UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI TORINO
FACOLTÁ DI GIURISPRUDENZA
Corso di Laurea Magistrale
Tesi di Laurea in
Diritto Industriale
La Protezione dei Marchi e la Libertà d'Espressione
Trademark Protection and Freedom of Expression
RELATORE
CANDIDATO
CH.MO PROF.
Marco Ricolfi
Federico Paesan
ANNO ACCADEMICO 2010 - 2011
RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare il professor M. Ricolfi, relatore di questa
tesi, per la grande disponibilità e cortesia dimostratemi, e per
tutto
l’aiuto
fornitomi
durante
la
stesura.
Un
sentito
ringraziamento ai miei genitori per il loro sostegno nel corso
di questi anni, che mi ha permesso di raggiungere il presente
traguardo. Un grazie altresì ai miei amici e compagni di studi
Andrea Giaretta e Davide Versio e Federico Ferraris per il loro
supporto e i loro preziosi consigli.
ABSTRACT
This thesis provides a comprehensive analysis of the conflict
between freedom of expression and trademark rights, comparing
U.S.
and
European
laws.
Within
the
last
twenty
years
the
importance of trademarks has grown considerably and the “wall” of
trademark protection has been consequently raised, responding to
the needs of trademark holders. This higher level of protection
could threaten freedom of expression, shrinking the breathing space
to criticize and parody trademarks and creating a dangerous
chilling effect. A balance between the rights of trademark holders
and freedom of expression turns out to be of vital importance, in
order to ensure the respect of both of these rights. American and
European sets of rules have a different approach to this subject but
freedom of expression is somehow guaranteed in both of these
system.
Indice
INTRODUZIONE....................................................................................................1
CAP.I : IL DIRITTO AL MARCHIO E LA SUA TUTELA....................................7
1.1. Le fonti.........................................................................................................7
1.1.1. In Italia e in Europa..............................................................................8
1.1.2. Le fonti comunitarie............................................................................11
1.1.3. Negli Stati Uniti..................................................................................15
1.1.4. Transnazionali.....................................................................................18
1.2. Le prerogative del titolare del marchio e la loro protezione......................22
1.2.3. Le basi razionali della protezione: dalla protezione della funzione
distintiva alla tutela dell'investimento pubblicitario.....................................22
1.2.2. Le prerogative del titolare del marchio ed i requisiti generali per la
loro violazione..............................................................................................32
1.2.3. Le fattispecie contraffattive...............................................................39
1.2.3.1. Identità di segni e di beni............................................................43
1.2.3.2. Il rischio di confusione................................................................48
1.2.3.3. Il marchio notorio........................................................................64
1.3. Le limitazioni del diritto di utilizzazione esclusiva del marchio da parte
del titolare - Gli usi consentiti del marchio altrui..............................................83
1.4. Le eccezioni al diritto di utilizzazione esclusiva del marchio da parte del
titolare - Gli usi atipici del marchio altrui.........................................................93
CAP. II : IL CONFLITTO TRA LIBERTA' D'ESPRESSIONE E DIRITTI DEL
TITOLARE DEL MARCHIO................................................................................97
2.1. La nozione di libertà di espressione ed i suoi limiti...................................97
2.1.1. In Italia e nei paesi europei...............................................................100
2.1.2. Nella Comunità Europea...................................................................105
2.1.3. Negli Stati Uniti................................................................................109
2.1.4. Nelle fonti transnazionali..................................................................111
2.2. Il conflitto tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchi 114
2.2.1. Strumenti e finalità............................................................................115
2.2.1.1. Parodia e satira – una distinzione opportuna?...........................118
2.2.1.2. Critica........................................................................................125
2.2.2. La libertà d'espressione nelle espressioni commerciali....................134
2.2.3. La libertà d'espressione nelle espressioni non commerciali o miste.145
2.3. Tutela del marchio notorio e libertà d'espressione...................................154
2.3.1. Due cause, interesse sociale e free-riding.........................................156
2.3.2. Fair use e tassonomia delle eccezioni..............................................162
2.4. Gli effetti dell'utilizzo parodistico, satirico o critico del marchio – La
diluizione.........................................................................................................167
2.4.1. Blurring (Offuscamento)..................................................................170
2.4.2. Tarnishment (Annacquamento).........................................................174
CAP. III : ALLA RICERCA DI UN BILANCIAMENTO TRA LIBERTA'
D'ESPRESSIONE E DIRITTO AL MARCHIO..................................................185
3.1. Premessa...................................................................................................185
3.2. I criteri di bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del titolare del
marchio in Europa...........................................................................................187
3.3. L'ampliarsi del conflitto tra libertà d'espressione e prerogative del titolare
del marchio nella società di Internet...............................................................199
3.3.1. L'Anticybersquatting Consumer Protection Act negli Stati Uniti.....200
3.3.2. Domain names, libertà d'espressione e contraffazione del marchio in
Europa.........................................................................................................215
3.4. La risposta della giurisprudenza in Europa..............................................221
3.4.1. La critica del marchio in Europa......................................................222
3.4.1.1. I casi Danone, E$$O e Areva....................................................234
3.4.2. Nei casi di parodia e satira del marchio............................................247
3.4.2.1. Una panoramica sulla giurisprudenza italiana ed europea........247
3.4.2.2. Simple living: arte, design e critica...........................................258
3.5. La risposta della giurisprudenza statunitense – Alla ricerca di una linea
evolutiva al passo con la dinamica legislativa.................................................264
CONCLUSIONI...................................................................................................276
SENTENZE..........................................................................................................283
BIBLIOGRAFIA..................................................................................................298
INTRODUZIONE
La presenza, l'importanza e il valore economico dei marchi, negli
ultimi decenni, hanno conosciuto una crescita verticale. Ciò è
andato di pari passo con il mutamento della funzione del marchio.
Da mero indicatore dell'origine dei prodotti, il marchio, nel corso
degli anni, è diventato un polo attrattivo di valori, i quali vengono
traslati su chi compirà l'acquisto dei beni o dei servizi da esso
contrassegnati.
Il
consumatore,
dunque,
non
acquisterà
più
solamente un bene od un servizio, ma, attraverso il marchio, diverrà
parte di quell' identità evocata dal marchio: se acquisterà una BMW,
ad esempio, egli non diverrà solamente il proprietario di un'auto, ma
potrà diventare parte di quell'immagine di sportività ed eleganza che
il marchio bavarese conferisce ai suoi prodotti e, di conseguenza, a
chi li acquista. La trasformazione del marchio in un convogliatore
di valori, identità e aspettative 1 ha fatto sì che al mero segno
venisse incorporato quel c.d. selling power, che oggi rappresenta il
vero valore economico del marchio. Ciò ha avuto come conseguenza
la crescita esponenziale dell'importanza del marchio, anche per via
del fatto che, l'immissione di valori meta-commerciali al suo
interno,
è
possibile
solamente
attraverso
ingenti
investimenti
finalizzati ad una sua ampia promozione e pubblicizzazione presso
il pubblico dei consumatori. 2 A protezione di questi investimenti,
1 V. ad esempio L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, Oxford University Press,
2009, pag. 713 “More recently, trade marks have taken on new roles. […] In their mythical
form trade marks help to provide consumers with an identity- for example, as a Ferrari or
Volvo driver, or Budweiser or Budvar drinker. When the consumer purchases a product bearing
a mark they purchase an experience envelope which helps to construct their identity.”; la
dottrina in merito, come vedremo è ampia e sarà oggetto di una più approfondita analisi quando
ci troveremo ad analizzare il fondamento razionale della tutela del marchio, v. 1.2.1.
2 V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V.
MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e
1
nel corso degli ultimi decenni, si è quindi fatta sempre più elevata,
da parte dei titolari di marchi, la richiesta di una maggior tutela
contro coloro che potessero sfruttare quei segni, diventati così
ricchi di significati e di valore economico, a proprio vantaggio o
procurando un danno al marchio stesso ed alla sua capacità di
attrarre i consumatori. Le suddette istanze si sono tradotte, dato
anche il peso economico e politico dei richiedenti, in norme di tipo
transnazionale, regionale e statale. Le innovazioni da un punto di
vista legislativo hanno riguardato dunque, da un lato la ricerca di
una sempre maggior uniformità delle normative sui marchi e sulla
loro tutela, mentre dall'altro il conferimento di una protezione più
ampia a quei marchi che vengono definiti dotati di reputazione, well
known o famous , a seconda della normativa presa a riferimento. Per
quanto riguarda l'obbiettivo dell'armonizzazione, questo è stato
raggiunto, nel corso degli anni, sia a livello transnazionale,
attraverso un lungo percorso culminato nel 1996 con la conclusione
dei
TRIPs
agreements 3
(Trade-related
aspects
of
intellectual
property rights ), in sede WTO, sia a livello regionale, come
testimoniato dalla Direttiva CEE 89/104 del 1989, dal Regolamento
40/94 del 1994 che ha introdotto il c.d. marchio europeo e, anche se
in tono minore, dall'accordo NAFTA tra Stati Uniti e Messico.
Regole sempre più uniformi hanno quindi eliminato molte delle
barriere ancora frapposte alla realizzazione del sogno capitalistico
di un mercato unico. Per quanto riguarda invece la seconda direttiva
di innovazione legislativa, avremo modo di notare come la tutela del
marchio notorio o famoso sia stata introdotta in tutte le legislazioni
Concorrenza, Giappichelli, 2009, pag. 66 “Come in passato la protezione era calibrata
sull'avviamento, inteso come valutazione del pubblico dei consumatori conseguente ad una
serie di esperienze di acquisto precedenti, così oggi essa è precipuamente commisurata a
questo nuovo fattore e, più precisamente, alla quantità e alla qualità dell'investimento
pubblicitario e promozionale di cui il segno è fatto oggetto (talora indicato come ' selling
power' del marchio).” Anche su quest'argomento torneremo in 1.2.1.
