UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTÁ DI GIURISPRUDENZA Corso di Laurea Magistrale Tesi di Laurea in Diritto Industriale La Protezione dei Marchi e la Libertà d'Espressione Trademark Protection and Freedom of Expression RELATORE CANDIDATO CH.MO PROF. Marco Ricolfi Federico Paesan ANNO ACCADEMICO 2010 - 2011 RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare il professor M. Ricolfi, relatore di questa tesi, per la grande disponibilità e cortesia dimostratemi, e per tutto l’aiuto fornitomi durante la stesura. Un sentito ringraziamento ai miei genitori per il loro sostegno nel corso di questi anni, che mi ha permesso di raggiungere il presente traguardo. Un grazie altresì ai miei amici e compagni di studi Andrea Giaretta e Davide Versio e Federico Ferraris per il loro supporto e i loro preziosi consigli. ABSTRACT This thesis provides a comprehensive analysis of the conflict between freedom of expression and trademark rights, comparing U.S. and European laws. Within the last twenty years the importance of trademarks has grown considerably and the “wall” of trademark protection has been consequently raised, responding to the needs of trademark holders. This higher level of protection could threaten freedom of expression, shrinking the breathing space to criticize and parody trademarks and creating a dangerous chilling effect. A balance between the rights of trademark holders and freedom of expression turns out to be of vital importance, in order to ensure the respect of both of these rights. American and European sets of rules have a different approach to this subject but freedom of expression is somehow guaranteed in both of these system. Indice INTRODUZIONE....................................................................................................1 CAP.I : IL DIRITTO AL MARCHIO E LA SUA TUTELA....................................7 1.1. Le fonti.........................................................................................................7 1.1.1. In Italia e in Europa..............................................................................8 1.1.2. Le fonti comunitarie............................................................................11 1.1.3. Negli Stati Uniti..................................................................................15 1.1.4. Transnazionali.....................................................................................18 1.2. Le prerogative del titolare del marchio e la loro protezione......................22 1.2.3. Le basi razionali della protezione: dalla protezione della funzione distintiva alla tutela dell'investimento pubblicitario.....................................22 1.2.2. Le prerogative del titolare del marchio ed i requisiti generali per la loro violazione..............................................................................................32 1.2.3. Le fattispecie contraffattive...............................................................39 1.2.3.1. Identità di segni e di beni............................................................43 1.2.3.2. Il rischio di confusione................................................................48 1.2.3.3. Il marchio notorio........................................................................64 1.3. Le limitazioni del diritto di utilizzazione esclusiva del marchio da parte del titolare - Gli usi consentiti del marchio altrui..............................................83 1.4. Le eccezioni al diritto di utilizzazione esclusiva del marchio da parte del titolare - Gli usi atipici del marchio altrui.........................................................93 CAP. II : IL CONFLITTO TRA LIBERTA' D'ESPRESSIONE E DIRITTI DEL TITOLARE DEL MARCHIO................................................................................97 2.1. La nozione di libertà di espressione ed i suoi limiti...................................97 2.1.1. In Italia e nei paesi europei...............................................................100 2.1.2. Nella Comunità Europea...................................................................105 2.1.3. Negli Stati Uniti................................................................................109 2.1.4. Nelle fonti transnazionali..................................................................111 2.2. Il conflitto tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchi 114 2.2.1. Strumenti e finalità............................................................................115 2.2.1.1. Parodia e satira – una distinzione opportuna?...........................118 2.2.1.2. Critica........................................................................................125 2.2.2. La libertà d'espressione nelle espressioni commerciali....................134 2.2.3. La libertà d'espressione nelle espressioni non commerciali o miste.145 2.3. Tutela del marchio notorio e libertà d'espressione...................................154 2.3.1. Due cause, interesse sociale e free-riding.........................................156 2.3.2. Fair use e tassonomia delle eccezioni..............................................162 2.4. Gli effetti dell'utilizzo parodistico, satirico o critico del marchio – La diluizione.........................................................................................................167 2.4.1. Blurring (Offuscamento)..................................................................170 2.4.2. Tarnishment (Annacquamento).........................................................174 CAP. III : ALLA RICERCA DI UN BILANCIAMENTO TRA LIBERTA' D'ESPRESSIONE E DIRITTO AL MARCHIO..................................................185 3.1. Premessa...................................................................................................185 3.2. I criteri di bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio in Europa...........................................................................................187 3.3. L'ampliarsi del conflitto tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio nella società di Internet...............................................................199 3.3.1. L'Anticybersquatting Consumer Protection Act negli Stati Uniti.....200 3.3.2. Domain names, libertà d'espressione e contraffazione del marchio in Europa.........................................................................................................215 3.4. La risposta della giurisprudenza in Europa..............................................221 3.4.1. La critica del marchio in Europa......................................................222 3.4.1.1. I casi Danone, E$$O e Areva....................................................234 3.4.2. Nei casi di parodia e satira del marchio............................................247 3.4.2.1. Una panoramica sulla giurisprudenza italiana ed europea........247 3.4.2.2. Simple living: arte, design e critica...........................................258 3.5. La risposta della giurisprudenza statunitense – Alla ricerca di una linea evolutiva al passo con la dinamica legislativa.................................................264 CONCLUSIONI...................................................................................................276 SENTENZE..........................................................................................................283 BIBLIOGRAFIA..................................................................................................298 INTRODUZIONE La presenza, l'importanza e il valore economico dei marchi, negli ultimi decenni, hanno conosciuto una crescita verticale. Ciò è andato di pari passo con il mutamento della funzione del marchio. Da mero indicatore dell'origine dei prodotti, il marchio, nel corso degli anni, è diventato un polo attrattivo di valori, i quali vengono traslati su chi compirà l'acquisto dei beni o dei servizi da esso contrassegnati. Il consumatore, dunque, non acquisterà più solamente un bene od un servizio, ma, attraverso il marchio, diverrà parte di quell' identità evocata dal marchio: se acquisterà una BMW, ad esempio, egli non diverrà solamente il proprietario di un'auto, ma potrà diventare parte di quell'immagine di sportività ed eleganza che il marchio bavarese conferisce ai suoi prodotti e, di conseguenza, a chi li acquista. La trasformazione del marchio in un convogliatore di valori, identità e aspettative 1 ha fatto sì che al mero segno venisse incorporato quel c.d. selling power, che oggi rappresenta il vero valore economico del marchio. Ciò ha avuto come conseguenza la crescita esponenziale dell'importanza del marchio, anche per via del fatto che, l'immissione di valori meta-commerciali al suo interno, è possibile solamente attraverso ingenti investimenti finalizzati ad una sua ampia promozione e pubblicizzazione presso il pubblico dei consumatori. 2 A protezione di questi investimenti, 1 V. ad esempio L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, Oxford University Press, 2009, pag. 713 “More recently, trade marks have taken on new roles. […] In their mythical form trade marks help to provide consumers with an identity- for example, as a Ferrari or Volvo driver, or Budweiser or Budvar drinker. When the consumer purchases a product bearing a mark they purchase an experience envelope which helps to construct their identity.”; la dottrina in merito, come vedremo è ampia e sarà oggetto di una più approfondita analisi quando ci troveremo ad analizzare il fondamento razionale della tutela del marchio, v. 1.2.1. 2 V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e 1 nel corso degli ultimi decenni, si è quindi fatta sempre più elevata, da parte dei titolari di marchi, la richiesta di una maggior tutela contro coloro che potessero sfruttare quei segni, diventati così ricchi di significati e di valore economico, a proprio vantaggio o procurando un danno al marchio stesso ed alla sua capacità di attrarre i consumatori. Le suddette istanze si sono tradotte, dato anche il peso economico e politico dei richiedenti, in norme di tipo transnazionale, regionale e statale. Le innovazioni da un punto di vista legislativo hanno riguardato dunque, da un lato la ricerca di una sempre maggior uniformità delle normative sui marchi e sulla loro tutela, mentre dall'altro il conferimento di una protezione più ampia a quei marchi che vengono definiti dotati di reputazione, well known o famous , a seconda della normativa presa a riferimento. Per quanto riguarda l'obbiettivo dell'armonizzazione, questo è stato raggiunto, nel corso degli anni, sia a livello transnazionale, attraverso un lungo percorso culminato nel 1996 con la conclusione dei TRIPs agreements 3 (Trade-related aspects of intellectual property rights ), in sede WTO, sia a livello regionale, come testimoniato dalla Direttiva CEE 89/104 del 1989, dal Regolamento 40/94 del 1994 che ha introdotto il c.d. marchio europeo e, anche se in tono minore, dall'accordo NAFTA tra Stati Uniti e Messico. Regole sempre più uniformi hanno quindi eliminato molte delle barriere ancora frapposte alla realizzazione del sogno capitalistico di un mercato unico. Per quanto riguarda invece la seconda direttiva di innovazione legislativa, avremo modo di notare come la tutela del marchio notorio o famoso sia stata introdotta in tutte le legislazioni Concorrenza, Giappichelli, 2009, pag. 66 “Come in passato la protezione era calibrata sull'avviamento, inteso come valutazione del pubblico dei consumatori conseguente ad una serie di esperienze di acquisto precedenti, così oggi essa è precipuamente commisurata a questo nuovo fattore e, più precisamente, alla quantità e alla qualità dell'investimento pubblicitario e promozionale di cui il segno è fatto oggetto (talora indicato come ' selling power' del marchio).” Anche su quest'argomento torneremo in 1.2.1. 3 Questi conferiscono uno standard minimo di protezione ai diritti del titolare del marchio come avremo modo di vedere nel corso dell'opera (v. 1.2.3.3.). 2 che verranno prese in esame, molte volte sotto la spinta all'adeguamento a fonti di carattere regionale o transnazionale. L'innalzamento del livello di tutela delle prerogative del titolare del marchio ha, d'altro canto, sollevato le critiche, soprattutto in ambiente statunitense, da parte di coloro che ritengono minacciati quei diritti garantiti dalla libertà d'espressione. 4 D'altronde si deve considerare che il nuovo ruolo acquisito dal marchio e la sua potenziata capacità d'attrazione hanno determinato un crescente aumento della sua importanza e del suo valore economico; la c.d. brandizzazione della società 5 è diventata sempre più accentuata, facendo diventare il marchio un imprescindibile componente della cultura contemporanea. 6 Come tale questo è stato negli anni oggetto di utilizzazione da parte di artisti, critici del sistema, letterati, che hanno quindi usato i marchi, con una comprensibile predilezione per quelli c.d. famosi, per gli scopi più disparati. Alle volte ciò è avvenuto per fini puramente artistici, come nel caso dell'utilizzo della scatoletta di Campbell's soup, diventato soggetto di un celebre dipinto di Andy Warhol; altre volte, 4 V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademarks, Thomas West, 2003, pag. 548 “Other critics have suggested that trade mark rights must be limited so that they do not hamper free communication or conflict with First Amendment values”. 5 N. Klein mette in luce l'espansione, dagli anni '90 in poi, del branding dal paesaggio urbano ai media, dallo sport al mondo dell'istruzione e dei giovani; v. N. KLEIN, No Logo, Economia Globale e Nuova Contestazione, Baldini&Castoldi, 2000, pag. 49 ss.; v. anche l'opinione del giudice Kozinski in The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 971 F. 2d 302, 1992 “Words and images do not worm their way into our discourse by accident, they are generally thrust there by well-orchestrated campaigns intended to burn them into our collective consciousness”. 6 Per quei marchi il cui livello di celebrità è massimo si parla addirittura di icone culturali; v. S.M. CORDERO, Cocaine-Cola, the Velvet Elvis, and Anti-Barbie: Defending the Trademark and Publicity Rights to Cultural Icons, in Fordham Intell. Prop. media & Ent. L. J., 1999, pag. 601602 “Because Coca-Cola, Elvis Presley, and Barbie are elements of American popular culture, they are part of our everyday language.[...] Coca-Cola and Barbie as objects and Elvis as a celebrity, have transcended their original meanings and ascended to the level of cultural icons. A cultural icon is an image, picture, or representation that is an external expression of a society’s internal convictions. Icons objectify deep mythic structures of reality, expressing everyday things that make every day meaningful.” V. anche l'opinione del giudice Kozinski in Mattel v. MCA Records, US Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F. 3d 894, 24 luglio 2002 “With Barbie, Mattel created not just a toy but a cultural icon”. 3 come nel caso Plesner, 7 artista danese che nella sua opera Simple living accostò una borsetta Vuitton a un bambino di colore con evidenti segni di denutrizione, a finalità di tipo artistico si sono aggiunti scopi di critica palese ad un determinato modello di sviluppo, di cui un certo brand è stato assurto a simbolo. In altri casi, invece, le finalità critiche non vengono nascoste dietro intenti artistici, ma il marchio viene utilizzato per denunciare le presunte malefatte dei suoi titolari: è il caso, ad esempio, della campagna “ Je boycotte Danone ”, 8 condotta attraverso l'utilizzo del noto logo dell'azienda produttrice di yogurt contro i licenziamenti da quest'ultima perpetrati, al grido di “ les êtres humains ne sont pas des yaourts”. In altri casi, poi, l'intento è stato quello di utilizzare il marchio con fini satirici o parodistici, come ad esempio è avvenuto nel caso Barbie girl, in cui la plastificazione dell'American dream 9 veniva sbeffeggiata dal gruppo pop danese degli Aqua. 1 0 Altre volte, poi, a questi fini satirici o parodistici si sono affiancati scopi di tipo commerciale; è il caso dei posters con la scritta “ Enjoy-Cocaine” 11 attraverso gli stessi caratteri usati nel logo della Coca-Cola, o, per restare in Italia, la parodizzazione del marchio Diesel attraverso le t-shirts riportanti la dicitura “Porco Diesel”. 1 2 In molti casi, poi, l'utilizzo del marchio altrui è avvenuto attraverso 7 Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di Den Hague, 4 maggio 2011; questo caso sarà oggetto di un paragrafo dedicato (v. 3.4.2.2.). 8 http://www.jeboycottedanone.com/; v. Oliver Malnuit vs Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, 30 aprile 2003; anche questa sentenza sarà oggetto di un paragrafo ad essa dedicato (v. 3.4.1.2.). 9 O del sessismo americano come suggerisce S.M. CORDERO, Cocaine-Cola, the Velvet Elvis, and Anti-Barbie: Defending the Trademark and Publicity Rights to Cultural Icons, supra nota 6, pag. 601 “Barbie is not only a doll, manufactured by Mattel, Inc. and venerated by millions of fans, but also is a symbol of American sexism.” 10 Mattel v. MCA Records, US Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F. 3d 894, 24 luglio 2002. A questa sentenza ci riferiremo più volte nel corso della nostra trattazione. 11 Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972. 12 Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss. Di questa sentenza torneremo ad occuparci quando tratteremo la risposta della giurisprudenza italiana al conflitto tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio. 4 il web, come ad esempio nel succitato caso Jeboycottedanone.com o nel caso E$$O, 1 3 ed anche questo è un aspetto che meriterà la nostra attenzione. Che effetto hanno però questi utilizzi non autorizzati sul marchio stesso e sui diritti del suo titolare? Può la libertà d'espressione giustificare questi utilizzi non autorizzati del marchio, anche qualora ciò comporti un danno al marchio o ai diritti del suo titolare? La tutela delle prerogative del titolare del marchio può spingersi fino a limitare la libertà d'espressione? Quali sono le risposte della giurisprudenza in questi casi? A queste ed ad altre questioni tenteremo di dare una risposta nel corso della nostra trattazione. Il lavoro sarà organizzato seguendo due direttive: in un primo momento verrà compiuta una panoramica delle fonti legislative in materia, seguendo l'evoluzione del succitato processo di armonizzazione e rafforzamento della tutela delle prerogative del titolare; verranno quindi presi in esame i diritti a quest'ultimo conferiti e la protezione ad essi accordata, in un'ottica comparativa che prenderà in esame la normativa transnazionale, quella della Comunità Europea e di alcuni dei suoi Stati membri, nonché quella degli Stati Uniti d'America. In un secondo momento verrà analizzato il principio della libertà d'espressione così come costituzionalizzato all'interno delle diverse legislazioni prese in esame; ci occuperemo poi dell'utilizzo non autorizzato del marchio, in particolar modo di quello compiuto con fini di critica sociale, parodistici o satirici e degli effetti che vi possono essere sul marchio e sui diritti del suo titolare. La terza parte della trattazione sarà poi dedicata all'analisi delle risposte che la giurisprudenza dei paesi comunitari e degli Stati 13 S.A. Societè Esso v. Societè Greenpeace France et Societè Internet FR Tribunal de Grande Instance de Paris, 8 luglio 2002; Societè Greenpeace France vs S.A. Societè Esso, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 26 febbraio 2003. Di questa vicenda ci occuperemo nel paragrafo 3.4.1.2. 5 Uniti hanno fornito, nel tentativo di risolvere il conflitto tra i diritti del titolare del marchio e la libertà d'espressione e di trovare, tra di essi, un bilanciamento. Oltre che all'analisi dei casi che hanno fatto scuola in materia e ai principi sottostanti il bilanciamento compiuto dalle corti, questo terzo capitolo offrirà altresì una panoramica sui nuovi problemi derivanti dall'espansione di Internet e al suo palesarsi come veicolo di un'utilizzazione non autorizzata del marchio per gli scopi suddetti. 6 CAP.I : IL DIRITTO AL MARCHIO E LA SUA TUTELA S OMMAR IO: 1.1. Le fonti .- 1.1.1. In Italia e in Europa. - 1.1.2. Le fonti comunitarie. - 1.1.3. Negli Stati Uniti 1.1.4. Transazionali. - 1.2. Le prerogative del titolare del marchio e la loro protezione .- 1.2.1. Il fondamento razionale della tutela: dalla tutela della funzione distintiva alla protezione dell'investimento pubblicitario. - 1.2.2. Le prerogative del titolare del marchio e i requisiti generali per la loro violazione - 1.2.3. La fattispecie contraffattiva.- 1.2.3.1. Identità si segni e di beni. - 1.2.3.2. Rischio di confusione. - 1.2.3.3. Il marchio che gode di rinomanza. - 1.3. Le limitazioni del diritto di utilizzazione esclusiva del marchio da parte del titolare. - Gli usi consentiti del marchio altrui. - 1.4. Le eccezioni al diritto di utilizzazione esclusiva del marchio da parte del titolare - Gli usi atipici del marchio altrui. 1.1 Le fonti La prima parte della nostra trattazione avrà ad oggetto le prerogative del titolare del marchio e la tutela ad esse accordata nei diversi ordinamenti presi in esame. Questi primi paragrafi saranno dunque dedicati ad una panoramica delle fonti del diritto delle legislazioni che ci troveremo ad analizzare, secondo quell'ottica comparativa che costituirà uno dei punti focali della nostra dissertazione. Dopo l'analisi delle fonti del diritto italiano in materia di marchi, verrà compiuto un rapido accenno a quello di altri paesi europei che, come vedremo, oggigiorno non differisce più di molto dal nostro, per via di sempre più accentuati processi di armonizzazione del diritto nell'area comunitaria. Proprio di questi processi ci occuperemo nella successiva analisi delle fonti del diritto dei marchi vigenti nella Comunità Europea, prendendo in esame sia quelle fonti che hanno l'obbiettivo armonizzare i diversi diritti nazionali, sia quelle che invece creano il c.d. Sistema del marchio comunitario . Quindi volgeremo la nostra attenzione sulla normativa statunitense e sulla sua evoluzione nel corso del tempo. 7 Infine ci concentreremo sulle normative transazionali in tema di marchi, emanate con l'obbiettivo di creare uno standard minimo di protezione dei diritti dei loro titolari, al di là di quelle esclusioni, dovute a ragioni di ordine territoriale, che caratterizzano le fonti di tipo regionale. 1.1.1. In Italia e in Europa La prima legge emanata in Italia per regolare la materia dei marchi risale alla seconda metà del 1800, quando anche molti altri paesi europei cominciarono a disciplinare questo settore. 1 4 Emanata nel 1868 1 5 dal neonato Regno d'Italia, questa legge fu sostituita nel 1942 con il R.D. n. 929 del 21 giugno, altresì denominato Legge Marchi. Nel medesimo anno vide la luce il nuovo Codice Civile, che si occupa di marchi negli articoli che vanno dal 2569 al 2574. Con queste innovazioni, lo sviluppo legislativo in Italia in questo settore, raggiunse l'obbiettivo di una completa ed organica disciplina. Per diverso tempo questa disciplina rimase invariata, 1 6 ma, nel corso degli ultimi venticinque anni, si è dovuta adattare al nuovo mondo della comunicazione globale, dove i marchi (ed in particolar modo i marchi c.d. famosi) 1 7 hanno guadagnato un 14 La ad esempio Germania provvedette a regolare il diritto dei marchi attraverso la Gesetz der Markenschutz del 1874, mentre in Francia vi si era già provveduto nel 1857. Per quanto riguarda invece il Regno Unito la completezza per quanto riguarda la legislazione in tema di marchi verrà raggiunta solo nel 1905 con il Trademark Act preceduto dal Merchandise Marks Act del 1862 e dal Trademark Registration Act del 1875. Per una più attenta analisi dell'evoluzione del diritto britannico in tema di marchi v. W. CORNISH, D. LLEWELYN, T. APLIN, Trade Marks and Names in Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marks and Allied Rights, Sweet & Maxwell, 2010, pag. 640 ss. 15 L. 4577 del 30 agosto 1868. 16 V. A. VANZETTI , V. DI CATALDO, Manuale di Diritto Industriale, Giuffrè, Milano, 2009, pag. 146. 17 Categoria di cui ci occuperemo diffusamente nel corso della nostra trattazione. v. 1.2.3.3. 8 insostituibile ruolo nel moderno capitalismo globalizzato 1 8 al fine di attrarre gli appetiti dei consumatori. 1 9 Per questa ragione il mondo imprenditoriale, e soprattutto le grandi aziende multinazionali, 2 0 hanno avanzato forti richieste per ottenere una sempre più ampia e forte protezione del marchio. In risposta alle suddette sollecitazioni, nel corso degli ultimi venticinque anni, organizzazioni regionali ed internazionali hanno emanato nuove normative, col fine, sia di armonizzare le differenti leggi nazionali sui marchi, 2 1 sia di costituire sistemi di registrazione del marchio di tipo regionale 2 2 o internazionale, 2 3 nel tentativo di fornire leggi globali ad un mondo sempre più globalizzato. Sulla scia di questi cambiamenti internazionali e regionali, possiamo quindi testimoniare tre riforme avvenute in Italia durante gli anni Novanta. In primo luogo il d.lgs. n. 480 del 4 dicembre 1992 2 4 che attua la Direttiva europea n. 89/104 del 21 dicembre 1988. Abbiamo poi il d.lgs. n. 198 del 19 marzo 1996 che ratifica l'accordo TRIPs del 1994 ed infine il d.lgs. n. 447 dell'8 ottobre 1999 che attua il Protocollo di Madrid del 1989. Inoltre nel 2005 è stato emanato il Codice della Proprietà industriale (CPI), attraverso il d.lgs. n. 20 del 10 febbraio 2005, al 18 V. 1.2.1 . 19 V. W. CORNISH, D. LLEWELYN, T. APLIN, Trade Marks and Names in Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marks and Allied Rights, supra nota 14, pag. 640 “As modern capitalism has grown, the drive to sell products and services using brand or name has invaded more and more fields. [...] Most advertising teaches the consumer to buy by product mark or house name and keeps reiterating its message in the hope of persuading buyers not to defect to rivals. Trade marks and names have become nothing more nor less than the crux of marketplace competition.” 20 Per un'analisi del ruolo delle multinazionali come attori della governance v. O. PORCHIA, Gli Attori del Processo di Globalizzazione dell'Economia, in A. COMBA, Neoliberismo Internazionale e Global Economic Governance, Giappichelli Editore, Torino, 2008, pag. 39 ss. 21 E' l'obbiettivo perseguito, per quel che riguarda gli Stati membri della Comunità Europea, dalla Direttiva 89/104 del 1988 che analizzeremo i n 1.1.3. 22 Nei territori della Comunità Europea ciò avviene attraverso il Regolamento 40/94 del 1993 di cui ci occuperemo in 1.1.3. 23 E' l'obbiettivo perseguito dall'accordo TRIPs emanato in sede WTO nel 1994; v. 1.1.3. 24 Per una sua diffusa disanima, articolo per articolo, si rimanda a: A. VANZETTI, C. GALLI, La Nuova Legge Marchi, Giuffrè, Milano, 2001. 9 fine di riordinare la materia, dandole unità e coerenza. 2 5 Per quanto riguarda le normative in vigore nei principali paesi europei, possiamo da subito notare come esse non differiscano di molto dalla normativa italiana. Ferme restando alcune differenze, talune delle quali saranno oggetto di analisi nel corso della nostra trattazione, 2 6 è necessario evidenziare sin da subito come le legislazioni dei paesi comunitari seguano tutte le stesse linee guida e gli stessi principi. Questi, difatti, sono stati enunciati dalla Direttiva della Comunità Europea n. 89/104, emanata col preciso fine di armonizzare le diverse normative degli stati membri, come vedremo nel seguente paragrafo. Detto ciò, ciascuno stato membro della Comunità Europea è dotato di una propria normativa in tema di marchi; possiamo ad esempio citare la Markengesetz del 1994 in Germania, il Code de la Propriété Intellectuelle del 1992 in Francia (che si occupa dei marchi nella sua seconda parte chiamata Code de la Propriété Industrielle ), la Convention Benelux en materie d e Propriété Intellectuelle , che è entrata in vigore nel 2007 in Belgio, Olanda e Lussemburgo, il Trade Mark Act (TMA), emanato nel 1994 nel Regno Unito. 2 7 Le sopracitate normative, che, come possiamo notare, sono tutte state promulgate successivamente alla Direttiva 89/104, sono caratterizzate da una marcata somiglianza tra di loro, in quanto si 25 V. G. FLORIDIA, Il Codice della Proprietà Intellettuale: Genesi, Finalità, Struttura in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, Giappichelli, Torino, 2009, pag. 50 ss. 26 V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 723 “In certain areas, however, it was decided that harmonization was not necessary. Consequently, member states are given discretion to decide whether to adopt certain of the rules provided for in the Directive. For example, there are certain optional grounds for refusing to register or invalidating a trade mark. The Directive also leaves to the member states matters such as the procedure concerning the registration, revocation, and invalidity of trade marks.” Un'altra differenza riguarda poi, ad esempio, la legittimazione attiva del licenziatario a proporre azione di contraffazione, di cui ci occuperemo in 1.2.2. 27 Per un'analisi più approfondita dello sviluppo del sistema britannico dei marchi v. W. CORNISH, D. LLEWELYN, T. APLIN, Trade Marks and Names in Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marks and Allied Rights, supra nota 14, pag. 642 ss. 10 limitano a trasporre 2 8 la suddetta Direttiva all'interno delle legislazioni nazionali, creando così un sistema uniforme in Europa per quel che riguarda i diritti del titolare del marchio e la loro protezione. Per questa ragione non si ritiene in questa sede necessario analizzare in profondità le varie normative degli stati europei. 1.1.2. Le fonti comunitarie Le fonti emanate in seno alla Comunità Europea delle quali ci occuperemo sono la Direttiva 89/104 e il Regolamento 40/94. Entrambe sono state recentemente sostituite, senza l'apporto di sostanziali modifiche, rispettivamente dalla Direttiva 2008/95/CEE, entrata in vigore il 28 novembre 2008 e dal Regolamento 207/2009, entrato in vigore il 26 febbraio 2009. La prima normativa comunitaria ad occuparsi di marchi è la Direttiva 89/104/CEE all'armonizzazione delle del 21 dicembre legislazioni degli 1989, Stati finalizzata membri. L'avvicinamento delle diverse normative nazionali in materia di marchi costituisce una delle finalità di questa Direttiva, congiuntamente al rafforzamento della tutela dei diritti del titolare del marchio, 2 9 che traspare, ad esempio, dall'introduzione della categoria del marchio notorio, protetto in quanto tale, di cui ci 28 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, Wolters Kluwer International, Alphen aan den Rijn, 2010, pag. 23 “member states have transposed the Trademark Directive into their national laws, meaning that the trademark rights in question are obtained under national law by registration with the national trademark register.” 29 Riguardo al rafforzamento dei diritti del titolare del marchio possiamo parlare di “race to the top” al fine di conseguire quel più alto livello di protezione garantito nei paesi del Benelux. v. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 59. 11 occuperemo nel proseguo della nostra trattazione. 3 0 Attraverso l'attuazione di questa Direttiva nell'impianto normativo dei diversi Stati membri 3 1 è venuto dunque a crearsi un alto standard comune di protezione del marchio 3 2 e dei diritti del suo titolare, abbattendo così alcuni degli ostacoli rimanenti al libero commercio di beni. 3 3 Qualche anno dopo la Direttiva 89/104, venne emanato il Regolamento n. 40/94 del 20 dicembre 1993, che introdusse il c.d. marchio comunitario (Community Trademark System, CTM) nel territorio degli stati della Comunità Europea, al fine di incoraggiare gli imprenditori ad espandere la loro attività al di fuori dei confini nazionali, in un più ampio contesto, contrassegnato da regole certe ed uniformi. Dal 1 aprile 1996 (da quando cioè l'OHIM 3 4 è divenuto operativo) è quindi possibile registrare 3 5 un marchio come marchio comunitario, in modo tale che vengano garantiti al suo titolare gli stessi diritti e la medesima protezione all'interno di tutti gli Stati membri. Anche per quel che riguarda gli effetti della registrazione, 30 V. 1.2.1 e i n 1.2.3.3. 31 Come abbiamo visto in 1.1.1. negli anni successivi all'emanazione della suddetta direttiva tutti gli stati membri hanno riformato le loro leggi nazionali, per renderle compatibili con quanto da essa previsto. 32 V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, Oxford University Press, 2003, pag. 40 “It demands that its signatories adopt a common standard for their respective national laws, this standard consisting both of compulsory and optional legal norms”. V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 723 ss. 33 V. A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, New Horizons in Intellectual Property, Edward Elgar, 2011, pag.7-8 “The preamble to the Directive indicates that disparities in the trademark laws of the Member States may have impeded such economic goals of the European Union as the free movement of goods, the freedom to provide services and the proper functioning of internal market and they may have distorted competition within the common market. In many of its judgment the ECJ has interpreted and developed the provisions of the Directive by reference to these goals and in particular to the goal of achieving a system of undistorted competition”. V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 723. 34 L' OHIM (Office for Harmonization in the Internal Market) con sede ad Alicante (Spagna) ha il compito di amministrare il registro del marchio comunitario. Per un analisi della struttura di questo ufficio v. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, Sweet & Maxwell, London, 2005, pag. 94 ss. 35 La registrazione avviene, secondo l'art. 25 del Regolamento, attraverso il deposito della domanda presso l'OHIM o presso l'Ufficio nazionale Marchi e Brevetti che provvederà a inoltrarlo all'OHIM. 12 della revocazione e del trasferimento, questi vengono prodotti in tutto il territorio comunitario. 3 6 Per quanto poi concerne la giurisdizione in caso di controversie legate ad un marchio comunitario, questa spetta alle c.d. CTM courts, che altro non sono che tribunali nazionali designati dalle autorità degli Stati membri, che dovranno applicare il suddetto Regolamento. 3 7 E' poi necessario menzionare il ruolo della Corte di Giustizia Europea in questo sistema. Come afferma l'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (ex art. 234 del Trattato della Comunità Europea), la Corte di Giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sull'interpretazione del suddetto Trattato, sulla sua validità e sull'interpretazione degli atti delle istituzioni comunitarie e della BCE. Inoltre questa competenza pregiudiziale si esplica anche con riguardo all'interpretazione degli statuti creati con atto del Consiglio, quando ciò sia previsto dallo 36 Art.1, para. 2 r.m.c dove si afferma che il marchio comunitario “può esser registrato,trasferito, formare oggetto di rinuncia, di una decisione di decadenza dei diritti del titolare o di nullità e il suo uso può esser vietato solo per la totalità della Comunità.” V. G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, Giuffrè, Milano, 2007, pag. 10; v. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING , Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 92 37 Queste corti devono essere designate dagli Stati Membri come l'art. 95 del Regolamento 207/09 afferma “Gli Stati membri designano nei rispettivi territori un numero per quanto possibile ridotto di tribunali nazionali di prima e di seconda istanza, qui di seguito denominati «tribunali dei marchi comunitari», che svolgeranno le funzioni a essi attribuite dal presente regolamento." L'art. 96 dichiara che “I tribunali dei marchi comunitari hanno competenza esclusiva: a) per tutte le azioni in materia di contraffazione e, qualora siano contemplate dalla legislazione nazionale, per le azioni relative alla minaccia di contraffazione di marchi comunitari; b) per azioni di accertamento di non contraffazione qualora siano contemplate dalla legislazione nazionale; c) per tutte le azioni intentate in seguito a fatti di cui all’articolo 9, paragrafo 3, seconda frase;d) per domande riconvenzionali di decadenza o di annullamento del marchio comunitario di cui all’articolo 100.” Le Corti che si trovano ad aver giurisdizione per quanto riguarda questioni inerenti al marchio comunitario sono in realtà le stesse che hanno giurisdizione per le questioni riguardanti i marchi nazionali. V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 50 “The CTM courts of the Member States are also their national trade marks courts; when CTMs are litigated, these courts apply the CTM Regulation as far as possible but, where it is silent, the courts apply national rules on procedure and evidence as well as national rules on remedies and enforcement”. Ad esempio, in Italia, le corti che hanno giurisdizione sono le “Sezioni specializzate dei Tribunali e delle Corti d'Appello”. V. a proposito: G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 34 ss. 13 statuto stesso. 3 8 Quindi, nel momento in cui il giudice nazionale consideri necessario sollevare alla Corte di Giustizia Europea una questione sull'interpretazione del succitato Regolamento (o della summenzionata Direttiva), il processo in corso davanti al tribunale nazionale verrà sospeso, fintanto che la Corte non avrà stabilito quale sia l'interpretazione che dovrà esser seguita. 3 9 Possiamo inoltre notare come la disciplina dettata Regolamento 40/94 ricalchi in gran parte quanto previsto dalla Direttiva 89/104. 4 0 Il sistema CTM è stato creato in modo da coesistere col sistema nazionale di registrazione; 4 1 quindi, a partire dal 1996, un soggetto che voglia registrare un marchio potrà optare per una registrazione di tipo comunitario o nazionale, a seconda delle sue esigenze e 38 Art. 267 TFUE “La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull'interpretazione dei trattati; b) sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione. Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte. Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile.” 39 V. G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 38 ss. 40 V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N. ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto Industriale, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da G. COTTINO, Cedam, Padova, 2001, pag. 126 ss. “Sotto il profilo sostanziale, la disciplina del marchio comunitario è stata ricalcata su quella della direttiva ed è dunque in linea di massima corrispondente a quella dettata dal d.lgs. n. 480 del 1992 che tali regole ha trasfuso nella nostra legislazione interna”. Comunque sia vi sono delle differenze tra la Direttiva 89/104 e il Regolamento che nello stesso Abriani vengono indicate come “marginali”. Per la loro trattazione si rimanda al testo al succitato testo, pag. 126 ss. 41 V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N. ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto Industriale, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da G. COTTINO, supra nota 40, pag. 126 “Il Regolamento comunitario prevede peraltro che il marchio comunitario coesista con i segni nazionali, così da offrire alle imprese l'alternativa tra la registrazione di un marchio nazionale (o di una pluralità di marchi nazionali) oppure di un marchio comunitario.” V. anche G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 10, J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 50; è inoltre possibile ottenere la registrazione dello stesso marchio sia come marchio nazionale che come marchio comunitario; v. ibid. pag. 50 “There in no reason why the same trade-mark may not be separately registered by the same proprietor as a CTM and under national law.” 14 prospettive. 1.1.3. Negli Stati Uniti Per analizzare le fonti del diritto dei marchi statunitense, è necessario partire da una constatazione: a differenza di quanto previsto per i brevetti e il diritto d'autore, che trovano il fondamento della loro protezione federale nella Costituzione, 4 2 i marchi non godono di alcuna esplicita tutela a livello costituzionale. Una protezione di tipo federale dei diritti del marchio, in aggiunta a quella statale, viene però fatta derivare, dallo stesso art. 1.8 della Costituzione, all'interno del quale trova fondamento la tutela costituzionale per brevetti e invenzioni. Questo articolo conferisce difatti al Congresso il potere di regolare il commercio sia con i paesi stranieri che tra i diversi stati confederati, 4 3 garantendo, in questo modo, quest'ultimo una protezione federale venga utilizzato nel al marchio, commercio nel caso inter-statale o internazionale. La fonte legislativa dell'attuale normativa federale in tema di marchi è il Lanham Act (che costituisce il titolo quinto, capitolo dodicesimo del United States Code ) emanato nel 1946. Data la natura di common law del sistema americano, possiamo notare come il Lanham Act costituisca una codificazione 4 4 sia della nozione di marchio (ispirata tra l'altro dalla nozione britannica), 4 5 42 Art. 1 s.8 U.S. Constitution “The Congress shall have power [...] to promote the progress of science and useful arts, by securing for limited times to authors and inventors the exclusive.” 43 L'art.1 s.8, della Costituzione statunitense dà al Congresso il potere di“to regulate commerce to foreign nations and among the several States and with the Indian tribes.” 44 Il Lanham Act non costituisce comunque sia la prima codificazione di questa nozione da parte del diritto statunitense, in quanto preceduto dal Federal Trademark Act del 1870, che incontrò problemi dal punto di vista della compatibilità costituzionale e fu quindi abolito e sostituito dal una nuova legge del 1881. 45 V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, Wolters Kluwer International, Alphen aan den Rijn, 2011, 15 sia di diritti concepiti in seno a questo stesso sistema, ai quali viene data una protezione che si estende all'interno dei confini del territorio nazionale. Ciò non toglie che, attraverso il Lanham Act e i suoi successivi emendamenti, siano stati introdotti principi estranei al common law, 4 6 come, ad esempio, il concetto di diluizione, che grande importanza rivestirà nel corso della trattazione. Negli anni successivi alla sua promulgazione il Lanham Act è stato oggetto di numerose riforme e ampliamenti, col fine di adattare la protezione del marchio alle nuove esigenze. Gli emendamenti che più da vicino riguardano la materia della nostra trattazione sono: in primo luogo il Federal Trademark Dilution Act (FTDA), emanato nel 1995, che introduce il concetto di diluizione nel sistema normativo americano, conferendo una protezione ai marchi c.d. famosi. Ci occuperemo più avanti 4 7 di esaminare a fondo la nozione di diluizione e la sua evoluzione, anche alla luce del Trademark Anti-Dilution Revision A ct (TDRA) che vide la luce nel 2006, a seguito della decisione della Corte Suprema sul caso Moseley 4 8 ed apportò importanti modifiche che analizzeremo a tempo debito. Altra norma che ci troveremo ad esaminare a fondo è lo Anticybersquatting Consumer Protection Act (ACPA) del 1999, che estende la protezione normativa sul marchio al mondo di Internet, dando al cybersquatting , titolare un di nuovo questo contro fenomeno, i pericoli cresciuto di del pari c.d. passo pag. 290 “The American concept of trademark law followed this English common law notion.” 46 V. ibid. “Although the Lanham Act was primarily intended as a registration statute codifying common law rights, in reality, the Act has engendered the creation of rights that were not widely accepted at common law: a right of incontestability and now dilution.” 47 V. 2.4.3. 48 Moseley v. V. Secret Catalogue, Inc., U.S. Supreme Court, 4 marzo 2003; v. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, Cardozo law Review, 2007, pag. 1938 “The Trademark Dilution Revision Act of 2006 was proposed largely to clear up the uncertainties surrounding the application of the federal trademark dilution statute, and specifically to respond to the Moseley decision requiring proof of actual dilution.” Del caso Moseley e della riforma attuata attraverso il TDRA ci occuperemo più approfonditamente in 3.5.1. 16 all'espansione del web, che analizzeremo con dovizia di particolari più avanti. 4 9 Per adattare la disciplina americana alle normative transazionali sono stati adottati nel corso degli anni diversi atti tra cui: l' Uruguay Round Agreement Act, che modifica il Lanham Act per renderlo compatibile con l'accordo TRIPs, 5 0 il Trademark Law Treaty Implementation Act del 1998, che ratifica la normativa sulla registrazione internazionale attraverso Trattato il sul del diritto marchio dei emanata marchi , 5 1 e nel il 1994 Madrid Implementation Act che dà effetto alle novità introdotte dal Protocollo di Madrid del 1999. In aggiunta alla protezione a livello federale, ogni singolo stato della confederazione è poi dotato di una sua propria legislazione, a protezione di quei marchi che non sono utilizzati nel commercio tra i diversi stati. 5 2 Tra gli atti di origine statale possiamo citare gli State Trademark Protection Statutes , 5 3 i Deceptive Trade Practices Statutes 5 4 e gli State Dilution Statutes . 5 5 49 V. 3.3. 50 Di cui ci occuperemo in 1.1.4. 51 Em anat a nel 1994 at t raverso il T ratt at o sul di ri t t o dei marchi s iglato a Ginevra nel 1994. V. 1.1.4. 52 V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 305 “The purpose of state trademark statutes is to protect marks that are not utilized sufficiently to be deemed used in interstate commerce for the purposes of Lanham Act. That is, the state statutes operate as a fallback position for most trademark owners in the event they fail to obtain protections granted in federal court under the Lanham Act.” 53 Questi statuti vengono posti a protezione di quei marchi non sono usati a sufficienza nel commercio inter-statale per poter usufruire delle garanzie offerte dal Lanham Act. La maggior parte di questi State Statutes assicurano una tutela simile al Lanham Act in quanto sono in gran parte basati sul modello del Model State Trade-mark Bill che conferisce una tutela che “non è significativamente diversa da quella riconosciuta dal common law e dal Lanham Act.” V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 305. 54 Questi statuti invece si propongono di fornire gli strumenti adeguati alla lotta contro le pratiche ingannevoli; la maggior parte di questi sono basati sul Model State Deceptive Trade Practices Act. 55 Gli State dilution statutes conferiscono una protezione contro la diluizione a quei marchi che non sono sufficientemente utilizzati nel commercio interstatale. Sono stati emanati da 38 stati su 50 (tutti tranne: Colorado, Kent uck y , Maryland, Michigan, North Carolina, North Dakota, Oklahoma, South Dakota, Utah, Vermont, Virginia, Wisconsin nei quali vige solamente la tutela anti-diluitiva di stampo federale). Halpern mette in luce come possano sorgere problemi 17 Da citare, poi, l'Accordo NAFTA 5 6 tra Stati Uniti e Messico, conclusosi nel 1992 che, tra i suoi molteplici obbiettivi, ha anche quello di creare uno standard minimo comune di protezione del marchio tra questi due paesi. 5 7 1.1.4. Transnazionali Per quanto riguarda le fonti transazionali occorre precisare che considereremo tali quelle norme emanate da organismi a carattere sovranazionale (come ad esempio l 'Organizzazione Mondiale del Commercio ), che possono esser adottate da qualsiasi nazione che lo voglia, nel rispetto di determinate condizioni prefissate. Ciò a differenza, quindi, delle fonti regionali che, in aggiunta al rispetto di determinate condizioni, richiedono, per poter prendere parte agli accordi da cui esse derivano, la collocazione all'interno di una determinata area geografica. La prima fonte a carattere transazionale è la Convenzione di Parigi sulla Protezione della Proprietà Industriale (CUP), emanata nel 1883. Questo primo accordo internazionale sui marchi 5 8 indicò tra i diversi statuti qualora non seguano le medesime linee guida, v. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 308 “some New York courts today require evidence of confusion even thought the New York statute clearly dictates that dilution may be found regardless of confusion while Illinois courts will refuse to find dilution if there is confusion […] Therefore, New York courts require confusion while Illinois courts preclude dilution remedies when there is confusion.” 56 Introdotto nel sistema statunitense attraverso il North American Free Trade Agreement Implementation Act. 57 L'accordo NAFTA si occupa di marchi e proprietà intellettuale nella sua parte VI, cap. XVII prevedendo, tra le altre cose, il riconoscimento da parte di Messico e Stati Uniti di alcune convenzioni transazionali in materia (come la CUP ad esempio) e di alcune norme comuni in tema di proprietà intellettuale e di marchi. A proposito v. art. 1708 NAFTA Agreement 58 La CUP non fu comunque solamente il primo accordo internazionale in materia di marchi, ma anche in materia di brevetti, modelli di utilità, disegni e modelli industriali. Inizialmente fu firmata da 11 stati (tra cui anche l' Italia) e, nel corso degli anni, subì diverse modificazioni (Bruxelles 1900, Washington 1911, Aja 1925, Londra 1934, Lisbona 1958, Stoccolma 1967). 18 quelle linee guida che saranno seguite e sviluppate negli anni successivi. La convenzione, che per prima istituì un sistema internazionale di registrazione del marchio, difatti stabilì alcuni principi in materia che saranno alla base di ogni successiva normativa sovranazionale. Tra questi ricordiamo il c.d. principio di assimilazione 5 9 (anche detto traitement national ), il principio della c.d. protezione “telle quelle”, 6 0 e la c.d. priorità unionista . Questa Convenzione prevede, inoltre, la costituzione di uno standard minimo di protezione, il c.d. trattamento unionista , che deve esser attuato da ogni stato membro e può dar luogo alla disapplicazione di leggi nazionali, nel caso in cui queste prevedano un livello di protezione inferiore da quello indicato come adeguato al suddetto s tandard. 6 1 Non molti anni dopo l'emanazione della CUP, la materia della registrazione internazionale dei marchi venne a costituire l'oggetto dell' Arrangement di Madrid , concluso nel 1891, che semplifica il sistema istituito dalla CUP. Un'ulteriore semplificazione delle procedure di registrazione internazionale del marchio verrà poi introdotta dal Protocollo di Madrid d el 1989. 6 2 Al giorno d'oggi vi aderiscono 173 stati. 59 V. artt. 2 e 3 CUP. Questo principio fa sorgere l'obbligo, per ogni paese firmatario, di concedere al titolare del marchio (o a chi ne fa richiesta di registrazione) un trattamento non peggiore di quello che viene di norma accordato ad un proprio cittadino; v. W. CORNISH, D. LLEWELYN, T. APLIN, Trade Marks and Names in Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marks and Allied Rights, supra nota 14, pag. 31 “The main technique for accommodating differences between laws is the principle of national treatment which operates as a ground rule of Paris, Berne and the UCC and now TRIPs: each Member State is obliged to grant nationals of the other members the same rights as it accords to its own nationals.” Per un'esaustiva trattazione di questa tematica si rimanda a N. PIRES DE CARVALHO, The TRIPs Regime of Trademarks and Designs, Wolters Kluwer, 2011, pag. 124 ss. 60 V. art. 6 CUP. Questo principio assicura a chi abbia correttamente registrato un marchio nel proprio paese d'origine, la registrazione “tale e quale” dello stesso marchio in uno qualsiasi degli altri Stati membri. 61 V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 60. 62 Attraverso il suddetto Protocollo si dà la possibilità di ottenere la registrazione internazionale di un marchio attraverso la richiesta all'Ufficio Marchi e Brevetti del paese d'origine; v. Art. 9 Protocollo “The international application shall be presented to the International Bureau by the Office of origin”; v. anche J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, 19 L'Arrangement di Madrid e il relativo Protocollo vengono quindi a formare il c.d. Sistema di Madrid. 6 3 Le procedure burocratiche di registrazione saranno poi rese ancor più agevoli attraverso il Trattato sul diritto dei marchi conclusosi a Ginevra nel 1994. 6 4 Nel 1957 era stata nel frattempo introdotta una classificazione merceologica internazionale dei beni e dei servizi attraverso l'Accordo di Nizza. A seguito della conclusione dei negoziati Uruguay Round in sede WTO, venne poi concluso a Marrakech, il 15 aprile 1994, l'accordo TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property). Questo trattato impegna gli Stati firmatari all'accettazione dell'accordo CUP del 1883, 6 5 ampliando così gli pag. 44 “The Madrid Agreement and the Madrid Protocol provide a mechanism whereby, starting with a single national trade mark registration or application, an applicant can obtain protection in a multiplicity of countries”. V. anche sull'argomento G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 11 ss. e pag. 25 ss; v. anche M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 60ss. Grazie al Protocollo di Madrid è inoltre possibile far partire la protezione del marchio dalla data in cui ne era stata presentata domanda presso l'Ufficio nazionale. V. art.9 (4) (iv) del Protocollo: “The International application shall indicate or contain: […] where the applicant wishes, under the Paris Convention for the Protection of Industrial Property, to take advantage of the priority of an earlier filing, a declaration claiming the priority of that earlier filing, together with an indication of the name of the Office where such filing was made and of the date and, where available, the number of that filing, and, where the earlier filing relates to less than all the goods and services listed in the international application, the indication of those goods and services to which the earlier filing relates.” 63 Per una dettagliata descrizione del Sistema di Madrid e delle procedure per ottenere la registrazione internazionale di un marchio si rimanda a: D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 144 ss.; v. anche G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 25 ss. 64 Questo trattato introduce alcune novità tra le quali: l'estensione ai marchi di servizio della protezione conferita dalla CUP ai marchi di fabbrica e la possibilità di registrare attraverso un'unica domanda lo stesso marchio per più classi di beni. 65 v. G. MANDRINO, E. GRANZIERA, Gli Accordi Commerciali Multilaterali e Settoriali, in A. COMBA Neoliberismo Internazionale e Global Economic Governance, Giappichelli Editore, Torino, 2008, pag. 141 “Invero in virtù del richiamo recettizio operato dal TRIPs, le disposizioni delle convenzioni dallo stesso richiamate sono entrate a far parte degli obblighi che i membri sono tenuti ad osservare accettando gli impegni assunti all'esito delle negoziazioni dell'Uruguay Round.”; le norme citate dall'accordo TRIPs sono contenute nell'art. 2 del medesimo accordo: “(1) In respect of Parts II, III and IV of this Agreement, Members shall comply with Articles1 through 12, and Article 19, of the Paris Convention (1967). (2). Nothing in Parts I to IV of this Agreement shall derogate from existing obligations that Members may have to each other under the Paris Convention, the Berne Convention, the Rome Convention and the Treaty on Intellectual Property in Respect of Integrated Circuits.” 20 orizzonti di quello standard minimo di protezione stabilito a Parigi più di cento anni prima. 6 6 All'accordo TRIPs aderirono infatti anche molti paesi che non partecipavano alla CUP, ma che erano desiderosi di entrare a far parte del sistema dell' Organizzazione Mondiale del Commercio in vista dei sostanziosi finanziamenti che quest'ultima avrebbe potuto loro erogare. 6 7 L'adesione ai TRIPs (e di conseguenza, come abbiamo visto, alla CUP) venne difatti posta come condizione essenziale per l'ingresso nell'OMC e questo ha portato molti paesi del Terzo Mondo, seppur riluttanti all'innalzamento del muro delle esclusive, a divenire anch'essi firmatari dell'accordo. La finalità dei TRIPs consiste difatti nella creazione di uno standard minimo di protezione che, riducendo le differenze sul piano legislativo tra gli stati in materia di proprietà intellettuale, elimini le barriere frapposte alla libera circolazione delle merci. 6 8 66 V. W. CORNISH, D. LLEWELYN, T. APLIN, Trade Marks and Names in Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marks and Allied Rights, supra nota 14, pag. 647 “The TRIPs agreement imposes an obligation on its participant states to apply the Paris Convention standards relating to trademarks.” Per un'approfondita disamina dei rapporti tra TRIPs Agreement e CUP v. N. PIRES DE CARVALHO, The TRIPs Regime of Trademarks and Designs, supra nota 59, pag. 138. 67 V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 61. 68 Ciò d'altronde è evidente sin dal preambolo posto ai TRIPs Agreement “Desiring to reduce distortions and impediments to international trade, and taking into account the need to promote effective and adequate protection of intellectual property rights, and to ensure that measures and procedures to enforce intellectual property rights do not themselves become barriers to legitimate trade.” V. N. PIRES DE CARVALHO, The TRIPs Regime of Trademarks and Designs, supra nota 59, pag. 74 “One of the most common misunderstandings about the TRIPs Agreement is that its main objective is to enhance the protection of the intellectual property. But it is not. The main- if not the only- objective of the TRIPs Agreement, actually, has raised the standards (both substantive, that is, on rights conferred, and adjective, that is, on enforcement measures) of intellectual property protection, but only in an incidental manner, only as regards certain fields of intellectual property, and only as far as those standards contribute to the objective of promoting free trade”. 21 1.2. Le prerogative del titolare del marchio e la loro protezione Dall'indagine appena conclusa delle fonti del diritto dei marchi è emerso come nel corso degli anni vi sia stato un rafforzamento e un'uniformazione delle prerogative del titolare del marchio. Nei seguenti paragrafi ci troveremo ad analizzare quali siano i diritti spettanti al c.d. trademark holder e la tutela che i diversi ordinamenti oggetto del nostro esame ad essi conferiscono. Al fine di comprendere le ragioni sottostanti alla protezione di queste prerogative, procederemo all'analisi delle loro basi razionali e dell'evoluzione delle funzioni del marchio. 1.2.1. Le basi razionali della protezione: dalla protezione della funzione distintiva alla tutela dell'investimento pubblicitario. Nell'esaminare il fondamento logico della protezione del marchio occorre primariamente compiere una divisione della materia: in primo luogo procederemo all'analisi delle basi razionali di tipo economico ed, in un secondo momento, ci concentreremo sulle funzioni del marchio tutelate dalla legge e sul loro sviluppo. Per facilitare la comprensione delle ragioni di ordine economico che sottostanno la protezione del marchio, è necessario compiere un rapido excursus storico, andando a ricercare le radici dell'attuale sistema economico di tipo capitalistico, basato sul libero mercato e sulla concorrenza tra le diverse imprese. Uno dei padri nobili del pensiero liberista fu l'inglese Adam Smith, 6 9 il quale, per descrivere quel quid che avrebbe permesso ad 69 A. SMITH, An inquiry into the nature and the causes of the wealth of nations, Pennsylvania State 22 un mercato, funzionare, lasciato coniò libero dall'oppressione l'espressione, poi diventata delle regole, celebre, di “ mano invisibile ”. La mano invisibile , nel pensiero di Smith, è un qualcosa di immateriale che fa in modo che, in un mercato libero, qualora ogni individuo persegua il proprio personale vantaggio (ad esempio l'imprenditore che produce beni spinto da una prospettiva di guadagno), 7 0 automaticamente si creerà una situazione di armonia nella quale l'egoismo di ognuno diverrà il benessere di tutti. In questa situazione di equilibrio verrà raggiunto un optimum tra domanda e offerta, i prezzi saranno mantenuti a un livello ottimale ed un'alta efficienza sarà associata a bassi costi. Pur se la ricorrenza di crisi economiche ha mostrato che un mercato privo di regole, come quello teorizzato da Smith, possa esser foriero di pericolose conseguenze, molti dei paradigmi del pensiero liberista continuano ad essere attuali. 7 1 La c.d. scuola di Chicago cominciò poi ad applicare la teoria economica dei costi-benefici al mondo dei marchi: la tutela del marchio venne considerata auspicabile e necessaria, quindi, solo qualora i benefici avessero superato le conseguenze negative, dettate dalla protezione stessa, ed i suoi costi. 7 2 Gli economisti riconoscono l'importanza dei marchi per due ragioni diverse: in primo luogo perché facilitano la comunicazione tra impresa e consumatori ed, in seconda istanza, in quanto incentivano gli imprenditori a mantenere costante il livello qualitativo dei loro prodotti. 7 3 University, 2005. 70 V. ibid., pag. 364 “By pursuing his own interest, he (the producer n.d.r.) frequently promotes that of the society more effectually than when he really intends to promote it.” 71 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 45. 72 V. ibid. “Trademark rights should be granted if the benefits of granting a certain type of trademark protection outweigh possible negative consequences or costs.” 73 V. ibid. “In the line of that school of thought (the School of Chicago, n.d.r.) trade-mark rights are seen as important instruments in facilitating market communication and in providing incentives to producers to provide high quality and constant quality goods and services.” 23 Riguardo alla prima di queste ragioni, gli economisti considerano l'obbiettivo di un equilibrio economico raggiungibile solo qualora gli attori del libero mercato siano dotati di informazioni complete a fondamento delle loro decisioni. Una situazione di perfetta informazione è di per sé irrealizzabile, 7 4 ma i marchi possono migliorare questo sistema dando informazioni 7 5 sui prodotti e riducendo così il c.d. “ search cost”. 7 6 Il costo di ricerca è il costo che il consumatore deve sopportare nel ricercare beni che rispondano alle proprie esigenze. Fornendo un collegamento tra il bene e la sua origine, attraverso le informazioni che mette a disposizione, il marchio riduce, in questo modo, i costi di ricerca per il consumatore. 7 7 Inoltre, sempre a questo proposito, 74 V. ibid., pag. 46 “Economic equilibrium in a freely competitive situation can only be achieved if market participants can make decision based on perfect information. Such perfect information must be quantitatively and qualitatively sufficient, readily available, efficiently structured and reliable. In real life, however, a situation of perfect information is unattainable.”. 75 V. G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 45 “Il marchio, che contraddistingue, che dà nome, a prodotti e servizi, è uno strumento essenziale di comunicazione fra le imprese ed i consumatori e consente, attraverso la identificazione e la differenziazione dei beni, l'informazione e le scelte del mercato: strumento di comunicazione, informazione e concorrenza.” 76 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 46 “Search cost theory focuses on the fact that reliable trademarks are a significant aid improving the information situation of consumers.” V. anche S.L. DOGAN, M.A. LEMLEY, A search-cost theory of limiting doctrines in trademark law in G.B. DINWOODIE, M.D. JANIS, Trademark Law and Theory, A Handbook of Contemporary Research, Edward Elgar, 2008, pag. 67 “In economic terms, trademarks contribute to economic efficiency by reducing consumer search costs. Rather than having to inquire into the provenance and qualities of every potential purchase, consumers can look trademarks as shorthand indicators […] Consumers benefit because they don't have to do exhaustive research or even spend extra time looking at labels before making a purchase; they can know, based on a brand name, that a product has the features they are seeking.” V. anche R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 547 “One of the principal ways that it does this is by reducing search costs, the time energy, and money spent by consumers in identifying products that will suit their needs”; per una completa analisi dei search costs v. anche A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33, pag.136 ss. 77 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 45 ss.; A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33, pag. 136ss.; S.L. DOGAN, M.A. LEMLEY, A search-cost theory of limiting doctrines in trademark law in G.B. DINWOODIE, M.D. JANIS, Trademark Law and Theory, A Handbook of Contemporary Research, supra nota 76, pag. 66 ss. 24 se dopo la sua prima esperienza con un prodotto il consumatore si riterrà soddisfatto, con molta probabilità reitererà l'acquisto del medesimo prodotto a lui riconoscibile attraverso il marchio. L'altra base economica per la tutela del marchio è la teoria della efficienza dinamica (Dynamic Efficiency Theory). 7 8 Questa teoria afferma che, garantendo la protezione del marchio, gli imprenditori risulteranno motivati a investire per migliorare la qualità dei propri prodotti o per mantenerla invariata, per non metter a rischio quella reputazione, conseguita nel corso degli anni, anche attraverso cospicui investimenti, di cui godono i loro prodotti. 7 9 Pare infatti ovvio che, se chiunque potesse liberamente usare un marchio, il titolare di quest'ultimo non sarebbe desideroso di investirvi, in quanto non otterrebbe un'adeguata remunerazione del suo investimento. 8 0 Le ragioni economiche ora analizzate costituiscono le basi sottostanti alla tutela che la legge conferisce a determinate funzioni dei marchi. 78 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 47 ss. 79 V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 64 “Pare ovvio che, accordando a ciascuna impresa la possibilità di contrassegnare i beni da essa messi in commercio, si fornisce un formidabile incentivo a offrire beni di qualità costante.” V. anche S.L. DOGAN, M.A. LEMLEY, A search-cost theory of limiting doctrines in trademark law in G.B. DINWOODIE, M.D. JANIS, Trademark Law and Theory, A Handbook of Contemporary Research, supra nota 76, pag. 69 “Informed consumers will make better informed purchases which will increase their overall utility and push producers to develop better quality products.” V. A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33, pag. 60 “[..]there is a scope for the trademark owner to raise the quality of the marked products or alter their characteristics on a way that it calculates to increase their appeal to consumers, albeit with the risk that the change does not have desired effect.” V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 547; v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 718. 80 Un buon esempio di ciò viene dato da Sakulin in W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 47-48 “For example, trader A, who produces a high quality instant coffee under the trademark X can charge a higher price than trader B who produces lower quality instant coffee under the brand Y. If Trader B were allowed to use trademark X, consumers could no longer differentiate between the products. Trader A would consequently have little incentive to produce high quality coffee.” 25 In ambito europeo, secondo quello che viene definito “ approccio classico”, 8 1 due sono le funzioni del marchio meritevoli di tutela: la funzione distintiva e la funzione di identità dell'origine. La funzione distintiva serve a differenziare un determinato prodotto da un altro dello stesso tipo. Attraverso il marchio infatti, un consumatore può distinguere, ad esempio, un computer della Acer da tutti gli altri computer disponibili sul mercato. 8 2 Connettendoci con l'analisi economica della protezione condotta in precedenza, possiamo notare come la funzione distintiva riduca quindi i costi di ricerca. 8 3 Se il consumatore aveva in precedenza acquistato un computer Acer e si era ritenuto soddisfatto, con molta probabilità egli, in caso di bisogno, reitererà l'acquisto e ciò sarà a lui possibile tramite il potere del marchio di distinguere i computer di quella determinata azienda da quelli di altre case. 8 4 La funzione distintiva è inoltre strettamente collegata alla funzione di identità dell'origine. 8 5 Il marchio, infatti, indica al consumatore che un certo bene è stato prodotto sotto il controllo di una determinata impresa e non di un'altra, assicurandolo così per quel che riguarda la fonte del bene. 8 6 81 V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 64. 82 V. G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 46 “Il marchio è un segno che, apposto ad un oggetto o comunque riferito ad un servizio, percepito e memorizzato dal pubblico, consente di distinguere i prodotti e i servizi marcati da quelli che tale segno non hanno o hanno segno diverso: si può dire dunque che il marchio è essenzialmente un segno distintivo.” 83 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 38 “The product distinction function and its “flip-side” the source identification function are thus of major importance to economic competition because they enormously simplify economic decision making.” 84 V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 718 “The information provided by trade marks is particularly important in relation to goods that a consumer cannot judge merely through inspection. (These are known as 'experience goods').” 85 V. supra nota 80 a proposito della funzione di identificazione dell'origine è da considerarsi per Sakulin come una “flip side”, ossia una seconda facciata della funzione distintiva. 86 V. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade 26 Questa concezione è espressa dall'art. 2 della Direttiva 2008/95/CEE che, nel definire cosa possa esser oggetto di registrazione come marchio, indica anche quali siano le funzioni del marchio: “Possono costituire marchi di impresa tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma del prodotto o il suo confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese” Funzione distintiva e di garanzia dell'identità d'origine sono poi facilmente riscontrabili nella giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea i cui giudici, nella sentenza Arsenal v. Reed, si spingono a individuarle come “ essential function ”: “In tale prospettiva, la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore o all'utilizzatore finale l'identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio, consentendo loro di distinguere senza confusione possibile questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa. Infatti, per poter svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato intende istituire e mantenere, il marchio deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un'unica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro qualità ” 8 7 Marks and Trade Names, supra nota 34., pag. 8, dove si parla di “badge of origin” per indicare il marchio affermando che “it indicates the source or the trade origin of the goods or services in respect of which it is used.” V. anche A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33, pag. 54 “A trade mark is supposed to provide a means of identifying and distinguishing products as those of one undertaking.” 87 Arsenal Football Club plc v. Matthew Reed, C- 206/01, 12 novembre 2002, para. 48. 27 La funzione essenziale del marchio come come indicatore d'origine e fattore di distinzione è stata in seguito più volte ribadita dalla Corte di Giustizia, come, ad esempio, nelle recenti sentenze GoogleFrance 8 8 Interflora ed Ebay.89 Dall'altra parte dell'oceano la dottrina ha sottolineato, invece, come, oltre alla identificazione della fonte dei beni e dei servizi, 9 0 il marchio abbia anche un'altra funzione degna di tutela: la garanzia di una costanza qualitativa dei beni e dei servizi (sulla cui sussistenza, nel Vecchio Continente, si suole invece dubitare). 9 1 88 Google France SARL v. Louis Vuitton Mallettier (C- 236/08), Viaticum SA, Luteciel SARL (C237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL (C- 238/08) riunite, 23 marzo 2010, para. 82 “La fonction essentielle de la marque est de garantir au consommateur ou à l’utilisateur final l’identité d’origine du produit ou du service marqué, en lui permettant de distinguer ce produit ou ce service de ceux qui ont une autre provenance.” 89 V. Interflora Inc. v. Marks & Spencer plc. Flowers Direct On-line, C- 323/09, 22 settembre 2011, para. 37 “The Court has concluded that the exercise of the exclusive right conferred by the trade mark must be reserved to cases in which a third party’s use of the sign adversely affects, or is liable adversely to affect, the functions of the trade mark, in particular its essential function of guaranteeing to consumers the origin of the goods.” L'Oreal SA v. EBay International AG, C- 324/09, 12 luglio 2011, para. 80 “In the second place, a trade mark, the essential function of which is to provide the consumer with an assurance as to the identity of the product’s origin, serves in particular to guarantee that all the goods bearing the mark have been manufactured or supplied under the control of a single undertaking which is responsible for their quality.” V. anche L'Oreal SA v. Bellure NV, C- 487/07, 18 luglio 2009, para. 58; Adam Opel AG v. Autec AG, C- 48/05, 25 gennaio 2007, para. 21; Anheuser-Busch Inc. v. Budejovický Budvar, národní podnik, C- 245/02, 16 novembre 2004, para. 59. 90 V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 309 “A trade-mark serves to identify the source of goods and services.” 91 Mentre alcuna protezione viene data alla funzione di garanzia del livello qualitativo dei beni. da parte della dottrina v. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA , Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 65 “Non è apparso necessario né opportuno assegnare al marchio la funzione giuridica di garantire un livello qualitativo costante dei prodotti da esso contraddistinti.” V. anche G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 50 “[...] con riferimento a una pretesa di funzione di garanzia di costanza qualitativa del marchio. A tale tesi si è comunque da tempo negato qualsiasi fondamento.” La giurisprudenza comunitaria pare aprire in alcune recenti sentenze a questa funzione; v. ad esempio: L'Oreal SA v. Bellure NV, C- 487/07, 18 luglio 2009, para. 58, e Google France SARL v. Louis Vuitton Mallettier (C-236/08), Viaticum SA, Luteciel SARL (C237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL (C- 238/08) riunite, 23 marzo 2010, para. 77; Griffiths riconosce questa funzione del marchio, ma non fa derivare alcuna obbligazione riguardo al mantenimento di una determinata qualità dei prodotti da parte del produttore, a meno che un repentino abbassamento di questa non faccia si che l'uso del marchio diventi ingannevole per il consumatore; v. A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33, pag. 56 “Thus, using a trademark to identify products does not entail any legal obligation to maintain their quality or consistency as long as the trade mark does not become deceptive to the consumers. However the owner of a trade mark has an economic incentive to meet or 28 Nel sistema nord-americano il marchio è quindi garanzia della ripetizione della soddisfazione del consumatore, in forza della costanza qualitativa dei prodotti da esso assicurata. 9 2 Nel corso degli ultimi venticinque anni il marchio, sia negli Stati Uniti che in Europa, ha poi aumentato in maniera esponenziale la sua importanza nell'orientare le scelte del consumatore e questo anche grazie al ruolo giocato dalla pubblicità. Il marketing ha infatti avuto in questi anni un'ascesa verticale, diventando sempre più fondamentale nel decretare il successo di un prodotto e modificando i propri paradigmi: a partire dagli anni '80 i marchi vennero infatti colmati di valori e significati, in modo tale che il consumatore potesse riconoscere se stesso, il suo modo di essere, all'interno di un bene marcato. 9 3 Questo nuovo metodo, foriero di successi per le aziende, comportò un cospicuo aumento exceed the expectations of consumers concerning quality of marked products, but also has discretion to whether or not to do so in practice.” V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, Thomson, Sweet & Maxwell, 2008, pag. 257 “Thus the essential function of a trade mark is merely as guarantee of unitary control and not guarantee of quality. Trade marks do not provide a legal guarantee of quality but consumers rely upon the economic self-interest of trade mark proprietors to maintain the quality of products and services sold under a brand.” 92 V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 309-310 “In addiction of the identification of source a trade mark represents the goodwill of a business. Goodwill represents the reputation of the producer of goods and services. The consumer comes to rely upon an established level of quality in purchasing a particular good or service.” V. anche J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 26 ss. 93 V. ibid., pag. 27- 28 “Fashion trade-marks do much more than simply indicate the origin or the quality of manufactured products. They enables consumers to buy goods which speaks to the world and declare 'This is the sort of person that I am'. Thus by wearing clothes bearing Benetton label a person declares: 'I am a Benetton person, with Benetton values' meaning ' I am (or think I am) young, beautiful, affluent, stylish, not carrying any hang ups about race, gender or politics and dedicated to the pursuit of my personal relationships with like-minded people.” V. anche A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33, pag. 149 “A trademark can go further and acquire an attractive image, becoming a symbol of the values and attributes that make up this image. The trademark becomes a means of signaling that the marked products have this image and even of conferring this image upon them. This equivalent to giving the marked products intangible characteristics that increase their appeal to consumers through engaging with their emotional or psychological needs and desires.” V. anche W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 7 ss. D'altronde per capire questo meccanismo è sufficiente prestare attenzione alla pubblicità di alcuni beni che assurgono alla pretesa di diventare status symbol; v. ad esempio gli slogans “No alle regole, no al conformismo, scegli...” o “Drive the change” o “Il lusso è un diritto” legati agli spot pubblicitari di altrettanti modelli di auto. 29 degli investimenti 9 4 nel settore pubblicitario ed il conseguente acquisto da parte del marchio di un nuovo importante ruolo: quel “selling power”, 9 5 incorporato nel segno, frutto degli investimenti pubblicitari effettuati che divennero meritevoli di una tutela legale, sempre nell'ottica di quell'analisi costi-benefici compiuta all'inizio del paragrafo. In risposta a questo nuovo ruolo della promozione pubblicitaria e ai consistenti investimenti compiuti, 9 6 in ambito comunitario venne emanata la Direttiva 2008/95/CEE, che riconosce e protegge due nuove funzioni del marchio: la funzione di investimento e la funzione pubblicitaria . investimenti compiuti La prima riguarda, dall'imprenditore per per far l'appunto, acquisire gli o mantenere al marchio di cui è titolare una determinata reputazione presso i consumatori, come affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza Interflora (“In addition to its function of indicating origin and, as the case may be, its advertising function, a trade mark may also be used by its proprietor to acquire or preserve a reputation capable of attracting consumers and retaining their loyalty” ). 9 7 Per quanto concerne invece la c.d. funzione pubblicitaria, questa riguarda, invece, la capacità del marchio di comunicare con il consumatore e di persuaderlo all'acquisto di un determinato prodotto 94 Per quanto riguarda un'analisi dei crescenti investimenti compiuti nel settore del marketing dalle multinazionali si rimanda a: N. KLEIN, No Logo, Economia Globale e Nuova Contestazione, supra nota 5, pag. 25 ss. 95 V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N. ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto Industriale, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da G. COTTINO, supra nota 40, pag. 26; A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33, pag. 147 parla invece di marketing power “The marketing power of trademark secures the owner's return on this additional investment as well.” 96 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 10 “With soaring advertising and marketing costs, right holders perceived the need to see their investments secured. […] With strong pressure from the industry, positive trademark law and jurisprudence has expanded the scope of the trademark rights. European trademark law protects the communicator function by protecting the distinctive character and repute of trademarks against free-riding, blurring, and tarnishment.” 97 V. Interflora Inc. v. Marks & Spencer plc. Flowers Direct On-line, C- 323/09, 22 settembre 2011, para. 60. 30 o servizio, come affermato, ad esempio, nella sentenza Google France (“La vie des affaires étant caractérisée par une offre variée de produits et de services, le titulaire d’une marque peut avoir non seulement l’objectif d’indiquer, par ladite marque, l’origine de ses produits ou de ses services, mais également celui d’employer sa marque à des fins publicitaires visant à informer et à persuader le consommateur ”). 9 8 Anche se queste due funzioni possono talvolta coincidere, in realtà è bene tenerle su due piani concettuali differenti, come fa notare la Corte nella sentenza Interflora ; la funzione pubblicitaria, infatti, si esplica solamente tramite la comunicazione al pubblico, la funzione di investimento, invece, si può sì esplicare tramite la pubblicità, ma anche attraverso altre strategie commerciali. 9 9 La tutela di queste due nuove funzioni avviene attraverso l'istituzione di una nuova categoria di marchio la cui protezione non è più subordinata al rischio di confusione o all'identità sia dei beni che dei segni. Questo è il c.d. marchio notorio, 1 0 0 che verrà introdotto in tutte le legislazioni nazionali degli Stati comunitari, in realizzazione di quell'armonizzazione, obbiettivo primario della 98 Google France SARL v. Louis Vuitton Mallettier (C-236/08), Viaticum SA, Luteciel SARL (C237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL (C- 238/08) riunite, 23 marzo 2010, para. 91. 99 V. Interflora Inc. v. Marks & Spencer plc. Flowers Direct On-line, C- 323/09, 22 settembre 2011 para. 61 “Although that function of a trade mark – called the ‘investment function’ – may overlap with the advertising function, it is none the less distinct from the latter. Indeed, when the trade mark is used to acquire or preserve a reputation, not only advertising is employed, but also various commercial techniques.” 100V. L'Oreal SA v. Bellure NV, C- 487/07, para. 34 “Article 5(2) of Directive 89/104 establishes, for the benefit of trade marks with a reputation, a wider form of protection than that laid down in Article 5(1). The specific condition of that protection consists of a use without due cause of a sign identical with or similar to a registered mark which takes or would take unfair advantage of, or is or would be detrimental to, the distinctive character or the repute of the earlier mark.” V. anche Intel Corporation v. CPM United Kingdom Ltd, C- 252/07, 27 novembre 2008, para. 26; Adidas-Salomon v. Fitnessworld Trading Ltd, C- 408/01, 23 ottobre 2003, para. 27; Marca Mode CV v. Adidas AG, C- 425/98, 22 giugno 2000, para. 34; v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 877 “Section 5(3) [Directive 89/104, n.d.r.] introduces protection for this 'advertising function' by protecting the mark against various forms of use, including 'dilution'.” Per un approfondimento sulla categoria del marchio notorio si rimanda a 1.2.3.3. 31 Direttiva 2008/95/CEE. 1 0 1 Parallelamente una protezione alla d'investimento venne garantita negli funzione Stati pubblicitaria Uniti attraverso e il Federal Anti-Dilution Ac t (FTDA), emanato nel 1995 e riformato nel 2006 attraverso il Trademark Dilution Revision A ct (TDRA). Il FTDA introdusse nella legislazione americana diluizione, conferendo così ai marchi c.d. il concetto di famosi un elevato standard di protezione, in risposta alle richieste provenienti dal mondo delle multinazionali. Ma sia dei marchi famosi che della fattispecie diluitiva ci occuperemo più avanti nel corso della nostra trattazione. 1 0 2 1.2.2. Le prerogative del titolare del marchio ed i requisiti generali per la loro violazione. L'esclusività dell'utilizzo del marchio ed il diritto di prevenirne ogni utilizzazione non autorizzata da parte di terzi, nello svolgimento dell'attività economica, sono le principali prerogative del titolare del marchio. Ciò può esser desunto sia da fonti di tipo internazionale, sia dalle fonti di origine comunitaria. Entrambe, difatti, concordano su questo punto. 101In Italia ciò avvenne attraverso il d.lgs. n. 480 del 4 dicembre 1992 che, oltre alla categoria del marchio notorio, introdusse anche altre significative innovazioni tra cui: 1) qualunque soggetto può registrare un marchio (e non solo un imprenditore come era prima del 1992); 2)viene soppresso il c.d. “vincolo aziendale” che subordinava il trasferimento del marchio al trasferimento dell'azienda produttrice dei beni da esso contrassegnati; 3) è stata poi introdotto il divieto di uso ingannevole del marchio e conseguentemente il divieto di peggiorare la qualità dei prodotti senza adeguate informazioni al pubblico. V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N. ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto Industriale, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da G. COTTINO, supra nota 40, pag. 26 ss.; M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA , Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 66 ss. Per una completa disamina del d.lgs. 480/92 si rimanda a A. VANZETTI, C. GALLI, La Nuova Legge Marchi, supra nota 24. 102V. 1.2.3.3., 2.4., 3.5.1. 32 “The owner of a registered trademark shall have the exclusive right to prevent all third parties not having owner's consent from using in the course of trade. ” 1 0 3 “Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio ” 104 Una differenza che però possiamo notare nella comparazione tra l'art. 16(1) dell'accordo TRIPs e la Direttiva 2008/95/CEE è che, alla formulazione dei diritti del titolare del marchio, quest'ultima fa seguire un elenco delle fattispecie contraffattive. 1 0 5 Al contrario, l'art. 16(1) TRIPs non è corredato da un elenco altrettanto esaustivo; infatti, pur menzionando due di queste fattispecie (indicate anche dalla Direttiva 2008/95/CEE), ossia “ l'uso, nel corso del commercio, di segni identici o simili per dei prodotti o dei servizi identici o simili a quelli per cui il marchio è stato registrato nel caso da questo uso possa derivare un rischio di confusione ”, rimanda, nella seconda parte dell'articolo stesso, all'art. 6 bis CUP, 1 0 6 per quel che riguarda la terza fattispecie, ovvero la protezione accordata ai marchi cd. well known. Le normative nazionali degli Stati comunitari seguono quanto indicato dalla Direttiva 89/104 (ora 2008/95/CEE), in quell'ottica di 103 TRIPs, art.16(1). 104 Regolamento 207/2009, art. 9 e Direttiva 2008/95/CEE art. 5. 105 Delle fattispecie contraffattive ci occuperemo diffusamente nei paragrafi successivi. 106 CUP, art. 6 bis “The countries of the Union undertake, ex officio if their legislation so permits, or at the request of an interested party, to refuse or to cancel the registration, and to prohibit the use, of a trademark which constitutes a reproduction, an imitation, or a translation, liable to create confusion, of a mark considered by the competent authority of the country of registration or use to be well-known in that country as being already the mark of a person entitled to the benefits of this convention for identical or similar goods. These provisions shall also apply when the essential part of a mark constitutes a reproduction of any such well-known mark or an imitation liable to create confusion therewith”; per un' analisi di questo articolo si rimanda a 1.2.3.3. 33 armonizzazione che costituisce lo scopo di quest'ultima. 1 0 7 Negli Stati Uniti il Lanham Act prevede una protezione dei diritti del marchio in qualche modo simile a quella prevista dalle legislazioni dei paesi europei, ma più diretta e più favorevole al suo titolare nella sua formulazione. 1 0 8 La tutela del marchio contro gli usi non autorizzati da parte di terzi è prevista dal Lanham Act all'art. 1114: “Any person who shall, without the consent of the registrant (a) use in commerce any reproduction, counterfeit, copy, or colorable imitation of a registered mark in connection with the sale, offering for sale, distribution, or advertising of any goods or services on or in connection with which such use is likely to cause confusion, or to cause mistake, or to deceive; or (b) reproduce, counterfeit, copy, or colorably imitate a registered mark and apply such reproduction, counterfeit, copy, or colorable imitation to labels, signs, prints, packages, wrappers, receptacles or advertisements intended to be used in commerce upon or in connection with the sale, offering for sale, distribution, or advertising of goods or services on or in connection with which such use is likely to cause confusion, or to cause mistake, or to deceive, shall be liable in a civil action by the registrant for the remedies hereinafter provided. Under subsection (b) hereof, the 107Possiamo ad esempio menzionare il Trade-Mark Act del 1994 in vigore nel Regno Unito che all'art. 9 recita: “The proprietor of a registered trade-mark has the exclusive rights in the trademark which are infringed by use of the trade-mark in the United Kingdom without his consent”. Per quanto riguarda la normativa italiana, l'art.1 del d.lgs. n. 480/92 afferma invece: “ I diritti del titolare del marchio d'impresa registrato consistono nella facoltà di far uso esclusivo del marchio. Il titolare ha diritto di vietare ai terzi, salvo il proprio consenso.” Possiamo notare che entrambi questi articoli sono seguiti dall'elencazione delle tre fattispecie contraffattive indicate dall'art.5 della Direttiva 2008/95/CEE, di cui seguono lo schema. 108V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 213 “On reading these provisions [art. 1114 Lanham Act. n.d.r.] one is instantly struck by how much more direct they are than their European equivalent and how much more formidably pro-trade mark owner is their mode of expression.” 34 registrant shall not be entitled to recover profits or damages unless the acts have been committed with knowledge that such imitation is intended to be used to cause confusion, or to cause mistake, or to deceive. Shall be liable in a civil action by the registrant for the remedies hereinafter provided”. Il succitato articolo indica le condizioni affinché l'uso non autorizzato del marchio da parte di terzi possa dar luogo ad un'azione di tipo civilistico. Questi requisiti sono: l'uso nel commercio (di cui vengono elencate le varie tipologie), la mancanza del consenso da parte del titolare e la probabilità di causare confusione, errore o inganno nel consumatore. Il quadro viene poi completato dall'art. 1125 che conferisce protezione ai marchi famosi attraverso quella fattispecie diluitiva, entrata a far parte del sistema nord-americano attraverso il Federal Trade-mark Anti-Dilution Act, modificato nel 2006 dal Federal Trade-mark Anti-Dilution Revision Act, di cui ci occuperemo più avanti. Prima di passare all'analisi delle fattispecie contraffattive è però necessario esaminare quei requisiti che costituiscono la base per la violazione dei diritti del titolare del marchio; questi, come abbiamo potuto osservare attraverso l'analisi delle fonti europee, statunitensi e transnazionali, consistono, in sintesi, in un uso del marchio nel corso commercio, denotato dall'assenza di consenso da parte del suo titolare. Per quanto riguarda il consenso del titolare del marchio al suo utilizzo possiamo notare come si debba trattare di un consenso di 35 tipo esplicito. 1 0 9 Per chiarire cosa si intenda invece per utilizzo “ in the course of trade ”, possiamo citare la sentenza sul caso Arsenal della Corte di Giustizia Europea, che lo indica come un uso che “ it takes place in the context of commercial activity with a view to economic advantage and no as private matter. ” 11 0 Questa posizione, che evidenzia la necessità della sussistenza di un'attività e di un vantaggio economico dietro l'utilizzo non autorizzato del marchio altrui, è stata ribadita anche dalle più recenti sentenze Google France 111 ed Ebay. 11 2 L'art. 5.3 della Direttiva 2008/95/CEE fa poi un elenco, oggetto di trasposizione all'interno delle varie legislazioni nazionale degli Stati Membri, 11 3 di taluni tipi di utilizzo del marchio altrui 109V. A. VANZETTI, V. DI CATALDO, Manuale di Diritto Industriale, supra nota 16, pag. 229 “Sembra evidente che ove questo consenso dovesse venire inteso semplicemente come mancanza del titolare della volontà di far valere l'esclusiva, e cioè come mera tolleranza della contraffazione, la norma sarebbe pleonastica o del tutto ovvia. Ciò induce a ritenere che il consenso in questione in realtà abbia un significato diverso, e precisamente che esso richiami un consenso esplicitamente manifestato dal titolare, seppure con quelle caratteristiche di precarietà, e quindi di revocabilità ad nutum che caratterizzano il cosiddetto consenso dell'avente diritto .” 