 2011 SCENARI Analisti ed esperti di risorse umane a confronto sulla necessità di un codice dell’abbigliamento Il dress code c’è, ma non si scrive Dalla selezione alla carriera, in ufficio l’abito fa la differenza DI DUILIO LUI iente doppie punte, né barba incolta in ufficio. Sono alcune delle disposizioni arrivate sulla scrivania dei dipendenti Ubs nei mesi scorsi. Impegnata in un piano di restyling dopo le tormente della crisi finanziaria, la banca elvetica ha voluto dotarsi di un regolamento ufficiale per tutti i suoi collaboratori. E in Italia? A sentire analisti e manager d’azienda un dress-code ufficiale è inimmaginabile, eppure le regole non scritte fanno la differenza, a cominciare dalla fase di selezione dei candidati, fino alla scelta di chi promuovere. In ufficio l’abito fa il monaco. Trucco, tacco alto e abiti sempre firmati. L’immaginario delle donne in carriera diffuso dal telefilm americano Sex & City non corrisponde alla realtà, ma indubbiamente l’abito fa il monaco in ufficio, anche se sono in pochi ad ammetterlo. Tanto che tra gli analisti e gli esperti di risorse umane si sono levate pronte critiche alla pubblicazione del manuale del vestir bene pubblicato da Ubs. Un documento di 44 pagine in cui il gruppo svizzero del credito elenca in maniera puntuale le tipologie N di abbigliamento consentite e quelle vietate: sì a biancheria color carne per le donne, e gonne al ginocchio, con possibilità di scendere di cinque centimetri a partire dalla metà dello stesso, camicia bianca che non deve essere troppo stretta al seno ma neppure troppo larga perché ciò contribuisce a dare un’ immagine trasandata. Per gli uomini visite dal parrucchiere almeno una volta al mese, nodi Windsor semplici e doppi per la cravatta; no a peli superflui e barba incolta. Per entrambi uso consentito di profumi e deodoranti, ma in quantità misurata, mentre viene sconsigliato di portare più di sette gioielli e sono del tutto vietati piercing e tatuaggi. Un manuale che doveva restare riservato, ma che è finito nelle mani del quotidiano ginevrino Le Temps pochi giorni dopo essere stato inviato ai lavoratori di cinque filiali-pilota delle 300 coinvolte nell’iniziativa. Scatenando le critiche di diverse associazioni di lavoratori e consumatori e l’ilarità di molti analisti della consulenza aziendale. Il parere degli analisti internazionali. Se l’eccesso di zelo con cui è stato redatto il manuale Ubs risulta francamente eccessivo, non si può negare comunque che un certo Il venerdì in libera uscita All’inizio era una moda, poi è diventata una consuetudine. Nelle principali città europee e americane molte aziende internazionali adottano la regola del Casual Friday, concedendo cioè ai propri collaboratori di indossare un abbigliamento comodo e non formale nella giornata del venerdì. Dunque, l’ultima giornata della settimana gli uomini sono liberi di fare a meno di camicia bianca, abito e cravatta, le donne del tailleur. La scelta del giorno non è casuale, considerato che proprio il venerdì è il giorno in cui con minore frequenza vengono organizzati incontri con la clientela e si organizza la maggior parte delle riunioni interne all’azienda o la si dedica ai consuntivi settimanali. Con il rischio concreto che anche questa diventi presto o tardi una regola… modo di vestirsi sia una regola non scritta in molti ambienti lavorativi. Pochi, invece, i manager che ammettono di volere i propri collaboratori vestiti in un certo modo. Guardando oltreconfine, la banca private Coutts & co. Ha diffuso la sue linee guida sulla intranet aziendale, chiedendo al personale di staff «un abbigliamento appropriato con l’attività svolta» e l’abito al personale impegnato in filiale. Nulla di invasivo, dunque, né di differente rispetto a quanto si vede solitamente in una qualsiasi banca. Sta di fatto che la pubblicazione della guida-Ubs ha aperto il dibattito di cui si sono occupati dibattito, anche i giornali più austeri del business. Come il Financial Times, che ha intervistato la consulente di immagine aziendale Lucinda Slater, secondo la quale «uno degli errori più gravi è di presentarsi al posto di lavoro dando di sé un’immagine poco curata perché significa non investire su se stessi». Josh Zuckerberg, giuslavorista dello studio newyorkese Pryor Cashman, dice alla rivista della City che «un codice di abbigliamento non è illegale, a patto che non abbia inclinazioni discriminatorie e preveda regole di buon senso, non invasive». Del tema si è occupato anche il Wall Street Journal, peraltro non nuovo ad affrontare le tematiche legate all’abbigliamento sui luoghi di lavoro, attraverso la rubrica «On Style» curata da Christina Binkley. Pur criticando l’eccessivo zelo del management Ubs, l’editorialista americana si sofferma sull’importanza di un abbigliamento adeguato, citando numerosi manager che individuano nell’abbigliamento poco formale un indice di scarsa professionalità da parte di colleghi e collaboratori. Un discorso, sottolineano gli intervistati, che vale soprattutto per le donne. Una