3 Questi conferiscono uno standard minimo di protezione ai diritti del titolare del marchio come
avremo modo di vedere nel corso dell'opera (v. 1.2.3.3.).
2
che
verranno
prese
in
esame,
molte
volte
sotto
la
spinta
all'adeguamento a fonti di carattere regionale o transnazionale.
L'innalzamento del livello di tutela delle prerogative del titolare del
marchio ha, d'altro canto, sollevato le critiche, soprattutto in
ambiente statunitense, da parte di coloro che ritengono minacciati
quei diritti garantiti dalla libertà d'espressione. 4
D'altronde si deve considerare che il nuovo ruolo acquisito dal
marchio e la sua potenziata capacità d'attrazione hanno determinato
un crescente aumento della sua importanza e del suo valore
economico; la c.d. brandizzazione della società 5 è diventata sempre
più accentuata, facendo diventare il marchio un imprescindibile
componente della cultura contemporanea. 6 Come tale questo è stato
negli anni oggetto di utilizzazione da parte di artisti, critici del
sistema, letterati, che hanno quindi usato i marchi, con una
comprensibile predilezione per quelli c.d. famosi, per gli scopi più
disparati. Alle volte ciò è avvenuto per fini puramente artistici,
come nel caso dell'utilizzo della scatoletta di Campbell's soup,
diventato soggetto di un celebre dipinto di Andy Warhol; altre volte,
4 V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and
Trademarks, Thomas West, 2003, pag. 548 “Other critics have suggested that trade mark
rights must be limited so that they do not hamper free communication or conflict with First
Amendment values”.
5 N. Klein mette in luce l'espansione, dagli anni '90 in poi, del branding dal paesaggio urbano ai
media, dallo sport al mondo dell'istruzione e dei giovani; v. N. KLEIN, No Logo, Economia
Globale e Nuova Contestazione, Baldini&Castoldi, 2000, pag. 49 ss.; v. anche l'opinione del
giudice Kozinski in The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc., U.S. Federal Court of
Appeals, 9th Circuit, 971 F. 2d 302, 1992 “Words and images do not worm their way into our
discourse by accident, they are generally thrust there by well-orchestrated campaigns intended
to burn them into our collective consciousness”.
6 Per quei marchi il cui livello di celebrità è massimo si parla addirittura di icone culturali; v.
S.M. CORDERO, Cocaine-Cola, the Velvet Elvis, and Anti-Barbie: Defending the Trademark and
Publicity Rights to Cultural Icons, in Fordham Intell. Prop. media & Ent. L. J., 1999, pag. 601602 “Because Coca-Cola, Elvis Presley, and Barbie are elements of American popular culture,
they are part of our everyday language.[...] Coca-Cola and Barbie as objects and Elvis as a
celebrity, have transcended their original meanings and ascended to the level of cultural icons.
A cultural icon is an image, picture, or representation that is an external expression of a
society’s internal convictions. Icons objectify deep mythic structures of reality, expressing
everyday things that make every day meaningful.” V. anche l'opinione del giudice Kozinski in
Mattel v. MCA Records, US Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F. 3d 894, 24 luglio 2002 “With
Barbie, Mattel created not just a toy but a cultural icon”.
3
come nel caso Plesner, 7 artista danese che nella sua opera Simple
living accostò una borsetta Vuitton a un bambino di colore con
evidenti segni di denutrizione, a finalità di tipo artistico si sono
aggiunti scopi di critica palese ad un determinato modello di
sviluppo, di cui un certo brand è stato assurto a simbolo. In altri
casi, invece, le finalità critiche non vengono nascoste dietro intenti
artistici, ma il marchio viene utilizzato per denunciare le presunte
malefatte dei suoi titolari: è il caso, ad esempio, della campagna “ Je
boycotte Danone ”, 8 condotta attraverso l'utilizzo del noto logo
dell'azienda
produttrice
di
yogurt
contro
i
licenziamenti
da
quest'ultima perpetrati, al grido di “ les êtres humains ne sont pas
des yaourts”.
In altri casi, poi, l'intento è stato quello di utilizzare il marchio con
fini satirici o parodistici, come ad esempio è avvenuto nel caso
Barbie girl, in cui la plastificazione dell'American dream 9 veniva
sbeffeggiata dal gruppo pop danese degli Aqua. 1 0 Altre volte, poi, a
questi fini satirici o parodistici si sono affiancati scopi di tipo
commerciale; è il caso dei posters con la scritta “ Enjoy-Cocaine” 11
attraverso gli stessi caratteri usati nel logo della Coca-Cola, o, per
restare in Italia, la parodizzazione del marchio Diesel attraverso le
t-shirts riportanti la dicitura “Porco Diesel”. 1 2
In molti casi, poi, l'utilizzo del marchio altrui è avvenuto attraverso
7 Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di Den Hague, 4 maggio 2011;
questo caso sarà oggetto di un paragrafo dedicato (v. 3.4.2.2.).
8 http://www.jeboycottedanone.com/; v. Oliver Malnuit vs Société Compagnie Gervais Danone,
Cour d'Appel de Paris, 30 aprile 2003; anche questa sentenza sarà oggetto di un paragrafo ad
essa dedicato (v. 3.4.1.2.).
9 O del sessismo americano come suggerisce S.M. CORDERO, Cocaine-Cola, the Velvet Elvis, and
Anti-Barbie: Defending the Trademark and Publicity Rights to Cultural Icons, supra nota 6,
pag. 601 “Barbie is not only a doll, manufactured by Mattel, Inc. and venerated by millions of
fans, but also is a symbol of American sexism.”
10 Mattel v. MCA Records, US Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F. 3d 894, 24 luglio 2002. A
questa sentenza ci riferiremo più volte nel corso della nostra trattazione.
11 Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972.
12 Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo
2006, in IDI, 2007, 149 ss. Di questa sentenza torneremo ad occuparci quando tratteremo la
risposta della giurisprudenza italiana al conflitto tra libertà d'espressione e diritti del titolare del
marchio.
4
il web, come ad esempio nel succitato caso Jeboycottedanone.com o
nel caso E$$O, 1 3 ed anche questo è un aspetto che meriterà la nostra
attenzione.
Che effetto hanno però questi utilizzi non autorizzati sul marchio
stesso e sui diritti del suo titolare? Può la libertà d'espressione
giustificare questi utilizzi non autorizzati del marchio, anche
qualora ciò comporti un danno al marchio o ai diritti del suo
titolare? La tutela delle prerogative del titolare del marchio può
spingersi fino a limitare la libertà d'espressione? Quali sono le
risposte della giurisprudenza in questi casi?
A queste ed ad altre questioni tenteremo di dare una risposta nel
corso della nostra trattazione. Il lavoro sarà organizzato seguendo
due direttive: in un primo momento verrà compiuta una panoramica
delle
fonti
legislative
in
materia,
seguendo
l'evoluzione
del
succitato processo di armonizzazione e rafforzamento della tutela
delle prerogative del titolare; verranno quindi presi in esame i
diritti a quest'ultimo conferiti e la protezione ad essi accordata, in
un'ottica
comparativa
che
prenderà
in
esame
la
normativa
transnazionale, quella della Comunità Europea e di alcuni dei suoi
Stati membri, nonché quella degli Stati Uniti d'America.
In un secondo momento verrà analizzato il principio della libertà
d'espressione così come costituzionalizzato all'interno delle diverse
legislazioni prese in esame; ci occuperemo poi dell'utilizzo non
autorizzato del marchio, in particolar modo di quello compiuto con
fini di critica sociale, parodistici o satirici e degli effetti che vi
possono essere sul marchio e sui diritti del suo titolare.
La terza parte della trattazione sarà poi dedicata all'analisi delle
risposte che la giurisprudenza dei paesi comunitari e degli Stati
13 S.A. Societè Esso v. Societè Greenpeace France et Societè Internet FR Tribunal de Grande
Instance de Paris, 8 luglio 2002; Societè Greenpeace France vs S.A. Societè Esso, Cour
d'Appel de Paris, Arrêt del 26 febbraio 2003. Di questa vicenda ci occuperemo nel paragrafo
3.4.1.2.
5
Uniti hanno fornito, nel tentativo di risolvere il conflitto tra i diritti
del titolare del marchio e la libertà d'espressione e di trovare, tra di
essi, un bilanciamento. Oltre che all'analisi dei casi che hanno fatto
scuola in materia e ai principi sottostanti il bilanciamento compiuto
dalle corti, questo terzo capitolo offrirà altresì una panoramica sui
nuovi problemi derivanti dall'espansione di Internet e al suo
palesarsi come veicolo di un'utilizzazione non autorizzata del
marchio per gli scopi suddetti.
6
CAP.I : IL DIRITTO AL MARCHIO E LA SUA TUTELA
S OMMAR IO: 1.1. Le fonti .- 1.1.1. In Italia e in Europa. - 1.1.2. Le fonti comunitarie. - 1.1.3.
Negli Stati Uniti 1.1.4. Transazionali. - 1.2. Le prerogative del titolare del marchio e la loro
protezione .- 1.2.1. Il fondamento razionale della tutela: dalla tutela della funzione distintiva alla
protezione dell'investimento pubblicitario. - 1.2.2. Le prerogative del titolare del marchio e i
requisiti generali per la loro violazione - 1.2.3. La fattispecie contraffattiva.- 1.2.3.1. Identità si
segni e di beni. - 1.2.3.2. Rischio di confusione. - 1.2.3.3. Il marchio che gode di rinomanza. - 1.3.
Le limitazioni del diritto di utilizzazione esclusiva del marchio da parte del titolare. - Gli usi
consentiti del marchio altrui. - 1.4. Le eccezioni al diritto di utilizzazione esclusiva del marchio da
parte del titolare - Gli usi atipici del marchio altrui.