110 Arsenal F.C. Plc v. Matthew Reed, C- 206/01, 12 novembre 2002, para. 40. 111Google France SARL v. Louis Vuitton Mallettier (C- 236/08), Viaticum SA, Luteciel SARL (C237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL (C- 238/08) riunite, 23 marzo 2010, para. 50 “L’usage du signe identique à la marque a lieu dans la vie des affaires dès lors qu’il se situe dans le contexte d’une activité commerciale visant à un avantage économique et non dans le domaine privé.” Bently pone l'accento sul fatto che il requisito dell'uso nel corso del commercio serva a restringere l'ambito dei diritti del titolare del marchio, v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 919 “The fact that the use must take place 'in the course of trade' serves to restrict the scope of protection given to trade-mark owners.” 112L'Oreal SA v. EBay International AG, C- 324/09, 12 luglio 2011, para. 55 “Accordingly, when an individual sells a product bearing a trade mark through an online marketplace and the transaction does not take place in the context of a commercial activity, the proprietor of the trade mark cannot rely on his exclusive right as expressed in Article 5 of Directive 89/104 and Article 9 of Regulation No 40/94. If, however, owing to their volume, their frequency or other characteristics, the sales made on such a marketplace go beyond the realms of a private activity, the seller will be acting ‘in the course of trade’ within the meaning of those provisions.” 113V. ad esempio art. 20.2 CPI “Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in particolare vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro confezioni; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.” Oppure art. 10.4 TMA “For the purpose of this section a person uses a sign if, in particular, he: a) affixes it to goods or the packaging thereof; b) offers or exposes goods for sale, puts them on the market or stocks them for those purposes under the sign, or offers or supplies services under the sign; c) imports or exports goods under the sign; or d) uses the sign on business papers or 36 considerati idonei ad infrangere le prerogative del titolare del marchio: “Si può in particolare vietare, ove sussistano le condizioni menzionate ai paragrafi 1 e 2: a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento; b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, ovvero di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno; c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno; d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità. ” Questo elenco, di per sé non esaustivo, può esser implementato da ciò che la giurisprudenza, di volta in volta, consideri come uso 11 4 idoneo a infrangere i diritti del titolare del marchio secondo le circostanze. Rimane, ad esempio, non chiaro se l'utilizzo parodistico del marchio Barbie da parte del gruppo musicale degli Aqua, in un famoso caso che approfondiremo più avanti, sia da considerarsi come “in course of trade” o no. 11 5 in advertising.” 114V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 199 “Since this list is expressed to be non-exhaustive, the courts can add to it any activities which they consider to be a 'use'.” V. anche M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 128 “La norma definisce gli usi vietati in termini assai ampi, mediante un elenco di atti che ha natura esemplificativa”. Ad esempio un ampliamento giurisprudenziale degli utilizzi del marchio che possono dar luogo a violazione dei diritti del titolare è testimoniato da alcune recenti sentenze: v. L'Oreal SA v. EBay International AG, C-324/09, 12 luglio 2011 , para. 87; Google France SARL v. Louis Vuitton Mallettier (C- 236/08), Viaticum SA, Luteciel SARL (C- 237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL (C- 238/08) riunite, 23 marzo 2010, para. 43 e 52; in questi due casi la Corte di Giustizia Europea ha infatti stabilito che l'utilizzo di una parola chiave corrispondente ad un marchio nell'ambito di un servizio di posizionamento Internet compiuto da un'impresa commerciale costituisce una violazione dei diritti del titolare. 115V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 922 “It also remains unclear whether use a sign in art or music, as with Warhol's famous depictions of Campbell's 37 Le suddette attività, menzionate dall'art. 5.3 della Direttiva, sono quindi quelle attività riservate al titolare del marchio, che delineano una fattispecie contraffattiva qualora vengano compiute da terzi non autorizzati. E' necessario poi evidenziare come possano comportare contraffazione anche attività per così dire preparatorie alla messa in commercio, come ad esempio l'apposizione del segno sui prodotti o lo stoccaggio di questi. 11 6 Si deve poi notare come nel summenzionato articolo non vi sia riferimento alcuno all'uso, da parte del terzo, del segno costituente il marchio come ditta, insegna o, ad esempio, come domain name; questo poiché, tanto in sede nazionale quanto in sede comunitaria, è stato accolto il principio della c.d. unitarietà dei segni distintivi, ricomprendendo così nell'uso esclusivo del marchio anche l'utilizzo del medesimo segno come ditta, insegna o domain name. 11 7 Per quanto poi riguarda la normativa americana possiamo constatare come sia il succitato art. 1114 del Lanham Act a menzionare quelle attività che, se compiute da terzi non autorizzati, comportano la soup cans or pop group Aqua's use of the mark BARBIE in its song 'Barbie girl? Would constitute use 'in course of trade'”. V. 3.5. 116V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 211 “Neither TRIPs nor the major European trade mark laws directly address the extent to which are preparatory to infringement as defined by law are themselves to be regarded as infringing acts. That does not mean that 'secondary' or 'preparatory' acts which lead to a statutorily defined infringement are not themselves civil legal wrongs under trade mark law, since many acts which are preparatory to another's infringing act are themselves explicitly listed in the European legislation as primary infringements in their own right, for example affixing the sign to the goods or their packaging and stocking for infringing purposes”. V. anche M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 128. 117V. G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 138 “L'elencazione esemplificativa di cui agli artt 20.2 CPI e 9.2 r.m.c. non contiene un esplicito riferimento al divieto della adozione e dell'uso da parte di un terzo del segno che costituisce oggetto del marchio, come ditta, ragione o denominazione sociale, insegna, domain name, ed in genere segno distintivo. Si è tuttavia già messo in luce come, tanto la nostra legge (artt.22 e 12.1b e c CPI), quanto il regolamento sul marchio comunitario (artt. 8.4 e 52.1 reg. m.c.) abbiano accolto il principio di unitarietà dei segni distintivi, cosicché come regola può dirsi che il diritto d'esclusiva sul marchio comprende anche, ovviamente nei limiti della sua sfera di rilevanza, il suo uso come ditta, ragione, denominazione sociale, insegna, domain name ecc.” 38 violazione dei diritti del titolare. Se, come nella normativa europea, si fa riferimento alla offerta in vendita, alla distribuzione e all'uso nella pubblicità, non viene però indicata come attività riservate esclusivamente al titolare l'apposizione del segno nella corrispondenza commerciale. Per quanto riguarda l'importazione di beni recanti un segno contraffatto se ne occupa invece l'art. 1125, facendone divieto qualora riguardi prodotti che ledono il diritto di esclusiva del titolare sul segno. 11 8 Un'altra prospettiva che merita considerazione è quella che concerne l'uso del marchio nel mondo di Internet. Negli ultimi anni un nuovo tipo di violazione dei diritti del titolare del marchio ha preso piede: il c.d. cybersquatting . Ma di questa fattispecie e delle problematiche ad essa legate ci occuperemo nel proseguo della nostra trattazione. 11 9 1.2.3. Le fattispecie contraffattive L'azione spettante al titolare del marchio, che ritenga lesi i propri diritti, è la c.d. azione di contraffazione, che analizzeremo focalizzandoci sui diversi tipi di conflitti tra segni distintivi, seguendo quella tripartizione adottata dalla Direttiva Europea 89/104 (ora 2008/95/CEE) e seguita dalle legislazioni nazionali degli Stati Membri. 1 2 0 118 Lanham Act, art. 1125(b) “Importation. Any goods marked or labeled in contravention of the provisions of this section shall not be imported into the United States or admitted to entry at any customhouse of the United States. The owner, importer, or consignee of goods refused entry at any customhouse under this section may have any recourse by protest or appeal that is given under the customs revenue laws or may have the remedy given by this Act in cases involving goods refused entry or seized.” 119 V. 2.3, 3.3. 120V. ad esempio art. 20.1 CPI “Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, 39 Questa tripartizione viene adottata, anche se non esplicitamente, anche dalla normativa TRIPs, come abbiamo potuto osservare nel paragrafo precedente. La normativa americana, al contrario, non adotta una tassonomia così rigida; 1 2 1 le norme di riferimento in questo sistema sono infatti l'art. 1114 e 1125 del Lanham Act, che, come vedremo, non compiono una categorizzazione paragonabile a quella degli articoli 5.1. e 5.2. della Direttiva 2008/95/CEE. Tanto nei sistemi che seguono il modello della Direttiva 2008/95/CEE, quanto nel sistema statunitense, possiamo però notare come il soggetto che è legittimato a proporre azione di contraffazione sia in primo luogo il titolare del marchio. La Direttiva 2008/95/CEE afferma infatti all'art. 5(1) che “il titolare [del marchio, n.d.r.] ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio... ”; questa indicazione viene seguita dalle legislazioni vigenti negli Stati membri. 1 2 2 di usare nell'attività economica: a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato; b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni; c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.” V. anche art. 10 TMA : " (1) A person infringe a registered trade mark if he uses in the course of trade a sign which is identical with the trade mark in relation to goods or services which are identical with those for which it is registered. (2) A person infringes a registered trade mark if he uses in the course of trade a sign where because - (a) the sign is identical with the trade mark and is used in relation to goods or services similar to those for which the trade mark is registered, or (b) the sign is similar to the trade mark and is used in relation to goods or services identical with or similar to those for which the trade mark is registered, there exists a likelihood of confusion on the part of the public, which includes the likelihood of association with the trade mark. (3) A person infringes a registered trade mark if he uses in the course of trade in relation to goods or services a sign which - (a) is identical with or similar to the trade mark, where the trade mark has a reputation in the United Kingdom and the use of the sign, being without due cause, takes unfair advantage of, or is detrimental to, the distinctive character or the repute of the trade mark.” 121V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 197 “In legal system which are not based on the European model, such as the United States, there is more fluidity in categorizing infringement and, for example, causing confusion can be a factor in establishing dilution of a famous trade-mark.” 122V. ad esempio: art. 14 TMA “ An infringement of a registered trade-mark is actionable by the proprietor of the trade-mark.” V. art. L.716-5 del Code de la propriété intellectuelle francese 40 Questa legittimazione spetta anche al proprietario di un marchio comunitario, come afferma il Regolamento 207/2009 che, all'art. 9, riprende la formula usata dalla succitata Direttiva. Il Regolamento, però, introduce anche una legittimazione attiva all'azione di contraffazione nei confronti del licenziatario del marchio, con autorizzazione da parte del titolare o anche in assenza di quest'ultima, qualora la licenza sia di tipo esclusivo 1 2 3 ed il proprietario non provveda alla difesa dei suoi diritti. Questa apertura alla legittimazione del licenziatario viene esplicitamente seguita dalle legislazione di alcuni Stati Membri, 1 2 4 ma non dalla normativa italiana. In essa difatti non vi è alcuna norma che preveda la legittimazione attiva del licenziatario a proporre l'azione di contraffazione. Ciononostante, questa legittimazione viene riconosciuta, per analogia legis con il Regolamento 207/2009 1 2 5 da dottrina 1 2 6 e “L'action civile en contrefaçon est engagée par la propriétaire de la marque”; art. 20.1 CPI che riprende, parola per parola, quanto previsto dalla Direttiva 89/104, ora 2008/95/CEE “Il titolare ha diritto di vietare ai terzi, salvo il proprio consenso, di usare [il marchio n.d.r.] nell'attività economica...”. 123V. Regolamento 207/2009, art. 22.3 “Fatte salve le clausole del contratto di licenza, il licenziatario può avviare un’azione per contraffazione di un marchio comunitario soltanto con il consenso del titolare del medesimo. Tuttavia il titolare di una licenza esclusiva può avviare una siffatta azione se il titolare del marchio, previa messa in mora, non avvia lui stesso un’azione per contraffazione entro termini appropriati.” 124V. ad esempio art. 31 TMA “An exclusive licence may provide that the licencee shall have, to such extent as may provided provide that the licencee shall have, to such extent as may provided to be licence, the same rights and remedies in respect of matters occurring after the grant of the licence […] Where or to extent that provision is made, the licencee is entitled, subject to the provisions of the licence and to the following provisions of this sector, to bring infringement proceedings, against any person other than the proprietor, in his own name.” V. art. L.716-5, Code de la propriété intellectuelle “Toutefois, le bénéficiaire d'un droit exclusif d'exploitation peut agir en contrefaçon, sauf stipulation contraire du contrat si, après mise en demeure, le titulaire n'exerce pas ce droit. Toute partie à un contrat de licence est recevable à intervenir dans l'instance en contrefaçon engagée par une autre partie afin d'obtenir la réparation du préjudice qui lui est propre.” 125V. M.S. SPOLIDORO, La Legittimazione dei Licenziatari dei Diritti di Proprietà Intellettuale, AIDA, 2006, pag. 229. 126V. ibid., pag. 214 “Per le licenze esclusive è infatti piuttosto consolidata l'opinione secondo cui la legittimazione ad agire spetta al licenziatario, nella misura in cui è a lui che spetta il diritto di esclusiva.” V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N. ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto Industriale, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da G. COTTINO, supra nota 40, pag. 92 in cui viene indicato come legittimato attivo anche l'ente titolare del marchio collettivo. 41 giurisprudenza 1 2 7 al licenziatario in esclusiva mentre, per quanto concerne il licenziatario non esclusivo, la dottrina non è altrettanto concorde. 1 2 8 Negli Stati legittimazione Uniti il attiva Lanham del Act titolare prevede del esplicitamente marchio. 1 2 9 la Questa legittimazione è poi prevista anche per il licenziatario esclusivo, 1 3 0 pur se non esplicitamente indicata dal Lanham Act . Per quanto riguarda la legittimazione passiva questa spetta ai soggetti che compiono quegli atti indicati dagli art. 5.1 della Direttiva e dell'art. 1114 del Lanham Act, che sono stati oggetto della nostra analisi nel paragrafo precedente. 127V. ad es. FIMAG e FIMAS s.r.l. c. Artistica Meridionale, Trib. Catania, ord. 3 luglio 2002, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2003, 4508; Nobel Sport Martignoni s.p.a. c. Laziale Pesca e Munizioni, Corte d'Appello di Milano, 17 luglio 2001, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2002, 4357; Co.Ce.Pa. s.p.a. c. Giuseppina Zirilli, 27 gennaio 1992, in Giur. Ann. Dir. Ind. 1992, 2791. 128V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N. ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto Industriale, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da G. COTTINO, supra nota 40, pag. 92; v. anche M.S. SPOLIDORO, La legittimazione dei Licenziatari dei Diritti di Proprietà Intellettuale, supra nota 125, pag. 214- 215. La parte maggioritaria di essa tende comunque a conferire legittimazione attiva anche al licenziatario non esclusivo, in modo tale che gli possa tutelare i propri interessi nei confronti del contraffattore e che quindi il contratto di licenza non venga svuotato dall'impossibilità di far valere i diritti in esso contenuti. V. ibid., pag. 216 “Parte della dottrina forse maggioritaria, parte della giurisprudenza in materia di proprietà industriale […] non condividono però questo ragionamento [l'esclusione della legittimazione attiva per il licenziatario esclusivo, n.d.r.], osservando che il licenziatario esclusivo acquista un diritto reale sul bene immateriale oggetto dello ius excludendi del titolare, sia pure a contenuto limitato o minore, di guisa che, almeno entro i limiti della licenza, anche il licenziatario non esclusivo avrebbe diritto di tutelare direttamente quel tanto di riserva monopolistica che a lui sarebbe concesso, pena l'annullamento del significato economico della licenza stessa.” 129V. art. 1114 Lanham Act; v. anche S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 390 “The infringer of the mark shall be liable in a civil action by the registrant.” 130V. M.S. SPOLIDORO, La Legittimazione dei Licenziatari dei Diritti di Proprietà Intellettuale, supra nota 125, pag. 218 “Anche negli Stati Uniti in linea di principio la legittimazione attiva spetta solo ai licenziatari esclusivi.” 42 1.2.3.1. Identità di segni e di beni Seguendo la tripartizione indicata dalla Direttiva 2008/95/CEE 1 3 1 la prima delle tre fattispecie contraffattive che ci troviamo ad analizzare consiste nell'identità di segni e di beni, altresì prevista dall'accordo TRIPs: “Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio: a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato registrato; ” 1 3 2 “The owner of a registered trademark shall have the exclusive right to prevent all third parties not having the owner ’s consent from using in the course of trade identical or similar signs for goods or services which are identical or similar to those in respect of which the trademark is registered where such use would result in a likelihood of confusion. In case of the use of an identical sign for identical goods or services, a likelihood of confusion shall be presumed”. 1 3 3 Dal raffronto di queste due normative possiamo notare che, mentre la Direttiva non indica la confusione come requisito di questo primo tipo di contraffazione, l'accordo TRIPs, invece, parla sì di confusione, ma al tempo stesso afferma che, in caso di segni identici 131Quanto previsto da questa Direttiva viene trasposto, così come abbiamo avuto modo di vedere anche in precedenza, nelle legislazioni nazionali degli Stati membri della Comunità; v. ad es. art. 10 TMA, art. 20.1 CPI, art. 713-2 Code de la propriété intellectuelle. 132 Art. 5.1 Direttiva 2008/95/CEE. 133Art. 16(1) TRIPs Agreement. 43 usati per prodotti o servizi identici, il rischio di confusione non deve esser dimostrato (come vedremo accade per il secondo tipo di conflitto), dandosi per presunta la sua sussistenza. Dalle succitate normative si deduce che due sono i requisiti necessari affinché si concreti questo primo tipo di conflitto: l'identità dei segni e l'identità dei prodotti e dei servizi sui quali questi vengono apposti. Riguardo all'identità dei segni, 1 3 4 se questa appare palese per quel che concerne il fenomeno della c.d. “ pirateria dei marchi” 1 3 5 , possiamo notare come, in altri casi, il problema della statuizione o meno di un'identità tra due segni, sia di più difficile soluzione. Alle volte, infatti, pur se due segni non sono identici in tutto e per tutto, vengono considerati come tali dalla giurisprudenza. E' la stessa Corte di Giustizia Europea ad affermarlo nella sentenza Arthur: 1 3 6 in questo caso, difatti, il marchio Arthur et Felicie venne ritenuto responsabile di contraffazione nei confronti del marchio preesistente Arthur. Pur se questi due segni presentavano alcune differenze tra di loro, queste vennero ritenute insignificanti in un'analisi complessiva dei due segni. Quest'esame deve infatti avere come punto di riferimento l'impressione del consumatore ragionevolmente informato ed avveduto, il quale fa affidamento sull'immagine non perfetta del segno che ha mantenuto nella sua memoria. Qualora nella mente di del consumatore non sia quindi chiara la provenienza del bene, in quanto il segno che vi è apposto si discosti da un altro segno utilizzato per prodotti identici solamente per particolari che si possono considerare insignificanti, allora i due segni verranno 134Anche in questo caso deve esser applicati la teoria dell'unitarietà dei segni distintivi che abbiamo analizzato in precedenza. 135V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 117; W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 29. 136SA Sociètè LTJ Diffusion v. Sociètè SA Sadas Vertbaudet, C- 291-00, 20 marzo 2003. 44 considerati identici. 1 3 7 L'altro requisito richiesto dall'art. 5.1 della Direttiva è l'identità dei beni e dei servizi sopra i quali viene posto il segno e per la cui statuizione può esser utile far riferimento alle classi merceologiche indicate dall'accordo di Nizza. Ciononostante, la registrazione del marchio per prodotti rientranti nella medesima classe, non è di per sé bastevole per stabilirne l'identità, in quanto la portata delle classi è piuttosto ampia. 1 3 8 Un altro aspetto meritevole di attenzione è poi il significato della nozione di uso che viene associata a beni o servizi identici. Abbiamo accennato precedentemente alla nozione di uso nel commercio, ma è ora necessario capire cosa si intenda per uso, sì 137V. ibid. para. 52-54 “Toutefois, la perception d’une identité entre le signe et la marque doit être appréciée globalement dans le chef d’un consommateur moyen qui est censé être normalement informé et raisonnablement attentif et avisé. Or, à l’égard d’un tel consommateur, le signe produit une impression d’ensemble. En effet, ce consommateur moyen n’a que rarement la possibilité de procéder à une comparaison directe des signes et des marques, mais doit se fier à l’image non parfaite qu’il en a gardée en mémoire. En outre, le niveau d’attention est susceptible de varier en fonction de la catégorie de produits ou de services en cause. La perception d’une identité entre le signe et la marque n’étant pas le résultat d’une comparaison directe de toutes les caractéristiques des éléments comparés, des différences insignifiantes entre le signe et la marque peuvent passer inaperçues aux yeux d’un consommateur moyen. Dans ces conditions, il convient donc de répondre à la question posée que l’article 5, paragraphe 1, sous a), de la directive doit être interprété en ce sens qu’un signe est identique à la marque lorsqu’il reproduit, sans modification ni ajout, tous les éléments constituant la marque ou lorsque, considéré dans son ensemble, il recèle des différences si insignifiantes qu’elles peuvent passer inaperçues aux yeux d’un consommateur moyen.” V. anche BMW v. Deenik, C- 63/97, 23 febbraio 1999, para. 42. Per quanto riguarda la dottrina in merito: v. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 375 “A sign will be identical with the registered mark where it reproduces, without any modification or addition, all the elements constituting the mark or were, viewed as a whole, it contains differences so insignificant they may go unnoticed by the average consumer.” V. anche J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 313; M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 117; L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1 , pag. 917. 138V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 334 “The same cannot however be said where two parties’ goods are registered within the same class under the Nice classification scheme, since the range of goods or services covered by each class is very wide.” Un ottimo esempio di ciò viene fornito da una sentenza di un tribunale britannico del 2003 in cui si afferma che i c.d. free newspapers ed i tradizionali quotidiani non possono esser considerati un bene identico ai tradizionali quotidiani a pagamento. V. Associated Newspapers Ltd. v. Express Newspapers, Chancery Division, 11 giugno 2003, EWCH 1322. 45 nel commercio, ma in relazione 1 3 9 a beni o servizi identici a quelli per il quale il marchio è stato registrato. Senza meno costituisce uso per beni identici quello compiuto da Mr. Reed in un caso che ha fatto scuola in merito; quest'ultimo, un venditore di sciarpe e magliette contrassegnate dal logo della squadra dell'Arsenal presso bancarella di fronte allo stadio, pur avvertendo a chiare lettere, per mezzo di un cartello, della non ufficialità di parte dei prodotti da lui posti in vendita, venne comunque giudicato responsabile di contraffazione nei confronti del marchio detenuto dalla suddetta società calcistica. La Corte di Giustizia, infatti, ritenne che, pur in presenza di un c.d. disclaimer, l'uso del marchio compiuto da Mr. Reed fosse idoneo a far venir meno la garanzia di provenienza dei beni, 1 4 0 che, come abbiamo 139 L'uso in relazione a beni o servizi identici è quindi una conditio sine qua non affinché si possa parlare di contraffazione. V. in merito D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 368 “To constitute infringement under any head of s.10 of the 1994 Act, the trade-mark must be used in relation to goods or services.” 140V. Arsenal F.C. Plc v. Reed, C- 206/01, 12 novembre 2002, para. 56-57 “Having regard to the presentation of the word ‘Arsenal’ on the goods at issue in the main proceedings and the other secondary markings on them, the use of that sign is such as to create the impression that there is a material link in the course of trade between the goods concerned and the trade mark proprietor. That conclusion is not affected by the presence on Mr Reed's stall of the notice stating that the goods at issue in the main proceedings are not official Arsenal FC products. Even on the assumption that such a notice may be relied on by a third party as a defence to an action for trade mark infringement, there is a clear possibility in the present case that some consumers, in particular if they come across the goods after they have been sold by Mr Reed and taken away from the stall where the notice appears, may interpret the sign as designating Arsenal FC as the undertaking of origin of the goods.” V. anche Anheuser-Busch v. Budejovický Budvar, národní podnik, C- 245/02, 16 novembre 2004, para.60. Per quanto riguarda la dottrina in merito v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 924 ss.; M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 117 ss.; D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 364 ss. Interessante il punto di vista di Sakulin in merito a questa sentenza che si riallaccia anche a quanto detto in 1.2.1.; v. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 72 “However, the extension of protection in a manner to entail a prohibition of post-sale confusion, which was implicitly accepted in the ECJ's decision, is probably not justifiable by economic rationales.” Possiamo poi osservare come, mentre nella Direttiva 2008/95/CEE così come anche nel TMA britannico o nel Codice della Proprietà Industriale italiano non vi sia alcun riferimento ai disclaimers, un richiamo all'invalidità di questo tipo di avvertenze è contenuto invece all'art. L-713-2 del Code de la propriété intellectuelle “Sont interdits, sauf autorisation du propriétaire: a) La reproduction, 46 visto, 1 4 1 è considerata una funzione essenziale del marchio. Sempre per quanto riguarda l' uso del marchio è interessante la decisione, di segno opposto, della Corte di Giustizia Europea nel caso Opel-Autec. In questo caso la nota casa automobilistica, il cui marchio è registrato sia per automobili che per giocattoli, lamentò l'uso che l'azienda Autec, produttrice di giocattoli, aveva fatto del suo marchio apponendolo su dei modellini in scala delle auto Opel. In questo caso, però, la Corte di Giustizia affermò che l'utilizzo compiuto dalla Autec del blitz Opel non era da considerarsi come contraffazione. Ciò in quanto, l'apposizione del logo Opel venne considerato, prendendo come riferimento il parametro del consumatore mediamente informato e ragionevolmente avveduto, come elemento atto a rendere la riproduzione in scala dell'auto il più possibile fedele all'originale e non veniva quindi usato come marchio. Per questo motivo era da escludersi un pregiudizio alla funzione d'origine del marchio Opel. 1 4 2 l'usage ou l'apposition d'une marque, même avec l'adjonction de mots tels que : "formule, façon, système, imitation, genre, méthode", ainsi que l'usage d'une marque reproduite, pour des produits ou services identiques à ceux désignés dans l'enregistrement.” 141V. 1.2.1. 142V. Adam Opel AG v. Autec AG, C- 48/05, 2007, 25 gennaio 2007, para. 44 “Tuttavia, l’apposizione di un segno, che sia identico ad un marchio registrato in particolare per autoveicoli, su modellini di veicoli contraddistinti dal marchio in questione, al fine di riprodurre fedelmente tali veicoli, non mira a fornire un’indicazione relativa ad una caratteristica dei detti modellini, bensì è soltanto un elemento della riproduzione fedele dei veicoli originali.” V. W. CORNISH, D. LLEWELYN, T. APLIN, Trade Marks and Names, in Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marks and Allied Rights, supra nota 14, pag. 780 “As the reference from the German court had explained that the average German consumer of the products in the toy industry expected scale models to be realistic and that such a consumer would understand that the Opel logo on Autec's products indicated that it was a miniature replica of an Opel car, the Court of Justice considered that the referring would have to conclude that the use did not affect the essential function of the trade-mark registered for toys.” V. anche W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 71 che, riferendosi all'uso fatto da Autec del marchio Opel, parla di “ornamental feature”; v. anche M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2., pag. 120; L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 925. Sempre nel senso di negare la sussistenza di un uso del marchio come tale da parte di un terzo non autorizzato v. Oreal SA v. Ebay International AG, C- 324/09, 12 luglio 2011, para. 105. Sul caso Opel torneremo comunque più avanti. 47 Come vedremo più avanti nel corso della nostra trattazione il ritenere l'utilizzo del marchio altrui come uso del marchio, in quanto espletante la sua funzione primaria di indicatore d'origine, sarà di vitale importanza al fine di ricomprendere il bilanciamento tra i diritti del suo titolare e la libertà d'espressione all'interno o all'esterno della normativa marchi. La legislazione statunitense, invece, così come traspare dall'art. 1125 del Lanham Act, non compie alcuna distinzione tra il conflitto dovuto alla doppia identità di segni e beni (come abbiamo visto compie la normativa comunitaria) e quello dovuto invece alla identità o somiglianza tra beni e segni, che richiede il requisito della c.d. “ likelihood of confusion ” e di cui ci occuperemo nel paragrafo successivo . 1.2.3.2. Il rischio di confusione Il secondo tipo di conflitto riguarda l'uso di un segno identico o simile a quello precedentemente registrato come marchio, per beni identici o simili a quelli per cui il marchio aveva ottenuto la registrazione. Questa fattispecie contraffattiva è prevista sia dalla normativa comunitaria (seguita, come abbiamo in precedenza osservato, dalle legislazioni dei vari stati membri della Comunità), sia da quella transazionale: “Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio: a) […]; b) un segno che, a 48 motivo dell’identità o della somiglianza col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio di impresa. ” 1 4 3 “The owner of a registered trademark shall have the exclusive right to prevent all third parties not having the owner ’s consent from using in the course of trade identical or similar signs for goods or services which are identical or similar to those in respect of which the trademark is registered where such use would result in a likelihood of confusion.” 1 4 4 I requisiti necessari affinché venga a concretarsi questo secondo tipo di conflitto sono: in primo luogo l'identità o la somiglianza dei segni così come dei prodotti o dei servizi sui quali sono apposti ed, in seconda istanza, è necessario che, per via delle identità o somiglianze suddette, sussista quella probabilità di confusione dovuta alla contemporanea presenza dei beni o servizi sul mercato. 143Art. 5 Direttiva 2008/95/CEE. Questo articolo (o più precisamente il corrispettivo articolo della precedente Direttiva 89/104) viene ripreso dalle legislazioni dei paesi comunitari, seppur con formulazioni in parte diverse, come testimoniano ad esempio da: art. 10(2) TMA “A person infringes a registered trade mark if he uses in the course of trade a sign where because - (a) the sign is identical with the trade mark and is used in relation to goods or services similar to those for which the trade mark is registered, or (b) the sign is similar to the trade mark and is used in relation to goods or services identical with or similar to those for which the trade mark is registered, there exists a likelihood of confusion on the part of the public, which includes the likelihood of association with the trade mark.” Art. L-713-3 Code de la propriété intellectuelle “Sont interdits, sauf autorisation du propriétaire, s'il peut en résulter un risque de confusion dans l'esprit du public :a) La reproduction, l'usage ou l'apposition d'une marque, ainsi que l'usage d'une marque reproduite, pour des produits ou services similaires à ceux désignés dans l'enregistrement ;b) L'imitation d'une marque et l'usage d'une marque imitée, pour des produits ou services identiques ou similaires à ceux désignés dans l'enregistrement.” Art. 20 CPI “Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica: [..] b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni.” 144 Art. 16 (1) TRIPs. 49 Per quel che concerne l'identità dei segni e dei beni o dei servizi rimandiamo all'analisi compiuta nel paragrafo precedente. Nell'analisi della somiglianza di beni e servizi è da ribadire a maggior ragione quanto affermato a proposito dell'identità dei beni ossia che, la loro appartenenza alla medesima classe merceologica, non ne comporta, di per sé, la somiglianza. 1 4 5 La Corte di Giustizia Europea si è quindi occupata di stabilire i requisiti affinché si possa parlare di somiglianza tra beni o servizi; ciò è avvenuto nella sentenza Canon Kabushiki Kaisha v. MGM: la MGM intendeva infatti registrare il marchio CANNON per “film registrati su videocassette (preregistrate); produzione, locazione e proiezione di film per sale di proiezione e aziende televisive. ” Ciò, però, non fu visto di buon occhio dalla ricorrente Canon, che aveva in precedenza fotografici, registrato cineprese e l'omonimo proiettori; marchio apparecchi per per “ apparecchi riprese e registrazioni televisive, apparecchi di ricezione e di riproduzione televisiva, ivi compresi gli apparecchi di registrazione e di lettura su nastro o su disco.” La Corte di Giustizia ha dunque affermato quali siano i fattori di cui si debba tener conto nel valutare la somiglianza o meno di prodotti o servizi: 145Da notare come però sia valevole anche il discorso inverso: qualora due beni o servizi siano rubricati in due classi merceologiche differenti non è impossibile che vengano comunque considerati simili. Questo porta ad affermare che il posizionamento in una classe merceologica piuttosto che in un'altra non è rilevante ai fini della statuizione del grado di somiglianza tra beni e servizi in quanto è considerata una questione prettamente amministrativa. V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 870: “It is clear the fact that goods or services are registered in different classes does not mean inevitably that they are not similar. […] The fact that the signs relate to different classes is irrelevant because the way the goods or services are classified is an administrative matter, whereas the question of whether goods or services are similar is a substantive law.” V. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 323; J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 334; v. anche: Institut für Lernsysteme GmbH v. OHIM, T-388-00, 23 ottobre 2002, para. 54 “In secondo luogo, la commissione di ricorso ritiene che i servizi di «sviluppo ed organizzazione di corsi per corrispondenza» considerati dal marchio anteriore siano simili ai «libri di testo e materiali stampati, ovvero libri di esercizi per studenti, cataloghi, manuali didattici, materiale stampato per l'insegnamento e schede e libretti per studenti che desiderano imparare l'inglese come seconda lingua» designati dal marchio richiesto.” 50 “ Per va lu ta re la so m ig l ia n z a tr a i p ro d o t ti o i s er viz i in questione, si deve tener conto [...] di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra i prodotti o i servizi. Questi fattori includono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro impiego nonché la l o r o c o n c o r r e n z i a l i t à o c o m p l e m e n t a r i t à . ” 146 La statuizione della somiglianza o meno tra due segni dipende anch'essa da fattori stabiliti in ambito giurisprudenziale. L'analisi compiuta dal giudice, infatti, dovrà in primo luogo focalizzarsi sulla determinazione del grado di somiglianza visuale, auditiva e concettuale 1 4 7 tra il marchio registrato ed il segno utilizzato su beni 146V. Canon Kubashiki Kaisha v. MGM, C-39/97, 29 settembre 1998, para. 23; v. Institut für Lernsysteme GmbH v. OHIM, T-388-00, 23 ottobre 2002, para. 51; nelle conclusioni del giudice A.G. Jacobs riguardo alla medesima causa possiamo poi notare come venga accolta una lista di fattori idonei a determinare la somiglianza di due prodotti o servizi, tratta dalla giurisprudenza britannica (Sugar Plc v James Robertson & Sons Ltd ,23 maggio 1996, RPC 281) “According to the United Kingdom Government, the following type of factors should be taken into account in assessing the similarity of goods or services: (a)the uses of the respective goods or services;(b) the users of the respective goods or services; (c) the physical nature of the goods or acts of service; (d) the trade channels through which the goods or services reach the market; (e) in the case of self-serve consumer items, where in practice they are respectively found or likely to be found in supermarkets and in particular whether they are, or are likely to be, found on the same or different shelves;(f) the extent to which the respective goods or services are in competition with each other: that inquiry may take into account how those in trade classify goods, for instance whether market research companies, who of course act for industry, put the goods or services in the same or different sectors.” Tritton fa notare come, per la somiglianza tra prodotti o servizi, non sia necessario tenere in considerazione il rischio di confusione; v. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 324 “It is of note that these requirements do not necessitate considering the likelihood of confusion. Thus, it must be shown that the goods or services are similar regardless whether there is a likelihood of confusion taking other circumstances into account.” Per un'analisi più approfondita dei parametri che servono a stabilire la somiglianza dei beni o dei servizi v. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 335 ss. Per una panoramica della giurisprudenza britannica in merito v. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING , Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 253 ss. 147V. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING , Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 247 “In order to asses the degree of similarity between the marks concerned, the national court must determine the degree of visual, aural or conceptual similarity between them.” V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 863 “The marks should be assessed from the point of view of their visual, aural and conceptual similarity”, v. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 321 ss., v. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 321 ss.; v. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 122 ss. 51 o servizi a loro volta simili o identici. La necessità di questa triplice valutazione emerge, in ambito comunitario, da una consolidata giurisprudenza. 1 4 8 La medesima mette altresì in luce come, la tipologia di prodotti o servizi coinvolti e le modalità della loro immissione in commercio, possano incidere sulla rilevanza di ciascuno dei fattori sopra indicati nella determinazione del grado di somiglianza. 1 4 9 I giudici devono inoltre tener conto che il parametro di riferimento, sulla base del quale vengono compiute queste valutazioni, rimane il consumatore ragionevolmente informato ed avveduto, il quale, come altresì visto nel paragrafo precedente, alle volte può conservare nella sua memoria un'immagine non perfetta del marchio, ed è proprio a questa i giudici dovranno far riferimento. 1 5 0 148V. Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co v. Klijsen Handel BV, C-342/97, 22 giugno 1999, para. 27 “Al fine di valutare il grado di somiglianza esistente tra i marchi di cui trattasi, il giudice nazionale deve determinare il loro grado di somiglianza visuale, auditiva e concettuale e, eventualmente, valutare la rilevanza che occorre attribuire a questi diversi elementi, tenendo conto, della categoria dei prodotti o servizi di cui trattasi e delle condizioni in cui essi sono messi in commercio.” V. anche Sabel v. Puma, C- 251/95, 11 novembre 1997; v. Phillips-Van Heusen Corp v. OHIM, T-292/01, 14 ottobre 2003, para. 55; v. Adidas-Salomon AG v. Fitness World, C- 408/01, 23 ottobre 2003, para. 28; v. Institut für Lernsysteme GmbH v. OHIM, T388-00, 23 ottobre 2002, para. 62. 149V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 864 “The relative importance of each sort of similarity will vary with the circumstances in hand, in particular the goods and the types of mark. In the case of certain kinds of goods, such as clothes, visual similarity between the marks in issue will be the most important form of similarity. In contrast, it has been said that wine marks will be perceived verbally; with the restaurant services (where word-of-mouth recommendations highly important), it is likely that phonetic similarity will be a key.” V. Inter-Ikea Systems BV v. OHIM, T- 112/06, 16 gennaio 2008; Phillips-Van Heusen Corp. v. OHIM, T- 292/01, 14 ottobre 2003, para. 55; Castellani Spa v. OHIM, T- 149/06, 29 novembre 2007, para. 53; Mistery Drinks Gmbh v. OHIM, T- 99/01, 15 gennaio 2003, para. 48; v. anche J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 pag. 327 ss. 150V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 865 “ The court also bear in mind that consumers may not be able to remember a mark perfectly (this is called the notion of 'imperfect recollection'). The average consumer only rarely has the chance to make a direct comparison between marks, and so must place his trust in the imperfect picture of them that has kept in his mind. In many cases this means that while at first glance two marks may appear dissimilar, when the possibility of imperfect recollection is taken into account, the marks may in fact be similar.” V. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 327 “The matter must be judged through the eyes of the average consumer of the goods or services in question. The average consumer is deemed to be reasonably wellinformed and reasonably circumspect and observant but who rarely have the chance to make direct comparisons between marks and must be instead rely upon imperfect picture that the consumer has kept in his mind.” V. anche M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA , Diritto 52 In varie sentenze i giudici comunitari insistono poi sull'interdipendenza dei suddetti requisiti al fine di determinare il rischio di confusione: a una maggior somiglianza tra i beni o servizi (o addirittura a una loro identità) può corrispondere una minor somiglianza tra i segni e viceversa. 1 5 1 Nell'analisi del grado di somiglianza necessaria affinché possa concretarsi la fattispecie contraffattiva è inoltre necessario che la Corte tenga sempre presente il requisito del rischio di confusione. 1 5 2 Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 123, D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 248; per quanto riguarda la giurisprudenza in merito vedi: Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co v. Klijsen Handel BV, C-342/97, 22 giugno 1999, para. 25-26; Sabel v. Puma AG, C-251/95, 11 novembre 1997, para. 23; v. Institut für Lernsysteme GmbH v. OHIM, T- 388-00, 23 ottobre 2002, para. 47. Ciò fa si che venga conferita un'importanza maggiore a quelli che sono gli elementi dominanti del marchio: v. Claudia Oberhauser v. OHIM, T- 104/01, 23 ottobre 2002, para. 47 “Infatti, nell'ambito della valutazione globale del rischio di confusione, si deve rilevare che il fatto che il consumatore medio serbi memoria solo di un'immagine imperfetta del marchio conferisce maggiore importanza all'elemento predominante del marchio in causa.” Comunque sia la comparazione deve esser sempre compiuta globalmente, evitando di comparare uno solo degli elementi, fosse anche quello dominante; v. Shaker de L. Laudato & C. Sas v. Liminana y Botella, C- 334/05, 12 giugno 2007, para. 41 “Si deve infatti sottolineare che, secondo la giurisprudenza della Corte, nel verificare l’esistenza di un rischio di confusione, la valutazione della somiglianza tra due marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo una componente di un marchio complesso e paragonarla con un altro marchio. Occorre invece operare il confronto esaminando i marchi in questione considerati ciascuno nel suo complesso, il che non esclude che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico pertinente da un marchio complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue componenti.” V. anche Formula One Licensing BV v OHIM, T- 10/09, 17 febbraio 2011, para. 31; Medion AG v. Thomson, C- 120/04, 6 ottobre 2005, para. 29; Matratzen Concord Gmbh v. OHIM, T- 06/01, 23 ottobre 2002, para. 29. 151V. Canon Kubashiki Kaisha v. MGM, C- 39/97, 29 settembre 1998, para. 17 “La valutazione globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori che entrano in linea considerazione, e in particolare la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei servizi designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa. L'interdipendenza tra questi fattori trova in effetti espressione nel decimo 'considerando‘ della direttiva, secondo il quale è indispensabile interpretare la nozione di somiglianza in relazione al rischio di confusione, la cui valutazione a sua volta dipende in particolare dalla notorietà del marchio sul mercato e dal grado di somiglianza tra il marchio e il contrassegno e tra i prodotti o servizi contraddistinti.” V. anche Marca Mode CV v. Adidas AG, C- 425/98, 22 giugno 2000, para. 40; Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co v. Klijsen Handel BV, C- 342/97, 22 giugno 1999, para. 19; Institut für Lernsysteme GmbH v. OHIM, 23 ottobre 2002, T- 388-00 para. 46; Laboratorios RTB v. OHMI - Giorgio Beverly Hills, T- 163/01, 9 luglio 2003, para. 32; Phillips-Van Heusen Corp v. OHIM, T-292/01, 14 ottobre 2003, para. 45. 152V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 321 “Neither the CFI nor ECJ has developed any test for similarity of marks which is not closely connected with the concept of likelihood of confusion.” 53 Questo rischio sussiste quando, nella mente di un consumatore ragionevolmente informato ed avveduto, può crearsi confusione per quel che riguarda l'origine dei beni o servizi, la cui garanzia, come abbiamo avuto modo di vedere, 1 5 3 rappresenta la funzione essenziale del marchio. Qualora vi sia un pericolo che il consumatore possa ritenere che beni o servizi provengano dalla stessa impresa o da due imprese collegate economicamente, allora si ritiene sussistente il rischio di confusione. 1 5 4 Come recita l'art. 5(1)(b) della Direttiva 2008/95/CEE, inoltre, nel rischio di confusione è anche compreso il c.d. rischio di associazione tra il marchio ed il segno utilizzato. Questo rischio consiste nel pericolo che il consumatore possa compiere un'associazione tra i due segni, anche a prescindere dal determinarsi della confusione sull'origine di prodotti o servizi. E' 153V. 1.2.1. 154V. Canon Kubashiki Kaisha v. MGM, C- 39/97, 29 settembre 1998, para. 29 “Costituisce perciò un rischio di confusione ai sensi dell'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva la possibilità che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi in questione provengono dalla stessa impresa o eventualmente da imprese economicamente legate tra loro (v. in questo senso sentenza SABEL, citata, punti 16-18). Di conseguenza, come ha osservato l'avvocato generale nel paragrafo 30 delle sue conclusioni, per escludere l'esistenza di tale rischio di confusione, non è sufficiente dimostrare semplicemente l'insussistenza del rischio di confusione nella mente del pubblico quanto al luogo di produzione dei prodotti o servizi di cui trattasi.” V. anche: Sabel BV v. Puma AG, C-251/95, 11 novembre 1997, para. 16-18; Phillips-Van Heusen Corp v. OHIM, T-292/01, 14 ottobre 2003, para. 45; Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co v. Klijsen Handel BV, C-342/97, 22 giugno 1999, para. 17; Laboratorios RTB v. OHMI - Giorgio Beverly Hills, T- 163/01, 9 luglio 2003, para. 30; Formula One Licensing BV v OHIM, T10/09, 17 febbraio 2011, para. 25. Per quel che riguarda la dottrina v. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 378 “ The risk that the public believe that the goods or services in question come from the same undertaking, or, as the case may be, economically linked undertakings, constitutes a likelihood of confusion.”;V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 329 “The relevant type of confusion is confusion as trade origin. Thus, mere association, in the sense that later mark brings the earlier mark to mind, is not sufficient. Conversely, if the association between the marks causes the public to wrongly believe that the respective goods/services come from the same or economically linked undertakings, there is a relevant likelihood of confusion.” V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 872 che parla di “classic form of confusion”; per quanto riguarda questo tipo di confusione riguardante la funzione essenziale del marchio come indicatore dell'identità dell'origine v. anche M. RICOLFI, I segni distintivi d'impresa, marchio ditta, insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto industriale, proprietà intellettuale e concorrenza, supra nota 2, pag. 121. Bently poi pone l'accento sul collegamento economico che il consumatore può ritenere esistente tra due prodotti: questo può consistere anche nel ritenere che vi sia un rapporto di licenza o di autorizzazione tra le imprese (v. anche Durferrit v. OHIM, T- 224/01, 9 aprile 2003, para. 62). 54 dunque possibile che si concreti la fattispecie prevista dall'art. 5(1) (b) della Direttiva anche qualora non vi sia un rischio di confusione, ma solamente rischio di associazione tra i marchi? Questo interrogativo rappresenta il nodo cruciale della sentenza Sabel v. Puma: 1 5 5 la Corte di Giustizia ivi affermò che il rischio di associazione non può esser considerato un'alternativa al rischio di confusione e quindi, per il concretarsi della fattispecie indicata dall'art. 5(1)(b), non è da solo bastevole. Il rischio di associazione non è infatti da considerarsi come un fattore dal quale si possa presumere l'esistenza di un rischio di confusione, ma serve invece a definirne l'estensione. 1 5 6 Un altro importante fattore nella valutazione del rischio di confusione è poi la distintività del segno anteriore registrato come marchio. Se questo difatti, attraverso l'uso che ne è stato fatto nel corso degli anni, o per mezzo di sue caratteristiche intrinseche, ha acquisito un forte carattere distintivo, il rischio di confonderlo con altri segni posteriori aumenterà. Questa è la linea seguita dalla giurisprudenza comunitaria 1 5 7 sin dalla sentenza Sabel dove, al paragrafo 24, la Corte afferma che: “ il rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il carattere distintivo del marchio anteriore. Non può quindi essere escluso che la somiglianza concettuale derivante dal fatto che due 155Sabel v. Puma, C- 251/95, 11 novembre 1997. 156V. ibid., para. 19 “Orbene, dal tenore di tale disposizione emerge come la nozione di rischio di associazione non costituisca un'alternativa alla nozione di rischio di confusione, bensì serva a precisarne l'estensione. I termini stessi della disposizione escludono, quindi, che essa possa trovare applicazione laddove non sussista nel pubblico un rischio di confusione.” V. anche Marca Mode CV v. Adidas AG, C- 425/98, 22 giugno 2000, para. 31. Per la dottrina v. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 324 “The fact that art. 4 (1)(b) refers to a 'likelihood of association' does not mean that any type of association is sufficient. It refers to a likelihood of association within the meaning of confusion as to trade origin, i.e. that a person will mistake goods bearing particular marks as being connected or associated in the course of trade with the proprietor of the earlier trademark.” V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 872 ss. 157V. Sabel v. Puma, C- 251/95, 11 novembre 1997, para. 24; v. anche Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co v. Klijsen Handel BV, C- 342/97, 22 giugno 1999, para. 28. 55 marchi utilizzino immagini concordanti nel loro contenuto semantico possa creare rischio di confusione nel caso in cui il marchio anteriore possieda un carattere distintivo particolare, sia intrinsecamente, sia grazie alla notorietà di cui goda presso il pubblico.” Questo criterio viene però meno qualora il marchio che si ritiene contraffatto abbia un grado di rinomanza così alto da render più semplice per il consumatore distinguerlo dal marchio posteriore, riducendo quindi il rischio di confusione. 1 5 8 E' necessario precisare che, affinché vi sia rischio di confusione, debbano comunque esser presenti quei requisiti di identità o somiglianza dei segni e dei beni (o servizi), non essendo l'alto carattere distintivo del marchio anteriore autonomamente bastevole a delinearlo. 1 5 9 Il carattere distintivo del marchio anteriore è quindi da considerarsi come uno dei fatto ri che, insieme alla somiglianza di 158V. Claude Ruiz Picasso v. OHIM, T- 185/02, 22 giugno 2004, para. 57 “Il segno denominativo PICASSO è dotato, per il pubblico di riferimento, di un contenuto semantico chiaro e determinato. Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la rilevanza del significato del segno ai fini della valutazione del rischio di confusione non è messa in dubbio, nella fattispecie, dal fatto che tale significato non abbia alcun nesso con i prodotti considerati. Infatti, la notorietà del pittore Pablo Picasso è tale che non è plausibile ritenere, in assenza di indizi concreti in senso contrario, che il segno PICASSO, quale marchio per veicoli, possa sovrapporsi, nella percezione del consumatore medio, al nome del pittore di modo che tale consumatore, di fronte al segno PICASSO nel contesto dei prodotti di cui trattasi, astragga d’ora in avanti dal significato del segno relativo al nome del pittore e lo percepisca.” V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 327 “However if the mark is highly distinctive because of the use made, it might be thought to be counterintuitive. If a trade mark is very well known, then it could be said that the public are more likely to notice another mark which differs in small ways from.” V. anche D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 255. 159V. Les editions Albert René v. OHIM, T- 311/01, 22 ottobre 2002, para. 61 “Un rischio di confusione presuppone un'identità o una somiglianza tra i segni nonché tra i prodotti o i servizi designati, e la notorietà di un marchio è un elemento che va preso in considerazione per valutare se la somiglianza tra i segni o tra i prodotti e servizi sia sufficiente per provocare un rischio di confusione (v., in questo senso, sentenza Canon, cit., punti 22 e 24). Orbene, dato che, nella fattispecie, i segni contrapposti non possono essere considerati in alcun modo né identici né simili, dal punto di vista visivo, auditivo e concettuale, il fatto che il marchio anteriore sia ampiamente noto ovvero che goda di notorietà nell'Unione europea non può incidere sulla valutazione globale del rischio di confusione.” V. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 255. 56 segni e prodotti, serve a stabilire la sussistenza del rischio di confusione. 1 6 0 Come meglio esamineremo nel corso del II e del III capitolo la tutela nei confronti di un rischio di confusione ha costituito l'unica arma nelle mani del trademark holder per difendersi da un uso non autorizzato del proprio marchio in chiave parodistica o critica, almeno fino all'emanazione della Direttiva 89/104, che introdurrà la categoria del marchio notorio fornendogli una speciale protezione. L'analisi della giurisprudenza delle corti europee, successiva all'emanazione di detta Direttiva, ci dimostrerà, però, nel corso del II e del III capitolo, che il criterio del rischio di confusione sarà comunque ampiamente utilizzato anche posteriormente al conferimento di una speciale tutela al marchio notorio. Negli Stati Uniti il requisito della c.d. likelihood of confusion viene trattato dalla sezione 32, art. 1114 del Lanham Act, che elenca anche le attività che possono determinarlo. 1 6 1 Per likelihood of confusion si intende la probabilità che il consumatore possa confondersi sull'origine dei prodotti, ossia che possa pensare che i prodotti provengano dalla stessa azienda o che tra le aziende sussista un collegamento economico. 1 6 2 Alla probabilità di confusione, nella legislazione statunitense, è associata anche la 160V. Canon Kubashiki Kaisha v. MGM, C- 39/97, 29 settembre 1998, para. 17. 161Art. 1114 Lanham Act “Any person who shall, without the consent of the registrant (a) use in commerce any reproduction, counterfeit, copy, or colorable imitation of a registered mark in connection with the sale, offering for sale, distribution, or advertising of any goods or services on or in connection with which such use is likely to cause confusion, or to cause mistake, or to deceive; or (b) reproduce, counterfeit, copy, or colorably imitate a registered mark and apply such reproduction, counterfeit, copy, or colorable imitation to labels, signs, prints, packages, wrappers, receptacles or advertisements intended to be used in commerce upon or in connection with the sale, offering for sale, distribution, or advertising of goods or services on or in connection with which such use is likely to cause confusion, or to cause mistake, or to deceive, shall be liable in a civil action by the registrant for the remedies hereinafter provided.” 162V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 637 ss.; v. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 390 ss. 57 probabilità di causare errore o inganno nel consumatore, sempre riguardo all'origine dei prodotti. Come d'altronde in ambito comunitario, non è poi richiesta, affinché vi sia contraffazione, la prova della confusione nella mente consumatori, ma viene ritenuta bastevole la sussistenza della probabilità che questa confusione possa ingenerarsi. 1 6 3 Per quanto riguarda i requisiti che devono sussistere affinché si possa parlare di likelihood of confusion questi variano, in parte, a seconda delle liste stilate da ciascuno degli undici circuiti federali; dal loro confronto è possibile però individuare linee guida comuni. 1 6 4 In primo luogo viene messo in luce il requisito della somiglianza dei marchi (al cui interno vi è naturalmente anche l'identità tra questi), 1 6 5 che deve esser esaminata in termini di somiglianza visiva, auditiva e di significato. 1 6 6 Un altro fattore che influenza la probabilità di confusione è poi la forza del marchio (mark strength ) che è assimilabile a quella che in ambito comunitario è definita distintività; quindi più il marchio anteriore è forte, ossia distintivo, più il rischio di confusione sarà alto. 1 6 7 Ciò 163V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 390: “The plaintiff must show that there is a likelihood that the consumer will confused, mislead or deceived regarding the source or origin of the goods or services. That is, the plaintiff must show only a likelihood of confusion and not need to establish actual confusion.” Comunque sia non basta che vi sia una mera possibilità di confusione; v. New York Stock Exchange, Inc. v. New York, New York Hotel LLC, U.S. Federal Court of Appeals, 2 nd Circuit, 1 aprile 2002 “To support a finding of infringement, a plaintiff must show a probability, not just a possibility, of confusion”. 164Per un'analisi delle liste compilate da ciascun circuito federale si rimanda a S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 391. 165Il caso di identità di beni e servizi non è espressamente previsto dalla normativa americana. Tuttavia nei casi di doppia identità la probabilità di confusione viene di certo ritenuta più alta ; v. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 627 “Confusion is most likely to result when an unauthorized party uses a mark identical to that the plaintiff on the exact same type of goods or services as are sold by the plaintiff and sells in the same geographic area.” 166V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 394; v. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 640. 167V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 644 “The stronger the mark, the more likely courts are to find a likelihood of confusion”; v. anche S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of 58 però, come visto anche in ambito comunitario, incontra delle eccezioni: un caso per noi molto interessante è quello che ha visto contrapposti il NYSE 1 6 8 (New York Stock Exchange ), in precedenza registrato come marchio incorporante la raffigurazione dell'edificio ove il NYSE ha sede, ed un casinò, sito lungo la Las Vegas Strip, che, oltre a chiamarsi New York New York, riproduceva l'immagine dell'edificio sede del NYSE all'interno dell'hotel ad esso collegato e promuoveva un club di gioco d'azzardo chiamato New York New York $lot Exchange. Il secondo circuito federale ha riscontrato però non sussistenti i requisiti per il determinarsi della likelihood of confusion : l'uso di un segno simile al marchio NYSE doveva infatti esser ritenuto come un utilizzo in chiave umoristica del marchio attraverso un palese gioco di parole; per questo motivo un giocatore d'azzardo (da considerarsi, in questo caso, come il pubblico di riferimento) non avrebbe potuto confondersi quanto all'origine del club, tanto da ritenere che questo costituisse una branca dell'attività del New York Stock Exchange . Anche in questo caso, dunque, l'ampia fama del marchio, invece che aumentare la probabilità di confusione, 1 6 9 l'ha diminuita, facendo venir quindi meno il requisito principale di questo tipo di contraffazione. Come nella normativa comunitaria anche in quella statunitense la somiglianza dei beni e United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 396. 168New York Stock Exchange, Inc. v. New York, New York Hotel LLC, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 1 aprile 2002. 169New York Stock Exchange, Inc. v. New York, New York Hotel LLC, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 293 F.3d 550, 1 aprile 2002 “NYSE contends that the district court did not give due weight to the strength of its marks. However, the strength of NYSE's marks does not necessarily increase the likelihood of confusion under these circumstances [...] Indeed, viewed within the context of the Casino's theme, it is highly unlikely that anyone would misunderstand the Casino's attempt at a humorous theme because it actually "depends on a lack of confusion to make its point”; v. anche in riferimento alla normativa transazionale: L.P. RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, The Yale Journal of International Law, 2010, pag. 429 "For example, a national court may hold that a particular use of another's trademark is not likely to be confusing under trademark infringement law because it communicates ideas, or a humorous joke or pun, rather than information about the source of the goods or services. Such a case-by-case interpretation of national infringement law clearly complies with Article 16(1) [TRIPs n.d.r.] because members are only required to prevent a likelihood of confusion". 59 dei servizi è un altro importante parametro in base al quale viene determinata la probabilità di confusione. Nell'esperienza nordamericana questo requisito viene ritenuto in un rapporto di proporzionalità diretta con la concorrenzialità tra i prodotti e i servizi: più questi sono in diretta concorrenza e meno sarà necessario un alto grado di somiglianza per far si che sia determinata la probabilità di confusione e viceversa. Un altro parametro in qualche modo simile a quest'ultimo è poi la prossimità dei canali di commercio e pubblicitari: qualora i prodotti presi in esame siano appetiti dalla stessa tipologia di consumatore e siano in vendita negli stessi luoghi e con le medesime modalità la probabilità di confusione sarà quindi maggiore. Anche negli Stati Uniti viene determinato quale sia il soggetto nella mente del quale dovrebbe prodursi confusione in merito all'origine dei prodotti: se, come abbiamo visto, dottrina e giurisprudenza comunitaria fanno unanimemente riferimento al parametro del consumatore ragionevolmente informato e avveduto, dall'altra parte dell'oceano il medesimo parametro non si è affermato in maniera tanto univoca. Se alcune corti prendono infatti come riferimento il “reasonably prudent consumer ” altre, invece, preferiscono far riferimento alla percentuale di consumatori che rischiano di confondersi; se quest'ultima supera una certa soglia (di però difficile determinazione) allora si darà per accertatala probabilità di confusione. 1 7 0 Così come accade in area comunitaria 1 7 1 anche negli Stati Uniti, poi, 170V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 639 “[...] Courts require the plaintiff to show that an appreciable or substantial number of consumers are likely to be confused. […] Unfortunately there is no bright line test as to what constitutes the required 'substantial number of consumers'. Some courts have focused on the percentage of applicable consumers confused, and others have emphasized the absolute numbers. […] Other courts frame the requirement in terms of the confusion of a 'reasonably prudent consumer'. This amounts to the same thing because it disregards conduct that will only confuse the (hopefully small number of) inattentive or foolish consumers.” 171V. Alcon Inc. v. OHIM, C- 412/05, 26 aprile 2007, para. 61; v. Picasso v. OHIM, C- 361/04, 12 gennaio 2006, para. 23; v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 60 si considera l'attenzione prestata dai consumatori come calibrata a seconda del prodotto che questi si apprestano ad acquistare: se difatti l'acquisto riguarda beni di consumo quotidiano l'attenzione posta sarà minore e quindi sarà più facile che si concretizzi un rischio di confusione; se, al contrario, si acquista un bene di un certo valore, il consumatore porrà un'attenzione maggiore e ciò comporterà una minor probabilità di confusione. Per questo motivo il rischio di confusione viene considerato inversamente proporzionale al costo del prodotto. 1 7 2 Un altro fattore che viene preso in considerazione dalla giurisprudenza americana è poi l'intenzione del soggetto accusato di contraffazione ai danni del titolare del marchio. Se infatti la buona fede del convenuto non può esser usata come difesa in un giudizio di contraffazione, al contrario, la provata intenzionalità nel creare una probabilità di confusione nel pubblico di riferimento, viene considerata una prova di colpevolezza. 1 7 3 E' poi da evidenziare come il criterio del rischio di confusione sia stato ampiamente utilizzato dalle Corti americane nei casi di utilizzo parodistico o critico del marchio, prima dell'emanazione del Federal Trademark Antidilution Act (FTDA) nel 1995 in quanto rappresentava l'unico strumento a difesa dei diritti del titolare del marchio. Prima che venisse data protezione federale al marchio 871 “The tribunals accept that the characteristics of the average consumers of the goods may vary with the sector concerned. For example, consumers purchasing cars take more attention than those buying sweets. In some circumstances, where consumers are advised (e.g. by medical professionals), they may be particularly attentive and thus unlikely to confuse superficially similar marks.” 172V. ibid., pag. 643 “A second inter-connected group of factors courts often consider in assessing likelihood of confusion are the cost of the goods or services in question, the degree of care purchasers of these goods usually exercise and the level of sophistication of the consumers who buy those goods. The theory here is that consumers pay more attention when buying expensive items, so that more similarity in the marks can be tolerated without engendering any serious risk of confusion. Conversely when the items are cheap and purchased on the spur of the moment, consumers might be inattentive and even minimal similarity in the marks might lead to significant confusion.” 173V. ibid. pag. 646 “While a plaintiff thus need not prove bad intent on the part of the defendant, evidence of bad intent is universally considered probative of likelihood of confusion”. 61 famoso, molte cause riguardanti la parodia o la critica del marchio venivano risolte cercando di stabilire se questo uso potesse o meno creare confusione nei consumatori. 1 7 4 Questa è la linea adottata dalla giurisprudenza americana in diverse sentenze a partire dalla fine degli anni '70. Possiamo citare, ad esempio, il caso STOP THE OLYMPIC PRISON, nel quale un gruppo di attivisti si oppose alla conversione del Lake Placid Olympic Village in una prigione e utilizzò il logo olimpico in svariati posters al fine di promuovere la mobilitazione. 1 7 5 Alle rimostranze del titolare del logo olimpico la Corte distrettuale di New York rispose affermando che l'utilizzo compiuto dal movimento STOP THE OLYMPIC PRISON non era di per sé confusorio, in quanto, pur usando i cinque cerchi olimpici, era ben chiaro l'intento di protesta insito nei posters, tanto che nessuno avrebbe potuto credere nell'esistenza di una qualsiasi connessione con il Comitato Olimpico. 1 7 6 In altri casi le Corti americane si sono invece dimostrate propense a distorcere la loro analisi sulla sussistenza del rischio di confusione, in base a considerazioni di tipo prettamente moralistico. 1 7 7 174V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution, and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate, an Update, TMR 2004, pag. 549 “The requirement in trademark infringement actions that the plaintiff prove a likelihood of confusion generally offers breathing space for free speech interests.” 175http://www.docspopuli.org/articles/STOP/STOP.html 176V. Stop the Olympic Prison v. United States Olympic Committee, U.S. District Court, New York, 489 F. Supp. 1112, 25 febbraio 1980 “On the basis of its own examination of the poster, the Court finds it extremely unlikely that anyone would presume it to have been produced, sponsored or in any way authorized by the U.S.O.C. While at a fleeting glance, someone might conceivably mistake it for a poster advertising the Olympics, nobody could conceivably retain such a misconception long enough to do any harm: for example, there is no danger that anyone would purchase or display it as such. Under the circumstances, therefore, the Court concludes that the defendant has failed to meet its burden of proving trademark infringement.” V. anche M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate, TMR 1997, pag. 57 “Finding no intent on the part of the defendant to palm off its poster, and no evidence of actual confusion among the public, the court concluded that no one would be likely to believe that the United States Olympic Committee was in any way connected with the poster.” Di segno opposto invece è la decisione di pochi anni successiva nel caso Planned Parenthood Federation of America v. Problem of pregnancy of Worcester Inc., U.S. District Court, Middlesex County, 16 ottobre 1986. 177V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate, supra nota 176, pag. 58 “Too often, however, courts have allowed extraneous considerations such as distaste with the defendant's message or concern about its 62 E' il caso, ad esempio, di “ Enjoy Cocaine” 1 7 8 e di “Dallas Cowboys”. 1 7 9 In entrambi i casi le Corti, chiamate a decidere sulla violazione delle prerogative del titolare del marchio, ritennero disgustoso e offensivo l'utilizzo compiutone da terzi. Per questo forzarono i criteri di analisi del rischio di confusione: 1 8 0 affermarono, dunque, che i consumatori avrebbero potuto ritenere esistente un collegamento tra l'azienda produttrice della bevanda più famosa al mondo e quella produttrice di posters con la dicitura Enjoy Cocaine, 1 8 1 così come tra la squadra di footbal dei Dallas Cowboys e un film pornografico in cui delle false cheerleaders indossavano le divise sociali. 1 8 2 Su questi due casi e su altri decisi prima dell'emanazione del FTDA torneremo nella seconda parte della nostra trattazione, quando ci effect on the plaintiff's trademark to distort their analysis of the likelihood of confusion”. 178Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972. 179Dallas Cowboys Cheerleaders, Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 604 F. 2d 200, 14 agosto 1979. 180V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate, an Update, supra nota 174, pag. 550 “It is easy to understand how courts might have been offended by these 'parodies', but it is difficult to conceive that any rational being would believe the owners of such valuable marks would have used them, or allowed them to be used, in such a damaging fashion.” 181V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate, supra nota 176, pag. 58 “The Court rejected the defendant's argument that no one 'of average intelligence or even below average intelligence' would believe that its poster […] had been produced or sponsored by Coca-Cola Company […] Indeed, none of the evidence marshaled by the plaintiff or credited by the court could overcome the simple fact that, in order to be confused, consumers would need to believe that one of the most successful companies in America had so completely misread the public mood as to make light of drug use at a time when drug abuse was clearly a topic of national concern.” V Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972 ”Not only does visual comparison of defendant's poster with specimen advertising of plaintiff indicate the likelihood of such a mistaken attribution but recent so-called 'pop art' novelty advertising utilized by plaintiff may have served to further the impression that defendant's poster was just another effort of that kind by plaintiff to publicize its product. At all events, in assessing the probability of confusion '[t]he standard to be employed is the ordinary purchaser, not the expert.' Omega, supra, 451 F.2d at 1195. And the ordinary purchaser consists of a 'vast multitude which includes the ignorant, the unthinking and the credulous, who, in making purchases, do not stop to analyse, but are governed by appearances and general impressions.' Florence Mfg. Co. v. J. C. Dowd & Co., 178 F. 73, 75 (2 Cir. 1910). Judged by that standard, plaintiff has made a sufficiently clear showing of a high probability of confusion resulting from defendant's use of the "Coca-Cola" trademark format in an advertising context.” 182V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate, supra nota 176, pag. 60. 63 focalizzeremo sugli effetti della satira, della parodia e della critica sul marchio, nonché sui diritti del suo titolare, e sulla risposta data dalla giurisprudenza nei vari sistemi oggetto del nostro esame. Si può però constatare come, in entrambe le sopracitate cause, nonostante l'impegno profuso dalla Corte nel dimostrare la likelihood of confusion , in realtà questo requisito non fosse di per sé necessario, in quanto secondo la legge anti-diluizione dello stato di New York, per il concretarsi della fattispecie di tarnishment, sarebbe bastato provare il carattere distintivo del marchio. 1 8 3 Se, come abbiamo visto, il rischio di confusione rappresentava, prima dell'emanazione del FTDA, l'unica protezione di tipo federale dei diritti del trademark holder nei confronti di un uso parodistico o critico del marchio, è però da sottolineare come questa difesa sia stata oggetto di ampio utilizzo, per quanto concerne altresì la tutela del marchio famoso, anche posteriormente alla promulgazione del FTDA, come analizzeremo nel corso del II e del III capitolo. 1.2.3.3. Il marchio notorio Il terzo tipo di conflitto riguarda i marchi c.d. notori o che godono di fama e, come avremo modo di osservare, è quello che più da vicino interessa l'argomento della nostra trattazione. La maggior parte dei problemi riguardanti lo scontro tra la tutela del marchio e la libertà d'espressione concernono, difatti, l'utilizzo, da parte di terzi non autorizzati, di quei marchi dotati di una certa fama o notorietà. Nel perseguimento di fini parodistici, satirici o di critica sociale, come vedremo, un marchio dotato delle suddette caratteristiche risulta infatti esser uno strumento più idoneo. Come abbiamo analizzato in precedenza, i titolari dei c.d. well known 183V. ibid., pag. 60. 64 trade marks o di quei marchi dotati di una certa reputazione sono quindi stati artefici, nel corso degli ultimi decenni, di forti pressioni a livello internazionale per far in modo che venisse attribuita una protezione, non solo alla funzione d'identità d'origine del marchio, 1 8 4 ma anche alla sua funzione pubblicitaria, 1 8 5 in modo da tutelare quegli investimenti compiuti per dotare il marchio di una certa reputazione e rinomanza. Prima di analizzare la tutela che ad essa viene conferita, è bene dare una definizione di marchio notorio o famoso così come indicato da parte della normativa transazionale, comunitaria e statunitense. Da un punto di vista transnazionale una tutela viene conferita a quei marchi c.d. well known. Il significato di well known trade mark viene indicato dall'art. 16(2) TRIPs il quale afferma che, nel determinare se un marchio possa esser definito notorio, gli Stati membri debbano valutare la “knowledge of the trademark in the relevant sector of the public, 1 8 6 including knowledge in the Member 184Protezione che è prevista dai due tipi di conflitti presi in considerazione nei due paragrafi precedenti. 185V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 876 “The section recognizes [Art. 4.4. Direttiva 2008/95/CEE, n.d.r.] that the value of a trade mark may lie not simply in its ability to indicate source, but also in the image conveyed by the trademark, its so called 'advertising function.'” V. anche quanto detto in 1.2.1. 186V. L.P. RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, supra nota 169, pag. 430 “The 'relevant sector of public' could include both the plaintiff's and the defendant's customers and potential customers.” Il pubblico che deve esser preso in considerazione è dunque quello di riferimento dei prodotti o dei servizi contrassegnati sia dal marchio anteriore che posteriore; a proposito v. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 239 “This means that a mark need not to be known to the public at large but merely those who purchase relevant goods or services.” Ciò fa si che debbano esser oggetto di protezione, secondo la normativa transnazionale, anche quei marchi che sono famosi solo presso un determinato segmento di pubblico; v. ibid., pag. 239: “There may be marks which are very well known but only in a technical sector.” Un altro fattore da tenere in considerazione è poi il “dove” debba avvenire l'uso del marchio notorio; non è infatti necessario che il marchio sia usato nel paese dove la protezione viene richiesta; v. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 239 “There is a general consensus of opinion that is not a requirement of art. 6bis that a mark must be used in the country where the protection is sought.” V. per un esempio pratico L.P. RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, supra nota 169, pag. 430-431 “Thus, even if McDonald's has not yet registered its mark or expanded its hamburger franchise into South Africa, advertising or other promotion of the marks in that state may make it more likely the McDonald's marks will be deemed well known to the relevant public and enable McDonald's to prevent third parties to registering or using its marks in that state.” 65 concerned which has been obtained as a result of the promotion of the trade mark ”. 1 8 7 Un'ulteriore specificazione di cosa si intenda per notorietà del marchio è contenuta poi nelle c.d. Joint Recommendation Provisions on the Protection of Well-Known Marks , un documento di soft law (quindi non vincolante per gli stati firmatari dei TRIPs), 1 8 8 emanato nel 1999 in sede WIPO, su iniziativa degli Stati Uniti e di quegli altri Stati membri del WTO desiderosi di una maggior tutela del marchio c.d. well known. 1 8 9 In questo documento, all'art. 2(1)(b), vengono indicati i fattori di cui le competenti autorità nazionali devono tener conto nel determinare quando un marchio possa esser considerato well known: “1. the degree of knowledge or recognition of the mark in the relevant sector of the public; 2. the duration, extent and geographical area of any use of the mark; 187Art. 16(2) TRIPs. L'art. 16 TRIPs a sua volta richiama l'art. 6 bis della Convenzione di Parigi il quale, a proposito della notorietà del marchio, afferma che questa debba esser apprezzata dalle competenti autorità nazionali (“[...] of a mark considered by the competent authority of the country of registration or use to be well known in that country as being already the mark of a person entitled to the benefits of this Convention and used for identical or similar goods”). L'art. 16(2) indica quindi i criteri affinché un marchio possa esser ritenuto notorio: v. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 239 “Article 16(2) sets out certain criteria for determining whether a mark is well known or not within the meaning of art. 6 bis. ” Da considerare poi come la locuzione “well known” non abbia niente a che fare con un concetto di buona reputazione; v. N. PIRES DE CARVALHO, The TRIPs Regime of Trademarks and Designs, supra nota 59, pag. 364 “A second implicit element of the definition is that, if knowledge may derive from promotion and not necessarily from actual experiences by consumers, it follows that there is no need for the mark to have acquired good (or bad) reputation of any kind: unqualified knowledge is enough.” 188V. L.P. RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, supra nota 169, pag. 433 “This interpretation of TRIPs Article 16(3) in the Joint Recommendation of Well Known Marks does not by itself bind the WTO members. Some commentators refers to this non binding resolution as 'soft law', although it is not really 'law' in any traditional sense because it does not create any binding legal obligation. Representatives of the WIPO say that states are under a moral obligation to comply with the Joint Recommendation, but, unlike in the WTO, the WIPO has not dispute settlement mechanism to encourage compliance.” 189V. ibid., pag. 432 “A few years after TRIPs became effective, representatives of the United States and other WTO members who wanted stronger anti-dilution protection for well known marks sought to clarify the meaning of TRIPs Article 16(3) in another forum: the World Intellectual Property Organization.” 66 3. the duration, extent and geographical area of any promotion of the mark, including advertising or publicity and the presentation, at fairs or exhibitions, of the goods and/or services to which the mark applies; 4. the duration and geographical area of any registrations, and/or any applications for registration, of the mark, to the extent that they reflect use or recognition of the mark; 5. the record of successful enforcement of rights in the mark, in particular, the extent to which the mark was recognized as well known by competent authorities; 6. the value associated with the mark.” I parametri, non vincolanti, indicati dalla Joint Recommendation Provisions devono esser considerati come principi guida dalle autorità nazionali e la loro rilevanza può variare a seconda delle circostanze. 1 9 0 In ambito comunitario, invece, una tutela viene conferita non solo a quei marchi c.d. well known, ma viene estesa anche a quei marchi c.d. notori, reputazione. 1 9 1 che I si considerano requisiti affinché dotati un di una marchio determinata possa esser 190Art. 2(1)(c) Joint Recommendation Provisions on the Protection of Well-Known Marks “The above factors, which are guidelines to assist the competent authority to determine whether the mark is a well-known mark, are not pre-conditions for reaching that determination. Rather, the determination in each case will depend upon the particular circumstances of that case. In some cases all of the factors may be relevant. In other cases some of the factors may be relevant. In still other cases none of the factors may be relevant, and the decision may be based on additional factors that are not listed in subparagraph (b), above. Such additional factors may be relevant, alone, or in combination with one or more of the factors listed in subparagraph (b), above.” 191V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 331 “It will be noted that the above provisions [art. 5(2) Direttiva 2008/95/CEE e art. 9(1)(c) Regolamento 207/2009 n.d.r.] go further than art.16(3) of TRIPs which only applies to well-known marks within the meaning of art.6bis. it extends such protection to marks which have a reputation.” L'espressione “gode di notorietà” utilizzata in ambito italiano in inglese viene espressa con la locuzione “has a reputation”, in francese con “jouit d'une renommèe”, in tedesco con “bekend”, in spagnolo con “goce de renombre”; tuttavia, come fa notare V. Barresi in B. BEEBE, K.A. PLEVAN, D. LLEWELYN, I. SIMON, V. BARRESI, A. BRIDGES, S. PROGROFF, Dilution: a Review of Recent Developments, in H.C. HANSEN, Intellectual Property Law and Policy, vol.10, Hart 67 considerato tale sono indicati dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza General Motors Corp. v. Yplon SA; 1 9 2 in questa causa la celebre casa automobilistica contestava l'uso, da parte della Yplon, del marchio Chevy, registrato dalla GM per autoveicoli ed in seguito utilizzato in Europa dalla Yplon per detergenti. La Corte, chiamata a stabilire quella soglia di reputazione oltre la quale un marchio debba esser considerato notorio, affermò che questo debba esser ritenuto tale quando “it was known by a significant part of the public concerned by the products or services covered by the mark” ; 1 9 3 infatti, prosegue la Corte, il marchio anteriore può esser considerato notorio solo quando “there is a sufficient degree of knowledge of that mark that the public, when confronted with the earlier trade mark may possibly make an association between the two marks, even when used for non-similar products or services, and that the trade mark may consequently be Publishing, 2008, pag. 571 “The ECJ has reassured us that, despite linguistic differences, a knowledge threshold requirement needs to be satisfied.” 192General Motors Corp. v. Yplon SA, C- 375/97, 14 settembre 1999. 193Ibid. para. 22. Il requisito richiesto dalla Corte è quindi di tipo quantitativo come fa notare L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 879 “It appears from the judgment that the test is primarily quantitative in the sense of the mark must be known , i.e. that a significant number of the consumers must be familiar with the mark.” Phillips pone l'accento poi sulla differenza tra marchio dotato di fama e marchio dotato di reputazione: mentre il primo deve esser conosciuto da una larga parte dei consumatori, al di là del proprio pubblico di riferimento, il secondo può, per esser considerato come dotato di reputazione, può esser conosciuto anche solamente dal suo pubblico di riferimento; v. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 371 “Coca Cola has a reputation because it is famous, but many trade marks enjoy a very substantial reputation despite their manifest lack of fame. Trade marks such VANDOREN (clarinet reeds), KNOCKANDO (malt whiskey), EUTHYMOL (dentifrices) are not famous in the 'Coca Cola' sense but, in the markets in which they are used, they are both known and well respected by the ECJ calls 'public concerned”; v. anche D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING , Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 261; v. anche PAGO International GmbH v. Tirolmilch registrierte Genossenschaft mb9 H, C-301/07, 6 ottobre 2009, para. 27 “A livello territoriale, il requisito relativo alla notorietà deve considerarsi soddisfatto qualora il marchio comunitario goda di notorietà in una parte sostanziale del territorio della Comunità.” Per quel che riguarda il pubblico che deve esser preso in considerazione questo deve essere quello di riferimento del marchio anteriore, come recita la Corte nella medesima sentenza al paragrafo 24 “The public amongst which the earlier trade mark must have acquired a reputation is that concerned by that trade mark, that is to say, depending on the product or service marketed, either the public at large or a more specialised public, for example traders in a specific sector.” V. anche PAGO International GmbH v. Tirolmilch registrierte Genossenschaft mb9 H, C301/07, 6 ottobre 2009, para. 21-24. 68 damaged”. 1 9 4 La valutazione del grado di reputazione necessaria affinché il marchio possa esser definito notorio deve esser compiuta da parte delle corti nazionali per mezzo di criteri indicati dalla Corte di Giustizia nella medesima sentenza; questi criteri sono: “ the market share held by the trade mark, the intensity, geographical extent and duration of its use and the size of the investment made by the undertaking in promoting it ”. 1 9 5 Negli Stati Uniti, invece, una tutela anti-diluitiva viene conferita a quei marchi dotati di fama e distintività. Sono queste le condizioni richieste dalla sezione 43(c) del Lanham Act. 1 9 6 Questi due requisiti sono stati oggetto di ampio dibattito all'interno della dottrina e della giurisprudenza statunitense e hanno costituito uno dei punti focali della riforma del Federal Anti-Dilution Trademark A ct (FTDA). 1 9 7 Il Trademark Anti-Dilution Revision A ct (TDRA) del 2006, oltre a modificare il concetto di “ fame”, ha aggiunto anche la distintività del marchio anteriore ai requisiti che questo deve avere per godere della tutela anti-diluitiva. 1 9 8 194Ibid. para. 23. 195Ibid. para. 27; Phillips fa notare come la Corte di Giustizia non ponga una soglia oltrepassata la quale il marchio si possa definire notorio, ma lascia alle corti nazionali questo compito, indicando ad esse i parametri su cui basarsi. V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 372 “The world reputation [...] suggests only that there is a 'knowledge threshold requirement' which a trade mark must meet before it is entitled to protection. The ECJ has wisely declined to fix that threshold, this being a job which falls within the province of national courts.” V. anche PAGO International GmbH v. Tirolmilch registrierte Genossenschaft mb9 H, C-301/07, 6 ottobre 2009, para. 25 “Nell’esaminare tale condizione, il giudice nazionale deve prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti della causa, cioè, in particolare, la quota di mercato coperta dal marchio, l’intensità, l’ambito geografico e la durata del suo uso, nonché l’entità degli investimenti realizzati dall’impresa per promuoverlo.” Riallacciandoci inoltre al discorso compiuto precedentemente sulle funzioni del marchio che vengono tutelate, appare evidente, dall'analisi compiuta in questo paragrafo, come la funzione tutelata dal terzo tipo di conflitto sia quella pubblicitaria. 