delle voci più ascoltate in questo campo, Henry Farrar-Hockley, associate editor del mensile maschile Esquire, si muove fuori coro, sostenendo che «l’abbigliamento formale è ormai superato dall’affermarsi dello street fashion anche in ufficio». Di certo restano i risultati di un sondaggio condotto dal sito britannico specializzato in recruiting online TheLadders, da cui emerge che il 76% di top manager nella sua carriera ha scartato alcuni candidati per l’abbigliamento ritenuto improprio rispetto alle mansioni da svolgere e il 37% lo ha fatto in tempi recenti. Il candidato si autoesclude se non sposa lo stile aziendale Piercing e tatuaggi banditi fin dal colloquio iniziale «Un codice di abbigliamento sarebbe difficile da immaginare in un’azienda italiana, dove semmai possono esserci dei consigli in caso di atteggiamento palesemente inadeguato. Piuttosto, di solito è il candidato stesso a capire se il suo modo di vestire è scarsamente in linea con lo stile aziendale». Ilaria D’Aquila, human resource director di Adecco, analizza così la situazione italiana, che vede prevalere il buon senso sulle regole scritte. «A volte sono i nostri professionisti a dare qualche consiglio ai candidati, ma solo in casi particolari», prosegue. «Se un ragazzo si presenta con catene o piercing e si candida a lavorare in un’azienda di produzione, gli consigliamo di farne a meno quando incontrerà il selezionatore aziendale. Ma non si entra mai nei gusti dei singoli». Dello stesso avviso è Francesco Tamagni, managing director di Intermedia Selection (gruppo Key2people: «I tatuaggi in vista ma soprattutto piercing sono altamente sconsigliati da proporre sia durante un primo colloquio di lavoro, sia durante la giornata lavorativa presso la propria azienda. Per quanto riguarda l’abito, oggi c’è molta più flessibilità rispetto al passato nel poter proporre anche abiti spezzati, senza cravatta e nei casual day anche vestiti casual - pantaloni distinti e camicia e maglione). Questi abbigliamenti li troviamo nella maggior parte delle aziende nel settore industriali, retail e soprattutto nel settore elettronica di consumo/ It». Il completo classico, «preferibilmente di color antracite, nero oppure blu scuro e i vari accessori sobri in coordinato (camicie bianche, cravatte sobrie, calze nere)», aggiunge Tamagni, «è ancora richiesto in maniera presso le realtà finanziarie, soprattutto corporate finance, private equity, investment banking. Anche presso le società di consulenza, negli studi legali e fiscali le regole del capello ordinato, del profumo discreto e della mancanza di barba continuano ad assumere un certo peso». «L’Italia è per antonomasia la patria dello stile e il buon gusto anche nel vestirsi aiuta, ma non conosco casi di abbigliamento imposto con un manuale», riflette Cristiano Ianna, direttore generale di Metis. «Molto dipende dal contesto aziendale: nel nostro caso, ad esempio, l’età media è di poco superiore ai 30 anni per cui a volte optiamo per un abbigliamento più informale, ma dipende anche dal programma della giornata». Per Ianna, «un conto sono le mansioni di back office, un altro quelle che espongono il lavoratore a clienti o partner: in quest’ultimo caso i risultati possono a volte essere influenzati dall’atteggiamento generale che si assume e l’abito in tal senso può svolgere un ruolo rilevante». Un abbigliamento adeguato è fondamentale per dare una buona immagine di sé durante il colloquio di lavoro. Page Personnel ricorda che «l’immagine, soprattutto negli approcci iniziali, è un fattore molto importante e può condizionare positivamente o negativamente l’andamento della selezione oltre che ai rapporti con i propri colleghi». Così è inutile dire che presentarsi a un colloquio di lavoro con indosso un paio di jeans e una T-shirt non è la soluzione più indicata; tuttavia anche scegliere anche un tipo di abbigliamento eccessivamente formale (specialmente nel caso in cui non si sia abituati), può essere controproducente. «L’abbigliamento consigliato varia a seconda dell’azienda, e anche nella stessa, in base alle divisioni», spiegano i consulenti. «Mentre le banche di investimento e gli studi legali richiedono un abbigliamento formale, le agenzie di pubblicità e società di Ict sono i più informali». Sarebbe comunque meglio informarsi prima di iniziare a frequentare un nuovo ambiente di lavoro. Ecco una serie di suggerimenti forniti da Page Personnel per gli ambienti formali: • Evitare piercing al corpo visibili e indossare gioielli sobri • Essere sempre curati, anche se il dress code aziendale è casual • Non dare l’impressione di essere disordinati e attenzione all’igiene personale • Scegliere e indossare i colori con molta attenzione • Scegliere un tipo di pettinatura non troppo eccentrica • Per le donne si consiglia un trucco leggero • Attenzione anche alla scelta di colonie e profumi, possono essere troppo forti e quindi fastidiosi • Evitare le scarpe da ginnastica (specie se si indossa l’abito) e allo stesso modo scarpe e accessori eccessivamente vistosi.