1.1 Le fonti
La
prima
parte
della
nostra
trattazione
avrà
ad
oggetto
le
prerogative del titolare del marchio e la tutela ad esse accordata nei
diversi ordinamenti presi in esame. Questi primi paragrafi saranno
dunque dedicati ad una panoramica delle fonti del diritto delle
legislazioni che ci troveremo ad analizzare, secondo quell'ottica
comparativa
che costituirà
uno dei punti focali della nostra
dissertazione. Dopo l'analisi delle fonti del diritto italiano in
materia di marchi, verrà compiuto un rapido accenno a quello di
altri paesi europei che, come vedremo, oggigiorno non differisce più
di molto dal nostro, per via di sempre più accentuati processi di
armonizzazione del diritto nell'area comunitaria. Proprio di questi
processi ci occuperemo nella successiva analisi delle fonti del
diritto dei marchi vigenti nella Comunità Europea, prendendo in
esame sia quelle fonti che hanno l'obbiettivo armonizzare i diversi
diritti nazionali, sia quelle che invece creano il c.d. Sistema del
marchio comunitario . Quindi volgeremo la nostra attenzione sulla
normativa statunitense e sulla sua evoluzione nel corso del tempo.
7
Infine ci concentreremo sulle normative transazionali in tema di
marchi, emanate con l'obbiettivo di creare uno standard minimo di
protezione dei diritti dei loro titolari, al di là di quelle esclusioni,
dovute a ragioni di ordine territoriale, che caratterizzano le fonti di
tipo regionale.
1.1.1. In Italia e in Europa
La prima legge emanata in Italia per regolare la materia dei marchi
risale alla seconda metà del 1800, quando anche molti altri paesi
europei cominciarono a disciplinare questo settore. 1 4 Emanata nel
1868 1 5 dal neonato Regno d'Italia, questa legge fu sostituita nel
1942 con il R.D. n. 929 del 21 giugno, altresì denominato Legge
Marchi. Nel medesimo anno vide la luce il nuovo Codice Civile, che
si occupa di marchi negli articoli che vanno dal 2569 al 2574. Con
queste innovazioni, lo sviluppo legislativo in Italia in questo
settore,
raggiunse
l'obbiettivo
di
una
completa
ed
organica
disciplina. Per diverso tempo questa disciplina rimase invariata, 1 6
ma, nel corso degli ultimi venticinque anni, si è dovuta adattare al
nuovo mondo della comunicazione globale, dove i marchi (ed in
particolar modo i marchi c.d. famosi) 1 7 hanno guadagnato un
14 La ad esempio Germania provvedette a regolare il diritto dei marchi attraverso la Gesetz der
Markenschutz del 1874, mentre in Francia vi si era già provveduto nel 1857. Per quanto
riguarda invece il Regno Unito la completezza per quanto riguarda la legislazione in tema di
marchi verrà raggiunta solo nel 1905 con il Trademark Act preceduto dal Merchandise Marks
Act del 1862 e dal Trademark Registration Act del 1875. Per una più attenta analisi
dell'evoluzione del diritto britannico in tema di marchi v. W. CORNISH, D. LLEWELYN, T. APLIN,
Trade Marks and Names in Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marks and Allied
Rights, Sweet & Maxwell, 2010, pag. 640 ss.
15 L. 4577 del 30 agosto 1868.
16 V. A. VANZETTI , V. DI CATALDO, Manuale di Diritto Industriale, Giuffrè, Milano, 2009, pag. 146.
17 Categoria di cui ci occuperemo diffusamente nel corso della nostra trattazione. v. 1.2.3.3.
8
insostituibile ruolo nel moderno capitalismo globalizzato 1 8 al fine di
attrarre gli appetiti dei consumatori. 1 9
Per questa ragione il mondo imprenditoriale, e soprattutto le grandi
aziende multinazionali, 2 0 hanno avanzato forti richieste per ottenere
una sempre più ampia e forte protezione del marchio.
In risposta alle suddette sollecitazioni, nel corso degli ultimi
venticinque anni, organizzazioni regionali ed internazionali hanno
emanato nuove normative, col fine, sia di armonizzare le differenti
leggi nazionali sui marchi, 2 1 sia di costituire sistemi di registrazione
del marchio di tipo regionale 2 2 o internazionale, 2 3 nel tentativo di
fornire leggi globali ad un mondo sempre più globalizzato.
Sulla
scia
di
questi
cambiamenti
internazionali
e
regionali,
possiamo quindi testimoniare tre riforme avvenute in Italia durante
gli anni Novanta.
In primo luogo il d.lgs. n. 480 del 4 dicembre 1992 2 4 che attua la
Direttiva europea n. 89/104 del 21 dicembre 1988. Abbiamo poi il
d.lgs. n. 198 del 19 marzo 1996 che ratifica l'accordo TRIPs del
1994 ed infine il d.lgs. n. 447 dell'8 ottobre 1999 che attua il
Protocollo di Madrid del 1989.
Inoltre nel 2005 è stato emanato il
Codice della Proprietà
industriale (CPI), attraverso il d.lgs. n. 20 del 10 febbraio 2005, al
18 V. 1.2.1 .
19 V. W. CORNISH, D. LLEWELYN, T. APLIN, Trade Marks and Names in Intellectual Property:
Patents, Copyright, Trade Marks and Allied Rights, supra nota 14, pag. 640 “As modern
capitalism has grown, the drive to sell products and services using brand or name has invaded
more and more fields. [...] Most advertising teaches the consumer to buy by product mark or
house name and keeps reiterating its message in the hope of persuading buyers not to defect to
rivals. Trade marks and names have become nothing more nor less than the crux of
marketplace competition.”
20 Per un'analisi del ruolo delle multinazionali come attori della governance v. O. PORCHIA, Gli
Attori del Processo di Globalizzazione dell'Economia, in A. COMBA, Neoliberismo
Internazionale e Global Economic Governance, Giappichelli Editore, Torino, 2008, pag. 39 ss.
21 E' l'obbiettivo perseguito, per quel che riguarda gli Stati membri della Comunità Europea, dalla
Direttiva 89/104 del 1988 che analizzeremo i n 1.1.3.
22 Nei territori della Comunità Europea ciò avviene attraverso il Regolamento 40/94 del 1993 di
cui ci occuperemo in 1.1.3.
23 E' l'obbiettivo perseguito dall'accordo TRIPs emanato in sede WTO nel 1994; v. 1.1.3.
24 Per una sua diffusa disanima, articolo per articolo, si rimanda a: A. VANZETTI, C. GALLI, La
Nuova Legge Marchi, Giuffrè, Milano, 2001.
9
fine di riordinare la materia, dandole unità e coerenza. 2 5
Per quanto riguarda le normative in vigore nei principali paesi
europei, possiamo da subito notare come esse non differiscano di
molto dalla normativa italiana. Ferme restando alcune differenze,
talune delle quali saranno oggetto di analisi nel corso della nostra
trattazione, 2 6 è necessario evidenziare sin da subito come le
legislazioni dei paesi comunitari seguano tutte le stesse linee guida
e gli stessi principi. Questi, difatti, sono stati enunciati dalla
Direttiva della Comunità Europea n. 89/104, emanata col preciso
fine di armonizzare le diverse normative degli stati membri, come
vedremo nel seguente paragrafo.
Detto ciò, ciascuno stato membro della Comunità Europea è dotato
di una propria normativa in tema di marchi; possiamo ad esempio
citare la Markengesetz del 1994 in Germania, il Code de la
Propriété Intellectuelle del 1992 in Francia (che si occupa dei
marchi nella sua seconda parte chiamata Code de la Propriété
Industrielle ), la Convention Benelux en materie d e Propriété
Intellectuelle , che è entrata in vigore nel 2007 in Belgio, Olanda e
Lussemburgo, il Trade Mark Act (TMA), emanato nel 1994 nel
Regno Unito. 2 7
Le sopracitate normative, che, come possiamo notare, sono tutte
state
promulgate
successivamente
alla
Direttiva
89/104,
sono
caratterizzate da una marcata somiglianza tra di loro, in quanto si
25 V. G. FLORIDIA, Il Codice della Proprietà Intellettuale: Genesi, Finalità, Struttura in P. AUTERI,
G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà
Intellettuale e Concorrenza, Giappichelli, Torino, 2009, pag. 50 ss.
26 V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 723 “In certain areas,
however, it was decided that harmonization was not necessary. Consequently, member states
are given discretion to decide whether to adopt certain of the rules provided for in the
Directive. For example, there are certain optional grounds for refusing to register or
invalidating a trade mark. The Directive also leaves to the member states matters such as the
procedure concerning the registration, revocation, and invalidity of trade marks.” Un'altra
differenza riguarda poi, ad esempio, la legittimazione attiva del licenziatario a proporre azione
di contraffazione, di cui ci occuperemo in 1.2.2.
27 Per un'analisi più approfondita dello sviluppo del sistema britannico dei marchi v. W. CORNISH,
D. LLEWELYN, T. APLIN, Trade Marks and Names in Intellectual Property: Patents, Copyright,
Trade Marks and Allied Rights, supra nota 14, pag. 642 ss.
10
limitano
a
trasporre 2 8
la
suddetta
Direttiva
all'interno
delle
legislazioni nazionali, creando così un sistema uniforme in Europa
per quel che riguarda i diritti del titolare del marchio e la loro
protezione.
Per questa ragione non si ritiene in questa sede necessario
analizzare in profondità le varie normative degli stati europei.
1.1.2. Le fonti comunitarie
Le fonti emanate in seno alla Comunità Europea delle quali ci
occuperemo sono la Direttiva 89/104 e il Regolamento 40/94.
Entrambe sono state recentemente sostituite, senza l'apporto di
sostanziali modifiche, rispettivamente dalla Direttiva 2008/95/CEE,
entrata in vigore il 28 novembre 2008 e dal Regolamento 207/2009,
entrato in vigore il 26 febbraio 2009.