196V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 362 “The most important fact requirement is that only famous marks can take advantage of Section 43(c).” 197V. 3.5.1. 198Art. 1125(c)(1) Lanham Act “the owner of a famous mark that is distinctive, inherently or through acquired distinctiveness, shall be entitled to an injunction against another person who[...]”. 69 Un marchio è considerato sufficientemente famoso per accedere alla suddetta protezione quando è “widely recognized by the general consuming public of the United States ”. 1 9 9 Il TDRA ha alzato l'asticella del grado di notorietà necessaria affinché un marchio possa esser considerato famoso, facendo sì che non possano godere di protezione anti-diluitiva quei marchi che siano noti solamente in una determinata area geografica degli Stati Uniti o presso un segmento specializzato di consumatori (c.d “ niche market”). 2 0 0 Sono inoltre esclusi da questo tipo di protezione quei marchi che siano sì famosi, ma al di fuori dei confini statunitensi. 2 0 1 Il TDRA indica poi 199Art. 1125(c)(2)(A) Lanham Act. 200L'eliminazione della protezione contro la diluizione per i marchi c.d. di nicchia è una delle novità apportate dal TDRA, come fa notare Hofrichter in J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48, pag. 1939 “The TDRA also redefines a 'famous' mark as one that is 'widely recognized by the general consuming public of the United States' thereby eliminating dilution protection for marks that are only well-known in 'niche markets'.” V. anche X.T. NGUYEN, Fame Law: Requiring Proof of National Fame in Trademark Law, Cardozo Law Review 2011, pag. 98 ss. “The TDRA eliminated niche fame and imposed a substantially higher degree of fame that a trademark must possess for the purpose of dilution law. [...] Trademarks with a level of fame recognized by the public only in a specialized segment or geographic place or region in the United States are not protected.” V. anche B. BEEBE, A Defense of the New Federal Anti-dilution Trade Mark Law, Fordham Intell. Prop. Media & Et. L. J. 2006, pag. 1156; v. anche S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 362; v. A. J. ROBERTS, New-school trademark dilution: famous among the juvenile consuming public, The Intellectual Property Law Review, 2009, pag. 589 ss.; v. Roederer v. J. Garcia Carrión S.A., U.S. District Court, Minnesota, 732 F. Supp. 2d 836, 2010 “A mark that is famous only within a niche market does not qualify as famous‘ within the meaning of [the TDRA‘s] § 1125(c).” Per quanto riguarda le controverse posizioni giurisprudenziali in merito alla protezione dei c.d. marchi di nicchia, prima che la riforma, apportata dal TDRA, sgombrasse il campo dai dubbi, si rimanda a R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag.704 ss. “The court have struggled with whether niche fame is sufficient to allow a plaintiff to pursue a claim of trademark dilution. The emerging judicial consensus is that marks famous only in a specialized market, rather than well known to the general public, should not be considered 'famous' under the federal dilution statute. […] There is however, a line of cases, holding that a mark with only limited or niche fame is entitled to protection against dilution where the defendant is using the mark in sales to the same narrow market segment.” 201V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 362 “The requirement that the consuming public must be in the United States means that marks famous outside of the U.S. will not be eligible for dilution protection.” V. X.T. NGUYEN, Fame Law: Requiring Proof of National Fame in Trademark Law, supra nota 200, pag. 100 “The fame of a trademark is confined within its national territory. That means evidence demonstrating that a particular mark is widely recognized by the general consuming public in other countries is not considered part of or a substitution for fame recognition by the U.S. general consuming public.” 70 quali siano i fattori che devono esser presi in considerazione dalle corti federali nella valutazione del grado di fama; questi fattori, non esclusivi, 2 0 2 sono: “(i) The duration, extent, and geographic reach of advertising and publicity of the mark, whether advertised or publicized by the owner or third parties. (ii) The amount, volume, and geographic extent of sales of goods or services offered under the mark. (iii) The extent of actual recognition of the mark. (iv) Whether the mark was registered under the Act of March 3, 1881, or the Act of February 20, 1905, or on the principal register.” L'altro requisito richiesto dal TDRA è poi la distintività del marchio. Questa costituiva uno dei parametri che le corti dovevano tenere in considerazione nel valutare la fama del marchio, secondo quanto previsto dal FTDA. 2 0 3 Il TDRA, invece, pone il requisito della distintività a fianco di quello della fama. Al tempo stesso il TDRA ritiene dotati di carattere distintivo anche quei marchi che 202V. art. 1125(c)(2)(A) Lanham Act “In determining whether a mark possesses the requisite degree of recognition, the court may consider all relevant factors, including the following”; v. anche S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 363 “The TDRA lays out four nonexclusive factors for courts to consider when determining whether a mark has the requisite degree of distinctiveness.” V. anche X.T. NGUYEN, Fame Law: Requiring Proof of National Fame in Trademark Law, supra nota 200, pag. 101. 203I parametri fissati dal precedente FTDA erano invece: “(A) the degree of inherent or acquired distinctiveness of the mark; (B) the duration and extent of use of the mark in connection with the goods or services with which the mark is used; (C) the duration and extent of advertising and publicity of the mark; (D) the geographical extent of the trading area in which the mark is used; (E) the channels of trade for the goods or services with which the mark is used; (F) the degree of recognition of the mark in [the] trading areas and channels of trade used by the mark‘s owner and the person against whom the injunction is sought; (G) the nature and extent of use of the same or similar marks by third parties; and (H) whether the mark was registered under the Act of March 3, 1881, or the Act of February 20, 1905, or on the principal register.” Un confronto con quelli previsti dal TDRA viene fatta da Nguyen in X.T. NGUYEN, Fame Law: Requiring Proof of National Fame in Trademark Law, supra nota 200, pag. 103 “Comparing the above factors of the old statute to the factors for determining fame under the TDRA, there is a noticeable difference. The old fame factors have been simplified and combined into the new factors. A careful examination, however, reveals that in reality there is not much difference, as many of the factors in the old statute are similar to those of the new statute.” 71 abbiano acquisito questo carattere attraverso l'uso e non solo quelli c.d. “inherently distinctive ”, sgombrando così il campo dall'interpretazione di alcune corti che ritenevano dotati di fama solamente i secondi. 2 0 4 Da un punto di vista della normativa transazionale, la protezione del marchio notorio viene affidata all'art. 16 TRIPs, che a sua volta richiama l'art. 6 bis della Convenzione di Parigi . Quest'ultimo afferma che: “The countries of the Union undertake, ex officio if their legislation so permits, or at the request of an interested party, to refuse or to cancel the registration, and to prohibit the use, of a trademark which constitutes a reproduction, an imitation, or a translation, liable to create confusion, of a mark considered by the competent authority of the country of registration or use to be well known in that country as being already the mark of a person entitled to the benefits of this Convention and used for identical or similar goods. These provisions shall also apply when the essential part of the 204L'art 1125(c)(1) Lanham Act parla esplicitamente di “mark that is distinctive, inherently or through acquired distinctiveness” Nel prosieguo della sua comparazione tra i parametri posti dal FTDA e quelli richiesti invece dal TDRA Nguyen in X.T. NGUYEN, Fame Law: Requiring Proof of National Fame in Trademark Law, supra nota 200, pag. 103 afferma che “The only factor in the old statute absent in the new one is factor (A), inherent or acquired distinctiveness of the mark. This factor was excluded in response to the conflict among the federal appellate circuits as some required famous marks to possess ―inherent distinctiveness while others declined to impose such a requirement. Excluding the distinctiveness factor, the new statute extends anti-dilution protection to trademarks qualified as famous, regardless of if they are inherently distinctive or have acquired a secondary meaning.” A proposito di quanto affermato dal 2nd Circuit riguardo al carattere distintivo del marchio v. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48, pag. 1940 “The TDRA also rejects a Second Circuit rule only allowing dilution protection for 'inherently distinctive' marks by adding that protection is available to marks that are distinctive, 'inherently or through acquired distinctiveness.' This change provides anti-dilution claims for marks that were not granted protection under the Second Circuit’s interpretation, increasing the number of plaintiffs eligible for anti-dilution protection.” V. anche V. Barresi in B. BEEBE, K.A. PLEVAN, D. LLEWELYN, I. SIMON, V. BARRESI, A. BRIDGES, S. PROGROFF, Dilution: a Review of Recent Developments, in H.C. HANSEN, Intellectual Property Law and Policy, supra nota 191, pag. 560 “First, the TDRA quite clearly establishes that non inherently distinctive marks may qualify for antidilution protection, which overrides a line of cases out of the Second Circuit Court of Appeals in New York and other states, most often associated with Judge Leval.” 72 mark constitutes a reproduction of any such well–known mark or an imitation liable to create confusion therewith. ” L'art. 16 TRIPs amplia poi la portata del succitato art. 6 bis CUP, prevedendo una egual tutela anche per i servizi, non menzionati dalla CUP, e per quei beni (o servizi) dissimili rispetto a quelli per cui il marchio anteriore è stato registrato. 2 0 5 Quest'ultima estensione sussiste solamente, però, se l'uso che viene fatto del marchio posteriore è in grado di danneggiare gli interessi del titolare del marchio well known. 2 0 6 Le condizioni affinché venga assicurata tutela al marchio well known, vengono poi meglio specificate dalle già citate Recommendation Provisions on the Protection of Joint Well-Known Marks. In questo documento si afferma che un marchio, c.d . well known, debba godere di protezione, a prescindere dalla somiglianza dei beni o dei prodotti, se almeno una di queste condizioni è rispettata: “(i) the use of that mark would indicate a connection between the goods and/or services for which the mark is used, is the subject of an application for registration, or is registered, and the owner of the well-known mark, and would be likely to damage his interests; (ii) the use of that mark is likely to impair or dilute in an unfair 205Art. 16(3) TRIPs : “Article 6bis of the Paris Convention (1967) shall apply, mutatis mutandis, to goods or services which are not similar to those in respect of which a trademark is registered, provided that use of that trademark in relation to those goods or services would indicate a connection between those goods or services and the owner of the registered trademark and provided that the interests of the owner of the registered trademark are likely to be damaged by such use.” V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 239 “The article [16(2) and (3) TRIPs n.d.r.] extent protection in two ways. First, the protection which is to provided under Art.6bis of the Paris Convention to well-known trade marks is also given to service marks. Secondly, in relation to well known marks which are registered, protection for well known marks is extended to dissimilar goods and services.” V. anche G.E. EVANS, TRIPs and Trade Mark Use, in J. PHILLIPS, I. SIMON, Trade Mark Use, Oxford University Press, 2005, pag. 304. 206V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 240. 73 manner the distinctive character of the well-known mark; (iii) the use of that mark would take unfair advantage of the distinctive character of the well-known mark.” Come traspare dall'art 1, l'intento perseguito dalla normativa TRIPs è quello di statuire un livello minimo di protezione comune a tutti i paesi firmatari, lasciando dunque questi ultimi liberi di conferire una tutela più ampia ai diritti del titolare del marchio. 2 0 7 Il suddetto livello minimo di protezione viene riconosciuto, ed in parte ampliato, dalla normativa comunitaria. 2 0 8 Questa è basata su quanto viene statuito in proposito dalla Direttiva 2008/95/CEE, 2 0 9 la quale, all'articolo 5(2), afferma che: “Ciascuno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi. ” 210 207V. Art.1 TRIPs “Members shall be free to determine the appropriate method of implementing the provisions of this Agreement within their own legal system and practice.”; v. anche L.P. RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, supra nota 169, pag. 432. “TRIPs Article 16 only sets forth minimum standards of protection, so member states may elect to offer greater protection for well-known marks regardless of whether the mark is registered or use of the mark causes confusion, indicates a connection between the third party and markholder, or is likely to cause damage to the markholder.” V. G. MANDRINO, E. GRANZIERA, Gli Accordi Commerciali Multilaterali e Settoriali, in A. COMBA Neoliberismo Internazionale e Global Economic Governance, supra nota 65, pag. 141 “L'accordo TRIPs stabilisce standards minimi di tutela applicabili a livello internazionale alla salvaguardia dei diritti di proprietà intellettuale. Resta salva, comunque, la facoltà dei membri di garantire una protezione più ampia e intensa rispetto a quanto previsto dall'Accordo, purché ciò avvenga in conformità alle previsioni dello stesso.” V. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 240. 208V. supra per quanto concerne l'estensione della protezione conferita a livello transazionale al marchio well known da parte della normativa comunitaria ai marchi dotati di reputazione. 209Come anche dall'art. 9(1) del Regolamento 207/2009 che lo ricalca. 210La lettera della Direttiva viene trasposta all'interno delle legislazioni dei paesi comunitari, 74 I requisiti che devono dunque sussistere affinché un marchio notorio possa ricevere tutela sono quindi: – un utilizzo nel commercio, non autorizzato dal titolare del marchio, per prodotti dissimili a quelli per cui il marchio è stato registrato; 2 11 – l'identità o la somiglianza del segno rispetto al marchio d'impresa anteriore; 2 1 2 come testimoniano ad esempio: art. 10(3) TMA “A person infringes a registered trade mark if he uses in the course of trade a sign which (a)is identical with or similar to the trade mark, and (b)is used in relation to goods or services which are not similar to those for which the trade mark is registered, where the trade mark has a reputation in the United Kingdom and the use of the sign, being without due cause, takes unfair advantage of, or is detrimental to, the distinctive character or the repute of the trade mark.” Art. L-713-5 Code de la propriété intellectuelle “La reproduction ou l'imitation d'une marque jouissant d'une renommée pour des produits ou services non similaires à ceux désignés dans l'enregistrement engage la responsabilité civile de son auteur si elle est de nature à porter préjudice au propriétaire de la marque ou si cette reproduction ou imitation constitue une exploitation injustifiée de cette dernière. Les dispositions de l'alinéa précédent sont applicables à la reproduction ou l'imitation d'une marque notoirement connue au sens de l'article 6 bis de la Convention de Paris pour la protection de la propriété industrielle précitée.” Art. 20 CPI “Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica: […] (3) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.”. 211Per quanto riguarda la somiglianza dei prodotti o dei servizi è da notare come, anche se la lettera del succitato art.5(2) pare riferirsi solamente a prodotti o servizi dissimili, in realtà la tutela viene estesa anche a quei prodotti o servizi identici o simili come statuito dalla Corte di Giustizia Europea: v. Davidoff & Cie SA and Zino Davidoff SA v. Gofkid Ltd, C- 292/00, 9 gennaio 2003, para. 14 “By its first question, the national court essentially asks whether Articles 4(4)(a) and 5(2) of the Directive are to be interpreted as entitling the Member States to provide specific protection for registered trade marks with a reputation in cases where the later mark or sign, which is identical with or similar to the registered mark, is intended to be used or is used for goods or services identical with or similar to those covered by the registered mark.” V. anche Adidas-Salomon AG and Salomon Benelux BV v. Fitnessworld Trading Ltd, C- 408/01, 23 ottobre 2003, para. 13-14. Per il concetto di utilizzo “in the course of trade” si rimanda a 1.2.3.1. 212Per il concetto di identità tra segni si rimanda a 1.2.3.1.; per il concetto di somiglianza v. 1.2.3.2. Riguardo alla somiglianza tra marchi è bene però sottolineare come la dottrina e la giurisprudenza evidenzino una differenza tra la somiglianza richiesta dall'art. 5(2) e quella indicata dal 5(3); v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 880 “Whereas under section 5(2) the tribunal is asking whether the marks are confusingly similar, under section 5(3) the tribunal must asses whether the marks are sufficiently similar that the average consumer will make a link between them.” Queste affermazioni sono basate su alcune sentenze in cui la Corte di Giustizia Europea ha statuito questo diverso grado di somiglianza necessaria affinché le due fattispecie si concretizzino; v. Adidas-Salomon AG and Salomon Benelux BV v. Fitnessworld Trading Ltd , C- 408/01, 23 ottobre 2003, para. 31 “la tutela prevista dall'art. 5, n. 2, della direttiva non è subordinata alla constatazione di un grado di somiglianza tra il marchio notorio e il segno tale da generare, nel pubblico interessato, un rischio di confusione tra gli stessi. È sufficiente che il grado di somiglianza con il marchio 75 – la notorietà del marchio nello stato membro; 2 1 3 – un uso immotivato del segno che consenta di trarre un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o che causi ad esso un pregiudizio. Avendo già in precedenza analizzato i primi tre requisiti sopra indicati, non ci resta che concentrare la nostra attenzione sulla quarta ed ultima condizione, posta dalla normativa comunitaria, affinché un marchio notorio possa accedere alla relativa tutela. Per facilitarne la comprensione è però necessario scomporre questo requisito ed analizzarne le componenti. La normativa europea, come vedremo, 2 1 4 non vieta ogni uso del marchio notorio, ma solamente quegli usi che comportano un “unfair advantage ” per chi, privo di autorizzazione, utilizza il marchio anteriore, oppure un “detriment” a spese della reputazione o del carattere distintivo del marchio. L'indebito vantaggio tratto dalla reputazione o dal carattere distintivo del marchio anteriore consiste nell'appropriarsi di quel “selling power”, che è caratteristica intrinseca del marchio notorio, 2 1 5 al fine di trasferirlo su di un marchio posteriore, per aumentarne le possibilità di successo presso il pubblico di consumatori. Questo uso non ha di per sé la finalità di ingannare il consumatore sull'origine dei prodotti o dei servizi, 2 1 6 ma tende a notorio ed il segno abbia come effetto che il pubblico interessato stabilisca un nesso tra il segno ed il marchio d'impresa.” V. anche Intel Corporation Inc. v. CPM UK Ltd., C- 252/07, 27 novembre 2008, para. 30; v. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 331 ss. Comunque sia anche nella statuizione della somiglianza tra marchi, secondo l'art. 5(2), i segni i questione devono esser valutati attraverso un apprezzamento globale che, come abbiamo visto in 1.2.3.2., tenga conto della loro somiglianza visiva, sonora e concettuale; v. ibid.; v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 880. 213V. supra. 214V. 1.4. e 1.5. 215V. 1.2.1. 216V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 337 “A trader may choose to make use of the selling power of a brand for the purpose of launching their own product in a manner that does not actually deceive consumer.”. 76 sfruttare in maniera parassitaria la notorietà del marchio anteriore, come affermato da una consolidata giurisprudenza. 2 1 7 Questo sfruttamento, il c.d. “ free-riding ”, fenomeno che analizzeremo più in profondità nel corso della nostra trattazione, 2 1 8 deve esser caratterizzato, affinché si concretizzi questa fattispecie, da un ingiusto arricchimento a vantaggio di chi, non autorizzato, utilizzi il marchio anteriore. Questo ingiusto arricchimento consiste in un “substantial saving on investment in promotion and publicity for its own mark, since its benefits from that which has made the earlier mark highly famous. ” 2 1 9 E' da notare, poi, come, più forte è il carattere distintivo o la 217V. Antarctica srl. v. OHIM, T- 47/06, 10 maggio 2007, (caso Nasdaq) riguardante l'uso del marchio NASDAQ per una linea di caschi per bicicletta, para. 60-61 “[...]Taking account of the fact that the financial and stock market listing services supplied by the intervener under its trade mark NASDAQ and, therefore, the trade mark NASDAQ itself, undeniably present a certain image of modernity, that link enables the transfer of that image to sports equipment and, in particular, to the high-tech composite materials which would be marketed by the applicant under the mark applied for, which the applicant appears to recognise implicitly by stating that the word ‘nasdaq’ is descriptive of its main activities. 61 - Therefore, in light of that evidence, and taking account of the similarity of the marks at issue, the importance of the reputation and the highly distinctive character of the trade mark NASDAQ, it must be held that the intervener has established prima facie the existence of a future risk, which is not hypothetical, of unfair advantage being drawn by the applicant, by the use of the mark applied for, from the reputation of the trade mark NASDAQ.” V. Aktieselskabet af 21 november 2001 v. OHIM, T- 477/04, 6 febbraio 2007, para. 65 “It must also be noted that the concept of taking unfair advantage of the distinctive character or the reputation of the earlier mark must be understood as encompassing instances where there is clear exploitation and free-riding on the coat-tails of a famous mark or an attempt to trade upon its reputation.” V. anche Spa Monopole, compagnie fermière de Spa SA/NV v. OHIM, T- 67/04, 25 maggio 2005, para. 5152.; v. anche, per quanto riguarda un caso in cui l'esistenza dell'ingiusto vantaggio non è stata ritenuta fondata Sigla SA v. OHIM, T-215/03, 22 marzo 2007, para. 73 “Orbene, dato che la ricorrente non ha illustrato caratteristiche particolari rivendicate per il suo marchio anteriore né il modo in cui queste ultime sarebbero tali da facilitare la commercializzazione dei servizi oggetto del marchio richiesto, le caratteristiche associate abitualmente ad un marchio notorio di una catena di ristorazione rapida, evocate al precedente punto 57, non si possono considerare idonee, di per sé, ad arrecare un vantaggio a servizi di programmazione di computer, nemmeno se destinati ad alberghi e ristoranti.” Per la dottrina v. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 336 ss.; L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag.883 ss. 218V.2.3.1. 219V. Ferrero v. Kindercare Learning, OHIM, Commissione di Ricorso, R-1004/2000, 2005, para. 26. v. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 265 “The advantage for that undertaking arises in the substantial saving on investment in publicity and promotion for its own goods, since it is able to 'free ride' on that already undertaken by the earlier reputed mark. It is unfair since the reward for the costs of promoting, maintaining and enhancing a particular trade mark should belong to the owner of the earlier trade mark in question.” 77 reputazione del marchio anteriore, più sarà facile il determinarsi di un ingiusto vantaggio per il soggetto che, non autorizzato, lo utilizzi o di un danno al suo carattere distintivo o alla sua reputazione. 2 2 0 Passando poi all'analisi del rischio di un danno al carattere distintivo del marchio anteriore o alla sua reputazione, dobbiamo premettere che questo rappresenta uno dei punti focali della nostra trattazione e, come tale, sarà analizzato con dovizia di particolari più avanti, laddove ci troveremo ad analizzare gli effetti che l'utilizzo di un marchio per fini parodistici, satirici o di critica sociale possono avere su di esso. 2 2 1 Per il momento, perseguendo lo scopo intrinseco di questo capitolo, che consiste nell'illustrazione della tutela che la legge fornisce alle prerogative del titolare del marchio, verrà fornita solamente una panoramica generale della questione. Come recita la lettera della Direttiva 2008/95/CEE, il danno che può esser arrecato al marchio notorio, attraverso un suo utilizzo non autorizzato, può riguardare il detrimento al suo carattere distintivo (ed in questo caso si parlerà di detriment by blurring ) o il danneggiamento della sua reputazione ( detriment by tarnishment ). Queste due tipologie di danno si concretano non solo nei casi in cui il marchio venga utilizzato con i suddetti fini di parodia, satira o critica; la giurisprudenza, sia comunitaria che delle corti degli stati membri, testimonia, infatti, un ricorrere di queste due fattispecie anche in casi di usi diversi da quelli succitati. 2 2 2 Per una questione 220V. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING , Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 265 “The strongest the earlier trademark's distinctive reputation and character the easier it will be to accept that unfair advantage has been taken or detriment ha been caused.” V. anche J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 373; v. General Motors Corp. v. Yplon SA, C- 375/97, 14 settembre 1999, para. 30 “A tal riguardo va osservato che più il carattere distintivo e la notorietà di quest'ultimo saranno rilevanti, più sarà facilmente ammessa l'esistenza di un pregiudizio”. 221V. 2.4. 222V. ad esempio Sigla v. OHIM, T-215/03, 22/3/2007, Adidas-Salomon AG and Adidas Benelux BV v. Fitnessworld, C-408/01, 23 ottobre 2003, Marca Mode CV v. Adidas AG, C-425/98, 78 di organicità, però, tratteremo anche di questi più in là nella nostra trattazione, quando ci troveremo ad approfondire le fattispecie di blurring 2 2 3 e di tarnishment. 2 2 4 L'ultimo dei requisiti richiesti poi dall'art. 5(2) della Direttiva 2008/95/CEE è la mancanza di una motivazione nell'uso del marchio notorio anteriore. La protezione conferita al marchio notorio scatta solamente quando, l'uso non autorizzato compiuto da terzi, avvenga “without due cause”. Come la stessa dottrina sottolinea, 2 2 5 né la Direttiva 2008/95/CEE, né la giurisprudenza comunitaria, forniscono una chiara interpretazione di cosa venga inteso per “ uso immotivato ”. Non ci resta quindi che far riferimento a quanto statuito in merito da alcune corti di paesi membri della Comunità. Una definizione di cosa si debba intendere per uso immotivato del marchio altrui si può trovare in una sentenza della Corte di Giustizia del Benelux nella quale il detentore del marchio CLAERYN, registrato per gin, chiamò in causa la Colgate-Palmolive ritenendola responsabile di violazione del suo marchio anteriore, attraverso il marchio CLAREYN da quest'ultima registrato per detergenti. La Corte di Giustizia del Benelux affermò dunque che per uso immotivato debba esser inteso un uso compiuto “ without a justifiable reason ”; nella stessa sentenza vennero poi indicati quali siano i casi in cui un uso debba esser considerato giustificato. In primo luogo quando colui che usa il marchio si è trovato costretto ad usarlo ed, in secondo istanza, quando egli lo abbia usato in forza di un suo proprio diritto. 2 2 6 Questa impostazione viene confermata 22/6/2000, Hollywood v. Souza Cruz, English Board of Appeal, R- 283/1999-3, [2002]. 223V. 2.4.1.1. 224V. 2.4.1.2. 225V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 344 “This provision has not been considered by the ECJ nor is there any guidance in the Directive as to its meaning.” V. anche D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING , Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 263. 226V. Lucas Bols v. Colgate-Palmolive (1976) IIC 420; v. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 376 ss.; L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag.888 ss.; G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 344 ss. 79 dalla High Court inglese nella sentenza Premier Brands UK Ltd v. Typhoon Europe Ltd; nel caso si verifichi un ingiusto vantaggio o un danno per il marchio anteriore, qualora il non autorizzato utilizzatore dimostri che l'uso da egli fatto del marchio sia avvenuto con un giustificato motivo, allora costui non sarà ritenuto responsabile della violazione . Il grado di prova richiesto è però molto alto. 2 2 7 Come vedremo nel corso del II e del III capitolo il criterio del due cause avrà una decisiva importanza nel bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio notorio, in quanto, laddove venga provata la sua sussistenza, l'uso del marchio altrui con finalità parodistiche o critiche non potrà esser definito come illecito, ancorché determinante un danno alla capacità distintiva o alla reputazione del marchio. Negli Stati Uniti la normativa di riferimento per la tutela del marchio famoso, come già accennato in precedenza, è il Federal 227V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag.889 “In Premier Brands UK v. Typhoon Europe, Neuberger J held that the phrase 'without due cause' required an applicant (or in the case of an alleged infringer, the defendant) to show some justifiable reason for using its sign in relation to its goods even thought this was unfair or detrimental to the earlier mark. The decision to select a particular mark in good faith would not justify its registration (or continued use).” Phillips pone l'accento sul fatto che questa previsione conferisca una certa flessibilità di giudizio al giudice; v. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 377 “Those words also give a court a degree of flexibility in a situation in which the allegedly infringing act confers some advantage or inflicts some detriment but where the justice of the case nonetheless leads the court to the conclusion that the defendant should not be liable.” Un grado di prova ancor più elevato viene poi preteso poi dal Board of Appeal dell'OHIM nel caso Souza Cruz v. Hollywood: affinché l'utilizzatore del marchio possa invocare il c.d. due cause deve dimostrare che o egli è obbligato all'uso del segno in questione e che quindi il titolare del marchio anteriore non può ragionevolmente impedirglielo, o che questo uso avviene in forza di un suo specifico diritto. V. Souza Cruz v. Hollywood, OHIM, Commissione di Ricorso, 25 aprile 2001, para. 85 “The Board of Appeal considers that it must be imposed as a condition for due cause that the trade mark applicant should be obliged to use the sign in question, such that, notwithstanding the detriment caused to the proprietor of the earlier trade mark, the applicant cannot reasonably be required to abstain from using the trademark, or that the applicant has a specific right to use this sign, over that the right of the earlier trade mark's proprietor does not take precedence.” V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 888; G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 344; J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 377. 80 Trademark Anti-dilution Act (FTDA) del 1995, oggetto di riforma da parte del Trade Mark Anti-dilution Reform Act del 2006 (TDRA) ed inserito all'art. 1125, sezione 43(c) del Lanham Act. Tralasciando ora le vicende legate alla riforma della tutela del marchio contro la fattispecie diluitiva, che saranno oggetto di analisi nel corso della nostra trattazione, 2 2 8 è bene esaminare la protezione fornita negli Stati Uniti al marchio c.d. famous. L'art. 1125 sez. 43(c) del Lanham Act afferma che: “Subject to the principles of equity, the owner of a famous mark that is distinctive, inherently or through acquired distinctiveness, shall be entitled to an injunction against another person who, at any time after the owner ’s mark has become famous, commences use of a mark or trade name in commerce that is likely to cause dilution by blurring or dilution by tarnishment of the famous mark, regardless of the presence or absence of actual or likely confusion, of competition, or of actual economic injury. ” Come possiamo notare i requisiti, che vengono richiesti affinché un marchio possa accedere alla tutela prevista da questa sezione del Lanham Act, sono principalmente due: il primo concerne la fama e il carattere distintivo di cui deve esser dotato il marchio, di cui ci siamo già occupati nel corso di questo paragrafo, mentre il secondo consiste nel rischio che, attraverso un uso non autorizzato compiuto nel corso commercio, il marchio subisca la c.d. diluizione. Il significato del termine dilution 2 2 9 veniva un tempo chiarito all'art. 228V. 3.5.1. 229Il concetto di dilution venne introdotto nel 1927 da Schechter (v. F. SCHECHTER, The Rational Basis of Trademark Protection, Harvard Law Review, 1927) che si riferiva, al danneggiamento dell'unicità del marchio famoso, degna di tutela per via del suo selling power; v. B. BEEBE, A Defense of the New Federal Anti-dilution Trade Mark Law, supra nota 200, pag. 1145 “In a seminal 1927 article, the trademark practitioner and scholar Frank Schechter introduced to American law the concept of trademark dilution. By 'dilution',Schechter meant to refer to the impairment of a trademark’s uniqueness. His primary concern was to preserve what he variously termed a mark’s 'arresting uniqueness,' its 'singularity', 'identity,” and 'individuality,' 81 1127 sez. 45 del Lanham Act: “The term "dilution" means the lessening of the capacity of a famous mark to identify and distinguish goods or services, regardless of the presence or absence of (1) competition between the owner of the famous mark and other parties, or (2) likelihood of confusion, mistake, or deception.” Questa definizione è però diventata superflua, ed è quindi stata eliminata, a causa della riforma compiuta dal TDRA. Quest'ultimo, come è evidente dalla lettera del nuovo art. 1125, suddivide infatti il concetto di dilution in “dilution by blurring ” e “dilution by tarnishment”, dando ad entrambi una chiara definizione. Questa bipartizione 2 3 0 va a sostituire la summenzionata definizione di dilution , conferendo alle due fattispecie di diluizione un assetto più netto e definito di quanto non faccia la corrispettiva normativa comunitaria. Come abbiamo accennato in precedenza, la dilution by blurring e la dilution by tarnishment costituiscono uno dei punti its quality of being 'unique and different from other marks.' In Schechter’s view, trademark uniqueness was worth protecting because it generated 'selling power.'”Comunque sia questo suo concetto di diluizione basato sull'unicità del marchio non entrerà mai nella legislazione nord-americana in materia; v. ibid., pag. 1147, “Schechter’s original conception has never been enacted into law, and the language of the TDRA is careful to steer clear of it. Indeed, in the early stages of the drafting of the Act, a form of antidilution protection based on 'uniqueness' was proposed and rejected.” V. anche M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate, supra nota 176, pag. 54. 230L'introduzione di una così netta bipartizione è una delle riforme più importanti introdotte dal TDRA del 2006; v. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48, pag. 1939 “While the previous law only provided definition of dilution in general in § 1127, the TDRA defines dilution by blurring, and also adds six non-exclusive factors that a court 'may consider' in 'determining whether a mark or trade name is likely to cause dilution by blurring.' The TDRA also explicitly adds tarnishment actions, which are arguably absent from the current statute, and provides a definition of dilution by tarnishment.” V. anche B. BEEBE, A Defense of the New Federal Anti-dilution Trade Mark Law, supra nota 200, pag. 1156 “it explicitly provides that both 'dilution by blurring' and 'dilution by tarnishment' are forms of dilution actionable under Section 43(c) and formulates definitions of 'dilution by blurring' and 'dilution by tarnishment'.” V. anche S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 361. 82 focali della nostra trattazione e, come tali, saranno oggetto di approfondimento nel suo proseguo. 1.3. Le limitazioni del diritto di utilizzazione esclusiva del marchio da parte del titolare - gli usi consentiti del marchio altrui Come abbiamo avuto modo di analizzare in precedenza, il principale diritto spettante al titolare del marchio consiste nell'esclusività della sua utilizzazione e, conseguentemente, nella possibilità di impedirne l'uso a tutti quei soggetti da lui non espressamente autorizzati. Questo diritto, però, trova due tipi di limitazioni: gli usi c.d. consentiti del marchio altrui (oggetto di analisi in questo paragrafo) e gli usi c.d. atipici (dei quali ci occuperemo nel paragrafo successivo). La previsione di determinate eccezioni all'uso esclusivo del marchio da parte del suo titolare è prevista a livello transnazionale dall'art. 17 TRIPs: “Members may provide limited exceptions to the rights conferred by a trademark, such as fair use of descriptive terms, provided that such exceptions take account of the legitimate interests of the owner of the trademark and of third parties.” Questa norma prevede dunque la possibilità, per i legislatori dei paesi membri del WTO, di prevedere dei limiti al diritto di esclusiva del titolare del marchio. 2 3 1 Quest'articolo si premura poi di far un 231Queste eccezioni devono però tener sempre in dovuta considerazione le prerogative del titolare del marchio e devono quindi esser limitate, pur nella ricerca di un bilanciamento con le necessità dei terzi; v. N. DONTAS, Permitted Use under International Law, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, Edward Elgar, 2006, pag. 7 “Art. 7 is the outcome of the balance 83 esempio di cosa si intenda per eccezione ai diritti del titolare del marchio e fa riferimento all'uso di termini in funzione descrittiva; tale uso deve però esser connotato dal requisito dell'onestà. 2 3 2 Gli altri usi consentiti del marchio altrui, indicati come eccezioni dalla suddetta norma, che il legislatore nazionale è libero di prevedere, devono esser però sempre statuiti tenendo presenti gli interessi del titolare del marchio e quelli dei terzi. Il richiamo agli interessi del terzo è di grande importanza per quel che riguarda la protezione della libertà d'espressione, in quanto vi rientrano sia la possibilità per un soggetto di esprimersi liberamente, utilizzando il marchio a fini di critica sociale, parodia o satira, sia quella del pubblico ad ascoltarlo. 2 3 3 Su questo tema torneremo nel paragrafo successivo, quando ci occuperemo di analizzare quelle eccezioni all'utilizzo esclusivo del marchio, che, pur non avendo una protezione tipizzata nell'art. 6 della Direttiva 2008/95/CEE, non vengono considerati between preserving the trademark rights of the owner against the necessity of allowing third parties a reasonable use of someone else's mark. Therefore, only limited exceptions are justified, that is, exceptions that do not affect the core of the rights conferred by a trade mark.” 232V. ibid., pag. 9 “The terms 'fair use' and 'respect of the legitimate interest of the owner of the trade mark and of third parties' will, most probably, be interpreted as the duty to protect the core of the trade mark rights, that is, as the obligation to avoid any use that will not be in accordance with honest practices in industrial and commerce matter. Such would be in the case if, for example, the third party use gives the impression that there is a commercial connection between the third party and the trade mark owner, or affects the value of the trademark by taking unfair advantage of its reputation, or it amounts to denigration of that mark.” V. anche N. PIRES DE CARVALHO, The TRIPs Regime of Trademarks and Designs, supra nota 59, pag. 393. 233V. L.P. RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, supra nota 169, pag. 442 “Such third parties [ci si riferisce all'uso compiuto del marchio nel caso Barbie girl, Plesner ed Esso citati in precedenza dall'autrice, n.d.r.] have a legitimate interest in using the marks of others to express themselves, and the public has a legitimate interest in hearing what they have to say. […] Thus, the 'legitimate interests of third parties' in trademark disputes must include the right to freedom of expression and, more specifically, the right to use language claimed as a trademark to communicate information and ideas. The person or firm using the mark has a free speech right to speak. The audience has the right to receive the expression. Future speakers (including competitors, critics, social activists, and other commentators) and the rest of the general public will benefit if third parties choose to communicate in certain truthful ways because they believe their right of free speech will be protected against litigious trademark holders.” Pires De Carvalho in N. PIRES DE CARVALHO, The TRIPs Regime of Trademarks and Designs, supra nota 59, pag. 393, afferma, per quanto riguarda gli interessi dei terzi, che questi devono esser definiti dal legislatore nazionale “Those interests, naturally, must also be determined by public policies. After all, the protection of those legitimate interests causes the individual rights of trademark owners to be diminished.” 84 come atti di infrazione delle prerogative del titolare del marchio. A differenza di queste tipologie di utilizzazioni, ve ne sono altre, di cui ci occuperemo in questo paragrafo, tipizzate dal succitato art. 6 e definite comportano come il usi consentiti concretrarsi del marchio altrui, che non della fattispecie di contraffazione. Ampliando quanto previsto dall'Art. 17 TRIPs, 2 3 4 l'art.6 della Direttiva 2008/95/CEE indica tre tipi di usi consentiti del marchio altrui, nel corso del commercio, che non possono esser impediti dal titolare del marchio. “Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio: a) del loro nome e indirizzo; b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio; c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio, purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.” Il primo uso consentito del marchio altrui riguarda l'utilizzo del proprio nome o del proprio indirizzo in un'attività economica (ad esempio nella corrispondenza commerciale). Questo uso, anche qualora un nome o un indirizzo corrispondano ad un marchio 234V. L.P. RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, supra nota 169, pag. 437 “It is clear from the text of Article 17 that states may allow 'fair use of descriptive terms,' but WTO members are not restricted to this particular exception; they may enact other limited exceptions to trademark rights.” 85 precedentemente registrato, non potrà esser vietato dal suo titolare, se avviene in accordo con gli onesti usi commerciali e industriali. 2 3 5 Il soggetto potrà quindi registrare il proprio nome come ditta, ma non come marchio, per non entrare in conflitto con i diritti del titolare del marchio anteriore. 2 3 6 235Il criterio delle oneste pratiche commerciali e industriali corrisponde a quello del 'fair use' indicato dal succitato art. 17 TRIPs; v. Anheuser-Busch Inc. v. Budejovický Budvar, národní podnik, C- 245/02, 16 novembre 2004, para. 82 “È necessario poi che tale uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale, unico criterio di valutazione indicato dall'art. 6, n. 1, della direttiva 89/104. La condizione relativa agli «usi di lealtà» costituisce, in sostanza, l'espressione di un obbligo di lealtà nei confronti dei legittimi interessi del titolare del marchio [...]. Si tratta quindi, in sostanza, della stessa condizione posta dall'art. 17 dell'accordo TRIPs.” La Corte di Giustizia in questa sentenza indica anche quali siano i fattori da tener in considerazione per stabilire se vi sia o meno il rispetto degli interessi del titolare del marchio; v. ibid., para. 83 “detta condizione relativa agli usi di lealtà va valutata tenendo conto della misura in cui, da una parte, l'uso della ditta del terzo verrebbe inteso dal pubblico interessato, o per lo meno da una parte significativa di esso, come sintomatico di un collegamento tra i prodotti del terzo e il titolare del marchio o una persona autorizzata ad usare il marchio, nonché, dall'altra, della misura in cui il terzo avrebbe dovuto esserne consapevole. Un ulteriore elemento da considerare nel procedere a tale valutazione è rappresentato dal fatto che si tratta di un marchio che gode di una certa notorietà nello Stato membro in cui è registrato ed in cui è richiesta la sua tutela e dal quale il terzo potrebbe trarre vantaggio per la commercializzazione dei suoi prodotti.” V. anche Gerolsteiner Brunnen GmbH & Co. v. Putsch GmbH, C- 102/02, 7 gennaio 2004, para. 24; BMW v. Deenik, C- 63/97, 23 febbraio 1999, para. 61; v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 933; v. anche S. MIDDLEMISS, Permitted Use under European law: the Framework, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 14, dove vengono invece indicati, anche attraverso l'analisi della Direttiva sulla pubblicità comparativa (2006/114/CEE), quegli usi da considerarsi invece disonesti “use which gives the impression of a commercial connection between parties; use which affects the value of a trade mark by taking unfair advantage; use which entails discrediting or denigrating a trade mark; presentation of a product as an imitation or replica of the trade mark owner's product.” Nella stessa opera si procede anche all'analisi del requisito dell' uso “in accordance with honest practices in industrial or commercial matters” in relazione ai succitati casi BMW e Gerolsteiner; v. anche A. ROUGHTON, Permitted Infringing Use the Scope of Defences to an Infringment Action, in J. PHILLIPS, I. SIMON, Trademark Use, supra nota 205, pag. 181 ss.; v. anche K. CEDERLUND, P. HANSSON, Non Traditional Trade Marks; Unauthorised but Permitted Use, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 269. 236V. Anheuser-Busch Inc. v. Budejovický Budvar, národní podnik, C- 245/02, 16 novembre 2004, para. 81 “L'eccezione prevista dall'art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 può, in linea di principio, essere fatta valere da un terzo per usare un segno identico o simile ad un marchio per designare la sua ditta benché si tratti di un uso rientrante nell'art. 5 n. 1, della detta direttiva.” V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 227 “The honest use by a human being of his or her name cannot be prevented under trade mark law. [...] However, the use of one's name as a trade mark will not be tolerated by law if another person owns a trade mark for the same name. This is because the public's interest in not being confused by the existence of two identical or nearly identical trade marks for the same product is given a higher legal value […] than the individual right to use his own name.” V. anche M. 86 Il secondo uso consentito corrisponde a quell'uso descrittivo “suggerito” dal summenzionato art. 17 TRIPs. Se dunque un marchio, precedentemente registrato, viene usato per descrivere la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, l'epoca di fabbricazione o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio, questo uso non darà luogo alla violazione dei diritti del titolare, se compiuto in accordo con gli usi onesti commerciali e industriali 2 3 7 . E' comunque necessario notare come viga il divieto di registrare marchi puramente descrittivi; un marchio può sì contenere indicazioni descrittive, ma deve altresì avere un elemento distintivo. 2 3 8 Orbene, questo elemento distintivo non potrà esser liberamente utilizzato da terzi, al contrario, invece, dell'elemento descrittivo che potrà esser usato per i sopracitati scopi. Il terzo uso consentito, tipizzato dalla Direttiva 2008/95/CEE, è quello finalizzato ad indicare la destinazione di un prodotto o di un servizio. Questo, in particolar modo, accade per quei beni composti da più parti, alcune delle quali intercambiabili tra di loro. Queste parti di ricambio possono infatti venir prodotte dallo stesso fabbricante del prodotto principale o da un'altra azienda; in questo secondo caso l'azienda in questione deve poter indicare che i suoi prodotti sono adattabili ad un determinato prodotto principale, contraddistinto da un certo marchio. Un caso che ha fatto scuola in materia è quello delle lamette sostitutive per rasoi Gilette; 2 3 9 RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 129. 237V. supra nota 235. 238V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 130; v. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 358; Phillips in J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 222 fa inoltre notare come sia la descrittività che la distintività possono esser acquisite o perdute attraverso l'uso. 239The Gillette Company, Gillette Group Finland Oy LA-Laboratories Ltd Oy, C- 228/03, 17 87 quest'ultima aveva chiamato in causa un'azienda produttrice di lamette, contrassegnate dal marchio PARASON FLEXOR , in quanto utilizzava il marchio Gilette per indicare la compatibilità delle sue lamette con i rasoi della ricorrente. La Corte di Giustizia, dopo aver specificato che la dicitura “ per accessori o pezzi di ricambio ” è da considerarsi puramente esemplificativa, 2 4 0 ha affermato che, qualora non vi siano altri mezzi per informare il pubblico, è lecito utilizzare il marchio per indicare la destinazione del proprio prodotto, se ciò avviene nel rispetto delle oneste pratiche industriali e commerciali. 2 4 1 marzo 2005. 240V. ibid., para. 32 “Peraltro, poiché la destinazione dei prodotti in quanto accessori o pezzi di ricambio è data solo a titolo di esempio, trattandosi probabilmente di situazioni correnti in cui è necessario utilizzare un marchio per indicare la destinazione di un prodotto, l'applicazione dell'art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva 89/104 non è limitata a tali situazioni.” 241V. ibid. para. 39 “L'uso del marchio da parte di un terzo che non ne è il titolare è necessario per indicare la destinazione di un prodotto messo in commercio da tale terzo quando tale uso costituisce in pratica il solo mezzo per fornire al pubblico un'informazione comprensibile e completa su tale destinazione al fine di preservare il sistema di concorrenza non falsato sul mercato di tale prodotto.” Sempre per quanto riguarda le informazioni data al pubblico v. BMW v. Deenik, C- 63/97, 23 febbraio 1999, para. 60 “è sufficiente rilevare, come ha osservato l'avvocato generale al paragrafo 54 delle sue conclusioni, che, se un commerciante indipendente effettua la manutenzione e la riparazione di automobili BMW o è effettivamente specializzato in tale campo, tale informazione non può in pratica essere comunicata ai suoi clienti senza che egli faccia uso del marchio BMW.” Per la dottrina v. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 224 “The important exception is the use of another's trade mark in order to indicate product compatibility: this may done for example, by the use of statements such as 'this software has been written in order to reduce the frequency of crashes experienced by users of Microsoft Explorer in a Microsoft Windows environment […] the use of another's trademark is specifically condoned when it indicates that the product to which it is attached functions as a 'spare part' for the product with which that trade mark is associated, for example, 'these cartridges are compatible with all PARKER fountain pens.'” V. S. MIDDLEMISS, Permitted Use under European law: the Framework, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 19 “To establish a defence, the defendant's use of a trade mark must be necessary to indicate the intended purpose. In other words, use is only permitted where either the information cannot be communicated without that use, or it is the only practical way of communicating the information. The scope of the requirement of necessity has yet to be clarified but is likely to vary with the particular circumstances of the case.” Monteagudo e Porxas mettono l'accento sul fatto che le fattispecie indicate dall'art. 6 della Direttiva siano da considerarsi come eccezioni al diritto di utilizzazione esclusiva prevista dall'art. 5, v. M. MONTEAGUDO, N. PORXAS, Repairs and other specialist services in the light of the ECJ's BMW ruling, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 110 “[...]the limitations on the trade mark right are exceptions to a trade mark infringement act under art. 5. Thus, the application of art. 6(1) involves solely and exclusively determining whether the specific conditions referred to above are fulfilled and their fulfillment determines, as a matter of law, an exception to the infringement.” V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 935 ss.; G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91., 88 Torneremo a trattare dell'art. 6 della Direttiva nel corso della nostra trattazione in quanto, come vedremo, parte della dottrina ravvisa una ricomprensione di un utilizzo parodistico o satirico del marchio altrui all'interno delle eccezioni da esso previste. Il corrispettivo statunitense della dottrina degli usi consentiti di matrice comunitaria è la dottrina del c.d. " fair use". La norma di riferimento è l'art. 1115(b)(4) del Lanham Act che recita: "That the use of the name, term, or device charged to be an infringement is a use, otherwise than as a mark, of the party’s individual name in his own business, or of the individual name of anyone in privity with such party, or of a term or device which is descriptive of and used fairly and in good faith only to describe the goods or services of such party, or their geographic origin" La dottrina americana è solita distinguere due tipi di fair use: il c.d. descriptive fair use e il nominative fair use. 2 4 2 Il descriptive fair use (detto anche classic fair use) concerne l'uso di parole, corrispondenti ad un marchio registrato, per descrivere beni e servizi. Questo utilizzo, se compiuto onestamente, in buona fede (fairly and in good faith ) ed in modo tale che la parola sia usata non come marchio, ma in senso descrittivo, non può esser vietato dal titolare del marchio anteriore. 2 4 3 La prova di un uso corretto e pag. 359 ss. 242V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 406 “There are two different types of defences encompassed under the umbrella term of fair use. The first is the classic fair use defense that arises when the plaintiff’s mark is descriptive in nature […] The second type of fair use is nominative fair use.” 243V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 747 “Many trademarks consist of ordinary English words that communicate information. Such words can become trademarks on a variety of situations. If they actually describe the goods or services to which they are appended, they will considered 'descriptive' […] If any of these situations, however, the trademark owner of such a mark cannot prevent other firms from using the words in their underlying and everyday English 89 meramente descrittivo del termine oggetto di controversia viene data dalla sussistenza o meno della confusione nel pubblico circa l'origine dei prodotti; qualora questa sussista non si può però considerare che il termine sia stato usato in senso puramente descrittivo e quindi questo uso non deve esser permesso. 2 4 4 Al tempo stesso però parte della giurisprudenza americana ha affermato che, qualora l'uso sia stato fatto in buona fede e onestamente, un rischio di confusione debba esser comunque tollerato dal titolare del marchio, in quanto è il prezzo da pagare per l'aver scelto e registrato un termine descrittivo per contraddistinguere i propri prodotti. 2 4 5 L'altro tipo di fair use evidenziato dalla dottrina americana è il c.d. nominative fair use. L'uso del marchio altrui non costituisce una violazione dei diritti del suo titolare quando avviene da parte di un sense to communicate information.” V. D. QUINTO, A.P. ALDEN, Descriptiveness in American Trade Mark Law, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 155 “That defence succeeds when the court finds that the defendant is using the phrase at issue not in a trademark sense but merely to describe its goods or services.” V. anche S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 406. 244V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 749 “The real test of 'descriptive use' is whether the defendant's use avoids generating a likelihood of confusion. If the use creates confusion it is probably not merely descriptive, and will not to be allowed.” 245V. Kp permanent make-up, inc. v. Lasting impression i, inc., et al., U.S. Supreme Court, n. 03409, 8 dicembre 2004 “Since the burden of proving likelihood of confusion rests with the plaintiff, and the fair use defendant has no free-standing need to show confusion unlikely, the Court recognizes that some possibility of consumer confusion is compatible with fair use.” Comunque sia la Corte Suprema nella stessa sentenza si rifiuta di stabilire il grado di confusione necessaria affinché non sia più possibile parlare di 'fair use'; v. ibid. “Because the Court does not rule out the pertinence of the degree of consumer confusion under the fair use defense, it does not pass upon the Government’s position that §1115(b)(4)’s “used fairly” requirement demands only that the descriptive term describe the goods accurately. Accuracy has to be a consideration in assessing fair use, but the proceedings below have raised no occasion to evaluate other concerns that courts might pick as relevant–e.g., commercial justification and the strength of the plaintiff’s mark–as to which the door is not closed.” V. anche D. QUINTO, A.P. ALDEN, Descriptiveness in American Trade Mark Law, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 156 “Although KP Permanent make-up clarified the relationship between a plaintiff's burden in proving a likelihood of confusion and the classic fair use defence, the Supreme Court decline to address a number of other important questions. For example, even though some degree of consumer confusion may now co-exist with fair use, the Court indicated that there might be a limit on the amount of confusion that must be accepted before the defence becomes available. The Court declined, however, to offer any guidance on how much confusion is too much.” V. anche R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 749. 90 terzo per identificare i suoi prodotti o servizi in quanto non esiste un modo migliore per farlo. 2 4 6 Proprio la necessità di utilizzo del marchio è uno dei fattori che devono esser tenuti in considerazione per stabilire se il suddetto uso viene compiuto "fairly", come traspare dalla liste compilate dai Circuits statunitensi per stabilire se vi sia o meno onestà nell'uso. La più applicata di queste liste è quella indicata dal 9 t h Circuit nella causa The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc; 2 4 7 l'utilizzo inautorizzato del marchio altrui è da considerarsi " fair", e quindi non punibile, se rispetta tutte le condizioni di seguito elencate: “First, the product or service in question must be one not readily identifiable without use of the trademark; second, only so much of the mark or marks may be used as is reasonably necessary to identify the product or service; and third, the user must do nothing that would, in conjunction with the mark, suggest sponsorship or endorsement by the trademark holder.” Tra i molti usi del marchio altrui che rispettano i suddetti criteri possiamo annoverare l'utilizzo per servizi di riparazione specializzati e per parti di ricambio 2 4 8 (alla stregua di quanto 246V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 406 “With nominative fair use the defendant uses the plaintiff's mark because there is no better way to identify the defendant's goods and services.” 247The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 971 F. 2d 302, 1992; v. anche Brother Records, Inc. v. Jardine, U.S. Court of Appeals, 9th Circuit, 318 F.3d 900, 28 gennaio 2003; per il 3rd Circuit, invece, nella causa Century 21 Real Estate Corp. v. Lendingtree, Inc., 425 F.3d 211, 11 ottobre 2005“To demonstrate fairness, the defendant must satisfy a three-pronged nominative fair use test, derived to a great extent from the one articulated by the Court of Appeals for the Ninth Circuit. Under our fairness test, a defendant must show: (1) that the use of plaintiff's mark is necessary to describe both the plaintiff's product or service and the defendant's product or service; (2) that the defendant uses only so much of the plaintiff's mark as is necessary to describe plaintiff's product; and (3) that the defendant's conduct or language reflect the true and accurate relationship between plaintiff and defendant's products or services.” V. D. QUINTO, A.P. ALDEN, Descriptiveness in American Trade Mark Law, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag.158. 248V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and 91 previsto dall'Art. 6 della Direttiva 2008/95/CEE) e l'utilizzo nella pubblicità comparativa. 2 4 9 Anche l'uso in chiave parodistica o critica del marchio, pur se con difficoltà maggiori rispetto a quanto previsto riguardo al copyright, 2 5 0 diviene poi possibile attraverso questa dottrina. Ciò viene evidenziato dal giudice Kozinski nel sopracitato caso The New Kids Block, quando, conseguentemente al fatto che “sometimes there is no descriptive substitute, and a problem closely related to genericity and descriptiveness is presented when many goods and services are effectively identifiable only by their trademarks”, egli afferma che “it is often virtually impossible to refer to a particular product for purposes of comparison, criticism, point of reference or any other such purpose without using the mark”. 2 5 1 Trademark, supra nota 4, pag. 742 “The question is whether unaffiliated and unauthorized repair service providers and repair part vendors may specifically mention other parties' trademark in describing their own goods and services. So long as they speak the truth the answer is yes.” Come però messo in luce in ambito europeo dalla sentenza BMW ciò non deve esser fatto in modo tale da creare una falsa immagine di collegamento o affiliazione con il titolare del marchio; v. ibid. pag. 743 “The line that cannot be crossed in these situations is for the third party user of the mark to in any way falsely suggest that is authorized by or affiliated with the trademark owner.” V. anche Volkswagenwerk Aktiengesellschaft v. Church, U.S. Court of Appeals, 9th Circuit, 411 F.2d 350,1969, citata dal giudice Kozinski in The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 971 F. 2d 302, 1992. 249Per un'analisi della pubblicità comparativa negli Stati Uniti si rimanda a C.H. GOOGE, L. CLAYTON, Comparative Advertising in the United States, in J. PHILLIPS, I. SIMON, Trade Mark Use, supra nota 205, pag. 25 ss. 250V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate, supra nota 176, pag. 50ss. “Both trademark and copyright law posses affirmative defenses to an infringement action in the form of 'fair use' defense. However, only the copyright fair use doctrine provides any meaningful protection for free speech interests.[...] Yet the fair use defense set forth in Section 32(b)(4) of the Lanham Act is limited to the use of another party's mark to describe one's own goods. Unless parody is in some fashion descriptive of the defendant's goods, it is difficult to see how the trademark fair use doctrine could be used to protect parody.” La prova dell'uso parodistico di opere protette da copyright è da considerarsi un fattore molto importante per chi debba difendersi dall'accusa di aver utilizzato senza autorizzazione opere protette dal diritto d'autore come traspare da Rogers v. Koons, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 960 F. 2d 301, 2 aprile 1992 e dal recentissimo caso che ha visto coinvolto il pittore Prince accusato di essersi appropriato delle opere del fotografo Cairou. Sul criterio di fair use applicato all'utilizzo parodistico o critico del marchio e sul raffronto con la corrispettiva disciplina prevista per il copyright torneremo in 2.3.2. 251The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 971 F. 2d 302, 1992; v. anche D. QUINTO, A.P. ALDEN, Descriptiveness in American Trade Mark Law, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 158 “The New Kids policy has been applied to allow the parodic use of a trade mark to denote the target of the parody.” 92 Sia il nominative che il descriptive fair use, attraverso il TDRA, vengono a costituire esplicite esenzioni di responsabilità per quel che riguarda l'utilizzo del marchio altrui. All'art. 1125(3)(A) del Lanham Act si afferma, infatti, che laddove abbia luogo un fair use (compresi il nominative e il descriptive ) l'utilizzo del marchio altrui non verrà considerato come illecito. Tra le tipologie di fair use consentite vengono altresì menzionate la critica e la parodia del marchio; un'eccezione a sé stante viene poi dedicata al suo uso noncommerciale. Di queste esenzioni ci occuperemo approfonditamente più avanti nel corso della nostra trattazione, quando ci troveremo ad analizzare i criteri attraverso i quali avviene il bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio all'interno della giurisprudenza americana. 2 5 2 1.4. Le eccezioni al diritto di utilizzazione esclusiva del marchio da parte del titolare - gli usi atipici del marchio altrui Al di fuori degli usi consentiti del marchio altrui che, come abbiamo visto, vengono tipizzati dall'art. 6 della Direttiva 2008/95/CEE, vi sono altri usi, c.d. atipici, in quanto non ricompresi nella succitata Direttiva, che non sono vietabili dal titolare del marchio. Definibili come utilizzi non-distintivi del marchio altrui, essi non sono espressamente permessi da alcuna norma, ma al tempo stesso non possono esser considerati infrattivi dei diritti del titolare del marchio in quanto non ricadono all'interno della normativa sui marchi. 2 5 3 Ciò in forza del fatto che il marchio in questi casi non 252V. 2.2.1.2., 2.2.1.3., 3.1., 3.5.1. 253V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 233 “There are a range of activities that are permitted without the need for a specific defence, because they do not even fall within the scope of infringement.” V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, 93 viene utilizzato nella sua funzione primaria, ossia per distinguere beni o servizi. Tra questi usi possiamo annoverare, ad esempio, l'utilizzo del marchio relativo ad un prodotto intermedio da parte del produttore del prodotto finito, 2 5 4 l'utilizzo del logo distintivo di un prodotto nella sua riproduzione in scala, 2 5 5 il richiamo ad un altro marchio nella pubblicizzazione del proprio. Un altro caso che poi si deve far rientrare nell'uso atipico del marchio è quello della pubblicità comparativa, per regolar la quale è stata emanata la Direttiva 2006/114/CE. 2 5 6 Affinché questi usi possano esser considerati non contrari alle prerogative del titolare del marchio è però necessario che rispettino quelle oneste pratiche commerciali e industriali, sul cui significato ci siamo intrattenuti nel paragrafo precedente. I predetti usi, così come anche la pubblicità comparativa, rientrano, nella disciplina americana, all'interno di quel nominative fair use oggetto nella nostra analisi nel paragrafo precedente. All'interno del Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 131. 254Pensiamo ad esempio ad un produttore automobilistico che nel libretto di istruzioni della vettura da lui venduta indica l'utilizzazione di pneumatici Pirelli o di un impianto audio Bose. 255V. Adam Opel AG v. Autec AG, C- 48/05, 25 gennaio 2007 para. 22 “Pertanto, l'apposizione su modellini di veicoli, da parte di un terzo, di un segno identico ad un marchio registrato per giocattoli può essere vietata, ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva, soltanto qualora pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni di tale marchio.” V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 925. 256Introdotta in Italia attraverso il d.lgs. n. 145 del 2 agosto 2007. Affinché la pubblicità comparativa sia permessa deve rispettare determinate condizioni previste dall'art. 4 della Direttiva 2006/114/CEE “a) non sia ingannevole; b) confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi; c) confronti obiettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi; d) non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente; e) per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione f) non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale o ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti; g) non rappresenti un bene o servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati; h) non ingeneri confusione tra i professionisti, tra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente.” Per un approfondimento sul tema si rimanda a P. DE JONG, Comparative Advertising in Europe, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 53 ss. 94 nominative fair use, come abbiamo visto, può esser fatta rientrare anche la possibilità di utilizzare il marchio per fini di critica o parodia. Questa possibilità è stata d'altronde esplicitata dall'eccezione ai diritti del titolare del marchio, introdotta dal TDRA, riguardante un fair use compiuto al fine di “ (ii)identifying and parodying, criticizing, or commenting upon the famous mark owner or the goods or services of the famous mark owner.” 2 5 7 Nella disciplina europea, come vedremo, ciò non è ancora stato oggetto di una chiara formalizzazione, ma viene auspicato che quell'eccezione ai diritti di copyright previsti in caso di un uso parodistico o critico del materiale da essi protetto, venga estesa anche ai marchi. 2 5 8 Come vedremo quindi, in assenza di eccezioni ad hoc, laddove l'utilizzo del marchio altrui, per fini parodistici o critici, possa esser configurato come uso del marchio, in quanto compiuto con funzione distintiva , il bilanciamento con i diritti del titolare del marchio dovrà avvenire attraverso la statuizione della non-contraffattorietà ex art. 5(1) e 5(2) dell Direttiva. Al contrario, quando l'utilizzo del marchio non possa esser definito come uso, il summenzionato bilanciamento avverrà al di fuori della normativa dei marchi e verranno presi in considerazione altri parametri per valutarne la sua liceità, come ad esempio la responsabilità aquiliana dell'utilizzatore non autorizzato e l'eventuale danno nei confronti del titolare del marchio. Vedremo nel corso della nostra trattazione che la giurisprudenza delle corti nazionali europee abbia, a seconda dei casi, ritenuto determinati utilizzi come usi del marchio, mentre altre volte abbia compiuto il suddetto bilanciamento al di fuori della normativa marchi, avendo definito determinati utilizzi non come usi del marchio. 257V. art. 1125(3)(A) Lanham Act. 258V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 281 “It has been argued, in various European jurisdictions, that in analogy to copyright law, a parody exception should be applied to limit trademark rights.” 95 A questi ed altri aspetti saranno dunque dedicati i due successivi capitoli. 96 CAP. II: IL CONFLITTO TRA LIBERTA' D'ESPRESSIONE E DIRITTI DEL TITOLARE DEL MARCHIO SOMMARIO: 2.1.La nozione di libertà di espressione ed i suoi limiti. - 2.1.1. In Italia e nei paesi Europei. - 2.1.2. Nella Comunità Europea. - 2.1.3. Negli Stati Uniti. - 2.2. Il conflitto tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchi. - 2.2.1. Strumenti e finalità. - 2.2.1.1. Parodia e satira – una distinzione opportuna?. - 2.2.1.2. Critica. - 2.2.2. La libertà d'espressione nelle espressioni commerciali.- 2.2.3. La libertà d'espressione nelle espressioni non commerciali o miste. - 2.3. Tutela del marchio notorio e libertà d'espressione. - 2.3.1. Due cause, interesse sociale e free-riding. - 2.3.2. Fair use e tassonomia delle eccezioni.- 2.4. Gli effetti dell'utilizzo parodistico, satirico o critico del marchio - La diluizione. - 2.4.1. Blurring (Offuscamento). 2.4.2. Tarnishment (Annacquamento). 2.1. La nozione di libertà di espressione ed i suoi limiti. Dopo aver analizzato nel I capitolo le prerogative del titolare del marchio e la tutela che i vari ordinamenti presi in esame, ad esse conferiscono, è giunto il momento di confrontarci con il secondo termine di riferimento della nostra trattazione, ossia la libertà di espressione, per poi addentrarci nella disamina del conflitto tra quest'ultima e i sopracitati diritti. La libertà d'espressione è un principio nobile ed antico le cui origini risalgono fin alla πολις ateniese; il suo riconoscimento e la sua tutela da parte da parte del potere temporale (e talvolta anche da parte di quello religioso) hanno costituito un tema ricorrente nel corso dei secoli, seguendo una linea immaginaria che va da 97 Euripide 1 e Pericle 2 passando per Galileo, 3 Milton, 4 i padri nobili del liberalismo, per giungere alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e del cittadino francese ed alla Costituzione americana ed ai suoi emendamenti. Questi due ultimi Statuti, emanati sul finire del XVIII secolo, furono, difatti, i primi in cui venne riconosciuto e costituzionalizzato, questo principio. Affinché, però, questo esempio venisse seguito anche dagli altri stati nazionali bisognerà attendere, almeno nei territori del c.d. blocco occidentale , ancora più di un secolo. Solo dopo la terribile esperienza dei totalitarismi, che in nome dell' ethischer Staat avevano visto come nemica e di conseguenza soppresso la libertà d'espressione, la maggior parte delle nazioni, in particolar modo quelle rinate dalle ceneri della guerra, affermarono e costituzionalizzarono questo principio. Sull'onda di uno spirito dettato dalla reazione agli orrori della Seconda Guerra Mondiale si procedette poi, a livello sia transazionale che regionale, all'introduzione di carte dei diritti fondamentali a garanzia di quest'ultimi. Tra questi diritti rientrò a pieno titolo, come avremo modo di vedere, la libertà d'espressione. Il riconoscimento di questa 1 V. il discorso di Teseo nelle Supplici riportato da Milton all'inizio della sua Areopagitica (v. nota 3) “Ecco che cosa è libertà: «Chi ha qualche utile consiglio, e vuole offrirlo alla città?». Chi se la sente, celebre diviene di colpo; e chi non se la sente, se ne sta zitto. Uguaglianza più perfetta, esiste?” 2 V. L. PELLICANI, La Libertà dei Moderni, in AA.VV, La Libertà dei Moderni tra Liberalismo e Democrazia, Società Aperta edizioni, 2000, pag. 27 “Nell’Atene di Pericle, all’ideale del governo del popolo, s’intrecciò il principio fondamentale del liberalismo moderno, che cioè ciascun cittadino, all’interno dell’organismo statale, deve conservare la libertà di pensare e di agire autonomamente e di manifestare con franchezza la propria opinione, mentre lo Stato ha da immischiarsi quanto meno nella vita privata dei singoli.” 3 Celebre il suo scontro con il potere ecclesiastico del tempo riguardo al riconoscimento della forma del globo terrestre. 4 Celebre è il suo discorso al Parlamento inglese del 1644 nel corso del quale si scaglia contro la censura preventiva in favore della libertà d'espressione e di stampa. V. J. MILTON, Areopagitica, Discorso per la Libertà di Stampa, RCS, 2010, pag. 52 “[..] che ci può esser di più bello che permettere a un uomo di giudizio, di studio e di coscienza, altrettanto buono, per quanto ne sappiamo, di quelli che c'insegnarono ciò che conosciamo, di render pubblico al mondo, non furtivamente di casa in casa, ciò che è più pericoloso, ma apertamente con i suoi scritti, quale sia la sua opinione, quali le sue ragioni, e per quali motivi ciò che viene ora insegnato non può esser valido?” 98 libertà, caposaldo di ogni ordinamento che voglia definirsi democratico, 5 è stato altresì accompagnato, come vedremo, dalla statuizione di alcuni limiti, per evitare che essa si trasformasse in una libertà di diffamazione o offesa, di incitamento all'odio o alla diffusione di contenuti che la comune morale, pur sempre coinvolta in un incessante processo evolutivo potesse definire come osceni o che, per ragioni di sicurezza nazionale, dovessero esser tenuti segrete. 6 Altro limite posto alla libertà d'espressione è quello che concerne la difesa dei diritti di proprietà , come possono essere i diritti della proprietà intellettuale ed, in particolar modo, per quanto riguarda l'oggetto della nostra trattazione, le prerogative del titolare del marchio. Ciò non toglie, come vedremo, che, nella ricerca di un bilanciamento tra questo principio e i c.d. " rights of others", 7 la libertà d'espressione debba esser considerata come un principio più alto, fondamentale per l'uomo, e quindi limitabile solamente nel caso ricorrano quelle determinate e tipizzate eccezioni a cui sopra abbiamo accennato. L'introduzione e la costituzionalizzazione a livello sia transazionale che statale di 5 V. R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Costituzionale, Giappichelli, Torino, 2006, pag. 510 “Siccome la circolazione delle idee è il presupposto della democrazia, la libertà di manifestazione del pensiero (detta anche libertà d'espressione) è da sempre considerata, dalla stessa giurisprudenza costituzionale, la pietra angolare del sistema democratico.” V. anche W. BRADLEY, K.D. EWING, Constitutional and Administrative Law, Pearson, 2007, pag. 541 “The right of freedom of expression, in the words of art. 10 of the European Convention on Human Rights, includes freedom to hold opinions and 'to receive and impart information and ideas without interference by public authority and regardless of frontiers'. This freedom is fundamental to the individual's life in a democratic society.” V. anche W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap.I , pag. 112-113; v. anche J.H. GARVEY, F. SCHAUER, The First Amendment, a Reader, West Publishing Co., St. Paul, 1992, pag. 100 ss. 6 V. ibid., pag. 116 “The rationale of discovering truth and the democracy rationale also provide indications of the limitations of the freedom. Such limitations of freedom of expression may be warranted if expression is overly harmful or offensive, meaning that a balancing process between the freedom and the harms caused must be carried out.” 7 V. art. 10.2 Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo in cui si parla di restrizioni alla libertà d'espressione per assicurare la protezione dei diritti altrui come vedremo in 2.1.2.; v. anche la art. 5.2. Grundgesetz tedesca che, come vedremo in 2.1.1., prevede limitazioni alla libertà d'espressione in caso di contrasto con leggi generali (“in den Vorschriften der allgemeinen Gesetze“). 99 questo principio porta, inoltre, come conseguenza il dovere in capo al legislatore di rispettarne la ratio, tanto nei rapporti verticali Stato-individuo, quanto nella legiferazione che ha ad oggetto i rapporti orizzontali tra individui. 8 Il riconoscimento e l'elevazione a diritto fondamentale della libertà d'espressione porta quindi con sé un'obbligazione di tipo positivo per il legislatore, che consiste nel dovere di statuire norme, anche per quel che riguarda il diritto dei marchi, che, pur tenendo conto dei diritti degli altri , nei rapporti tra individui non causino un'ingiustificata restrizione od amputazione della suddetta libertà. 9 Quando questo bilanciamento, operato dal legislatore, dovesse poi dimostrarsi ambiguo o carente, tanto nella 8 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, cap. I pag. 102 “Indirect horizontal effect means that application of fundamental rights in horizontal conflicts is effected indirectly by interpreting the norms of private law in accordance with constitutional norms.” Questa è una delle grandi novità apportate dalla Convenzione Europea dei Diritti dell''uomo secondo Sakulin il quale fa discendere questi effetti dagli dal Preambolo della Convenzione e dagli artt. 1 e 13; v. ibid. “In cases before the ECtHR, only state parties can be held responsible for a violation. Therefore, in a technical sense, cases brought before the Court always concern a vertical legal conflict between private parties and State parties. The underlying conflict may however well be one between private parties. In such cases, the ECtHR has relied upon an institutional theory of indirect horizontal effect, i.e. on a broad understanding of the responsibility of state organs. The basis of indirect horizontal effect of the rights contained in the ECHR can be found in the Preamble, as well as in Articles 1 and 13 of the Convention. The Preamble states that a Contracting State needs 'to secure to everyone within its jurisdiction the rights and freedoms defined in the convention.'” 9 V. ibid., pag. 103 “In the conflict between third party freedom of expression and trademark rights, such positive obligations are very important. From the international perspective of the EctHR, a State is under the obligation to ensure that the exercise of trademark rights will not cause a disproportionate impairment of freedom of expression.” Sakulin vede dunque lo stato come garante ultimo del pluralismo e come tale ricade su di esso il dovere di strutturare la tutela del marchio in maniera compatibile col rispetto della libertà d'espressione; v. ibid., pag, 105 “The positive obligation must, in my view, thus be characterised as follows: the state, as the ‘ultimate guarantor of pluralism’, is under an obligation to structuring trademark law in a manner that it does not create obstacles to expressive diversity and in fulfilling this obligation the state needs to weigh the interest in protection expressive diversity against the interests of prospective trademark right holders.” Lo stesso si può rilevare nei rapporti tra Unione Europea e Stati Membri, ossia l'obbligo positivo per questi ultimi di applicare le normative europee nel rispetto di quei diritti che, come vedremo in 2.1.2., sono indicati come fondamentali dall'Unione stessa; v. R. ADAM, A. TIZZANO, Lineamenti di Diritto dell'Unione Europea, Giappichelli, Torino, 2010, pag. 125 “Quanto invece al rispetto dei diritti fondamentali nell'applicazione dei Trattati, la Corte di Giustizia non si è limitata ad affermare l'obbligo di tale rispetto degli atti delle istituzioni ed ad a valutare conseguentemente la compatibilità di tali atti con i diritti fondamentali. Essa ha anche precisato, […], che il limite che deriva da quell'obbligo si pone anche nei confronti dei comportamenti delle autorità nazionali quando queste agiscono in attuazione del diritto posto in essere dai Trattati.” 100 garanzia della libertà d'espressione quanto nella tutela di altri diritti individuali, sarà compito del giudice, come vedremo, ricercare un equilibrio. Nei seguenti paragrafi compiremo quindi una rapida panoramica di come il principio della libertà d'espressione sia stato costituzionalizzato a livello nazionale, regionale e transnazionale, all'interno degli ordinamenti oggetto del nostro esame comparativistico . 2.1.1. In Italia e nei paesi europei. In ambito europeo il riconoscimento da parte degli stati nazionali della libertà d'espressione è avvenuto in maniera temporalmente disomogenea. L'eccitazione prodotta dalle idee illuministiche e dai successi del movimento indipendentista nord-americano portarono la Francia, al termine di una sanguinaria rivoluzione, ad esser il primo paese del Vecchio Continente a costituzionalizzare la libertà d'espressione agli articoli 10 e 11 della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen : 1 0 “Nul ne doit être inquiété pour ses opinions, même religieuses, pourvu que leur manifestation ne trouble pas l’ordre public établi par la Loi. 10 Il rango costituzionale della Déclaration viene ribadito dal Preambolo della Costituzione del 1946, conservato dalla Costituzione del 1958 ed infine modificato nella forma, ma non di fatto nella sostanza, dalla recente legge costituzionale n. 2005-205 del 1 marzo 2005 la quale afferma che “Le peuple français proclame solennellement son attachement aux Droits de l'homme et aux principes de la souveraineté nationale tels qu'ils ont été définis par la Déclaration de 1789, confirmée et complétée par le préambule de la Constitution de 1946, ainsi qu'aux droits et devoirs définis dans la Charte de l'environnement de 2004 .“ 101 La libre communication des pensées et des opinions est un des droits les plus précieux de l’Homme: tout Citoyen peut donc parler, écrire, imprimer librement, sauf à répondre de l’abus de cette liberté, dans les cas déterminés par la Loi ." Libertà d'espressione viene dunque definita come libertà di pensiero, anche religioso, e di manifestazione di esso attraverso la scrittura e la stampa. Le limitazioni ad essa poste, come possiamo notare, riguardano questioni di ordine pubblico e quegli abusi determinati dalla legge. L'espansionismo napoleonico disseminò nei paesi conquistati il germe delle idee illuministiche, che sopravvisse, anche se con toni non altrettanto radicali, anche nel successivo periodo della Restaurazione. Fu così che la libertà di stampa, antesignana della libertà d'espressione ed in essa ricompresa, venne costituzionalizzata nel 1815 in Olanda, 11 nel 1831 in Belgio e nel 1848, attraverso lo Statuto Albertino, in Italia. 1 2 La Germania, non toccata dalle conquiste napoleoniche, vedrà una costituzionalizzazione della libertà d'espressione solamente nel 1919, attraverso l'art.118 della fugace quanto moderna Costituzione di Weimar, cancellata dal nazionalsocialismo e ristabilita, ed opportunamente modificata, dalla neonata Repubblica Federale Tedesca nel 1949. All'art. 5 della Grundgesetz si afferma che: “Ognuno ha diritto di esprimere e diffondere liberamente le sue opinioni con parole, scritti e immagini, e di informarsi, senza essere impedito, da fonti accessibili a tutti. Sono garantite la 11 Nei Paesi Bassi avremo poi una piena costituzionalizzazione della libertà d'espressione (e non solo di quella di stampa) nel 1983, anno in cui viene riformata la Costituzione introducendovi una carta dei diritti. 12 Art. 28 Statuto Albertino, 1848: “La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi.” 102 libertà di stampa e d’informazione mediante la radio ed il cinematografo. Non si. può stabilire alcuna censura Questi diritti trovano i loro limiti nelle disposizioni delle leggi generali, nelle norme legislative concernenti la protezione della gioventù e nel diritto della persona al suo onore. L’arte e la scienza, la ricerca e l’insegnamento sono liberi. La libertà d’insegnamento non esenta dalla fedeltà alla Costituzione.” La garanzia da essa fornita riguarda l'espressione delle proprie idee attraverso la parola, la scrittura, le immagini. Viene inoltre assicurata la libertà di stampa e per i nuovi media quali radio e cinematografo, senza possibilità di censura, oltre la libertà di scienza ed insegnamento. I limiti in essa individuati concernono, come possiamo vedere, le leggi generali, la protezione dei giovani e il diritto all'onore. In Italia, invece, una piena costituzionalizzazione del la libertà d'espressione avverrà con la costituzione repubblicana del 1948. Questo principio verrà introdotto all'art. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa 103 non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto. [...] Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.” In questa norma, che al pari di quella francese e tedesca ingloba altresì la libertà di stampa, prevede alcune limitazioni derivanti dalla legge sulla stampa e dalle norme dettate dal c.d. buon costume. 1 3 Per quanto riguarda poi la Gran Bretagna, la mancanza di una costituzione scritta ha rallentato il processo di riconoscimento, su di un piano formale 1 4 ed, in un'ottica di gerarchia delle fonti, più alto, della libertà d'espressione. Ciò è difatti avvenuto solamente nel 1998 attraverso lo Human Rights Act che garantisce la libertà d'espressione all'articolo 12, vietando ogni restrizione alla stampa senza che vi sia la decisione di una corte in merito e ponendo l'obbligo per le corti di avere un “particular regard to the importance of the Convention right to freedom of expression”. Da citare in ultimo la Spagna che vedrà costituzionalizzata la libertà d'espressione solamente nel 1978, attraverso la costituzione che 13 Sul concetto di 'buon costume' v. R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Costituzionale, Giappichelli, supra nota 4, pag. 511 “L'unico limite che l'art. 21 Cost. Pone alla libertà d'espressione è il buon costume, viene inteso come il 'pudore sessuale. […] E' evidente che, proprio perché riferito alla morale sessuale, il limite del buon costume è legato all'evoluzione dei costumi.” 14 In quanto su un piano sostanziale questo principio era già ampiamente riconosciuto a livello giurisprudenziale; v. W. BRADLEY, K.D. EWING, Constitutional and Administrative Law, supra nota 4, pag. 541 “The right of freedom of expression has been formally strengthened by the Human Rights Act 1998, although even before the enactment and coming into force of this measure the right to freedom of expression was winning a new prominence in the case law, being supported by a number of powerful judicial dicta and extrajudicial statements. […] In fact the Human Rights Act has made only a limited impact in the field of freedom of expression, despite the very robust judicial dicta in its defence.” 104 segna il passaggio dalla dittatura franchista alla monarchia costituzionale. 2.1.2. Nella Comunità Europea Il primo riconoscimento in ambito europeo dei diritti fondamentali, tra i quali la libertà d'espressione, avvenne pochi anni dopo la conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Questo accordo, che vide tra i suoi firmatari originari quei paesi europei facenti parte del c.d. blocco occidentale , venne concluso a Roma il 4 novembre 1950 e prese il nome di Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU). In essa viene garantita la libertà d'espressione all'art. 10 che recita: “1. Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione. 2. L'esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l'integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione 105 di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario.” La formulazione utilizzata nella descrizione delle attività tutelate dalla libertà d'espressione è volutamente ampia, in modo da ricomprendervi un ampio spettro di differenti tipi di espressione ed altresì di comunicazione. 1 5 A tutela dei diritti sanciti dalla CEDU venne poi attivata, nel 1959, la Corte Europea dei Diritti Umani con sede a Strasburgo, al cui giudizio possono adire persone sia fisiche che giuridiche, dopo che i rimedi, previsti dalle giurisdizioni interne, siano esauriti. Gli stati firmatari della CEDU si sono inoltre impegnati a dar esecutività alle sentenze da essa pronunciate. 1 6 La stessa CEDU prevede, altresì, una serie di limitazioni della libertà d'espressione 1 7 al fine di prevenire quei possibili danni derivanti da un suo abuso. Oltre alle restrizioni che concernono ragioni di sicurezza pubblica o nazionale, di integrità territoriale, di salute, morale, reputazione altrui, ordine pubblico, prevenzione dei reati, per il tema della nostra trattazione riveste grande importanza il 15 Ciò è stato confermato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo come fa notare Sakulin in v. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag.93- 94. “Article 10.1 ECHR describes the subject matter in very broad terms […] In its jurisprudence, the ECtHR has made clear on many occasions that Article 10 is not restricted to certain categories of information, ideas, or only those forms of expression that are of democratic value. In principle, all kinds of expression fall under the subject matter of Article 10.1 ECHR. This includes opinions as well as factual information. The Article also covers radio programs with popular music, commercial information, or advertisements. The use of symbols equally falls under Article 10 ECHR.” 16 V. CEDU, art. 46.1. “Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti.” 17 V. K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, Lewis & Clark Law Review, 2007, pag. 683-684 “The European countries are governed by the European Convention of Human Rights, which affords protection for freedom of expression in Article 10, as well as authorizes limitations of that freedom: (1) in certain circumstances; (2) when necessary; and if so, (3) by legislative action. Limitations for reasons other than those expressly stated are not allowed.” 