La prima normativa comunitaria ad occuparsi di marchi è la
Direttiva
89/104/CEE
all'armonizzazione
delle
del
21
dicembre
legislazioni
degli
1989,
Stati
finalizzata
membri.
L'avvicinamento delle diverse normative nazionali in materia di
marchi
costituisce
una
delle
finalità
di
questa
Direttiva,
congiuntamente al rafforzamento della tutela dei diritti del titolare
del marchio, 2 9 che traspare, ad esempio, dall'introduzione della
categoria del marchio notorio, protetto in quanto tale, di cui ci
28 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, Wolters Kluwer
International, Alphen aan den Rijn, 2010, pag. 23 “member states have transposed the
Trademark Directive into their national laws, meaning that the trademark rights in question
are obtained under national law by registration with the national trademark register.”
29 Riguardo al rafforzamento dei diritti del titolare del marchio possiamo parlare di “race to the
top” al fine di conseguire quel più alto livello di protezione garantito nei paesi del Benelux. v.
M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V.
MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e
Concorrenza, supra nota 2, pag. 59.
11
occuperemo nel proseguo della nostra trattazione. 3 0
Attraverso l'attuazione di questa Direttiva nell'impianto normativo
dei diversi Stati membri 3 1 è venuto dunque a crearsi un alto
standard comune di protezione del marchio 3 2 e dei diritti del suo
titolare, abbattendo così alcuni degli ostacoli rimanenti al libero
commercio di beni. 3 3
Qualche
anno
dopo
la
Direttiva
89/104,
venne
emanato
il
Regolamento n. 40/94 del 20 dicembre 1993, che introdusse il c.d.
marchio comunitario (Community Trademark System, CTM) nel
territorio degli stati della Comunità Europea, al fine di incoraggiare
gli imprenditori ad espandere la loro attività al di fuori dei confini
nazionali, in un più ampio contesto, contrassegnato da regole certe
ed uniformi. Dal 1 aprile 1996 (da quando cioè l'OHIM 3 4 è divenuto
operativo) è quindi possibile registrare 3 5 un marchio come marchio
comunitario, in modo tale che vengano garantiti al suo titolare gli
stessi diritti e la medesima protezione all'interno di tutti gli Stati
membri. Anche per quel che riguarda gli effetti della registrazione,
30 V. 1.2.1 e i n 1.2.3.3.
31 Come abbiamo visto in 1.1.1. negli anni successivi all'emanazione della suddetta direttiva tutti
gli stati membri hanno riformato le loro leggi nazionali, per renderle compatibili con quanto da
essa previsto.
32 V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, Oxford University Press, 2003, pag. 40
“It demands that its signatories adopt a common standard for their respective national laws,
this standard consisting both of compulsory and optional legal norms”. V. anche L. BENTLY, B.
SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 723 ss.
33 V. A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, New Horizons in Intellectual
Property, Edward Elgar, 2011, pag.7-8 “The preamble to the Directive indicates that disparities
in the trademark laws of the Member States may have impeded such economic goals of the
European Union as the free movement of goods, the freedom to provide services and the proper
functioning of internal market and they may have distorted competition within the common
market. In many of its judgment the ECJ has interpreted and developed the provisions of the
Directive by reference to these goals and in particular to the goal of achieving a system of
undistorted competition”. V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra
nota 1, pag. 723.
34 L' OHIM (Office for Harmonization in the Internal Market) con sede ad Alicante (Spagna) ha il
compito di amministrare il registro del marchio comunitario. Per un analisi della struttura di
questo ufficio v. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s
Law of Trade Marks and Trade Names, Sweet & Maxwell, London, 2005, pag. 94 ss.
35 La registrazione avviene, secondo l'art. 25 del Regolamento, attraverso il deposito della
domanda presso l'OHIM o presso l'Ufficio nazionale Marchi e Brevetti che provvederà a
inoltrarlo all'OHIM.
12
della revocazione e del trasferimento, questi vengono prodotti in
tutto il territorio comunitario. 3 6
Per quanto poi concerne la giurisdizione in caso di controversie
legate ad un marchio comunitario, questa spetta alle c.d. CTM
courts, che altro non sono che tribunali nazionali designati dalle
autorità degli Stati membri, che dovranno applicare il suddetto
Regolamento. 3 7
E' poi necessario menzionare il ruolo della Corte di Giustizia
Europea in questo sistema. Come afferma l'art. 267 del Trattato sul
funzionamento dell'Unione Europea (ex art. 234 del Trattato della
Comunità
Europea),
la
Corte
di
Giustizia
è
competente
a
pronunciarsi, in via pregiudiziale, sull'interpretazione del suddetto
Trattato, sulla sua validità e sull'interpretazione degli atti delle
istituzioni comunitarie e della BCE. Inoltre questa competenza
pregiudiziale si esplica anche con riguardo all'interpretazione degli
statuti creati con atto del Consiglio, quando ciò sia previsto dallo
36 Art.1, para. 2 r.m.c dove si afferma che il marchio comunitario “può esser registrato,trasferito,
formare oggetto di rinuncia, di una decisione di decadenza dei diritti del titolare o di nullità e
il suo uso può esser vietato solo per la totalità della Comunità.” V. G. SENA, Il Diritto dei
Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, Giuffrè, Milano, 2007, pag. 10; v. D.
KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING , Kerly’s Law of Trade Marks
and Trade Names, supra nota 34, pag. 92
37 Queste corti devono essere designate dagli Stati Membri come l'art. 95 del Regolamento
207/09 afferma “Gli Stati membri designano nei rispettivi territori un numero per quanto
possibile ridotto di tribunali nazionali di prima e di seconda istanza, qui di seguito denominati
«tribunali dei marchi comunitari», che svolgeranno le funzioni a essi attribuite dal presente
regolamento." L'art. 96 dichiara che “I tribunali dei marchi comunitari hanno competenza
esclusiva: a) per tutte le azioni in materia di contraffazione e, qualora siano contemplate dalla
legislazione nazionale, per le azioni relative alla minaccia di contraffazione di marchi
comunitari; b) per azioni di accertamento di non contraffazione qualora siano contemplate
dalla legislazione nazionale; c) per tutte le azioni intentate in seguito a fatti di cui all’articolo
9, paragrafo 3, seconda frase;d) per domande riconvenzionali di decadenza o di annullamento
del marchio comunitario di cui all’articolo 100.” Le Corti che si trovano ad aver giurisdizione
per quanto riguarda questioni inerenti al marchio comunitario sono in realtà le stesse che hanno
giurisdizione per le questioni riguardanti i marchi nazionali. V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a
Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 50 “The CTM courts of the Member States are also
their national trade marks courts; when CTMs are litigated, these courts apply the CTM
Regulation as far as possible but, where it is silent, the courts apply national rules on
procedure and evidence as well as national rules on remedies and enforcement”. Ad esempio,
in Italia, le corti che hanno giurisdizione sono le “Sezioni specializzate dei Tribunali e delle
Corti d'Appello”. V. a proposito: G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio
Comunitario, supra nota 36, pag. 34 ss.
13
statuto stesso. 3 8
Quindi,
nel
momento
in
cui
il
giudice
nazionale
consideri
necessario sollevare alla Corte di Giustizia Europea una questione
sull'interpretazione
del
succitato
Regolamento
(o
della
summenzionata Direttiva), il processo in corso davanti al tribunale
nazionale verrà sospeso, fintanto che la Corte
non avrà stabilito
quale sia l'interpretazione che dovrà esser seguita. 3 9
Possiamo inoltre notare come la disciplina dettata Regolamento
40/94 ricalchi in gran parte quanto previsto dalla Direttiva 89/104. 4 0
Il sistema CTM è stato creato in modo da coesistere col sistema
nazionale di registrazione; 4 1 quindi, a partire dal 1996, un soggetto
che voglia registrare un marchio potrà optare per una registrazione
di tipo comunitario o nazionale, a seconda delle sue esigenze e
38 Art. 267 TFUE “La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via
pregiudiziale: a) sull'interpretazione dei trattati; b) sulla validità e l'interpretazione degli atti
compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione. Quando una questione
del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale
organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una
decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione. Quando una
questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale
nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto
interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte. Quando una questione del
genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e
riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente
possibile.”
39 V. G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36,
pag. 38 ss.
40 V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N. ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto Industriale, in
Trattato di Diritto Commerciale, diretto da G. COTTINO, Cedam, Padova, 2001, pag. 126 ss.
“Sotto il profilo sostanziale, la disciplina del marchio comunitario è stata ricalcata su quella
della direttiva ed è dunque in linea di massima corrispondente a quella dettata dal d.lgs. n.
480 del 1992 che tali regole ha trasfuso nella nostra legislazione interna”. Comunque sia vi
sono delle differenze tra la Direttiva 89/104 e il Regolamento che nello stesso Abriani vengono
indicate come “marginali”. Per la loro trattazione si rimanda al testo al succitato testo, pag. 126
ss.
41 V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N. ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto Industriale, in
Trattato di Diritto Commerciale, diretto da G. COTTINO, supra nota 40, pag. 126 “Il
Regolamento comunitario prevede peraltro che il marchio comunitario coesista con i segni
nazionali, così da offrire alle imprese l'alternativa tra la registrazione di un marchio nazionale
(o di una pluralità di marchi nazionali) oppure di un marchio comunitario.” V. anche G. SENA,
Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 10, J.
PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 50; è inoltre possibile
ottenere la registrazione dello stesso marchio sia come marchio nazionale che come marchio
comunitario; v. ibid. pag. 50 “There in no reason why the same trade-mark may not be
separately registered by the same proprietor as a CTM and under national law.”
14
prospettive.
1.1.3. Negli Stati Uniti
Per analizzare le fonti del diritto dei marchi statunitense, è
necessario partire da una constatazione: a differenza di quanto
previsto
per
i brevetti
e
il
diritto
d'autore,
che
trovano
il
fondamento della loro protezione federale nella Costituzione, 4 2 i
marchi non godono di alcuna esplicita tutela a livello costituzionale.
Una protezione di tipo federale dei diritti del marchio, in aggiunta a
quella statale, viene però fatta derivare, dallo stesso art. 1.8 della
Costituzione, all'interno del quale trova fondamento la tutela
costituzionale per brevetti e invenzioni. Questo articolo conferisce
difatti al Congresso il potere di regolare il commercio sia con i
paesi stranieri che tra i diversi stati confederati, 4 3 garantendo, in
questo
modo,
quest'ultimo
una
protezione
federale
venga
utilizzato
nel
al
marchio,
commercio
nel
caso
inter-statale
o
internazionale.
La fonte legislativa dell'attuale normativa federale in tema di
marchi è il Lanham Act (che costituisce il titolo quinto, capitolo
dodicesimo del United States Code ) emanato nel 1946.
Data la natura di common law del sistema americano, possiamo
notare come il Lanham Act costituisca una codificazione 4 4 sia della
nozione di marchio (ispirata tra l'altro dalla nozione britannica), 4 5
42 Art. 1 s.8 U.S. Constitution “The Congress shall have power [...] to promote the progress of
science and useful arts, by securing for limited times to authors and inventors the exclusive.”
43 L'art.1 s.8, della Costituzione statunitense dà al Congresso il potere di“to regulate commerce to
foreign nations and among the several States and with the Indian tribes.”
44 Il Lanham Act non costituisce comunque sia la prima codificazione di questa nozione da parte
del diritto statunitense, in quanto preceduto dal Federal Trademark Act del 1870, che incontrò
problemi dal punto di vista della compatibilità costituzionale e fu quindi abolito e sostituito dal
una nuova legge del 1881.
45 V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, Wolters Kluwer International, Alphen aan den Rijn, 2011,
15
sia di diritti concepiti in seno a questo stesso sistema, ai quali viene
data una protezione che si estende all'interno dei confini del
territorio nazionale. Ciò non toglie che, attraverso il Lanham Act e i
suoi successivi emendamenti, siano stati introdotti principi estranei
al common law, 4 6 come, ad esempio, il concetto di diluizione, che
grande importanza rivestirà nel corso della trattazione.
Negli anni successivi alla sua promulgazione il Lanham Act è stato
oggetto di numerose riforme e ampliamenti, col fine di adattare la
protezione del marchio alle nuove esigenze.
Gli emendamenti che più da vicino riguardano la materia della
nostra trattazione sono: in primo luogo il Federal Trademark
Dilution Act (FTDA), emanato nel 1995, che introduce il concetto di
diluizione
nel
sistema
normativo
americano,
conferendo
una
protezione ai marchi c.d. famosi. Ci occuperemo più avanti 4 7 di
esaminare a fondo la nozione di diluizione e la sua evoluzione,
anche alla luce del Trademark Anti-Dilution Revision A ct (TDRA)
che vide la luce nel 2006, a seguito della decisione della Corte
Suprema sul caso Moseley 4 8 ed apportò importanti modifiche che
analizzeremo a tempo debito.
Altra
norma
che
ci
troveremo
ad
esaminare
a
fondo
è
lo
Anticybersquatting Consumer Protection Act (ACPA) del 1999, che
estende la
protezione
normativa sul marchio al mondo di Internet, dando
al
cybersquatting ,
titolare
un
di
nuovo
questo
contro
fenomeno,
i
pericoli
cresciuto
di
del
pari
c.d.
passo
pag. 290 “The American concept of trademark law followed this English common law notion.”
46 V. ibid. “Although the Lanham Act was primarily intended as a registration statute codifying
common law rights, in reality, the Act has engendered the creation of rights that were not
widely accepted at common law: a right of incontestability and now dilution.”
47 V. 2.4.3.
48 Moseley v. V. Secret Catalogue, Inc., U.S. Supreme Court, 4 marzo 2003; v. J.A. HOFRICHTER,
Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark
Dilution Revision Act 2006, Cardozo law Review, 2007, pag. 1938 “The Trademark Dilution
Revision Act of 2006 was proposed largely to clear up the uncertainties surrounding the
application of the federal trademark dilution statute, and specifically to respond to the
Moseley decision requiring proof of actual dilution.” Del caso Moseley e della riforma attuata
attraverso il TDRA ci occuperemo più approfonditamente in 3.5.1.
16
all'espansione del web, che analizzeremo con dovizia di particolari
più avanti. 4 9
Per adattare la disciplina americana alle normative transazionali
sono stati adottati nel corso degli anni diversi atti tra cui: l' Uruguay
Round Agreement Act, che modifica il Lanham Act per renderlo
compatibile
con
l'accordo
TRIPs, 5 0 il
Trademark
Law
Treaty
Implementation Act del 1998, che ratifica la normativa sulla
registrazione
internazionale
attraverso
Trattato
il
sul
del
diritto
marchio
dei
emanata
marchi , 5 1
e
nel
il
1994
Madrid
Implementation Act che dà effetto alle novità introdotte dal
Protocollo di Madrid del 1999.
In aggiunta alla protezione a livello federale, ogni singolo stato
della confederazione è poi dotato di una sua propria legislazione, a
protezione di quei marchi che non sono utilizzati nel commercio tra
i diversi stati. 5 2 Tra gli atti di origine statale possiamo citare gli
State Trademark Protection Statutes , 5 3 i Deceptive Trade Practices
Statutes 5 4 e gli State Dilution Statutes . 5 5
49 V. 3.3.
50 Di cui ci occuperemo in 1.1.4.
51 Em anat a nel 1994 at t raverso il T ratt at o sul di ri t t o dei marchi s iglato a Ginevra
nel 1994. V. 1.1.4.
52 V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 305 “The purpose of state trademark
statutes is to protect marks that are not utilized sufficiently to be deemed used in interstate
commerce for the purposes of Lanham Act. That is, the state statutes operate as a fallback
position for most trademark owners in the event they fail to obtain protections granted in
federal court under the Lanham Act.”
53 Questi statuti vengono posti a protezione di quei marchi non sono usati a sufficienza nel
commercio inter-statale per poter usufruire delle garanzie offerte dal Lanham Act. La maggior
parte di questi State Statutes assicurano una tutela simile al Lanham Act in quanto sono in gran
parte basati sul modello del Model State Trade-mark Bill che conferisce una tutela che “non è
significativamente diversa da quella riconosciuta dal common law e dal Lanham Act.” V. S.W.
HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law:
Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 305.
54 Questi statuti invece si propongono di fornire gli strumenti adeguati alla lotta contro le pratiche
ingannevoli; la maggior parte di questi sono basati sul Model State Deceptive Trade Practices
Act.
55 Gli State dilution statutes conferiscono una protezione contro la diluizione a quei marchi che
non sono sufficientemente utilizzati nel commercio interstatale. Sono stati emanati da 38 stati
su 50 (tutti tranne: Colorado, Kent uck y , Maryland, Michigan, North Carolina, North Dakota,
Oklahoma, South Dakota, Utah, Vermont, Virginia, Wisconsin nei quali vige solamente la
tutela anti-diluitiva di stampo federale). Halpern mette in luce come possano sorgere problemi
17
Da citare, poi, l'Accordo NAFTA 5 6 tra Stati Uniti e Messico,
conclusosi nel 1992 che, tra i suoi molteplici obbiettivi, ha anche
quello di creare uno standard minimo comune di protezione del
marchio tra questi due paesi. 5 7
1.1.4. Transnazionali
Per quanto riguarda le fonti transazionali occorre precisare che
considereremo tali quelle norme emanate da organismi a carattere
sovranazionale (come ad esempio l 'Organizzazione Mondiale del
Commercio ), che possono esser adottate da qualsiasi nazione che lo
voglia, nel rispetto di determinate condizioni prefissate. Ciò a
differenza, quindi, delle fonti regionali che, in aggiunta al rispetto
di determinate condizioni, richiedono, per poter prendere parte agli
accordi da cui esse derivano, la collocazione all'interno di una
determinata area geografica.
La prima fonte a carattere transazionale è la Convenzione di Parigi
sulla Protezione della Proprietà Industriale (CUP), emanata nel
1883. Questo primo accordo internazionale sui marchi 5 8 indicò
tra i diversi statuti qualora non seguano le medesime linee guida, v. S.W. HALPERN, C.A. NARD,
K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent,
Trademark, supra nota 45, pag. 308 “some New York courts today require evidence of
confusion even thought the New York statute clearly dictates that dilution may be found
regardless of confusion while Illinois courts will refuse to find dilution if there is confusion […]
Therefore, New York courts require confusion while Illinois courts preclude dilution remedies
when there is confusion.”
56 Introdotto nel sistema statunitense attraverso il North American Free Trade Agreement
Implementation Act.
57 L'accordo NAFTA si occupa di marchi e proprietà intellettuale nella sua parte VI, cap. XVII
prevedendo, tra le altre cose, il riconoscimento da parte di Messico e Stati Uniti di alcune
convenzioni transazionali in materia (come la CUP ad esempio) e di alcune norme comuni in
tema di proprietà intellettuale e di marchi. A proposito v. art. 1708 NAFTA Agreement
58 La CUP non fu comunque solamente il primo accordo internazionale in materia di marchi, ma
anche in materia di brevetti, modelli di utilità, disegni e modelli industriali. Inizialmente fu
firmata da 11 stati (tra cui anche l' Italia) e, nel corso degli anni, subì diverse modificazioni
(Bruxelles 1900, Washington 1911, Aja 1925, Londra 1934, Lisbona 1958, Stoccolma 1967).
18
quelle linee guida che saranno seguite e sviluppate negli anni
successivi. La convenzione, che per prima istituì un sistema
internazionale di registrazione del marchio, difatti stabilì alcuni
principi in materia che saranno alla base di ogni successiva
normativa sovranazionale.