106 rispetto dei diritti degli altri , tra i quali possono rientrare a pieno titolo i diritti della proprietà intellettuale. 1 8 Il processo di costituzione dell' Unione Europea è andato poi di pari passo con il riconoscimento al suo interno di quei diritti fondamentali enunciati dalla CEDU. Ciò è avvenuto sin dal Trattato di Maastricht del 1992 che al Titolo I, art. F.2 afferma che “l'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario ”. 18 Parte della dottrina e della più recente giurisprudenza arriva a costituzionalizzare i diritti della proprietà intellettuale; v. ibid., pag. 675-676 “Another approach could be to view trademark law as a manifestation of constitutionally protected property […] This view shows great deference to the legislature. An extreme form of this approach views any trademark interest as constitutionally protected property. In a recent case before the European Court of Human Rights, it was argued that a trademark application created constitutionally protectable “legitimate expectations,” which must be protected against expropriation, even if registration is subsequently rejected due to opposition by a third party with prior rights to the mark.” La decisione a cui si riferisce Weckstrom è Anheuser-Busch Inc. v. Portugal, Corte Europea dei Diritti Umani, 45-36, 11 gennaio 2007: richiamandosi al I Protocollo alla CEDU, emanato nel 1952 ed intitolato Protezione della Proprietà, il quale afferma all'art.1 che “ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale” la Corte sostiene “that while it was clear that a trade mark constituted a “possession” within the meaning of Article 1 of Protocol No. 1 [italics added], this was so only after final registration of the mark, in accordance with the rules in force in the State concerned. Prior to such registration, the applicant did, of course, have a hope of acquiring such a “possession.” but not a legally-protected legitimate expectation.” A prescindere ora dalla problematica se una richiesta di registrazione possa esser considerata come proprietà all'interno dell'art. 1 del I Protocollo, riveste per noi interesse il fatto che la Corte non esiti a qualificare il marchio come una proprietà pienamente rientrante nel suddetto articolo; v. a proposito anche A. RAHMATIAN, Trade Marks and Human Rights, in P.L.C. TORREMANS, Intellectual Property and Human Rights, Wolters Kluwer, 2008, pag. 344 “This aspect of human rights protection concerns the holder of a trade mark as the holder of a property right. The extent of this property right is defined by the essential function of the trade mark. The protection of property can normally be found in national constitutions, but is not a typical feature of international human right protection. Neither the International Covenant on Civil and Politic Rights, nor the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights contain property protection provisions. The European Convention on Human Rights protects property not in his main body, but only trough the First Protocol which was added later. […] The newest, and in the present context of trade marks, most relevant decision of the European Court of Human Rights is Anheuser-Busch Inc. v. Portugal [...] The European Court of Human Rights held that a trade mark, as well as a trade mark application, and indeed any intellectual property right is 'possession' within the meaning of Art. 1." 107 Nel 2000 è stata poi promulgata dagli Stati Membri dell'Unione la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (2000/C364/01), detta anche Carta di Nizza dal luogo della sua proclamazione), che, modificata successivamente nel 2007 e nel 2010 (2010/C83/02), garantisce la libertà d'espressione all'articolo 11: “1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. 2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.” I diritti sanciti da questa Carta non verranno inseriti però nel Trattato Europeo promulgato a Nizza nel 2000. 1 9 Per il suo ingresso a pieno titolo nell'architettura delle fonti dell' Unione bisognerà infatti attendere il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 novembre 2010, che darà piena vincolatività per gli Stati Membri ai diritti da essa sanciti, in base al richiamo che ne viene fatto all'art. 6. Attraverso quest'ultimo viene difatti conferita alla Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea lo stesso valore giuridico spettante ai Trattati. 2 0 Viene inoltre ribadita, dallo stesso articolo, l'adesione alla CEDU e la ricomprensione dei diritti da essa 19 La Carta di Nizza quindi non era dotata, al momento della sua promulgazione, di alcuna efficacia vincolante per gli Stati; v. R. ADAM, A. TIZZANO, Lineamenti di Diritto dell'Unione Europea, supra nota 8, pag. 127 “Essa [la Carta di Nizza, n.d.r.] si presentava allora come uno strumento formalmente privo di valore vincolante, che ritraeva però un indubbio valore interpretativo dal fatto di essere comunque ricognitiva di diritti in buona parte già altrove consacrati in forma giuridica.” 20 V. Versione consolidata del Trattato sull'Unione Europea, C- 83/13, 30 marzo 2010, art. 6.1 “L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.” 108 garantiti all'interno del diritto dell' Unione Europea in qualità di principi generali. 2 1 2.1.3. Negli Stati Uniti Nella struttura legislativa americana la garanzia dei diritti fondamentali è affidata al c.d. Bill of rights, composto da dieci emendamenti aggiunti alla Costituzione nel 1789, poco dopo la sua promulgazione. La libertà d'espressione è oggetto del primo di questi emendamenti: “Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances.” In questo emendamento, fonte di ispirazione per le successive costituzionalizzazioni della libertà d'espressione nel Vecchio Continente, viene indicato a chiare lettere il divieto in capo al Congresso di stabilire leggi che limitino la libertà di parola (“ freedom of speech”) e quella di stampa. Se per un lungo periodo questa norma riguardò solamente il potere legislativo federale, a partire dal caso Gitlow v. New York la Corte Suprema stabilì, attraverso l'applicazione della “ due process clause ”, prevista dal 21 V. ibid., artt. 6.2. e 6.3. “2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati. 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali.” 109 XIV emendamento, che i sopracitati diritti dovessero esser difesi anche contro possibili menomazioni compiute da leggi statali. 2 2 Pur se non indicati dal I emendamento, sussistono comunque sia dei limiti alla libertà d'espressione nell'ordinamento statunitense, riconosciuti nel corso degli anni dalla giurisprudenza della Corte Suprema, al fine di scongiurare quei pericoli derivanti da un suo abuso. Queste restrizioni riguardano l'oscenità, 2 3 la diffamazione, 2 4 l'incitamento al reato 2 5 o alla sedizione, il causare un panico ingiustificato. 2 6 Nel 2010 è stato poi emanato il “Securing the Protection of our Enduring and Established Constitutional Heritage Act ” (SPEECH Act) che rende non esecutive le sentenze emesse al di fuori degli Stati Uniti a carico di cittadini americani, qualora non siano dichiarate compatibili con il I emendamento. 22 V. Gitlow v. New York, U.S. Supreme Court, 268 US 652, 8 giugno 1925 “For present purposes we may and do assume that freedom of speech and of the press-which are protected by the First Amendment from abridgment by Congress-are among the fundamental personal rights and 'liberties' protected by the due process clause of the Fourteenth Amendment from impairment by the States.” 23 V. ad es. Roth v. United States, U.S. Supreme Court, 354 US. 476 24 giugno 1957 “At the time of the adoption of the First Amendment, obscenity law was not as fully developed as libel law, but there is sufficiently contemporaneous evidence to show that obscenity, too, was outside the protection intended for speech and press.” Il criterio dell'oscenità, al pari di quello del buon costume (v. 2.1.1.), è in continua evoluzione nel corso del tempo e dipende dal comune sentire del cittadino medio; v. Miller v. California, U.S. Supreme Court, 413 U.S. 15, 21 giugno 1973 “The basic guidelines for the trier of fact must be: (a) whether "the average person, applying contemporary community standards" would find that the work, taken as a whole, appeals to the prurient interest, Roth, supra, at 489, (b) whether the work depicts or describes, in a patently offensive way, sexual conduct specifically defined by the applicable state law, and (c) whether the work, taken as a whole, lacks serious literary, artistic, political, or scientific value.” 24 Per un approfondimento in materia v. D. MILO, Defamation and Freedom of Speech, Oxford University Press, 2008. 25 V. Brandeburg v. Ohio, U.S. Supreme Court, 395 U.S. 444, 9 giugno 1969 “These later decisions have fashioned the principle that the constitutional guarantees of free speech and free press do not permit a State to forbid or proscribe advocacy of the use of force or of law violation except where such advocacy is directed to inciting or producing imminent lawless action and is likely to incit537 U.S.e or produce such action.” V. anche Stewart v. McCoy, U.S. Supreme Court, 537 U.S. 993, 21 ottobre 2002. 26 V. Schenck v. U.S., U.S. Supreme Court, 249 U.S. 47, 3 marzo 1919 “The most stringent protection of free speech would not protect a man in falsely shouting fire in a theater and causing a panic.” 110 2.1.4. Nelle fonti transnazionali La tutela della libertà d'espressione, come anche di altri diritti fondamentali dell'uomo, ha altresì una dimensione transnazionale testimoniata principalmente da due carte dei diritti promulgate in sede ONU. La prima di queste venne emanata nel 1948, a pochi anni dalla creazione dell'ONU e della fine della II Guerra Mondiale e prese il nome di Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo . In essa la libertà d'espressione trova tutela all'art. 19.2: “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.” Come in alcune delle Carte Costituzionali analizzate nei paragrafi precedenti anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo la libertà d'espressione viene intesa sia in senso attivo (ossia come libertà del soggetto di manifestare le proprie opinioni), sia in senso passivo (come il diritto dell'individuo a ricevere idee e informazioni). Anche in essa, poi, sono indicate delle limitazioni all'esercizio dei diritti e alle libertà fondamentali. Di ciò si occupa l'art. 29.2: “Nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti e della libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della 111 morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società democratica.” L'esercizio delle libertà fondamentali da parte dell'individuo non deve quindi travalicare il rispetto di diritti e libertà altrui e quei confini dettati dalla morale, dall'ordine pubblico e dal benessere generale. Nella prospettiva di nostro interesse possiamo ascrivere i diritti del titolare del marchio sotto la dicitura “ diritti altrui”. I diritti propugnati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo del '48 vengono poi ribaditi da un altro documento emanato in sede ONU nel 1976. Questo è il Patto internazionale sui diritti civili e politici, che si occupa della tutela della libertà d'espressione all'art. 19.2: “Ogni individuo ha diritto alla libertà d'espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso altro mezzo di sua scelta.” Al pari dell'art. 19.2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo viene dunque data tutela alla libertà d'espressione sia nella sua dimensione attiva che passiva. Nel Patto internazionale sui diritti civili e politici vengono in aggiunta specificati gli strumenti attraverso i quali è possibile esercitare questa libertà. Tra questi strumenti viene indicata anche la forma artistica che, come vedremo, rivestirà grande importanza nella nostra trattazione. L'ampia formula “ altro mezzo di sua scelta ” fa si che vi vengano ricompresi anche strumenti quali ad esempio Internet, che, pur non 112 esistenti all'epoca della promulgazione di questa carta, vi possono esser ricompresi dato il carattere residuale della dicitura utilizzata. All'art. 19.3 vengono poi indicati i limiti all'interno dei quali la libertà d'espressione viene tutelata: “L'esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente articolo comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto sottoposto a certe restrizioni che però devono esser espressamente stabilite dalla legge e necessarie: a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell'ordine pubblico, della sanità o della morale pubblica. ” Oltre quindi al rispetto dei diritti altrui, dell'ordine pubblico e della morale questa carta, rispetto alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, aggiunge la salvaguardia della reputazione altrui, della sanità e della sicurezza nazionale. Da notare, in ultimo, come la normativa TRIPs non faccia riferimento alla protezione della libertà d'espressione né ad alcuna altra limitazione ai diritti dei marchio. 2 7 Ciononostante l'utilizzo inautorizzato da parte di terzi di marchi nel perseguimento di fini parodistici, satirici e critici viene fatto rientrare all'interno delle eccezioni ricomprese nella categoria del fair use, indicata dall'art.17 27 V. K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, supra nota 17, pag. 690 “Unlike agreements regarding other forms of intellectual property, the TRIPS agreement does not contain any explicit limitations on trademark rights (other than allowing for limited exceptions).” 113 TRIPs, 2 8 sul quale ci siamo soffermati al paragrafo 1.3 e su cui ritorneremo più avanti nel corso del presente capitolo. 2.2. Il conflitto tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchi. Dopo aver analizzato, nel primo capitolo, le prerogative del titolare del marchio e la loro tutela nei diversi ordinamenti oggetto del nostro studio ed aver esaminato, nei paragrafi precedenti, la tutela, in essi conferita alla libertà d'espressione ed i limiti a quest'ultima posti, è giunto il momento di addentrarci nel cuore della nostra trattazione. Come già accennato nell'introduzione, difatti, nel corso degli ultimi quarant'anni, l'esercizio della libertà d'espressione si è più volte scontrato (transnazionale, con regionale quei e diritti nazionale), che, a sono stati vari nel livelli tempo conferiti al titolare del marchio o che discendono da principi civilistici altri rispetto al diritto dei marchi, 2 9 nei casi in cui l’utilizzo del segno distintivo altrui non venga considerato come uso del marchio, 3 0 come vedremo quando ci occuperemo di 28 V. United Nation Conference on trade and development, Dispute Settlement, WTO, 3.14 TRIPs, 2003, pag. 16 (http://www.unctad.org/en/docs/edmmisc232add18_en.pdf ) “There are a variety of circumstances under which it may be necessary or useful to permit the use of a trademark or service mark outside the specific context of the marketing of the particular good or service on which it is used by its holder. These circumstances are addressed in a broad way by Article 17 of the TRIPS Agreement which permits limited exceptions, such as the fair use of descriptive terms. The writer of a news story regarding a company and its products may refer to the products by their trademark since there is a public interest in this type of reference. The writer of a satire or parody might refer to a trademarked product in the interests of promoting freedom of expression.” 29 Come ad esempio il risarcimento del danno ingiusto (art. 2043 C.C. e art. 1382 Code Civil Français) o la concorrenza sleale (art. 2598 C.C.) 30 V. ad esempio Bumms Mal Wieder, Bundesgerichtshof, 3 giugno 1986, in GRUR 1986; Bild der keine Meinung, OLG Hamburg, 4 giugno 1998; Kampagne gegen die Jagd, OLG Koln, 10 marzo 2000; Oil-of-Elf.de, Kammergericht Berlin, 23 ottobre 2001; Stoppesso.de, LG Hamburg, 10 giugno 2002; Ass. Investici c. Trenitalia, Trib. Milano, 7 settembre 2004, FIAT c. RAI, Formigli, Santoro, Trib. Torino, 20 febbraio 2012. V. anche quanto detto in 1.4. 114 analizzare la giurisprudenza in merito. Questo scontro viene originato dall'utilizzo non autorizzato del marchio altrui (sia che venga inteso come uso del marchio o che avvenga, per così dire, al di fuori del diritto dei marchi), attraverso diversi strumenti (quali ad esempio l'arte, la musica, Internet) e con diverse finalità: prettamente parodistiche o satiriche in alcuni casi, denotate altresì da intenti di critica sociale in altri. Altre volte invece, sotto le mentite spoglie di un uso parodistico, come vedremo, si sono celati scopi meramente commerciali. L'utilizzo del marchio altrui nelle sue diverse forme, come avremo modo di osservare, ha determinato molteplici conseguenze per quel che riguarda i marchi, la loro reputazione e la loro capacità attrattiva e distintiva. A queste abbiamo già accennato nel capitolo dedicato alla tutela del marchio notorio (v. 1.2.3.3.), ma vi ritorneremo, nei paragrafi che seguono, focalizzandoci sugli effetti che la satira, la parodia e la critica possono avere su di esso. Approfondiremo inoltre le categorie del due cause e del fair use, alle quali abbiamo altresì accennato nel corso del primo capitolo, oltre che la differenziazione compiuta, tra utilizzazioni del marchio altrui compiute con intenti commerciali e quelle, invece, di essi prive. In questo modo verranno costituite quelle basi ermeneutiche che ci saranno utili, nel corso del capitolo III, nella ricostruzione del bilanciamento, operato dalla giurisprudenza, tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio, al fine di dirimere il conflitto tra di loro. 2.2.1. Strumenti e finalità. L'utilizzo non autorizzato del marchio altrui nel corso degli anni è avvenuto, come avremo modo 115 di vedere, attraverso diversi strumenti. Abbiamo già accennato, nel primo capitolo, a casi che hanno riguardato, ad esempio, un’utilizzazione mediante opere d'arte, 3 1 magliette, 3 2 posters, 3 3 filmini o riviste pronografiche. 3 4 Altre utilizzazioni si sono verificate, nel corso degli anni, all'interno di opere letterarie 3 5 o musicali 3 6 . Negli ultimi anni, poi, conseguentemente alla diffusione di questa nuova tecnologia, il canale preferenziale per un utilizzo non autorizzato del marchio è senza dubbio diventato Internet. 3 7 Per via delle sue intrinseche 31 V. ad es. Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di Den Hague, 4 maggio 2011, anche se in questo caso, come vedremo, si tratta dell’utilizzo di un design registrato; v. anche Mattel Inc., v. Walking Mountain Productions, U.S. Court of Appeals, 9th Circuit, 353 F.3d 792, 6 marzo 2003. 32 V. ad es. Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss.; Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; Hard Rock Holdings Ltd. c. BM e BG s.r.l., Trib. Roma, 16 settembre 2005; Mutual of Omaha Insurance Company v. Novak, U.S. Federal Court of Appeals, 8th Circuit, 836 F.2d 397, 30 dicembre 1987; Black Dog Tavern Co., Inc. v. Hall, U.S. District Court, Massachusetts, 823 F.Supp. 48, 3 giugno 1993; Nike, Inc. v. .Just Did It. Enterprises, U.S. Court of Appeals, 7th Circuit, 6 F. 3d, 1993; Starbucks Corp. v. Dwyer, U.S. District Court, N.D. California, 2000; ADIHASH, gives you speed, OLG Hamburg, 5 settembre 1991, in GRUR 1992; Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2d 1302, 20 marzo 2008. 33 V. ad es. Stop the Olympic Prison v. United States Olympic Committee, U.S. District Court, New York, 489 F. Supp. 1112, 25 febbraio 1980; Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972; Grosses Mordoro Poker Bundesgerichtshof, 17 aprile 1984, in GRUR 1984. 34 Dallas Cowboys Cheerleaders, Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S. Court of Appeals, 2 nd Circuit, 604 F.2d 200, 1979; The Pillsbury Company v. Milky Way Productions, Inc. et al., U.S. District Court, Georgia, 215 U.S.P.Q, 24 dicembre 1981; Lucasfilm Ltd. v. Media Market Group, Ltd, U.S. District Court, N.D. California, 182 F. Supp. 2D 897, 8 gennaio 2002. 35 V. ad es. Dr. Seuss Enters. L.P. v. Penguin Book USA, Inc., U.S. Court of Appeals, 9 th Circuit,, 109 F.3d 1394 , 27 marzo 1997. 36 Mattel v. MCA Records, US Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F.3d 894, 24 luglio 2002; The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 971 F.2d 302, 1992. 37 V. ad es. S.A. Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre 2005; Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003; Stoppesso.de, LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, in GRUR 2003; Oil-of-Elf.de, Kammergericht Berlin, 23 ottobre 2001; Scheiss-t-online, LG Dusseldorf, 30 gennaio 2002; Ass. Investici c. Trenitalia, Trib. Milano, 7 settembre 2004; IlMioCastello spa c. Monte dei Paschi di Siena, Trib. Siena, 11 agosto 2003; Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25 settembre 2000; Bally Total Fitness Holding Corp. v. Faber, U.S. District Court, California, 29 F. Supp. 2D, 23 novembre 1998; Ford Motor Co. v. 2600 Enterprises, U.S. District Court, Michigan, 177 F. Supp. 2D, 20 dicembre 2001; Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998; Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997; OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 86 F.Supp.2d 17, 28 febbraio 2000; Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2d 1302, 20 marzo 2008; People for the Ethical 116 caratteristiche, che permettono il raggiungimento di una platea tanto ampia da potersi considerare universale, e alle difficoltà, almeno nei primi anni della sua espansione, di un suo controllo e di un suo inquadramento giuridico, Internet ha rappresentato e rappresenta il canale privilegiato attraverso il quale la parodia, la satira e la critica del marchio (e soprattutto delle malefatte del suo titolare) possono raggiungere un pubblico sempre più vasto. 3 8 Avremo modo di analizzare più approfondimente questa tematica nel corso del paragrafo 3.3., che sarà per l'appunto dedicato all'ampliarsi del conflitto tra i diritti del titolare del marchio e la libertà d'espressione nel mondo telematico. Dedicheremo, invece, i seguenti paragrafi ad un'analisi delle finalità perseguite dagli utilizzatori non autorizzati del marchio altrui. Treatment of Animals, Inc. v. Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 263 F.3d 359, 18 settembre 2001. 38 V. H. TRAVIS, The Battle for Mindshare: The Emerging Consensus that the First Amendment Protects Corporate Criticism and Parody on the Internet, Virg. Journ. of Law & Techn., 2005, pag. 2 “Consumers, political activists, and small businesses are increasingly turning to the Internet to voice their complaints about unfair or unlawful corporate conduct. These “cybergripers” are establishing thousands of Web sites, newsgroups, listservs, and blogs dedicated to criticizing or parodying their targets.” V. anche M. BARRET, Domain Names, Trademarks and the First Amendment: Searching for Meaningful Boundaries, Connecticut Law Review, 2007, pag. 975 “In many respects the Internet has turned trademark law on its head. This new technology provides unprecedented opportunities, both to trademark owners and to their critics, parodists and other detractors, to utilize marks to get their message across to a global audience. Trademark owners predictably have objected to their detractors’ use of their marks to avail themselves of this new, potentially global forum, and have pushed hard to cut them off through application (and expansion) of trademark infringement, dilution, and anticybersquatting causes of action.” V. anche M. MARZETTI, Speechless Trademarks? Dilution Theory meets Freedom of Speech, Collection of research papers, WIPO Worldwide Academy, 2004-2005, pag. 15 “The Internet has made very easy to access to huge loads of data (which may help to reduce information asymmetries) at the click of a mouse. It also empowered common people to post their own thoughts and critical comments online, in the form of websites or blogs. Because of these factors, conflicts originated online (between trademark owners and netizens) are more abundant than those pertaining to the brick-and-mortar world.” V. anche W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag.13; v. anche W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, Iowa L. R., 2008, pag. 58. 117 2.2.1.1. Parodia e satira – una distinzione opportuna? Abbiamo sottolineato conosciuto, negli in ultimi precedenza decenni, come un il marchio incremento abbia della sua importanza, del suo valore e della sua presenza, fattori che lo hanno trasformato in un imprescindibile protagonista della moderna cultura popolare. Come tale esso è diventato bersaglio di parodia, satira e critica da parte di artisti, cantanti, contestatori o semplici imprenditori decisi a sfruttarne la notorietà per vendere i propri prodotti. In questo paragrafo analizzeremo le categorie della parodia e della satira, interrogandoci sul significato e sull'opportunità di una distinzione tra di loro. Il paragrafo successivo sarà invece dedicato all'esame degli utilizzi non autorizzati del marchio compiuti a fine di critica. Nate come generi letterari, satira e parodia, seppur generalmente confuse tra di loro, 3 9 presentano differenti caratteristiche. Partendo da una distinzione prettamente di carattere etimologico-linguistico , mentre la parodia viene definita come " versione caricaturale o burlesca di un'opera seria", 4 0 la satira, seguendo l'espressione del suo padre latino Orazio, castigat ridendo mores, ossia prende di mira, esponendoli al ridicolo, costumi e comportamenti umani. 4 1 39 V. C.E. MAYR, Critica, Parodia, Satira, AIDA, 2003, pag. 278 “Parodia e satira, spesso confuse nel linguaggio comune, concernono fattispecie diversamente delineate sotto l'aspetto giuridico.” 40 V. N. ZINGARELLI, Vocabolario della Lingua Italiana, Zanichelli, 1996, pag. 1233; v. anche C.E. MAYR, Critica, Parodia, Satira, supra nota 39, pag. 278 “La parodia consiste insomma nel rifacimento scherzoso di un'opera d'arte, specie letteraria, che di essa rappresenta l'indispensabile antecedente.” 41 V. ibid. pag. 278 “La satira è il genere letterario e artistico che mette a nudo, con tono scherzoso e ridicolizzandoli, costumi, abitudini o comportamenti di un singolo individuo o di una categoria di persone.” V. anche N. ZINGARELLI, Vocabolario della Lingua Italiana, supra nota 40, pag. 1564 “Discorso, scritto, atteggiamento e sim. che ha più o meno esplicitamente lo scopo di metter in ridicolo ambienti, concezioni, modi di vivere e sim.” Sulla differenza tra parodia e satira v. anche E. GREDLEY, S. MANIATIS, Parody: A Fatal Attraction, Part 1: The Nature of Parody and its Treatment in Copyright, EIPR, 1997, pag. 340 “Parody's ironic or comic juxtapositioning of artistic or linguistic materials is also claimed as its defining characteristic, whereas this is not a prerequisite of satire, which need not depend on imitation 118 La differenza che possiamo dunque riscontrare, da questa prima analisi, è che, mentre la parodia non ha altre finalità che non siano quelle appunto burlesche o di giocosa critica dell'opera originale , la satira nel suo disvelare, seppur attraverso la comicità, l'assurdità di determinati costumi, si propone altresì di " castigarli ". Parodia e satira sono state approfonditamente analizzate da giurisprudenza e dottrina soprattutto in relazione al diritto d'autore. In Italia la giurisprudenza ha affermato che la parodia è caratterizzata da un parassitismo ontologico (essendo, per forza, la parodia di qualcos'altro) ma non da parassitismo concorrenziale, in quanto non si pone in concorrenza con l'opera originaria. 4 2 Essa merita la protezione accordata dagli artt. 21 e 33 della Costituzione e, per questo, non viene ritenuta necessaria l'autorizzazione da parte dell'autore dell'opera originaria. 4 3 Sempre restando in ambito italiano, per quanto invece concerne la satira, la giurisprudenza ha più volte affermato l'esistenza di un vero e proprio diritto di satira coperto dall' ombrello costituzionale offerto dall'art. 21 della Costituzione, ritenendolo però operante solamente quando essa venga esercitata entro quei limiti comunque previsti alla libertà di manifestazione del pensiero. 4 4 of existing materials. It is generally agreed that satire's primary intention is moral or social criticism and its stance aggressive, corrective and often negative towards a source work.” 42 V. nota di G. GUGLIELMETTI a Tamaro e Baldini&Castoldi c. Comix s.r.l., Trib. Milano, Ordinanza, 29 gennaio 1996, in AIDA, 1996, 675 “In secondo luogo l'ordinanza del tribunale di Milano pone in evidenza che, benché la parodia intrattenga una stretta relazione con l'opera parodiata, senza la quale in effetti essa non avrebbe neppure ragione d'essere, tuttavia questo rapporto non implicherebbe che lo sfruttamento economico dell'opera parodistica possa compromettere o ridurre le utilità economiche dell'opera parodiata.” 43 V. Tamaro e Baldini&Castoldi c. Comix s.r.l., Trib. Milano, 29 gennaio 1996, in AIDA, 1996, 672 “Si deve, d'altro canto, convenire con il primo giudice [il riferimento è alla sentenza del Trib. Di Napoli del 27/5/1908 avente ad oggetto la parodia dell'opera dannunziana “La figlia di Jorio”, n.d.r.], che la conclusione si rivela, in ogni caso, obbligata in considerazione della tutela costituzionalmente garantita alla libertà di manifestazione del pensiero ed a quella di creazione artistica, tanto più che, come reiteratamente sottolineato dalla dottrina, qualora si richiedesse il consenso dell'autore dell'opera parodiata per la realizzazione della parodia, verrebbe ad esser pregiudicata la stessa possibilità di sopravvivenza del genere, essendo il rilascio dell'autorizzazione altamente improbabile quantomeno nei casi di più intensa e accesa contrapposizione all'opera parodiata.” 44 V. V. Senesi, S. Frau, Corte di Cassazione, 22 dicembre 1998, in AIDA, 1999, 391 “In effetti 119 Per quanto riguarda la tutela del marchio, invece, la giurisprudenza italiana non ha adottato una chiara distinzione tra le fattispecie di parodia e satira. Nei casi che si è finora trovata ad affrontare, comunque, l'utilizzo non autorizzato del marchio altrui ha sempre avuto i connotati di un utilizzo parodistico più che satirico. 4 5 L'approfondimento di questi casi verrà compiuto più avanti nella nostra trattazione, ma possiamo fin d'ora anticipare che questo utilizzo è quasi sempre avvenuto, nel panorama italiano, attraverso uno sfruttamento in chiave commerciale della notorietà del marchio anteriore. 4 6 Ciò ha comportato la venuta meno della protezione offerta dalla libertà d'espressione a questo tipo di parodia, in quanto non rivolta alla creazione di un'opera, ad esempio, artistica, ma (quasi) sempre semplicemente agganciata al marchio anteriore per fini commerciali. 4 7 esiste un diritto di satira riconosciuto in dottrina, distinto da quelli di cronaca e di critica soprattutto dalla giurisprudenza di merito. […] Ma al pari di ogni altra manifestazione di pensiero, essa non può superare il rispetto dei valori fondamentali, esponendo, oltre il ludibrio della sua immagine pubblica, al disprezzo della persona.” V. anche il commento di M. FAZZINI a Editoriale La Repubblica s.p.a. e E. Scalfari c. B. Craxi, Corte di Cassazione, 13 novembre 1996, in AIDA, 1997, pag. 634-635 “La satira, si argomenta, è una manifestazione del pensiero umano e ciò significa la riconduzione all'art. 21 cost. […] Per costante giurisprudenza, l'esercizio del diritto di satira è altresì soggetto a limiti interni ed esterni finalizzati a renderlo compatibile con i contrapposti diritti della personalità facenti capo ai soggetti colpiti dal messaggio satirico.” Se, per quanto riguarda la tutela del marchio, non possiamo parlare di limiti dovuti ai diritti della personalità del suo titolare, questi limiti riguardano invece, in questo caso, i diritti a costui conferiti in quanto titolare di un marchio. 45 V. Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony Music- Entertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in IDI 2010, 214 ss. e Giur. Ann. Dir. Ind. 2009, 5466; Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; La Chemise Lacoste S.A. c. Crocodile Garments LTD, Trib. Milano, 12 luglio 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 4017; Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss.; GRH c. Newton Compton editori, Trib. Roma, 23 giugno 2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375. 46 V. Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss.; GRH c. Newton Compton editori, Trib. Roma, 23 giugno 2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375. 47 V. C. GALLI, La Protezione del Marchio oltre il Limite del Pericolo di Confusione, in AA.VV., Segni e Forme Distintive, la Nuova Disciplina, collana diretta da A. VANZETTI, G. SENA, Giuffrè, Milano, 2001, pag. 44 “E' però evidente che altro è la parodia effettuate nel contesto di un'opera di carattere letterario o artistico, altro è quella realizzata in ambito commerciale al fine di vendere prodotti o servizi: ed infatti anche nella giurisprudenza statunitense, che per prima e più ampiamente si è occupata dei problemi dell'uso parodistico dell'altrui marchio 120 In ambito europeo possiamo riscontrare un maggior numero di casi di utilizzo parodistico o satirico del marchio altrui avvenuti in chiave non prettamente commerciale; ciò ha reso più semplice la loro ricomprensione all'interno della libertà d'espressione. 4 8 Nella giurisprudenza dei principali paesi europei in tema di marchi, come del resto in quella italiana e al contrario, come vedremo tra poco, di quella statunitense, non viene però approfondita la distinzione, nell'ambito del diritto dei marchi, tra parodia e satira, tendendo a ricomprenderle entrambe all'interno della libertà d'espressione, qualora non presentino intenti puramente commerciali, confusori o concorrenziali rispetto ai prodotti contrassegnati dal marchio che, senza autorizzazione, viene utilizzato o non siano puramente denigratorie del marchio stesso. 4 9 Ci occuperemo dei casi in cui le questa giustificazione (fondata sul primo emendamento alla Costituzione americana) non è generalmente ammessa; ad analoga conclusione sembra giungere, almeno di regola, il nostro ordinamento, almeno sulla scorta della giurisprudenza che esclude che le comunicazioni pubblicitarie e commerciali possano beneficiare della previsione di cui all'art. 21 della Costituzione e ritiene che vadano invece ricondotte a quella dell'art. 41.” V. anche C. GALLI, L'Allargamento della Tutela del Marchio e i Problemi di Internet, in AA.VV., Il futuro dei marchi e le sfide della globalizzazione, Cedam, Padova, 2002, pag. 28-30; v. anche Trib. Torino, ord. 9 marzo 2006, nota di M. VENTURELLO, in IDI, 2007 pag. 149 ss. In un caso recente, invece, viene dato rilievo ad un utilizzo parodistico del marchio privo di ogni finalità di vantaggio commerciale derivante dall'agganciamento al marchio anteriore; v. Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony MusicEntertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in IDI 2010, 214 ss. e Giur. Ann. Dir. Ind. 2009, 5466. 48 V. ad esempio Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, in GRUR 2005 e in IIC, 2007, 119 ss.; Guignols de l'info, Cour de Cassation, 12 luglio 2000; Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony Music- Entertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, IDI 2010 e Giur. Ann. Dir. Ind. 2009, 5466. 49 Ciò è testimoniato dal fatto che la dottrina non compie differenziazioni nel trattare il tema della parodia piuttosto che della satira in riferimento al marchio; v. ad esempio W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. II; A. RAHMATIAN, Trade Marks and Human Rights, in P.L.C. TORREMANS, Intellectual Property and Human Rights, supra nota 18; v. anche M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN, Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, Report Q188, France, AIPPI, 2005; J. MUTIMEAR, N. DAGG, D. MCFARLAND, A. BRODIE, J. TURNER, D. BROOK, A. ROUGHTON, R. ABNETT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, Report Q188, United Kingdom, AIPPI, 2005; C. GALLI, D. DE ANGELIS, A.B. GELOSA, N. GIORA , Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, Report Q188, Italy, AIPPI, 2005; C. ROHKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, Report Q188, Germany, AIPPI, 2005. 121 corti europee hanno compiuto un bilanciamento tra libertà d'espressione e prerogative del trademark holder in merito a casi di utilizzo parodistico o satirico del marchio nel corso del presente e del successivo capitolo, cercando di evidenziare il meccanismo attraverso il quale, all’interno della normativa sui marchi, venga dato rilievo e protezione alla libertà d’espressione. Nel III capitolo, poi, non trascureremo altresì di esaminare quei casi in cui l’utilizzo del marchio altrui per fini parodistici o satirici non è stato considerato come un uso del marchio, facendo ricadere il suddetto bilanciamento al di fuori della trademark law. Ampio spazio, invece, ha trovato nella giurisprudenza americana la distinzione tra satira e parodia, non solo per quanto riguarda il copyright, ma anche, di riflesso, per i marchi. Ciò è avvenuto attraverso l'elaborazione di alcuni criteri atti a distinguerle e alla previsione di un differente livello di tutela. In Campbell v. Acuff-Rose Music , Inc. la Corte Suprema ha affermato che la parodia " needs to mimic an original in order to make its point", 5 0 mentre la satira " can stand on its own feet and so requires justification for the very act of borrowing. " 5 1 Questa distinzione 5 2 comporta l'attribuzione alla satira di un livello di tutela minore rispetto a quello garantito alla parodia, tanto per quanto riguarda il copyright, quanto per ciò che concerne i marchi. Ciò in quanto, chi compie un utilizzo parodistico dell'opera altrui potrà usufruire dell'ombrello del fair use, 5 3 al contrario di chi, invece, ne effettui un utilizzo satirico, il quale avrà bisogno di una 50 Ciò che prima si è definito come “parassitismo ontologico”. 51 V. Campbell v. Acuff-Rose Music, Inc., U.S. Supreme Court, 510 U.S. 569, 7 marzo 1994. 52 V. B.P. KELLER, R. TUSHNET, Even More Parodic than the Real: Parody Lawsuits Revisited, TMR, 2004, pag. 982-983 “Campbell drew a line between parody and satire, identifying the former as a favored type of transformative use and the latter as likely to be an unnecessary use of another's copyrighted work.” 53 La dottrina del fair use è stata oggetto di analisi in 1.3. e vi torneremo in 2.3.2. 122 justification . 5 4 Questa decisione della Corte Suprema, seppur non abbia goduto di gran seguito presso le corti, 5 5 non rimase un caso isolato. In Dr. Seuss Enters. L.P. v. Penguin Book USA, Inc., il Nono Circuito della Corte d'appello federale rigettò le argomentazioni proposte dalla difesa la quale asseriva che l'utilizzo del marchio e dell'opera di Theodor Geisel (meglio conosciuto come Dr. Seuss) nella rappresentazione satirica dei fatti di cronaca riguardanti l'exstella del footbal O.J. Simpson rispettasse i canoni del fair use; la Corte affermò che il " fair use does not apply to satires but rather only to true parodies ". 5 6 Questa distinzione ha subito forti critiche da parte della dottrina. In primo luogo è stato evidenziato come la linea di demarcazione tra satira e parodia non sia sempre cristallina; ciò, secondo la stessa dottrina, può dar vita a manipolazioni da parte di abili professionisti del diritto. 5 7 Inoltre, viene sottolineato come la suddetta distinzione, 54 V. J.W. MARSHALL, N.J. SICILIANO, The Satire/Parody Distinction in Copyright and Trademark Law – Can Satire Ever Be a Fair Use?, ABA Section of litigation, IP Litigation Committee, pag. 3 “The dichotomy approach is certainly easier to apply: if the new work arguably criticized or commented on the original, a parodic character reasonably can be perceived (the Campbell Court noted that this was the threshold inquiry in any parody fair use case), the other factors concurrently become less important, and a fair use finding is quick to follow. On the other hand, if the new work used the original work as a mere vehicle to criticize something else (such as society in general), it is satire, not parody, and therefore not fair use.” 55 Comunque fa notare Cantwell in M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate: an Update, supra nota 174 cap. I, pag. 562563 “Lower courts have applied this dictum in choosing to offer less protection to satires than to parodies in trademark as well as copyright infringement claims.” 56 Dr. Seuss Enters. L.P. v. Penguin Book USA, Inc.,U.S. Court of Appeals, 9th Circuit, 109 F.3d 1394, 1997; v. anche C.J. BROWN, A Parody of a Distinction: the Ninth Circuit’s Conflicted Differentiation Between Parody and Satire, Santa Clara Computer & High Tech. L. J, 2004, pag. 721 “A few years ago, however, this same circuit in Dr. Seuss Enterprises, L.P. v. Penguin Books USA, Inc. (Seuss) held that a book using the writing style of Dr. Seuss, as well as a character fashioned after the Cat in The Cat in the Hat, was a satire and therefore did not qualify for a fair use defense against claims of trademark and copyright infringement.” Brown contrappone questa sentenza a quella presa dal 9th Circuit pochi anni dopo nel caso Mattel, Inc. v. MCA Records, Inc. di cui ci occuperemo più avanti, in cui l'uso da parte del gruppo musicale Aqua del marchio Barbie venne considerato come parodia e quindi ricompreso nella dottrina del fair use; v. ibid. “In Mattel, Inc. v. MCA Records, Inc. (Mattel), the Ninth Circuit recently held that a song based on the Barbie doll was a parody and therefore qualified for a fair use defense against a claim of trademark infringement.” 57 V. B.P. KELLER, R. TUSHNET, Even More Parodic than the Real: Parody Lawsuits Revisited, supra nota 52, pag. 984 “The central lesson to be drawn from the copyright cases is that, although the parody/satire line has become quite significant, the demarcation between parody 123 oltre ad esser inutile nella statuizione di un rischio di confusione, sia, di per sé, priva di significato. 5 8 Un'erosione di questa linea di demarcazione viene poi ravvisata nell'autorizzazione che, sempre più frequentemente, viene concessa dal titolare del marchio per un utilizzo ironico del marchio stesso da parte di terzi. 5 9 Questa distinzione, comunque, se è stata usata in alcuni casi in cui era necessario stabilire la sussistenza di una likelihood of confusion , minor rilevanza, invece, riveste per quel che concerne i casi di dilution . 6 0 E' da notare, però, che la distinzione tra satira e parodia nel sistema statunitense ha rilevanza soprattutto per quel che concerne l'uso commerciale del marchio altrui. Per quanto riguarda, invece, gli usi sia satirici che parodistici, di tipo non commerciale, questi, almeno stando alle dichiarazione degli estensori del FTDA e alla lettera della legge (anche se come vedremo nel paragrafo successivo queste dichiarazioni non rispecchiano in pieno la verità dei fatti) non and satire is not always clear. First, as a practical matter, the distinction is far too malleable in the hands of a capable practitioner or judge to be of much use.” La malleabilità di questa distinzione riguarda altresì il mondo dei marchi; v. ibid., pag. 1002 “Another aspect of the problem with borrowing from Campbell to decide trademark cases is that "parody" is just as subject to manipulation by clever parties or courts in trademark as in copyright.” V. anche C.J. BROWN, A Parody of a Distinction: the Ninth Circuit’s Conflicted Differentiation Between Parody and Satire, supra nota 56, pag.721 ss. 58 V. ibid., pag. 1000 “As in copyright, the parody/satire divide is unhelpful in addressing the central question in trademark infringement cases: whether the defendant's use is likely to cause confusion among a substantial number of consumers. If a joke is recognizable as a joke, consumers are unlikely to be confused, and whether the butt of the joke is society at large, or the trademark owner in particular, ought not to matter at all.” 59 V. ibid., pag. 1000-1001 “An additional wrinkle is that trademark owners, like copyright owners, are increasingly willing to authorize activities that could be understood as mocking the mark This trend not only makes it more difficult for consumers to tell when "jokes" are unauthorized, it also further erodes the parody/satire distinction. These trademark owners clearly are parodying themselves rather than satirizing society, perhaps in order to attract the attention of irony-loving consumers.” V. anche J.W. MARSHALL, N.J. SICILIANO, The Satire/Parody Distinction in Copyright and Trademark Law – Can Satire Ever Be a Fair Use?, supra nota 54, pag. 5. 60 V. B.P. KELLER, R. TUSHNET, Even More Parodic than the Real: Parody Lawsuits Revisited, supra nota 52, pag. 1009 “it appears that most courts will continue to feel little need to borrow from Campbell when analyzing dilution claims that are doomed on other, simpler grounds.” V. anche J.W. MARSHALL, N.J. SICILIANO, The Satire/Parody Distinction in Copyright and Trademark Law – Can Satire Ever Be a Fair Use?, supra nota 54, pag. 13. 124 possono esser vietate. 6 1 Sulle esenzioni di responsabilità per un utilizzo non commerciale, parodistico o critico del marchio e sulla differenza, talvolta riscontrata nella giurisprudenza statunitense, tra i propositi parlamentari di tutela di questo tipo di utilizzazioni e quanto, in concreto, deciso dalle corti, torneremo più avanti nel corso del presente capitolo. 2.2.1.2. Critica. L'utilizzo non autorizzato del marchio da parte di terzi può avere, altresì, finalità critiche, che possono riguardare sia la denuncia, attraverso l'utilizzo dello stesso, della condotta del suo titolare, sia una critica, in senso più ampio, del prodotto contrassegnato dal marchio stesso e dei suoi effetti. Questo fenomeno, come abbiamo in precedenza accennato, è senza dubbio cresciuto di pari passo con l'espansione del web, che ha fornito, a critici e contestatori, una platea mondiale alla quale portare a conoscenza la loro lotta contro, ad esempio, le pratiche dannose per l'ambiente compiute dal titolare 61 V. art. 1125(3) Lanham Act in cui vengono previsti le eccezioni alla prerogativa di utilizzazione esclusiva del titolare del marchio. Come vedremo nel seguente paragrafo, però, determinate interpretazioni che sono state compiute nel corso degli anni di questa norma ne hanno ristretto la portata, comportando altresì minaccia alla libertà d'espressione. Ciò nonostante le rassicurazioni in merito al pericolo di un restringimento della libertà d'espressione fornite nel Senato USA dagli estensori del FTDA, tra i quali ad esempio, il senatore Hatch. Parte del suo discorso viene riportato in: Mattel v. MCA Records, US Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F.3d 894, 24 luglio 2002 “The legislative history bearing on this issue is particularly persuasive. First, the FTDA's sponsors in both the House and the Senate were aware of the potential collision with the First Amendment if the statute authorized injunctions against protected speech. Upon introducing the counterpart bills, sponsors in each house explained that the proposed law will not prohibit or threaten noncommercial expression, such as parody, satire, editorial and other forms of expression that are not a part of a commercial transaction.” 125 del marchio, 6 2 la nocività dei prodotti da quest'ultimo posti in commercio 6 3 o le sue politiche aziendali di taglio del personale. 6 4 Se da un lato si è assistito alla proliferazione di questa tipologia di critica, dall'altro, come abbiamo analizzato nel corso del primo capitolo, la novella protezione dei marchi dotati di reputazione o famosi, ha fatto sì che venisse innalzata quella barriera a protezione delle prerogative del trademark holder, tanto da costituire, talvolta, una minaccia per la libertà d'espressione. Prima di questa nuova tipologia di tutela il titolare del marchio poteva infatti invocare a difesa delle proprie prerogative solamente il rischio che si potesse ingenerare una confusione nella mente del consumatore riguardo ad un'affiliazione della “ campagna” di protesta condotta dal terzo, all'azienda produttrice dei beni o servizi contrassegnati dal marchio ed utilizzato nella protesta stessa, come abbiamo in parte esaminato nel primo capitolo. Questo tipo di protezione contro una likelihood of confusion costituiva, però, una barriera alquanto debole per le prerogative del trademark holder in caso di utilizzo del marchio in funzione critica; ciò in quanto risulterebbe difficile per un giudice affermare che il consumatore medio possa confondersi, per quanto riguarda l'origine, tra il marchio e quegli strumenti, ad esempio posters o t-shirts, finalizzati alla critica della condotta del suo titolare o del prodotto da egli venduto, ritenendoli provenienti dalla medesima fonte. 6 5 62 S.A. Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre 2005; Greenpeace v. SPCEA (Areva), Cour de Cassation, 8 aprile 2008; Stoppesso.de, LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, in GRUR 2003. 63 Comité national contre les maladies respiratoires et la tuberculose (CNMTR) v. Société JT International GmbH, Cour de Cassation, Arrêt del 19 ottobre 2006; Grosses Mordoro Poker Bundesgerichtshof , 17 aprile 1984, in GRUR 1984. 64 Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003. 65 V. in questo senso Stop the Olympic Prison v. United States Olympic Committee, U.S. District Court, New York, 489 F. Supp. 1112, 25 febbraio 1980; Hofrichter fa l'esempio di un cittadino americano di nome Abe che ipoteticamente compisse una campagna di protesta contro il colosso della grande distribuzione Wall-Mart, attraverso l'utilizzo del logo Wall-Mart su 126 Questa prospettiva, però, subì un radicale mutamento con l'introduzione delle norme a tutela del marchio notorio o famoso, a livello tanto trasnazionale quanto regionale e nazionale, che si andarono ad aggiungere alla protezione conferita contro il rischio di confusione, la quale rimane comunque sia azionabile anche nel caso il marchio sia da considerarsi notorio. Il rafforzamento della tutela del marchio, al di là della somiglianza importanti dei beni strumenti o al likelihood of confusion servizi, conferisce trademark holder, quindi e della nuovi ed autorizzandolo ad invocare una sorta di censura contro qualsiasi utilizzo del marchio che possa danneggiarne la reputazione. 6 6 Questa fattispecie, che prende il nome di tarnishment e della quale ci occuperemo diffusamente in un paragrafo ad essa appositamente dedicato, riguarda molto da vicino la possibilità di criticare determinate condotte aziendali attraverso l'uso del marchio. E' infatti a dir poco scontato che un utilizzo del marchio in una campagna di critica delle malefatte del suo titolare possa intaccarne la reputazione e la capacità attrattiva, conseguita attraverso anni di marketing. 6 7 Per quei casi che si pongono poi al di fuori del diritto dei marchi, in forza di un utilizzo non qualificato come uso del marchio o di rilievi civilistici che si pongono su di un piano più ampio, e per posters, magliette ed un sito Internet; v. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48 cap. I, pag. 1925 “Protection under trademark law is primarily based on whether a second user creates confusion with an existing trademark or name.8 It seems relatively clear that Abe’s use of the Wal-Mart mark does not create confusion, as no reasonable person would believe that the t-shirts or other materials that are critical of Wal-Mart were produced by WalMart itself, even though they do use the Wal-Mart mark. Indeed, there is nothing under the current confusion-based analysis in trademark law that prohibits such behavior.” 66 V. C. GEIGER, Trade Marks and Freedom of Expression – The Proportionality of Criticism, in IIC, 2007, pag. 328-329 “With rights having an important social function, i.e. being subject to a certain number of limits (explicit and implicit) imposed by the public interest, intellectual property is tending to change gradually into a mechanism for protecting private interests, with the result that any use that “disturbs” these interests is to be prohibited. Criticism and information (often itself critical) are amongst these uses that disturb.” 67 V. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48 cap. I, pag. 1944 “Indeed Abe clearly desires to harm the reputation of Wall-Mart as he feels only in this way might he be able to change its labor practices.” 127 altri in cui il marchio utilizzato non sia considerato famoso, bisogna poi sottolineare come il danno alla reputazione del marchio abbia comunque un suo rilievo ai sensi delle norme nazionali che forniscono tutela contro un danno ingiusto, come vedremo quando analizzeremo la giurisprudenza in merito. Il suddetto rafforzamento delle tutele nei confronti del titolare del marchio notorio, unito all’azionabilità delle condotte denigratorie del marchio anche al di fuori della trademark law, portano ad inquietanti interrogativi riguardo alla sussistenza di spazi riservati tanto alla critica, quanto alla parodia e alla satira. Alcuni autori si sono spinti a parlare di una sorta di private censorship, che arriverebbe a limitare ogni possibile azione di disturbo delle prerogative dei titolari del marchio e ad avere una sorta di chilling effect sulla libertà d'espressione. 6 8 Questo pericolo, come vedremo meglio quando ci troveremo ad analizzare la giurisprudenza in merito, è avvertito soprattutto in ambiente statunitense. In Europa, difatti, quando la giurisprudenza si è trovata ad analizzare casi di uso parodistico, satirico o critico del marchio, grande rilevanza ha conferito al principio della libertà d'espressione, nei modi che meglio esamineremo nel corso del III 68 V. ad es. C. GEIGER, Trade Marks and Freedom of Expression – The Proportionality of Criticism, supra nota 66, pag. 329 che parla esplicitamente di “private censorship”; v. anche W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 142 “However, even if national authorities generally grant the appropriate level of protection in cases before them, obstacles to the exercise of the freedom may by themselves create disproportionate impairments. Such obstacles may be the prospect of severe sanctions, significant costs of litigation, a need to litigate to the highest court in order to get their freedom respected,216 or a lack of equality of arms between litigants.” In ambiente statunitense v. invece J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48 cap. I, pag. 1928 “These changes, taken together, justify the concern that the new anti-dilution law will create barriers to exercising one's free speech in a way that trademark law has never done before”; v. anche M. LAFRANCE, Steam, Shovels and Lipstick, Trademark, Greed and the Public Domain, Nevada L.J., 2006, pag. 447 “In various context, this uncertainty and non-uniformity has a chilling effect on both competition and free expression, and threatens to erode the public domain giving certain trademark owner the opportunity to obtain the near-equivalent of copyright or design patent protection without being subject to the limitations of those statutory regimes.” 128 capitolo, pur se con determinati limiti e bilanciamenti dovuti ad un suo utilizzo, sì denotato da parodia, satira o critica, ma altresì di tipo commerciale. Se un chilling effect sulla libertà d'espressione può esser riscontrato in Europa, questo è più che altro dovuto al peso di una delle (eventuali) parti processuali, ossia del titolare del marchio, che il più delle volte, ha i connotati di una ricca e potente multinazionale. Questo diverso peso delle parti è dovuto sia da aspetti prettamente processuali, quali ad esempio l'onere della prova, sia dalla minaccia, per chi compie un utilizzo non autorizzato del marchio, di dover pagare gravose spese legali ed altrettanto onerosi risarcimenti nel caso di vittoria del trademark holder. 6 9 A questo si aggiunga poi l' intimidazione, portata dal titolare del marchio, a quanti conducano una campagna di critica (o anche una 69 Questa problema è stato riconosciuto dalla stessa Corte Europea dei Diritti dell'uomo nella causa Steel&Morris v. United Kingdom del 2005; in essa la Corte riconosce da un lato l'importanza della libera circolazione di idee e dall'altra la mancanza di una equità da un punto di vista procedurale tra un colosso come in questo caso McDonald's e un gruppo di attivisti che ne denunciavano l'attività per quanto riguarda l'onere della prova, il peso delle spese legali e la mancanza di aiuti statali per sostenerle, comportando in questo modo, conclude la Corte, un chilling effect sulla libertà d'espressione; v. Steel&Morris v. United Kingdom, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 15 febbraio, 2005, para. 95 “If, however, a State decides to provide such a remedy to a corporate body, it is essential, in order to safeguard the countervailing interests in free expression and open debate, that a measure of procedural fairness and equality of arms is provided for. The Court has already found that the lack of legal aid rendered the defamation proceedings unfair, in breach of Article6 § 1. The inequality of arms and the difficulties under which the applicants laboured are also significant in assessing the proportionality of the interference under Article10. As a result of the law as it stood in England and Wales, the applicants had the choice either to withdraw the leaflet and apologise to McDonald's, or bear the burden of proving, without legal aid, the truth of the allegations contained in it. Given the enormity and complexity of that undertaking, the Court does not consider that the correct balance was struck between the need to protect the applicants' rights to freedom of expression and the need to protect McDonald's rights and reputation. The more general interest in promoting the free circulation of information and ideas about the activities of powerful commercial entities, and the possible "chilling" effect on others are also important factors to be considered in this context, bearing in mind the legitimate and important role that campaign groups can play in stimulating public discussion.” V. anche W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 144 “The lack of the requirement for a trademark right holder to proof the existence of harm, for instance, may, in certain circumstances, itself be a disproportionate restriction on freedom of expression.” McGeveran afferma che tutto ciò abbia come risultato un'auto-censura per evitare il pericolo di un lungo e dispendioso processo; v. W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra nota 38, pag. 64 “Self-censorship of expressive uses in such circumstances is quite rational and apparently quite common.” 129 semplice parodia o satira) contro di esso, attraverso le c.d. cease and desist letters ; 7 0 la prospettazione di pesanti conseguenze legali ed economiche in caso di mancata cessazione delle azioni di critica al marchio può infatti determinare il congelamento di ogni spunto critico. Se per queste ragioni si può temere una restrizione della libertà di critica e più in generale della libertà d'espressione in ambito europeo, a maggior ragione questo discorso vale in ambito statunitense. 7 1 Ciò anche se il Lanham Act, recentemente modificato dal TDRA, prevede espressamente un'esenzione di responsabilità per chi compia un fair use del marchio famoso con scopi critici o parodistici, o per coloro che lo utilizzino a fini non-commerciali, come affermato dall'art. 1125(3)(A): 70 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 292 “Many parties will quickly discontinue their political, cultural and other noncommercial or mixed expression when receiving a cease and desist letter. […] Most of such incidents occur secretly, which means that it is difficult to tell on what scale Article 2.20.1.d TMDir produces such chilling effects. It did however occur to my knowledge in the case of the Marlboro Poster of the International Socialists, in the case of the T-shirt by artist Nadia Plessner, and in a case where Dutch police uses a parody of the of popular drink Bacardi Breezer in an anti-drinking campaign.” V. anche, in ambito statunitense H. TRAVIS, The Battle for Mindshare: The Emerging Consensus that the First Amendment Protects Corporate Criticism and Parody on the Internet, supra nota 38, pag. 37 “The uncertainty in the law permits cease-and-desist letters to be used to threaten Web publishers and their ISPs with costly litigation, even in cases of overreaching by trademark owners.” V. R. SCHAFFERGOLDMAN, Cease and Desist: Tarnishment Blunt's Sword in its Battle against the Unseemly, the Unwholesome, and the Unsavory, Fordham Intell. Prop. Media & Ent. L.J., 2010, pag. 1288 “It is clear, then, that the threat of a looming cease-and-desist letter often chills speech and that existing doctrinal protections do not lessen this chilling effect. From a legal perspective, this chilling effect is especially problematic because a cease-and-desist letter acts as the private action equivalent of a prior restraint.” 71 Il timore di un chilling effect sulla libertà d'espressione dovuta ai costi processuali, all'incertezza delle regole e alle minacce portate dalle grandi multinazionali è confermata da McGeveran in W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra nota 38, pag. 52 “The lethal combination of uncertain standards with lengthy and costly litigation creates a classic chilling effect upon the unlicensed use of trademarks to facilitate speech, even when such uses are perfectly lawful. This effect undoubtedly occurs, though admittedly it is difficult to measure because it occurs far away from the courthouse, through practices that never find their way into any casebook. Markholders policing their portfolios send cease-and-desist letters attacking virtually any unlicensed use of their trademarks. From television networks to insurance companies, risk-averse institutional gatekeepers demand expansive rights clearance. Lawyers counsel clients to avoid the trouble of a potential lawsuit. In response to this array of powerful entities, speakers either avoid unlicensed uses of trademarks entirely or withdraw them at the first hint of legal action.” 130 “The following shall not be actionable as dilution by blurring or dilution by tarnishment under this subsection: (A)Any fair use, including a nominative or descriptive fair use, or facilitation of such fair use, of a famous mark by another person other than as a designation of source for the person’s own goods or services, including use in connection with— (i)advertising or promotion that permits consumers to compare goods or services; or (ii)identifying and parodying, criticizing, or commenting upon the famous mark owner or the goods or services of the famous mark owner. (B) All forms of news reporting and news commentary. (C) Any noncommercial use of a mark.” Pur se questa norma, ad una prima lettura, appare teleologicamente orientata alla conservazione di uno spazio vitale per la libertà d'espressione, la stessa può altresì rivelarsi un'arma pericolosa contro di essa, a seconda dell'interpretazione che ne venga fornita. La chiara specificazione riguardo alla protezione degli usi noncommerciali del marchio, difatti, rischia di non permettere, ad esempio, di ricomprendervi campagne di protesta che diano vita ad iniziative di raccolta fondi attraverso, ad esempio, la vendita di magliette o gadgets contrassegnati dal marchio che si intenda criticare, in quanto, un'estensiva interpretazione della norma, qualificherebbe ciò come uso in commercio, pur se finalizzato all'autofinanziamento della campagna, non permettendogli quindi di beneficiare dell'eccezione prevista alla lettera (C). In alcuni casi 7 2 la giurisprudenza americana ha altresì considerato come uso in commercio anche la semplice previsione, in un sito di protesta, di un 72 Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998; Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997. 131 link ad un altro sito ove venga posto in vendita il relativo merchandise ; inoltre, come viene affermato, ad esempio , in Jews for Jesus v. Brodsky, è da ritenersi come uso in commercio qualsiasi uso del marchio che possa causare un danno economico al suo titolare. 7 3 Qualora, poi, un gruppo di attivisti volesse avvalersi dell'esenzione prevista alla lettera A(ii), anche in questo caso dovrebbe confrontarsi con il rischio che una determinata interpretazione della norma possa far svanire questo scudo protettivo. Ciò in quanto, affinché il resistente possa beneficiarne, l'uso da egli fatto del marchio, pur se con fini parodistici o critici, deve avvenire in modo tale da non costituire una “designation of source for the person’s own goods or services ”. Se, ad esempio, una campagna di protesta, come sopra accennato, si autofinanzia con la vendita di t-shirts o gadgets , ciò, anche qualora l'organizzazione sia chiaramente definibile come no-profit, può comportare che l'uso del marchio venga definito come in relazione a beni o servizi. 7 4 A riguardo, inoltre, sorge il problema, stigmatizzato dalla dottrina, 7 5 che non sia stata data una chiara definizione di cosa venga inteso 73 V. Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998 "The conduct of the Defendant also constitutes a commercial use of the Mark and the Name of the Plaintiff Organization because it is designed to harm the Plaintiff Organization commercially by disparaging it and preventing the Plaintiff Organization from exploiting the Mark and the Name of the Plaintiff Organization." V. anche Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997 "Defendant argues that his use is not "commercial" within the meaning of § 1125(c). I hold, however, that defendant's use of plaintiff's mark is "commercial" for three reasons: (1) defendant is engaged in the promotion of a book, (2) defendant is, in essence, a non-profit political activist who solicits funds for his activities, and (3) defendant's actions are designed to, and do, harm plaintiff commercially." Questa interpretazione viene contestata in Ford Motor v. 2600 Enterprises, U.S. District Court, E.D. Michigan, 20 dicembre 2001 e bollata come "arguably dictum". Per la dottrina v. M. BARRET, Domain Names, Trademarks and the First Amendment: Searching for Meaningful Boundaries, supra nota 38, pag. 1018 ss.; J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48 cap. I, pag. 1941-1945; H. TRAVIS, The Battle for Mindshare: The Emerging Consensus that the First Amendment Protects Corporate Criticism and Parody on the Internet, supra nota 38, pag. 38. Torneremo comunque sull'ampliarsi delle fattispecie ricomprese nell'uso commerciale del marchio nel corso dei prossimi paragrafi. 74 V. Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997. 75 V. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48 cap. I, pag. 1949. 132 per “designation of source” all'interno del Lanham Act. Se infatti venisse data a questa espressione un significato sinonimico di marchio, come segno capace di distinguere beni o servizi , l'uso che ne venisse fatto in funzione di merchandise a sostegno di un movimento di protesta, contro il titolare del marchio stesso, potrebbe esser definito, oltre che in relazione a beni o servizi, altresì come indicatore d'origine, comportando così la venuta meno dell'eccezione prevista dalla lettera A(ii). Se venisse appoggiata questo genere di interpretazione dalla giurisprudenza verrebbe svilito l'intento di protezione della libertà d'espressione con cui sono state emanate le esenzioni sopra analizzate, conferendo in tal modo un'importante arma alle grandi multinazionali per tacitare le critiche nei loro confronti. 7 6 Vedremo nel corso della nostra trattazione come questi timori, per quanto fondati, saranno in parte fugati dall'evoluzione della giurisprudenza in merito. Certamente, nonostante vengano talora riconosciute le eccezioni dell'art. 1125(3) del Lanham Act e venga dunque dato peso al principio della libertà d'espressione costituzionalizzato dal I Emendamento, non è azzardato affermare che oltreoceano, viste anche le paventate novità legislative in tema 76 V. ad esempio ibid., pag. 1951 “the 'designation of source' phrase takes the teeth out of the fair use exclusion by limiting the scope of its protection, meanwhile providing a valuable tool to corporations seeking to obstruct organized criticism of their practices.” A questa teoria si oppone però Beebe in B. BEEBE, A Defense of the New Federal Trademark Antidilution Law, Fordham Intell. Prop. Media & Ent. L.J., 2006, pag. 1172 “The first aspect of the Act’s definition of tarnishment may very well play a crucial role in limiting the reach of antitarnishment protection under the Act. Consider a t-shirt or bumper sticker that states 'WalMart is Evil.' This conduct, though certainly tarnishing, is not prohibited under the Act. The reason is that in neither of these cases will consumers perceive these signs as designations of the source of the defendants’ goods. Similarly, a motion picture about the exploitation of service industry workers that prominently features the Wal-Mart mark would also not be enjoinable under the Act. The motion picture is not using the mark as a designation of the source of the motion picture—though, of course, the motion picture is using the plaintiff’s mark as a designation of source of the plaintiff’s goods.” 133 di copyright, 7 7 non tiri una buona aria per la conservazione di quegli spazi destinati alla libertà d'espressione. 2.2.2. La libertà d'espressione nelle espressioni commerciali. Come abbiamo accennato nei precedenti paragrafi, nel determinare la ricomprensione di un uso satirico, parodistico o critico di un marchio altrui, all'interno di quel recinto protetto da lla libertà d'espressione, riveste un ruolo di primo piano il tipo di uso che ne viene fatto. Se, infatti, come abbiamo sottolineato nel paragrafo dedicato a satira e parodia, l'uso non autorizzato del marchio altrui riveste scopi prettamente di tipo commerciale , allora le Corti saranno inclini a non ritenerlo coperto dall' ombrello costituzionale fornito dalla libertà d'espressione; al contrario, invece, di quel che accade, con determinate eccezioni, quando l'uso compiuto è puramente non-commerciale o, come vedremo, principalmente noncommerciale . D’altronde l’uso nel corso del commercio, per quanto il suo significato venga interpretato piuttosto ampiamente per favorire gli interessi del titolare del marchio, 7 8 è, come abbiamo visto nel corso del primo capitolo, una delle condizioni affinché si concretizzi la contraffazione. Se queste sono le linee guida seguite dalle Corti sia europee che statunitensi, bisogna però specificare cosa venga inteso per uso commerciale ed uso non-commerciale del marchio. Tenendo a mente quanto affermato nel corso del I capitolo riguardo all' uso del 77 V. le due proposte di legge, sostenute dalle grandi multinazionali, che si propongono di limitare la libertà del web e che grandi proteste stanno provocando da parte di questo stesso mondo comprensibilmente geloso delle sue libertà. Queste due proposte di legge passano sotto il nome di SOPA (Stop On-Line Piracy Act) e PIPA (Preventing Real Online Threats to Economic Creativity and Theft of Intellectual Property Act). 78 W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 215. 134 marchio, noteremo che le categorie di uso commerciale e non commerciale siano in continua evoluzione, come abbiamo già messo sia nel corso del I capitolo che del precedente paragrafo. Il presente paragrafo sarà dedicato a delineare i contorni dell'uso commerciale del marchio e della sua influenza sulle decisioni riguardanti la violazione delle prerogative del trademark holder, mentre, nel successivo, ci concentreremo sulla definizione fornita, sia in ambito europeo sia negli Stati Uniti, di utilizzo noncommerciale. Per quanto riguarda il Vecchio Continente abbiamo già in parte discusso, nel corso del I capitolo, alcuni profili riguardanti cosa si intenda per uso in commercio e come esso sia uno dei requisiti fondamentali affinché il titolare del marchio far valere i propri diritti di esclusiva, secondo quanto disposto a livello comunitario dall'art. 5 della Direttiva 2008/95/CEE . 7 9 Abbiamo quindi analizzato quegli usi, che, pur avvenendo nel commercio, sono espressamente non-vietabili dal titolare del marchio, in forza dell'Art. 6 della Direttiva 2008/95/CEE 8 0 e ci siamo occupati altresì dei c.d. usi atipici del marchio, 8 1 che, pur non essendo espressamente previsti da alcuna norma, non possono esser vietati in quanto non definibili come veri e propri usi del marchio come tale. In questo ultimo caso, infatti, l'utilizzo del marchio non avviene in funzione di indicazione d'origine di beni o servizi e si posiziona al di fuori della normativa sui marchi. Nella prospettiva che ora più da vicino ci riguarda, compiremo dunque un'analisi di quei casi in cui le corti degli Stati europei hanno definito come puramente commerciale un uso parodistico o satirico del marchio, riscontrando quindi la materializzazione di un 79 V. 1.2.2. 80 V. 1.3. 81 V. 1.4. 135 ingiusto vantaggio ex art. 5.2 della Direttiva 2008/95/CEE, concernente, come abbiamo esaminato, 8 2 il marchio notorio, e negando, in questa modo, quella protezione accordata dal principio della libertà d'espressione. In Italia la giurisprudenza si è occupata più volte dell'utilizzo in chiave parodistica di marchi notori altrui posti su capi di abbigliamento ed, in particolar modo, su t-shirts dall'intento, per così dire, ironico. L'ultimo, in ordine temporale, è il caso PORCO DIESEL, 8 3 nel quale la Clever Internet Company aveva utilizzato il noto marchio DIESEL per la creazione di magliette contrassegnate dalla dicitura PORCO DIESEL e si era difesa dall'accusa di contraffazione affermando che la suddetta dicitura fosse parte dello slang giovanile, in funzione di una nota canzone del gruppo Elio e le Storie Tese. Ciononostante il Tribunale di Torino ravvisò un uso commerciale del marchio DIESEL da parte della Clever, in quanto, pur essendo riconosciuto dal Tribunale l'intento parodistico del resistente mediante l'apposizione della parola PORCO, ciò non fu ritenuto sufficiente a far scattare la tutela conferita dalla libertà d'espressione. L'identità dei beni su cui erano posti i segni (in entrambi i casi capi di abbigliamento), l'identità, o quantomeno la somiglianza dei segni e quindi la possibile confusione ingenerabile nel consumatore, fecero propendere il Tribunale per l'identificazione di un uso commerciale 8 4 e quindi anche contraffattivo, secondo quanto previsto della lettera a) dell'art. 20 CPI (o in alternativa anche dalla lettera b) ) del marchio DIESEL. 82 V. 1.2.3.3. 83 Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss. 84 Ciò in quanto la Corte richiama all'art. 20 CPI, che espressamente conferisce al titolare del marchio il diritto esclusivo di utilizzazione e la possibilità di vietare a terzi l'utilizzazione all'interno della propria attività economica. Questo d'altronde, come abbiamo visto nel corso del Capitolo I, corrisponde a quanto previsto dalla Direttiva 2008/95/CEE all'art. 5. 136 Questa sentenza era stata preceduta dal caso AGIP-ACID , 8 5 in cui la famosa compagnia petrolifera contestava l'uso fatto dalla Dig. It International e dalla Ambrosiana Serigrafica s.r.l. del suo logo in una raffigurazione, stampata su t-shirts, di un cane a sei zampe con la scritta ACID (inneggiante all'uso di droghe sintetiche o, come affermato dalla parte resistente, al genere musicale acid-rock), al posto della convenzionale dicitura AGIP. Il Tribunale di Milano pose in evidenza l'“ utile commerciale dell'operazione ”, l'indebito vantaggio tratto dalla rinomanza del marchio (c.d. free-riding), il detrimento per quest'ultimo ed, anche se in modo forse opinabile, 8 6 il rischio di confusione per quel che riguarda la possibilità dell'esistenza di un contratto di licenza tra l'AGIP e le resistenti. Il suddetto uso venne dunque ritenuto compiuto in violazione delle prerogative del titolare del marchio. In entrambi questi casi, quindi, l'utilizzo parodistico del marchio altrui venne considerato come un mero sfruttamento commerciale conferente un indebito vantaggio all'utilizzatore e, per questa ragione, non coperto dall'art. 21 della Costituzione. 8 7 A questo 85 Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987. 86 Nella sentenza (v. ibid.) si parla di “verosimile possibilità di ritenere che l'attrice potesse aver concesso licenza d'uso del marchio all'impresa iniziatrice dell'operazione commerciale”. Questa parte della sentenza viene contestata da Galli in C. GALLI, L'Allargamento della Tutela del Marchio e i Problemi di Internet, in AA.VV., Il futuro dei marchi e le sfide della globalizzazione, supra nota 47, pag. 29 “Certamente nessuno poteva pensare che il produttore delle magliette in questione fosse la stessa Agip o comunque un soggetto legato contrattualmente a quest'ultimo, e quindi non poteva configurarsi un rischio di confusione.” 87 V. ibid., pag. 44-45 “E' peraltro indubbio che la parodia instaura per definizione un collegamento con il messaggio di cui io marchio è portatore; questo collegamento comporta un approfittamento a favore dell'autore della parodia, che proprio su tale collegamento (e quindi sullo sfruttamento della rinomanza del marchio parodiato) si fonda.” V. anche C. GALLI, D. DE ANGELIS, A.B. GELOSA, N. GIORA, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49, pag. 198 “The law has considered as infringement pursuant to art. 1, 1st paragraph, letter c) of the Trademark Law (now art. 21, 1st paragraph, letter c) of the CPI, corresponding with art. 5.2 of Directive 89/104/EEC) the reproduction of the well– known trademark of 'Agip' oil products (depicting a six–legged dog with a flame coming from its mouth on a yellow background, outlined with a dark line) on t–shirts placed on sale with the word “Acid“ in place of the word 'Agip', because the use constituted unauthorised parody, liable to procure undue advantage in terms of commercial utility and to cause prejudice to the reputation of the 'Agip' trademark.” V. anche C. GALLI, L'Allargamento della Tutela del Marchio e i Problemi di Internet, in AA.VV., Il futuro dei marchi e le sfide della 137 proposito è molto chiaro il Tribunale di Roma, nell'ordinanza sul caso Gambero Rosso - Gambero Rozzo , in cui afferma che l'utilizzo parodistico del marchio Gambero Rosso è connotato dall'“'intento di sfruttamento della fama altrui a fini commerciali (essendosi, nella specie, al di fuori di ipotesi di semplici manifestazioni del pensiero, ai fini dell'esercizio del diritto di critica o di satira, in quanto lo scopo delle opere contestate non è certo quello di deridere o criticare l'opera parodiata, le guide del 'Gambero Rosso', quanto di sfruttarne alcuni elementi per creare un prodotto concorrente sul mercato e che non ne rappresenta affatto un sostanziale rovesciamento) e di parassitismo ovvero di approfittamento dei valori acquisiti dall'altrui segno da parte dei resistenti.” 8 8 Tale uso, puramente commerciale ed oltretutto traente un indebito vantaggio nei confronti del titolare della rinomanza del marchio Gambero Rosso, è quindi da considerarsi contraffattivo. L'uso commerciale non autorizzato del marchio altrui è stato chiaramente analizzato anche dalla giurisprudenza europea. La Corte del Benelux, dando un'interpretazione molto ampia della fattispecie, negli anni '70 affermò che l'utilizzo erotico di una bottiglia di Coca-Cola in un film di carattere pornografico fosse da considerarsi come uso in commercio, al pari dell'uso del logo Phillips associato alla svastica nazionalsocialista sulla copertina di una rivista che si proponeva di denunciare le attività dell’azienda olandese durante gli anni del III Reich. 8 9 In Germania, invece, globalizzazione, supra nota 47, pag. 28-30; v. anche Trib. Torino, ord. 9 marzo 2006, nota di M. VENTURELLO, in IDI, 2007 pag. 149 ss. 88 GRH c. Newton Compton editori, Trib. Roma, 23 giugno 2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375. Il caso ha riguardato la pubblicazione di guide eno-gastronomiche dal titolo Gambero Rozzo, per evidenziare una differenziazione in termini di una minor dispendiosità e pretenziosità dei ristoranti in essa indicativi, rispetto alla celebre guida del Gambero Rosso. Questo uso è però stato considerato come free-riding dal Tribunale di Roma. 89 V. E. GREDLEY, S. MANIATIS, Parody: A Fatal Attraction? Part 2: Trade Mark Parodies, EIPR, 1997, pag. 418 “The Benelux courts have interpreted 'use in the course of trade' broadly, to include use of a logo of the Phillips company, with Nazi swastikas substituted for stars , on the cover of a news magazine containing an article on the company's alleged activities during the 138 possiamo riscontrare alcuni casi in qualche modo simili a quelli analizzati dalla giurisprudenza italiana di cui sopra. Nel caso MARS, ad esempio, l'azienda produttrice di dolciumi si oppose all'utilizzo compiuto di una parodia del suo slogan “Mars Will Liven You up at Work, Sport and Play ” compiuta da parte di un'azienda produttrice di profilattici (“ Mars Will Liven You up for Sex-sport and Play”). Il Bundesgerichtshof affermò la sussistenza di uno sfruttamento a fini commerciali del marchio oltre che una possibilità di confusione rispetto all'origine dei beni. 9 0 Un uso ed uno sfruttamento commerciale della notorietà del marchio altrui è poi stato rinvenuto, ad esempio, dal Tribunal de Grande Instance de Paris nell'utilizzo del logo del famoso formaggio francese Président come copertina di un album musicale. 9 1 Second World War; and the use of a Coca-Cola bottle for sexual purposes in a scene from the pornographic film Alicia. In the Phillips case, the use w2as considered to be commercially motivated, the aim being to increase sales of the magazine by means of the startling visual impact of the altered logo on its cover; in the Alicia case, the film was shown commercially in numerous cinemas.” 90 V. Markenverunglimpfung/Mars, Bundesgerichtshof, 10 febbraio 1994, in GRUR 1994, IIC 1995 “To promote the sale of its products, the defendant engages in direct exploitation of the high degree of renown and good name of the plaintiff’s marks.[...] The risks exists that it is the plaintiff who will be viewed as the distributor of the little folding box containing contraceptives, by a certain percentage of consumers, namely by those who did not purchase the gag item as such from the display bearing the defendant's name, but who encounter it trough some other way and inspect it only casually.” V. in proposito E. GREDLEY, S. MANIATIS, Parody: A Fatal Attraction? Part 2: Trade Mark Parodies,supra nota 89, pag. 417-418; J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 cap. I. Un caso simile, sempre riguardante l'uso parodistico di un marchio famoso (quello della crema Nivea in questo caso) per la vendita di preservativi è Markenverunglimpfung II/Nivea, Bundesgerichtshof, 19 ottobre 1994, in GRUR 1995. V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 268 “The crucial finding in these cases [Nivea e Mars, n.d.r.] was that the purpose of the commercial parodies had not been to express an opinion about the right holder, it’s products or it’s advertising methods. Rather the purpose of the use was found to be nothing more than the increase in sales of an otherwise not well-selling product.” 91 V. Président, Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 ottobre 1996; v. M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN, Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra nota 49, pag. 127-128 “ Ainsi, le 4 octobre 1996, le Tribunal de Grande Instance de Paris considérait que l’ utilisation comme couverture d’un album musical de la marque semi figurative “Président” qui représente l’emballage d’un fromage constituait l’utilisation illicite d’une marque renommée à des fins commerciaux pour des produits non similaires aux termes de l’article L 713–5 du CPI, et ne tombait pas sous l’exception de parodie du droit d’auteur français puisque l’ œuvre déposée également à titre de marque était utilisée à titre d’accessoire 139 Da notare poi l'importante presa di posizione della Corte di Giustizia Europea che ha recentemente considerato come uso nel commercio l'utilizzo di parole chiave nell'ambito di un servizio di posizionamento Internet compiuto da un'impresa commerciale. 9 2 Questa decisione potrebbe, in futuro, esser gravida di conseguenze anche per quel che riguarda un uso parodistico o critico del marchio. Come vedremo meglio in seguito, l' uso commerciale non è però l'unico parametro attraverso il quale viene compiuto un bilanciamento tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio. Come ad esempio testimonia la recente causa, discussa dal tribunale di Amsterdam, Mercier BV v. Punt.nl. BV, anche qualora l'uso che viene fatto del marchio venga considerato non- commerciale (in questo caso una parodia di Nijntje, un famoso cartone animato per bambini, registrato anche come marchio, ospitata in un sito Internet), vi è comunque la possibilità che questo uso violi le prerogative del titolare del marchio, qualora, senza un giustificato motivo , provochi detrimento al marchio parodiato. 9 3 publicitaire. […] Ceci étant, lorsque la parodie est invoquée comme une forme de liberté d’expression qui doit bénéficier des garanties constitutionnelles attachées à ce droit fondamental, les tribunaux vérifient si l’usage est réellement parodique ou si, au contraire, il est dénigrant, s’il a pour but de capter une clientèle attirée par la renommée de la marque, ou s’il s’agit d’une utilisation à des fins commerciales.” V. anche K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, supra nota 17, pag. 673 “Similarly, depicting the famous wrapping paper for 'PRESIDENT' cheese on an album cover constituted unlawful exploitation of another’s reputation, although the argument was made that the use was satirical.” 92 V. L'Oreal SA v. EBay International AG, C-324/09, 12 luglio 2011 , para. 87 “Con riferimento alla pubblicità che compare su Internet a partire da parole chiave corrispondenti a marchi, la Corte ha già statuito che una parola chiave di questo tipo è lo strumento utilizzato dall’inserzionista per rendere possibile la visualizzazione del proprio annuncio ed è dunque oggetto di un uso «nel commercio» ai sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104 e dell’art. 9 del regolamento n. 40/94.” V. anche Google France SARL v. Louis Vuitton Mallettier (C-236/08), Viaticum SA, Luteciel SARL (C-237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL (C- 238/08) riunite, 23 marzo 2010, para. 43 e 52. 93 V. Mercier v. Punt.nl., Corte di Amsterdam, 22 dicembre 2009; v. VAN BAEL & BELLIS, On Belgian Business Law, Brussels, gennaio 2010, pag. 9; è interessante vedere come una parodia dello stesso cartone animato, ospitata sul giornale belga Deng oltre che sul suo sito Internet, fosse stata giudicata dalla Corte d'Appello di Antwerp nel 2005 come violazione dei diritti del titolare del marchio Nijntje (Dick Bruna e Mercier); in questa sentenza però l'utilizzo che ne veniva compiuto era indicato come commerciale (in quanto finalizzato alla vendita di maggior 140 Sulla categoria del due cause e sui meccanismi attraverso i quali viene introdotta una tutela della libertà d’espressione all’interno della trademark law dei paesi europei e bilanciata con i diritti conferiti al titolare del marchio torneremo più avanti nel corso della nostra trattazione. La qualificazione di uso non autorizzato del marchio altrui riveste grande importanza anche nella giurisprudenza statunitense. Ciò viene testimoniato, ad esempio, dal fatto che l'uso non-commerciale di un marchio altrui sia oggetto di una delle esenzioni di responsabilità indicate dall'art. 1125(3)(A). La statuizione, quindi, del “se” l'uso di un marchio si possa definire come commerciale o meno, acquista una rilevante importanza nel riscontrare una violazione dei diritti del titolare del marchio. 9 4 Come abbiamo inoltre anticipato nel capitolo I, l'art. 1125 del Lanham Act afferma il diritto del trademark-holder di vietare l'uso non autorizzato del marchio di cui è titolare nel commercio. 9 5 Una definizione, piuttosto ampia, di cosa venga inteso per commercio viene fornita dall'art. 1127 del Lanham Act il quale afferma che “the word 'commerce' means all commerce which may lawfully be regulated by Congress ”. Sempre all'interno del medesimo articolo viene poi specificato cosa si intenda per uso in commercio: “the term 'use in commerce' means copie di Deng) e venne negata la sussistenza di una parodia in quanto non vi era una sufficiente differenziazione rispetto all'originale; v. Code NV v. Mercis BV and Dick Bruna, Corte d' Appello di Antwerp, 2 maggio 2006; v. a commento D. VOORHOOF, Is Freedom of Expression a Legitimate Argument for Disrespecting Copyright? the Parody Metaphor, in A. STROWEL, F. TULKENS, Droit d’auteur et liberté d’expression. Regards francophones, d’Europe et d’ailleurs, Larcier, Brussels, 2006, pag. 47. 94 V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, The Bureau of National Affairs Inc., Washington, 2004, pag. 331-332 “If, as Congress appears to have intended, the parameters of the noncommercial use exemption are framed by the constitutional 'commercial speech' doctrine, one must examine that doctrine as well to understand this exemption. […] It is evident that Congress understood the commercial speech doctrine to give less protection to commercial speech than is given to other forms of speech.” 95 V. 1.2.2. 141 the bona fide use of a mark in the ordinary course of trade, and not made merely to reserve a right in a mark.” Queste definizioni in realtà, data la loro ampiezza, non ci aiutano più di tanto nello stabilire cosa le Corti americane intendano per uso commerciale. La stessa dottrina ha evidenziato come la linea di demarcazione tra uso commerciale e non sia piuttosto incerta e possa subire degli spostamenti a seconda delle interpretazioni fornite dalle Corti. 9 6 Un esempio interessante, e molto criticato, 9 7 di commercial speech è quello che è stato individuato dalla Corte Suprema nel caso San Francisco Arts & Athletics, Inc. v. United States Olympic Committee ; in questo caso, difatti, l'uso da parte di un comitato in difesa dei diritti degli omosessuali del logo Olimpico per promozionare i c.d. Gay Olympic Games venne giudicato come uno sfruttamento Suprema. 9 8 Più commerciale recentemente e poi, quindi la vietato dalla differenziazione tra Corte uso commerciale e non commerciale del marchio, ha riguardato molto da vicino il suo utilizzo compiuto attraverso Internet. Di queste problematiche ci siamo in parte già occupati nel paragrafo 96 V. M. LAFRANCE, No Reason to Live: Dilution Laws as Unconstitutional Restriction on Commercial Speech, South Carolina Law Review, 2007, pag. 712 “Furthermore, the line between commercial and noncommercial speech is a shaky one, and some have argued that no such distinction can or should be drawn. If there is a line, it certainly is elusive. V. anche D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 332 “However, the commercial speech doctrine has not been static.” 97 Critiche molto feroci contro questa sentenza arrivarono dal giudice Kozinski nella sua dissenting opinion come riporta Schaffer-Goldman in R. SCHAFFER-GOLDMAN, Cease and Desist: Tarnishment Blunt's Sword in its Battle against the Unseemly, the Unwholesome, and the Unsavory supra nota 70, pag. 1263 "Dissenting from the rehearing en banc, Judge Kozinski cautioned that the result reached by the court 'threaten[ed] a potentially serious and widespread infringement of personal liberties'. The SFAA sought to use the term 'Olympic' to evoke a positive and healthy image of gay men and women. According to Judge Kozinski, denying the SFAA the right to use the word 'Olympic' deprived them of an essential 'nuance of meaning'.” V. anche M.A. NASER, Trademarks and Freedom of Expression, IIC, 2009, pag. 193. 98 V. San Francisco Arts & Athletics, Inc. v. United States Olympic Committee, U.S. Supreme Court, 483 U.S. 522, 25 giugno 1987 “In this case, the SFAA sought to sell T-shirts, buttons, bumper stickers, and other items, all emblazoned with the title 'Gay Olympic Games.' The possibility for confusion as to to sponsorship is obvious. Moreover, it is clear that the SFAA sought to exploit the 'commercial magnetism'”. 142 precedente, in cui abbiamo analizzato le difficoltà di far rientrare all'interno dell'eccezione di uso non commerciale l'utilizzo del marchio per fini di critica. Come abbiamo sottolineato, un recente orientamento delle Corti americane, che ha considerato come uso commerciale del marchio qualsiasi uso legato ad aspetti commerciali 9 9 può costituire una minaccia alla libertà di critica e di espressione. A ciò contribuisce in maniera sostanziale anche il fatto che, come affermato in Jews for Jesus v. Brodsky, un uso del marchio atto a danneggiare economicamente il suo titolare possa esser definito come uso commerciale. 1 0 0 Le due sopracitate tendenze sono entrambe confermate da OBH, Inc.v. Spotlight ; in questo caso la creazione di un forum atto a criticare il sito web del The Buffalo News attraverso l'utilizzo del marchio del ricorrente, venne indicato come uso commerciale del marchio per due ordini di ragioni: a) in quanto prevedeva links ad altri siti a carattere commerciale; b) in quanto si proponeva di danneggiare economicamente la parte resistente. 1 0 1 Un altro caso interessante in questo senso è quello in 99 V. Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997. 100V. 2.2.1.2. 101V. OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 28 febbraio 2000 “First, defendants' use of the mark as the domain name for the Tortora web site constitutes a commercial use because, as stated above, that web site contains a hyperlink that connects users to defendants' other web site, the on-line version of Apartment Spotlight Magazine, which defendants operate for commercial purposes. Second, defendants' use of plaintiffs' trademark constitutes a commercial use because defendants' actions are designed to, and do, harm plaintiff commercially. Planned Parenthood, 1997 WL 133313, at *5.6 As the court stated in Planned Parenthood:defendant's use is commercial because of its effect on plaintiff's activities. First, defendant has appropriated plaintiff's mark in order to reach an audience of Internet users who want to reach plaintiff's services and viewpoint, intercepting them and misleading them in an attempt to offer his own political message. Second, defendant's appropriation not only provides Internet users with competing and directly opposing information, but also prevents those users from reaching plaintiff and its services and message. In that way, defendant's use is classically competitive: he has taken plaintiff's mark as his own in order to purvey his Internet services--his web site--to an audience intending to access plaintiff's services.” Welkowitz si mostra critico verso questa sentenza, v. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 335-336 “The defendants claimed that their use came within Section 43(c)(4)(B), but the court disagreed, citing links on the defendant's Web site to the defendant's commercial ventures, and the fact that the defendant's Web site was intended to do commercial harm to plaintiff. While the first is a plausible reason for declining the defense (since the links are not intended as expressive commentary and may use the plaintiff's mark to generate their own business), the second is more questionable. Parodies may intend to harm their target, but this does not 143 cui il Quarto Circuito federale ha indicato come commerciale l'utilizzo, all'interno di un sito web, della parodizzazione del marchio dell'associazione animalista PETA, in quanto, qualora un internauta fosse alla ricerca del vero sito della PETA, si sarebbe potuto imbattere nella sua parodizzazione; questa possibile distrazione di internauti ed il collegamento a links eticamente contrari ai propositi della PETA, furono sufficienti a far propendere la Corte per la statuizione di siffatto uso come commerciale. 1 0 2 Questo orientamento delle Corti americane non è però univoco, come testimoniano diverse sentenze che in parte contraddicono quanto affermato in quelle fin qui analizzate a riguardo. Della loro analisi ci occuperemo nel seguente paragrafo. remove them from the realm protected expression.” V. anche H. TRAVIS, The Battle for Mindshare: The Emerging Consensus that the First Amendment Protects Corporate Criticism and Parody on the Internet, supra nota 38, pag. 27-28. 102Il caso riguarda appunto l'utilizzo del marchio dell'associazione animalista PETA (People for Ethical Treatment on Animals) in chiave parodistica (People Eat Tasty Animals) attraverso un sito web. Questo uso “distrattivo” degli internauti, insieme alla previsione di alcuni link a siti commerciali, venne definito come uso commerciale; v. People for the Ethical Treatment of Animals, Inc. v. Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 263 F.3d 359, 18 settembre 2001 "Prospective users of plaintiffs' services who mistakenly access defendants' web site may fail to continue to search for plaintiffs' web site due to confusion or frustration. Such users, who are presumably looking for the news services provided by the plaintiffs on their web site, may instead opt to select one of the several other news-related hyperlinks contained in defendants' web site. These news-related hyperlinks will directly link the user to other news-related web sites that are in direct competition with plaintiffs in providing newsrelated services over the Internet. Thus, defendants' action in appropriating plaintiff's mark has a connection to plaintiffs' distribution of its services." V. a riguardo H. TRAVIS, The Battle for Mindshare: The Emerging Consensus that the First Amendment Protects Corporate Criticism and Parody on the Internet, supra nota 38, pag. 22 “Even though the defendant did not sell or advertise any products on his Web site, the court found the requisite connection to commercial activity in the bare possibility that the site would attract some Internet users who were initially searching for PETA’s own site, coupled with the site’s hyperlinks to thirty “meat, fur, leather, hunting, animal research, and other organizations, all of which held views generally antithetical to PETA’s views.” 144 2.2.3. La libertà d'espressione nelle espressioni non commerciali o miste. Se, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, le corti europee tendono ad esser restie a qualificare come protetti dalla libertà d'espressione quegli utilizzi del marchio caratterizzati da finalità di puro sfruttamento commerciale , con un maggior favore sono visti invece usi di carattere esclusivamente non-commerciale o che abbiano sì una componente di commercialità, vista però come non preponderante. La non-commercialità , come vedremo, non può però esser considerato l'unico fattore di cui le corti hanno mostrato di avvalersi nel decidere se accordare quella protezione fornita dalla libertà d'espressione; bisogna infatti tener altresì conto di altri importanti fattori, come ad esempio del rischio di confusione, indicato dall’art. 5(1) della Direttiva 2008/95/CEE, del c.d. due cause, previsto invece dall’art. 5(2), e di valutazioni concernenti profili di proporzionalità delle quali, come vedremo più avanti, non si potrà far a meno nel conferire una tutela alla libertà d’espressione all’interno del diritto dei marchi, attraverso la qualificazione degli usi suddetti come non-contraffativi, per le ragioni che vedremo. La giurisprudenza delle corti europee, laddove lo ha qualificato come uso del marchio, 1 0 3 si è mostrata propensa a considerare come uso puramente non-commerciale un utilizzo non autorizzato del marchio altrui per scopi critici. Questa tendenza traspare da diverse decisioni che hanno appunto riguardato un utilizzo del marchio atto a criticare i comportamenti del suo titolare. In due differenti casi 103Vedremo meglio in 3.4.1.2. come ad esempio la giurisprudenza tedesca, a differenza di quella francese, non abbia, in diverse occasioni, considerato l’utilizzo del marchio altrui a fini critici come uso del marchio, soprattutto quando esso è avvenuto attraverso Internet. V. ad esempio Stoppesso.de, LG Hamburg, 10 giugno 2002; Oil-of-Elf.de, Kammergericht Berlin, 23 ottobre 2003; Gen-Milch, LG Koln, 24 maggio 2006; Bild der keine Meinung, OLG Hamburg, 1999; Kampagne gegen die Jagd, OLG Koln, 10 marzo 2000. V. in merito W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 210. 145 accaduti in Francia (casi E$$O e Danone) le corti hanno, ad esempio, constatato, nella critica dell'operato del titolare del marchio attraverso siti web che si avvalevano dell'utilizzo del marchio stesso, la mancanza di qualsiasi proposito commerciale da parte dei fautori della campagna di protesta. 1 0 4 Questo ha sicuramente influito nella ricomprensione dell'utilizzo del marchio nell'alveo della protezione conferita dalla libertà d'espressione, in quanto considerato come non-contraffattivo per mancanza del requisito dell’uso nel corso del commercio e di una possibile confusione nel pubblico. 1 0 5 Se però, come meglio vedremo nel corso del nostro studio, la critica viene attuata in maniera oltremodo denigratoria, anche qualora non venga rinvenuto alcun proposito commerciale, la protezione conferita dalla libertà d'espressione non potrà esser riconosciuta, come ad esempio è accaduto, sempre in Francia, nel caso Areva, almeno, come vedremo, fino al giudizio della Corte di Cassazione . 1 0 6 104Le corti francesi negli ultimi anni sono state a chiamate a discutere diversi casi di critica dell'operato del marchio compiuta attraverso l'utilizzo del marchio stesso; le più famose sono gli affaires Danone ed E$$O. In entrambi l'uso compiuto del marchio da parte delle associazioni promotrici della campagna di protesta venne definito al di fuori del commercio. Nel primo, alcuni dipendenti della famosa azienda francese di latticini avevano dato vita ad un sito web (jeboycottedanone.org) in cui contestavano la politica di licenziamenti condotta dall'azienda. Questo uso venne definito non commerciale e, come vedremo più avanti, coperto dalla libertà d'espressione; v. Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003 “Les signes jeboycottedanone.net et jeboycottedanone.com ne visent manifestement pas à promouvoir la commercialisation de produits ou de services, concurrents de ceux des sociétés intimées, en faveur de l’association RESEAU VOLTAIRE et de Olivier MALNUIT mais relève au contraire d’un usage purement polémique étranger à la vie des affaires.” Nel caso Esso la famosa compagnia petrolifera contestò l'uso compiuto dalla associazione ambientalista Greenpeace del suo logo in un sito web (STOPE$$O.org) in cui venivano denunciate i danni all'ambiente e alla salute dovuti a certe pratiche della Esso. Anche in questo caso la corte optò per un uso non commerciale da parte di Greenpeace; v. S.A. Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre 2005 “puisque les références faites aux deux marques, mêmes renommées, dont elle est titulaire, ne visent manifestement pas à promouvoir la commercialisation de produits ou de services, concurrents de ceux de la société appelante, au profit de l’association Greenpeace France mais relève d’un usage purement polémique à la vie des affaires et à la compétition entre entreprises commerciales.” V. anche Comité national contre les maladies respiratoires et la tuberculose (CNMTR) v. Société JT International GmbH, Cour de Cassation, Arrêt del 19 ottobre 2006; Grosses Mordoro Poker Bundesgerichtshof , 17 aprile 1984, in GRUR 1984. 105 Approfondiremo queste cause, insieme ad Areva in 3.4.1.1. 106Nella caso Areva (la società che in Francia ha il controllo monopolistico dell'energia atomica) 146 E' interessante notare come le Corti europee siano favorevoli a qualificare come non-commerciale un uso a scopi critici del marchio, non dando rilevanza a eventuali attività di fund-raising, pur presenti se ad esempio pensiamo ad organizzazioni quali Greenpeace o alla presenza di link a siti a carattere altresì commerciale, a differenza, come abbiamo avuto modo di vedere, di quanto compiuto in alcuni casi dalla giurisprudenza statunitense. All'interno della giurisprudenza europea sono poi rinvenibili casi in cui, sebbene commerciale, l'utilizzo questo del non marchio venga abbia carattere considerato come in parte un mero agganciamento finalizzato allo sfruttamento della notorietà del marchio altrui né un elemento preponderante rispetto a considerazioni di altra natura. Un esempio in questo senso è rinvenibile nella giurisprudenza italiana. Nel recente caso Deutsche Grammophon Gmbh v. Hukapan S.p.a., l'utilizzo parodistico del noto logo Deutsche Grammophon , sostituito, mediante la medesima grafia, con la dicitura Gattini, sulla copertina di un disco della band Elio e le Storie Tese , nota per la sue canzoni di carattere beffardo e satireggiante, pur essendo per Greenpeace aveva utilizzato di questa società associandolo al disegno di un teschio e di un pesce morto ed al motto «Arrêt de soi» (fine della corsa); il TGI rilevò sì la natura non commerciale dell'operazione, ma ha altresì sottolineò, che l'uso fatto del marchio AREVA è puramente denigratorio; v. Sté AREVA v. Association Greenpeace France, Association Greenpeace New Zealand et SA Internet FR, Tribunal de Grande Instance de Paris, 9 luglio 2004 "Attendu que que par ailleurs les associations GREENPEACE n'ont pas vocation à promouvoir des produits et services de substitution à l'énergie nucléaire et ne proposent aucun produit ou service aux particuliers de sorte que le consommateur ne peut être tenté de se détourner de la marque AREVA par l'effet de leur campagne; qu'ainsi et en l'état d'un différend étranger à la vie des affaires et à la compétition entre entreprises commerciales, l'article L. 713-3 du Code de la propriété intellectuelle n'est pas davantage applicable. […] Attendu que l'équation "AREVA = mort" procède donc d'une démarche purement dénigrante qui engage la responsabilité de leurs auteurs.” Questa decisione venne poi confermata in appello (v. Greenpeace France v. Spcea, Cour d’Appel de Paris, 17 novembre 2006) ma ribaltata dai giudici della Cour de Cassation (v. Greenpeace France v. Spcea, Cour de Cassation, 8 aprile 2008). E’ da notare però come il marchio Areva non sia stato considerato come marchio famoso e quindi, per quel che riguarda il diritto dei marchi, le corti si siano riferite solamente all’art. 713-3 del Code de la Propriété Intellectuelle; le considerazioni riguardanti la proporzionalità della critica, quindi, si sono svolte al di fuori del diritto dei marchi, ma presentano comunque profili di interesse. Approfondiremo comunque questo caso in 3.4.1.1. 147 sua natura commerciale non è stato vietato in quanto non presentava quegli aspetti precedente con di la agganciamento finalità di alla notorietà addivenire ad del un marchio vantaggio economico. 1 0 7 Il tribunale di Milano non ha quindi considerato siffatto uso come costituente una fattispecie di free-riding. Un caso recente e di grande interesse, che analizzeremo più a fondo nel corso della nostra trattazione, ma a cui è altresì doveroso accennare in questa sede è il caso Plesner, un'artista danese autrice di una serie di opere intitolate Simple living denotate dall'accostamento di un bambino in evidente stato di denutrizione a delle borsette del celebre brand Luis Vuitton . L'artista danese, chiamata in causa dalla Luis Vuitton , per violazione dei suoi diritti di proprietà intellettuale derivanti dall’uso di un design registrato, dopo un lungo iter processuale, 1 0 8 venne però assolta dalla corte di Den Haag, in quanto, pur se le sue opere erano offerte al pubblico in vendita ed utilizzate in un'attività di merchandise attraverso posters e magliette, la corte affermò che "under preliminary judgment it is plausible that Plesner's intention is not (or was not) to free ride with Luis Vuitton's reputation in a commercial sense." 1 0 9 Un altro caso nel quale, anche in presenza di un uso non autorizzato e in parte commerciale del marchio, venne comunque negata la 107V. Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony Music- Entertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in IDI, 2010, 214 ss. e Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5466 "Tuttavia, risulta del tutto evidente dall'uso in concreto effettuato che la similitudine strutturale e percettiva tra i due elementi grafici in questione sia stata perseguita da Hukapan non per determinare confusione nei potenziali acquirenti o per agganciarsi alla notorietà del segno della ricorrente sfruttandola commercialmente, bensì quale ironica citazione del celeberrimo marchio D.G. con finalità parodistiche (tipiche della cifra stilistica degli EELST).” V. anche il commento di C. Manfredi alla sentenza in ibid. IDI, 2010, pag. 218-220 "Nonostante la similitudine dei segni (peraltro evidente a parere di chi scrive, soprattutto ad un esame visivo comparativo delle due etichette), è parso poco probabile al Giudice della cautela che un gruppo già noto, la cui musica è notoriamente di tipo ironicoparodistico possa aver pensato di sfruttare la notorietà dell'etichetta della Deutsche Grammophon per trarne un vantaggio commerciale.” 108Di esso ci occuperemo in 3.4.2.2. 109Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di Den Hague, 4 maggio 2011. 148 violazione dei diritti del suo titolare è il caso Lila-Postkarte . Il caratteristico colore lilla utilizzato nell'incartamento della cioccolata prodotta dalla nota azienda Milka venne utilizzato, in Germania, come tonalità cromatica in alcune cartoline. Oltre a ciò all'interno delle suddette cartoline veniva riportata la versione satirica di una poesia di Goethe, unitamente alla raffigurazione di una mucca, animale presente altresì nell'incartamento della cioccolata prodotta dalla Milka, e alla firma Rainer Maria Milka in cui, con un gioco di parole, veniva associato il nome del famoso poeta tedesco R.M. Rilke al marchio suddetto. Pur se le cartoline erano poste in vendita, il Bundesgerichtshof affermò che l'uso del marchio Milka, chiaramente richiamato attraverso le suddette modalità, non si poteva definire puramente commerciale, in quanto giustificato dalla libertà d'espressione artistica e per questa ragione non considerabile come tale. 11 0 Passando sul versante statunitense, fermi restando i rilievi compiuti nei paragrafi precedenti, concernenti la tendenza di alcune corti americane all'ampliamento della nozione di commercial use, tanto da costituire una minaccia alla libertà d'espressione, dobbiamo però evidenziare come questi orientamenti non siano seguiti in maniera uniforme da tutta la giurisprudenza d'oltreoceano. 110V. Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e in IIC, 2007, 119 ss. V. in merito A. RAHMATIAN, Trade Marks and Human Rights, in P.L.C. TORREMANS, Intellectual Property and Human Rights, supra nota 18, pag. 349 “The Supreme Court held that the use of the colour lilac is trade mark use, and the marketing of the postcard does make use of the reputation of the claimant's trade mark, since a parody relies on the fact that the public are able to associate it with the well-known mark. However, there is still no infringement because the defendant could invoke the constitutional right to freedom of the arts (a specific version of freedom of expression). The postcard is a satirical artistic engagement with the claimant's trade mark. Where trade marks are not used in a derogatory way or in an exclusively commercial context, the right of the freedom of arts prevails.” V. anche BIRD&BIRD, Brands Update, a Periodical Update on Developments in European and Asian Brand Law & Practice, 2006, pag. 1-2 “The Court held that "freedom of art" superseded the rights of Milka because (1) the postcard did not damage the reputation of Milka's trade marks and (2) the use of the signs was not purely commercial. The mere fact that the producer of the postcards had a commercial interest in selling the cards was not considered sufficient to lead to an unfair use.” 149 Nel caso Northland Insurance Cos. v. Blaylock , ad esempio, la creazione da parte di quest'ultimo di un sito web, attraverso l'uso del marchio Northland (www.northlandinsurance.com ), finalizzato alla critica dell'omonima compagnia di assicurazioni, non venne ritenuto un uso commerciale del marchio suddetto, 111 in contrasto quindi con quanto statuito in Jews for Jesus v. Brodsky, Planned Parenthood 11 2 e OBH Inc. v. Spotlight che abbiamo esaminato in precedenza. Un altro caso in contrasto con le tre succitate sentenze è Ford Motor Co. v. 2600 Enterprises, nel quale la parte resistente aveva registrato il dominio Internet www.fuckgeneralmotors.com corredato da un link che rimandava al sito web della FORD, celebre casa automobilistica. La Corte Distrettuale del Michigan ritenne l'uso compiuto dalla 2600 Enterprises assolutamente non commerciale in quanto non si proponeva né di vendere beni, né, data la natura parodistica più che critica del sito, di danneggiare economicamente la FORD. 11 3 Nella stessa sentenza, inoltre, la corte diede vita ad 111V. Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25 settembre 2000 "In this case, defendant does not appear to be situated to benefit financially or commercially from the existence of this web site, which appears to be solely intended to capture the attention of insurance consumers to share defendant’s commercial commentary and critics"; v. anche e Bally Total Fitness Holding Corp. v. Faber, U.S. District Court, California, 29 F. Supp. 2D, 23 novembre 1998. V. per la dottrina D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 337-338. 112Riguardo al danno riportato al ricorrente, la corte distrettuale del Minnesota afferma che, mentre in Planned Parenthood ciò era stato dimostrato, non altrettanto era stato fatto in Northland Insurance v. Blaylock; v. Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25 settembre 2000 “In addition, there was evidence in the record to demonstrate that Internet users were being diverted from visiting Planned Parenthood’s web site. Id., at *4. Based on that evidence, the court determined that defendant’s actions were commercially harming plaintiff. Id. at *4('one witness explained ‘we didn’t resume the search [for plaintiff’s web site] after finding defendant’s’). Here, the court cannot make similar conclusions based upon the limited record.” 113V. Ford Motor Co. v. 2600 Enterprises, U.S. District Court, Michigan, 177 F. Supp. 2D, 20 dicembre 2001 “In this case, no allegation has been made that Defendants are providing any goods or services for sale under the FORD mark or that they solicit funds as did the defendant in Planned Parenthood. […] First, the facts of this case are distinguishable from both Planned Parenthood and Jews for Jesus, in which the defendants had appropriated domain names that incorporated the plaintiffs’ trademarks. Here, the domain name registered by Defendants-“fuckgeneralmotors.com”--does not incorporate any of Ford’s marks. Rather, Defendants only use of the word 'ford' is in its programming code, which does no more than create a hyperlink-- 150 un'aspra critica all'orientamento palesatosi in Planned Parenthood , Jews for Jesus e OBH, che faceva rientrare all'interno della categoria di uso commerciale qualsiasi uso che potesse danneggiare economicamente il titolare del marchio. 11 4 Un'altra sentenza molto importante in questo senso è Mattel v. MCA Records; come abbiamo già accennato in precedenza, essa riguarda la parodia compiuta dalla band musicale Aqua della nota bambola Barbie. La corte, guidata dal giudice Kozinski, autore, tra l'altro, come abbiamo avuto modo di vedere, della dissenting opinion nel caso San Francisco Arts & Athletics, Inc. v. United States Olympic Committee, affermò che l'uso compiuto dalla band danese del marchio Barbie non doveva esser considerato come puramente commerciale. Questo in quanto la canzone dava vita ad una parodia della celeberrima bambola e quindi, avendo scopi non solamente economici, ma altresì artistici e parodistici, l'uso compiuto del marchio Barbie non poteva definirsi tale; per queste ragioni il 9 t h albeit automatic--to Plaintiff’s “ford.com” site. The court is unpersuaded that this use of the FORD mark in any way hampers Plaintiff’s commercial success in an unlawful manner.” Per la dottrina v. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 338. 114La Corte, nella stessa sentenza, compie una critica di Planned Parenthood, Jews for Jesus e OBH e lancia un esplicito appello alla libertà di espressione, di critica e del web contro il preteso potere delle multinazionali di censurare qualsiasi contenuto 'scomodo'; v. ibid. “This court does not believe that Congress intended the FTDA to be used by trademark holders as a tool for eliminating Internet links that, in the trademark holder’s subjective view, somehow disparage its trademark. Trademark law does not permit Plaintiff to enjoin persons from linking to its homepage simply because it does not like the domain name or other content of the linking web-page. Second, the implication in Planned Parenthood and Jews for Jesus that the 'commercial use' requirement is satisfied any time unauthorized use of a protected mark hinders the mark owner’s ability to establish a presence on the Internet or otherwise disparages the mark owner is flawed. Indeed, many uses by persons other than the trademark holder are expressly placed outside the scope of the FTDA […] While arguably neither news reporting, competitive advertising, parody, nor criticism is at issue in this case, and although Defendants’ use of the term “art” hardly seems apropos, the court is satisfied that Defendants’ use of the word 'ford' in their programming code is, at least, 'noncommercial.' Their use thus is not actionable under the FTDA. If the FTDA’s 'commercial use' requirement is to have any meaning, it cannot be interpreted so broadly as to include any use that might disparage or otherwise commercially harm the mark owner.” V. anche Lockheed Martin Corp. v. Network Solutions Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 193 F.3d 980, 25 ottobre 1999. 151 Circuit applicò l'eccezione di non commercialità, nonostante il gran successo in termini di vendite registrato dalla suddetta canzone. 115 Un ultimo caso molto interessante sotto il profilo della noncommercialità e del totale superamento degli orientamenti delle succitate Planned Parenthood , Jews for Jesus e OBH è poi il caso Smith v. Wal-Mart Stores , Inc: 11 6 in esso un semplice cittadino, Mr. Smith, per esprimere il suo disgusto nei confronti della grande distribuzione, simboleggiata negli Stati Uniti dal marchio Wal-Mart, diede vita ad un sito web all'interno del quale associava il logo WalMart all'Olocausto ( www.walocaust.com); non curante della “minaccia” rappresentata dalla cease and desist letter, prontamente inviatagli dalla Wal-Mart, diede vita ad altri slogan incorporanti il succitato marchio (come ad es. Walqaeda, Freedom-Haters Always , Freedom Haters Mart ), oltre che ad iniziative di merchandise, riportando i suddetti slogans su t-shirts e adesivi acquistabili dal 115Mattel v. MCA Records, US Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F.3d 894, 24 luglio 2002 “Barbie Girl is not purely commercial speech, and is therefore fully protected. To be sure, MCA used Barbie's name to sell copies of the song. However, as we've already observed, see pp. 901-02 supra, the song also lampoons the Barbie image and comments humorously on the cultural values Aqua claims she represents. Use of the Barbie mark in the song Barbie Girl therefore falls within the noncommercial use exemption to the FTDA. For precisely the same reasons, use of the mark in the song's title is also exempted”. Nella stessa sentenza vi è altresì un richiamo a Hoffman v. Capital Cities/ABC Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9 th Circuit, 255 F.3d 1180, 6 luglio 2001 in cui si afferma che “the core notion of commercial speech is that it does no more than propose a commercial transaction.” La letteratura in merito a Mattel v. MCA Records è ampia: v. anche C.J. BROWN, A Parody of a Distinction: the Ninth Circuit’s Conflicted Differentiation Between Parody and Satire, supra nota 56, pag.721 ss.; S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, TMR, 2008, pag. 1213-1214; S.M. CORDERO, Cocaine-Cola, the Velvet Elvis, and Anti-Barbie: Defending the Trademark and Publicity Rights to Cultural Icons, supra nota 6 cap. I, pag. 636-639 (in cui viene compiuta un'analisi di tutte le cause che hanno coinvolto la famosa bambola della Mattel); B.P. KELLER, R. TUSHNET, Even More Parodic than the Real: Parody Lawsuits Revisited, supra nota 52, pag. 1005-1009; D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 52, pag. 329-330; R. SCHAFFER-GOLDMAN, Cease and Desist: Tarnishment Blunt's Sword in its Battle against the Unseemly, the Unwholesome, and the Unsavory supra nota 70, pag. 12691271; M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate: an Update, supra nota 174 cap. I, pag. 575-579. Negli anno seguenti la linea indicata dal giudice Kozinski in questa causa fu seguita da diverse corti; v. ad es. Lucasfilm Ltd. v. Media Market Group, Ltd., District Court, N.D. California, 182 F. Supp. 2D 897, 22 gennaio 2002 (riguardante la parodia del film Star Wars, attraverso Starballz); Smith v. Wal-Mart Stores, Inc., U.S. District Court, N.D. Georgia, 475 F. Supp. 2d., 20 marzo 2008. 116 Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2d 1302, 20 marzo 2008. 152 suo sito Internet. Lui stesso promosse inoltre una causa contro la Wal-Mart per difendere il suo diritto di critica. La corte distrettuale della Georgia affermò che l'utilizzo compiuto da Mr. Smith era da considerarsi del tutto parodistico 11 7 e, come tale, non-commerciale, in quanto, come affermato in Bolger v. Youngs Drug Prods e riportato dalla corte “parody is a form of noncommercial expression if it does more than propose a commercial transaction .” 11 8 Come dunque possiamo notare le ultime sentenze che abbiamo analizzato scavano un ampio solco rispetto a quanto affermato in Planned Parenthood, Jews for Jesus e OBH; 11 9 in Smith v. Wal-Mart, infatti, persino qualora vi sia un chiaro sfruttamento commerciale della parodia, l'utilizzo del marchio è stato definito non- commerciale. 1 2 0 In una prospettiva comparativistica è necessario 117V. ibid. "He invented the term 'Walocaust' to encapsulate his feelings about Wal-Mart, and he created his Walocaust designs with the intent of calling attention to his beliefs and his cause. He never expected to have any exclusive rights to the word. He created the term 'Wal-Qaeda' and designs incorporating it with similar expressive intent. The Court has found those designs to be successful parodies." 118V. ibid., Bolger v. Youngs Drug Products, U.S. Supreme Court, 463 U.S. 60, 4 giugno 1983. Per la dottrina v. S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag. 1249 "The court noted that Smith’s sale of merchandise featuring his designs did not automatically make his speech commercial. 'At least one court of appeals has specifically addressed whether a social advocate selling t-shirts that carried the group’s social message was engaging in noncommercial speech, despite the fact that the group sold the t-shirts to the public for profit' and found that the shirts were analogous to 'the sandwich boards that union pickets sometimes wear.' Therefore, the shirts were 'a medium of expression prima facie protected by the free-speech clause of the First Amendment, and they do not lose their protection by being sold rather than given away.” Richiamandoci alla differenza di vedute tra Hofrichter e Beebe (v. supra nota 76) si può affermare come, nell'ottica di questa causa, sia il secondo che abbia pronosticato l'esatta soluzione di una causa, poi verificatasi realmente, di critica/parodia del marchio Wal-Mart, mentre le preoccupazioni di Hofrichter, si sono, almeno in questo caso, rivelate infondate. 119Come fa notare McGeveran in W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra nota 38, pag. 59 “In general, the results of reported cases involving expressive uses (as defined above) have stabilized in the last decade and now favor the expressive uses most of the time. A number of infamous decisions against expressive uses that critics occasionally cite are outdated and might well come out differently under more recent doctrine.” 120V. Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2D 1302, 20 marzo 2008 “Thus, Smith’s parodic work is considered noncommercial speech and therefore not subject to Wal-Mart’s trademark dilution claims, despite the fact that Smith sold the designs to the public on t-shirts and other novelty merchandise.” V. per la dottrina S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag. 1249. 153 sottolineare che, a differenza, ad esempio, dei casi Areva, 1 2 1 Deutsche Pest 1 2 2 Nutella, 1 2 3 nei quali a critiche oltremodo denigratorie o a parodie di dubbio gusto, non era stata accordata la protezione fornita dalla libertà d'espressione, in Smith v. Wal-Mart, nonostante associazioni in parte discutibili, esagerate e denigratorie del marchio Wal-Mart all'Olocausto e ad Al-Quaeda, è stata concessa l'eccezione, contenuta nel TDRA, prevista appunto per gli usi non commerciali. 1 2 4 2.3. TUTELA DEL MARCHIO NOTORIO E LIBERTÀ D'ESPRESSIONE Nei precedenti paragrafi abbiamo avuto modo di analizzare l'importanza della commercialità e, specularmente, della noncommercialità nelle sue diverse sfumature, come fattori attraverso i quali viene compiuto il bilanciamento tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio, sia per quanto riguarda i marchi notori, sia per quel che riguarda quelli non dotati di questa caratteristica, in quanto l’uso nel corso del commercio è richiesto anche per quel che riguarda utilizzi non autorizzati del marchio che 121Greenpeace v. SPCEA (Areva), Cour d'appel de Paris, 17 novembre 2006. 122Deutsche Pest, LG Hamburg, 27 ottobre 1999, in GRUR 2000. Il caso riguarda l'apposizione della frase Deutsche Pest su alcuni camion di un'impresa di costruzione; nell'intenzione degli autori costituiva una parodizzazione della società postale tedesca Deutsche Post. V. in merito C. ROHKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49, pag. 152; E. BAUD, The Damage Done, the Altered, Unauthorised Use of Third Parties Trademarks in France, Germany and the UK, Trademark World, 2005, pag. 32. 123Nutella, Cour d'Appel de Paris, 7 maggio 2004; il caso riguarda l'utilizzazione del marchio Nutella da parte di uno speaker radiofonico in un programma radio francese, in cui, in un contesto umosristico associva tale marchio alla pedofilia; il TGI, in primo grado, aveva accolto la difesa del resistente affermando che questo uso non era atto a danneggiare il marchio detenuto dalla Ferrero; la sentenza venne ribaltata in appello. V. in merito G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone Litigation, in in J. PHILLIPS, Trade Marks at the Limit, supra nota 231 cap. I, pag. 169; M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN, Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra nota 49, pag. 127. 124 S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag. 1247 ss. 154 possano determinare un rischio di confusione. Abbiamo poi visto come un uso del marchio notorio caratterizzato da finalità puramente commerciali possa dar vita alla fattispecie di free riding, concretizzante un indebito vantaggio tratto dalla capacità distintiva o dalla notorietà del marchio. Si è altresì messo in luce come i suddetti parametri non siano però gli unici ad esser presi in considerazione dalle corti qualora si trovino a ricercare un equilibrio tra questi diritti. Come abbiamo visto nel corso del primo capitolo nel corso degli anni l’evoluzione legislativa ha conferito una tutela più ampia a quei marchi c.d. notori, 1 2 5 ai quali viene conferita una protezione che va al di là della somiglianza o identità dei segni e dei prodotti o servizi su cui sono apposti e quindi oltre il rischio di confusione (che pur rimane azionabile). Se dunque per il marchio non notorio, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, la protezione contro degli usi non autorizzati vi è solamente nel caso si concretizzi un rischio di confusione, 1 2 6 al marchio notorio viene fornita una tutela anche nei confronti di usi che ne possano danneggiare capacità distintiva o reputazione e, per quel che riguarda l’Europa, possano determinare, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, un ingiusto vantaggio. Al di là quindi della commercialità, nel ricomprendere gli utilizzi non autorizzati del marchio altrui all’interno della libertà d’espressione, un ruolo fondamentale è quindi giocato da altri fattori quali, ad esempio, l' interesse sociale, la proporzionalità della critica o della parodia e, fenomeno in parte già analizzato, l'indebito vantaggio eventualmente tratto dall'utilizzatore non autorizzato, che, qualora si materializzi, dà vita al fenomeno del c.d. free-riding . Se questi elementi, nella giurisprudenza europea, vengono compresi nel c.d. due cause e nella categoria dell'unfair 125 V. 1.2.3.3. 126 Per un approfondimento sul tema si rimanda a 1.2.3.2. 155 advantage , entrambe contenute nell'art. 5(2) della Direttiva 2008/95/CE dedicato al marchio notorio, in quella statunitense, invece, una categoria molto importante, come in parte abbiamo visto nel I capitolo, è quella del fair use, la quale però non è la sola, come vedremo, ad esser tenuta in considerazione nel bilanciamento dei suddetti interessi e nelle esenzioni di responsabilità previste dall'art. 1125(3) del Lanham Act. Dedicheremo quindi i prossimi due paragrafi all'analisi di questi importanti fattori al fine di completare le basi ermeneutiche attraverso le quali, nel III capitolo, tenteremo di comprendere il bilanciamento effettuato dalla giurisprudenza. 2.3.1. Due cause, interesse sociale e free-riding Come abbiamo analizzato nel corso del primo capitolo, l'art. 5(2) della Direttiva 2008/95/CEE afferma, riguardo al marchio notorio, che gli stati membri della CEE sono liberi di adottare misure a protezione delle prerogative del suo titolare, qualora terzi ne compiano un uso immotivato che determini un indebito vantaggio per questi ultimi, ottenuto attraverso il carattere distintivo o la notorietà del marchio anteriore, o cagioni, a questi, un pregiudizio. Abbiamo altresì evidenziato come la categoria del due cause non sia stata ancora dovutamente analizzata dalla giurisprudenza delle corti europee, se non in poche sentenze in cui si è affermata la sussistenza di un giustificato motivo qualora la parte resistente, nell'utilizzo del marchio famoso, stia esercitando un proprio diritto ed, in qualche modo, si trovi costretta ad utilizzarlo. 1 2 7 127V. Lucas Bols v. Colgate-Palmolive, Corte di Giustizia del Benelux, 1976, in IIC 1976; Premier Brands UK Ltd v. Typhoon Europe Ltd, UK High Court, 21 gennaio 2000, in ETMR 156 Nella parte iniziale del presente capitolo abbiamo poi sottolineato come la libertà d'espressione sia da intendersi tanto in senso attivo (come libertà, dunque, di manifestare il proprio pensiero in varie forme), quanto in un'ottica di tipo passivo (ossia nel diritto, correlato, di poter ricevere queste manifestazioni di pensiero altrui nelle forme, ad esempio, del pubblico dibattito). Questa libertà d'espressione di tipo passivo è definibile come un interesse sociale ad esser destinatari di idee, informazioni, punti di vista; insomma un interesse ad esser spettatori del pubblico dibattito. Ciò è a dir poco essenziale nel mondo di oggi, dove, in una molteplicità di interessi in gioco, un'opinione il più possibile aderente alla realtà dei fatti, posto che ad essa si possa aspirare, è costituibile solo per mezzo del confronto tra le diverse voci che, in una società che sulla pretesa di un'effettiva democrazia delle idee, imprescindibile elemento della relativa forma di stato, ha basato l'idea della propria superiorità culturale, è essenziale elemento. La stessa Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha più volte ribadito il forte interesse pubblico e sociale al pluralismo, 1 2 8 sia in relazione al mondo dei media, 1 2 9 che hanno il compito di cani da guardia di libertà e democrazia, 1 3 0 sia in relazione a singoli o gruppi, più o 2000; Souza Cruz v. Hollywood, OHIM Board of Appeal, 25 aprile 2001. 128L'importanza del pluralismo viene affermata dalla corte ad esempio in Handyside v. United Kingdom, Corte Europea dei Diritti Umani, 7 dicembre 1976 “Freedom of expression constitutes one of the essential foundations of such a society, one of the basic conditions for its progress and for the development of every man. Subject to paragraph 2 of Article 10 (art. 102), it is applicable not only to "information" or "ideas" that are favourably received or regarded as inoffensive or as a matter of indifference, but also to those that offend, shock or disturb the State or any sector of the population. Such are the demands of that pluralism, tolerance and broadmindedness without which there is no 'democratic society'.” 129L'importanza dei media, per quel che riguarda l'informazione, viene riconosciuta dalla Corte così come il diritto del pubblico di ricevere le informazioni; v. The Sunday Times v. United Kingdom, Corte Europea dei Diritti Umani, 26 novembre 1991 “Not only does the press have the task of imparting such information and ideas: the public also has a right to receive them.” 130V. Dalban v. Romania, Corte Europea dei Diritti Umani, 28114/95, 28 settembre 1999 “In cases such as the present one, the national margin of appreciation is circumscribed by the interest of democratic society in enabling the press to exercise its essential role of “public watchdog” and to impart information of serious public concern. It would be unacceptable for a journalist to be debarred from expressing critical value judgments unless he or she could prove their truth.“ V. anche Bergens Tindende v. Norway, Corte europea dei Diritti Umani, 2 157 meno nutriti, che conducano attività di informazione o protesta, 1 3 1 fenomeno quest'ultimo, in forte crescita attraverso lo sviluppo del web. Il suddetto interesse sociale, dunque, data la sua importanza, può e deve esser fatto rientrare in quello che l'art. 5(2) della Direttiva indica come due cause; ciò anche nell'ottica del rispetto dei paramentri stabiliti in Premier Brands UK Ltd v. Typhoon Europe Ltd e Lucas Bols v. Colgate-Palmolive, in quanto, chi utilizzi il marchio altrui per fini di critica, parodia o satira sta esercitando un proprio diritto, conferitogli dal principio della libertà d'espressione, e, se ha intenzione di criticare o parodiare un determinato marchio, non può far a meno di riferirvisi. 1 3 2 Affinché, però, questo uso possa esser effettivamente coperto dalla libertà d'espressione e quindi giustificato , è necessario che esso sia sostenuto da quell' interesse sociale a cui sopra accennato e che si esplichi in modo tale da non far acquisire al suo utilizzatore un vantaggio ingiusto. 1 3 3 L'interesse maggio 2000 “In cases such as the present one, the national margin of appreciation is circumscribed by the interests of a democratic society in enabling the press to exercise its vital role of “public watchdog” by imparting information of serious public concern.” 131V. Steel&Morris v. United Kingdom, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 15 febbraio, 2005 “The Court considers, however, that in a democratic society even small and informal campaign groups, such as London Greenpeace, must be able to carry on their activities effectively and that there exists a strong public interest in enabling such groups and individuals outside the mainstream to contribute to the public debate by disseminating information and ideas on matters of general public interest such as health and the environment.” V. anche Vides Aizsardzibas Klubs v. Lettonie, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 27 maggio 2004 ”En tant qu’organisation non gouvernementale spécialisée en la matière, la requérante a donc exercé son rôle de «chien de garde» conféré par la loi sur la protection de l’environnement. Une telle participation d’une association étant essentielle pour une société démocratique, la Cour estime qu’elle est similaire au rôle de la presse tel que défini par sa jurisprudence constante (paragraphe 40 b) ci-dessus). Par conséquent, pour mener sa tâche à bien, une association doit pouvoir divulguer des faits de nature à intéresser le public, à leur donner une appréciation et contribuer ainsi à la transparence des activités des autorités publiques.” 132V. ad es. Weckstrom a proposito di Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone in K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, supra nota 17, pag. 686 “the court noted that reference to the plaintiff’s mark was necessary to show the political or polemical nature of the message.” In riferimento ai casi Danone ed E$$O v. anche G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113, 164-165 "At every level, the courts have considered that reference to the marks was necessary to inform internauts of the contents of the web pages." 133In una prospettiva rovesciata possiamo citare ad esempio quanto affermato da Sakulin in W. 158 sociale è dovuto da una serie di fattori, quali ad esempio l'interesse a esser informati su temi sociali, ambientali oppure anche solamente quello di esser destinatari di un’opera d’arte o un gioco di parole che argutamente muova all’ilarità. La determinazione della sussistenza dell' interesse sociale spetta, caso per caso, alla corte chiamata a decidere ed il suo riconoscimento non è sempre così scontato. Come vedremo meglio nel III capitolo, questo riconoscimento passa attraverso un'analisi di proporzionalità della critica, della parodia o della satira rispetto agli scopi che vuole raggiungere e, appunto, al supposto interesse del pubblico ad esserne destinatario. Come vedremo il parametro dell’interesse sociale è importante sia all’interno del diritto dei marchi, in quanto componente fondamentale del due cause, sia all’esterno di esso, nei casi in cui le corti si sono trovate a dover decidere su di una diffamazione del marchio in base al principio di responsabilità aquiliana, come nei casi suddetti. Per quanto invece riguarda i casi di parodia del marchio, che il più delle volte si accompagnano, altresì, ad operazioni di tipo commerciale, se il suddetto interesse sociale è stato riconosciuto, ad esempio, nel caso Lila-Postkarte o Plesner, per mezzo della sua qualificazione come forma artistica, 1 3 4 o nel caso Deutsche Grammophon , in quanto è stato riconosciuta una mera parodia, caratteristica, altresì, dello stile di Elio e le Storie Tese , ciò non è, SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 268 “The balance may tip in favour of trademark rights, when the expression, in which the trademark use takes place, is commercial and serves no public interest what so ever.” 134V. 2.2.3. 159 ad esempio, Nutella 1 3 7 e avvenuto in Président. 1 3 8 Deutsche E' Pest, 1 3 5 interessante poi Porco notare Diesel , 1 3 6 come il riconoscimento della genuina natura della parodia, e quindi del correlato interesse sociale ad esserne destinatari, può arrivare anche a prevalere sulla sussistenza di un interesse commerciale; 1 3 9 ad esempio in Lila-Postkarte, pur se le cartoline in cui si richiamava al marchio Milka, erano poste in vendita, la corte affermò che non si trattasse di un uso puramente commerciale, in quanto, laddove venga riconosciuta la genuinità della parodia come forma d'arte, l'uso del marchio non può esser definito tale. 1 4 0 Al contrario, in Punt.nl, anche se la parodia di Nijntje non era compiuta a fini commerciali, essendo stata qualificata dalla Corte come gratuita e denigratoria, venne, per questi motivi, fatta oggetto di divieto. 1 4 1 135Deutsche Pest, LG Hamburg, 27 ottobre 1999, in GRUR 2000. 136Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss. 137Nutella, Cour d'Appel de Paris, 7 maggio 2004. 138Président, Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 ottobre 1996. 139Sakulin chiama quegli usi che combinano elementi artistici e commerciali mixed expression; nel bilanciamento che le corti devono eseguire tra diritti del titolare del marchio e libertà d'espressione egli, oltre al pubblico interesse, individua poi come criteri che devono esser usati dalla corte l'intento dell'utilizzatore, la funzione dei contenuti e il fatto che il marchio sia usato come indicatore d'origine; in questo bilanciamento, affinché si l'utilizzatore non autorizzato possa usufruire del c.d. due cause è necessario però che la corte riconosca primariamente un interesse pubblico sottostante; v. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 269 “In sum, if the expression contains elements that are of public interest, Article 10 ECHR requires of courts to make an adequate distinction between purely commercial expression and mixed expression. In such an assessment, courts should take into account at least the following factors: (1) the intensity of the public interest as opposed to the commerciality, (2) whether the use has taken place in an editorial manner, i.e. in the contents of a commercial (news) publication or film (3) whether the trademark has been used in a source-identifying manner, (4) the intent of the speaker. […] Under Article 5.2. TMDir, the criteria of unfairness and due cause offer room for balancing, but all depends, however, on courts being willing to recognise and protect the public interest elements in mixed expression.” 140V. Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e in IIC, 2007, 119 ss.; a riguardo v. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 267 “In the Lila Postkarte case, the BGH decided that the artistic freedom under Article 5.3 GG of a third party using a trademark use on a humorous postcard must prevail over possible free-riding if the expression is not following purely commercial aims. It held that the viewers will be able to recognise that the particular message is humorous and critical.” 141 V. Mercier v. Punt.nl., Corte di Amsterdam, 22 dicembre 2009. 160 Le valutazioni a cui le corti sono chiamate nello stabilire la sussistenza di un interesse sociale presentano profili di evidente difficoltà; plausibile qualora che però dall'uso questo del venga marchio riconosciuto, discenda un diventa danno alla reputazione dello stesso o al suo carattere distintivo, 1 4 2 a patto che l'uso non sia meramente denigratorio, il che farebbe venir meno lo stesso interesse sociale ; non può esser infatti qualificato tale l'ascolto, da parte del pubblico di gratuite offese. Allo stesso modo è possibile che la notorietà del marchio o il suo carattere distintivo comportino, per il suo utilizzatore, un vantaggio; 1 4 3 qualora, però, questo sia giustificato dall'interesse del pubblico a fruire di una forma d'arte, che sfrutta sì, anche a fini commerciali, il marchio, ma che non ne costituisce, in termini di sfruttamento ed agganciamento, il fine principale, allora questo vantaggio non si porrà al di fuori della legge. Al contrario, nel caso in cui agganciamento e sfruttamento costituiscano il fine principale dell'operazione si configura quel fenomeno, a cui abbiamo già accennato nel corso 142 L'art. Art. 5(2) della Direttiva 2008/95/CEE afferma infatti che solo in assenza di un giustificato motivo il danno alla reputazione o al carattere distintivo del marchio è qualificabile come violazione dei diritti del suo titolare; come abbiamo visto, ad esempio, nei casi STOP-E$ $0, Jeboycottedanone, stopesso.de, in presenza di un due case dovuto all'interesse sociale a ricevere informazioni, l'utilizzo non autorizzato del marchio non può esser definito al di fuori della legge. V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 282-283 “Criticism, comment, art and parody that involve trademarks may often harm the distinctive character or repute of those trademarks. In the case of a boycott, it may even be the very intention to cause economic harm. Critical expression and calls for boycott may however be permissible forms of expression and Article 10 ECHR grants heightened protection even to expression that shocks, offends, or disturbs. Moreover, it grants speakers a large freedom to criticise, to exaggerate and to chose means of expression that communicate messages in the most effective form, meaning the fact that harm is caused to the distinctive character or repute of a trademark cannot be the decisive factor in prohibiting third party trademark use in non-commercial expression or mixed expression. Rather, the particular expression needs to be balanced against the interests of the trademark right holder.” 143L'art. Art. 5(2) della Direttiva 2008/95/CEE afferma che solo in assenza di un giustificato motivo il vantaggio tratto dal carattere distintivo o dalla reputazione del marchio altrui può esser definito come violazione dei diritti del suo titolare; v. ad esempio Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di Den Hague, 4 maggio 2011 (anche se, come vedremo questo caso ha riguardato l’utilizzo non-autorizzato di un design registrato); Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e inIIC, 2007, 119 ss. 161 della nostra trattazione, del free-riding. 1 4 4 Ciò in quanto, in mancanza del riconoscimento di una qualche forma d'arte o della genuinità della parodia o della satira del marchio, il suo utilizzatore non autorizzato conseguirebbe un vantaggio, tale da potersi qualificare indebito (unfair), proprio per la mancanza della suddetta caratterizzazione del suo uso. La fattispecie del free-riding è da considerasi una violazione dei diritti del titolare del marchio, venendosi a realizzare, in mancanza di un giustificato motivo , la prima delle situazioni previste dall'art. 5(2) della Direttiva 2008/95/CEE. Per queste ragioni, dunque, siffatto utilizzo viene sanzionato dalla legge. 2.3.2. Fair use e tassonomia delle eccezioni. Abbiamo avuto modo di analizzare, nei paragrafi precedenti, come il sistema americano si differenzi da quello europeo per il fatto che le esenzioni di responsabilità per chi compia usi diluitivi del marchio altrui vengano chiaramente tipizzate all'interno del Lanham Act all'art. 1125(3). A prima vista, quindi, viene lasciato alle corti uno spazio interpretativo più ristretto nell'effettuare il bilanciamento tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio, in quanto, attraverso l'indicazione delle suddette esenzioni, viene in qualche modo internalizzato, nel diritto dei marchi, il principio della libertà d'espressione. In questo modo le corti dovrebbero esser in parte sollevate dal gravoso compito di operare una mediazione 144Casi evidenti di free-riding che abbiamo analizzato nel corso del presente capitolo sono ad esempio Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss.; GRH c. Newton Compton editori, Trib. Roma, 23 giugno 2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375.; ADIHASH, gives you speed, OLG Hamburg, 5 settembre 1991, in GRUR 1992; Président, Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 ottobre 1996. 162 libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio, in quanto questo bilanciamento viene in parte compiuto dalla legge stessa. Nonostante ciò costituisse l'obbiettivo degli estensori del FTDA (e poi del TDRA), non sempre l'interpretazione data dalle corti ha rispecchiato le intenzioni del legislatore, come abbiamo osservato in alcuni dei casi analizzati in precedenza. 1 4 5 In un'analisi della tassonomia delle esenzioni proposta dall'art. 1125(3) possiamo, in primo luogo, notare come venga dato risalto alla categoria del c.d. fair use; 1 4 6 si afferma dunque una generale esclusione di responsabilità per chi compia un utilizzo onesto del marchio altrui nella pubblicità comparativa e, caso che a noi interessa più da vicino, nell'“identifying and parodying, criticizing, or commenting upon the famous mark owner or the goods or services of the famous mark owner.” 1 4 7 Viene dunque riconosciuta in questa sede un'esplicita esenzione per quanto riguarda la 145Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998; Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997; OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 28 febbraio 2000; abbiamo già approfondito questi casi in 2.2.2. 146Il principio del fair use nasce per il diritto d'autore ed è previsto dall'art. 117 del Copyright Act che afferma “Notwithstanding the provisions of sections 106 and 106A, the fair use of a copyrighted work, including such use by reproduction in copies or phonorecords or by any other means specified by that section, for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching (including multiple copies for classroom use), scholarship, or research, is not an infringement of copyright. In determining whether the use made of a work in any particular case is a fair use the factors to be considered shall include—(1) the purpose and character of the use, including whether such use is of a commercial nature or is for non profit educational purposes;(2) the nature of the copyrighted work; (3) the amount and substantiality of the portion used in relation to the copyrighted work as a whole; and(4) the effect of the use upon the potential market for or value of the copyrighted work. The fact that a work is unpublished shall not itself bar a finding of fair use if such finding is made upon consideration of all the above factors.” Questo principio, che difende in modo ampio la libertà d'espressione all'interno del diritto d'autore non è però in toto importabile all'interno del diritto dei marchi in quanto esso è considerato un animale diverso rispetto al diritto d'autore; v. W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra nota 38, pag. 121 “Nevertheless, trademark is a different animal, and the lessons of copyright may not be fully transferable. For starters, copyrights vest automatically upon creation, but a trademark is granted based on fact-specific circumstances and public perception. The scope of the initial right also differs tremendously: at least as a prima facie matter, copyrights prohibit virtually any form of use, while only uses likely to confuse (or, now,dilute) violate trademark law. Because of these dissimilarities, the existence of trademark rights is far more contingent on factual circumstances.” 147Lanham Act, art. 1125(3)(A)(ii). 163 parodizzazione e la critica del marchio e dei prodotti da esso contrassegnati. Ciò deve però avvenire nei limiti di un uso che possa definirsi fair e la questione ruota quindi attorno a quali utilizzi possano definirsi come tali. La stessa norma include, all'interno della categoria del fair use il c.d. descriptive fair use ed il nominative fair use. Queste due tipologie di uso onesto sono già state esaminate nel corso del I capitolo. 1 4 8 La categoria del fair use è andata però espandendosi, attraverso il TDRA, ben oltre il nominative e il descriptive fair use, intendendo appunto, come uso onesto anche la parodia e la critica del marchio. 1 4 9 L'esenzione di responsabilità dovuta dal fair use può però esser riconosciuta solamente se l'utilizzazione del marchio famoso non avvenga in funzione di una designation of source. Di questa novità, introdotta dal TDRA, abbiamo già accennato in precedenza, 1 5 0 evidenziando il fatto che la legislazione statunitense non fornisca alcuna chiara indicazione di cosa si debba intendere per designation of source, fattore che però si rivela molto importante per stabilire se un determinato utilizzo del marchio possa godere dell'esenzione di responsabilità in forza di un fair use. Un altro punto non chiaro di questa prima parte della norma è poi cosa si intenda per nominative fair use; se, come abbiamo visto, questo concetto viene introdotto dal giudice Kozinski in The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc., dove viene creato un apposito test 1 5 1 affinché un 148V. 1.3. 149V. B.N. LOVEJOY, Tarnishing the Dilution by Tarnishment Cause of Action: Starbucks Corp. v. Wolfe's Borough Coffee, Inc. and V. Secret Catalogue Inc. v. Moseley, Compared, Berkeley technology Law Journal, 2011, pag. 631-632 “Further, unlike the FTDA, the TDRA explicitly specifies that various nominative fair uses are not actionable under the statute. The TDRA specifically shields comparative advertising, parodies, all forms of news reporting and news commentary, and any other noncommercial use of a mark from liability for dilution.” V. anche S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag. 12411242 “the TDRA significantly broadens the fair use exemption as compared to the FTDA […] the TDRA explicitly exempts a broad range of fair uses, from nominative fair uses to parodies.” 150V. 2.2.1.2. 151V. 1.3. Il test indicato dal 9th Circuit in The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc. viene poi utilizzato e in parte modificato dallo stesso 9 th Circuit in decisioni successive: v., ad esempio, Playboy Enters., Inc. v. Welles, U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 279 F.3d 164 determinato uso possa definirsi come nominative fair use, è altresì vero che, nel corso degli anni, circuiti diversi dal 9 t h Circuit, hanno utilizzato dei test di tipo diverso. 1 5 2 La domanda posta dalla dottrina è quindi cosa si intenda per nominative fair use. Come vedremo non si tratta dell'unico appunto da essa compiuto al TDRA. Il punto (B) dell'art. 1125(3), che si riferisce all'esenzione di responsabilità per chi utilizzi il marchio in funzione di “ news reporting and news commentary” non presenta particolari difficoltà interpretative, 1 5 3 al contrario, invece, del punto (C) del medesimo articolo, nel quale viene esplicitamente sollevato da ogni responsabilità chi utilizzi il marchio altrui per fini non commerciali. 796, 1 febbraio 2002; Mattel, Inc. v. Walking Mountain Prods., U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 353 F.3d 792, 2003. 152V. Century 21 Real Estate Corp. v. Lendingtree, Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 3rd Circuit, 425 F.3d 211, 11 ottobre 2005 “Few other courts have spoken on the precise issue of how nominative fair use is successfully invoked. Indeed, it seems that only the Second, Fifth, and Sixth Circuits have referenced the nominative fair use defense by name and even on these occasions have done so only to refer to what district courts had done with the issue or to decline to adopt the Ninth Circuit's test as a whole.” Nella stessa sentenza il 3rd Circuit propone altresì un suo test per provare il nominative fair use; v. ibid. “In so doing, we conclude that the test [quello del 9th Circuit, n.d.r.]as written suffers from a lack of clarity. This is evident in the contortions that the Ninth Circuit Court of Appeals itself has gone through in applying it, the confusion that the District Court here encountered in its application, and in our conviction that a modified inquiry would aid in reaching the right result. We will adjust the test to include a slightly different set of considerations:1. Is the use of plaintiff's mark necessary to describe (1) plaintiff's product or service and (2) defendant's product or service? 2. Is only so much of the plaintiff's mark used as is necessary to describe plaintiff's products or services.”; v. anche S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag. 12431244 “While the Ninth Circuit’s formulation has had influence on rulings in other circuits, the Ninth Circuit’s test is not universally accepted. […] The Third Circuit has adopted its own twostep approach for dealing with questions of nominative fair use, inspired by, but not strictly following, the Ninth Circuit. As of 2005, the Seventh Circuit 'has not ruled on the applicability of the nominative fair use defense, nor the standards by which a claim of nominative fair use should be evaluated.' As of February 2007, the First Circuit had not yet 'decided whether to endorse the Ninth Circuit’s test for nominative fair uses,' but noted that it had previously 'recognized the underlying principle.' So while the TDRA now officially recognizes a defense of nominative fair use, it is not clear how courts will analyze and apply the defense in TDRA tarnishment cases.” V. anche W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra nota 38, pag. 89 “The Third and Fifth Circuits, and some district courts, also have deployed various forms of nominative fair use doctrine. The First and Sixth Circuits, in contrast, explicitly declined opportunities to adopt the test.” 153V. S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, 2008, supra nota 115, pag. 1250 “This exemption seems to be fairly self-explanatory and noncontroversial.The TDRA places no restrictions on the use of a trademark in the context of news reporting or commentary.” 165 Il problema che viene posto dalla dottrina e dalla giurisprudenza è però cosa si debba intendere per abbiamo analizzato nei paragrafi non-commercial use. Come precedenti, 1 5 4 difatti, la giurisprudenza americana è stata ondivaga nella definizione di uso commerciale e non commerciale , come traspare d'altronde dal confronto che abbiamo compiuto tra le diverse decisioni prese dalle corti in merito. 1 5 5 Per questo McGeveran , ad esempio, ha proposto alcune modifiche legislative, in modo tale da introdurvi una chiara definizione di uso non-commerciale e non lasciare che questo importante aspetto possa venire interpretato liberamente dalle corti. 1 5 6 L'incertezza riguardo alle interpretazioni che possono esser fornite dalle corti dell'art. 1125(3), infatti, rischia di incidere gravemente sulla libertà d'espressione. 1 5 7 Si deve infatti considerare, come accennato in precedenza, che, la maggior parte delle cause 154V. 2.2.2., 2.2.3., 2.2.1.2. 155V. il raffronto compiuto nel corso dei paragrafi precedenti tra Planned Parenthood, Jews for Jesus e OBH, da una parte, e Northland Insurance, Ford Motor e Wal Mart dall'altra su cosa si debba intendere per uso commerciale del marchio. Nelle prime infatti viene indicato come uso commerciale anche un semplice link ad un sito con intenti; commerciale viene inoltre definito ogni uso del marchio che possa danneggiare economicamente il suo titolare; questo orientamento viene ribaltato da Northland Insurance, Ford Motors e Wal-Mart, fino ad arrivare a Mattel v. Mca Records dove viene definito non commerciale l'utilizzo del marchio Barbie in una nota canzone del gruppo pop Aqua; di ciò si è già discusso in 2.2.2., 2.2.3., 2.2.1.2. 156V. W. MC GEVERAN, The Trademark Fair Use Reform Act, Boston University Law Review, 2010, pag. 2299-2321. 157V. W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra nota 38, pag. 111 “The more serious impact emerges earlier, before any suit is filed, when the chilling effect occurs. Imagine an average person—not a lawyer—who is contemplating an unlicensed expressive use of a trademark and understandably worries about liability. The person asks an attorney for advice. The bottom line of the response should be that courts usually favor expressive uses. But, it will need to be accompanied by a lengthy memo, full of caveats, which cites in the alternative to a series of amorphous precedents, warns that those cases are all fact-specific, and predicts that litigation may be protracted. This response might not inspire great confidence.” Hofrichter pone l'accento sulla necessità di trovare una definizione di designation of source per evitare un chilling effect sulla libertà d'espressione; v. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48, pag. 1957 “Accepting the fact that phrases such as 'source' and 'origin' do, in fact, present interpretational difficulties, it is important that an interpretation is crafted early on that clearly demarcates what is actionable and what is protected speech. In this way, the statute will have less of a restraining effect on protected speech whether in court or out of court via 'chilling effects.'” 166 riguardanti il contrasto tra prerogative del titolare del marchio e libertà d'espressione, vedono come parte attrice una ricca multinazionale e come resistente un singolo individuo, piccole società o ONG. Se quest'ultima parte processuale non ha, in qualche modo, la certezza riguardo all'esito del processo, potrebbe autoinibirsi nell'uso del marchio altrui, anche per fini protetti dalla libertà d'espressione, in quanto spaventata da possibili e costose conseguenze. Oppure, nel caso abbia già compiuto quest'uso, desista dal continuarlo, una volta ricevuta la minaccia del titolare del marchio sotto forma di una cease and desist letter, a cui abbiamo già accennato in precedenza. 1 5 8 Per evitare questo chilling effect sulla libertà d'espressione parte della dottrina, primo tra tutti McGeveran, 1 5 9 suggerisce di sgombrare il campo da possibili incertezze interpretative, così da infondere quel coraggio, in alcuni casi mancante, a chi usi un marchio in funzione parodistica o critica o si proponga di farlo. In questo modo i timori di una riduzione del breathing space, riservato alla libertà d'espressione, verrebbero fugati. 158V. 2.2.1.2. 159McGeveran propone diverse modifiche al TDRA, tra le quali l'eliminazione della dicitura “designation of goods” (proposta appoggiata anche da Hofrichter in J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48, pag. 1957 “The best way to prevent the harms discussed in this Note would be to altogether remove the “designation of source” exception to the fair use exclusion.”) dall'art. 1125(3)(A), l'introduzione nel FTDA del cosiddetto safe harbor per la libertà d'espressione dato dalla non commercialità così come definita dal giudice Kozinski in Mattel v. Mca Records, una particolare protezione per i c.d. communicative works, per i loro titoli e per la comunicazione politica; queste proposte sono contenute in W. MC GEVERAN, The Trademark Fair Use Reform Act, supra nota 156, pag. 2299-2321. 167 2.4. GLI EFFETTI DELL'UTILIZZO PARODISTICO, SATIRICO O CRITICO DEL MARCHIO – LA DILUIZIONE. Dopo aver analizzato i criteri attraverso i quali le corti, sia europee che americane, compiono un bilanciamento tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio, e prima di esaminare come, in concreto, avvenga questa mediazione, tema che sarà oggetto del III capitolo, si ritiene necessario approfondire gli effetti che un utilizzo parodistico, satirico o critico del marchio notorio possono avere sul medesimo. A questi aspetti avevamo in parte già accennato nel corso del capitolo I, 1 6 0 senza però compiere una approfondita analisi in merito. Possiamo sin da subito notare come la normativa americana e quella europea, pur distinguendosi per le forme utilizzate, siano molto simili nei contenuti. Se la legislazione comunitaria non parla né di dilution, né di blurring né tanto meno di tarnishment , al contrario di quella americana, come vedremo nei prossimi paragrafi, essa comprende al suo interno queste categorie. Inizieremo il nostro esame partendo dall'analisi comparativistica della fattispecie di diluizione. Questo concetto viene elaborato negli Stati Uniti e introdotto a livello legislativo federale nel 1995, 1 6 1 attraverso il FTDA, che si propone di dar una protezione a livello federale al marchio famoso, 1 6 2 al di là della fattispecie di confusione che si stava, nel tempo, rivelando sempre più inadeguata allo scopo. Il FTDA afferma dunque che diluizione è da intendersi come “the 160V.1.2.3.3. 161In realtà il concetto di dilution ha radici più risalenti nel tempo, essendo stato creato nel 1927 da F. Schechter e introdotto in varie legislazioni statali, prima tra le quali quella del Massachusetts nel 1947 162Abbiamo già analizzato in 1.2.3.3. le caratteristiche che il marchio negli Stati Uniti deve avere per esser considerabile come famoso. 168 lessening of the capacity of a famous mark to identify and distinguish goods or services, regardless of the presence or absence of (1) competition between the owner of the famous mark and other parties, or (2) likelihood of confusion, mistake, or deception.” 1 6 3 Quindi, al di là di ogni possibilità di confusione, inganno o concorrenzialità tra i marchi e i prodotti da essi contrassegnati, per diluizione si intende la perdita o l'indebolimento di quella che, come abbiamo visto nel primo capitolo, costituisce la funzione essenziale del marchio, ossia la capacità distinguere prodotti o servizi. 1 6 4 Questa definizione di diluizione diventerà superflua, e verrà di conseguenza eliminata, con la riforma del FTDA, avvenuta nel 2006, attraverso il TDRA, che porterà diverse modifiche al concetto di diluizione e alla protezione del marchio famoso. Le principali novità da esso introdotte e che più da vicino ci riguardano sono: la diversa qualificazione di marchio famoso (di cui ci siamo occupati nel I capitolo), la modificazione delle esenzioni di responsabilità per gli utilizzatori non autorizzati del marchio (tema affrontato nel paragrafo precedente), l'introduzione della possibilità di adire al giudice in caso di likelihood of dilution e non solo di actual dilution (tema che approfondiremo nel III capitolo), ed, infine, la netta divisione tra blurring e tarnishment. Il FTDA infatti accennava solamente alla fattispecie di blurring (“dilution of the distinctive quality of the mark”),165 tacendo però su quella di tarnishment . 1 6 6 Il TDRA, al contrario, parla sì di diluizione, eliminandone però la definizione all'art. 1127, e divide nettamente 163FTDA, Lanham Act, art. 1127. 164La diluizione viene descritta dal Frank Schecheter, unanimemente considerato il creatore di questa fattispecie, come “the gradual whittling away or dispersion of the identity and hold upon the public mind of the mark or name by its use upon non-competing goods.” V. F. SCHECHTER, The Rational Basis of Trademark Protection, Harvard Law Review, Harvard Law Review, 1927. 165FTDA, Lanham Act, art. 1125(C). 166V. M. LAFRANCE, Steam, Shovels and Lipstick, Trademark, Greed and the Public Domain, supra nota 68, pag. 456 “The FTDA does not separately defines blurring and tarnishment […] in contrast to the state antidilution statutes, which typically are worded in such a way that they clearly encompass both blurring and tarnishment, the FTDA is silent on tarnishment." 169 questa fattispecie in blurring e tarnishment , che saranno oggetto di approfondimento nei paragrafi seguenti. La normativa comunitaria, invece, come abbiamo accennato, non fa esplicito riferimento a queste fattispecie attraverso l'utilizzo dei termini sopra indicati. In essa, all'art. 5(2) della Direttiva 2008/95/CEE, si parla di detrimental (danno) al marchio famoso, specificando poi che questo può avvenire nei confronti della reputazione del marchio (delineando, implicitamente, la fattispecie indicata oltreoceano come tarnishment) o della sua capacità distintiva (ciò che negli Stati Uniti è definito come blurring). Non ci resta dunque che passare all'analisi di queste due fattispecie. 2.4.1. Blurring (Offuscamento) Per blurring viene inteso, tanto in ambito europeo, quanto in quello statunitense, un utilizzo del marchio che ne comporti un danno alla sua capacità distintiva . In questo modo si esprimono sia l'art. 5(2) della Direttiva 2008/95/CE che, pur non nominando esplicitamente la fattispecie, parla di “ pregiudizio al carattere distintivo […] del marchio”, sia l'art. 1125(2)(B) del Lanham Act, che definisce il blurring come una “association arising from the similarity between a mark or trade name and a famous mark that impairs the distinctiveness of the famous mark.” Per danno alla capacità distintiva del marchio viene intesa una sua diminuita attitudine ad esser associato ai prodotti o ai servizi per i quali è stato registrato, venendo così a pregiudicare quella che, come abbiamo visto in 170 precedenza, viene definita come funzione essenziale del marchio. 1 6 7 Questa perdita del legame tra marchio e prodotto o servizio deve avvenire nella mente del pubblico di riferimento, il quale, pur non confondendosi sull'origine dei prodotti, perviene ad un affievolimento della capacità di associare il marchio anteriore ai prodotti per i quali esso è stato registrato dal suo titolare, determinando altresì un'attenuazione del selling power del marchio. 1 6 8 167 La dottrina e la legislazione americana parla di blurring in quanto l'uso fatto dal terzo non autorizzato blurs, offusca, il legame tra il marchio e i prodotti del suo titolare; v. B. BEEBE, A Defense of the New Federal Trademark Antidilution Law, supra nota 76, pag. 1148 “The idea underlying the concept of blurring is that the defendant’s use of a mark similar or identical to the plaintiff’s mark will “blur” the link between the plaintiff’s mark and the goods or services to which the plaintiff’s mark is traditionally attached.” Ciò, richiamandoci all'analisi compiuta in 1.2.1., altro non fa che aumentare il c.d. search cost per il consumatore, come emerge dall'analisi compiuta da Posner in Ty Inc. v. Perryman, U.S. Federal Court of Appeals, 7th Circuit, 306 F.3d 509, 4 ottobre. 2002 “There is concern that consumer search costs will rise if a trademark becomes associated with a variety of unrelated products. Suppose an upscale restaurant calls itself "Tiffany." There is little danger that the consuming public will think it's dealing with a branch of the Tiffany jewelry store if it patronizes this restaurant. But when consumers next see the name 'Tiffany' they may think about both the restaurant and the jewelry store, and if so the efficacy of the name as an identifier of the store will be diminished. Consumers will have to think harder — incur as it were a higher imagination cost — to recognize the name as the name of the store So "blurring" is one form of dilution.” V. anche J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48, pag. 1933-1934. Per quel che riguarda la giurisprudenza comunitaria in merito v. Intel Corp. Inc. v. CPM United Kingdom Ltd., Corte di Giustizia Europea, C-252/07, 27 novembre 2008, para. 29 “as regards, in particular, detriment to the distinctive character of the earlier mark, also referred to as ‘dilution’, ‘whittling away’ or ‘blurring’, such detriment is caused when that mark’s ability to identify the goods or services for which it is registered and used as coming from the proprietor of that mark is weakened, since use of the later mark leads to dispersion of the identity and hold upon the public mind of the earlier mark. That is notably the case when the earlier mark, which used to arouse immediate association with the goods and services for which it is registered, is no longer capable of doing so.” V. anche ibid., para. 76; v. anche le Conclusioni dell'avvocato generale F.G. Jacobs in Adidas v. Fitnessworld, Corte di Giustizia Europea, C-408-01, 10 luglio 2003, para. 37 “L'essenza della diluizione, in questo senso classico, consiste nello smussamento della qualità distintiva del marchio, di modo che esso non risulta più in grado di suscitare un'immediata associazione mentale con i beni per i quali è stato registrato ed utilizzato.” 168V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45 cap. I, pag. 361 che cita Mead Data Central, Inc. v. Toyota Motor Sales, U.S.A., Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 875 F.2d 1026, 1989 “Blurring involves 'the whittling away of an established trade-mark's selling power and value through its unauthorized use by others upon dissimilar products.'” 171 A differenza della normativa comunitaria quella statunitense indica altresì i fattori che devono esser valutati dalle corti nel decidere il concretarsi o meno di questa fattispecie; questi fattori sono: “(i) The degree of similarity between the mark or trade name and the famous mark. (ii) The degree of inherent or acquired distinctiveness of the famous mark. (iii) The extent to which the owner of the famous mark is engaging in substantially exclusive use of the mark. (iv) The degree of recognition of the famous mark. (v)Whether the user of the mark or trade name intended to create an association with the famous mark. (v) Any actual association between the mark or trade name and the famous mark.” 1 6 9 Questi parametri sono in un rapporto di interdipendenza tra di loro, ed altresì non-esclusivi : ad una maggior distintività o fama del marchio, ad esempio, può corrispondere un più basso grado di somiglianza tra il marchio e il segno utilizzato dal c.d. junior user e viceversa. 1 7 0 Viene poi data molta rilevanza all'intento del junior user nel creare un'associazione (c.d. predatory intent) 1 7 1 e all'associazione stessa che ne deriva. Anche qualora non tutti i parametri indicati siano soddisfatti, è però possibile il concretarsi di questa fattispecie. 1 7 2 La previsione di questo test da parte del TDRA ha spazzato via quelle incertezze dovute ai diversi tipi di tests adottati in precedenza dalle corti americane. 1 7 3 169Lanham Act, art. 1125(c)(2)(B). 170V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 82 “However, a distinctive but relatively weak mark seems to require a far greater degree of similarity, and elicits a more exacting scrutiny of the dilution claim.” 171V. ibid. pag. 85 “Predatory intent refers to the defendant's desire to trade on the reputation or goodwill of the plaintiff's mark. If the second user intends to trade on the goodwill of the first user, one may infer, in the absence of contrary evidence, that the attempt was successful.” 172V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 365 “Like other multifactor tests in trademark law, the six TDRA factors for dilution by blurring are discretionary and nonexclusive.” 173Prima del TDRA, mancando nel FDTA un'indicazione dei parametri per stabilire la sussistenza 172 La normativa comunitaria, invece, non fornisce esplicite delucidazioni per quel che riguarda determinati fattori o parametri che devono esser tenuti in considerazione dalle corti nello stabilire quando ricorra la fattispecie di blurring , lasciando alle corti una facoltà di interpretazione giurisprudenza attraverso i riferimento, comunitaria quali più ha statuire possa ampia. elaborato se, instaurarsi nella quel Ciononostante una mente nesso lista di la fattori del pubblico di che permetta il configurarsi tanto di un pregiudizio al carattere distintivo del marchio anteriore quanto di un indebito vantaggio per il junior user. Questi fattori, elaborati dalla Corte di Giustizia Europea, sono: “- il grado di somiglianza tra i marchi in conflitto; - la natura dei prodotti o dei servizi per i quali i marchi in conflitto sono rispettivamente registrati, compreso il grado di prossimità o di dissomiglianza di tali prodotti o servizi nonché il pubblico interessato; - il livello di notorietà del marchio anteriore - la distintività, intrinseca o acquisita grazie all’uso, del marchio anteriore; - l’esistenza di un rischio di confusione nella mente del pubblico.” 1 7 4 di una fattispecie di blurring, vi era diversi tipi di tests applicati dalle corti, elaborati dalle stesse in alcune sentenze; possiamo ad esempio citare il Mead Data test (Mead Data Central v, Inc. v. Toyota Motor Sales, U.S.A., Inc, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit 875 F.2d 1026, 18 maggio 1989), il Nabisco test (Nabisco, Inc. v. PF Brands, Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 191 F.3d 208, 26 ottobre 1999), il Eli Lilly test (Eli Lilly & Co. v. Natural Answers Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 7th Circuit, 233 F.3d 456, 21 novembre 2000); per un loro approfondimento v. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 246-257. 174Intel Corp. Inc. v. CPM United Kingdom Ltd., Corte di Giustizia Europea, C- 252/07, 27 novembre 2008, para. 42. In merito v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1 cap. I, pag. 886. 173 Affinché sia provato il pregiudizio, o il rischio di un pregiudizio, alla distintività del marchio anteriore si richiede dimostrati una modifica del comportamento “che siano economico del consumatore medio dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio anteriore è registrato dovuta all’uso del marchio posteriore o un rischio serio che una tale modifica si produca in futuro.” 1 7 5 Il blurring può esser sì una delle conseguenze di un uso parodistico, satirico o critico del marchio, in quanto nella mente del consumatore un determinato segno non evocherà più solamente i prodotti per i quali esso è stato registrato come marchio ma altresì le risultanze di un siffatto uso. Ciononostante, come vedremo nel paragrafo che segue, la conseguenza che meglio pare addirsi ad un utilizzo parodistico, satirico o critico del marchio è il c.d. tarnishmen t che, in alcuni casi, è altresì combinato ad un danneggiamento del carattere distintivo del marchio . 1 7 6 2.4.2.Tarnishment (Annacquamento). La fattispecie che più da vicino riguarda l'argomento della nostra trattazione è quella di tarnishment . La normativa europea, pur non nominando esplicitamente questa fattispecie, parla di “danno alla 175Ibid. para. 77. 176V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota ?94, pag. 96 “Many cases involve parodies of trademarks, which would be ineffective if they caused a lessening of source identification. The real issue in such cases is a combination of loss of control on the mark's message, and a fear that the good reputation associated with the mark will be harmed by tarnishing use.” V. ad esempio Moseley v. Victoria's Secret Catalogue v. Moseley, U.S. Federal Court of Appeals, 6 th Circuit, 19 maggio 2010; Mattel v. MCA Records, US Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F.3d 894, 24 luglio 2002; Eastman-Kodak Co. v. Rakow, U.S. District Court, New York, 739 F.Supp. 116, 2 agosto 1989; Louis Vuitton Malletier S.A. v. Haute Diggity Dog, U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 464 F. Supp. 2d 495, 13 novembre 2007. 174 reputazione del marchio”, 1 7 7 mentre quella statunitense la descrive come una “ association arising from the similarity between a mark or trade name and a famous mark that harms the reputation of the famous mark.” 1 7 8 Il tarnishment consiste dunque in un'associazione che si viene a creare nella mente del consumatore che svilisce la reputazione del marchio; è quindi da considerare come un sottoinsieme del blurring 1 7 9 in quanto, oltre a indebolire l'originario legame tra marchio e prodotti per i quali è stato registrato, danneggia quell' aura che anni di marketing hanno contribuito a creare intorno al marchio. Al pari del blurring, poi, può comportare una riduzione del selling power del marchio. 1 8 0 Questo danno alla reputazione del marchio può avvenire in vari modi, che, come vedremo, in alcuni casi possono lambire molto da vicino i confini tra prerogative del titolare del marchio e libertà d'espressione. Il primo tipo di danneggiamento alla reputazione del marchio può delinearsi attraverso l'associazione del marchio a prodotti di bassa qualità o totalmente diversi rispetto a quelli commercializzati dal suo titolare e che in qualche modo, date le loro caratteristiche intrinseche, possano creare un detrimento all'immagine del marchio nella mente dei consumatori. 1 8 1 Un ottimo esempio sul versante 177Direttiva 2008/95/CE, art. 5(2). 178Lanham Act, art. 1127(C)(2)(c). 179V. B.A. JACOBS, Trademark Dilution on the Constitutional Edge, Columbia Law Review, 2004, pag. 169 “But tarnishment may better be understood as a subset of blurring: If blurring occurs when consumers mentally associate two marks, then cases where consumers negatively associate two marks, traditionally termed tarnishment, are included in blurring.” V. anche Ty Inc. v. Perryman, U.S. Federal Court of Appeals, 7 th Circuit, 306 F.3d 509, 4 ottobre 2002 “So 'tarnishment' is a second form of dilution. Analytically it is a subset of blurring, since it reduces the distinctness of the trademark as a signifier of the trademarked product or service.” 180V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 258 “This [tarnishment n.d.r.] may reduce the mark's selling power among consumers, diminishing its value as marketing tool.” 181V. ibid., pag. 109 “A second form of tarnishment occurs when the junior user produces an 175 europeo è fornito dai casi MARS e NIVEA, che, come accennato in precedenza, hanno riguardato l'accostamento dei due celebri marchi registrati rispettivamente per dolciumi e creme cosmetiche a profilattici. 1 8 2 La medesima ratio è stata poi applicata nel caso Souza Cruz v. Hollywood, in cui il resistente utilizzava il marchio Hollywood , precedentemente contrassegnare il suo registrato prodotto, ossia per delle chewing-gum, sigarette. per Questo accostamento venne ritenuto dal Board of Appeal dell' OHIM come inferior (even if non-competing) product, engendering a risk that the consumers associate the senior user with the poor quality. This can occur even in the absence of confusion.” S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45 cap. I, pag. 366 “Association with goods or services of inferior quality is another category that cover a wide range of possible cases.” R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4 cap. I, pag. 716 “There is some authority that tarnishment can be established when a defendant uses plaintiff's mark in shoddy, low quality, or perhaps even dangerous goods.” S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag. 1237-1240. Per quanto riguarda la dottrina europea v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1 cap. I, pag. 887 “The first is where the proposed use on the applicant's goods would reflect badly on the opponent's reputation. This would be the case where the mark is used on ineffective goods, but there might equally be damage to reputation where there is some other negative association with goods or as it is sometimes called, 'antagonism' between goods.” 182V. Markenverunglimpfung/Mars, Bundesgerichtshof, 10 febbraio 1994, in GRUR 1994 e in IIC 1995 “If marks, whose reputation was established by the plaintiff only in connection with confectionery, in particular a candy-bar, and which marks have great advertising value for these goods, are used- as on the part of the defendant- for labelling of contraceptive wrappers, then this circumstance alone suffices to impair their advertising power in regard to the original goods and, moreover, to ruin their positive image at least as far as part of the public is concerned […] for their purpose, contraceptives evoke certain associations (sexual relations, AIDS prevention, etc.), which significant portions of the addressed public would certainly rather do without when it comes to buying candy, and with which reputable candy manufacturers, in particular, rightfully do not wish to e identified because, as a rule, contraceptives do not appear to promote the sale or image of their products.” V. in proposito E. GREDLEY, S. MANIATIS, Parody: A Fatal Attraction? Part 2: Trade Mark Parodies,supra nota 89, pag. 417-418; J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 cap. I, pag. 384. Un caso simile, sempre riguardante l'uso parodistico di un marchio famoso (quello della crema Nivea in questo caso) per la vendita di preservativi è Markenverunglimpfung II/Nivea, Bundesgerichtshof, 19 ottobre 1994, in GRUR 1995; v. anche C A Sheimer (M) Sdn Bhd's application, opposition by Visa InternationalService Association, UK Trade Mark Registry, 1999, ETMR, riguardo al rifiuto di registrazione del marchio VISA per profilattici in quanto a detrimento del corrispondente marchio registrato per carte di credito. Sempre a proposito di preservativi è poi da sottolineare come in un altro caso (Oasis Stores Ltd's appliocation; opposition of Ever Ready plc, UK Trade Mark Registry, 1999, ETMR) l'utilizzo del segno EVEREADY per contrassegnare preservativi non venne considerata come danneggiante l'immagine del marchio anteriore EVER READY registrato per batterie; v. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 cap. I, pag. 386. 176 danneggiante l'immagine del marchio del ricorrente. 1 8 3 A questo riguardo, sul versante americano, possiamo citare ad esempio l'associazione tra la nota marca di gioielli Tiffany ed un ristorante di Boston che usava il medesimo nome. 1 8 4 Un altro caso in qualche modo simile è poi Diane Von Furstenberg Studio v. Snyder, in cui la parte resistente aveva utilizzato il marchio DVF per contrassegnare abiti di qualità molto assai inferiore rispetto a quelli della ricorrente; la corte, oltre a rilevare una likelihood of confusion , affermò altresì che l'uso compiuto da Snyder era tale da danneggiare la reputazione del marchio DVF. 1 8 5 183V. Souza Cruz v. Hollywood, OHIM Board of Appeal, 25 aprile 2001, para. 95 “Therefore the negative connotation conveyed by tobacco contrasts strikingly with the ‘HOLLYWOOD’ trade mark’s image. No worse association can be imagined for a confectionery manufacturer than one with products capable of causing death. Use of the ‘HOLLYWOOD’ trade mark in correlation with tobacco products would produce a regrettable association with the health risks and other negative feelings.” V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 cap. I, pag. 385-386. Un altro accostamento che è stato ritenuto danneggiare l'immagine del marchio è quello tra il marchio detenuto dalla casa automobilistica AUDI e l'uso che ne è stato fatto per apparecchi acustici AUDI-MED; v. Audio Medical Devices Ltd's application; opposition of Audi AG, UK Trade Mark Registry, 1999. In Francia possiamo poi rilevare il caso Hilton International v. Raclet, Tribunal de Grande Instance de Paris, 1999, riguardo alla registrazione del marchio Hilton, precedentemente registrato per alberghi, per alcolici. 184Tiffany & Co. v. Boston Club, Inc., U.S. District Court, Massachusetts, 213 F. Supp. 836, 1964; v. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 109-110. 185Diane Von Furstenberg Studio v. Snyder, U.S. District Court, Eastern Virginia, 10 settembre 2007 “The Plaintiff in this case argues that the DVF mark has been diluted by tarnishment, which "generally arises when the plaintiff's trademark is linked to products of shoddy quality, or is portrayed in an unwholesome or unsavory context likely to evoke unflattering thoughts about the owner's product.'[...] This Court finds that there is no dispute that Defendants used the identical DVF mark on the inferior-quality dresses they sold, and that such act was likely to cause dilution of the DVF mark.” V. a proposito S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag. 1237-1238 “With little analysis and no reference to the statute, the court simply states that because the fake DVF dresses were of poor quality, tarnishment is present.” Con riguardo a questa causa Burnstein richiama però altresì l'inopportunità del richiamo alla categoria del tarnishment in questo caso; v. ibid. “The theory of dilution by tarnishment should not apply to similar marks on copied products—if it did, it would simply repeat the anti-counterfeiting provisions of the Lanham Act.” V. anche DanFoam A/S v. Brand Named Beds, LLC, U.S. District Court, Southern New York, 500 F. Supp. 2d 286, 2007 riguardo alla vendita in-autorizzata da parte del resistente di materassi contrassegnati dal marchio del ricorrente in confezioni più piccole, per risparmiare sui costi di trasporto, che inficiavano la qualità del materasso stesso; a riguardo v. S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, Trad. Reporter, 2008, supra nota 115, pag. 1238-1239 e S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45 cap. I, pag. 366. 