Tra questi ricordiamo il c.d. principio di assimilazione 5 9 (anche
detto traitement national ), il principio della c.d. protezione “telle
quelle”, 6 0 e la c.d. priorità unionista . Questa Convenzione prevede,
inoltre, la costituzione di uno standard minimo di protezione, il c.d.
trattamento unionista , che deve esser attuato da ogni stato membro
e può dar luogo alla disapplicazione di leggi nazionali, nel caso in
cui queste prevedano un livello di protezione inferiore da quello
indicato come adeguato al suddetto s tandard. 6 1
Non molti anni dopo l'emanazione della CUP, la materia della
registrazione internazionale dei marchi venne a costituire l'oggetto
dell' Arrangement di Madrid , concluso nel 1891, che semplifica il
sistema istituito dalla CUP. Un'ulteriore semplificazione delle
procedure di registrazione internazionale del marchio verrà poi
introdotta dal Protocollo di Madrid d el 1989. 6 2
Al giorno d'oggi vi aderiscono 173 stati.
59 V. artt. 2 e 3 CUP. Questo principio fa sorgere l'obbligo, per ogni paese firmatario, di concedere
al titolare del marchio (o a chi ne fa richiesta di registrazione) un trattamento non peggiore di
quello che viene di norma accordato ad un proprio cittadino; v. W. CORNISH, D. LLEWELYN, T.
APLIN, Trade Marks and Names in Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marks and
Allied Rights, supra nota 14, pag. 31 “The main technique for accommodating differences
between laws is the principle of national treatment which operates as a ground rule of Paris,
Berne and the UCC and now TRIPs: each Member State is obliged to grant nationals of the
other members the same rights as it accords to its own nationals.” Per un'esaustiva trattazione
di questa tematica si rimanda a N. PIRES DE CARVALHO, The TRIPs Regime of Trademarks and
Designs, Wolters Kluwer, 2011, pag. 124 ss.
60 V. art. 6 CUP. Questo principio assicura a chi abbia correttamente registrato un marchio nel
proprio paese d'origine, la registrazione “tale e quale” dello stesso marchio in uno qualsiasi
degli altri Stati membri.
61 V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V.
MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e
Concorrenza, supra nota 2, pag. 60.
62 Attraverso il suddetto Protocollo si dà la possibilità di ottenere la registrazione internazionale
di un marchio attraverso la richiesta all'Ufficio Marchi e Brevetti del paese d'origine; v. Art. 9
Protocollo “The international application shall be presented to the International Bureau by the
Office of origin”; v. anche J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32,
19
L'Arrangement di Madrid e il relativo Protocollo vengono quindi a
formare il c.d. Sistema di Madrid. 6 3 Le procedure burocratiche di
registrazione saranno poi rese ancor più agevoli attraverso il
Trattato sul diritto dei marchi conclusosi a Ginevra nel 1994. 6 4
Nel 1957 era stata nel frattempo introdotta una classificazione
merceologica internazionale dei beni e dei servizi attraverso
l'Accordo di Nizza. A seguito della conclusione dei negoziati
Uruguay Round in sede WTO, venne poi concluso a Marrakech, il 15
aprile 1994, l'accordo TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual
Property).
Questo
trattato
impegna
gli
Stati
firmatari
all'accettazione dell'accordo CUP del 1883, 6 5 ampliando così gli
pag. 44 “The Madrid Agreement and the Madrid Protocol provide a mechanism whereby,
starting with a single national trade mark registration or application, an applicant can obtain
protection in a multiplicity of countries”. V. anche sull'argomento G. SENA, Il Diritto dei
Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 11 ss. e pag. 25 ss; v.
anche M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G.
FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà
Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 60ss. Grazie al Protocollo di Madrid è inoltre
possibile far partire la protezione del marchio dalla data in cui ne era stata presentata domanda
presso l'Ufficio nazionale. V. art.9 (4) (iv) del Protocollo: “The International application shall
indicate or contain: […] where the applicant wishes, under the Paris Convention for the
Protection of Industrial Property, to take advantage of the priority of an earlier filing, a
declaration claiming the priority of that earlier filing, together with an indication of the name
of the Office where such filing was made and of the date and, where available, the number of
that filing, and, where the earlier filing relates to less than all the goods and services listed in
the international application, the indication of those goods and services to which the earlier
filing relates.”
63 Per una dettagliata descrizione del Sistema di Madrid e delle procedure per ottenere la
registrazione internazionale di un marchio si rimanda a: D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R.
MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34,
pag. 144 ss.; v. anche G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio
Comunitario, supra nota 36, pag. 25 ss.
64 Questo trattato introduce alcune novità tra le quali: l'estensione ai marchi di servizio della
protezione conferita dalla CUP ai marchi di fabbrica e la possibilità di registrare attraverso
un'unica domanda lo stesso marchio per più classi di beni.
65 v. G. MANDRINO, E. GRANZIERA, Gli Accordi Commerciali Multilaterali e Settoriali, in A. COMBA
Neoliberismo Internazionale e Global Economic Governance, Giappichelli Editore, Torino,
2008, pag. 141 “Invero in virtù del richiamo recettizio operato dal TRIPs, le disposizioni delle
convenzioni dallo stesso richiamate sono entrate a far parte degli obblighi che i membri sono
tenuti ad osservare accettando gli impegni assunti all'esito delle negoziazioni dell'Uruguay
Round.”; le norme citate dall'accordo TRIPs sono contenute nell'art. 2 del medesimo accordo:
“(1) In respect of Parts II, III and IV of this Agreement, Members shall comply with Articles1
through 12, and Article 19, of the Paris Convention (1967). (2). Nothing in Parts I to IV of this
Agreement shall derogate from existing obligations that Members may have to each other
under the Paris Convention, the Berne Convention, the Rome Convention and the Treaty on
Intellectual Property in Respect of Integrated Circuits.”
20
orizzonti di quello standard minimo di protezione stabilito a Parigi
più di cento anni prima. 6 6 All'accordo TRIPs aderirono infatti anche
molti paesi che non partecipavano alla
CUP, ma che erano
desiderosi di entrare a far parte del sistema dell' Organizzazione
Mondiale del Commercio in vista dei sostanziosi finanziamenti che
quest'ultima avrebbe potuto loro erogare. 6 7 L'adesione ai TRIPs (e di
conseguenza, come abbiamo visto, alla CUP) venne difatti posta
come condizione essenziale per l'ingresso nell'OMC e questo ha
portato
molti
paesi
del
Terzo
Mondo,
seppur
riluttanti
all'innalzamento del muro delle esclusive, a divenire anch'essi
firmatari dell'accordo. La finalità dei TRIPs consiste difatti nella
creazione di uno standard minimo di protezione che, riducendo le
differenze sul piano legislativo tra gli stati in materia di proprietà
intellettuale, elimini le barriere frapposte alla libera circolazione
delle merci. 6 8
66 V. W. CORNISH, D. LLEWELYN, T. APLIN, Trade Marks and Names in Intellectual Property:
Patents, Copyright, Trade Marks and Allied Rights, supra nota 14, pag. 647 “The TRIPs
agreement imposes an obligation on its participant states to apply the Paris Convention
standards relating to trademarks.” Per un'approfondita disamina dei rapporti tra TRIPs
Agreement e CUP v. N. PIRES DE CARVALHO, The TRIPs Regime of Trademarks and Designs,
supra nota 59, pag. 138.
67 V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V.
MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà intellettuale e
Concorrenza, supra nota 2, pag. 61.
68 Ciò d'altronde è evidente sin dal preambolo posto ai TRIPs Agreement “Desiring to reduce
distortions and impediments to international trade, and taking into account the need to
promote effective and adequate protection of intellectual property rights, and to ensure that
measures and procedures to enforce intellectual property rights do not themselves become
barriers to legitimate trade.” V. N. PIRES DE CARVALHO, The TRIPs Regime of Trademarks and
Designs, supra nota 59, pag. 74 “One of the most common misunderstandings about the TRIPs
Agreement is that its main objective is to enhance the protection of the intellectual property.
But it is not. The main- if not the only- objective of the TRIPs Agreement, actually, has raised
the standards (both substantive, that is, on rights conferred, and adjective, that is, on
enforcement measures) of intellectual property protection, but only in an incidental manner,
only as regards certain fields of intellectual property, and only as far as those standards
contribute to the objective of promoting free trade”.
21
1.2. Le prerogative del titolare del marchio e la loro protezione
Dall'indagine appena conclusa delle fonti del diritto dei marchi è
emerso come nel corso degli anni vi sia stato un rafforzamento e
un'uniformazione delle prerogative del titolare del marchio. Nei
seguenti paragrafi ci troveremo ad analizzare quali siano i diritti
spettanti al c.d. trademark holder e la tutela che i diversi
ordinamenti oggetto del nostro esame ad essi conferiscono. Al fine
di comprendere le ragioni sottostanti alla protezione di queste
prerogative, procederemo all'analisi delle loro basi razionali e
dell'evoluzione delle funzioni del marchio.
1.2.1. Le basi razionali della protezione: dalla protezione della
funzione distintiva alla tutela dell'investimento pubblicitario.
Nell'esaminare il fondamento logico della protezione del marchio
occorre primariamente compiere una divisione della materia: in
primo luogo procederemo all'analisi delle basi razionali di tipo
economico ed, in un secondo momento, ci concentreremo sulle
funzioni del marchio tutelate dalla legge e sul loro sviluppo.
Per facilitare la comprensione delle ragioni di ordine economico che
sottostanno la protezione del marchio, è necessario compiere un
rapido excursus storico, andando a ricercare le radici dell'attuale
sistema economico di tipo capitalistico, basato sul libero mercato e
sulla concorrenza tra le diverse imprese.
Uno dei padri nobili del pensiero liberista fu l'inglese Adam
Smith, 6 9 il quale, per descrivere quel quid che avrebbe permesso ad
69 A. SMITH, An inquiry into the nature and the causes of the wealth of nations, Pennsylvania State
22
un
mercato,
funzionare,
lasciato
coniò
libero
dall'oppressione
l'espressione,
poi
diventata
delle
regole,
celebre,
di
“ mano
invisibile ”. La mano invisibile , nel pensiero di Smith, è un qualcosa
di immateriale che fa in modo che, in un mercato libero, qualora
ogni individuo persegua il proprio personale vantaggio (ad esempio
l'imprenditore che produce beni spinto da una prospettiva di
guadagno), 7 0 automaticamente si creerà una situazione di armonia
nella quale l'egoismo di ognuno diverrà il benessere di tutti. In
questa situazione di equilibrio verrà raggiunto un optimum tra
domanda e offerta, i prezzi saranno mantenuti a un livello ottimale
ed un'alta efficienza sarà associata a bassi costi.
Pur se la ricorrenza di crisi economiche ha mostrato che un mercato
privo di regole, come quello teorizzato da Smith, possa esser foriero
di
pericolose
conseguenze,
molti
dei
paradigmi
del
pensiero
liberista continuano ad essere attuali. 7 1
La c.d. scuola di Chicago cominciò poi ad applicare la teoria
economica dei costi-benefici al mondo dei marchi: la tutela del
marchio venne considerata auspicabile e necessaria, quindi, solo
qualora i benefici avessero superato le conseguenze negative,
dettate dalla protezione stessa, ed i suoi costi. 7 2
Gli economisti riconoscono l'importanza dei marchi per due ragioni
diverse: in primo luogo perché facilitano la comunicazione tra
impresa e consumatori ed, in seconda istanza, in quanto incentivano
gli imprenditori a mantenere costante il livello qualitativo dei loro
prodotti. 7 3
University, 2005.
70 V. ibid., pag. 364 “By pursuing his own interest, he (the producer n.d.r.) frequently promotes
that of the society more effectually than when he really intends to promote it.”
71 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28,
pag. 45.
72 V. ibid. “Trademark rights should be granted if the benefits of granting a certain type of trademark protection outweigh possible negative consequences or costs.”
73 V. ibid. “In the line of that school of thought (the School of Chicago, n.d.r.) trade-mark rights
are seen as important instruments in facilitating market communication and in providing
incentives to producers to provide high quality and constant quality goods and services.”
23
Riguardo alla prima di queste ragioni, gli economisti considerano
l'obbiettivo di un equilibrio economico raggiungibile solo qualora
gli attori del libero mercato siano dotati di informazioni complete a
fondamento delle loro decisioni.
Una situazione di perfetta informazione è di per sé irrealizzabile, 7 4
ma i marchi possono migliorare questo sistema dando informazioni 7 5
sui prodotti e riducendo così il c.d. “ search cost”. 7 6 Il costo di
ricerca è il costo che il consumatore deve sopportare nel ricercare
beni
che
rispondano
alle
proprie
esigenze.
Fornendo
un
collegamento tra il bene e la sua origine, attraverso le informazioni
che mette a disposizione, il marchio riduce, in questo modo, i costi
di ricerca per il consumatore. 7 7 Inoltre, sempre a questo proposito,
74 V. ibid., pag. 46 “Economic equilibrium in a freely competitive situation can only be achieved
if market participants can make decision based on perfect information. Such perfect
information must be quantitatively and qualitatively sufficient, readily available, efficiently
structured and reliable. In real life, however, a situation of perfect information is
unattainable.”.
75 V. G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36,
pag. 45 “Il marchio, che contraddistingue, che dà nome, a prodotti e servizi, è uno strumento
essenziale di comunicazione fra le imprese ed i consumatori e consente, attraverso la
identificazione e la differenziazione dei beni, l'informazione e le scelte del mercato: strumento
di comunicazione, informazione e concorrenza.”
76 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28,
pag. 46 “Search cost theory focuses on the fact that reliable trademarks are a significant aid
improving the information situation of consumers.” V. anche S.L. DOGAN, M.A. LEMLEY, A
search-cost theory of limiting doctrines in trademark law in G.B. DINWOODIE, M.D. JANIS,
Trademark Law and Theory, A Handbook of Contemporary Research, Edward Elgar, 2008,
pag. 67 “In economic terms, trademarks contribute to economic efficiency by reducing
consumer search costs. Rather than having to inquire into the provenance and qualities of
every potential purchase, consumers can look trademarks as shorthand indicators […]
Consumers benefit because they don't have to do exhaustive research or even spend extra time
looking at labels before making a purchase; they can know, based on a brand name, that a
product has the features they are seeking.” V. anche R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual
Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 547 “One of the
principal ways that it does this is by reducing search costs, the time energy, and money spent
by consumers in identifying products that will suit their needs”; per una completa analisi dei
search costs v. anche A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33,
pag.136 ss.
77 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28,
pag. 45 ss.; A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33, pag.
136ss.; S.L. DOGAN, M.A. LEMLEY, A search-cost theory of limiting doctrines in trademark law
in G.B. DINWOODIE, M.D. JANIS, Trademark Law and Theory, A Handbook of Contemporary
Research, supra nota 76, pag. 66 ss.
24
se dopo la sua prima esperienza con un prodotto il consumatore si
riterrà soddisfatto, con molta probabilità reitererà l'acquisto del
medesimo prodotto a lui riconoscibile attraverso il marchio.
L'altra base economica per la tutela del marchio è la teoria della
efficienza dinamica (Dynamic Efficiency Theory). 7 8 Questa teoria
afferma che, garantendo la protezione del marchio, gli imprenditori
risulteranno motivati a investire per migliorare la qualità dei propri
prodotti o per mantenerla invariata, per non metter a rischio quella
reputazione, conseguita nel corso degli anni, anche attraverso
cospicui investimenti, di cui godono i loro prodotti. 7 9
Pare infatti ovvio che, se chiunque potesse liberamente usare un
marchio, il titolare di quest'ultimo non sarebbe desideroso di
investirvi, in quanto non otterrebbe un'adeguata remunerazione del
suo investimento. 8 0
Le
ragioni
economiche
ora
analizzate
costituiscono
le
basi
sottostanti alla tutela che la legge conferisce a determinate funzioni
dei marchi.
78 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28,
pag. 47 ss.
79 V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V.
MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e
Concorrenza, supra nota 2, pag. 64 “Pare ovvio che, accordando a ciascuna impresa la
possibilità di contrassegnare i beni da essa messi in commercio, si fornisce un formidabile
incentivo a offrire beni di qualità costante.” V. anche S.L. DOGAN, M.A. LEMLEY, A search-cost
theory of limiting doctrines in trademark law in G.B. DINWOODIE, M.D. JANIS, Trademark Law
and Theory, A Handbook of Contemporary Research, supra nota 76, pag. 69 “Informed
consumers will make better informed purchases which will increase their overall utility and
push producers to develop better quality products.” V. A. GRIFFITHS, An Economic Perspective
on Trademark Law, supra nota 33, pag. 60 “[..]there is a scope for the trademark owner to
raise the quality of the marked products or alter their characteristics on a way that it
calculates to increase their appeal to consumers, albeit with the risk that the change does not
have desired effect.” V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of
Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 547; v. L. BENTLY, B. SHERMAN,
Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 718.
80 Un buon esempio di ciò viene dato da Sakulin in W. SAKULIN, Trademark Protection and
Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom
of Expression under European Law, supra nota 28, pag. 47-48 “For example, trader A, who
produces a high quality instant coffee under the trademark X can charge a higher price than
trader B who produces lower quality instant coffee under the brand Y. If Trader B were
allowed to use trademark X, consumers could no longer differentiate between the products.
Trader A would consequently have little incentive to produce high quality coffee.”
25
In ambito europeo, secondo quello che viene definito “ approccio
classico”, 8 1 due sono le funzioni del marchio meritevoli di tutela: la
funzione distintiva e la funzione di identità dell'origine.
La funzione distintiva serve a differenziare un determinato prodotto
da un altro dello stesso tipo. Attraverso il marchio infatti, un
consumatore può distinguere, ad esempio, un computer della Acer da
tutti gli altri computer disponibili sul mercato. 8 2 Connettendoci con
l'analisi
economica
della
protezione
condotta
in
precedenza,
possiamo notare come la funzione distintiva riduca quindi i costi di
ricerca. 8 3 Se il consumatore aveva in precedenza acquistato un
computer Acer e si era ritenuto soddisfatto, con molta probabilità
egli, in caso di bisogno, reitererà l'acquisto e ciò sarà a lui possibile
tramite il potere del marchio di distinguere i computer di quella
determinata azienda da quelli di altre case. 8 4
La funzione distintiva è inoltre strettamente collegata alla funzione
di identità dell'origine. 8 5
Il marchio, infatti, indica al consumatore che un certo bene è stato
prodotto sotto il controllo di una determinata impresa e non di
un'altra, assicurandolo così per quel che riguarda la fonte del
bene. 8 6
81 V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V.
MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e
Concorrenza, supra nota 2, pag. 64.
82 V. G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36,
pag. 46 “Il marchio è un segno che, apposto ad un oggetto o comunque riferito ad un servizio,
percepito e memorizzato dal pubblico, consente di distinguere i prodotti e i servizi marcati da
quelli che tale segno non hanno o hanno segno diverso: si può dire dunque che il marchio è
essenzialmente un segno distintivo.”
83 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28,
pag. 38 “The product distinction function and its “flip-side” the source identification function
are thus of major importance to economic competition because they enormously simplify
economic decision making.”
84 V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 718 “The information
provided by trade marks is particularly important in relation to goods that a consumer cannot
judge merely through inspection. (These are known as 'experience goods').”
85 V. supra nota 80 a proposito della funzione di identificazione dell'origine è da considerarsi per
Sakulin come una “flip side”, ossia una seconda facciata della funzione distintiva.