177 L'altra tipologia di tarnishment, che è poi quella che più da vicino riguarda il tema del nostro studio, deriva dall'utilizzo parodistico, satirico o critico del marchio, capace, per sua stessa natura, di danneggiare l'immagine del marchio. Una prima tipologia di utilizzo parodistico o satirico del marchio, che più volte si è riscontrata, concerne l'accostamento del marchio a condotte malsane, disdicevoli o capaci di scuotere la morale pubblica. 1 8 6 Per quanto riguarda il Vecchio Continente possiamo riscontrare casi in cui è avvenuta la giustapposizione di un marchio al consumo di droghe come, ad esempio, in AGIP-ACID 1 8 7 e ADIHASH; 1 8 8 altre volte (v. PORCO DIESEL) 1 8 9 il marchio ha visto danneggiata la sua reputazione per l'accostamento a temi vagamente blasfemi, mentre in altri casi ciò si è verificato attraverso l'accostamento a temi scabrosi come la pedofilia (v. il caso Nutella) 1 9 0 o il sesso. 1 9 1 Ciò è senza dubbio avvenuto anche negli Stati Uniti a partire dal famoso caso Coca-Cola v. Gemini Rising 1 9 2 riguardante la vendita di posters con la scritta Enjoy-Cocaine combinata al logo della celebre bevanda, coinvolta altresì nel caso Coca-Cola v. Alma-Leo USA, Inc. 1 9 3 Per quanto riguarda il tarnishment del marchio legato 186V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 262 “Certainly the most common situation for courts to invoke tarnishment is where the famous mark is used in connection with unwholesome activity, usually pornography.” 187Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; v. supra nota 80. 188Il caso riguarda l'associazione del celebre brand Adidas alla stilizzazione di una foglia di marijuana e alla scritta “ADIHASH, gives you speed”; v. ADIHASH, gives you speed, OLG Hamburg, 5 settembre 1991, in GRUR 1992. V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 268-269. 189Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss. 190Nutella, Cour d'Appel de Paris, 7 maggio 2004, v. supra nota 113. 191V. supra nota 183 sull'utilizzo di marchi famosi per contrassegnare preservativi. 192Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972 “To associate such a noxious substance as cocaine with plaintiff's wholesome beverage as symbolized by its 'Coca-Cola' trademark and format would clearly have a tendency to impugn that product and injure plaintiff's business reputation.” Di questo caso abbiamo già parlato nel corso di 1.2.3.2. 193La causa riguarda la fabbricazione da parte della Alma-Leo di una bottiglietta di plastica con le 178 all'accostamento al sesso possiamo citare invece Dallas Cowboy Cheerleaders , 1 9 4 Pillsbury Co. v. Milky Way fresh Productions, Inc., 1 9 5 American Express Co. v. Vibra Approved Labs. Corp., 1 9 6 Victoria's Secrets v. Moseley, 1 9 7 Kodak Co. v. Rakow, 1 9 8 Hasbro, Inc. stesse caratteristiche di quella della Coca-cola, contenente dei chewing gum a forma di polvere bianca, forma che evidentemente richiamava la cocaina. V. Coca-cola v. Alma-Leo USA, U.S. District Court, Illinois, 719 F. Supp. 725, 17 agosto 1989 “We finally note that the sale of Magic Powder will likely injure Coca-Cola's reputation. […] In sum, the association with Coca-Cola through the use of a bottle with the same shape will likely injure Coca-Cola's reputation, whether or not confusion takes place.” 194Il caso, di cui abbiamo già parlato in 1.2.3.2., riguarda la produzione di un film dai contenuti pornografici che vede come protagonista una ex-cheerleader della squadra dei Dallas Cowboys; nel film si faceva uso delle casacche della suddetta squadra ed è per questo uso del marchio che la società sportiva decise di adire al giudice; v. Dallas Cowboys Cheerleaders, Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 604 F.2d 200, 14 agosto 1979 “it is hard to believe that anyone who had seen defendants' sexually depraved film could ever thereafter disassociate it from plaintiff's cheerleaders. This association results in confusion which has 'a tendency to impugn (plaintiff's services) and injure plaintiff's business reputation .'” 195Il caso riguarda l'utilizzo del pupazzo Poppie Fresh, testimonial dell'industria alimentare Pillsbury, in alcune raffigurazioni, sul giornale Screw, in cui veniva disegnato intento in atti sessuali; v. Pillsbury Co. v. Milky Way Prods., Inc., U.S. District Court, Georgia, 215 U.S.P.Q., 24 dicembre 1981 “The court concludes that, despite the lack of actual damages, there is a likelihood that the defendants' presentation could injure the business reputation of the plaintiff or dilute the distinctive quality of its trademarks.” 196La causa riguarda la parodia della celebre carta di credito American Express e del suo slogan 'Don't leave home without it' riportato su una confezione di preservativi che richiamava altresì forma e logo della carta; v. Am. Express Co. v. Vibra Approved Labs. Corp., U.S. District Court, New York, 10 U.S.P.Q. 2D 2006, 1989 “Defendants' condom card cannot be shrugged off as a mere bawdy jest, unreachable by any legal theory. American Express has a legitimate concern that its own products' reputation may be tarnished by defendants' conduct; and that damage, impossible to quantify and hence irreparable, will result.” 197Il caso riguarda l'utilizzo da parte di un sexy shop di un'insegna (Victor's Secret) molto somigliante ad una nota marca di lingerie (Victoria's Secret); il titolare del sexy shop fu chiamato in causa e l'uso da lui compiuto fu tacciato di danneggiare sia il carattere distintivo del marchio Victoria's Secrets sia la sua reputazione; il 6th Circuit della Corte d'Appello federale diede ragione a Victoria's Secret, individuando sia blurring che tarnishment, ma questa decisione fu ribaltata dalla Corte Suprema che non affermò non esservi sufficienti prove di diluizione per condannare. Dopo la decisione della Corte Suprema però il Congresso emanò il nuovo TDRA nel quale non si richiede più actual dilution ma una likelihood of dilution; il 6th Circuit quindi tornò sul caso nel 2010, ribadendo il concretarsi della fattispecie di tarnishment, in modo opposto a quanto deciso dalla Corte Suprema, appellandosi alla nuova legge; v. Moseley v. Victoria's Secret Catalogue v. Moseley, U.S. Federal Court of Appeals, 6th Circuit, 19 maggio 2010 “The new law seems designed to protect trademarks from any unfavorable sexual associations. Thus, any new mark with a lewd or offensive-to-some sexual association raises a strong inference of tarnishment.” Su questa causa e sulla sua influenza nell'emanazione del TDRA torneremo in 3.5. 198Il caso riguarda l'associazione compiuta da un comico durante uno show televisivo del marchio Kodak a pratiche sessuali; v. Eastman-Kodak Co. v. Rakow, U.S. District Court, New York, 739 F.Supp. 116, 2 agosto 1989 “The mental association between the two marks coupled with the content of defendant's act creates a likelihood that the "affirmative associations [that the Kodak] mark has come to convey" and which the Company has carefully tended for over a 179 v. Internet Ent’mt Group, Ltd.,199 American Diary Queen Corp. v. New Line Prods., Inc . 2 0 0 Altre volte la parodia o la satira del marchio, pur non riguardando temi considerati scabrosi per la pubblica morale, come sostanze stupefacenti o sesso, possono comunque causare un annacquamento della reputazione del marchio come è avvenuto, ad esempio, in Germania nel caso Deutsche Pest . 2 0 1 Per quanto riguarda gli Stati Uniti possiamo poi citare: Gucci Shops Inc. v. R.H. Macy & Co 2 0 2 e Anheuser-Busch, Inc. v. Balducci Publications. 2 0 3 Dall'analisi americana, compiuta possiamo della notare giurisprudenza, che, qualora sia un europea uso satirico che o parodistico del marchio avvenga in relazione a temi quali il sesso o la droga, temi che per loro natura sono maggiormente idonei a scioccare la morale comune e di conseguenza a danneggiare la reputazione del marchio, le corti siano state più restie a considerare questo utilizzo come protetto dalla libertà d'espressione. 2 0 4 Al century will be tarnished by defendant's use of the mark.” 199Il caso riguarda l'utilizzo del marchio CANDY LAND, detenuto dall'azienda Hasbro e registrato per giocattoli da parte di un'altra società per la costituzione di un sito web a contenuto pornografico (www.candyland.com); v. Hasbro, Inc. v. Internet Ent’mt Group, Ltd., U.S. District Court, Washington, 40 U.S.P.Q.2d, 9 febbraio 1996. 200 Il caso non riguarda un uso in chiave “sessuale” del marchio, ma comunque questo viene utilizzato in un film dallo spiccato carattere satirico e dai contenuti forti nel titolo stesso, pur non essendovi alcun riferimento al marchio Dairy Queen, registrato per prodotti caseari e surgelati all'interno del film; v. American Diary Queen Corp. v. New Line Prods., Inc., U.S. District Court, Minnesota, 35 F.Supp.2d 727, 22 dicembre 1998 . 201Deutsche Pest, LG Hamburg, 27 ottobre 1999, in GRUR 2000; v. supra nota 112. 202Il caso riguarda dei pannolini per bambini che riportavano il marchio GUCCHI GOO e strisce molto similari al marchio Gucci; v. Gucci Shops Inc. v. R.H. Macy & Co, U.S. District Court, New York, 466 F. Supp. 838, 1977. 203Il caso riguarda l'ironica pubblicità compiuta dalla Balducci Publications della birra Michelob (marchio detenuto dalla Anheuser-Busch) attraverso la sua parodizzazione Michelob-Oily (sottointendendo che nella birra fosse contenuto olio); v. Anheuser-Busch, Inc. v. Balducci Publ’ns, U.S. Federal Court of Appeals, 8th Circuit, 28 F.3d 769, 30 giugno 1994 “In this case, the majority of those surveyed construed the ad parody as suggesting that Michelob beer contains oil. This relationship obviously tarnishes the marks' carefully-developed images. Moreover, the tarnishment results from a negative, although vague, statement about the quality of the product represented by the trademark.” 204Un caso in controtendenza, accaduto negli Stati Uniti, è L.L. Bean, Inc. v. Drake Publishers, nel quale il marchio Bean era stato usato da una rivista dai contenuti piccanti in fotografie ove delle modelle nude utilizzavano prodotti marcati Bean in esplicite pose sessuali; venne però 180 contrario quando la parodia coinvolge tematiche differenti dalle suddette, le corti saranno maggiormente predisposte a considerare questo uso all'interno del recinto della libertà d'espressione e come innocuo per la reputazione del marchio. In questi casi, dunque, la fattispecie di tarnishment non viene a concretizzarsi. In Europa possiamo ad esempio citare i casi Lila-Postkarte, 2 0 5 Deutsche Grammophon , 2 0 6 e Citroen. 2 0 7 Per quel che riguarda gli Stati Uniti riconosciuto dal I Circuito federale il carattere parodistico e la non commercialità dell'utilizzo; v. L.L. Bean, Inc. v. Drake Publishers, Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 1st Circuit, 811 F.2d 26, 1987 “Appellant's parody constitutes an editorial or artistic, rather than a commercial, use of plaintiff's mark. The article was labeled as "humor" and "parody" in the magazine's table of contents section; it took up two pages in a one-hundred-page issue; neither the article nor appellant's trademark was featured on the front or back cover of the magazine. Drake did not use Bean's mark to identify or promote goods or services to consumers; it never intended to market the "products" displayed in the parody.” 205Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e in IIC, 2007, 119 ss. 206Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony MusicEntertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in IDI 2010, 214 ss. e Giur. Ann. Dir. Ind. 2009, 5466; in questa causa in realtà il Trib. di Milano non esclude che vi possa esser un danno alla reputazione del marchio Deutsche Grammophon, precisando altresì che l'intento della Hukapan era di per sé non denigratorio ma anzi celebrativo "Tuttavia non può aprioristicamente negarsi che anche una citazione parodistica, pur se priva di intenti denigratori ed, anzi decisamente celebrativa, possa determinare conseguenze negative sul complessivo messaggio veicolato dal segno Deutsche Grammophon, in qualche modo ledendo i diritti della sua titolare. Siffatti profili potranno essere adeguatamente sceverati in sede giudiziaria di merito, anche all'esito della dimostrazione degli effetti che ne siano conseguiti." 207Il caso riguarda un l'utilizzo satirico del marchio Citroen nel corso di uno show televisivo in cui veniva altresì preso di mira il CEO della casa automobilistica (M. J. Calvet); la Corte di Cassazione afferma che anche se a prima vista l'utilizzo del marchio Citroen può apparire denigratorio (gli autori della trasmissione fanno dire ad un finto M. Calvet che le auto Citroen non sono di buona qualità) in realtà ,dato il tenore della trasmissione, in cui molte volte vengono messi alla berlina personaggi politici e dato il fatto che M. Calvet si è più volte espresso sulla situazione economico-politica della Francia, l'utilizzo fatto del marchio non può per la Corte di Cassazione esser indicato come denigratorio. V. Guignols de l'info, Cour de Cassation, 12 luglio 2000. V. ibid., Conclusioni dell'Avvocato Generale M. Joinèt “Ces principes appliqués aux 'Guignols de l’info' permettent de dire que dans le cadre de l’exercice de la liberté d’expression et de création, les auteurs de l’émission satirique n’ont pas commis une faute du seul fait d’avoir utilisé les marques Peugeot et Citroën sans autorisation. En restant dans le domaine de l’humour ont-ils abusé de ce droit en faisant tenir au président des sociétés Peugeot et Citroën des appréciations dénigrant ces marques? Cette interrogation nécessite que ces propos soient replacés dans le contexte général des émissions. […] Jacques Calvet en sa qualité de président de deux importantes sociétés de construction automobile s’est souvent exprimé publiquement en termes énergiques sur la politique économique du pays et sur sa conception de la défense des constructeurs français à l’égard des concurrents étrangers. Les auteurs de l’émission ont choisi de lui faire dire que certains des produits des marques Peugeot et Citroën n’étaient pas de bonne qualité. Ces propos pris au premier degré constituent incontestablement des actes de dénigrement. Dans le contexte de l’émission où toutes les situations et tous les hommes sont systématiquement tournés en dérision, M. Calvet a subi le même traitement que celui infligé aux hommes politiques. Le fait que dans sa caricature, les marques soient citées en termes peu flatteurs ne suffit pas à donner à celle-ci un 181 possiamo invece citare Louis Vuitton Malletier S.A. v. Haute Diggity Dog, 2 0 8 Lyons Partnership v. Giannoulas, 2 0 9 Mattel v. Mca Records, 2 1 0 New York Stock Exchange, Inc. v. New York, New York Hotel LLC, 2 11 Jordache Enterprises, Inc. v. Hogg Wyld, Ltd. 2 1 2 caractère fautif. Les objets ne sauraient être plus protégés que les hommes et nul ne peut se méprendre sur le caractère peu sérieux des propos qu’il tient sur les véhicules des sociétés qu’il préside. L’association dans la moquerie du personnage de M. Calvet et de ses produits des sociétés découle du principe même de l’émission et non d’une volonté de dénigrement.“ A riguardo vedi G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113, pag. 165-166; M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN, Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra nota 49, pag. 126. 208Il IV Circuito federale rigettò la tesi di Louis Vuitton Mallettier secondo la quale l'utilizzo del marchio Chewy Vuiton per prodotti destinati a cani comportava tarnishment e blurring del marchio Vuitton, in quanto il titolare di quest'ultimo non aveva mostrato prove sufficienti del rischio di danno alla reputazione o di offuscamento del marchio medesimo; v. Louis Vuitton Malletier S.A. v. Haute Diggity Dog, U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 464 F. Supp. 2D 495, 13 novembre 2007 "To establish its claim for dilution by tarnishment, LVM must show, in lieu of blurring, that Haute Diggity Dog’s use of the 'Chewy Vuiton' mark on dog toys harms the reputation of the LOUIS VUITTON mark and LVM’s other marks. LVM argues that the possibility that a dog could choke on a 'Chewy Vuiton' toy causes this harm. LVM has, however, provided no record support for its assertion." Torneremo su questo caso in 3.5. 209 In questo caso la Corte distrettuale del Texas rigettò la tesi del ricorrente, il titolare del marchio Barney utilizzato per un pupazzo a forma di dinosauro, secondo il quale l'utilizzo fatto da parte del creatore di Famous Chicken, un personaggio di intrattenimento per eventi sportivi, il quale aveva coinvolto il dinosauro Barney in uno dei suoi sketches, comportasse tarnishment del suddetto marchio; v. Lyons Partnership v. Giannoulas, U.S. District Court, Texas, 993F. Supp. 282, 29 luglio 1998 “tarnishment likewise fails to apply. Defendants' skit does not link Barney to products of shoddy quality or portray him in an unwholesome or unsavory context with the result that the public will associate the lack of quality or lack of prestige in defendants' goods with the plaintiff's unrelated goods.” 210Di questa causa ci siamo già occupati nel corso di questo capitolo e torneremo ad occuparci in 3.5.2. Per quanto riguarda il presente argomento, possiamo evidenziare come il IX Circuito federale affermò che non vi era sì blurring ma non considera l'ipotesi danneggiamento della reputazione del marchio Barbie; comunque sia l'utilizzo compiuto dal gruppo Aqua ricade nell'esenzione di uso non commerciale come abbiamo visto in precedenza v. Mattel, Inc. v. MCA Records, Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9 th Circuit, 177 F. Supp. 2d. 661, 24 luglio 2002 “MCA's use of the mark is dilutive. MCA does not dispute that, while a reference to Barbie would previously have brought to mind only Mattel's doll, after the song's popular success, some consumers hearing Barbie's name will think of both the doll and the song, or perhaps of the song only. This is a classic blurring injury and is in no way diminished by the fact that the song itself refers back to Barbie the doll. [...] Because we find blurring, we need not consider whether the song also tarnished the Barbie mark .” 211Di questo caso ci siamo già occupati in precedenza nel corso di questo capitolo; parodistico del nome New York $lot Exchange, per un club di gioco d'azzardo a Las Vegas non fu considerato come lesivo della reputazione del NYSE; New York Stock Exchange, Inc. v. New York, New York Hotel LLC, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 293 F.3d 550, 1 aprile 2002. 212In questo caso venne rigettata l'accusa di tarnishment da parte della Jordache che accusava un'altra azienda produttrice di vestiti di danneggiare la reputazione del proprio marchio attraverso la parodia “Lardashe”con la quale marchiava la propria linea di abbigliamento per 182 Per quanto riguarda invece un uso del marchio a fini di critica dell'operato del suo titolare bisogna sottolineare come un utilizzo di tal fatta sia di per sè idoneo a danneggiare la reputazione del marchio, in quanto, pur se non diretto contro i prodotti da esso contrassegnati, è atto a disvelare le maleffatte del suo titolare; come abbiamo sottolineato in precedenza, però, e come meglio analizzeremo nel III capitolo, qualora queste critiche siano sorrette da un interesse sociale non sarà il danneggiamento della reputazione del marchio ad esser tenuta in maggior considerazione dalle corti, quanto, invece, la libertà di esprimere, e l'interesse ad esser destinatari, di informazioni rilevanti per la salute pubblica, 2 1 3 per una complessiva e reale valutazione dell'operato del titolare del marchio, 2 1 4 o del servizio da lui offerto o dei valori da esso propugnati. 2 1 5 Solo qualora la critica vada al di là dell' interesse taglie forti; v. Jordache Enterprises, Inc. v. Hogg Wyld, Ltd., U.S. Federal Court of Appeals, 10th Circuit, 828 F.2d 1482, 1987 “It is unlikely that the public would assume that the same manufacturer would use quite different marks on substantially the same product. While we do not hold that this type of tarnishment is established only where the Lanham Act likelihood of confusion test has been satisfied, the antidilution statute does require some showing that the public will associate both products with the same manufacturer. Our review of the record convinces us that the public will not associate Lardashe jeans with the appellant or, if they do, they will only make the association because of the parody and not because they believe Jordache Enterprises, Inc. manufactures Lardashe jeans. Therefore, there is no likelihood of an injury to appellant, and its dilution claim must fail.” 213 Possiamo ad esempio citare in ambito europeo Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre 2005, della quale abbiamo già parlato nel corso del presente capitolo sulla quale torneremo in 3.4.1.2.; Comité national contre les maladies respiratoires et la tuberculose (CNMTR) v. Société JT International GmbH, Cour de Cassation, Arrêt del 19 ottobre 2006; Grosses Mordoro Poker Bundesgerichtshof, 17 aprile 1984, in GRUR 1984; entrambe queste due ultime sentenze riguardano campagne anti-fumo condotte contro un determinato brand di sigarette (Camel nel primo caso, Marlboro nel secondo); su di entrambe torneremo nel corso di 3.4.2.1. 214Possiamo citare in ambito europeo Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003, sulla quale ci siamo già soffermati nel corso del presente capitolo e sulla quale ritorneremo in 3.4.1.1. 215In ambito europeo possiamo citare Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di Den Hague, 4 maggio 2011, di cui abbiamo già parlato nel corso di questo capitolo e su cui torneremo in 3.4.2.2.; sul versante americano occorre indicare il caso del sito falwell.com in cui vengono fatte oggetto di critica le posizioni omofobe del reverendo battista Jerry Falwell, il quale aveva altresì registrato il proprio nome come marchio; v. Lamparello v. Falwell, U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 420 F.3d 309, 24 agosto 2005; v. anche Smith v. WalMart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2D 1302, 20 marzo 2008 di cui abbiamo già discusso nel corso del presente capitolo; v. anche Bally Total Fitness Holding Corp. v. Faber, U.S. District Court, California, 29 F. Supp. 2D 1161, 23 novembre 1998 riguardante la 183 sociale e si trasformi in denigrazione 2 1 6 la libertà d'espressione non potrà fornire manifestazione strumenti del idonei pensiero in alla protezione quanto verrà di a questa di m ancare il giustificato motivo per attentare alla reputazione del marchio. Ciò vale, come vedremo meglio nel seguente capitolo quando ci troveremo ad analizzare la giurisprudenza in merito, sia qualora il bilanciamento venga compiuto all’interno del dirito dei marchi, sia nel caso, invece, avvenga all’esterno di esso, sulla base di una responsabilità aquiliana. registrazione di un sito con scopi critici web ballysucks.com. Di segno contrario invece le già citate Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998; Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997; OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 86 F.Supp.2d 17, 28 febbraio 2000. 216 Greenpeace v. SPCEA (Areva), Cour d'appel de Paris, 17 novembre 2006 che però, come vedremo in 3.4.1.1. venne ribaltata in Cassazione 184 CAP. III : ALLA RICERCA DI UN BILANCIAMENTO TRA LIBERTA' D'ESPRESSIONE E DIRITTO AL MARCHIO SOMMARIO: 3.1. Premessa. - 3.2. I criteri di bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio in Europa. - 3.3. L'ampliarsi del conflitto tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio nella società di Internet. - 3.3.1. L'Anticybersquatting Consumer Protection Act negli Stati Uniti. - 3.3.2. Domain names, libertà d'espressione e contraffazione del marchio in Europa. - 3.4. La risposta della giurisprudenza in Europa. - 3.4.1. La critica del marchio in Europa. - 3.4.1.1. I casi Danone, E$$O e Areva. - 3.4.2. Nei casi di parodia e satira del marchio. - 3.4.1.2. Una panoramica sulla giurisprudenza italiana ed europea. - 3.4.2.2. Simple living: arte, design e critica. - 3.5. La risposta della giurisprudenza statunitense – alla ricerca di una linea evolutiva al passo con la dinamica legislativa. 3.1. Premessa. Nel primo capitolo del nostro studio ci siamo soffermati sull'analisi delle prerogative del titolare del marchio e di come le normative, oggetto del nostro esame comparativistico, vi forniscano una tutela; nel secondo, invece, dopo un'analisi del principio della libertà d'espressione, così come costituzionalizzata negli ordinamenti di nostro interesse, abbiamo approfondito criteri e parametri utilizzati dalle corti sia europee che statunitensi per dirimere i conflitti tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio. Ci siamo inoltre intrattenuti sui possibili effetti che un uso parodistico, satirico o critico possono avere sulla capacità distintiva o sulla reputazione del marchio. Scopo di questo III capitolo sarà quindi quello di analizzare l'applicazione da parte della giurisprudenza, sia europea che statunitense, di quei parametri che abbiamo approfondito nel corso del II capitolo in vari casi riguardanti la critica, la satira e la parodia del marchio. Ci soffermeremo con particolare attenzione su alcuni di essi in quanto ritenuti particolarmente significativi. Per quanto riguarda la critica del marchio in Europa, oltre a fornire un'ampia panoramica delle 185 sentenze tedesche, francesi ed italiane in merito, porremo una particolare attenzione all'analisi dei casi E$$O, Danone e Areva; verrà poi compiuta una panoramica delle decisioni delle corti europee in tema di conflitto tra un utilizzo parodistico o satirico del marchio e le prerogative del suo titolare, a cui seguirà un attento esame del recente caso Louis Vuitton-Plesner, riguardante un utilizzo di diritti di proprietà intellettuale, derivanti dalla registrazione di un design, all'interno di opere artistiche . Per quel che riguarda il versante statunitense tenteremo poi di tracciare una linea evolutiva della giurisprudenza, dando conto delle principali modifiche legislative avvenute nel corso degli anni e dei loro effetti sulle decisioni delle corti; ci focalizzeremo poi sulle cause che sono ritenute più significative in funzione della nostra analisi. Prima di passare quindi all'esame dei casi giurisprudenziali, seguendo le linee guida sopra accennate, sarà però necessario compiere due importanti precisazioni: in primo luogo, sarà necessario compiere un riepilogo dei criteri e dei meccanismi utilizzati dalle corti, soprattutto europee, data la loro complessità, nel decidere i casi riguardanti parodia, satira o critica del marchio. Inoltre, in un secondo momento, accenneremo alle questioni riguardanti l'utilizzo del marchio attraverso il web; esamineremo dunque le normative in merito e le problematiche nascenti da questo tipo di uso, che, come abbiamo visto in precedenza, si rivela esser in continua espansione. 186 3.2. I criteri di bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio in Europa. Nel capitolo precedente abbiamo visto come, tanto nella normativa comunitaria in tema di marchi, quanto in quella dei diversi stati nazionali, non si faccia riferimento alcuno ad una esenzione di responsabilità per chi compia un utilizzo parodistico, satirico o critico del marchio commercialità. legislazione provveduto Ciò, altrui, a differenza statunitense ad pur introdurre che, al se denotato di come suo dalla quanto abbiamo interno delle una previsto non dalla esaminato, esenzioni ha di responsabilità per chi compia un fair use a carattere parodistico o critico del marchio altrui e per quegli utilizzi denotati dalla non commercialità . 1 Al di là delle considerazioni compiute riguardo all'interpretazione delle esenzioni previste per questi utilizzi dal Lanham Act, possiamo sottolineare come questa sia una differenza assai rilevante tra la legislazione statunitense e quella degli stati europei. La prima, infatti, al fine di stabilire se un determinato utilizzo non autorizzato del marchio altrui sia lecito, presenta due nodi da sciogliere; in primo luogo bisogna stabilire se questo l'utilizzo possa comportare un rischio di confusione per quanto riguarda l'origine, inglobante, al suo interno, un rischio che il pubblico possa ritenere in qualche modo legati o affiliati il titolare del marchio e l'utilizzo compiuto dal terzo del marchio stesso. 2 Nella maggior parte dei casi, però, un utilizzo in funzione critica, satirica o parodistica del marchio, sarà difficilmente interpretato dalle corti come causante un rischio di confusione, anche se la giurisprudenza americana non ha lesinato eccezioni in questo senso. 3 Una seconda considerazione riguarderà poi, nel caso si tratti 1 V. Art. 1125(3)(A) Lanham Act, v. 2.1.2.2. 2 V. per un approfondimento del rischio di confusione 1.2.3.2. 3 V. ad esempio Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. 187 di un marchio famoso, la possibilità che l'utilizzo di quest'ultimo abbia causato danni alla sua reputazione o alla sua capacità distintivo. Nel caso di un uso denotato da un carattere noncommerciale, o, qualora definibile come fair use, critico o parodistico , però, questo uso potrà usufruire delle specifiche esenzioni previste dallo stesso Lanham Act, che abbiamo in parte analizzato nel corso del secondo capitolo e sulla cui applicazione concreta torneremo in 3.5. In Europa, invece, un'esenzione di responsabilità per quel che riguarda un utilizzo parodistico, critico e/o non-commerciale del marchio è prevista esplicitamente, a livello legislativo, solamente per quel che riguarda il diritto d'autore . Nella Direttiva 2001/29/CE si afferma esplicitamente che: “gli Stati membri hanno la facoltà di disporre eccezioni o limitazioni ai diritti di cui agli articoli 2 e 3 nei casi seguenti: […] c) nel caso di riproduzione a mezzo stampa, comunicazione al pubblico o messa a disposizione di articoli pubblicati su argomenti di attualità economica politica o religiosa o di opere radiotelevisive o di altri materiali dello stesso carattere, se tale utilizzo non è espressamente riservato, sempreché si indichi la fonte, incluso il nome dell'autore, o nel caso di utilizzo delle opere o di altri materiali in occasione del resoconto di un avvenimento attuale nei limiti di quanto giustificato dallo scopo informativo e sempreché si indichi, salvo in caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell'autore; […] Supp. 1183; 1972,Dallas Cowboys Cheerleaders, Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 604 F. 2d 200, 14 agosto 1979; San Francisco Arts & Athletics, Inc. v. United States Olympic Committee, U.S. Supreme Court, 483 U.S. 522, 25 giugno 1987; Mutual of Omaha Insurance Company v. Novak, U.S. Federal Court of Appeals, 8th Circuit, 836 F. 2d 397, 30 dicembre 1987. 188 k) quando l'utilizzo avvenga a scopo di caricatura, parodia o pastiche." A questa Direttiva viene dato seguito, più o meno pedissequamente, dalle diverse normative in tema di diritto d'autore in vigore nei paesi membri. Una tutela esplicita ad utilizzi parodistici, oltre che critici, dell'opera altrui la possiamo riscontrare in particolare in Francia 4 e Belgio. 5 In Italia 6 ed in Olanda, 7 ad esempio, non viene invece prevista una protezione specifica per la parodia o per la caricatura dell'opera altrui, ma questa viene comunque garantita attraverso formule di carattere ampio. In Germania, poi, la critica e la parodia autorizzate di un'opera attraverso ("utilizzazioni libere "). 8 protetta la dal previsione Esplicite diritto di eccezioni d'autore " freie per vengono Benutzung " un utilizzo 4 V. Code de la Propriété Intellectuelle, art. L. 122-5 “Lorsque l’œuvre a été divulguée, l'auteur ne peut interdire: […] 3° Sous réserve que soient indiqués clairement le nom de l'auteur et la source : a) Les analyses et courtes citations justifiées par le caractère critique, polémique, pédagogique, scientifique ou d'information de l’œuvre à laquelle elles sont incorporées; b) Les revues de presse; […] 4° La parodie, le pastiche et la caricature, compte tenu des lois du genre.” 5 V. Loi relative au droit d'auteur et aux droits voisins art. 46.5 “Les articles 35, 39, 42 et 44 ne sont pas applicables lorsque les actes visés par ces dispositions sont accomplis dans les buts suivants: 1° les citations tirées d'une prestation, effectuées dans un but de critique, de polémique, de revue, d'enseignement, ou dans des travaux scientifiques, conformément aux usages honnêtes de la profession et dans la mesure justifiée par le but poursuivi; […] 5° la caricature, la parodie ou le pastiche, compte tenu des usages honnêtes." 6 V. Legge n. 633, 22 aprile 1941 art. 3 “Le opere collettive, costituite dalla riunione di opere o di parti di opere, che hanno carattere di creazione autonoma, come risultato della scelta e del coordinamento ad un determinato fine letterario, scientifico didattico, religioso, politico od artistico, quali le enciclopedie, i dizionari, le antologie, le riviste e i giornali sono protette come opere originali, indipendentemente e senza pregiudizio dei diritti di autore sulle opere o sulle parti di opere di cui sono composte.“ V. inoltre per quel che riguarda la critica dell'opera altrui, ibid., art. 70 “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.” 7 V. Dutch Copyright Act, art. 18 “It shall not be deemed to be an infringement of the copyright in a work referred to in Article 10, first paragraph, under (vi), which is permanently displayed in a public thoroughfare, to reproduce or publish a reproduction of such work, provided that the work does not constitute the main part of the reproduction, that the reproduction differs appreciably in size or process of manufacture from the original work and that, with regard to architectural works, only the exterior thereof is reproduced.” 8 V. Urheberrechtsgesetz, art. 24 “An independent work created by free use of the work of another person may be published and exploited without the consent of the author of the used 189 parodistico, critico e/o non-commerciale del marchio, come abbiamo sottolineato in precedenza, non sono invece contemplate né dalla normativa comunitaria in tema di marchi, né dalle varie legislazioni nazionali. La protezione di questi usi passa quindi attraverso il bilanciamento, operato caso per caso dalle corti, tra i diritti del titolare del marchio ed il principio della libertà d'espressione. Questo bilanciamento può esser operato sia all'interno della normativa marchi, attraverso le modalità che fra poco vedremo, sia all'esterno di essa. Un primo discrimen a riguardo è rappresentato dalla configurazione o meno dell'utilizzo del segno come uso del marchio, 9 ossia un uso del segno compiuto al fine di realizzare la sua funzione precipua di distinguere beni e servizi. Qualora l'uso, compiuto dal terzo non autorizzato, possa definirsi come uso del marchio, allora al fine di garantire la protezione accordata dalla libertà d'espressione a queste utilizzazioni, caratterizzate da fini parodistici, satirici o critici, si dovrà transitare all'interno della legge marchi; se invece quest'utilizzo non viene qualificato come uso del marchio, allora il bilanciamento con la libertà d'espressione cadrà al di fuori delle varie normative nazionali sui marchi e si poggerà per lo più sugli articoli che ogni codice civile pone a sanzione di condotte determinanti una responsabilità aquiliana per chi le compia, dovuta ad un danno alla reputazione delle persone giuridiche. Vedremo nel corso dell'analisi della giurisprudenza europea quale tipo di bilanciamento venga operato caso per caso. Nel caso il bilanciamento sia da compiersi, almeno in parte, internamente alla normativa sui marchi, per le ragioni sopra esposte, bisogna analizzare come questo avvenga in concreto e attraverso quali articoli della normativa. Parte della dottrina ritiene di work.“ 9 Riguardo alla nozione di uso del marchio si rimanda a 1.2.3.1. in riferimento al caso OpelAutec ed a 1.4. 190 compiere un bilanciamento con la libertà d'espressione facendo rientrare gli usi del marchio in funzione critica, parodistica o satirica all'interno dell'art. 6 della Direttiva, come referential o descriptive use . 1 0 Le condizioni che devono esser osservate affinché un tale uso possa esser riconosciuto come rientrante tra le eccezioni, previste dal suddetto articolo, al diritto esclusivo di utilizzazione del marchio in capo al suo titolare, sono però assai restrittive, tanto per le espressioni denotate da commercialità quanto per quelle che sono prive di questo elemento. 11 Il descriptive use sembra oltretutto 10 V. a proposito le risposte fornite dai gruppi AIPPI francese e tedesco alla domanda “Y–a–t–il une disposition dans votre loi sur les marques qui concerne spécifiquement l’admissibilité de par exemple: – la critique de la marque d’autrui ou la référence désobligeante à la marque d’autrui; – la parodie, la satire ou l’ironie; – l’usage par un artiste de la marque d’autrui; – l’utilisation de la marque d’autrui comme signe de loyauté ou d’allégeance; – l’utilisation de la marque d’autrui dans des buts de comparaison, de référence, de description, d’identification, ou pour communiquer de l’information sur les caractéristiques du propre produit du défendant dans la limite où un tel usage peut être considéré comme un exercice du droit constitutionnel de liberté d’expression.” V. M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN, Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 124125 “Le Code de la Propriété Intellectuelle dans sa partie relative aux marques ne contient pas de disposition permettant l’utilisation sans autorisation d’une marque à des fins de critique, parodie, satire, ironie, artistiques, ou comme expression de loyauté ou allégeance. Il en est de même dans le Règlement CE n° 40/94 du 20 décembre 1993 sur la marque communautaire. Par contre, l’article L. 713–6 (b) du CPI permet l’utilisation d’une marque ou d’un signe similaire comme référence nécessaire pour indiquer la destination d’un produit ou d’un service, notamment en tant qu’accessoire ou pièce détachée, à condition qu’il n’y ait pas de confusion dans son origine. Cet article permet au titulaire de la marque de demander que l’utilisation soit limitée ou interdite, si elle porte atteinte à ses droits.” In risposta alla medesima domanda a nome del gruppo tedesco v. C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 152; W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 154 “In order to remain consistent, a correction would then either have to be made via the unwritten constituent fact of illegality in sec. 14 MarkenG, taking into consideration the assessment of art. 5 of the Basic Constitutional Law, or sec. 23 no. 2 MarkenG would have to be interpreted in such a way that it also covers satirical and critical use.” 11 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 276 “Consequently, the concerns raised in section 5.3.2 [il cui titolo è Freedom of non commercial and mixed expression, n.d.r.] with regard to expressive diversity, can currently not be addressed in any manner by Article 6.1.b TMDir.” V. anche ibid. pag. 272 “Article 6.1.b TMDir, allowing for descriptive use, does not apply to expressively descriptive or generic use in its present interpretation, as it only applicable to use of a trademark to directly describe characteristics of a good or service.” V. anche nota a Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony Music- Entertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5466 "Vero è che la differenziazione 191 riguardare un uso del marchio altrui atto a descrivere i prodotti o servizi del soggetto che compia questo uso; 1 2 se ciò può in qualche modo funzionare per utilizzi del marchio atti a criticare i prodotti o i servizi commercializzati dal suo titolare, altrettanto non può esser affermato nel caso il marchio venga ad esempio utilizzato per criticare le condotte o le politiche poste in esser dal trademark holder. Per quel che riguarda invece il referential use, questa eccezione, oltre ad apparire teleologicamente orientata ad indicare la destinazione di determinati prodotti o servizi (come pezzi di ricambio, che l'art. 6 esplicitamente prevede), non riesce a fornire un'adeguata protezione alla libertà d'espressione in relazione ad un utilizzo non autorizzato del marchio. Ciò in quanto potrebbe sì definirsi come necessaria l'indicazione di un determinato marchio per farne bersaglio di una critica o di una parodia, ma non altrettanto potrebbe dirsi riguardo all'utilizzo del logo corrispondente, come in generale avviene. 1 3 Un'ulteriore difficoltà, che si riscontra qualora si voglia far transitare la protezione di un uso critico o parodistico del marchio attraverso l'art. 6 (ed i suoi corrispettivi nazionali), almeno per quel che riguarda gli utilizzi commerciali o le c.d. mixed expression, è poi rappresentata dalla clausola sul rispetto delle oneste pratiche commerciali. 1 4 corrispondente è tutt'altro che facile all'interno delle coordinate normative proprie del diritto nazionale comunitariamente armonizzato e del diritto comunitario, visto che le ipotesi di uso lecito del marchio altrui, sancite dall'art. 21.1 c.p.i. e 6 della Direttiva costituiscono elenco tassativo e chiuso, che pare non dare ingresso alle istanze di libertà di espressione e di critica.” 12 V. in merito A. ROUGHTON, Permitted Infringing Use: The Scope of Defences to an Infringement Action, in J. PHILLIPS, I. SIMON, Trade Mark Use, Oxford Univeristy Press, 2005, pag. 196 “It seems fairly clear that the word [indication ndr.] is to be given an unrestricted meaning since the purpose of Article 6 is to enable honest traders to describe their goods.” V. supra 1.3. 13 V. G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 165 "In practice, the problem arose for figurative marks such as logos. Indeed, if it is impossible to express an opinion about a product without mentioning its name, it seems hardly necessary, in order to convey one's ideas about that product, to reproduce the figurative elements of the mark." 14 Sakulin estrapola dalla giurisprudenza comunitaria quei requisiti affinché un utilizzo non autorizzato del marchio possa dirsi in linea con le oneste pratiche commerciali; v. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 192 In mancanza di un'esplicita previsione di eccezioni per un uso parodistico, critico e/o non commerciale del marchio, sarebbe forse più utile qualificare tali usi semplicemente come non contraffattivi, secondo gli art. 5.1 e 5.2 della normativa comunitaria. Seguendo questa prospettiva, in primo luogo la corte dovrebbe stabilire se l'utilizzo in questione sia da ritenersi come commerciale o meno; qualora, infatti, l' uso del marchio non sia definibile come commerciale, come in diversi casi concernenti la critica, non verrebbe soddisfatto quel requisito di use in the course of trade richiesto dall'art. 5 della Direttiva affinché si possa affermare l'esistenza di una contraffazione. Questo è l'orientamento preso dalle corti francesi nei casi ESSO, AREVA e DANONE, nei quali, come vedremo, l'uso del marchio a fini critici venne ritenuto come non contraffattivo in quanto non commerciale (oltre che non confusorio), creando in questo modo un'implicita eccezione per un uso di tal fatta. 1 5 In seconda istanza dovrebbe esser affrontata la questione della sussistenza di un rischio di confusione, nella mente del consumatore mediamente informato e avveduto, per quel che riguarda l'origine dei prodotti o servizi, tale da spingerlo a ritenere che tra il titolare del marchio e l'utilizzatore non autorizzato intercorra un qualche rapporto di affiliazione o licenza. 1 6 Nella maggior parte di casi di utilizzo parodistico o critico del marchio questo rischio appare però alquanto basso, per ragioni intrinseche al tipo di utilizzo stesso. Per quel che riguarda poi i marchi c.d. 254 “(a) does not create the “impression that there is a commercial connection between the third party and the trade mark owner.”(b) does not take an unfair advantage of the distinctive character or repute of the trademark, (c) does not discredit or denigrate the mark, or (d) does not present the third party products as an imitation.” 15 V. in merito G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone Litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 171 “The Danone/Greenpeace case law is therefore outstanding in that it expressly makes, of non-commercial use, an exception to the trade mark proprietor's monopoly. This is where it's novelty lies and why it deserves to be counted among the important decisions in French trademark law.” Torneremo su questi casi in un paragrafo ad essi dedicato; v. 3.4.1.1. 16 Per un approfondimento sul rischio di confusione e sulle sue diverse sfumature v. 1.2.3.2. 193 notori, come abbiamo avuto modo di analizzare nel corso del cap. I, 1 7 bisognerà poi fare i conti con un livello di protezione più alto fornito dall'ordinamento a questi e concernente un possibile danno alla loro capacità distintiva e/o alla loro reputazione, nonché una previsione di illiceità nel caso ci si approfitti di queste ultime per trarne un vantaggio di tipo commerciale. 1 8 Nel II capitolo abbiamo quindi non a caso analizzato i criteri del due cause e dell'unfair advantage che risultano decisivi nel ritenere non contraffattivo un uso non autorizzato del marchio altrui. Qualora un utilizzo, infatti, seppur non autorizzato, possa qualificarsi come giustificato, in forza di un diritto di chi lo compie, e non traente indebito vantaggio, esso non comporterà una contraffazione del marchio e quindi, seppur non beneficiante di una specifica eccezione, potrà dirsi lecito anche se determina un danno alla capacità distintiva o alla reputazione del marchio. Per quanto riguarda la categoria dell'indebito vantaggio viene data molta importanza alla finalità che l'utilizzatore non autorizzato persegue: se, difatti, un uso esclusivamente commerciale, che mira ad agganciarsi ed a sfruttare la notorietà o dalla capacità distintiva del marchio per ricavarne un vantaggio economico indebito, è visto con sfavore dalle corti, 1 9 venendosi a determinare una fattispecie di free-riding, al contrario, quando quest'uso è non puramente commerciale, allora saranno maggiori le possibilità che venga compreso nel recinto protetto dalla libertà d'espressione e ritenuto quindi lecito. Il discrimen in questo caso concerne la capacità di creare, attraverso l'utilizzo del marchio altrui, un significato altro rispetto a quello ordinario e 17 V. 1.2.3.3. 18 V. art. 5.2. Direttiva 2008/95/CEE. 19 V. Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; GRH c. Newton Compton editori, Trib. Roma, 23 giugno 2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375; Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, IDI 2007, 149 ss.; Président, Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 ottobre 1996; ADIHASH, gives you speed, OLG Hamburg, 5 settembre 1991,GRUR 1992. 194 commerciale del marchio; se, ad esempio, il marchio venisse impiegato in maniera artistica o in modo tale da invitare alla riflessione o all'ilarità il pubblico, anche qualora quest'uso fosse in parte commerciale, in quanto ad esempio avvenga attraverso un medium di per sé tale, esso non verrà qualificato come un uso esclusivamente commerciale e ciò deporrà a favore della sua liceità in quanto non concretizzante un fattispecie di free-riding . 2 0 L'altro elemento che deve esser poi analizzato, affinché un uso non autorizzato del marchio notorio possa esser considerato noncontraffattivo, è poi, come accennato in precedenza, il criterio del due cause. Affinché si possa affermare che l'utilizzo del marchio 20 V. Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony Music- Entertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5466, e IDI 2010, 214 ss.; Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e IIC, 2007, 119 ss.; Guignols de l'info, Cour de Cassation, 12 luglio 2000; Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003; Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre 2005; Comité national contre les maladies respiratoires et la tuberculose (CNMTR) v. Société JT International GmbH, Cour de Cassation, Arrêt del 19 ottobre 2006; Grosses Mordoro Poker Bundesgerichtshof, 17 aprile 1984, in GRUR 1984; Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di Den Hague, 4 maggio 2011. Un'altra soluzione proponibile sarebbe quella di adottare l'interpretazione del concetto di non commercialità adottata in Mattel v. Mca Records dalla corte d'appello federale negli Stati Uniti (v. 2.2.3., 3.5.) considerando quindi come non commerciali tutti quegli usi del marchio che hanno interti non puramente commerciali ma altresì, ad esempio, parodistici. Questa soluzione è però sconsigliata sa Sakulin, che la vede possibile solamente qualora venga introdotta un'esplicita eccezione di non-commercialità che per ora è assente; v. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 271 “I do think that such an exception may be necessary, since the use in the course of trade exists under European trademark law, has ceased to function as appropriate boundary,266 the ‘use in relation to goods and services’ criterion is interpreted expansively under both Article 5.1 TMDir and Article 5.2 TMDir, and in relation to Article 5.1 TMDir, no limitation exists at all that would facilitate the necessary balancing with freedom of non-commercial or mixed expression.” Solo infatti le espressioni puramente non-commerciali o 'politiche' sembrano ricadere in una sorte di implicita eccezione di non commercialità, mentre per le altre, essendo trasmesse attraverso media commerciali, sono considerate essere compiute nel corso del commercio; v. ibid., pag. 215 “Purely non-commercial use, use in science and, in the case of Germany, in lexical publications and political expression does not fall under the criterion. ['in the course of trade', n.d.r.] From the perspective of freedom of expression, the greatest problem with regard to the current interpretation is that trademark use that is of public interest and is contained in or on a commercial medium will fall under the criterion. Such use, which includes use in films, books, art, or comedy, belongs to the core of expression that must be strongly protected under Article 10 ECHR. Courts currently, rather than using the criterion of ‘use in the course of trade’ as clear a facilitator for a balance of interest between trademark rights and freedom of noncommercial and mixed expression, interpreted the criterion expansively to serve the interests of trademark rights holders.” 195 notorio altrui sia sorretto da un giusto motivo sono necessarie, come abbiamo evidenziato nel corso del I capitolo, 2 1 due condizioni: l'esercizio di un diritto da parte di chi ne compia l'uso e la necessità, in capo al medesimo soggetto, di compiere quest'uso. Nel secondo capitolo abbiamo evidenziato come il diritto sottostante un giustificato motivo possa esser ravvisato nella libertà d'espressione, nella sua ottica sia attiva che passiva. Si è poi sottolineato, e avremo altresì modo di sviluppare ulteriormente questa tematica attraverso l'analisi della giurisprudenza, come la proporzionalità dell'utilizzo rispetto agli scopi che si prefigge sia un elemento di grande importanza per non far venir meno quell'interesse pubblico che diverrebbe assente nel caso di mera denigrazione del marchio. 2 2 Un altro elemento che riveste una grande importanza, soprattutto nei casi di critica del marchio, è poi la veridicità di quanto venga affermato; se infatti il marchio viene utilizzato in funzione critica, ma quanto affermato da chi ne compia questo uso non è supportato da prove o è addirittura falso, allora si tratterà di pura denigrazione e diffamazione e verrà meno il giustificato motivo al suo utilizzo non autorizzato. 2 3 Proporzionalità e veridicità, come avremo modo 21 V. 1.3. 22 V. 2.3.1.; v. anche in merito W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 283 “pejorative or polemic use of trademark can be justified but […] the limit of acceptable value judgments should be drawn at the level of defamation or 'Schmahkritik'. This means that a prohibition is justified when the use of a trademark in criticism or comment no longer bears any factual relationship to an issue of public interest connected to the trademark, but rather primarily disparages the trademark at stake.” 23 V. ibid. “Moreover it is of importance whether the expression is a value judgment or a statement fact. Stricter standards apply to statements of fact, which must be true and the person expressing them may be required to provide prove of the allegations. […] Opinions and value judgments do enjoy a larger freedom, though they must be grounded in factual evidence.” V. anche C. GEIGER, Trade Marks and Freedom of Expression – The Proportionality of Criticism, supra nota 66 cap. II, pag. 324-325 “Transferred to the context of trade-marks for purposes of parody, this would mean that organizations are required to act in good faith and not to communicate incorrect information, the aim of which would be to damage companies and not to provide constructive criticism. As an example, the caricatures would have been abusive if they had suggested that cigarettes involved specific health consequences that they obviously do not have.” 196 di analizzare, sono entrambi parametri che si applicano altresì quando il bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio venga operato al di fuori della specifica normativa sui segni distintivi o quando, una volta affermata la non contraffattività dell'uso del marchio, sia necessario stabilire se possa sorgere una responsabilità aquiliana nei confronti di chi abbia compiuto detto uso. Tornando all'analisi del due cause dobbiamo poi soffermarci sulla seconda condizione che deve esser soddisfatta affinché si concretizzi tale giustificato motivo e che la giurisprudenza in merito, per quanto assai povera, definisce come insormontabile necessità di riferirsi al marchio. 2 4 Questa è senza dubbio un'interpretazione molto restrittiva del due cause, che sembrerebbe sollevare a questo proposito le stesse problematiche relative al referential use ex art. 6. Bisogna però sottolineare alcune differenze a riguardo. In primo luogo la giurisprudenza riguardante il due cause è molto limitata in confronto a quella concernente l'art. 6, che è sembrata più volte chiara nell'indicare come il fine stesso dell'eccezione da esso prevista, l'indicazione della destinazione di un determinato prodotto o servizio. 2 5 Se poi si considera il fatto che, 24 V. Lucas Bols v. Colgate-Palmolive, Corte di Giustizia del Benelux, 1976, in IIC 1976; v. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 248 “some courts have interpreted the criterion of due cause as requiring that a third party may use a trademark only if there is an insurmountable necessity for such use, which is not the case if the third party had an alternative means to express him or herself.” V. anche J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 cap. I, pag. 376 ss.; L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1 cap. I, pag. 888 ss.; G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91 cap. I, pag. 344ss. Ci siamo già occupati dell'argomento in 1.3. 25 V. ad es. BMW v. Deenik, Corte di Giustizia Europea, C- 63/97, 23 febbraio 1999; The Gillette Company, Gillette Group Finland Oy LA-Laboratories Ltd Oy, C- 228/03, 17 marzo 2005; v. a riguardo K. CEDERLUND, P. HANSSON, Non-traditional Trade Marks: Unauthorised but Permitted Use, in J. PHILLIPS, I. SIMON, Trade Mark Use, Oxford University Press, 2005, pag. 268 “The lawfulness or otherwise of use of another's trade mark under Article 6(1)(c) of the Trade Mark Directive depends on whether that use is necessary to indicate the intended purpose of a product or service. A use is necessary in order to indicate the intended purpose of a product or service marketed by the third party, if such use constitutes the only practical means providing the public with comprehensive and complete information on that intended purpose in order to 197 per usufruire dell'art. 6 l'uso debba esser compiuto nel rispetto delle oneste pratiche del commercio e che tra le condizioni affinché queste siano rispettate vi sono quelle indicate dagli artt. 5(1) e 5(2), 2 6 allora la ricomprensione al suo interno degli usi in funzione critica o parodistica del marchio diventa quanto mai difficile. Se parte della dottrina ha cercato di introdurre all'interno dell'art. 6 il bilanciamento dei diritti del titolare del marchio con la libertà d'espressione, prevedendo una sorta di implicita eccezione per gli usi da questa protetti e cercando di favorire, in questo modo, il suo riconoscimento all'interno della normativa sui marchi, ciò non pare però fornire tangibili benefici a questo scopo. Se un'eccezione per gli usi parodistici o critici vi deve essere all'interno della normativa sui marchi, questa dovrebbe esser introdotta non su un piano interpretativo, ma legislativo, al pari di quanto compiuto dal legislatore americano, o da quello europeo riguardo al diritto d'autore; un'introduzione a livello puramente interpretativo rischia infatti di esser infruttuosa per le ragioni suddette e nella maggior parte dei casi sembrerebbe meglio optare per il riconoscimento di una non contraffattività dei summenzionati usi, che comunque fornirebbe alla libertà d'espressione quel breathing space necessario alla sua sopravvivenza. Se la soluzione migliore per sgombrare il campo da ogni dubbio sarebbe introduzione di un'esenzione per quanto riguarda un uso preserve the undistorted system of competition in the market for that product.” V. anche M. MONTEAGUDO, N. PORXAS, Repairs and other specialist services in the light of the ECJ's BMW ruling, in J. PHILLIPS, I. SIMON, Trade Mark Use, Oxford University Press, 2005; per un approfondimento delle succitate sentenze e del c.d. referential use si rimanda a 1.3. 26 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 253-254 “Article 6.1 TMDir will not apply if the descriptive use or referential use is not 'in accordance with honest practices in industrial or commercial matters.' This is interpreted as a 'duty to act fairly in relation to the legitimate interests of the trade mark owner,' which is only fulfilled if the use, (a) does not create the 'impression that there is a commercial connection between the third party and the trade mark owner.' (b) does not take an unfair advantage of the distinctive character or repute of the trademark, (c) does not discredit or denigrate the mark, or (d) does not present the third party products as an imitation.” 198 parodistico, critico e/o non-commerciale del marchio all'interno della legislazione comunitaria, nonostante parte della dottrina sia favorevole, 2 7 non si intravedono all'orizzonte riforme legislative orientate in questo senso. Vedremo quindi, nei prossimi paragrafi, l'applicazione in concreto dei criteri e dei principi, sui quali ci siamo dilungati nel presente, da parte della giurisprudenza delle corti europee ed evidenzieremo quegli aspetti, all'interno delle sentenze di cui ci occuperemo, che ci sembreranno più interessanti per quanto riguarda i profili ora trattati. Prima di procedere a questo esame, però, si ritiene necessario accennare ad alcuni aspetti concernenti l'utilizzo dei marchi all'interno del web, che ci torneranno utili al fine di comprendere alcune delle decisioni, prese dalle corti sia europee che americane, che hanno avuto ad oggetto un siffatto uso. 3.3. L'ampliarsi del conflitto tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio nella società di Internet. Il conflitto tra libertà d'espressione e diritti dei titolari dei marchi ha conosciuto un'espansione direttamente proporzionale alla crescita e alla diffusione di Internet. Come abbiamo avuto modo di accennare nel corso del secondo capitolo, infatti, per le sue intrinseche caratteristiche il web rappresenta il mezzo ideale per chi voglia esprimere un dissenso o una critica nei confronti delle 27 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 271 “In my opinion, this exception [il riferimento è all'esenzione per noncommercialità dell'uso prevista dall'art. 1125(3) del Lanham Act, n.d.r.] should be an example for the European trademark law. By creating such an exception trademark law would make clear that, in line with Article 10 ECHR and the rationales for trademark rights, mixed expression that is of public interest must, in most cases, be kept out of the reach of trademark rights.” 199 pratiche adoperate dal titolare di un marchio o per chi semplicemente intenda compiere una parodia o una satira del marchio. Già nel corso dei primi due capitoli del nostro studio ci siamo imbattuti in casi di utilizzo del marchio per fini critici o parodistici attraverso Internet. 2 8 Si ritiene dunque necessario compiere un focus sulla regolamentazione del web e sui suoi risvolti per quel che concerne la tutela dei marchi, sia in ambito statunitense che in ambito europeo. 3.3.1. L'Anticybersquatting Consumer Protection Act negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti l'utilizzo non autorizzato dei marchi all'interno del web ha dato vita ad una serie di fenomeni potenzialmente dannosi per i diritti del trademark holder. Tra questi fenomeni, oggetto del presente paragrafo, il più diffuso è il c.d. cybersquatting che consiste nella registrazione, da parte di un terzo, di un domain name coincidente con un marchio, prima che il titolare di quest'ultimo lo abbia registrato (come domain name ). Questa pratica viene attuata, il più delle volte, col fine di vendere, in un secondo momento, il domain name corrispondente al marchio al titolare di quest'ultimo e 28 Per la giurisprudenza americana v. Lamparello v. Falwell, U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 420 F.3d 309, 24 agosto 2005, People for the Ethical Treatment of Animals v. Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 263 F. 2d 359, 23 agosto 2001, Bally Total Fitness Holding Corp. v. Faber, U.S. District Court, California, 29 F. Supp. 2D 1161, 23 novembre 1998, Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998; Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997; OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 86 F.Supp.2d 17, 28 febbraio 2000, Ford Motor Co. v. 2600 Enterprises, U.S. District Court, Michigan, 177 F. Supp. 2D, 20 dicembre 2001, Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25 settembre 2000; per quella europea v. invece Mercier v. Punt.nl., Corte di Amsterdam, 22 dicembre 2009, Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003, Stoppesso.de, LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, in GRUR 2003, S.A. Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre 2005. 200 viene definita in dottrina come “classic cybersquatting" . 2 9 Questo fenomeno, unito ad altri tipi di sfruttamento commerciale del marchio altrui attraverso Internet, ha spinto il legislatore federale ad intervenire, in quanto gli strumenti previsti dal FTDA si mostravano insufficienti a questo scopo. 3 0 Al fine di prevenire la registrazione di domain names, corrispondenti ad un altrui marchio, compiuta in mala fede e con intenti di profitto 3 1 è stato quindi 29 V. G.J.H. SMITH, BIRD & BIRD, Internet Law and Regulation, Sweet & Maxwell, 2002, pag. 78 "Cybersquatters, similarly, register domain names before the trade mark owner have done so, with a view to exacting price for trasferring the domain name to the trade-mark owner." M. BARRET, Internet Trademark Suits and the Demise of 'Trademark Use, University of California, Davis, 2006, pag. 396 "In the 1990s, a number of enterprising individuals registered multiple domain names consisting of others’ marks, followed by '.com' or another generic top level domain. In some instances, they proceeded to set up nominal websites under the domain names. In others, they simply held the domain name registrations, hoping later to sell them at a profit to the trademark owners. I refer to these actions as 'classic cybersquatting.'" D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94 cap. II, pag. 112. V. anche R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4 cap. I, pag. 792. 30 Tra i casi di cybersquatting che si verificarono anche prima dell'emanazione dell'ACPA uno dei più conosciuti è Panavision International, L.P. v. Toeppen, U.S. Federal Court of Appeals, 9 th Circuit, 141 F. 3D 1316, 17 aprile 1998, in cui la famosa casa di produzione cinematografica Panavision citò in giudizio Mr. Toeppen, che aveva registrato il domain name di un sito (www.panavision.com) nel quale mostrava delle fotografie della città di Pana in Illinois. La Panavision citò Toeppen per infrazione e diluizione del marchio e il Nono Circuito federale confermò la tesi della ricorrente, in quanto il marchio Panavision era da considerarsi famoso e quindi passibile di diluizione che d'altronde, secondo la Corte, si era verificata in quanto l'uso fatto da Toeppen diminuiva “the capacity of the Panavision marks to identify and distinguish Panavision's goods and services on the Internet.” Inoltre l'uso compiuto da Toeppen venne considerato come commerciale in quanto egli stesso si era proposto di vendere il domain name alla Panavision. Se in questa causa gli strumenti forniti dal FTDA si dimostrarono bastevoli per tutelare gli interessi del trademark holder, dopo questa sentenza i c.d. cybersquatters prestarono maggior attenzione nel cercare di evitare responsabilità civili per le loro azioni; questo è quanto sottolineato nel Senate Report n. 106-140, 5 agosto 1999 “While the [FTDA] has been useful in pursuing cybersquatters, cybersquatters have become increasingly sophisticated as the case law has developed and now take the necessary precautions to insulate themselves from liability. For example, many cybersquatters are now careful to no longer offer the domain name for sale in any manner that could implicate liability under existing trademark dilution case law. And, in cases of warehousing and trafficking in domain names, courts have sometimes declined to provide assistance to trademark holders, leaving them without adequate and effective judicial remedies. This uncertainty as to the trademark law's application to the Internet has produced inconsistent judicial decisions and created extensive monitoring obligations, unnecessary legal costs, and uncertainty for consumers and trademark owners alike.” Questo Report del Senato viene riportato in Sporty's Farm v. Sportsman's Market, Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 202 F.3d 489, 2 febbraio 2000 in cui si afferma altresì che “In short, the ACPA was passed to remedy the perceived shortcomings of applying the FTDA in cybersquatting cases.” 31 V. ibid., pag. 155; J. LIPTON, Internet, Domain names, Trademarks and Free Speech, Edward Elgar, 2010, pag. 22. 201 emanato nel 1999 l'Anticybersquatting Consumer Protection Act (ACPA) che, inserito all'interno del Lanham Act, afferma: “A person shall be liable in a civil action by the owner of a mark, including a personal name which is protected as a mark under this section, if, without regard to the goods or services of the parties, that person— (i) has a bad faith intent to profit from that mark, including a personal name which is protected as a mark under this section; and (ii) registers, traffics in, or uses a domain name that— (I) in the case of a mark that is distinctive at the time of registration of the domain name, is identical or confusingly similar to that mark; (II) in the case of a famous mark that is famous at the time of registration of the domain name, is identical or confusingly similar to or dilutive of that mark; or (III) is a trademark, word, or name protected by reason of section 706 of title 18 or section 220506 of title 36.” 3 2 Questo articolo presenta molti aspetti interessanti per il nostro studio; in esso infatti viene ritenuto civilmente responsabile chi registri, traffichi o usi un domain name identico, o dotato di una somiglianza tale da ingenerare confusione nel pubblico, ad un marchio del quale non sia titolare. Viene inoltre precisato che, qualora il marchio usato o registrato come domain name sia identico o confusoriamente simile ad un marchio famoso, verrà sanzionata altresì la condotta di colui che, attraverso il domain name, determini una diluizione del marchio. Affinché queste condotte siano sanzionabili è però necessario che venga dimostrata una mala fede di chi abbia compiuto la registrazione del domain name orientata 32 Lanham Act, art. 1125(d)(1)(A). 202 alla ricerca di un profitto. I fattori non-esclusivi che devono esser presi in considerazione dalle corti nella determinazione della mala fede del resistente sono indicati dallo stesso Lanham Act. 3 3 L'ACPA va comunque al di là di una prevenzione del c.d. classic cybersquatting , essendo stato utilizzato dalle corti americane anche per quel che riguarda usi parodistici o critici del marchio, che più da vicino riguardano il tema della nostra trattazione. Nello stesso articolo, nel quale vengono indicati i fattori che le corti dovrebbero prendere in considerazione per stabilire la mala fede del resistente, vi è infatti la previsione dell'intento di “divert consumers from the mark owner ’s online location to a site accessible under the domain name that could harm the goodwill represented by the mark, either for commercial gain or with the intent to tarnish or disparage the mark, by creating a likelihood of confusion as to the source, sponsorship, affiliation, or endorsement of the site.” 3 4 33 V. Lanham Act, art. 1125(d)(1)(B)”(i) In determining whether a person has a bad faith intent described under subparagraph (A), a court may consider factors such as, but not limited to (I) the trademark or other intellectual property rights of the person, if any, in the domain name; (II) the extent to which the domain name consists of the legal name of the person or a name that is otherwise commonly used to identify that person; (III) the person’s prior use, if any, of the domain name in connection with the bona fide offering of any goods or services; (IV) the person’s bona fide noncommercial or fair use of the mark in a site accessible under the domain name; (V) the person’s intent to divert consumers from the mark owner’s online location to a site accessible under the domain name that could harm the goodwill represented by the mark, either for commercial gain or with the intent to tarnish or disparage the mark, by creating a likelihood of confusion as to the source, sponsorship, affiliation, or endorsement of the site; (VI) the person’s offer to transfer, sell, or otherwise assign the domain name to the mark owner or any third party for financial gain without having used, or having an intent to use, the domain name in the bona fide offering of any goods or services, or the person’s prior conduct indicating a pattern of such conduct; (VII) the person’s provision of material and misleading false contact information when applying for the registration of the domain name, the person’s intentional failure to maintain accurate contact information, or the person’s prior conduct indicating a pattern of such conduct; (VIII) the person’s registration or acquisition of multiple domain names which the person knows are identical or confusingly similar to marks of others that are distinctive at the time of registration of such domain names, or dilutive of famous marks of others that are famous at the time of registration of such domain names, without regard to the goods or services of the parties; and (IX) the extent to which the mark incorporated in the person’s domain name registration is or is not distinctive and famous within the meaning of subsection (c). (ii) Bad faith intent described under subparagraph (A) shall not be found in any case in which the court determines that the person believed and had reasonable grounds to believe that the use of the domain name was a fair use or otherwise lawful.” 34Ibid. 203 L'emanazione dell'ACPA fornisce quindi al titolare del marchio un'ulteriore arma per combattere quegli usi diluitivi del marchio nel web, per quanto il TDRA rimanga, comunque sia, un utile strumento nel perseguimento di questo scopo. 3 5 Gli usi diluitivi del marchio altrui in Internet avvengono il più delle volte attraverso i c.d. gripe site, ossia siti web che si propongono di criticare un determinato brand. 3 6 Nella giurisprudenza americana si possono rinvenire due diverse tipologie di casi che coinvolgono una possibile diluizione del marchio in Internet attraverso una critica del marchio stesso o dei prodotti o servizi da esso contrassegnati . Una prima tipologia riguarda l'utilizzo del marchio nella registrazione di un domain name tale e quale, senza l'aggiunta di altri termini. A riguardo possiamo citare ad esempio Planned Parenthood , 3 7 Jews for Jesus , 3 8 OBH, 3 9 PETA, 4 0 Northland Insurance, 4 1 Falwell. 4 2 A questi casi abbiamo già accennato nel corso del II capitolo, quando ci siamo occupati della definizione della nozione di uso del marchio nel commercio. Le prime tre delle cause citate non contemplano però l'applicazione dell'ACPA; 4 3 l'uso 35 V. J. LIPTON, Internet, Domain names, Trademarks and Free Speech, supra nota 31, pag. 24 “Thus the introduction of the ACPA without a clear legislative intent that it would replace infringement and dilution actions in domain space now simply adds another string to a trademark's holder bow. Instead of streamlining litigation, plaintiff trade-mark holders can now plead the ACPA, trademark infringement, and dilution, in the alternative.” 36 Ibid.; v. anche M.P. FOX, Does It Really Suck?: The Impact of Cutting-Edge Marketing Tactics on Internet Trademark Law and Gripe Site Domain Name Disputes, Fordham Intell. Prop. Media & Ent. L. J., 2009, pag. 232 “Dissatisfied consumers have discovered that the Internet is a vast field over which they can express their discontent. Creating a consumer gripe website is one means of using the Internet to criticize a company. These gripe sites abound with stories of corruption, fraud, and customer mistreatment.” 37 Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997. 38 Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998. 39 OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 86 F.Supp.2d 17, 28 febbraio 2000. 40 People for the Ethical Treatment of Animals v. Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 263 F. 2d 359, 23 agosto 2001. 41 Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25 settembre 2000. 42 Lamparello v. Falwell, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 420 F.3d 309, 24 agosto 2005. 43 Planned Parenthood e Jews for Jesus vennero decise prima dell'emanazione dell'ACPA, 204 del marchio in siti web, di per sé non prettamente commerciali, ma nei quali vi erano altresì links che rimandavano a siti dotati di tali caratteristiche, venne considerato, come abbiamo analizzato precedentemente, come un uso commerciale del marchio anche se finalizzato ad attività di fund-raising . 4 4 Queste considerazioni possono essere in parte trasposte anche per quanto riguarda l'analisi di altri casi decisi, invece, anche sotto l'ottica dell'ACPA. L'applicazione dei principi stabiliti in Planned Parenthood , Jews for Jesus e OBH può esser riscontrata ad esempio nel caso PETA: l'uso compiuto da Mr. Doughney del marchio PETA, per il domain name di un sito dove si inneggiava al consumo di carne e all'uso di prodotti derivati da animali, venne ritenuto commerciale in quanto prevedeva numerosi links ad altri siti presso i quali avveniva la vendita di tali prodotti. Mr. Doughney fu inoltre ritenuto in mala fede secondo tutti i parametri indicati dal Lanham Act ed, in particolar modo, venne considerato responsabile del c.d. classic cybersquatting in quanto aveva offerto al titolare del marchio PETA di comprare il dominio Internet da egli registrato. 4 5 mentre OBH, pur essendo stata decisa successivamente, non contempla l'applicazione dell'ACPA, nonostante la sua retroattività affermata in Sporty's Farm v. Sportsman's Market, Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 202 F.3d 489, 2 febbraio 2000 (v. in merito alla retroattività D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94 cap. II, pag. 427). Ciò in quanto il ricorrente non ha avanzato alcuna richiesta per l'applicazione dell'ACPA; v. OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 86 F.Supp. 2d 17, 28 febbraio 2000 "The Court notes that, on November 18, 1999, while this case was pending, the Anticybersquatting Consumer Protection Act ("ACPA"), Pub.L. No. 106-113, 15 U.S.C. s 1125(d), was enacted. The Second Circuit has recently held that the ACPA applies retroactively to pending cases. Sporty's Farm, 202 F.3d 489, 496. The Court expresses no opinion as to whether plaintiffs would have a viable ACPA claim under the facts of this case. In any event, plaintiffs have not moved to amend their complaint to add an ACPA claim. Thus, the Court will not consider such a claim at this time." 44 V. 2.2.1.2. e 2.2.2. V. anche D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94 cap. II, pag. 276 "One concern with Web sites contaning critical commentary is whether the use constitutes a 'commercial' use of the mark, particularly when the purpose is to comment on the business of the well-known mark owner. In most cases, relying on links to money-raising venrues or solicitations of funds, courts have found a commercial use." 45 V. People for the Ethical Treatment of Animals v. Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 263 F. 2d 359, 23 agosto 2001 “The district court reviewed the factors listed in the statute and properly concluded that Doughney (I) had no intellectual property right in peta.org; (II) peta.org is not Doughney's name or a name otherwise used to identify Doughney; 205 In controtendenza rispetto a queste decisioni è necessario indicare invece Northland Insurance 4 6 e Falwell. 4 7 Nel primo caso la registrazione di un domain name corrispondente al marchio di una compagnia assicurativa, col fine di dar vita ad un sito web in cui ospitare le lamentele di clienti delusi dai servizi da questa offerti, non venne considerato né come uso commerciale 4 8 né venne riscontrata un bad faith intent to profit . Pur ricorrendo alcuni dei fattori non esclusivi indicati dall'art. 1125(d)(1)(B) del Lanham Act, infatti, pesarono in maniera determinante a favore del resistente il fatto che il sito fosse puramente non-commerciale, e, di conseguenza anche l'uso compiuto del marchio stesso, e che il suo ideatore non avesse cercato di vendere il dominio alla ricorrente. 4 9 46 47 48 49 (III) Doughney had no prior use of peta.org in connection with the bona fide offering of any goods or services; (IV) Doughney used the PETA Mark in a commercial manner; (V) Doughney "clearly intended to confuse, mislead and divert internet users into accessing his web site which contained information antithetical and therefore harmful to the goodwill represented by the PETA Mark"; (VI) Doughney made statements on his web site and in the press recommending that PETA attempt to "settle" with him and "make him an offer"; (VII) Doughney made false statements when registering the domain name; and (VIII) Doughney registered other domain names that are identical or similar to the marks or names of other famous people and organizations." In merito v. G.J.H. SMITH, BIRD & BIRD, Internet Law and Regulation, supra nota 29, pag. 159; J. LIPTON, Internet, Domain names, Trademarks and Free Speech, supra nota 31, pag. 28. Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25 settembre 2000. Lamparello v. Falwell, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 420 F.3d 309, 24 agosto 2005. Di questa caso ci siamo già occupati in 2.2.3. V. Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25 settembre 2000 “While the first three factors support a finding of bad faith intent (defendant possessed no intellectual property rights in this domain name when he registered it, it is not defendant’s legal name nor does it otherwise identify defendant, and defendant had not engaged in prior use of the domain name in connection with prior offering of goods or services), the court finds that the fourth factor, noncommercial use, strongly weighs in defendant’s favor since there is no direct evidence of commercial use. Plaintiff argues that defendant has used this domain name for commercial purposes in that he ultimately seeks to sell it to plaintiff. The record, however, does not indicate any attempt to sell this domain name on defendant’s part. Defendant has never expressly offered to sell the domain site to plaintiff and has never used the web site for anything other than commentary. The next two factors (intent to divert for commercial gain or to tarnish, and any offers to sell) weigh against a finding of bad faith because, while defendant admits he intends to attract Internet users interested in plaintiff’s business, the record does not reflect that he does so for commercial purposes or to tarnish, and the record does not reflect that defendant sought financial gain through an offer to sell this domain name. […] While the evidence indicates that defendant has perhaps exhibited bad intent in setting up this web site to criticize plaintiff’s business practices, his “intent to profit,” is not sufficiently discernable at this stage and presents an 206 Un altro caso in qualche modo simile è Lamparello v. Falwell ; in esso la registrazione di un sito (www.fallwell.com ), con un dominio di per sé leggermente diverso dal nome del reverendo Falwell, registrato da quest'ultimo altresì come marchio, nel quale venivano aspramente criticate le posizioni omofobe di quest'ultimo, non venne considerato censurabile. Infatti venne riconosciuto il carattere prettamente critico del sito nei confronti delle discutibili idee del reverendo Falwell e ciò non venne ritenuto sminuito dal fatto che nel sito medesimo fosse contenuto un link al sito Amazon.com nel quale era offerto in vendita un libro. 5 0 Decisioni simili alle ultime due che abbiamo esaminato sono TMI, Inc. v. Maxwell 5 1 e Lukas Nursery & Landscaping v. Grosse. 5 2 In Lamparello v. Falwell viene poi sottolineato energicamente dalla corte come il fine dell'ACPA non sia quello di limitare la critica su Internet, quanto invece quello di evitare il c.d. classic cybersquatting e le registrazioni multiple di domini. 5 3 Un fattore tenuto in forte considerazione dalle corti issue that seems best resolved by the trier of fact.” 50 Lamparello v. Falwell, U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 420 F.3d 309, 24 agosto 2005 “After close examination of the undisputed facts involved in this case, we can only conclude that Reverend Falwell cannot demonstrate that Lamparello "had a bad faith intent to profit from using the [www.fallwell.com] domain name." PETA, 263 F.3d at 367. Lamparello clearly employed www.fallwell.com simply to criticize Reverend Falwell’s views. Factor IV of the ACPA, 15 U.S.C. § 1125(d)(1) (B)(i)(IV), counsels against finding a bad faith intent to profit in such circumstances because "use of a domain name for purposes of comment, [and] criticism," H.R. Rep. No. 106-412, 1999 WL 970519, at *11, constitutes a "bona fide noncommercial or fair use" under the statute, 15 U.S.C. § 1125(d)(1)(B)(i)(IV). That Lamparello provided a link to an Amazon.com web-page selling a book he favored does not diminish the communicative function of his website. The use of a domain name to engage in criticism or commentary "even where done for profit" does not alone evidence a bad faith intent to profit, H.R. Rep. No. 106412, 1999 WL 970519, at *11, and Lamparello did not even stand to gain financially from sales of the book at Amazon.com. Thus factor IV weighs heavily in favor of finding Lamparello lacked a bad faith intent to profit from the use of the domain name.” 51 TMI, Inc. v. Maxwell, U.S. Federal Court of Appeals, 5th Circuit, 26 aprile 2004, in cui il resistente registrò un sito (www.trendmakerhome.com) che differiva solo di una lettera da quello del ricorrente (www.trendmakerhomes.com) per lamentarsi del cattivo servizio ricevuto dalla TMI. 52 Lukas Nursey & Landscaping v. Grosse, U.S. Federal Court of Appeals, 6 th Circuit, 359 F. 3d., 5 marzo 2004, in cui un consumatore, Mr. Grosse, aveva aperto sito (www.lucasnursey.com) in cui esprimeva la propria insoddisfazione per il servizio offerto dalla Lukas Nursey, titolare del sito (www.lukasnursey.com). 53 Ibid."The paradigmatic harm that the ACPA was enacted to eradicate' is 'the practice of cybersquatters registering several hundred domain names in an effort to sell them to the legitimate owners of the mark.' Lucas Nursery & Landscaping, Inc. v. Grosse, 359 F.3d 806, 207 americane nello statuire un bad faith intent to profit è infatti anche il numero di domini registrati dal resistente. 5 4 Se quest'ultimo, difatti, come accaduto nel caso PETA e al contrario di Lamparello v. Falwell, TMI, Inc. v. Maxwell, Lukas Nursery & Landscaping v. Grosse, ha registrato un alto numero di domini, diviene maggiormente probabile che la corte reputi questa sua attività come segno di un bad faith intent to profit . Ciò è avvenuto ad esempio nel caso Coca-Cola Company LLC v. Purdy, in cui il resistente aveva registrato una settantina di domain names utilizzando celebri marchi (v. ad esempio drinkcoke.org, mycoca-cola.com, mymcdonalds.com, mypepsi.org, my-washingtonpost.com ); in caso di accesso ai corrispondenti siti si veniva poi reindirizzati ad altri siti dedicati al sostegno di campagne anti-abortiste, nei quali inoltre avveniva un'attività di fund-raising, attraverso la vendita di magliette e cappellini. 5 5 Nella decisione della corte, sfavorevole a Purdy, influì 810 (6th Cir. 2004). The Act was also intended to stop the registration of multiple marks with the hope of selling them to the highest bidder, "distinctive marks to defraud consumers' or 'to engage in counterfeiting activities,' and "well-known marks to prey on consumer confusion by misusing the domain name to divert customers from the mark owner’s site to the cybersquatter’s own site, many of which are pornography sites that derive advertising revenue based on the number of visits, or ‘hits,’ the site receives.' S. Rep. No. 106-140, 1999 WL 594571, at *5-6. The Act was not intended to prevent 'noncommercial uses of a mark, such as for comment, criticism, parody, news reporting, etc.,' and thus they 'are beyond the scope' of the ACPA.” 54 Questa presa di posizione effettuata dal IV Circuito Federale in Lamparello v. Falwell viene criticata da Lipton in J. LIPTON, Internet, Domain names, Trademarks and Free Speech, supra nota 31, pag. 29 “It is difficult to see how the multiple registrations of other domain names have any bearing on the use of a domain name corresponding to the plaintiff's mark where, in fact, the defendant is actually utilizing the name for an expressive purpose.” 55 La corte ritenne Purdy responsabile di cybersquatting anche se nei siti da lui registrati non venivano criticati i marchi utilizzati come domain names ma si rimandava invece a siti antiabortisti; l'uso dei marchi famosi come domain names era finalizzato quindi più che altro ad attrarre il maggior numero possibile di internauti; v. Coca-Cola Company LLC v. Purdy, U.S. Federal Court of Appeals, 8th Circuit, 382 F. 3d 774, 1 settembre 2004 “The first four statutory factors do not appear to weigh against a finding that Purdy had a bad faith intent. He has no legal rights in any of the marks that his domain names incorporate. See 15 U.S.C. § 1125(d) (1)(B)(i)(I). He is not known by any of the names, and he has never previously used any of them in the offering of goods or services. See id. at (II)-(III). While the evidence suggests that Purdy has made some noncommercial or fair use of the plaintiffs' marks in critical commentary sites accessible under the domain names, prior to the filing of this lawsuit he principally attached the names to antiabortion websites that made no mention of plaintiffs whatsoever. See id. at (IV). These websites can not be considered to be completely noncommercial since they directly solicited monetary contributions and offered various 208 il fatto che quest'ultimo tentò di ottenere, in cambio della cessazione dell'uso del marchio Washington Post, degli spazi dedicati alla sua causa all'interno del celebre quotidiano. 5 6 L'uso fatto da Purdy dei suddetti marchi, inoltre, venne ritenuto concretizzante una fattispecie di tarnishment, in quanto questi venivano associati ad una netta presa di posizione su di un tema caldo come può esser quello dell'aborto negli Stati Uniti. 5 7 Una seconda tipologia di gripe sites è poi quella in cui vengono associate al marchio parole come “ sucks”, “boycott” , o “blows” attraverso le quali viene dichiarato l'intento critico del sito stesso. 5 8 La rete abbonda di questa tipologia di gripe sites 5 9 e molte volte 56 57 58 59 antiabortion merchandise for sale. See id. Even after Purdy attached the domain names to his own critical commentary sites, he continued to provide links to sites that solicit funds for the antiabortion movement and sell merchandise. Such use of the domain names would apparently profit the organizations of Purdy's choice, and nothing in the ACPA suggests that Congress intended to allow cybersquatters to escape the reach of the act by channeling profits to third parties. These factors support the district court's finding that plaintiffs were likely to establish Purdy's bad faith intent to profit from the marks. “ Ibid. “Furthermore, the record shows that just days after Purdy began registering and using the domain names at issue in this case, he apparently offered to stop using the Washington Post domain names in exchange for space on the editorial page in that newspaper. A proposal to exchange domain names for valuable consideration is not insignificant in respect to the issue of bad faith intent to profit.” Ibid. “It appears that he registered many of these domain names not because of stands the plaintiffs had taken on abortion, but rather to divert Internet users to websites that could tarnish and disparage their marks by creating initial confusion as to the sponsorship of the attached websites and implying that their owners have taken positions on a hotly contested issue.” V. M.P. FOX, Does It Really Suck?: The Impact of Cutting-Edge Marketing Tactics on Internet Trademark Law and Gripe Site Domain Name Disputes, supra nota 36, pag. 232 “Many gripe sites’ domain names take the form of '[trademark]sucks.com.' In fact, the 'sucks' moniker is the most popular denigrating term used in gripe site domain names. However, other gripe site formats include '[trademark]stinks.com,' '[trademark]bites.com,' 'boycott[trademark].com,' '[trademark]blows.com,' and 'ihate[trademark].com.' Using a company’s trademark in the domain name is strategic because it will attract just the audience the website creator intends to reach.” V. anche D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 277. V. R.D. PETTY, The World Wide Web vs. National Trademark Laws, Protecting the Brand in Global Commerce, International Trade & Academic Research Conference (ITARC), Londra 2010, disponibile su http://abrmr.com/pdf/The%20World%20Wide%20Web%20Vs. %20National%20Trademark%20Laws%20-%20Protecting%20the%20Brand%20i%20Global %20Commerce%20-%20Ross%20D%20Petty.pdf “Recent studies suggest that of Business Week’s top 100 brands, 45 have complaint sites and 30 of those have more than one complaint site (Krishnamurthy and Kucuk 2009). In 2008, a study of the Global 500 and Fortune 500 company names along with the top 100 brands found that only 20% of those names had '- 209 questi casi sono altresì giunti nelle aule di tribunale. In merito possiamo citare ad esempio Bally Total Fitness Holding Corp. v. Faber, nel quale il resistente aveva registrato un sito (www.ballysucks.com ) all'interno del quale si lamentava del se rvizio resogli dal centro benessere Bally Total Fitness . In questo caso, deciso prima dell'emanazione dell'ACPA, 6 0 la corte affermò che l'uso compiuto del marchio Bally da Mr. Faber era da considerarsi non-confusorio , non-commerciale e, seppur critico, non diffamatorio nei confronti del suo titolare. Per queste ragioni la corte respinse le richieste della ricorrente. 6 1 Per quel che riguarda casi decisi dopo l'emanazione dell'ACPA possiamo citare Enterprises, Lucent Techs., Inc. v. Lucentsucks.com, 6 2 Fairbanks Capital Corp. v. Kenney, 6 3 Smith v. Wal-Mart 6 4 In tutti questi casi le corti hanno evidenziato il carattere meramente critico o parodistico 6 5 dei siti registrati dai resistenti e non hanno riscontrato 60 61 62 63 64 65 sucks' sites that were not owned by the brand name owner. A total of nearly 20,000 websites at that time ended with 'sucks.com' making this the most common complaint site designation. About 2000 domains ended with 'stinks.com' and about as many started with 'boycott.'” V. anche Ford Motor Co. v. 2600 Enterprises, U.S. District Court, Michigan, 177 F. Supp. 2D, 20 dicembre 2001; pur se successivo all'ACPA, la corte non ne tenne conto in quanto la ricorrente non aveva presentato reclamo a riguardo; di questa causa ci siamo comunque già occupati in 2.2.3. V. Bally Total Fitness Holding Corp. v. Faber, U.S. District Court, California, 29 F. Supp. 2D 1161, 23 novembre 1998. Lucent Techs., Inc. v. Lucentsucks.com, U.S. District Court, Virginia, 95 F. Supp. 2D 528, 3 maggio 2000. Il caso riguarda la registrazione del dominio Internet Lucentsucks.com in cui venfono criticati i prodotti e i servizi forniti dalla Lucent Tecnologies. Fairbanks Capital Corp. v. Kenney,, U.S. District Court, Maryland, 303 F.Supp. 2d 583, 6 maggio 2003. Il caso riguarda la registrazione di una serie di domini Internet da parte di un cliente insoddisfatto dei servizi forniti da Fairbanks. Tutti questi domini (boafairbanks.com; fairbankscomplaint.com; www.fairbankscapitalcomplaint.com; citi-fairbanks.com; bankofamericafairbanks.com; fairbankscapital.net; fairbankssucks.com; fairbankscapitalsucks.com) rimandavano ad un altro sito conti-fairbanks.com in cui venivano appunto criticati i servizi resi dalla banca. Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2D 1302, 20 marzo 2008. di questa causa abbiamo già trattato in 2.2.3. V. Fairbanks Capital Corp. v. Kenney,, U.S. District Court, Maryland, 303 F.Supp. 2d 583, 6 maggio 2003 “Contrary to Fairbanks' assertions that Kenney is guilty of a 'bad faith attempt to profit' from his use of the 'FAIRBANKS' mark, Kenney's overarching motivation for creating and maintaining the website is to voice his strong criticisms about Fairbanks, provide a forum for others to voice criticisms, and, if possible, prevent others from ending up in his situation.” V. Lucent Techs., Inc. v. Lucentsucks.com, U.S. District Court, Virginia, 95 F. Supp. 2D 528, 3 maggio 2000 “A successful showing that lucentsucks.com is effective parody and/ or a cite for 210 un bad faith intent to profit, secondo i parametri indicati dall'art. 1125(d)(1)(B) del Lanham Act, 6 6 né una possibilità di confusione tra i siti registrati e l'attività dei titolari dei marchi utilizzati nei domain names . 6 7 Un ulteriore utilizzo del marchio su Internet è poi quello che avviene attraverso i c.d. metatags. Per metatag si intendono delle parti di codice che, invisibili all'utente di Internet, consentono di individuare, tramite i motori di ricerca, le pagine web. 6 8 Questo uso può causare diluizione del marchio se quest'ultimo venga posto come metatag di determinati tipi di siti. Se ad esempio un internauta, che sia alla ricerca di un sito legato ad un determinato marchio, ad esempio Louis Vuitton, digiti il nome del marchio e tra risultati gli compaia altresì un sito web pornografico, in quanto i titolari di quest'ultimo hanno in precedenza inserito il marchio Louis Vuitton come metatag , allora questo uso può dar vita ad una critical commentary would seriously undermine the requisite elements for the causes of action at issue in this case.” 66 V. Fairbanks Capital Corp. v. Kenney,, U.S. District Court, Maryland, 303 F. Supp. 2d 583, 6 maggio 2003 “Fairbanks is not entitled to injunctive relief as to its claim alleging a violation of the ACPA as Fairbanks has failed to establish defendants''bad faith' intent to profit as required by the statute.” E' in questo caso interessante come la corte si sia espressa in questi termini nonostante la registrazione multipla di domini da parte del resistente (cfr. Coca-Cola Company LLC v. Purdy, U.S. Federal Court of Appeals, 8 th Circuit, 382 F. 3d 774, 1 settembre 2004). 67 V. Smith v. Wal-Mart Stores, Inc., U.S. District Court, N.D. Georgia, 475 F. Supp. 2d, 20 marzo 2008 “To prove that Smith committed trademark infringement or cybersquatting, or subjected Wal-Mart to unfair competition or deceptive trade practices, Wal-Mart must also show that Smith’s use of its trademarks is likely to cause an appreciable number of potential buyers to be confused about the source, affiliation or sponsorship of Smith’s products. […] The Court thus concludes that Smith’s concepts adequately evoke Wal-Mart while maintaining their differentiation, and they convey Smith’s satirical commentary; thus, they are successful parodies. The finding that Smith’s concepts are parodies does not preclude the likelihood of confusion analysis, however; it merely influences the way the likelihood of confusion factors are applied. […] In sum, the Court is convinced that no fair-minded jury could find that a reasonable consumer is likely to be confused by the challenged marks.” Possiamo notare come in questa causa la Corte ponga l'accento sul fatto che il fine parodistico debba aver il suo peso nel determinare la likelihood of confusion nella mente del consumatore. 68 V. M. BARRET, Internet Trademark Suits and the Demise of 'Trademark Use, supra nota 29, pag. 423-424 “Website operators have also made unauthorized reproductions of others’ marks in metatags. Metatags consist of HTML code integrated into a website, which is invisible to website visitors but can be read by search engines. The metatags are meant to communicate the contents of a website to Internet search engines by means of a short description and 'keywords.'” 211 fattispecie di tarnishment, qualora il metatag associ il marchio a siti di dubbia moralità, come nell'esempio proposto. 6 9 Comunque, se il nome di un marchio viene inserito come metatag di un sito di critica o parodia del marchio stesso (c.d. gripesite metatagging ) questo uso non sarà definito come al di fuori della legge. 7 0 A conferma di ciò vi è il caso Bihari v. Gross, in cui un cliente insoddisfatto dei servizi a lui resi da una ditta di interior design, oltre a costituire dei siti in cui si lamentava dei suddetti servizi, senza però citare il marchio della ricorrente, al fine di indirizzare l'internauta ad essi, creò altresì dei metatags utilizzando il marchio Bihari Interior. La corte chiamata a decidere affermò che l'uso del marchio in un metatag, per richiamare ad un sito in cui si critica il servizio offerto dal titolare del marchio stesso, non può esser definito come uso commerciale del marchio. 7 1 69 V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 279 "When the second user has a legitimate purpose for using the metatag, courts have found that to be a fair use and not actionable. If the use were completely unrelated, or used for an unscrupulous purpose, such as directing people to a pornographic web site, then this misuse of a metatag could be held actionable as an infringement under a theory of 'initial interest' confusion. Conceivably, it could be actionable as tarnishment if it directs people who input the mark into a search engine to an unsavory web site.” 70 V. M. BARRET, Internet Trademark Suits and the Demise of 'Trademark Use, supra nota 94, pag. 425 “no one doubts that members of an organization dedicated to workers’ rights have a right to picket the front of XYZ Co. to complain about abuse of workers, and there is little question that those picketers have a right to use XYZ’s name and mark on their picket signs. If such an organization were to set up a website describing XYZ by mark and name and setting forth the same critical commentary, it should be able to include XYZ’s mark in metatags, to ensure that Internet users seeking information on XYZ Co. will retrieve the address of the organization’s website, regardless of whether this causes commercial harm to XYZ Co. The reference to the mark in metatags describes the contents of the website and proposes no commercial transaction.” 71 V. Bihari v. Gross, U.S. District Court, New York, 119 F. Supp. 2d. 309, 25 settembre 2001 “Bihari has failed to demonstrate a likelihood of success on the merits of this claim because Gross's use of the 'Bihari Interiors' mark in the metatags is not likely to cause confusion and is protected as a fair use.” Ciò poiché la corte afferma che questo uso del metatag è un uso descrittivo, protetto quindi come descriptive fair use; v. ibid. “Here, Gross has included 'Bihari Interiors' in the metatags of his websites because the websites provide information about Bihari Interiors and Marianne Bihari. Gross has not used the terms 'Bihari Interiors' and 'Bihari' in the metatags as a mark, but rather, to fairly identify the content of his websites. In short, Gross uses the 'Bihari Interiors' mark in its descriptive sense only. Moreover, use of the 'Bihari Interiors' mark in the metatags of his websites is the only way Gross can get his message to the public. A broad rule prohibiting use of 'Bihari Interiors' in the metatags of websites not sponsored by Bihari would effectively foreclose all discourse and comment about Bihari Interiors, including fair comment. Courts must be particularly cautious of 212 Possiamo quindi notare, dall'analisi fin qui compiuta della giurisprudenza, come le corti americane, se si esclude Planned Parenthood, OBH e Jews for Jesus, abbiano garantito uno spazio abbastanza ampio atteggiamento non alla libertà di critica ha subito modifiche sul dopo web. Questo l'emanazione dell'ACPA, che ha avuto come obbiettivo primario, dichiarato dal Congresso stesso, quello di impedire il c.d. classic cybersquatting denotato da un profitto finanziario 7 2 derivante dalla vendita di domain names, identici ad un marchio registrato, ai titolari di quest'ultimo e non quello di restringere la libertà di critica o parodia sul web. 7 3 Ciononostante in alcuni casi dei casi analizzati come Coca-Cola Company LLC v. Purdy e PETA, le corti hanno affermato che gli internauti avrebbero potuto ritenere esistente, secondo il V dei parametri posti dall'art. 1125(d)(1)(B) per stabilire l'esistenza di un bad faith intent to profit, una “likelihood of confusion as to source sponsorship, affiliation, or endorsement” 7 4 tra il sito e i titolari dei marchi utilizzati. 7 5 Si può osservare, però, come in un mondo in cui il numero di utenti della rete si sta ampliando sempre di più e in cui oramai, a vent'anni dalla nascita di 72 73 74 75 overextending the reach of the Lanham Act and intruding on First Amendment values.” Nonostante ciò il fatto che nei siti registrati da Gross fossero presenti links ad altri siti di ditte di interior design concorrenti della ricorrente fece però si che un uso, di per sè non commerciale, fosse ritenuto dalla corte come commerciale; v. ibid. “However, the Gross websites contain hyperlinks to other websites which promote the services of other interior designers. The Gross websites effectively act as a conduit, steering potential customers away from Bihari Interiors and toward its competitors, thereby transforming his otherwise protected speech into a commercial use.” V. M. BARRET, Domain Names, Trademarks and the First Amendment: Searching for Meaningful Boundaries, supra nota 38 cap. II, pag. 1043. V. ibid., pag. 1033-1036. Lanham Act, art. 1125(d)(1)(B). Per Coca-Cola Company LLC v. Purdy, U.S. Federal Court of Appeals, 8th Circuit, 382 F. 3d 774, 1 settembre 2004 v. supra nota 55; People for the Ethical Treatment of Animals v. Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 263 F. 2d 359, 23 agosto 2001 “Doughney knowingly provided false information to NSI upon registering the domain name, knew he was registering a domain name identical to PETA's Mark, and clearly intended to confuse Internet users into accessing his website, instead of PETA's official website. Considering the evidence of Doughney's bad faith, the safe harbor provision can provide him no relief.” 213 Internet, gli internauti sono diventati sempre più smaliziati, è difficile credere che la maggior parte di loro, capitati ad esempio su uno dei siti registrati da Purdy, rimandanti a loro volta a siti antiabortisti, possano credere che grandi società come la Coca-Cola o famosi giornali come il Washington Post si espongano in tal modo a sostegno di siffatte campagne. 7 6 In dottrina vi è quindi chi suggerisce che nella valutazione delle corti incidano altresì fattori riguardanti il tipo di espressioni invocanti una tutela: se ad esempio viene data protezione alle critiche mosse contro i servizi offerti da alcune società o contro le discutibili posizioni del reverendo Falwell o alla parodia del marchio Wal-Mart, una simile protezione non viene invece fornita alla campagna anti-abortista di Purdy o alla parodizzazione dell'associazione animalista PETA. 7 7 E' poi da sottolineare, ricollegandoci al discorso compiuto nel corso del secondo capitolo sul chilling effect che può esser determinato, tra gli altri fattori, dall'onerosità delle spese legali che la parte processuale più debole può trovarsi costretta ad affrontare, che la previsione di una nuova possibile rivendicazione per il trademark 76 V. M. BARRET, Domain Names, Trademarks and the First Amendment: Searching for Meaningful Boundaries, supra nota 38 cap. II, pag. 1049 “When trademark infringement, dilution or ACPA claims move into the realm of noncommercial speech, the competing interests must be carefully balanced in order to avoid undue interference with both defendants’ and the public’s First Amendment interests. In many cases, the public interest in avoiding confusion in the Internet context has been much overemphasized. Given modern search engines and the sophistication of Internet users (which grows with each new generation), the likelihood that similar domain names, in themselves, will seriously hinder consumers from finding the products or services they want is low—especially when the defendant’s website is not selling competing goods or services, but is instead engaged in non-commercial speech. Even if a domain name temporarily confuses consumers and leads them to a website they did not intend to visit, the implications (from the public’s standpoint) are minor. In a matter of seconds the consumer can return to his former Internet location.” 77 V. J. LIPTON, Commerce versus Commentary: Gripe Sites, Parody, and the First Amendment in Cyberspace, Washington Law Review, 2006, pag. 1366 “Why should a consumer criticism site that is not a parody effectively be subject to a lower standard of constitutional scrutiny than a criticism site that takes the form of a parody, particularly when both are equally unlikely to confuse consumers, and both involved links to other Websites where goods or services could be purchased? It seems that, reading between the lines, maybe the answer lies in the subject matter of the relevant speech. Maybe the court felt that a somewhat clumsy parody of PETA’s activities did not merit the same constitutional protection as a critical stance on the Reverend Jerry Falwell’s views on homosexuality.” 214 holder, sotto gli auspici dell'ACPA, altro non fa che aumentare questi costi e di conseguenza i timori della parte resistente. 7 8 3.3.2. Domain names, libertà d'espressione e contraffazione del marchio in Europa. Anche in Europa, al pari che negli Stati Uniti, la crescita esponenziale del fenomeno Internet ha causato non pochi problemi ai titolari dei marchi. Questi fenomeni vanno dal c.d. classic cybersquatting , all'utilizzo di metatags corrispondenti al marchio alla creazione di c.d. gripe sites, in cui il marchio viene utilizzato in funzione critica nei confronti dei prodotti o dei servizi forniti dal suo titolare o di alcune sue pratiche dannose per l'ambiente o criticabili da un punto di vista sociale. 7 9 Per quanto riguarda la definizione delle suddette problematiche si rimanda a quanto detto nel paragrafo precedente dedicato alla trattazione delle medesime negli Stati Uniti. Se le problematiche sono le medesime, per quanto invece riguarda l'atteggiamento del legislatore nei loro confronti, dobbiamo evidenziare una forte differenziazione del contesto europeo rispetto a quello statunitense. Se infatti i suddetti possibili conflitti con il diritto dei marchi sono stati affrontati oltreoceano attraverso la previsione di un apposito statuto (l'ACPA), ciò non è invece avvenuto negli ordinamenti europei. Queste problematiche vengono quindi affrontate in Europa considerando i domain names come segni distintivi atipici 8 0 ed applicando ad essi, secondo il 78 V. J. LIPTON, Internet, Domain names, Trademarks and Free Speech, supra nota 31, pag. 24 “Thus, litigation costs have arguably increased post-ACPA rather than decreased.” 79 V. ad esempio Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003, Greenpeace France v. Spcea, Cour de Cassation, 8 aprile 2008, S.A. Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre 2005, Monte dei Paschi di Siena c. IlMioCastello spa, Trib. Siena, 21 luglio 2003, Ass. Investici c. Trenitalia spa, Trib. Milano, 7 settembre 2004, Stoppesso.de, LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, in GRUR 2003, Scheiss-t-online, LG Dusseldorf, 30 gennaio 2002. 80 V. A. VANZETTI, V. DI CATALDO, Manuale di Diritto Industriale, supra nota 16 cap. I, pag. 333 215 principio di unitarietà dei segni distintivi, 8 1 le stesse norme che vengono applicate ai marchi. 8 2 Questo avviene sia per quanto riguarda il rischio di confusione tra il titolare del marchio ed il sito che viene registrato con l'utilizzo del marchio stesso nel domain name, sia per le fattispecie di blurring e tarnishment che concernono il marchio notorio. Nell'analizzare brevemente i fenomeni ai quali abbiamo sopra accennato il primo problema da affrontare, nell'ottica del diritto nazionale dei paesi europei, è quello del c.d. classic cybersquatting o domain grabbing ; questa fattispecie, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, riguarda una registrazione di domain names “Benché fortemente atipici sotto vari profili, sono sicuramente segni distintivi i cosiddetti domain names o nomi a dominio che, come è noto, corrispondono ai siti sulla rete Internet .” Galli in C. GALLI, I Domain Names nella Giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 2001, pag. 11-14 compie un'analisi della giurisprudenza italiana per quel che riguarda la natura giuridica dei domain names, arrivando a concludere, nonostante alcune corti si siano espresse in contrario, che “Che i domain names siano anche strumenti tecnici per raggiungere siti web è in realtà incontestabile; questa natura, tuttavia, non è affatto incompatibile col fatto che essi, in quanto segni, comunichino anche un messaggio distintivo. La circostanza che, per il funzionamento della rete, non possano esistere in tutto il mondo due domain names identici (mentre ben possono esistere marchi identici, che si differenziano tra di loro per l'ambito merceologico e/o territoriale di protezione) accentua anzi, se possibile, la componente del messaggio da essi comunicato che concerne l'esistenza di un'esclusiva del titolare sull'uso del segno.” V. anche C. GALLI, L'Allargamento della Tutela del Marchio e i Problemi di Internet, supra nota 47 cap. II, pag. 30-31; L. LIUZZO, Il Principio dell'Unità dei Diritti sui Segni Distintivi e i Domain Names nel Mercato Virtuale di Internet, in AA.VV., Studi di Diritto Industriale in Onore di Adriano Vanzetti, Giuffrè, Milano, 2004, pag. 876-877. 81 Questo principio viene espressamente esteso ai domain names dall'art. 22 CPI “(1) E' vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell'attività economica o altro segno distintivo (1) un segno uguale o simile all'altrui marchio se, a causa dell'identità o dell'affinità tra l'attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. (2) Il divieto di cui al comma 1 si estende all'adozione come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell'attività economica o altro segno distintivo di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza se l'uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.” 82 V. ibid., pag. 26 “La conclusione, cui la giurisprudenza prevalente è pervenuta, è dunque nel senso che l'uso di un segno come domain name si un sito Internet può violare gli altrui diritti su un segno distintivo identico o simile, anche se di tipo diverso.” V. anche a riguardo degli altri paesi europei G.J.H. SMITH, BIRD & BIRD, Internet Law and Regulation, supra nota 29, pag. 110-148 in cui viene fatta un'analisi della legislazione dei diversi paesi europei (e non) in materia e viene per l'appunto affermato che, in mancanza di regole specifiche, vengono applicate le rispettive legislazioni nazionali in tema di marchi. 216 uguali o simili all'altrui marchio con lo scopo di rivenderli al suo stesso titolare. Come sottolinea Galli, 8 3 la semplice registrazione del dominio costituisce di per sé un uso del marchio; ciò in quanto avviene una sorta di accaparramento (e per questa ragione il medesimo dominio non sarà registrabile da nessun altro soggetto compreso il titolare del marchio, data l' architettura della rete basata sul principio first come first served ). 8 4 Ciò avviene anche se il dominio venga solamente registrato ma non utilizzato, a differenza di quanto previsto per il marchio, in quanto il domain name risulta comunque visibile agli utenti di Internet. 8 5 Nel diritto italiano, al fine di tutelare il trademark holder dalle summenzionate pratiche, vengono richiamati l'art. 22 e l'art. 19 CPI; quest'ultimo riguarda il divieto di registrazione in mala fede 8 6 e viene appunto utilizzato come base per l'emanazione dell'inibitoria nei confronti del titolare del domain name corrispondente al marchio registrato. 8 7 Per quanto riguarda il domain grabbing concernente marchi non famosi bisognerà prender in considerazione, oltre alla buona o mala fede, il rischio di confusione nel pubblico. 8 8 Per quanto invece riguarda i 83 C. GALLI, I Domain Names nella Giurisprudenza, supra nota 80, pag. 61. 84 V. T. TOSI, La Tutela della Proprietà Industriale, in AA.VV., I Problemi Giuridici di Internet, dall'E-Commerce all'E-Business, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 436 “Il domain name viene assegnato all'entità che per prima presenta la domanda di registrazione, in applicazione del principio del 'First come, First served.'” V. anche S. MANIATIS, Trade Mark Use on the Internet, in J. PHILLIPS E I. SIMON, Trade Mark Use, Oxford University Press 2005, pag. 264. 85 V. C. GALLI, I Domain Names nella Giurisprudenza, supra nota 80, pag. 61. 86 V. G. SCHIANO DI PEPE, Brevi Considerazioni Intorno ai Rapporti fra Domain Name e Marchi e Dintorni, in AA.VV., Studi di Diritto Industriale in Onore di A. Vanzetti, Giuffrè, Milano, 2004, pag. 1455 “In presenza di un marchio e di un domain name identico prevarrà il marchio sul domain name, anche se anteriore, qualora possa escludersi la buona fede del suo titolare. In caso contrario dovrà ritenersi prevalere il domain name.” 87 V. Art. 133 CPI “L'Autorità giudiziaria può disporre, in via cautelare, oltre all'inibitoria dell'uso nell’attività economica del nome a dominio illegittimamente registrato, anche il suo trasferimento provvisorio, subordinandolo, se ritenuto opportuno, alla prestazione di idonea cauzione da parte del beneficiario del provvedimento.” V. C. GALLI, I Domain Names nella Giurisprudenza, supra nota 80, pag. 63; A. VANZETTI, V. DI CATALDO, Manuale di Diritto Industriale, supra nota 16, pag. 337, 88 V. T. TOSI, La Tutela della Proprietà Industriale, supra nota 84, pag. 443 “Il presupposto per l'illiceità dell'appropriazione in oggetto [del marchio registrato non rinomato, n.d.r.] risiede nel rischio di confusione per il pubblico. […] Ne consegue, dunque, la piena liceità della registrazione (come nome di dominio) del marchio altrui, se l'entità registrante opera in un settore merceologico completamente distinto da quello del titolare del marchio stesso, sì da 217 marchi notori, nel caso di registrazione da parte di un terzo di un domain name corrispondente, sarà assai difficile conferirgli una tutela, in quanto, tranne che in rare occasioni, egli avrà agito in mala fede con lo scopo di accaparrarsi detto dominio. 8 9 Inoltre, oltre al rischio di confusione, saranno valutati altri parametri quali l'indebito vantaggio tratto dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio, o il pregiudizio arrecato ad essi. 9 0 La prospettiva che riguarda più da vicino il nostro studio è però quella concernente un uso del marchio in Internet che possa creare un danno alla reputazione del marchio o alla sua capacità distintiva o che, inversamente, possa ottenere da questi un indebito vantaggio. Questa fattispecie, come già analizzato nel corso del secondo capitolo, 9 1 può concretizzarsi attraverso un accostamento del marchio a prodotti vili o scadenti, rispetto a quelli commercializzati dal suo titolare, o a messaggi non coerenti con l'immagine del marchio stesso, includendo in questa seconda categoria anche i casi di parodia o satira del marchio notorio. 9 2 In ambito europeo possiamo ad esempio citare il caso Nijntje avvenuto in Olanda, in cui la parodizzazione di un popolare personaggio fumettistico 89 90 91 92 rendere impossibile qualsiasi rischio di confusione. […] Detta registrazione, tuttavia, risulta viziata ove il terzo registrante risulti esser in mala fede, registri, cioè, il segno pur essendo consapevole del diritto altrui, al solo fine ricattatorio o di disturbo.” V. G. SCHIANO DI PEPE, Brevi Considerazioni Intorno ai Rapporti fra Domain Name e Marchi e Dintorni, supra nota 86, pag. 1456 “La richiesta di assegnazione da parte di un terzo di un nome a dominio corrispondente ad un marchio celebre non può quasi mai ritenersi effettuata in buona fede e quindi non degna di tutela. L'aver occupato, infatti, in assenza di valide ragioni giustificatrici e dirimenti un sito web precludendone il corrispondente uso a chi poteva aspirarvi essendo titolare del relativo segno (marchio o ditta) è indubbiamente atto illecito.” T. TOSI, La Tutela della Proprietà Industriale, supra nota 84, pag. 445-447. V. 2.4.1.2. V. C. GALLI, I Domain Names nella Giurisprudenza, supra nota 80, pag. 53 “Un'ipotesi di approfittamento della rinomanza del marchio altrui che potrebbe configurarsi anche in relazione all'uso di marchi rinomati come domain names è quella della parodia, in quanto essa instaura per definizione un collegamento che comporta un approfittamento a favore dell'autore della parodia, che proprio su tale collegamento (e quindi sullo sfruttamento della rinomanza del marchio parodiato) si fonda e che spesso comporta anche un detrimento per questo marchio, specialmente se la parodia è volgare, o comunque tale da ingenerare nella mente del pubblico associazioni tra il marchio ed elementi estranei al messaggio ad esso originariamente inerente, che possono quindi inquinarlo.” 218 attraverso l'accostamento all'utilizzo di droga, venne ritenuta come denigratoria nei confronti del marchio ad esso corrispondente. 9 3 Un'altra fattispecie che merita attenzione è quella che riguarda la critica del marchio, dei prodotti commercializzati dal suo titolare o di pratiche aziendali da quest'ultimo poste in essere. Questa tipologia di siti, come visto nel paragrafo precedente, prende il nome di gripe sites. All'interno della giurisprudenza europea possiamo citare diversi casi che hanno coinvolto l'utilizzo del marchio all'interno di questi siti caratterizzati da un'aperta contestazione del suo titolare. Tra di essi Areva, 9 4 E$$O 9 5 e Danone 9 6 in Francia, Trenitalia 9 7 e Monte dei Paschi 9 8 in Italia, stoppesso.de, 9 9 scheiss.de, 1 0 0 Gen Milch 1 0 1 in Germania. A questa tipologia di critica del marchio si applicheranno quindi, in assenza di regole specifiche all'interno delle legislazioni dei paesi europei, le stesse norme che vengono applicate per l'utilizzo del marchio a fini critici. In primo luogo si stabilirà se l'utilizzo all'interno di un sito web sia da considerarsi come uso del marchio o meno ed in base a ciò verrà deciso se il bilanciamento con la libertà d'espressione dovrà avvenire all'interno della normativa marchi o al di fuori di essa. Verranno poi valutati diversi parametri tra i quali la commercialità dell'uso, l'approfittamento parassitario o il danno subito dal marchio e l'esistenza di motivi di pubblico interesse tali da giustificare questo uso, nonché la proporzionalità della critica. E' 93 Mercier v. Punt.nl., Corte di Amsterdam, 22 dicembre 2009. V. supra 2.2.2. 94 Greenpeace France v. Spcea, Cour de Cassation, 8 aprile 2008. 95 Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre 2005. 96 Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003; riguardo a questo ultimo caso Schiano di Pepe parla di “Political Cybersquatting”; v. G. SCHIANO DI PEPE, Brevi Considerazioni Intorno ai Rapporti fra Domain Name e Marchi e Dintorni, supra nota 86, pag. 1460-1461. 97 Ass. Investici c. Trenitalia spa, Trib. Milano, 7 settembre 2004. 98 Monte dei Paschi di Siena c. IlMioCastello spa, Trib. Siena, 21 luglio 2003. 99 Stoppesso.de, LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, in GRUR 2003. 100 Scheiss-t-online, LG Dusseldorf, 30 gennaio 2002. 101Gen-Milch, Bundesgerichtshof, 11 marzo 2008. 219 interessante notare come le corti tedesche, nel caso di uso noncommerciale del marchio su Internet a fini critici, si siano dimostrate molto propense a considerare questi utilizzi non come usi del marchio, conferendo ad essi la protezione conferita dalla libertà d'espressione e considerandoli al di fuori del diritto di esclusiva invocato dai loro titolari. 1 0 2 In Francia, invece, le corti hanno considerato questi utilizzi come usi del marchio e, pur riconoscendo il diritto di critica all'interno dei c.d. complaint sites , ciò è avvenuto attraverso un percorso più travagliato in cui, anche nel caso di accertata non commercialità , hanno avuto un peso rilevante le considerazioni riguardanti una possibilità di confusione oltre che, come vedremo più avanti, un'attenta analisi della proporzionalità della critica, come testimoniato dai lunghi iter processuali di Areva, E$$O e Danone. Di questi casi, e degli altri summenzionati, ci occuperemo però nei seguenti paragrafi, che avranno ad oggetto, per l'appunto, l'utilizzo in funzione critica del marchio. 102V. per quanto riguarda la giurisprudenza tedesca W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 210-211 “German jurisprudence does not apply trademark rights to non-commercial expression in relation to e.g. complaint sites. In the Oil-of-elf.de case, the Kammergericht Berlin28 found that the criticism of a complaint site operated by environmental non-profit campaigners, pursuing only idealistic aims in directing their criticism against a multinational oil company, constituted use outside of the course of trade. Similarly, the LG Köln found that a plaintiff could not invoke trademark rights to stop Greenpeace from claiming that the milk of a dairy producer was ‘Gen-Milch’ (i.e. genetically modified milk), as the campaign group did not use the relevant trademark in the course of trade.” Una tendenza simile è riscontrabile anche nella giurisprudenza italiana v. Ass. Investici c. Trenitalia spa, Trib. Milano, 7 settembre 2004 in cui l'utilizzo del marchio della società ferroviaria italiana all'interno di un sito in cui si denunciava il supporto logistico della suddetta a operazioni militari attraverso la riproduzione della pagina della home page del sito istituzionale di Trenitalia modificato in modo tale che il trasporto di materiale bellico apparisse come l'unico servizio svolto da questa venne ritenuto come rientrante all'interno delle espressioni protette dall'art. 21 della Costituzione. 220 3.4. La risposta della giurisprudenza in Europa. Se nel corso della nostra trattazione abbiamo più volte accennato a diversi casi della giurisprudenza europea e americana è ora arrivato il momento di analizzare in profondità i più significativi tra questi, partendo da quelli decisi dalle corti del Vecchio Continente, al fine di analizzare come in concreto sia avvenuto il bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio. Nell'analizzare la giurisprudenza in merito a casi di critica, parodia e satira del marchio occorre premettere che non sempre questi usi possono costituire oggetto di una netta separazione. Se in alcuni casi i loro confini sono netti e quindi un determinato utilizzo si pone chiaramente come parodistico 1 0 3 o critico, 1 0 4 in altri i contorni sono più sfumati. 1 0 5 In questi ultimi infatti si può creare un intreccio tra parodia satira e critica, facendo sì che le prime due diventino uno strumento per esprimere una contestazione nei confronti del titolare del marchio, dei suoi prodotti o di una determinata condotta da egli adottata. Altre volte invece la critica, svolgendosi attraverso 103V. ad esempio Bumms Mal Wieder, Bundesgerichtshof, 3 giugno 1986, in GRUR 1986; Fit for fun, OLG Amburgo, 1 aprile 1999; Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e IIC, 2007, 119 ss.; Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony Music- Entertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5466 e IDI, 2010, 214 ss.; SA Pernod-Ricard v. M. Thierry A., Tribunal de Grande Instance de Paris, 9 gennaio 2004. 104V. ad esempio Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre 2005, Greenpeace France v. Spcea, Cour de Cassation, 8 aprile 2008; O. Malnuit e La Reseau de Voltaire v. Sté Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, 30 aprile 2003; Stoppesso.de, LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, in GRUR 2003; Gen-Milch, Bundesgerichtshof, 11 marzo 2008, Scheiss-t-online, LG Dusseldorf, 30 gennaio 2002; Oil-ofelf.de, Kammergericht Berlin, 23 ottobre 2001; Monte dei Paschi di Siena c. IlMioCastello spa, Trib. Siena, 21 luglio 2003. 105V. ad esempio Grosses Mordoro Poker, Bundesgerichtshof, 17 aprile 1984, in GRUR 1984; 'Bild der keine Meinung', OLG Hamburg, 1999; Deutsche Pest, LG Hamburg, 27 ottobre 1999; in GRUR 2000; Kampagne gegen die Jagd, OLG Koln, 10 marzo 2000; Ass. Investici c. Trenitalia spa, Trib. Milano, 7 settembre 2004; Michelin v. CGT, Cour d'Appel de Riom, 15 settembre 1994; CNMRT v. JT International, Cour de Cassation, 19 ottobre 2006. 221 un'utilizzazione parodistica o satirica, prende di mira il marchio, in quanto icona culturale e simbolo di una determinata condotta o tendenza sociale. 1 0 6 Constatato che la linea di demarcazione tra satira, parodia e critica non è sempre così netta, nei seguenti paragrafi svolgeremo dapprima un'analisi degli utilizzi del marchio per fini critici, per poi concentrarci sugli utilizzi di tipo satirico e/o parodistico. Occorre premettere in questa sede che, come abbiamo evidenziato, se in alcuni casi i summenzionati fini o strumenti risulteranno chiari, in altri, invece, saranno intrecciati tra di loro. Nel compiere una suddivisione abbiamo quindi dedicato i primi paragrafi a quegli usi che denotano un chiaro intento critico, pur se talora raggiunto attraverso parodia e satira, mentre i secondi a quegli usi che, pur se talvolta possono avere intenti critici, sono fortemente caratterizzati dall'utilizzo di satira e parodia. Un caso che poi, per diverse ragioni, meriterà di esser trattato a sé è il caso Plesner nel quale si possono rintracciare sia forti spunti critici di un certo modus vivendi, che alcuni spunti satirici; il fatto che poi l'uso non riguardi tanto un marchio ma un design registrato e che ciò avvenga all'interno di un'opera d'arte fa si che di questo caso ci occuperemo in un paragrafo mono-tematicamente dedicato. 3.4.1. La critica del marchio in Europa. Nell'intento di approfondire il comportamento della giurisprudenza europea nei casi di utilizzo del marchio per fini di tipo critico nei confronti del suo titolare, di sue condotte riprovevoli o dei prodotti 106V. ad esempio Louis Vuitton Malletier v. M. François D., Tribunal de Grande Instance de Nanterre, 25 giugno 2002; Louis Vuitton Malletier SA v. N. Plesner, Corte di Den Hague, 27 gennaio 2011 (riguardante però l'utilizzo non autorizzato di un design registrato, come vedremo in 3.4.2.2.) 222 da egli commercializzati dedicheremo il presente paragrafo all'analisi della giurisprudenza europea in merito, concentrandoci soprattutto su quella dei suoi tre paesi che, per vari motivi, possono esser considerati i più rappresentativi, ossia Germania, Francia ed Italia. Compiremo poi nei paragrafi seguenti un approfondimento su tre casi decisi dalle corti francesi (gli affaires ESSO, Danone e Areva) che ben denotano un certo atteggiamento della giurisprudenza nei confronti della critica operata attraverso l'uso del marchio. Partendo dall'analisi della giurisprudenza tedesca un caso di sicuro interesse, che presenta altresì elementi parodistici secondo quell' intreccio menzionato nel paragrafo precedente, è il caso che ha riguardato il famoso quotidiano BILD. La Axel Springer, società editrice del giornale e detentrice del relativo marchio, aveva lanciato una campagna pubblicitaria attraverso lo slogan BILD DIR EINE MEINUNG (trad. “Fatevi un'opinione ”); questo motto venne modificato in modo parodistico, ma con evidenti intenti altresì critici, attraverso lo slogan BILD DIR KEINE MEINUNG (trad. “Non fatevi alcuna opinione” ) che, attraverso l'uso del marchio BILD e la sostituzione di una sola lettera rispetto all'originale, ne stravolse il significato. Il motto così modificato venne stampato su cartoline. La corte di Amburgo in primo grado evidenziò, a differenza, ad esempio, del caso Lila-Postkarte al quale abbiamo già accennato nel corso del secondo capitolo e sul quale torneremo in 3.4.2., che il riportare il marchio su delle cartoline non dovesse esser inteso come un uso del marchio in quanto non designante la loro origine. 1 0 7 La corte d' appello in seguito, nel bilanciare i diritti 107V. Bild der keine Meinung, OLG Hamburg, 4 giugno 1998; v. in merito E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 32 “The Hamburg court, however, denied such argument by ruling that the printing of a slogan on a postcard is not a trademark use. The consumer recognises that the slogan does not designate the origin of the postcard itself.” V. anche W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28, 223 di proprietà intellettuale della Axel Springer con la libertà d'espressione del distributore delle suddette cartoline, affermò che la critica compiuta da quest'ultimo non era da considerarsi così aspra da non meritare protezione. 1 0 8 Questo utilizzo del marchio BILD venne quindi ritenuto protetto dalla libertà d'espressione in forza di un bilanciamento avvenuto però al di fuori della legge marchi tedesca. Una decisione in qualche modo similare è poi stata presa dal Tribunale di Colonia nel caso Kampagne gegen die Jagd; 1 0 9 la raffigurazione di un uomo che urinava sul dell'associazione tedesca dei cacciatori, in un disegno logo usato all'interno di una campagna contro la caccia, non venne ritenuto come uso del marchio e la critica, per quanto connotata da una certa durezza, venne ritenuta rientrante nei limiti posti dalla libertà d'espressione. 11 0 Al contrario il Tribunale di Dusseldorf ritenne l'utilizzo del segno T-Online, all'interno di un gripe site (scheiss-tonline.de , trad. “merda-t-online” ) in cui si criticavano i servizi di Internet providing forniti dal suo titolare, come uso del marchio e la critica, attraverso di esso compiuta, connotata da un'eccessiva asprezza per poter godere della protezione conferita dall'art. 5 della Grundgesetz . 111 Una decisione tesa a negare la protezione fornita pag. 232. 108V. 'Bild der keine Meinung', OLG Hamburg, 1999; v. in merito E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 32 “In the case 'Bild Dir keine Meinung,' the Court of Appeals of Hamburg decided in favor of the postcard distributor because, if there existed any criticism at all, it was not so harsh as to prevail against the right of the postcard distributor to express his opinion.” V. anche C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 152. 109Kampagne gegen die Jagd, OLG Koln, 10 marzo 2000. 110Ibid. V. in proposito W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 232 e 288. 111V. Scheiss-t-online, LG Dusseldorf, 30 gennaio 2002; v. C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 152; questa decisione è stata oggetto di critica da parte di Sakulin in W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 288 “In this context, it was, for instance, not in line with Article 10.2 ECHR (or Article 5GG) that the LG Düsseldorf prohibited the use of the domain name ‘www.scheisstonline.de’ simply because it found the use of the word “scheiss” (shit) in the domain name to 224 alla libertà d'espressione è poi quella dell'OLG di Amburgo in un caso nel quale il logo della compagnia petrolifera Shell veniva accostato ad un teschio e stampato su t-shirts offerte in vendita . Anche in questo caso la critica venne ritenuta espressa in maniera troppo tranchant per meritare protezione e l'aspetto commerciale dell'uso compiuto ebbe senz'altro un suo peso determinante nella decisione della corte. 11 2 Possiamo vedere quindi proporzionalità della critica rispetto all'obbiettivo che come la mira a raggiungere e la commercialità dell'utilizzo siano elementi tenuti in gran considerazione nel valutare una possibile tutela fornita dalla libertà d'espressione. Possiamo osservare, infatti, come le critiche rivolte ad un'altra compagnia petrolifera, la ELF, all'interno di un sito Internet che, in totale assenza di scopi lucrativi, criticava l'impatto ambientale della ricorrente, non venne ritenuto come uso del marchio e quindi venne considerato al di fuori della MarkenG ed esclusivamente rivolto alla critica della summenzionata condotta. 11 3 Una decisione simile è stata presa nel caso STOPPESSO.DE, 11 4 nel be devoid of any funny or ironic element and that it would purely defame the trademark. In my opinion, the use of such a swearword is justified to draw the attention to justified criticism of a major company, if that website indeed contains substantiated criticism.” 112V. Totenkopfsymbol, OLG Hamburg, 1998; v. E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 32 “The Hamburg Court of Appeals granted, because of the commercial character of distribution,the injunction based on §1 Unfair Competition Act.22 It may be inferred from the assessment on respective interests of the parties as taken by the Court of Appeals of Hamburg, that the decision might have been the same if there had been no commercial distribution, the act instead occurring as an uncommercial expression of opinion. It should be noted, however, that in a noncommercial context, the means of expressing a certain opinion may be harsher and more potentially impairing to the trademark owner than in a commercial context.” 113V. Oil-of-elf.de, Kammergericht Berlin, 23 ottobre 2001; v. in merito W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 210 “In the Oil-ofelf.de case, the Kammergericht Berlin28 found that the criticism of a complaint site operated by environmental non-profit campaigners, pursuing only idealistic aims in directing their criticism against a multinational oil company, constituted use outside of the course of trade.” V. anche C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 151 “As a result of the fact that non–commercial activities are excluded from the scope of application of MarkenG, political or scientific statements, or activities by non–profit associations are not covered by MarkenG from the outset (e.g. KG MMR 2002, 686 – oil–of–elf).” 114 Stoppesso.de, LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, v. in merito C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 152. 225 quale bersaglio della critica da parte dell'associazione Greenpeace, venne fatta la compagnia petrolifera ESSO. Anche in questo caso la corte negò l' uso del segno come marchio, dato il carattere noncommerciale del sito, e gli accordò la protezione fornita dall'art. 5 della Grundgesetz, in un bilanciamento effettuato nuovamente all'esterno della legge marchi tedesca. Dalla comparazione degli ultimi tre casi possiamo notare come l'assenza di scopi commerciali abbia pesato molto nella statuizione, da parte delle corti, di un nonuso del marchio, facendo si che il bilanciamento con la libertà d'espressione venisse operato al di fuori della normativa sui segni distintivi. Sarà poi interessante vedere come nei casi E$$O e Areva si siano espresse le corti francesi e di questo ci occuperemo nel seguente paragrafo. Un altro caso, abbastanza risalente nel tempo ma con profili interessanti, anche da un punto di vista comparativistico, è poi il caso Mordoro/Marlboro . Un'associazione anti-tabagismo aveva infatti utilizzato, nel parodiare una pubblicità della Marlboro, una modificazione dell'omonimo brand di sigarette all'interno di un calendario, facente parte di una campagna antifumo. La trasformazione del marchio Marlboro in Mordoro (tenendo presente che in tedesco Mord significa omicidio), non venne però considerata come contraffazione del marchio in quanto veniva fatta una critica alla dannosità dei prodotti commercializzati dalla ricorrente e questa critica, nonostante una componente di freeriding, stante nel vantaggio ottenuto attraverso la notorietà del marchio in questione nella vendita dei suddetti calendari, non venne ritenuta diffamatoria; 11 5 è però da notare come questo caso risalga al 115Grosses Mordoro Poker, Bundesgerichtshof, 17 aprile 1984, in GRUR 1984. V. a riguardo W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 265 “In its decision, the BGH recognised that in order to make a critical statement about the advertising tactics of the plaintiff, the defendant was justified in taking advantage of the level of knowledge and the image of the Marlboro trademark. The pure fact that the commercial power of the plaintiff was influenced by the poster could not be qualified as unfair.” V. anche E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 32-33 “However, the Federal Supreme Court still decided in favor of freedom of expression, because the allusion 226 1984, quando alcuna protezione particolare veniva conferita ai marchi c.d. notori, essendo questi ultimi protetti, alla stregua di tutti gli altri, solamente contro il rischio di confusione. Lasciando ora da parte la giurisprudenza tedesca, per quanto riguarda le campagne anti-fumo altre due sentenze risultano assai interessanti; entrambe riguardano il marchio Camel. Il primo caso riguarda lo slogan, utilizzato in Austria in una pubblicità contro il consumo di tabacco, NUR EIN KAMEL GEHT MEILENWEIT FÜR EINE ZIGARETTE (trad. “solo un cammello cammina per chilometri per una sigaretta ” laddove Kamel, in tedesco, oltre a voler dire cammello, significa anche “ stupido”). La Corte Suprema austriaca affermò che l'industria del tabacco ha tollerato negli anni campagne anti-fumo denotate anche dalla satira o dalla parodia, ma ciò non permette di utilizzare un marchio particolare per simboleggiare l'intera categoria di produttori di sigarette, in quanto parte dei consumatori potrebbero esser tratti in inganno, ritenendo quel particolare brand di bionde particolarmente dannoso per la salute in confronto ad altri. 11 6 Questo ragionamento venne condiviso dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo 11 7 anche se criticato dalla dottrina. 11 8 Passando alla giurisprudenza francese possiamo vedere come il richiamo al marchio Camel su posters e adesivi, all'interno di una campagna anti-tabacco rivolta agli adolescenti, venne sì ritenuto degno di protezione, in quanto non travalicante i limiti della libertà d'espressione, ma tale orientamento fu preso solamente to death was considered sufficiently subtle particularly in a permitted criticism against smoking, as not to be considered outright defamation.” 116Österreichische Schutzgemeinschaft für Nichtraucher v. R.J. Reynolds Tobacco Company, Corte Suprema Austriaca, 13 settembre 1988; v. in merito W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 284. 117Österreichische Schutzgemeinschaft für Nichtraucher v. Austria, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 2 dicembre 1991. 118V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 284-285. 227 nel corso dell'ultimo grado cassazionale di giudizio, 11 9 avendo i giudici, nelle decisioni precedenti, statuito la non liceità dell'uso compiuto dal Comité national contre les maladies respiratoires et la tuberculose (CNMRT). L'uso in questione concerneva la raffigurazione di un dromedario, emaciato e steso a terra, con in bocca una sigaretta esalante una nube di fumo a forma di teschio e corredato dallo slogan “la clope c'est pire que la traversée du desert” (trad. “la sigaretta è peggio della traversata del deserto ”). In primo grado il Tribunal de Grande Instance di Parigi aveva rigettato l'accusa di contraffazione a carico della CNMRT, ma al contempo aveva condannato quest'ultima al pagamento simbolico di 1 Euro per l'uso compiuto degli elementi caratterizzanti i pacchetti di sigarette commercializzati dalla ricorrente, in quanto quest'utilizzo era da considerarsi denigratorio in base al principio della responsabilità aquiliana. 1 2 0 Nel giudizio d'appello i giudici, pur riconoscendo l'importanza delle libertà d'espressione e del diritto di critica, evidenziarono che questi hanno pieno diritto di svolgersi solamente qualora siano rispettosi dei diritti altrui; un uso del marchio altrui atto a denigrare i prodotti commercializzati da un'impresa (in quanto in questo modo viene visto l'uso compiuto dal CNMRT in funzione del fatto che si richiami solamente al marchio Camel) non può quindi esser considerato tale. 1 2 1 La Cour de Cassation annullò questa sentenza sulla base del fatto che, avendo il suddetto utilizzo il fine di salvaguardare la salute pubblica, materia di grande interesse sociale, tale uso era da considerarsi proporzionato rispetto allo scopo che voleva raggiungere e quindi 119CNMRT v. JT International, Cour de Cassation, 19 ottobre 2006. 120Sté JT International v. CNMRT, Tribunal de Grande Instance de Paris, 28 marzo 2003 “le CNMRT a commis une faute au préjudice des sociétés JTI et JT en utilisant certains éléments du décor du paquet [de Camel, n.d.r.] aux fins de discréditer les produits commercialisés sous cette marque.” 121CNMRT v. Sté JT International, Cour d'appel de Paris, 14 gennaio 2005 “que la référence à une marque spécifique de cigarette, même sur le mode parodique a pour conséquence de porter un discrédit sur ce fabricant au détriment des autres dont l’image n’a pas été utilisée.” 228 non costituiva un abuso della libertà vedremo accadrà anche nel caso Areva, d'espressione. 1 2 2 Come quindi, la Corte di Cassazione annullò la sentenza d'appello, rinvenendo quell'elemento di proporzionalità della critica rispetto al fine, di cui abbiamo evidenziato l'importanza nel corso del secondo capitolo, e che non era invece stato riconosciuto nei gradi precedenti di giudizio. Al contrario la Corte aveva confermato, una decina di anni prima, la sentenza di condanna 1 2 3 nei confronti della CNMRT e del CNCT (Comité Nationale contre le Tabagisme ), in un caso analogo, sulla base del fatto che le summenzionate organizzazioni avessero travalicato, col riferimento ai marchi di produttori di sigarette, quei limiti alla libertà d'espressione derivanti dai diritti degli altri. 1 2 4 Per quel che riguarda la giurisprudenza d'oltralpe avremo modo di approfondire nel prossimo paragrafo tre vicende ( E$$O, Areva e Danone) piuttosto significative per ciò che concerne la critica compiuta attraverso l'uso del marchio ed avente come bersaglio l'azienda che ne è titolare. A riguardo, prima di passare all'analisi della giurisprudenza italiana, è necessario citare un ultimo caso in merito, ossia quello che ha riguardato la parodizzazione del famoso pupazzo Bibendum, elemento figurativo del marchio Michelin, fatto oggetto di raffigurazione, da parte di un sindacato scontento delle politiche aziendali retrograde della suddetta, come una bestia cavernicola con tanto di clava; il tutto venne accompagnato dallo slogan “les idées du passé ne font pas tourner la roue du progrès ” (trad. “le idee del passato non fanno girare la ruota del 122CNMRT v. JT International, Cour de Cassation, 19 ottobre 2006 “Qu'en statuant ainsi, alors qu'en utilisant des éléments du décor des paquets de cigarettes de marque "Camel", à titre d'illustration, sur un mode humoristique, dans des affiches et des timbres diffusés à l'occasion d'une campagne générale de prévention à destination des adolescents, dénonçant les dangers de la consommation du tabac, produit nocif pour la santé, le CNMRT, agissant, conformément à son objet, dans un but de santé publique, par des moyens proportionnés à ce but, n'avait pas abusé de son droit de libre expression, la cour d'appel a violé les textes susvisés.” 123V. Sté Phillips Morris Products v. CNCT, Cour d'appel de Rennes, 17 marzo 1992. 124V. CNCT e CNMRT v. Reynolds Gmbh e altri, Cour de Cassation, 21 febbraio 1995. 229 progresso”). La corte d'appello di Riom rigettò l'accusa di contraffazione del marchio affermando che l'uso compiuto del pupazzo Bibendum “en réalité, il s'agit d'un hommage à la marque inversement proportionnel à la critique de la politique sociale de l'entreprise.” 1 2 5 Venne infatti riconosciuto che la critica non era rivolta contro i prodotti della Michelin, ma contro le decisioni dei suoi vertici, come vedremo accadrà anche nel caso Danone e, precedente che non sarà seguito dalla giurisprudenza successiva, venne stabilita un'eccezione per l'utilizzo parodistico del marchio in applicazione analogica di quanto previsto per il diritto d'autore. 1 2 6 A differenza della giurisprudenza francese e tedesca, quella italiana non si presenta altrettanto ricca di casi concernenti un utilizzo del marchio per i summenzionati fini critici. A riguardo possiamo infatti citare solamente i casi MPS, Trenitalia e Fiat/Formigli; in tutti questi casi, tranne nel primo in cui però la Monte dei Paschi rinunciò ad agire per contraffazione del marchio, gli utilizzi del segno distintivo altrui non vennero definiti come uso del marchio. Il primo caso riguarda il gripe site registrato dalla IlMioCastello spa al fine di convogliare il malcontento dei clienti delusi dai servizi offerti dalla (mpsclientidelusi.it ). Il banca Monte tribunale di dei Paschi Siena emise di a Siena riguardo un'ordinanza con la quale veniva vietato l'utilizzo di tale dominio, in quanto poteva captare l'attenzione di quanti fossero alla ricerca del sito istituzionale della MPS. 1 2 7 125V. Michelin v. CGT, Cour d'Appel de Riom, 15 settembre 1994. 126V. D. VORHOOF, Is Freedom of Expression a Legitimate Argument for Disrespecting Copyright? the Parody Metaphor, in A. STROWEL, F. TULKENS, Droit d’auteur et liberté d’expression. Regards francophones, d’Europe et d’ailleurs, supra nota 93 cap. II, pag. 43 “The Court of Appeal in 1994 did not consider this use of the image and trademark as an infringement of copyright or trademark law. The Court applied the explicit parody exception in the French Intellectual Property Law (art. 122-5).” 127V. Monte dei Paschi di Siena c. IlMioCastello spa, Trib. Siena, 21 luglio 2003 “l'uso del segno mps o MPS, tanto più unito all'espressione clienti delusi, certamente ha il potere di captare l'attenzione di chi naviga in Internet (magari alla ricerca di uno dei numerosi siti della Banca ricorrente), sia esso un cliente della Banca Monte dei Paschi di Siena, sia esso un qualsivoglia consumatore, mentre lo stesso potere attrattivo certamente non deriverebbe dall'utilizzo di un 230 Lo stesso tribunale, nell'esame del ricorso presentato contro detta decisione, revocò la precedente ordinanza, ordinando alla IlMioCastello spa di trasformare il dominio mpslientidelusi.it in clientidelusiprodottimps_4you&myway.it, in modo tale che fosse più chiara la non affiliazione del sito con la summenzionata banca e che la critica si rivolgesse specificamente ai due prodotti nell'occhio del ciclone (ossia 4YOU e MY WAY). 1 2 8 Il caso Trenitalia, 1 2 9 invece, concerne la satira del sito istituzionale della suddetta azienda, compiuta con lo scopo di criticare la sua scelta di fornire un supporto logistico, in ordine al trasporto di automezzi dell'esercito, alle operazioni militari svoltesi in Iraq e Afghanistan. Il provvedimento l'oscurazione tribunale cautelare del suddetto di a Milano, favore sito, lo dopo di aver emesso Trenitalia, revocò. Nella un decidendo successiva ordinanza del 7 settembre 2005, infatti, venne dato ampio risalto alla libertà d'espressione, di critica e di satira e fu applicata quell'eccezione, prevista appunto per la satira, contenuta nel diritto d'autore; 1 3 0 la rielaborazione grafica dell' home page del sito istituzionale di Trenitalia vene dunque giudicata come apportante sito privo di segni così distintivi .” 128V. IlMioCastello spa c. Monte dei Paschi di Siena, Trib. Siena, 11 agosto 2003; v. a riguardo C. GALLI, D. DE ANGELIS, A.B. GELOSA, N. GIORA, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 197-198. 129Ass. Investici c. Trenitalia spa, Trib. Milano, 7 settembre 2004. 130Ibid. “Sul piano della tutela del diritto d’autore [...] e’ ormai opinione generalmente condivisa quella che attribuisce all’opera parodistica la natura di opera autonoma, in quanto implicante comunque una (seppur modesta) attività creativa, e dunque una protezione ai sensi degli artt. 1 e 2 L.A. in quanto dotata di propria autonoma individualità. [...] Del caso di specie non vi e’ dubbio che l’elaborazione contestata abbia integrato uno stravolgimento dell’home page del sito di Trenitalia s.p.a., ricollegando i riconoscibili elementi formali e grafici a vicende di indubbio rilievo politico al fine di manifestare in chiave satirica un evidente e severo giudizio critico sul contributo posto in essere dalla società alla movimentazione di mezzi militari e dunque – secondo la tesi che fonda tale elaborazione – all’indebita partecipazione del nostro Paese ad eventi bellici in ossequio a direttive politiche di parte. In tale prospettiva non puo’ negarsi che l’elaborazione grafica in questione risulti effettiva espressione di uno spunto critico – espresso anche con raffigurazioni di un certo impatto simbolico (v. il pop up contestato) – che tuttavia nel suo complesso non appare eccedere l’ambito di una accesa polemica politica condotta da posizioni radicalmente contrapposte in ordine a questioni che involgono inevitabilmente anche profili di rilievo sia politico, che giuridico che di natura morale.” 231 elementi creativi, critici e satirici tali da trasformare l' “opera” originaria. Il fatto che nella satira di detto sito venisse utilizzato il logo di Trenitalia non sembra però aver avuto il dovuto peso in quest'ordinanza, che invece sposta l'intero problema all'interno di una rielaborazione in forma satirica, protetta dalla relativa eccezione prevista per il diritto d'autore. L'ultimo caso di cui ci occuperemo per quel che riguarda la giurisprudenza italiana in merito è un caso molto recente 1 3 1 riguardante l'uso del marchio Alfa Romeo nel contesto di un programma televisivo di approfondimento politico, per la precisione Annozero, condotto da Michele Santoro. All'interno di una puntata, dedicata alle contestate politiche aziendali della FIAT, detentrice del sub-brand Alfa Romeo , il giornalista Corrado Formigli fu l'artefice di un servizio nel quale, confrontando l'auto Alfa Romeo Mito con altre due concorrenti della stessa categoria ( Mini Cooper e Citroen DS3) rilevò che l'auto della FIAT era quella che risultava, dai tests effettuati, la meno veloce; ciò a detta della ricorrente ha provocato un grave danno alla reputazione del brand Alfa Romeo, che proprio della sportività vorrebbe esser l'espressione. La ricorrente inoltre contestò che, seppur le rilevazioni compiute sulla velocità massima delle vetture erano da considerarsi veritiere, il carattere del servizio ed il comportamento del suo autore fossero da ritenersi tendenziosi, in quanto quest'ultimo colpevolmente tacque che sotto altri aspetti, diversi dalla velocità massima, la vettura MITO era migliore delle dette concorrenti e che nella prova avvenuta su pista la suddetta era l'unica con inserito il sistema di sicurezza ESP, alquanto limitante le prestazioni della vettura. Se da una parte, dunque, la FIAT ha messo in luce il danno d'immagine ricevuto al suo brand per mezzo di un servizio non obbiettivo, dall'altro Formigli ha invocato la protezione conferita dall'art. 21 della Costituzione alla libertà d'espressione. Il 131FIAT c. RAI, Formigli, Santoro, Trib. Torino, 20 febbraio 2012. 232 Tribunale di Torino ha affermato però che la libertà d'espressione incontra dei limiti, tra i quali il diritto di ogni soggetto giuridico alla propria reputazione, protetto dall'art. 2 della Costituzione; 1 3 2 il servizio di Formigli venne dunque ritenuto denigratorio 1 3 3 nei confronti del marchio Alfa Romeo, in quanto non corrispondente al vero; una notizia per esser ritenuta veritiera, e quindi oggetto di interesse pubblico , deve esser dotata altresì di completezza, altrimenti si tramuta in diffamazione. 1 3 4 Ragion per cui, per il danno non patrimoniale causato al brand Alfa Romeo le parti convenute sono state condannate al pagamento di oltre 5.000.000 di Euro. Anche se questo caso si è svolto al di fuori della legge-marchi (così come d'altronde il caso Trenitalia ), essendo basato soprattutto sull'art. 2043, 1 3 5 anche per ovviare, forse, alle difficoltà relative a 132Ibid. “osserva il Tribunale che il diritto di cronaca, che pure è da intendere come una manifestazione essenziale del diritto ( di rango costituzionale, ex art. 21 Cost.) della libertà di manifestazione del pensiero nella rappresentazione di un avvenimento, non può non trovare il suo limite dinanzi alla necessità di salvaguardare il diritto (ugualmente di rango costituzionale, ex art.2 Cost.) di ogni soggetto giuridico alla propria reputazione. E, certo, la tutela dell'onore non ha una dignità di secondo piano rispetto al diritto di libertà di cronaca , che trova un limite non solo nella legge penale ( in riferimento all'ipotesi della diffamazione, che riguarda tale bene nel suo profilo oggettivo), ma anche nel complesso dei diritti altrui, tra i quali è indubbiamente compreso quello del decoro e dignità di ogni singola persona.” 133Ibid. “In conclusione, nella fattispecie in esame, la reputazione della Fiat Group, sub-brand Alfa Romeo, in riferimento alla vettura Alfa Mito, è risultata essere stata illecitamente compromessa, nel corso della trasmissione di Annozero, con una denigratoria notizia non veritiera, e, pertanto, l'operatività della esimente in esame (ex art. 51 cp) non può che essere negata, con la conseguenza che il comportamento del sig. Formigli non ha perso il suo carattere di illiceità.” 134Ibid. “Nel caso di specie, anche a volere effettuare un bilanciamento del diritto personale di Fiat Group alla propria reputazione con quello della libera manifestazione del pensiero del giornalista Formigli, non può certo essere affermata la prevalenza del secondo; così come anche, e soprattutto, non può essere affermato un interesse della opinione pubblica alla conoscenza di una notizia non vera; la verità deve infatti investire l'intero contenuto informativo della comunicazione, in quanto solo il rigoroso rispetto della verità soddisfa l'interesse sociale alla informazione, che non è configurabile in relazione a false notizie diffamatorie.” 135Ibid. “Questo, in considerazione del fatto che la violazione del principio della libera manifestazione del pensiero, in riferimento ai soggetti destinatari di una denigratoria notizia teletrasmessa, costituisce un illecito pluri-offensivo, che lede e\o pone in pericolo non un solo bene, ma più beni diversi, e, segnatamente tanto l'interesse dei cittadini ascoltatori a poter esprimere liberamente le proprie idee liberamente formate, quanto l'eventuale interesse, in capo al soggetto denigrato, a non vedere pregiudicata la propria immagine commerciale e compromessala possibilità di vendita sul mercato dei propri prodotti secondo le regole del mercato, tanto da patire un danno ex art. 2043 cc.” 233 definire l'utilizzo compiuto da Formigli come uso del marchio, esso è interessante in quanto viene operato un bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti della titolare di un marchio, in un caso in cui il marchio stesso è oggetto di diffamazione. Questa sentenza ha provocato una levata di scudi da parte, soprattutto, del mondo del giornalismo italiano, preoccupato di un possibile chilling effect sulla libertà d'espressione. Si dà inoltre notizia della volontà delle parti condannate di presentare appello nei confronti di detta sentenza. 3.4.1.1. I casi Danone, E$$O e Areva. In questo paragrafo affronteremo tre significativi casi decisi dalle corti francesi in merito a tre diverse utilizzazioni del marchio in Internet in funzione critica rispetto a determinate politiche, aziendali o ambientali, esercitate dal suo titolare. Il primo di questi è il caso Greenpeace/ESSO, in cui il noto gruppo ambientalista utilizzò e modificò all'interno del proprio sito web il logo ESSO, trasformandolo in E$$O ed E££O ed affiancandolo alla dicitura STOP al fine di denunciare le pratiche, dannose per l'ambiente, adoperate dalla multinazionale del petrolio. Greenpeace inoltre utilizzò la dicitura stop.esso come metatag. L'iter processuale di questa vicenda è piuttosto articolato. In primo grado il TGI di Parigi, nel decidere sui provvedimenti cautelari da adottare, condannò l'utilizzo compiuto da Greenpeace del suddetto logo. 1 3 6 Quest'uso difatti non venne ritenuto giustificato dalla necessità di riferirsi alla ESSO per criticarne la condotta, in quanto 136ESSO v. Greenpeace France e Société Internet FR, Tribunal de Grande Instance de Paris, 8 luglio 2002. 234 non era stato utilizzato solamente il nome Esso ma altresì riprodotto il suo logo, 1 3 7 che, associato al simbolo del dollaro e della sterlina, poteva senz'altro creare danno all'immagine del marchio, 1 3 8 nonché confusione nel pubblico. 1 3 9 L'utilizzo del logo ESSO venne dunque qualificato come uso del marchio e si dimostrarono, come visto, fallimentari i tentativi tanto di qualificare quest'utilizzo come referential use, quanto di ritenere quest'uso come non contraffattivo. Questa decisione venne ribaltata nell'appello, presentato da Greenpeace. 1 4 0 La Corte d'Appello di Parigi, infatti, contestò l'ordinanza del TGI sotto vari profili: in primo luogo sottolineò l'importanza della libertà d'espressione che può sì esser limitata, ma solamente in misura necessaria a garantire i diritti altrui; 1 4 1 venne inoltre contestato il rischio di confusione ravvisato dal TGI, in 137Ibid. “l'appropriation opérée de la marque, dans le cadre d'une présentation utilisant, pour les titres et logos imités reproduits, des polices de caractère de grande dimension et en couleur, ne participe pas exclusivement de la nécessité de communiquer les opinions de l'association, et ses objectifs." V. in merito G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 165. 138Ibid. “Que la terminologie adoptée, même si elle n'appelle pas explicitement au boycott des produits de la marque, tend bien, comme le soutient la société demanderesse, à porter atteinte à son image, et par conséquent à détourner le public de celle-ci, comme le confirment l'évocation d'actions menées en vue de perturber la distribution, ou l'illustration par des pompes à essence, l'une de la marque comportant barrage d'une croix au niveau du produit, à côté d'une autre en vert, frappée du sigle de Greenpeace.” 139Ibid. “Qu'il existe en définitive un risque de confusion en ce sens dans l'esprit du public, au sens des dispositions de l'article L 713-3 b) du Code de la Propriété Intellectuelle.” Ciò viene affermato nonostante Greenpeace sostenesse che il carattere parodistico dell'utilizzo era atto a escludere una confusione per quanto riguarda l'origine; il TGI però afferma che è bastevole un rischio di associazione per il pubblico affinché si possa determinare un rischio di confusione; ibid. “Qu'à cet égard, il n'apparaît pas que les dispositions de l'article 713-3 b) du Code de la Propriété Intellectuelle puissent se trouver en contradiction avec les critères retenus en matière de contrefaçon par la Directive citée pour la définition du concept de risque de confusion; que la substitution du symbole du dollar aux lettres S du mot ESSO, seul ou inclus dans le logo, a pour objet de capter l'attention de l' internaute moyennement informé, alors que la marque semi-figurative est reproduite à l'identique, tant sur le plan graphique que des couleurs, excepté en ce qui concerne les deux lettres 'S'; que de ce fait, la première perception du logo comme de la marque verbale si légèrement modifiés évoque immanquablement les produits et services offerts par cette marque notoire." 140Greenpeace France v. ESSO, Cour d'Appel de Paris, 26 febbraio 2003. 141Ibid. “Considérant que le principe à valeur constitutionnelle de la liberté d ' expression implique que, conformément à son objet statutaire, l'association GREENPEACE puisse, dans ses écrits ou sur son site internet, dénoncer sous la forme qu'elle estime appropriée au but poursuivi les atteintes à l'environnement et les risques causés à la santé humaine par certaines activités industrielles; que si cette liberté n'est pas absolue, elle ne peut néanmoins subir que les restrictions rendues nécessaires par la défense des droits d' autrui." 235 quanto appariva chiaro sia l'intento critico dell'uso compiuto del marchio ESSO, 1 4 2 sia il fatto che Greenpeace non vendesse prodotti concorrenziali a quelli commercializzati dalla ESSO. Venne anzi sottolineato come l'uso compiuto da Greenpeace fosse del tutto estraneo a qualsiasi proposito di tipo economico. 1 4 3 La Corte d'Appello quindi, pur non richiamandosi ulteriormente al referential use, ritiene, per le summenzionate ragioni, l'uso compiuto da Greenpeace come non-contraffattivo del marchio ESSO. La causa, dopo un primo ed un secondo grado riguardante le misure cautelari, venne decisa nel merito. Il TGI di Parigi 1 4 4 confermò le osservazioni compiute dalla Cour d'Appel sul carattere marcatamente critico dell'uso compiuto da Greenpeace del marchio ESSO, uso che quindi, per questa ragione, non comportava alcun rischio di confusione nella mente dell'internauta medio. 1 4 5 Venne inoltre sottolineata la non-commercialità dell'uso compiuto da Greenpeace, nonostante la stessa organizzazione mettesse in vendita, tramite il suo sito, delle t-shirts riportanti il logo E$$O al fine di sostenere la sua campagna. 1 4 6 Riguardo poi alle accuse di 142Ibid. “Considérant qu'à cet égard, il n'apparaît pas évident que la société ESSO puisse utilement et sérieusement revendiquer l'application de l'article L 713-3 du Code de la propriété intellectuelle, dès lors que, par les modifications apportées aux marques de la société ESSO et les textes qui les accompagnent, l' association GREENPEACE montre clairement son intention de dénoncer les activités de la société dont elle critique les incidences sur l' environnement, sans induire en erreur le public quant à l' identité de l' auteur de la communication.” 143Ibid. “Considérant en outre que, destiné à illustrer les informations fournies et le propos critique développé dans la campagne menée par l'Association, le signe 'E$$O' , même s'il fait référence aux marques appartenant à la société intimée , ne vise manifestement pas à promouvoir la commercialisation de produits ou de services en faveur de GREENPEACE mais relève au contraire d'un usage polémique étranger à la vie des affaires.” 144ESSO v. Greenpeace France, Tribunal de Grande Instance de Paris, 30 gennaio 2004. 145Ibid. “Mais attendu que par les modifications apportées aux marques dont s'agit et les propos développés dans les textes les accompagnant, la défenderesse montre clairement son intention de dénoncer la politique industrielle de la société ESSO dont elle critique les incidences sur l'environnement, sans induire en erreur le public quant a l’identité de l'auteur de la communication.” 146Ibid. “l'offre a vente de tee-shirts et de sucettes sur un site international entièrement en langue anglais accessible depuis le site www.greenpeace.fr grâce a un lien hypertexte n'est pas susceptible de se rattacher à la vie des affaires; que l'association GREENPEACE FRANCE ne tire effet aucun profit économique de cette vente effectuée par son homologue anglais et 236 denigrazione ed uso parassitario del marchio, il TGI affermò che l'utilizzo compiuto da Greenpeace rientrasse pienamente nei limiti della libertà d'espressione, 1 4 7 dato anche il fatto che non venivano criticati i prodotti della ESSO ma la sua condotta aziendale; 1 4 8 inoltre dichiarò che la sostituzione delle 'S' con il simbolo del dollaro non venne compiuta al fine di discreditare, agli occhi del pubblico, i prodotti venduti attraverso il marchio ESSO. 1 4 9 Questa sentenza venne confermata in secondo grado dalla Cour d'Appel di Parigi, 1 5 0 che concordò con il TGI sia riguardo alla non- commercialità 1 5 1 dell'uso compiuto da Greenpeace del marchio ESSO, sia riguardo alla sua ricomprensione all'interno di quel recinto protetto dalla libertà d'espressione, 1 5 2 in quanto riscontrò una mancanza di denigrazione dei prodotti della ESSO. 1 5 3 Dall'analisi condotta del caso ESSO/Greenpeace possiamo vedere in qualche modo confermate le teorie enunciate in 3.2. per quel che guarda l'introduzione della libertà d'espressione all'interno della qualifiée de 'donation'.” 147Ibid. “Attendu […] que la critique concernant la politique de la société ESSO, ouverte au public par l'association GREENPEACE FRANCE sur son site Internet, n’excédait pas les limites se la liberté d'expression.” 148Ibid. “Attendu […] que la demanderesse a par ailleurs, et tout en dénonçant 'ces actes dénigrement' reconnu que le produits et services ESSO ne souffrent d'aucune critique de la parte de GREENPEACE.” 149Ibid. “Attendu […] qu'il ne donc pas établi que par l'usage des éléments, tels que le remplacement des S par des signes évoquant le dollar et l'expression au besoin semi-figurative STOP ESSO, la défenderesse ait cherché à discréditer aux yeux du public les produits protégés par les marques ESSO et ainsi porté atteinte aux droits de la demanderesse.” 150ESSO v. Greenpeace, Cour d'Appel de Paris, 16 novembre 2005. 151Addirittura le affermazioni compiute dalla ESSO riguardo alla commercialità dell'operazione di Greenpeace, poiché in un sito collegato con un hypelink era in vendita del merchandise legato alla protesta, vengono definite dalla corte come compiute in perfetta mala-fede “Considérant que la société ESSO soutient que l'association Greenpeace France interviendrait dans la vie des affaires dès lors que, d'un part, elle offrait à la vente des t-shirts portant les signes litigieux et, que d'autre part , elle appellerait au boycott de ses produits; mais considérant qu'en formulant des telles allégations la société ESSO fait preuve de la plus parfaite mauvaise foi.” 152Ibid. “Considérant qu'il résulte de l'ensemble de ces éléments que l'association Greenpeace France a, ainsi que le tribunal l'a justement retenu, inscrit son action dans les limites de la liberté d'expression, de sorte que l'action de contrefaçon engagée a son encontre par la société ESSO sera rejetée et le jugement déféré confirmé.” 153Ibid. “Qu'il est donc pur le moins paradoxal d'invoquer des actes de dénigrement, dont au demeurant il n'est pas précise la nature exacte, ainsi que le soulignent pertinemment les premiers juges, et d'affirmer que le produits et services de la société appelante ne font objecte d'aucune critique.” 237 trademark law, non tanto attraverso un referential use, quanto, invece, per mezzo della qualificazione come non contraffattorio dell'uso compiuto da Greenpeace del logo ESSO. Questo, infatti, venne reputato non confusorio ed estraneo a qualsiasi tipo di commercialità e quindi non rispondente alle condizioni richieste affinché si possa concretizzare la contraffazione ex artt. 5(1) e 5(2) della Direttiva 2008/95/CE. E' interessante però notare come la corte, nel riferirsi ad una possibile denigrazione del marchio ESSO, compia un'analisi al di fuori del diritto dei marchi richiamandosi all'art. 1382 del Code Civil, nonostante detto marchio venga reputato rinomato e quindi fosse teoricamente possibile considerare detto uso denigratorio ai sensi dell'art. 713-5 (5.2 della Direttiva). Ciò è da interpretarsi in ragione del fatto che, come evidenzieremo anche nel caso Danone, le corti francesi paiono creare una sorta di eccezione di non commercialità laddove non sia riscontrato il requisito dell'uso in commercio, 1 5 4 che seppur assente all'interno del Code de la Proprieté Intellectuelle, viene ricavato attraverso l'art. 5 della Direttiva. 1 5 5 Per questo motivo, dopo aver considerato come non contraffattorio l'uso del marchio ESSO, la questione del bilanciamento con la libertà d'espressione si sposta al di fuori del diritto dei marchi e all'interno di quella responsabilità aquiliana prevista dall'art. 1382. Non essendo però provato il danno ai prodotti ESSO, l'istanza di denigrazione venne dunque respinta. Un'altra causa significativa è poi Danone v. Le Rèseau Voltaire che 154V. G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone Litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 171 “The Danone/Greenpeace case law is therefore outstanding in that it expressly makes, of non-commercial use, an exception to the trade mark proprietor's monopoly. This is where it's novelty lies and why it deserves to be counted among the important decisions in French trademark law.” 155Ibid. “This notion [the use in the course of trade, n.d.r.] is not expressly contained in the French Intellectual Property Code, although trade mark law is supposed to be the result of the implementation of the Directive. It could be argued that such a notion exists indirectly and implicitly trough the principle of speciality, which defines infringement as the use of a trade mark for identical or similar products. Indeed a non-commercial use does not prima facie have any bearing on products or services.” 238 presenta molti elementi di comunanza con Esso/Greenpeace. La vicenda concerne la reazione alla chiusura di due stabilimenti della celebre industria alimentare in Francia; questa decisione ed i relativi licenziamenti diedero vita ad un movimento d'opinione atto a boicottare i prodotti Danone; a questo movimento diedero voce due siti Internet: “jeboycottedanone.com ” registrato da Olivier Malnuit e “ jeboycottedanone.net ” registrato invece dall'associazione La Rèseau de Voltaire pour la libertè d'expression . La Danone reagì portando in tribunale i titolari dei suddetti domain names per contraffazione, sfruttamento e denigrazione del marchio DANONE. Anche in questo caso l' iter processuale si presenta piuttosto articolato; in un primo momento, infatti, il TGI di Parigi si espresse separatamente nei confronti di O. Malnuit e dell'associazione La Reseau de Voltaire in merito ai provvedimenti cautelari richiesti dalla Danone; in entrambe le sue ordinanze il TGI condannò i resistenti a pagare una somma di denaro e a cessare l'utilizzo del logo DANONE all'interno dei propri siti, ritenendo che, mentre l'utilizzo del marchio verbale Danone, all'interno sia del sito che dei domain names, potesse esser giustificato quale “ référence nécessaire” 1 5 6 e che la giustapposizione della formula “ jeboycotte” sgombrasse il campo da un qualsiasi rischio di confusione, 1 5 7 al contrario l'uso giustificato eccedendo dal i del logo suddetto limiti della DANONE “ necessario libertà non poteva riferimento ” d'espressione, considerarsi e pertanto, costituiva una 156V. Danone v. O. Malnuit, Tribunal de Grande Instance de Paris, 23 aprile 2001 “Attendu que l'utilisation du terme 'danone' dans le nom de domaine enregistré par Olivier M. correspond cependant à une référence uniquement pour indiquer la destination du site polémique et ouvert à des pétitions de l'intéressé.” V. anche Danone v. Le Reseau de Voltaire, Tribunal de Grande Instance de Paris, 14 maggio 2001 “Mais attendu […] que cette utilisation correspond à une référence nécessaire pour indiquer la destination du site polémique.” 157V. Danone v. O. Malnuit, Tribunal de Grande Instance de Paris, 23 aprile 2001 “Attendu que l'utilisation du terme 'danone' […] associé au terme très explicite 'jeboyvotte' il ne peut conduire, dans l'esprit du public, à aucune confusion quant a l'origine du service affecté pour ce nom.” V. anche Danone v. Le Reseau de Voltaire, Tribunal de Grande Instance de Paris, 14 maggio 2001 “Mais attendu […] que cette utilisation [...] ne peut conduire, dans l'esprit du public, à aucune confusion nécessaire quant à l'origine du service offert sous ce nom.” 239 contraffazione del marchio. 1 5 8 Possiamo osservare, quindi, che il tentativo di far rientrare detto utilizzo del logo, all'interno di quelle eccezioni che la Direttiva 2008/95/CE rubrica all'art. 6, fallì in quanto considerato un riferimento non necessario. Queste ordinanze furono confermate nel giudizio di merito, che vide riunite le due cause. Il TGI di Parigi stabilì infatti che, mentre l'utilizzo del marchio Danone, all'interno dei succitati domain names, fosse da considerarsi come riferimento necessario e quindi non contraffattivo, 1 5 9 l'utilizzo del corrispondente logo all'interno dei relativi siti Internet era costitutivo di contraffazione, in quanto andava al di là dei limiti della libertà d'espressione, non esistendo nel diritto dei marchi francese alcuna eccezione per la parodia, come per il diritto d'autore; 1 6 0 inoltre venne ritenuto che l'uso suddetto potesse esser causa di confusione nel pubblico. 1 6 1 La denigrazione del marchio Danone venne invece respinta dal TGI, data anche l'inesistenza in entrambi i siti di alcuna riferimento negativo ai prodotti Danone; in essi, invece, era contenuta una nota 158V. Danone v. O. Malnuit, Tribunal de Grande Instance de Paris, 23 aprile 2001 “Attendu que la cartouche en forme de polygone qui ouvre chaque chapitre du site litigieux est la reproduction servile des marques semi-figuratives notoirement connues de la demanderesse et cette reproduction, sans l'autorisation de celle-ci, en relation avec ses produits et, alors qu'une telle référence n'est nullement indispensable à l'objectif allégué par le défendeur, constitue en revanche une contrefaçon.” V. anche Danone v. Le Reseau de Voltaire, Tribunal de Grande Instance de Paris, 14 maggio 2001 “Attendu, en revanche, que la reproduction sur le site du Réseau, et à l'identique, des marques semi-figurative Danone n'est en aucune cas indispensable à la satisfaction de ses objectifs.” 159V. Stè Compagnie Gervais Danone v. O. Malnuit e Le Reseau de Voltaire, Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 luglio 2001 “l'usage en l'espèce reproché du terme 'danone' correspond, sans confusion possible dans l'esprit du public sur l'origine du service offert, à l'adresse des noms de domaine incriminées, à une référence nécessaire pour indiquer la nature du site polémique consacré à la politique sociale du groupe d'entreprises Danone.” 160Ibid. “Attendu que ni le droit à l'information, ni le droit à la liberté d'expression ne peuvent justifier l'imitation illicite incriminée et l'atteinte portée ainsi du droit de propriété de la société Compagnie Gervais Danone sur ses marques complexes alors même que l'imitation de la marque, si elle accompagne des propos par ailleurs librement tenus au fil des pages du site Internet, n'est pas nécessaire à l'expression de cette opinion et ne sert qu'illustrer des pages d’écran qu'il est possible d'illustrer autrement; attendu que l'exception de parodie, de pastiche ou du caricature, propre à la législation des droits d'auteur n'existe pas en droit des marques.” 161Ibid. “Attendu qu'un tel usage du signe imité ne peut manquer d'entreiner l'association de ce signe par l'internaute avec les marques invoquées qui sont par ailleurs fort connues, et dès lors un risque de confusion dans l'esprit du public.” 240 in cui gli operai delle fabbriche destinate alla chiusura affermavano di amare i prodotti da loro fabbricati e di boicottarli temporaneamente solo per protestare contro la chiusura degli stabilimenti. 1 6 2 Questa sentenza fu in parte ribaltata nel conseguente appello. 1 6 3 La Cour d'Appel de Paris, infatti, negò ogni possibilità di confusione nel pubblico 1 6 4 e riconobbe che si trattasse di un uso non commerciale. 1 6 5 Venne inoltre negato ogni intento denigratorio nei confronti dei prodotti Danone 1 6 6 e affermato che l'uso fatto del marchio rientrava all'interno dei limiti della libertà d'espressione; 1 6 7 riguardo al marchio Danone, nella sua connotazione verbale, venne confermata la necessità del riferimento, come affermato nei precedenti giudizi. 1 6 8 Ancora una volta quindi viene implicitamente 162Ibid. 163O. Malnuit e La Reseau de Voltaire v. Sté Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, 30 aprile 2003. 164Ibid. “Considérant qu’à cet égard, les sociétés COMPAGNIE GERVAIS DANONE et GROUPE DANONE ne sauraient invoquer les dispositions de l’aI1icle L 713-3 du Code de la propriété intellectuelle, dès lors que, par les modifications apportées à la marque DANONE par l’adjonction du pronom et du verbe "jeboycotte" et les textes qui l’accompagnent, l’association RESEAU VOLTAIRE et Olivier MALNUIT montrent clairement leur intention de dénoncer les pratiques sociales des sociétés mises en cause et les risques pour l’emploi, sans induire en erreur le public quant à l’identité des auteurs de la communication.” 165Ibid. “les signes jeboycottedanone.net et jeboycottedanone.com ne visent manifestement pas à promouvoir la commercialisation de produits ou de services, concurrents de ceux des sociétés intimées, en faveur de l’association RESEAU VOLTAIRE et de Olivier MALNUIT mais relève au contraire d’un usage purement polémique étranger à la vie des affaire.” 166Ibid. “qu’il résulte des éléments du dossier que, d’une part, la référence à la marque DANONE était nécessaire pour expliquer le caractère politique ou polémique de la campagne et, d’autre part, que, contrairement aux allégations des sociétés GROUPE DANONE et COMPAGNIE GERVAIS DANONE, leurs produits n’étaient nullement dénigrés ni même visés, puisque, sur les sites litigieux, on relève, tout au contraire, des mentions telles que «on aime nos produits. On a envie de continuer à les fabriquer, on a envie que les gens continuent à les acheter.” 167Ibid. “Mais considérant que le principe à valeur constitutionnel de la liberté d’expression, par ailleurs reconnu tant par les traités et conventions internationales rappelés par l’association RESEAU VOLTAIRE, implique que cette association et Olivier MALNUIT puissent, sur les sites internet litigieux, dénoncer sous la forme qu’ils estiment appropriée les conséquences sociales des plans de restructuration mis en place par les intimées ; que si cette liberté n’est pas absolue, elle ne peut néanmoins subir que les restrictions rendues nécessaires par le respect des droits d’autrui.” 168Ibid. “qu’il résulte des éléments du dossier que […] la référence à la marque DANONE était nécessaire pour expliquer le caractère politique ou polémique de la campagne.” 241 ribadita la non quest'utilizzo non necessarietà venne del riferimento considerato illecito al in logo, ma quanto non contraffattivo. La non contraffazione venne affermata dal momento che l'uso del marchio Danone non fu ritenuto né come confusorio, né come compiuto nel commercio. Riguardo alla denigrazione del marchio notorio anche in questo caso il bilanciamento pare quindi venir compiuto al di fuori del diritto dei marchi, in quanto vengono ritenuti bastevoli alla delineazione di un uso non contraffattorio la non confusorietà e la non- commercialità. Ancora una volta un'eventuale responsabilità per la denigrazione del marchio venne ricompresa all'interno della responsabilità aquiliana. E' interessante quindi notare che le ultime due cause oggetto del nostro esame siano accomunate da diversi elementi. In primo luogo dal fatto che, pur trattandosi di marchi notori, non viene chiamata in causa la fattispecie di tarnishment. Questo in quanto, per escludere la contraffattorietà di detti utilizzi, le corti francesi hanno ritenuto sufficienti la non confusorietà dell'utilizzo, 1 6 9 e la sua non commercialità, la quale serve altresì ad escludere una contraffazione ai sensi dell'art. 713-5 del Code de la Propriete Intellectuelle. Le considerazioni sul danno d'immagine al marchio e ai prodotti da esso contrassegnati è stato affrontato dalle corti al di fuori, quindi, del diritto dei marchi; un bilanciamento con la libertà d'espressione è avvenuto in questo caso sia all'interno della trademark law, considerando l'uso non contraffattivo, sia all'esterno, qualificandolo come non denigratorio . 1 7 0 E' stato inoltre enfatizzato, in entrambe le 169V. G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 170-171 "faced with the problem of proving actual likelihood of confusion, the judges contented themselves with finding a mere likelihood of association, which they simply assimilated to a likelihood of confusion. However, European case law is perfectly clear: a mere likelihood of association is insufficient of itself to prove a likelihood of confusion." 170V. in riferimento a Danone E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 30 “The 242 sentenze, come coloro che criticano una determinata pratica aziendale possano scegliere i metodi e le forme che ritengono più appropriate. 1 7 1 Un altro caso, accaduto in Francia nel corso dei primi anni del nuovo millennio, ha poi visto i giudici esprimersi in modo parzialmente differente, almeno fino al giudizio di Cassazione. Questo caso concerne l'associazione compiuta da Greenpeace, all'interno dei propri siti Internet, del marchio AREVA, azienda monopolista per l'erogazione e la distribuzione dell'energia nucleare in Francia, alla figura di un teschio e di un pesce morto, per sottolineare la pericolosità e la dannosità dell'energia atomica e dell'inquinamento radioattivo prodotto dalla Spcea, società detentrice del marchio AREVA. La Spcea contestò dunque l'uso compiuto da Greenpeace del suo marchio. In un primo momento il TGI di Parigi, nel decidere sui provvedimenti cautelari, rigettò le richieste della Spcea affermando che l'uso compiuto da Greenpeace rientrasse all'interno della libertà d'espressione e che non Court held that the use of the semi-pictorial trademarks of Danone to support the criticism of the employment policy conducted by Danone was not aimed at tarnishing its products and services.” V. anche G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 168 "In concrete terms, in the Greenpeace/ Esso and Danone cases, the judges eventually ruled that the defendant critics had not abused their rights to criticize and had not denigrated the companies' products." V. Anche M. ISGOUR, L'Atteinte à l'Image de Marque des Personnes Morales, Auteurs & Media, Larcier, 2007, pag. 221; K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, supra nota 17 cap. II, pag. 686. 171V. O. Malnuit e La Reseau de Voltaire v. Sté Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, 30 aprile 2003, supra nota 103; ESSO v. Greenpeace, Cour d'Appel de Paris, 16 novembre 2005 “Considérant que le principe à valeur constitutionnelle de la liberté d' expression implique que, conformément à son objet statutaire, l'association GREENPEACE puisse, dans ses écrits ou sur son site internet, dénoncer sous la forme qu'elle estime appropriée au but poursuivi les atteintes à l'environnement et les risques causés à la santé humaine par certaines activités industrielles; que si cette liberté n'est pas absolue, elle ne peut néanmoins subir que les restrictions rendues nécessaires par la défense des droits d' autrui." V. In merito K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, supra nota 17 cap. II, pag. 686 “The court noted that although the freedom of expression is not absolute, the speaker is entitled to choose whatever form to denounce someone's activities it feels appropriate to the objective pursued.” 243 sussistesse un rischio di confusione nell'internauta. 1 7 2 Questa ordinanza venne confermata nell'appello presentato dalla Spcea. 1 7 3 Un'inversione di tendenza si verificò però quando i giudici francesi si trovarono a giudicare la questione nel merito. Il TGI di Parigi, difatti, pur negando la contraffazione del marchio Areva da parte di Greenpeace, in quanto venne riscontrata come mancante la confusione nelle menti del pubblico, dato l'evidente intento di denuncia, 1 7 4 affermò che l'associazione del marchio Areva alla morte fosse da considerarsi come un utilizzo denigratorio e, come tale, comportasse la responsabilità aquiliana dei suoi autori, 1 7 5 i quali, sottolineò la corte, avrebbero potuto scegliere qualsiasi altro mezzo per “recapitare” quel determinato messaggio. 1 7 6 In questo caso quindi sarebbe venuta a mancare la proporzionalità tra l'utilizzo del marchio e le finalità critiche che si vogliono raggiungere attraverso di esso; questa valutazione, però, venne compiuta ancora una volta al di fuori del diritto dei marchi, in quanto si fonda sull'art. 1382 del Code Civil, attraverso il quale può esser ravvisato un illecito nell'utilizzo del marchio al di là della sua non contraffattorietà. Questa sentenza venne poi confermata in secondo grado dalla Cour 172V. Spcea v. Greenpeace France, Tribunal de Grande Instance de Paris, 2 agosto 2002 “Aussi, il y a lieu de s'interroger sur la pertinence de l'application de l'art. L. 713-3 b) [sull'imitazione confusoria, n.d.r.] précipité en l’espèce dès lors, d'une part, que la finalité des ces imitations ne se situe pas sur le terrain commercial mais sur le terrain de la liberté d'expression dans le cadre du droit à la critique et à la caricature et que, d'autre part, le risque de confusion est problématique, l'internaute compte-tenu de la notoriété de l’éditeur du site ne pouvant croire que les informations diffusées proviennent du titulaire des marques ou d’entreprises qui lui sont liées.” 173V. Spcea v. Greenpeace France, Cour d'appel de Paris, 26 febbraio 2003. 174V. Spcea v. Greenpeace France, Tribunal de Grande Instance de Paris, 9 luglio 2004 “Mais attendu qu'en association les marques de la Spcea à des têtes de mort, des poissons, des bombes nucléaires ou à un slogan en forme de jeu de mots dans les conditions ci-dessus décrites, les associations Greenpeace montrent clairement leur volonté de dénoncer les activités de ladite société dont elles critiquent les incidences sur l'environnement, sans induire en erreur le public l’identité de l'auteur des messages.” 175Ibid. “Attendu que l’équation 'Areva=mort' procède donc d'une démarche purement dénigrante qui engage la responsabilité des leurs auteurs.” 176Ibid. “Mais attendu qu'elles pouvaient utiliser toutes autres moyens, y compris sous forme d'images, pour illustrer leur positions et alerter le public sur le dangers que représenteraient selon elles les choix adoptés en matière nucléaire.” 244 d'Appel de Paris 1 7 7 la quale, pur riconoscendo il carattere di denuncia dell'utilizzo del marchio Areva da parte di Greenpeace, affermò altresì che questo uso andasse al di là di quei limiti posti alla libertà d'espressione e ne costituisse quindi un abuso, in quanto denigratorio del marchio Areva e discreditante dei suoi prodotti; con dato utilizzo, a parere della corte, Greenpeace era andata al di là di quanto ritenuto lecito per supportare a una campagna contro le scorie nucleari. 1 7 8 Anche riguardo alle accuse mosse da Spcea sulla contraffazione del marchio Areva venne confermata la sentenza di primo grado; l'uso compiuto da Greenpeace del marchio Areva non doveva considerarsi come contraffattivo, dal momento che, oltre ad esser assente un rischio di confusione, era avvenuto al di fuori del commercio; nonostante la critica ai prodotti e servizi di Spcea, Greenpeace, infatti, non proponeva la vendita di prodotti o servizi concorrenti e non erano rintracciabili interessi economici sottostanti alla campagna da essa promossa. 1 7 9 Queste ultime due sentenze sono divenute oggetto di frequente citazione da parte della dottrina che ne ha enfatizzato la portata in riferimento alla proporzionalità della critica, rispetto agli scopi che intenda raggiungere. Questa proporzionalità, come esaminato nel corso del secondo capitolo, viene ritenuta necessaria per far in modo che l'utilizzo critico del marchio possa usufruire dell'“ombrello” fornito dal principio della libertà d'espressione e 177Greenpeace France v. Spcea, Cour d'Appel de Paris, 17 novembre 2006. 178Ibid. “les associations Greenpeace vont, en raison de la généralisation qu'elles induisent sur l'ensemble des activités de la société intimée, au-delà de la liberté d'expression permise, puisqu’elles incluent des activités qui ne sont pas concernées par la but que les associations Greenpeace poursuivent en l’espèce, c’est-à-dire la lutte contre les déchets nucléaires; qu'elles ont par cette généralisation, abusé du droit à la liberté d'expression, portant un discrédit sur l'ensemble des produits et des services de la société Spcea et ont ainsi commis des actes fautifs dont elles doivent réparation.” 179Ibid. “Considérant, en outre, qu'il n'est pas démontré par la société intimée que les associations Greenpeace, présentes dans la cause, auraient, même de manière indirecte, incité leur public, par l'usage reproché des marques, à acquérir des produits ou à s'adresser à des services pour lesquels les associations auraient des intérêts personnelles qui pourraient les rendre acteurs dans la vie des affaires.” 245 giustificare un danno lamentato ai sensi dell'art. 1382; proprio le due sentenze sopra analizzate sono state utilizzate dalla dottrina come un esempio di mancanza di proporzionalità della critica e quindi di colpevole denigrazione del marchio. 1 8 0 La vicenda subì però un colpo di scena nel 2008; la Cour de Cassation, infatti, ribaltò la decisione della Cour d'Appel di Parigi, 1 8 1 affermando che l'utilizzo compiuto da Greenpeace del marchio Areva, rivolto contro i prodotti e i servizi commercializzati dalla Spcea e non nei confronti dell'“ honneur ou [de n.d.r.] la considération de la personne morale ”, 1 8 2 non costituisse un abuso della libertà d'espressione in quanto, secondo la stessa Corte, Greenpeace aveva agito conformemente agli scopi da essa perseguiti, concernenti l'interesse generale e la salute pubblica, al contrario di quanto affermato in precedenza dalla Cour d'Appel. 1 8 3 A parere quindi dei giudici della Cassazione era stata quindi rispettata quella proporzionalità tra la critica e lo scopo che si proponeva di raggiungere, invocata come elemento imprescindibile dalla succitata giurisprudenza nonché dalla dottrina. 1 8 4 La decisione della Cassazione ha riportato quindi il caso AREVA in linea con i casi 180V. C. GEIGER, Trade Marks and Freedom of Expression – The Proportionality of Criticism, supra nota 66 cap. II, pag. 325 “Thus, in the case of Areva v. Greenpeace, the court held that the trade mark had not been infringed but admitted that the limits of freedom of expression had been exceed and that there had been a disparagement of the trade mark, which led to liability of the Greenpeace organization.” V. anche G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 168-169; E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 31; K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, supra nota 17 cap. II, pag. 685; M. ISGOUR , L'Atteinte à l'Image de Marque des Personnes Morales, Auteurs & Media, Larcier, 2007, pag. 221; D. VORHOOF, Is Freedom of Expression a Legitimate Argument for Disrespecting Copyright? the Parody Metaphor, supra nota 93 cap. II, pag. 44. 181Greenpeace France v. Spcea, Cour de Cassation, 8 aprile 2008. 182Ibid. 183Ibid. “Qu'en statuant ainsi, alors que ces associations agissant conformément à leur objet, dans un but d’intérêt général et de santé publique par des moyens proportionnés à cette fin, n'avaient pas abusé de leur droit de libre expression, la cour d'appel a violé les textes susvisés.” 184V. in merito BIRD & BIRD, Trade Mark Caricatures Permitted in the Name of Freedom of Expression, in BIRD & BIRD, Brands Update, 2008, pag. 6-7. 246 ESSO e Danone; anche in questo, infatti, l'uso del marchio è stato definito come non-contraffattorio per le suddette ragioni ed il giudizio di proporzionalità della critica è stato effettuato al di fuori della normativa sui marchi, sulla base di una responsabilità aquiliana e di un equilibrio tra libertà d'espressione e diritti degli altri. 3.4.2. Nei casi di parodia e satira del marchio. Dopo aver analizzato i più significativi casi di critica avvenuti attraverso l'utilizzo del marchio, nel seguente paragrafo compiremo una panoramica dei casi più importanti, decisi dalle corti europee, per quel che invece riguarda la parodia e la satira del marchio. Ad alcuni di questi abbiamo già accennato nel corso dei capitoli precedenti, ma vi ritorneremo cercando di fornire un'inquadratura generale della giurisprudenza europea in merito. Dedicheremo poi un paragrafo all'approfondimento del caso Louis Vuitton v. Plesner, riguardante l'utilizzo di un diritto di proprietà intellettuale derivante da un design registrato, nel contesto di un'opera artistica, a cui abbiamo già più volte accennato nel corso della nostra trattazione e che è stato oggetto di una recente decisione da parte dei giudici olandesi. 3.4.2.1. Una panoramica sulla giurisprudenza italiana ed europea. Uno dei primi casi in ordine cronologico di parodia del marchio ad essersi verificato in Europa, e più precisamente in Germania, è il 247 caso BMW, 1 8 5 nel quale la vendita di adesivi riportanti il logo della celebre casa automobilistica associato ad uno slogan dal contenuto volgare (“ BMW- Bumms Mal Wieder ”) non venne considerato dai giudici tedeschi come contraffazione del marchio BMW. Questo in quanto venne riconosciuto il carattere goliardico dell'uso del marchio, facilmente comprensibile anche dal pubblico e non causante, secondo il Bundesgerichtshof, un ingiusto vantaggio a favore del produttore dei suddetti adesivi; l'uso in questione, inoltre, non venne definito come trademark use, dando vita, in questo modo, alle critiche da parte della dottrina. 1 8 6 A una conclusione opposta giunsero invece i giudici del Bundesgerichtshof nei casi Mars 1 8 7 e Nivea, 1 8 8 dei quali ci siamo già occupati nel corso del secondo capitolo. In entrambi questi casi, difatti, l'utilizzo dei suddetti marchi in funzione parodistica, in associazione alla vendita di profilattici, venne ritenuto come un uso del marchio altrui concretizzante un indebito sfruttamento della notorietà dei marchi Mars e Nivea e, come tale, ledente i diritti dei rispettivi titolari. 1 8 9 Un altro caso in cui i giudici tedeschi riconobbero la sussistenza di una fattispecie di free-riding da parte dell'utilizzatore non 185Bumms Mal Wieder, Bundesgerichtshof, 3 giugno 1986, in GRUR 1986. 186V. in proposito: A. RAHMATIAN, Trade Marks and Human Rights, in P.L.C. TORREMANS, Intellectual Property and Human Rights, supra nota 18 cap. II, pag. 349; E. GREDLEY, S. MANIATIS, Parody: A Fatal Attraction? Part 2: Trade Mark Parodies, supra nota 89 cap. II, pag. 418; W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 231. 187Markenverunglimpfung/Mars, Bundesgerichtshof, 10 febbraio 1994, in GRUR 1994, IIC 1995. 188Markenverunglimpfung II/Nivea, Bundesgerichtshof, 19 ottobre 1994, in GRUR 1995. 189V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 268 “The crucial finding in these cases [Nivea e Mars, n.d.r.] was that the purpose of the commercial parodies had not been to express an opinion about the right holder, it’s products or it’s advertising methods. Rather the purpose of the use was found to be nothing more than the increase in sales of an otherwise not well-selling product.” E. GREDLEY, S. MANIATIS, Parody: A Fatal Attraction? Part 2: Trade Mark Parodies, supra nota 89 cap. II, pag. 417-418; J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 cap. I; C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II. 248 autorizzato del marchio è il caso Allianz; 1 9 0 in esso la band hip-hop “Die Allianz” venne ritenuta responsabile di infrazione del marchio ALLIANZ, che contraddistingue i servizi offerti dall'omonimo gigante delle assicurazioni. Nonostante la parola Allianz in tedesco significhi alleanza, questo utilizzo venne vietato dall'OLG di Monaco in quanto ritenuto come un uso del marchio traente un indebito approfittamento della notorietà dello stesso. La decisione è stata oggetto di critiche da parte della dottrina. 1 9 1 Sempre a proposito di free-riding, è necessario poi citare il caso ADIHASH, 1 9 2 in cui la suddetta storpiatura del marchio Adidas , abbinato alla raffigurazione di foglie di marijuana e alla dicitura “ gives you speed”, venne ritenuto come uno sfruttamento della notorietà del marchio della celebre azienda di abbigliamento sportivo. 1 9 3 Un altro caso nel quale i giudici tedeschi ritennero di non dover ricomprendere un utilizzo non autorizzato del marchio a fini parodistici all'interno della libertà d'espressione è poi il caso Deutsche Pest, 1 9 4 al quale abbiamo già accennato nel corso della nostra trattazione. 1 9 5 Questo caso ha riguardato l'utilizzo, da parte di una ditta di costruzioni, di un vecchio camioncino appartenuto alle Poste tedesche e la modificazione del logo Deutsche Post in Deutsche Pest . Questa parodizzazione venne ritenuta dall'OLG di Amburgo come un uso del marchio danneggiante la reputazione del 190Die Allianz, OLG Monaco, 25 novembre 1999. 191V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 273 “The choice for the word ‘Allianz’ has thus, in my opinion, been no arbitrary choice for a well-known trademark, but one for a descriptive sign that contributes to building the identity of the band. For that reason, I think that it was disproportionate under Article 10 ECHR (as well as Article 5 GG) to prohibit the use of the term as a name for a hip-hop band.” 192ADIHASH, gives you speed, OLG Hamburg, 5 settembre 1991, in GRUR 1992. 193V. in merito W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 268-269; C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 152. 194Deutsche Pest, LG Hamburg, 27 ottobre 1999, in GRUR 2000. 195V. 2.2.3. 249 marchio Deutsche Post e per questo venne vietata. 1 9 6 Sempre nell'ambito della giurisprudenza tedesca dobbiamo poi citare due casi riguardanti l'utilizzo di marchi famosi all'interno di cartoline dal tono goliardico. Il primo di questi casi è Lila-Postkarte 1 9 7 del quale ci siamo già occupati in 2.2.3., dove abbiamo sottolineato che il successo della parodia compiuta dal creatore delle suddette cartoline fece sì che l' uso del marchio Milka fosse considerato come una forma d'arte e quindi rientrante all'interno della libertà d'espressione. Il secondo caso riguarda invece la parodizzazione del nome di una famosa rivista di fitness (Fit for fun ) che venne trasformato, all'interno di cartoline dagli intenti goliardici, in Fick for fun. 1 9 8 intellegibile Anche da questa parte del parodia venne pubblico e ritenuta quindi non chiara ed costituente contraffazione del marchio Fit for fun. 1 9 9 Anche la giurisprudenza francese presenta diversi esempi di parodia e satira del marchio. Abbiamo già citato, nel corso del II capitolo i casi, Citroen, Nutella e President . Il primo ha riguardato la parodia, all'interno di un programma televisivo, del CEO della Citroen al quale, in un contesto goliardico, venivano attribuite espressioni concernenti la scarsa qualità delle auto da questa prodotte. Il caso arrivò fino in Cassazione la quale stabilì l'impossibilità di scindere 196V. E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 32 “The Hamburg court was of the opinion that, notwithstanding such rights granted by the Federal Constitution, the owner of a well-known trademark is not obliged to suffer negative associations with mortal illnesses such as the plague, which could result in a grave impairment of the reputation of the mark and transfer a negative image to the well-known trademark.” V. anche C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 152; W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 232-233. 197Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, I ZR 159/02, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e IIC, 2007, 119 ss. 198Fit for fun, OLG Amburgo, 1 aprile 1999. 199V. C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 152; W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 232. 250 la parodizzazione di M. Calvet, CEO della Citroen, dalle auto da questa prodotte, evidenziando la copertura per mezzo della libertà d'espressione di questa parodia e sottolineando la mancanza del rischio di confusione nel pubblico. 2 0 0 Un altro caso riguardante l'utilizzo di un marchio notorio in un programma di intrattenimento è il caso Nutella; in esso il famoso marchio della Ferrero fu associato, in maniera parodistica, ad atti di pedofilia. Se in primo grado il TGI di Parigi aveva accolto le motivazioni della difesa, incentrate su di un uso parodistico del marchio Nutella, la Corte d'Appello invece affermò il carattere denigratorio di tale utilizzo. 2 0 1 Nel caso President, invece, l'uso del logo del celebre formaggio francese come copertina di un album musicale venne ritenuto costituente free-riding . 2 0 2 Sempre in tema di satira e parodia del marchio notorio possiamo poi citare il caso PASTICHE 51, nel quale un cittadino francese registrò un domain name (pastiche51.net, per l'appunto) all'interno del quale si prendeva gioco del famoso liquore francese PASTIS 51. Il TGI di Parigi ritenne questo uso del marchio PASTIS 51 come denigratorio e quindi contraffattivo ai sensi 200V. Guignols de l'info, Cour de Cassation, 12 luglio 2000 “Mais attendu que l’arrêt que le propos mettant en cause les véhicules de la marque s'inscrivaient dans le cadre d'une émission satirique diffusée par une entreprise de communication audiovisuelle et ne pouvaient être dissociés de la caricature faite de M. Calvet, de sorte que le propos incriminés relevaient de la liberté d'expression sans créer aucun risque de confusion entre la réalité et l'ouvre satirique.” A riguardo vedi G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 165-166; M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN, Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 126. 201V. Ferrero v. Rtl, Cour d'Appel de Paris, 7 maggio 2007; v. in merito G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone Litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 169; M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN , Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 127. 202Président, Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 ottobre 1996; v. in merito K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, supra nota 17 cap. II, pag. 673 “Similarly, depicting the famous wrapping paper for 'PRESIDENT' cheese on an album cover constituted unlawful exploitation of another’s reputation, although the argument was made that the use was satirical.” M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN , Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 127-128. 251 dell'art. 713-5 del Code de la propriété intellectuelle (omologo dell'art. 5.2. della Direttiva 2008/95/CEE sulla protezione del marchio notorio). 2 0 3 Un altro caso in cui i giudici transalpini rinvennero la concretizzazione di un utilizzo denigratorio del marchio è il caso Louis Vuitton v. François D. 2 0 4 Quest'ultimo, all'interno di un sito Internet (oedipe.net ), aveva dedicato uno scritto, dal titolo emblematico (“ Louis Vuitton colle au cul de la burge ”) e dai toni sarcastici ed irriverenti, ai prodotti commercializzati dalla Louis Vuitton, indicati come simbolo della peggior borghesia consumista ed esibizionista. Lo stesso aveva inoltre posto il marchio Louis Vuitton quale contenente il metatag rimandante al sito da egli registrato suddetto pamphlet. Il TGI di Nanterre, pur riconoscendo l'importanza della libertà d'espressione, affermò che l'uso compiuto da M. François D. fosse da considerarsi eccedente i limiti ad essa posti, in quanto denigratorio dei prodotti della Louis Vuitton. 2 0 5 E' interessante notare come lo stesso tribunale, non ritenendo l'utilizzo del marchio all'interno di uno scritto come uso del marchio, abbia svolto la sua analisi sul piano dei limiti alla libertà d'espressione, al di fuori della legislazione in tema di marchi, affermando che “cette activité [l'associazione critica e satirica del marchio Louis Vuitton alla burge, la borghesia, n.d.r.] est étrangère au domaine de l'article L 713-5 du code de la 203V. SA Pernod-Ricard v. M. Thierry A., Tribunal de Grande Instance de Paris, 9 gennaio 2004 “Attendu […] que l'emploi de cette dénomination dans de telles conditions participe de l’avilissement des marques précitées et des produits qu'elles désignent en les associant, parmi d'autres, à des plaisanteries sur la consommation de pastis, et engage en conséquence la responsabilité de Monsieur A.” V. in proposito E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 30. 204Louis Vuitton Malletier v. M. François D., Tribunal de Grande Instance de Nanterre, 25 giugno 2002; v. in proposito E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 30. 205Ibid. “Il est incontestable qu'outre le titre 'Louis Vuitton colle au cul de la bourge', les propos tenus par François D. sur son site pour présenter des produits de la société Louis Vuitton Malletier sont péjoratifs, vulgaires et grossiers; ils n'ont pour but que de discréditer les produits vendus par la société Louis Vuitton Malletier dans de termes qui sont dénigrants est constituent un abus de la liberté d'expression.” 252 propriété intellectuelle mais relève du régime de la liberté d'expression. ” 2 0 6 Passando ora all'analisi della giurisprudenza italiana in merito possiamo sin da subito notare come in tutti i casi che andremo ad analizzare l'utilizzo di un determinato marchio a fini parodistici o satirici è stato considerato come uso del marchio (a differenza dei casi sopra esaminati riguardanti un utilizzo critico del marchio). Il bilanciamento con la libertà d'espressione è avvenuto, quindi, nei casi che ci accingiamo ad esaminare, sempre all'interno della normativa nazionale sui marchi. Le corti italiane, come abbiamo già avuto modo di analizzare nel corso del secondo capitolo, si sono espresse più volte a favore della concretizzazione di una fattispecie di free-riding. Ciò è accaduto nei casi Agip-Acid, 2 0 7 Porco Diesel 2 0 8 Sard-Rock 2 0 9 e Gambero Rozzo . 2 1 0 Il primo riguarda il confezionamento di t-shirts sulle quali al celebre logo del cane a sei zampe, appartenente alla nota azienda petrolifera, era stata associata la dicitura Acid, inneggiante al consumo di droghe sintetiche. Questo uso venne ritenuto dal Tribunale di Milano come concretizzante un indebito vantaggio per la parte resistente ed un danno alla notorietà del marchio parodiato e alla sua capacità distintiva. 2 11 206Ibid. 207Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4 marzo 1999, Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987. 208Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, IDI, 2007, 149 ss. 209Hard Rock Holdings Ltd. c. BM e BG s.r.l., Trib. Roma, 16 settembre 2005. 210GRH c. Newton Compton, Trib. Roma, 23 giugno 2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375. 211Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987. “Si ritiene infatti che proprio il carattere distintivo e la celebrità del marchio Agip siano stati il movente dell'operazione di distribuzione presso i frequentatori di discoteche delle magliette oggetto di causa d'onde l'indiscutibile rapporto di causalità tra la contraffazione del marchio e l'indebito uso del marchio contraffatto e l'utile commerciale. Va aggiunto che la scritta Acid nel punto esatto dove nel marchio originale trova collocazione la scritta Agip, per l'ambiguo riferimento sia a una tendenza musicale sia a sostanze allucinogene notoriamente in uso in discoteche e ambienti simili, non può non aver recato pregiudizio alla rinomanza del marchio Agip […] se non altro per la verosimile possibilità di ritenere che l'attrice potesse aver concesso licenza d'uso del 253 Un altro caso di sfruttamento non autorizzato del marchio attraverso il confezionamento di t-shirts, al quale abbiamo più volte accennato nel corso del secondo capitolo, è il caso PORCO DIESEL. 2 1 2 L'utilizzazione del marchio registrato per articoli d'abbigliamento DIESEL, abbinato alla parola PORCO, richiamante ad una canzone del gruppo musicale Elio e le Storie Tese ed altresì ad un'espressione blasfema, venne ritenuto dal Tribunale di Torino come contraffacente il marchio suddetto. Nonostante l'identificazione del carattere parodistico di questo uso, attraverso l'aggiunta della parola PORCO, determinante altresì la non- identicità dei segni, e benché sia stata riconosciuta dalla corte l'appartenenza della suddetta espressione allo slang giovanile, in forza dell'uso compiutone da Elio e le Storie Tese, i giudici ritennero sussistente un pericolo di confusione nel pubblico, data la somiglianza dei segni e la comunanza del settore merceologico in cui essi sono stati oggetto di utilizzo. 2 1 3 Sempre in tema di t-shirts dal presunto carattere goliardico è necessario poi citare il caso Sard-Rock, 2 1 4 nel quale l'utilizzo della suddetta storpiatura del marchio rinomato Hard-Rock venne ritenuto concretizzante una fattispecie di contraffazione. L'utilizzo dello stesso logo di Hard-Rock per magliette recanti le scritte Sard-Rock Dance, Sard-Rock Beach Club e Sard-Rock Cafè (quest'ultima molto simile ad Hard-Rock Cafè, dicitura riportata sulle magliette vendute presso la famosa catena di pubs Hard Rock ) fecero propendere il marchio all'impresa iniziatrice dell'operazione commerciale.” Per la dottrina in merito v. supra note 86-87, cap. II. 212Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, IDI, 2007, 149 ss. 213Ibid. “Mentre volendo ritenere più aderente alla presente fattispecie l'ipotesi di cui all'art. 20 lett. b) C.p.i. si dovrebbe considerare che la notorietà del marchio DIESEL nel settore di riferimento fa ritenere fondato il concreto pericolo di confusione tra prodotti, nel senso che il potenziale consumatore potrebbe esser indotto a ritenere che DIESEL s.p.a. Abbia autorizzato o comunque consentito la commercializzazione di prodotti recanti una scritta che contiene il proprio marchio registrato.” 214Hard Rock Holdings Ltd. c. BM e BG s.r.l., Trib. Roma, 16 settembre 2005. 254 Tribunale di Roma per il riconoscimento sia di un rischio di confusione 2 1 5 che di un indebito vantaggio per la resistente. 2 1 6 I giudici inoltre respinsero la possibilità del riconoscimento di un utilizzo parodistico del summenzionato marchio spingendosi ad affermare che “appare invero improprio applicare la parodia al fenomeno della contraffazione di marchio, laddove la ipotizzata parodia (Sard al posto di Hard) presenta come oggetto di riferimento un segno distintivo, come tale destinato a individuare un determinato prodotto distinguendolo da altr i.” 2 1 7 Una decisione di carattere opposto venne invece presa dal Tribunale di Milano nel caso Lacoste; 2 1 8 il marchio Croco Kids, consistente nella raffigurazione, in maniera fumettistica, di un coccodrillo in posizione eretta e vestito come un bambino, con maglietta a righe e calzoncini corti, non fu considerato come confusorio rispetto al noto logo dell'azienda francese. Ciò poiché i giudici non ritennero i due segni dotati di un sufficiente grado di somiglianza: mentre il coccodrillo Lacoste è rappresentato in maniera naturalistica, quello della resistente era invece denotato da un carattere burlesco e giocoso, tale da conferirgli un'autonoma distintività e originalità 2 1 9 215Ibid. “Ad un esame sia comparato che distinto della maglietta recante il marchio Hard Rock e delle magliette recanti il marchio del resistente, questo Tribunale ritiene che sussista il paventato rischio di confusione dedotto dalla ricorrente, in quanto la collocazione delle parole Sard Rock (e in un modello anche Cafe) all’interno di una sagoma circolare, i colori adottati dal resistente per le parole suddette e per la sagoma circolare, le particolarità grafiche di due consonanti (R e K) delle parole Sard Rock sono elementi idonei a suscitare nel pubblico la (falsa) convinzione che il prodotto acquistato provenga dall’impresa titolare del marchio contraffatto, o comunque che tra l’impresa che distribuisce il prodotto acquistato e quella titolare sussista un rapporto contrattuale tale da far presumere che si tratti della medesima fonte di origine.” 216Ibid. 217Ibid. 218La Chemise Lacoste S.A. c. Crocodile Garments Ltd, Trib. Milano, 12 luglio 1999, Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 4017. 219Ibid. “Tuttavia la comparazione tra i contrapposti segni […] consente di ritenere che, pur fondandosi anch'esso sulla raffigurazione di un coccodrillo, il marchio della convenuta risulti efficacemente discostarsi dalla forma del marchio attoreo tanto da costituire un segno distintivo autonomo e dotato di una propria originalità. Oltre alla presenza di un elemento denominativo- il termine CROCO KIDS- il marchio della Crocodile Garments Limited presenta infatti una rappresentazione del coccodrillo del tutto differente e contrastante, per il 255 escludendo un rischio di associazione confusoria nel pubblico. 2 2 0 La stessa Corte, inoltre, negò, in un passaggio molto criticato 2 2 1 e criticabile della sentenza, che si potesse affermare un approfittamento parassitario della notorietà del marchio Lacoste, in quanto i prodotti summenzionati si collocavano all'interno della medesima classe merceologica. 2 2 2 L'utilizzo del marchio altrui in funzione parodistica è poi stato analizzato dalla giurisprudenza italiana in altri due casi, ai quali le corti chiamate a decidere hanno fornito opposti pareri. Il primo di questi casi, già oggetto della nostra analisi nel corso del secondo capitolo, è il caso Deutsche Grammophon 2 2 3 in cui il gruppo musicale Elio e le Storie Tese, privo di alcuna autorizzazione, aveva utilizzato il logo della nota casa discografica di musica classica all'interno della copertina di un loro album, sostituendo però alla dicitura Deutsche Grammophon, contenuta nell'originale, il titolo della loro opera, Gattini. Il Tribunale di Milano affermò che, pur se era lampante il richiamo al marchio Deutsche Grammophon , altrettanto chiaro era da considerarsi l'intento parodistico del suddetto richiamo, dovuto alla caratteristica cifra stilistica della band. Questo chiaro carattere ironico e parodistico fece escludere suo carattere giocoso, con la figura di coccodrillo del marchio attoreo.” 220Ibid. “Nel caso di specie non si ravvisa dunque una effettiva identità o somiglianza tra segni e deve escludersi alcun pericolo di confusione nel pubblico né alcuna apprezzabile possibilità di associazione tra i segni.” 221V. C. GALLI, L'Allargamento della Tutela del Marchio e i Problemi di Internet, supra nota 47 cap. II, pag. 29 “Al di là del caso di specie, è però sin troppo evidente l'assurdità di questa lettura restrittiva della norma: se un approfittamento parassitario c'è, non si vede ragione per distinguere fra l'ipotesi in cui esso si verifichi per effetto dell'uso del segno dell'imitatore su prodotti affini a quelli del titolare del marchio e quella in cui esso derivi dall'uso su prodotti non affini, tutelando il titolare del marchio solo nel secondo caso.” 222La Chemise Lacoste S.A. c. Crocodile Garments Ltd, Trib. Milano, 12 luglio 1999, Giur. Ann. Dir. Ind,. 1999, 4017 “Non può esser accolta nemmeno l'ipotesi […] di carenza di novità del marchio ai sensi della lettera g) dell'art. 17 l.m., posto che tale previsione deve ritenersi rivolta alla speciale tutela del marchio di rinomanza al di là del principio di relatività vigente per gli altri marchi, nel caso di specie non ravvisabile per l'identità dei settori merceologici di riferimento dei marchi in questione.” 223Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony MusicEntertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5466. e IDI, 2010, 214 ss. 256 alla corte l'esistenza tanto di un rischio di confusione nel pubblico di riferimento quanto di un fine di agganciamento e sfruttamento della notorietà del marchio Deutsche Grammophon da parte della resistente. 2 2 4 In senso opposto si è invece espresso il Tribunale di Roma che ha recentemente qualificato come contraffattiva la storpiatura del noto marchio Gambero Rosso, utilizzato dai legittimi titolari per contraddistinguere guide eno-gastronomiche . 2 2 5 La casa editrice Newton Compton aveva infatti utilizzato la dicitura Gambero Rozzo per intitolare, a sua volta, una guida eno-gastronomica indicante ristoranti ed enoteche dai prezzi generalmente inferiori rispetto a quelli dei locali recensiti dalla guida suddetta. Questo uso però venne ritenuto come traente un indebito vantaggio dalla notorietà del marchio Gambero Rosso; ciò in quanto la finalità del summenzionato utilizzo venne individuata nello sfruttamento della fama commerciale del marchio e non in una parodizzazione o critica delle opere da questo contraddistinte. 2 2 6 Il fatto, poi, che il marchio 224Ibid. “Tuttavia, risulta del tutto evidente dall'uso in concreto effettuato che la similitudine strutturale e percettiva tra i due elementi grafici in questione sia stata perseguita da Hukapan non per determinare confusione nei potenziali acquirenti o per agganciarsi alla notorietà del segno della ricorrente sfruttandolo commercialmente, bensì quale ironica citazione del celeberrimo marchio D.G. con finalità parodistiche (tipiche della cifra stilistica degli EELST). Si tratta in sintesi di una sorta di auto-sberleffo celebrativo, che finge di allineare i 'best of' di EELST, riorchestrati sinfonicamente, all'eccellenza colta della discografia di Deutsche Grammophon. […] Considerate le modalità con cui nel settore merceologico di rifermento in oggetto il pubblico è solito percepire il messaggio racchiuso nel segno distintivo, apre invero assai improbabile che il consumatore medio di supporti musicali, di normale intelligenza, diligenza, avvedutezza e cultura possa esser indotto in errore sulla provenienza del prodotto o compia un'associazione che consenta di trarre un indebito vantaggio commerciale dalla rinomanza del marchio della ricorrente.” 225GRH c. Newton Compton, Trib. Roma, 23 giugno 2008, Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375. 226Ibid. “ indubbiamente il pubblico di riferimento, pur non confondendo la fonte produttiva delle distinte, ma affini, opere editoriali […] ha subito un'influenza significativa proprio correlata all'associazione della guida 'Il Gambero Rozzo” (non a caso così denominata, anziché, 'L'aragosta rozza') alla ben più nota collana di opere dal titolo 'Gambero Rosso' ed alle sue caratteristiche positive (anzitutto in termini di serietà e competenza nella selezione degli esercizi), così svelando l'intento di sfruttamento della fama altrui a fini commerciali (essendosi, nella specie, al di fuori di ipotesi di semplici manifestazioni del pensiero, ai fini dell'esercizio del diritto di critica o di satira, in quanto lo scopo delle opere contestate non è certo quello di deridere o criticare l'opera parodiata, le guide del 'Gambero Rosso', quanto di sfruttarne alcuni elementi per creare un prodotto concorrente sul mercato e che non ne 257 Gambero Rosso fosse stato ritenuto notorio fece sì che, anche in assenza di un rischio di confusione, 2 2 7 si determinasse la fattispecie di contraffazione. 3.4.2.2. Simple living: arte, design e critica. Un caso molto interessante sotto vari profili è quello che ha riguardato l'opera Simple living dell'artista danese Nadia Plesner; questo caso, pur avendo ad oggetto l'utilizzo non tanto di un marchio quanto di un design registrato, 2 2 8 è molto importante in quanto costituisce un chiaro e recente esempio di bilanciamento tra i diritti della proprietà intellettuale e la libertà d'espressione, che assume, in questo caso, i connotati della libertà artistica. All'interno del dipinto in questione venne infatti proposta la raffigurazione di un bambino di colore, in evidente stato di denutrizione, evidenziato altresì dalla sua nudità; lo stesso portava rappresenta affatto un sostanziale rovesciamento) e di parassitismo ovvero di approfittamento dei valori acquisiti dall'altrui segno da parte dei resistenti.” 227Ibid. 228Come vedremo, infatti, l'utilizzo contestato dalla Louis Vuitton non è tanto quello del suo marchio, ma del design della sua Audra bag. E' però da sottolineare come attraverso la Direttiva 98/71/CE, recepita dai vari ordinamenti comunitari, la tutela del design viene ad esser assai simile a quella dei segni distintivi di forma, venendosi a perdere la qualificazione del design come “speciale ornamento”. Viene così a configurarsi una situazione in cui il design può esser registrato come marchio di forma o disegno/modello, ma, come fa notare Floridia, la tutela che ne deriva è di tipo omogeneo rispetto a quella conferita ai marchi; v. G. FLORIDIA, I Disegni e i Modelli, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA , Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, Giappichelli, Torino, 2009, pag. 290-291 “Poiché la forma secondo la nuova disciplina dei disegni e dei modelli altro non è che un segno distintivo atipico tridimensionale del prodotto, lo spostamento della tutela dall'ambito della concorrenza sleale a quello dei diritti di proprietà industriale è sostanzialmente omogeneo a ciò che, nell'inquadramento sistematico del Codice, è avvenuto per il marchio di fatto […] Il titolo della registrazione può configurarsi dunque sia come registrazione di marchio di forma sia come registrazione di disegno e/o modello ma, in questo secondo caso, il principio di alternatività delle tutele non trova applicazione perché si tratta di tutele omogenee sicuramente cumulabili rispetto alle quali il problema che si pone è quello di evitare interpretazioni confliggenti.” 258 con sé una borsetta assai simile al modello Audra fabbricato dalla Louis Vuitton, del quale imitava design e colorazione, oltre che un chihuahua avvolto da un cappottino rosa, richiamante all'esemplare posseduto dall'ereditiera, nota alle cronache mondane, Paris Hilton. I richiami alla borsetta Louis Vuitton e alla regina del gossip, celebre per i suoi poco regali trascorsi, simboleggiavano, come la stessa artista danese ha affermato, 2 2 9 una critica alla scarsa attenzione rivolta dai media e dall'opinione pubblica alla tragedia del Darfur in confronto all'interesse, che gli stessi denotano, per le scialbe vicende che vedono periodicamente coinvolta la summenzionata star dello show business. L'opera Simple living venne poi, per iniziativa della stessa Plesner, stampata su t-shirts e posters, venduti all'interno del sito web dell'artista ed il profitto ricavato dalla loro vendita devoluto all'associazione umanitaria Divest for Darfur. La reazione dell'azienda titolare del marchio Louis Vuitton non tardò però ad arrivare, dapprima attraverso una cease and desist letter ed, in un secondo momento, avendo la Plesner risposto alla suddetta missiva affermando il suo diritto alla libertà artistica e d'espressione, per mezzo di una vertenza. In questa vennero richiesti all'artista 7.500 $ per ogni giorno in cui fosse continuata la vendita del suddetto merchandise , 7.500 $ per ogni giorno in cui fosse continuata la menzione del marchio Louis Vuitton all'interno del sito dell'artista e 7.500 $ per ogni giorno in cui fosse stata ancora visibile la suddetta cease and desist letter all'interno del sito medesimo, oltre a 15.000 $ di danni ed il 229V.http://www.nadiaplesner.com/page/page.phpmenu=portfolio&submenu=simple_living&type =page “My first Simple Living campaign was inspired by the medias constant coverage of completely meaningless things. As I was reading the book "Not on our watch" by Don Cheadle and John Prendergast, I felt horrified by the fact that even with the genocide and other ongoing atrocities in Darfur, Paris Hilton's prison insident was the one story getting all the attention. Is it possible that show business has outruled common sense? When we're presented with the same images in the media over and over again, we end up believing that they're important. My thought was: Since doing nothing but wearing designer bags and small ugly dogs apparently is enough to get you on a magazine cover, maybe it is worth a try for people who actually deserve and need attention. If you can't beat them, join them! This is why I chose to mix the cruel reality with showbiz elements in my drawing 'Simple Living'. “ 259 pagamento delle spese legali. Ciò comportò l'emissione di una prima ordinanza cautelare da parte del TGI di Parigi nel 2008, 2 3 0 a seguito della quale l'artista danese cessò la vendita del merchandise e la menzione del marchio Louis Vuitton all'interno del suo sito. Alcuni anni dopo, però, la Plesner riprese ad utilizzare il design della borsetta incriminata, dapprima in un dipinto dal titolo Darfunica, all'interno del quale veniva riportata la medesima raffigurazione del bambino di colore già presente in Simple Living, e poi, a detta dell'azienda francese, attraverso la vendita del merchandise legato alle sue opere pro-Darfur, non più attraverso il suo sito, nel quale, tra l'altro, ricomparve la raffigurazione della Audra bag , ma nel corso di “ esibizioni ” in cui presentava al pubblico le proprio opere (in particolare di una, avvenuta a Copenaghen, il cui cartellone pubblicitario riportava altresì l'opera Simple Living ). 2 3 1 Per questi motivi la Corte di Den Hague emanò nel 2011 una seconda ordinanza cautelare nei confronti dell'artista danese. 2 3 2 In essa i giudici olandesi evidenziarono il carattere di indebito vantaggio tratto dall'utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale della Louis Vuitton (per la precisione del design della Audra bag) da parte della Plesner nella vendita sia delle sue opere che del merchandise ad esse legato. 2 3 3 Richiamandosi al caso Nijntje, 2 3 4 la corte affermò che la libertà d'espressione, come limitazione dei diritti di proprietà 230Louis Vuitton Malletier SA v. N. Plesner, Tribunal de Grande Instance de Paris, 25 marzo 2008; in questa ordinanza la Plesner viene condannata al pagamento di 5.000 E per ogni giorno in cui avesse continuato la vendita di posters e magliette recanti il logo Louis Vuitton all'interno del proprio sito. In seguito a questa decisione la Plesner cessò la suddetta vendita e la raffigurazione della borsetta modello Audra riportante il marchio Louis Vuitton all'interno del proprio sito Internet. 231Questa circostanza viene contestata dagli avvocati della Plesner che affermano che questa vendita sarebbe avvenuta per iniziativa di un giornale danese, che aveva conservato delle magliette dalla prima campagna Simple Living del 2008. 232Louis Vuitton Malletier SA v. N. Plesner, Corte di Den Hague, 27 gennaio 2011. 233Ibid. para. 18 “It is clear that the respondents intend to attract the public's attention to their own products by using the intellectual property rights of Louis Vuitton, and in so doing so are free riding on the public profile of Louis Vuitton and the media attention which the dispute between Louis Vuitton and Plesner has generated in 2008.” 234Mercier v. Punt.nl., Corte di Amsterdam, 22 dicembre 2009; v. supra 2.2.2. 260 intellettuale, può esser invocata solo in casi eccezionali: 2 3 5 l'utilizzo del marchio Louis Vuitton da parte della Plesner non può però esser considerato tale, in quanto l'azienda Louis Vuitton non era in alcun modo coinvolta nella tragedia del Darfur e quindi il riferimento al suo marchio non poteva ritenersi necessario; 2 3 6 la corte infatti suggerì che, per evocare l'opulenza del mondo occidentale, in contrasto alle misere condizioni di vita sofferte dagli abitanti di una parte del globo, la Plesner avrebbe potuto raffigurare, ad esempio, una anello di diamanti o una costosa automobile. I giudici conclusero poi affermando che l'uso compiuto dall'artista danese del design della Audra bag, oltre a determinare un indebito vantaggio, aveva altresì danneggiato, senza motivo, la reputazione della Louis Vuitton, associandola al genocidio del Darfur. 2 3 7 Questa ordinanza cautelare, pronunciata ex-parte, stabilì il pagamento di 5.000 E. per ogni giorno in cui fosse continuato la menzione da parte della Plesner del design della Audra bag, tanto nel suddetto merchandise, quanto all'interno delle sue opere. La Plesner impugnò detta ordinanza e il susseguente giudizio ne comportò il sostanziale ribaltamento. 2 3 8 La corte di Den Hague, infatti, affermò che il diritto della Plesner di esprimere la propria arte, ed una critica sociale attraverso di essa, dovesse esser considerato come avente un peso specifico maggiore rispetto alla 235Louis Vuitton Malletier SA v. N. Plesner, Corte di Den Hague, 27 gennaio 2011, para. 30. 236Ibid. para. 31 “First of all, there is no necessity to use the intellectual property rights of Louis Vuitton. Louis Vuitton has nothing to do with the genocide in Darfur, and therefore it is not necessary (and without reason) to associate Louis Vuitton with this genocide and to use its intellectual property rights for this purpose.” 237Ibid. para. 34 “Moreover, the unauthorized (and unnecessary) use of the Design is also causing serious detriment to the rights, as well as the name and reputation of Louis Vuitton and its products. Although Louis Vuitton ha nothing to do whatsoever with the genocide in Darfur, a link is established between Louis Vuitton and its products on the one hand, and the situation in Darfur on the other hand. Naturally, this (unnecessary) use is very damaging to Louis Vuitton and there is no justification for this use through a reliance on the freedom of speech. There was none in 2008, and there certainly is no justification neither for the new infringement in 2011.” 238Nadia Plesner v. Louis Vuitton Mallettier, Corte di Den Hague, 4 maggio 2011. 261 protezione dei diritti di proprietà intellettuale della Louis Vuitton, derivanti dalla registrazione comunitaria del suddetto design, anche qualora questa espressione artistica potesse scioccare il pubblico. 2 3 9 La corte preferì non affrontare la questione del sé i diritti derivanti dalla registrazione di un design si spingessero fino a proteggere la reputazione del suo titolare. L'uso compiuto dalla Plesner del design suddetto venne definito come funzionale, proporzionato 2 4 0 e noncommerciale, 2 4 1 in quanto non era intenzione dell'artista trarre da esso un vantaggio economico, quanto piuttosto far convergere l'attenzione pubblica sulla tragedia del Darfur. 2 4 2 Se ciò è avvenuto attraverso l'uso di un design appartenente alla Louis Vuitton, questo non sta a significare che quest'azienda sia stata oggetto di accuse di coinvolgimento con il suddetto disastro umanitario o che il pubblico di riferimento abbia colto siffatto messaggio, anche per il fatto che non sono state fornite prove a riguardo. 2 4 3 Il fatto che Louis Vuitton si sia avvalsa della popolarità di personaggi dello show business , come la sopracitata Paris Hilton, per promuovere i propri prodotti, la rende un possibile oggetto di un livello di critica più alto rispetto a titolari di marchi che non facciano uso di tali testimonials; 2 4 4 239Ibid. “Under preliminary judgment, in the present circumstances the interest of Plesner to (to continue to) be able to express her (artistic) opinion through the work 'Simple Living' should outweigh the interest of Louis Vuitton in the peaceful enjoying of its possession.” Riguardo poi alla possibilità che ad espressioni atte a scioccare il pubblico, la corte, nel ritenerle protette dalla suddetta libertà di richiama alla sentenza Vereinigung Bildender Kunstler v. Austria, Corte Europea dei Diritti Umani, 25 gennaio 2007. 240Ibid. “The use by Plesner is to be regarded for the time being as functional and proportional.” 241Ibid. “[The use of Plesner, n.d.r.] it does not serve a mere commercial purpose.” 242Ibid. “Under preliminary judgment it is plausible that Plesner's intention with 'Simple Living' is not (or was not) to free-ride with Luis Vuitton's reputation in a commercial sense. She rather uses Luis Vuitton's reputation to pass on her society-critical message.” 243Ibid. “It has neither been argued, nor has it become evident otherwise that at any moment Plesner has suggested that Luis Vuitton would be involved in the problems in Darfur (which would be incorrect). Apart from the question of whether it could be taken into consideration in this design right case that after seeing 'Simple Living' a part of the public could possibly think that Luis Vuitton […] is in any sense involved in the problems in Darfur, the court in preliminary relief proceedings does not deem that this has become plausible and Louis Vuitton has nit submitted any evidence thereof either.” 244Ibid. “The circumstance that Louis Vuitton is a very well-known company, the products of which enjoy a considerable reputation, which it also stimulates through advertising famous people, moreover implies that Louis Vuitton must accept critical use as the present one to a 262 proprio per questa sua scelta di marketing, deve in qualche modo accettare una maggior attenzione critica nei propri confronti, in quanto è divenuta simbolo di un certo way of life; ciò, se da una parte le consente una più ampia vendita dei propri prodotti, dall'altra la espone al biasimo di chi ad esso si oppone. In questo caso, dunque, il bilanciamento tra diritti di proprietà intellettuale e libertà d'espressione appare venir compiuto dalla corte di Den Hague al di fuori delle norme a protezione dei diritti sul design, pur se la stessa corte non nega che vi sia stato un uso del disegno della Audra bag. Questo in quanto, nel soppesare i diritti di proprietà intellettuale derivanti dalla registrazione di detto design e la libertà artistica della Plesner, i giudici ritengono più importante conferire una garanzia alla seconda. Gli stessi poi evitano di interrogarsi se la protezione di un design registrato possa spingersi fino a proteggere la reputazione del suo titolare, in quanto, anche se fosse, ciò verrebbe ritenuto in ogni caso non essenziale ai fini di detto bilanciamento. Come esaminato la corte corrobora la sua opinione affermando l'intento non-commerciale dell'artista, che anzi ha avuto il merito di richiamare l'attenzione, attraverso la sua opera, su di un problema tanto grave. Questo caso quindi pare porsi al di fuori di quei meccanismi di bilanciamento delineati nel corso della nostra trattazione in quanto non riguarda l'utilizzo di un marchio ma di un design registrato. Rimane comunque sia interessante ai fini della nostra trattazione per il fatto che il suddetto bilanciamento assuma in esso particolari sfumature. Infatti, pur essendo riconosciuto l'uso di un design registrato, il bilanciamento viene compiuto al di fuori delle norme a tutela di questo e i diritti della proprietà intellettuale vengono visti come non sufficientemente stronger degree than other rightholders.” La corte per giustificare la sua affermazione si richiama alla sentenza Steel&Morris v. United Kingdom, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 68416/01, 15 febbraio, 2005, della quale abbiamo parlato nel corso del secondo capitolo. 263 pesanti per limitare una libertà d'espressione, connotata dalla noncommercialità, dalla proporzionalità e da un interesse pubblico rispetto ad una tragedia come quella del Darfur. 3.5. La risposta della giurisprudenza statunitense – alla ricerca di una linea evolutiva al passo con la dinamica legislativa. Dopo aver analizzato gli orientamenti delle corti nazionali europee nei confronti di un utilizzo parodistico, satirico o critico del marchio ed aver evidenziato i diversi meccanismi attraverso cui avviene il bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio, è giunto il momento di compiere un'analisi di alcuni casi affrontati in merito dalla giurisprudenza americana. Nel corso della nostra trattazione abbiamo già accennato a molte cause, decise dalle corti statunitensi, riguardanti l'utilizzo parodistico, satirico o critico del marchio altrui. Dall'analisi compiuta è emerso, tra le righe, come l'atteggiamento della giurisprudenza statunitense sia comprensibilmente mutato nel tempo anche in funzione dello sviluppo legislativo e di una differenziazione interpretativa tra i vari circuiti federali. In un primo momento la normativa, non facendo distinzioni tra protezione del marchio famoso e del marchio non dotato di tale caratteristica, aveva come unica arma per frenare un utilizzo indiscriminato del marchio altrui la c.d. likelihood of confusion . Molti casi furono decisi attraverso questo parametro, 2 4 5 che, alle 245Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183; 1972; Dallas Cowboys Cheerleaders, Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 604 F.2d 200, 14 agosto 1979; San Francisco Arts & Athletics, Inc. v. United States Olympic Committee, U.S. Supreme Court, 483 U.S. 522, 25 giugno 1987; Mutual of Omaha Insurance Company v. Novak, U.S. Federal Court of Appeals, 8th Circuit, 836 264 volte, venne altresì distorto al fine di fornire una protezione, in realtà non concessa dall'ordinamento, ai diritti di proprietà intellettuale delle grandi multinazionali, soprattutto in casi in cui il marchio era stato accostato a condotte capaci di scuotere in senso negativo l'opinione pubblica. Si arrivò così ad affermare, ad esempio, la sussistenza di un rischio di confusione nel consumatore per quel che riguardava, ad esempio, l'uso della scritta EnjoyCocaine su dei posters 2 4 6 , l'utilizzo delle divise sociali di una squadra di football, sulle quali risultava impresso il relativo marchio, in un film a carattere pornografico 2 4 7 o l'utilizzo del simbolo olimpico per promuovere i c.d. Gay Olympic Games . 2 4 8 Alla mancanza di una protezione ad hoc per il marchio famoso ovviò, come analizzato nel primo capitolo, 2 4 9 il FTDA emanato nel 1995. Questa riforma, come visto, aggiunse un nuovo tipo tutela ai diritti del titolare del marchio famoso, che andava al di là della likelihood of confusion , pur rimanendo quest'ultima un importante strumento azionabile dal trademark holder per difendersi da usi non F.2d 397, 30 dicembre 1987; The Pillsbury Company v. Milky Way Productions, Inc. et al., U.S. District Court, Georgia, 215 U.S.P.Q, 24 dicembre 1981; Stop the Olympic Prison v. United States Olympic Committee, 489 F. Supp. 1112, New York District Court, 25 febbraio 1980. 246Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972; v. in merito quanto detto in 1.2.3.2. 247Dallas Cowboys Cheerleaders, Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 604 F.2d 200, 14 agosto 1979; v. in proposito quanto detto in 1.2.3.2. 248San Francisco Arts & Athletics, Inc. v. United States Olympic Committee, U.S. Supreme Court, 483 U.S. 522, 25 giugno 1987 “In this case, the SFAA sought to sell T-shirts, buttons, bumper stickers, and other items, all emblazoned with the title 'Gay Olympic Games.' The possibility for confusion as to to sponsorship is obvious.” V. in merito R. SCHAFFER-GOLDMAN, Cease and Desist: Tarnishment Blunt's Sword in its Battle against the Unseemly, the Unwholesome, and the Unsavory supra nota 70 cap. II, pag. 1262-1267. Per quanto riguarda lo sfruttamento commerciale avvenuto a parere della Corte Suprema in questo caso da parte della San Francisco Arts & Athletics, Inc. vedi quanto detto in 2.2.2. Un altro caso di applicazione per così dire discutibile della likelihood of confusion è stato Mutual of Omaha Insurance (Mutual of Omaha Insurance Company v. Novak, U.S. Federal Court of Appeals, 8 th Circuit, 836 F.2d 397, 30 dicembre 1987), nel quale venne ritenuta determinante un rischio di confusione l'apposizione su t-shirts, da parte di attivisti anti-nucleare, delle scritta 'MUTANT OMAHA, NUCLEAR HOLOCAUST INSURANCE' in quanto venne ritenuto possibile che il consumatore ritenesse esistente un rapporto di sponsorship; v. in merito M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate, supra nota 176 cap. I , pag. 61-62. 249V. 1.2.3.3. 265 autorizzati del marchio, anche nel caso questo fosse dotato di fama. Questa nuova protezione era rappresentata dalla fattispecie della dilution, esaminata nel corso del primo e del secondo capitolo. 2 5 0 All'interno del FTDA, inoltre, era contenuta una prima indicazione di quelle esenzioni di responsabilità per chi effettuasse determinati utilizzi del marchio famoso; chi, dunque, avesse compiuto un fair use 2 5 1 del marchio all'interno della pubblicità comparativa, al fine identificare prodotti e servizi del concorrente, chi usasse il marchio in maniera non commerciale o chi, invece, lo utilizzasse per scopi di informazione veniva esentato da ogni responsabilità, nel caso da quest'uso fosse potuta discendere una diluizione del marchio. 2 5 2 Riguardo un utilizzo parodistico o critico del marchio assumeva in quest'ottica una commercialità, grande soprattutto importanza l'eccezione nell'interpretazione fornita di non- nel caso Barbie Girl dal 9 t h Circuit. 2 5 3 Come già anticipato nel corso del nostro studio, 2 5 4 questo caso riguardò l'utilizzo parodistico del marchio Barbie, la celebre bambola della Mattel, all'interno di una canzone del gruppo pop danese Aqua. Questo uso, seppur non determinante confusione in merito all'origine dei due prodotti, 250V. 1.2.3.3., 2.4. 251Per quanto riguarda il fair use v. 1.3. e 2.3.2. 252V. Lanham Act, art. 1125, nel testo precedente alla riforma apportata dal TDRA nel 2006: “The following shall not be actionable under this section: (A) Fair use of a famous mark by another person in comparative commercial advertising or promotion to identify the competing goods or services of the owner of the famous mark. (B) Noncommercial use of a mark (C) All forms of news reporting and news commentary.” 253Mattel v. MCA Records, US Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F.3d 894, 24 luglio 2002; In merito v. C.J. BROWN, A Parody of a Distinction: the Ninth Circuit’s Conflicted Differentiation Between Parody and Satire, supra nota 56 cap. II, pag.721 ss.; S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115 cap. II, pag. 1213-1214; S.M. CORDERO, Cocaine-Cola, the Velvet Elvis, and Anti-Barbie: Defending the Trademark and Publicity Rights to Cultural Icons, supra nota 6 cap. I, pag. 636-639 (in cui viene compiuta un'analisi di tutte le cause che hanno coinvolto la famosa bambola della Mattel); B.P. KELLER, R. TUSHNET, Even More Parodic than the Real: Parody Lawsuits Revisited, supra nota 52 cap. II, pag. 10051009; D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94 cap. II, pag. 329-330; R. SCHAFFER-GOLDMAN, Cease and Desist: Tarnishment Blunt's Sword in its Battle against the Unseemly, the Unwholesome, and theUnsavory supra nota 70 cap. II, pag. 1269-1271; M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate: an Update, supra nota 174 cap. I, pag. 575-579. 254V. 2.2.3. 266 comportò una diluizione (attraverso la fattispecie di blurring , per la precisione) 2 5 5 del marchio Barbie, in quanto ne danneggiò la capacità distintiva. 2 5 6 Ciononostante, la stessa corte affermò che si dovesse comunque garantire la protezione conferita dal I emendamento a determinati tipi di espressione che, seppur diluitivi del marchio, erano considerati degni di ottenerla. Questo spazio per la freedom of speech, non esistendo ancora un'esenzione esplicita per parodia e critica del marchio, che verrà introdotta, come vedremo, solamente con il TDRA, fu rinvenuto all'interno dell'eccezione di non-commercialità. Ciò accadde pur se l'utilizzo da parte della Mca Records venne pacificamente definito come commercial use in commerce, in quanto la canzone era oggetto di vendita presso il pubblico. 2 5 7 Il Nono Circuito federale, però, affermò che la suddetta canzone non aveva propositi esclusivamente commerciali in quanto, compiva una parodia della famosa bambola, diventata nel corso degli anni una vera e propria icona culturale. 2 5 8 Questo fece sì che, pur riconoscendo il commercial use in commerce del marchio, in ragione della parodia succitata, l'uso del marchio Barbie venne qualificato come non puramente commerciale in quanto “it does more than propose a commercial transaction. ” 2 5 9 Per 255La Corte, affermando di aver rinvenuto la fattispecie di blurring, non si pone il problema di indagare anche su quella di tarnishment, seppur invocata dalla Mattel; v. ibid. “Because we find blurring, we need not consider whether the song also tarnished the Barbie mark.” 256Ibid. “MCA's use of the mark is dilutive. MCA does not dispute that, while a reference to Barbie would previously have brought to mind only Mattel's doll, after the song's popular success, some consumers hearing Barbie's name will think of both the doll and the song, or perhaps of the song only. This is a classic blurring injury and is in no way diminished by the fact that the song itself refers back to Barbie the doll. To be dilutive, use of the mark need not bring to mind the junior user alone. The distinctiveness of the mark is diminished if the mark no longer brings to mind the senior user alone.” 257Ibid. “We are also satisfied that the song amounts to a 'commercial use in commerce.' Although this statutory language is ungainly, its meaning seems clear: It refers to a use of a famous and distinctive mark to sell goods other than those produced or authorized by the mark's owner. That is precisely what MCA did with the Barbie mark: It created and sold to consumers in the marketplace commercial products (the Barbie Girl single and the Aquarium album) that bear the Barbie mark.” 258Per quanto riguarda la trasformazione dei marchi in icone culturali si rimanda a quanto affermato nel corso dell'Introduzione (v. supra nota 6). 259Ibid. 267 questa ragione la corte affermò, richiamandosi anche a quelli che secondo i propositi degli estensori del FTDA dovevano esser i suoi obbiettivi, che il carattere non puramente commerciale del suddetto uso del marchio Barbie gli consentisse di rientrare all'interno di quell'eccezione di non commercialità prevista dal FTDA. 2 6 0 L'eccezione di non commercialità si dimostra quindi essere quella più appetibile per chi sia alla ricerca di una protezione per un uso parodistico o critico del marchio. Come già analizzato nel corso del secondo capitolo, quindi, fino all'emanazione del TDRA un imprescindibile ruolo sarà giocato dalla qualificazione dell'uso come commerciale, non-commerciale o non puramente commerciale (ed in questi ultimi due casi, come abbiamo visto, sarà possibile usufruire della suddetta esenzione). 2 6 1 Riguardo alla commercialità, poi, abbiamo già messo in luce nel secondo capitolo come, solo qualche hanno prima della sentenza Barbie girl, la giurisprudenza americana, nella delineazione di quest'elemento, si fosse prodotta in interpretazioni alquanto discutibili rinvenendo una commercialità laddove, attraverso l'uso del marchio, si fosse concretizzato un danno economico per il suo titolare o qualora, un sito web di per sé non commerciale contenesse links ad altri siti dotati di tale caratteristica. 2 6 2 260Ibid. “Barbie Girl is not purely commercial speech, and is therefore fully protected. […] the song also lampoons the Barbie image and comments humorously on the cultural values Aqua claims she represents. Use of the Barbie mark in the song Barbie Girl therefore falls within the noncommercial use exemption to the FTDA.” 261V. anche Lucasfilm Ltd. v. Media Market Group, Ltd., District Court, N.D. California, 182 F. Supp. 2D 897, 22 gennaio 2002 (riguardante la parodia del film Star Wars, attraverso Starballz). In realtà, come vedremo fra breve, l'eccezione di non-commercialità continuerà ad avere un ruolo di primo piano anche dopo l'emanazione del TDRA in quanto le eccezioni per un uso fair use parodistico o critico del marchio non hanno ancora trovato applicazione nella giurisprudenza. 262V. Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998; Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997; OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 86 F.Supp.2d 17, 28 febbraio 2000; People for the Ethical Treatment of Animals, Inc. v. Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 263 F.3d 359, 18 settembre 2001. Questo orientamento fu poi però smentito dalle successive sentenze Northland Insurance, Smith v. Wal Mart e Ford; v. 2.2.1., 2.2.2. e 2.2.3. 268 Come ci accingiamo ad esaminare, una più ampia tutela della libertà d'espressione all'interno del Lanham Act verrà poi fornita attraverso il TDRA del 2006, che, come abbiamo visto, introdurrà espressamente parodia e critica all'interno delle eccezioni previste per l'utilizzo del marchio altrui. Nel cercare di dar conto dell'evoluzione del diritto e della giurisprudenza americana nei casi di conflitto tra libertà d'espressione e tutela dei diritti del titolare del marchio è però necessario accennare al caso dal quale scaturì la riforma del FTDA. Questo è il caso Moseley, riguardante l'utilizzo da parte del titolare di un sexy shop in Kentucky dell'insegna Victor's Little Secrets , richiamante alla famoso marchio di lingerie Victoria's Little Secrets . L'azienda titolare di quest'ultimo lamentò che il suddetto utilizzo comportasse una diluizione del suo marchio, attraverso un danneggiamento del suo carattere distintivo e della sua reputazione. Il 6 th Circuit affermando che il ricorrente federale appoggiò dovesse provare questa tesi, 2 6 3 solamente una likelihood of dilution , in accordo con il 1 s t , il 2 n d e il 7 t h Circuits e contrariamente a quanto previsto dal 4 t h e dal 5 t h , che invece richiedevano una actual dilution , di ben più ardua probazione. 2 6 4 Moseley, quindi, presentò ricorso alla Corte Suprema 2 6 5 che, chiamata a sgombrare il campo dai differenti orientamenti in merito al grado di prova necessario per poter procedere ad una condanna per diluizione del marchio famoso, affermò che il titolare del 263V. V. Secret Catalogue, Inc. v. Moseley, U.S. Federal Court of Appeals, 6 th Circuit, 259 F.3d 464, 2001. 264V. in merito J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48 cap. I, pag. 1937 “While the Fourth and Fifth Circuits required proof of actual dilution, the First, Second, Sixth, and Seventh Circuits adopted a “likelihood of dilution” standard, due in part to the belief that proving actual dilution is impossible.” V. anche J.C. KAISER, Victor's not so Little Secret: Trademark Dilution is Difficult but not Impossible to Prove following Moseley v. V. Secret Catalogue, Inc., Chicago-Kent Law Review, 2005, pag. 431-434; T. MCCARTHY, Dilution of a Trade Mark: European and United States Law Compared, in D. VAVER, L. BENTLY, Intellectual Property in the New Millennium, Cambridge University Press, 2004, pag. 162-163; B.A. JACOBS, Trademark Dilution on the Constitutional Edge, supra nota 180 cap. II. 265Moseley v. V. Secret Catalogue, Inc., U.S. Supreme Court, 4 marzo 2003. 269 marchio dovesse dar prova di actual dilution. 2 6 6 La stessa corte, però, non aderì completamente alla posizione del 4 t h Circuit, che richiedeva altresì la prova di un actual economic harm. 2 6 7 L'uso compiuto da Moseley venne dunque ritenuto lecito in quanto il titolare del marchio Victoria's Secret non era riuscito a provare un'actual dilution. Questa sentenza della Corte Suprema, però, invece che risolvere i conflitti tra i diversi Circuiti federali, portò nuovi interrogativi, tra i quali la ricomprensione della fattispecie di tarnishment all'interno del Lanham Act. 2 6 8 Al fine di chiarire il grado di prova necessario per poter invocare la diluizione del marchio famoso e di risolvere i problemi riguardanti la protezione conferita dal FTDA alla fattispecie di tarnishment, venne quindi emanato il TDRA nel 2006. In esso possiamo riscontrare diverse novità legislative, alcune delle quali sono già state analizzate nel corso della nostra trattazione. Vennero quindi tipizzate le fattispecie di tarnishment e blurring, fu stabilito uno standard di prova concernente una likelihood per entrambe e redatta una lista di sei fattori non esclusivi di cui le corti dovessero tenere conto nello statuire il concretizzarsi della fattispecie di blurring; 2 6 9 venne operata inoltre una ridefinizione del concetto di marchio famoso. 2 7 0 La novità però più significativa, dal punto di vista della nostra ricerca, è senza dubbio una riformulazione delle esenzioni di responsabilità per chi compia un utilizzo non autorizzato del marchio altrui. Ferme restando le eccezioni per un uso nella 266Ibid. “This text [art. 1125(c)(1) Lanham Act, n.d.r.] unambiguously requires a showing of actual dilution, rather than a likelihood of dilution.” 267Ibid. “Of course, that does not mean that the consequences of dilution, such as an actual loss of sales or profits, must also be proved.” 268Ibid. “Petitioners have not disputed the relevance of tarnishment, presumably because that concept was prominent in litigation brought under state antidilution statutes and because it was mentioned in the legislative history. Whether it is actually embraced by the statutory text, however, is another matter.” V. in proposito J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48 cap. II, pag. 1938. 269V. supra 2.4.1. 270V. su questo punto 1.2.3.3. 270 pubblicità comparativa, non commerciale o in funzione di un news reporting and news commentary, viene aggiunta l'esenzione per chi compia un fair use del marchio famoso al fine di “ identifying and parodying, criticizing, or commenting upon the famous mark owner or the goods or services of the famous mark owner.” 2 7 1 Viene poi specificato, all'interno del medesimo articolo, che nella nozione di fair use siano ricompresi sia il nominative che il descriptive fair use. 2 7 2 Questa nuova eccezione è sicuramente di grande interesse per molti degli usi del marchio altrui dei quali abbiamo trattato nel corso del nostro studio. Attraverso questa esenzione, infatti, nonostante alcune possibili difficoltà interpretative, 2 7 3 vengono tradotte le istanze relative al I emendamento all'interno della trademark law. Ciononostante l'interpretazione fornita dal 9 t h Circuit in Mattel v. Mca Records dell'eccezione di uso non-commerciale , continua ad esser ampiamente utilizzata dalle corti americane. Ne sono una testimonianza i casi Smith v. Wal Mart 2 7 4 e Burnett v. 20 t h Century Fox. 2 7 5 Del primo, riguardante la parodizzazione del marchio WalMart, trasformato in Walqaeda, Freedom-Haters Always, Freedom Haters Mart, all'interno di un sito dall'emblematico domain name (www.walocaust.com ), ci siamo già in parte occupati in precedenza. 2 7 6 Nonostante la causa sia stata decisa due anni dopo l'emanazione del TDRA, dobbiamo in questa sede sottolineare, però, come la Corte distrettuale della Georgia, invece di applicare l'esenzione prevista per un uso parodistico (o critico), pur se dette parodizzazioni del marchio Wal Mart erano state stampate su t271Lanham Act art. 1125(c)(3)(ii). 272Per una loro trattazione v. 1.3. e 2.3.2. 273V. in merito 2.2.1.2. 274Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2d 1302, 20 marzo 2008. 275Burnett v. 20th Century Fox Film Corp., U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 507 F.3d 252, 2007. 276V. 2.2.3. 271 shirts e adesivi in vendita attraverso il sito medesimo, preferì riferirsi all'eccezione di non-commercialità così come interpretata in Mattel v. Mca Records. Ciò in quanto la parodia compiuta da Mr. Smith venne ritenuta successfull 2 7 7 e quindi meritevole di protezione da parte del I Emendamento; se è vero che la parodia di Smith era stata altresì sfruttata commercialmente dallo stesso attraverso la vendita di merchandise, ciò venne considerato solamente come un mezzo secondario per divulgare le sue idee; 2 7 8 l'uso compiuto da Smith non può esser quindi considerato purely commercial per il fatto che, come precisa la corte, il suo primario intento era quello di esprimere il proprio punto di vista nei confronti della Wal-Mart. 2 7 9 Un altro caso, deciso dopo l'emanazione del TDRA in cui, pur essendo ipoteticamente possibile l'applicazione della parody exemption, la corte optò per il riferimento all'eccezione di non commercialità è il caso Burnett v. 20 t h Century Fox. 2 8 0 Carol Burnett è una conduttrice di un omonimo show televisivo e titolare di alcuni marchi, riferiti a personaggi da lei stessa interpretati. Uno di questi, Charwoman (trad. “ signora delle pulizie”) fu parodiato all'interno 277Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2d 1302, 20 marzo 2008. “Smith has strongly adverse opinions about Wal-Mart; he believes that it has a destructive effect on communities, treats workers badly and has a damaging influence on the United States as a whole. He invented the term "Walocaust" to encapsulate his feelings about Wal-Mart, and he created his Walocaust designs with the intent of calling attention to his beliefs and his cause. He never expected to have any exclusive rights to the word. He created the term "Wal-Qaeda" and designs incorporating it with similar expressive intent. The Court has found those designs to be successful parodies.” V. per la dottrina S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115 cap. II, pag. 1247-1250; W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra nota 38 cap. II, pag. 70-71. 278Ibid. 279Ibid. “The Court is convinced that a reasonable juror could only find that Smith primarily intended to express himself with his Walocaust and Wal-Qaeda concepts and that commercial success was a secondary motive at most. Smith has strongly adverse opinions about Wal-Mart; he believes that it has a destructive effect on communities, treats workers badly and has a damaging influence on the United States as a whole. He invented the term "Walocaust" to encapsulate his feelings about Wal-Mart, and he created his Walocaust designs with the intent of calling attention to his beliefs and his cause. He never expected to have any exclusive rights to the word. He created the term 'Wal-Qaeda' and designs incorporating it with similar expressive intent.” 280Carol Burnett v. 20th Century Fox, U.S. Court of Appeals, 4th Circuit, 491 F. Supp. 2d., 2007. 272 di una puntata del cartone animato The Family Guy; Peter, il personaggio principale del cartoon, entrando in un sexy shop con un amico, afferma che è così pulito che pare ci lavori Carol Burnett; subito dopo entra in scena Charwoman , accompagnata dal jingle che introduce i suoi ingressi al Carol Burnett show, intenta a pulire il pavimento, circondata dagli articoli tipicamente in vendita in un negozio di tal fatta. Una scambio di battute di dubbio gusto tra Peter ed un suo amico chiude lo sketch. La Burnett invocò sia una violazione del copyright che un danneggiamento della reputazione del marchio Charwoman; il 4 t h Circuit federale affermò però che l'utilizzo compiuto dalla Fox, doveva, secondo l'interpretazione stabilita in Mattel v. Mca , considerarsi come non-commercial speech. 2 8 1 Un caso nel l'applicazione quale, invece, dell'esenzione è di stata presa in responsabilità considerazione per un uso parodistico del marchio famoso è il caso Chewy Vuiton. 2 8 2 La vicenda riguarda la parodizzazione del marchio Louis Vuitton da parte di un'azienda produttrice di accessori per animali domestici che aveva utilizzato il marchio Chewy Vuiton per alcuni giocattoli per cani, tra i quali uno a forma di borsetta che richiamava, per le sue caratteristiche ed il simbolo, CV al posto di LV, quelle commercializzate dalla ricorrente. La Louis Vuitton fece quindi ricorso sia per blurring che per tarnishment del marchio. Il 4 t h 281Ibid. “under MCA, Fox’s artistic and parodic work is considered noncommercial speech and, therefore, not subject to a trademark dilution claim.” V. in merito S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115 cap. II, pag. 1245-1247; R. SCHAFFERGOLDMAN, Cease and Desist: Tarnishment Blunt's Sword in its Battle against the Unseemly, the Unwholesome, and the Unsavory supra nota 70 cap. II, pag. 1273-1274. 282Louis Vuitton Malletier S.A. v. Haute Diggity Dog, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 464 F. Supp. 2D 495, 13 novembre 2007; v. in merito S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115 cap. II, pag. 1244-1245; S. PROGROFF, A.J. ROBERTS, The Art of Parody, New York Law Journal, 2009; D.R. GERHARDT, The 2006 Trademark Dilution Revision Act Rolls Out a Luxury Claim and a Parody Exemption, North Carolina J. L. & Tech., 2007, pag. 223-229; S.L. DOGAN, M.A. LEMLEY, The Trademark Use Requirement in Dilution Cases, Santa Clara Computer & High Tech. L.J., 2008, pag. 556. 273 Circuit federale per la prima volta considerò l'applicazione della parody exemption prevista dal TDRA, affermando però che la parodia non può esser opposta automaticamente come difesa quando il segno viene utilizzato come marchio, ossia come “ designation of source”, 2 8 3 in quanto, come abbiamo visto, l'eccezione per un uso parodistico opera solamente quando l'utilizzo può esser considerato come fair use e ciò non avviene quando appunto il segno è adoperato come marchio. 2 8 4 In questo caso, quindi, non fu applicata la detta esenzione, ma l'uso compiuto dalla Haute Diggity Dog non venne comunque ritenuto comportante né blurring ne tarnishment . Il 4 t h Circuit federale difatti affermò che, essendo quella operata dalla Haute Diggity Dog da considerarsi una parodia di successo 2 8 5 ed essendo il segno utilizzato non così simile a quello della Louis Vuitton, 2 8 6 non si poteva ritenere che vi fosse un danno al carattere distintivo del marchio suddetto. La stessa Corte, inoltre, negò la sussistenza di un danno alla reputazione del marchio suddetto, in quanto la Louis Vuitton non aveva fornito prove sufficienti a 283Ibid. “We begin by noting that parody is not automatically a complete defense to a claim of dilution by blurring where the defendant uses the parody as its own designation of source, i.e., as a trademark. Although the TDRA does provide that fair use is a complete defense and allows that a parody can be considered fair use, it does not extend the fair use defense to parodies used as a trademark.” 284Ibid. “Under the statute's plain language, parodying a famous mark is protected by the fair use defense only if the parody is not "a designation of source for the person's own goods or services. […] In sum, while a defendant's use of a parody as a mark does not support a "fair use" defense, it may be considered in determining whether the plaintiff-owner of a famous mark has proved its claim that the defendant's use of a parody mark is likely to impair the distinctiveness of the famous mark.” 285Ibid. “Even as Haute Diggity Dog's parody mimics the famous mark, it communicates simultaneously that it is not the famous mark, but is only satirizing it. And because the famous mark is particularly strong and distinctive, it becomes more likely that a parody will not impair the distinctiveness of the mark. In short, as Haute Diggity Dog's "Chewy Vuiton" marks are a successful parody, we conclude that they will not blur the distinctiveness of the famous mark as a unique identifier of its source.” 286Ibid. “But in this case, Haute Diggity Dog mimicked the famous marks; it did not come so close to them as to destroy the success of its parody and, more importantly, to diminish the LVM marks' capacity to identify a single source. Haute Diggity Dog designed a pet chew toy to imitate and suggest, but not use, the marks of a high-fashion LOUIS VUITTON handbag. It used 'Chewy Vuiton' to mimic 'LOUIS VUITTON'; it used 'CV' to mimic 'LV'; and it adopted imperfectly the items of LVM's designs. We conclude that these uses by Haute Diggity Dog were not so similar as to be likely to impair the distinctiveness of LVM's famous marks. 274 supporto di tale tesi. 2 8 7 Dall'emanazione del TDRA non si rinvengono casi in cui le corti americane abbiano applicato espressamente l'eccezione in esso inserita per parodia o critica del marchio. Le corti hanno infatti preferito riferirsi all'eccezione di non commercialità, così come interpretata in Mattel v. Mca, o, come in Chewy Vuitton, smontare le tesi della ricorrente non rinvenendo danno alcuno né alla capacità distintiva né alla reputazione del marchio. Questo orientamento è probabilmente frutto del fatto che, affinché un utilizzo parodistico del marchio possa beneficiare della summenzionata eccezione, questo non deve esser usato come marchio, ossia come designation of source. 2 8 8 Ciò in quanto l'eccezione per un utilizzo parodistico del marchio è sempre subordinata alla qualificazione di detto utilizzo come fair use, il che appunto comporta, come affermato dalla corte in Chewy Vuitton , che il marchio non sia usato come indicatore d'origine del prodotto messo in commercio da chi compia la parodia. 2 8 9 287Ibid. “To establish its claim for dilution by tarnishment, LVM must show, in lieu of blurring, that Haute Diggity Dog's use of the 'Chewy Vuiton' mark on dog toys harms the reputation of the LOUIS VUITTON mark and LVM's other marks. LVM argues that the possibility that a dog could choke on a 'Chewy Vuiton' toy causes this harm. LVM has, however, provided no record support for its assertion.” 288Di ciò ci siamo già occupati in 2.2.1.2. 289V. S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115 cap. II, pag. 1244-1245 "Under the plain text of the fair use exemption, a parody would be an exempt fair use if: 1) The parody targets the famous mark owner or the mark owner’s goods or services; and 2) the parody does not serve “as a designation of source” for the parodist’s “own goods or services. […] Of course, this exemption suffers from one of the same problems as the nominative fair use exemption—the uses covered by the exemption should not be subject to the TDRA at all because they are not trademark uses and are thus out of the reach of the TDRA.” 275 CONCLUSIONI Nel corso del presente studio si è cercato di compiere un approfondimento del conflitto, più volte palesatosi nel corso degli anni, tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio. Il primo capitolo è stato quindi dedicato ad analizzare le prerogative del trade mark holder partendo da una disquisizione sulle basi razionali a loro sostegno. Abbiamo quindi avuto modo di osservare come il ruolo dei marchi nella società si sia modificato negli ultimi decenni, comportando altresì la trasformazione della ratio sottostante la loro tutela. Da semplici indicatori di origine i marchi sono infatti divenuti portatori, attraverso la sapiente opera dei professionisti del marketing, di messaggi rivolti al consumatore, tanto da assurgere al ruolo, in taluni casi, di icone culturali. Questa operazione non è però risultata priva di costi per i titolari di questi diritti di proprietà intellettuale, che si sono tradotti in ingenti investimenti pubblicitari, meritevoli di garanzia. Caldeggiata dalle grandi imprese multinazionali, la loro protezione è diventata realtà a cavallo tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90 con l'emanazione di norme transnazionali, regionali e nazionali, che hanno conferito una novella tutela a quei marchi dotati di fama o notorietà. Nel corso del primo capitolo abbiamo quindi esaminato le varie tipologie di tutela conferita ai marchi sia notori sia privi di questa caratteristica, da un punto di vista comparativistico rispetto alla normativa TRIPS, a quella comunitaria e statunitense. Ci siamo poi concentrati sulle possibili eccezioni, predisposte dagli ordinamenti suddetti, alle prerogative del titolare del marchio. Il secondo capitolo ha poi affrontato in primo luogo le tematiche legate alla libertà d'espressione e alla sua introduzione all'interno degli ordinamenti oggetto del nostro esame prendendo in considerazione altresì i limiti ad essa posti al fine di garantire il 276 pacifico godimento dei c.d. diritti degli altri . Il nostro esame poi, avvicinandosi al cuore del conflitto, si è concentrato sull'analisi della parodia e della satira del marchio e sulla loro differenziazione, riconosciuta da parte della giurisprudenza americana e di converso, almeno per quel che concerne il diritto dei marchi, ignorata da quella europea. Dopo aver esaminato altresì la critica del marchio ed aver cominciato ad accennare ad alcuni dei suoi risvolti all'interno della giurisprudenza degli Stati Uniti e dei paesi europei, abbiamo cominciato ad analizzare quegli elementi che si rivelano decisivi nel bilanciamento tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio. Si è quindi potuta osservare l'importanza detenuta dalla commercialità commercialità dell'uso del bilanciamento e posto si è e, di marchio altresì converso, ai fini l'accento dalla del non- suddetto sulle diverse interpretazioni fornite dalla giurisprudenza di questi elementi. A questo proposito, poi, si è evidenziata l'esistenza di un terzo tipo di utilizzo, che pur avendo in parte una connotazione commerciale, per via del medium considerato dalla attraverso il quale giurisprudenza, ad viene compiuto, esempio nel è stato caso Lila- Postkarte in Europa o nel caso Barbie Girl negli Stati Uniti, come non puramente commerciale, in quanto è mosso da intenti che vanno al di là di un semplice sfruttamento economico del marchio altrui. Nel tentativo di costruire le basi ermeneutiche per comprendere il bilanciamento effettuato dalle corti, abbiamo poi indagato su alcuni elementi considerati di vitale importanza per il raggiungimento di questo scopo. Sul versante europeo, quindi, sono stati oggetto di attento esame il criterio del due cause ex art. 5(2) della Direttiva 2008/95/CE, in riferimento altresì alla libertà d'espressione in un'ottica di esercizio di un diritto proprio dell'individuo, ed il criterio dell'ingiusto vantaggio, concretizzante una fattispecie di free-riding qualora esso si materializzi. Per quanto invece concerne 277 la dottrina e la giurisprudenza americana si è posto invece l'accento sul fair use e sulle esenzioni espressamente previste dal Lanham Act per un utilizzo parodistico, critico o non-commerciale del marchio altrui. L'ultima parte del secondo capitolo, poi, è stata dedicata all'analisi in concreto della fattispecie di diluizione concernente il marchio notorio o famoso, compiendo quella distinzione, presente sia nell'ordinamento comunitario che in quello statunitense, tra il danno alla capacità distintiva del marchio (c.d. blurring) e il pregiudizio alla sua reputazione (c.d. tarnishment). Il terzo capitolo è stato dedicato poi alla concreta attuazione del bilanciamento suddetto. Prima di procedere all'analisi concreta della giurisprudenza in merito è parso però doveroso compiere un rapido excursus sull'utilizzo del marchio altrui in Internet, che grande importanza sta rivestendo negli ultimi lustri e che nuove sfide ha apportato per quel che riguarda l'uso dei marchi nei domain names (e i problemi ad ciò legati come ad esempio il c.d. cybersquatting e i gripe sites); ci siamo quindi focalizzati sulla normativa statunitense in merito (ACPA) e su quella europea, che abbiamo visto non presenta alcuna specifica legislazione in merito. Si è giunti quindi al nocciolo del conflitto sopra richiamato, mettendo in evidenza le differenze in merito tra gli ordinamenti oggetto del nostro esame. Si quindi visto come il Lanham Act negli Stati Uniti, nella sua ultima modificazione denominata FTDA , preveda esplicite esenzioni di responsabilità per quel che riguarda un fair use in funzione parodistica o critica del marchio, oltre ad una più generale eccezione concernente utilizzi non commerciali. A riguardo si è passata in rassegna la giurisprudenza americana, a cui lunghi accenni erano altresì stati dedicati nel corso dei precedenti capitoli, cercando di tracciare una sua linea evolutiva al passo con la dinamica legislativa. Si sono quindi esaminate le decisioni delle corti avvenute anteriormente all'emanazione del FTDA, quando 278 l'unica tutela conferita al marchio concerneva una likelihood of confusion , criterio talvolta oggetto di distorsioni. Si è passato poi all'analisi delle cause decise sotto la vigenza del FTDA mettendo in luce l'importanza, per quel che riguarda un uso parodistico o critico del marchio, della sentenza Barbie Girl , che segna un punto di svolta nella giurisprudenza americana in relazione all'eccezione di non-commercialità , scavando un solco rispetto a precedenti decisioni quali Planned Parenthood, Jews for Jesus, OBH e PETA, che invece avevano rischiato minacciare oltremodo la libertà d'espressione. Si è poi analizzata la riforma legislativa apportata attraverso il TDRA ed il caso giudiziario da cui essa è scaturita. Dall'analisi della giurisprudenza posteriore a questa riforma si è però visto come non abbiano ancora trovato concreta applicazione le nuove eccezioni riguardanti un fair use del marchio effettuato con fini parodistici o critici del marchio, forse anche per le difficoltà interpretative concernenti l'elemento della designation of source, come avevamo messo in luce già nel secondo capitolo. Si è quindi potuto osservare come le corti, anche posteriormente all'emanazione del TDRA, abbiano ripetutamente privilegiato l'applicazione dell'eccezione di non-commercialità così come interpretata dal 9 t h Circuit in Barbie Girl. Per quanto concerne la giurisprudenza dei paesi comunitari abbiamo poi messo in luce alcune delle difficoltà incontrate dalle corti nel garantire una protezione alla libertà d'espressione in merito ad un utilizzo non autorizzato del marchio. Si è quindi creata una prima scrematura tra i casi in cui questo utilizzo sia stato considerato dalle corti come uso del marchio, facendo transitare questo bilanciamento, almeno in parte, all'interno del diritto dei marchi e quei casi dove invece detto utilizzo non è stato visto come uso del marchio in quanto non indicante l'origine dei prodotti o servizi in 279 questione. In questa seconda prospettiva si è visto come la giurisprudenza abbia operato il bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio al di fuori della normativa sui marchi, riallacciandosi al principio di responsabilità aquiliana. Per quanto invece concerne la prima delle ipotesi summenzionate si è contestata quella dottrina che ha cercato di creare uno spazio per la libertà d'espressione facendo rientrare all'interno delle eccezioni previste dall'art. 6 della Direttiva 2008/95/CE gli usi del marchio a fini parodistici o critici. Si è quindi visto che in assenza di esenzioni esplicite, una tutela della libertà d'espressione risulti più efficacemente garantita per mezzo della qualificazione come non-contraffattori degli usi suddetti, attraverso la determinazione di una non-confusione, di un giustificato motivo sorretto dall'interesse sociale oltre che della mancanza di un vantaggio ingiusto a favore dell'utilizzatore. Si è poi passati alla concreta analisi concreta della giurisprudenza delle corti tedesche, francesi ed italiane sia per quanto riguarda sia la critica del marchio che la sua parodia, cercando di evidenziare i punti salienti di ogni decisione in merito. Abbiamo poi approfondito in particolar modo alcuni casi degni di un particolare interesse come ad esempio, riguardo alla critica del marchio, gli affaires Danone, ESSO e Areva, che hanno mostrato un bilanciamento operato in parte all'interno del diritto dei marchi, in forza di una non contraffattorietà dell'utilizzo determinata dall'assenza di un rischio di confusione oltre che di commercialità, ed in parte all'esterno di esso, sulla base del principio di responsabilità aquiliana legato ad una possibile denigrazione dell'immagine del marchio. Si è poi dato spazio all'analisi di un recente caso deciso dalla giurisprudenza olandese nel quale oggetto di utilizzo a fini critici all'interno di un'opera d'arte è stato un design registrato. Si è quindi osservato come i diritti della proprietà intellettuale, in presenza di un 280 interesse sociale, siano stati considerati degni di una protezione minore rispetto a quella da accordare alla libertà d'espressione. A conclusione del nostro studio possiamo affermare che, pur attraverso meccanismi differenti una garanzia alla libertà d'espressione, nel caso di determinati utilizzi del marchio, denotati da certune caratteristiche, viene conferita sia da parte dell'ordinamento statunitense che da parte di quello dei paese comunitari. Nel primo un pericolo per la libertà d'espressione, che però pare esser stato superato dalla successiva giurisprudenza, può esser l'interpretazione data in alcuni casi all'eccezione di noncommercialità e al requisito, affinché si possa affermare un fair use, di un utilizzo del marchio non come designation of source , questione questa invece ancora aperta; nel secondo, invece, come sottolineato da parte della dottrina, fallita la ricomprensione all'interno dell'art. 6 dell Direttiva degli utilizzi parodistici, satirici o non-commerciali del marchio, si sente la mancanza di un'esplicita eccezione in merito da aggiungere alle norme vigenti. E' vero che una commercialità è richiesta come base per la contraffattività dell'utilizzo ex art. 5(1) e 5(2) della Direttive, ma l'ampia interpretazione data a questo criterio non fornisce pari garanzie rispetto ad una espressa eccezione in questo senso. Vi è poi da sottolineare come, per entrambi i sistemi in esame, un forte pericolo per la libertà d'espressione sia rappresentato da quel chilling effect determinato dalla differenza di peso, che normalmente si verifica, tra le parti di un'eventuale giudizio. L'effetto Davide contro Golia, potrebbe infatti scoraggiare l'utilizzo da parte di semplici cittadini o ONG di marchi per fini critici o parodistici per timore di lunghi e costosi iter processuali da affrontarsi avendo come controparte molte volte una ricca e potente multinazionale, che raramente tarda a reclamare i propri diritti 281 attraverso minacciose cease and desist letters . Un altro fattore costituente una possibile minaccia alla libertà d'espressione è poi rappresentato dalle novità legislative concernenti la proprietà intellettuale che proprio in questo periodo stanno prendendo forma a livello sia nazionale che transazionale sotto i nomi di SOPA, PIPA e ACTA, riguardanti soprattutto il mondo di Internet. Se il processo che avrebbe portato all'approvazione dei primi due negli Stati Uniti pare esser arrivato ad un punto morto, il terzo, concluso a livello trasnazionale il 26 gennaio 2012 è già in vigore con conseguenze che solo una sua futura applicazione potrà evidenziare. 282 SENTENZE 1) Giurisprudenza delle Corti Nazionali. Italia Tribunale – Co.Ce.Pa. s.p.a. c. Giuseppina Zirilli, Tribunale di Milano, 27 gennaio 1992, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1992, 2791. – Tamaro e Baldini&Castoldi c. Comix s.r.l., Tribunale. Milano, 29 gennaio 1996, in AIDA, 1996, 669 ss. – Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Tribunale di Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987. – La Chemise Lacoste S.A. c. Crocodile Garments Ltd, Tribunale di Milano, 12 luglio 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 4017. – FIMAG e FIMAS s.r.l. c. Artistica Meridionale, Tribunale. Catania, 3 luglio 2002, in Giur. Ann. Dir. 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