86 V. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade
26
Questa concezione è espressa dall'art. 2 della Direttiva 2008/95/CEE
che, nel definire cosa possa esser oggetto di registrazione come
marchio, indica anche quali siano le funzioni del marchio:
“Possono costituire marchi di impresa tutti i segni che possono
essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i
nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma del prodotto
o il suo confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti a
distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre
imprese”
Funzione distintiva e di garanzia dell'identità d'origine sono poi
facilmente riscontrabili nella giurisprudenza della Corte di Giustizia
Europea i cui giudici, nella sentenza Arsenal v. Reed, si spingono a
individuarle come “ essential function ”:
“In tale prospettiva, la funzione essenziale del marchio consiste nel
garantire al consumatore o all'utilizzatore finale l'identità di
origine del prodotto o del servizio contrassegnato dal marchio,
consentendo loro di distinguere senza confusione possibile questo
prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa. Infatti,
per poter svolgere la sua funzione di elemento essenziale del
sistema di concorrenza non falsato che il Trattato intende istituire e
mantenere, il marchio deve costituire la garanzia che tutti i prodotti
o servizi che ne sono contrassegnati sono stati fabbricati o forniti
sotto il controllo di un'unica impresa alla quale possa attribuirsi la
responsabilità della loro qualità ” 8 7
Marks and Trade Names, supra nota 34., pag. 8, dove si parla di “badge of origin” per indicare
il marchio affermando che “it indicates the source or the trade origin of the goods or services
in respect of which it is used.” V. anche A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark
Law, supra nota 33, pag. 54 “A trade mark is supposed to provide a means of identifying and
distinguishing products as those of one undertaking.”
87 Arsenal Football Club plc v. Matthew Reed, C- 206/01, 12 novembre 2002, para. 48.
27
La funzione essenziale del marchio come come indicatore d'origine
e fattore di distinzione è stata in seguito più volte ribadita dalla
Corte di Giustizia, come, ad esempio, nelle recenti sentenze
GoogleFrance 8 8 Interflora ed Ebay.89
Dall'altra parte dell'oceano la dottrina ha sottolineato, invece, come,
oltre alla identificazione della fonte dei beni e dei servizi, 9 0 il
marchio abbia anche un'altra funzione degna di tutela: la garanzia di
una costanza qualitativa dei beni e dei servizi (sulla cui sussistenza,
nel Vecchio Continente, si suole invece dubitare). 9 1
88 Google France SARL v. Louis Vuitton Mallettier (C- 236/08), Viaticum SA, Luteciel SARL (C237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL (C- 238/08) riunite, 23 marzo 2010, para. 82 “La fonction
essentielle de la marque est de garantir au consommateur ou à l’utilisateur final l’identité
d’origine du produit ou du service marqué, en lui permettant de distinguer ce produit ou ce
service de ceux qui ont une autre provenance.”
89 V. Interflora Inc. v. Marks & Spencer plc. Flowers Direct On-line, C- 323/09, 22 settembre
2011, para. 37 “The Court has concluded that the exercise of the exclusive right conferred by
the trade mark must be reserved to cases in which a third party’s use of the sign adversely
affects, or is liable adversely to affect, the functions of the trade mark, in particular its
essential function of guaranteeing to consumers the origin of the goods.” L'Oreal SA v. EBay
International AG, C- 324/09, 12 luglio 2011, para. 80 “In the second place, a trade mark, the
essential function of which is to provide the consumer with an assurance as to the identity of
the product’s origin, serves in particular to guarantee that all the goods bearing the mark have
been manufactured or supplied under the control of a single undertaking which is responsible
for their quality.” V. anche L'Oreal SA v. Bellure NV, C- 487/07, 18 luglio 2009, para. 58;
Adam Opel AG v. Autec AG, C- 48/05, 25 gennaio 2007, para. 21; Anheuser-Busch Inc. v.
Budejovický Budvar, národní podnik, C- 245/02, 16 novembre 2004, para. 59.
90 V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 309 “A trade-mark serves to identify
the source of goods and services.”
91 Mentre alcuna protezione viene data alla funzione di garanzia del livello qualitativo dei beni.
da parte della dottrina v. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio Ditta, Insegna, in P.
AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA , Diritto Industriale, Proprietà
Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 65 “Non è apparso necessario né opportuno
assegnare al marchio la funzione giuridica di garantire un livello qualitativo costante dei
prodotti da esso contraddistinti.” V. anche G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e
Marchio Comunitario, supra nota 36, pag. 50 “[...] con riferimento a una pretesa di funzione di
garanzia di costanza qualitativa del marchio. A tale tesi si è comunque da tempo negato
qualsiasi fondamento.” La giurisprudenza comunitaria pare aprire in alcune recenti sentenze a
questa funzione; v. ad esempio: L'Oreal SA v. Bellure NV, C- 487/07, 18 luglio 2009, para. 58,
e Google France SARL v. Louis Vuitton Mallettier (C-236/08), Viaticum SA, Luteciel SARL (C237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL (C- 238/08) riunite, 23 marzo 2010, para. 77; Griffiths
riconosce questa funzione del marchio, ma non fa derivare alcuna obbligazione riguardo al
mantenimento di una determinata qualità dei prodotti da parte del produttore, a meno che un
repentino abbassamento di questa non faccia si che l'uso del marchio diventi ingannevole per il
consumatore; v. A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33, pag.
56 “Thus, using a trademark to identify products does not entail any legal obligation to
maintain their quality or consistency as long as the trade mark does not become deceptive to
the consumers. However the owner of a trade mark has an economic incentive to meet or
28
Nel sistema nord-americano il marchio è quindi garanzia della
ripetizione della soddisfazione del consumatore, in forza della
costanza qualitativa dei prodotti da esso assicurata. 9 2
Nel corso degli ultimi venticinque anni il marchio, sia negli Stati
Uniti che in Europa, ha poi aumentato in maniera esponenziale la
sua importanza nell'orientare le scelte del consumatore e questo
anche grazie al ruolo giocato dalla pubblicità.
Il marketing ha infatti avuto in questi anni un'ascesa verticale,
diventando sempre più fondamentale nel decretare il successo di un
prodotto e modificando i propri paradigmi: a partire dagli anni '80 i
marchi vennero infatti colmati di valori e significati, in modo tale
che il consumatore potesse riconoscere se stesso, il suo modo di
essere, all'interno di un bene marcato. 9 3 Questo nuovo metodo,
foriero di successi per le aziende, comportò un cospicuo aumento
exceed the expectations of consumers concerning quality of marked products, but also has
discretion to whether or not to do so in practice.” V. G. TRITTON, Intellectual Property in
Europe, Thomson, Sweet & Maxwell, 2008, pag. 257 “Thus the essential function of a trade
mark is merely as guarantee of unitary control and not guarantee of quality. Trade marks do
not provide a legal guarantee of quality but consumers rely upon the economic self-interest of
trade mark proprietors to maintain the quality of products and services sold under a brand.”
92 V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 309-310 “In addiction of the
identification of source a trade mark represents the goodwill of a business. Goodwill
represents the reputation of the producer of goods and services. The consumer comes to rely
upon an established level of quality in purchasing a particular good or service.” V. anche J.
PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 26 ss.
93 V. ibid., pag. 27- 28 “Fashion trade-marks do much more than simply indicate the origin or the
quality of manufactured products. They enables consumers to buy goods which speaks to the
world and declare 'This is the sort of person that I am'. Thus by wearing clothes bearing
Benetton label a person declares: 'I am a Benetton person, with Benetton values' meaning ' I
am (or think I am) young, beautiful, affluent, stylish, not carrying any hang ups about race,
gender or politics and dedicated to the pursuit of my personal relationships with like-minded
people.” V. anche A. GRIFFITHS, An Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33,
pag. 149 “A trademark can go further and acquire an attractive image, becoming a symbol of
the values and attributes that make up this image. The trademark becomes a means of
signaling that the marked products have this image and even of conferring this image upon
them. This equivalent to giving the marked products intangible characteristics that increase
their appeal to consumers through engaging with their emotional or psychological needs and
desires.” V. anche W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry
into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law,
supra nota 28, pag. 7 ss. D'altronde per capire questo meccanismo è sufficiente prestare
attenzione alla pubblicità di alcuni beni che assurgono alla pretesa di diventare status symbol;
v. ad esempio gli slogans “No alle regole, no al conformismo, scegli...” o “Drive the change”
o “Il lusso è un diritto” legati agli spot pubblicitari di altrettanti modelli di auto.
29
degli investimenti 9 4 nel settore pubblicitario ed il conseguente
acquisto da parte del marchio di un nuovo importante ruolo: quel
“selling power”, 9 5 incorporato nel segno, frutto degli investimenti
pubblicitari effettuati che divennero meritevoli di una tutela legale,
sempre nell'ottica di quell'analisi costi-benefici compiuta all'inizio
del paragrafo.
In risposta a questo nuovo ruolo della promozione pubblicitaria e ai
consistenti investimenti compiuti, 9 6 in ambito comunitario venne
emanata la Direttiva 2008/95/CEE, che riconosce e protegge due
nuove funzioni del marchio: la funzione di investimento e la
funzione
pubblicitaria .
investimenti
compiuti
La
prima
riguarda,
dall'imprenditore
per
per
far
l'appunto,
acquisire
gli
o
mantenere al marchio di cui è titolare una determinata reputazione
presso i consumatori, come affermato dalla Corte di Giustizia nella
sentenza Interflora (“In addition to its function of indicating origin
and, as the case may be, its advertising function, a trade mark may
also be used by its proprietor to acquire or preserve a reputation
capable of attracting consumers and retaining their loyalty” ). 9 7 Per
quanto concerne invece la c.d.
funzione pubblicitaria, questa
riguarda, invece, la capacità del marchio di comunicare con il
consumatore e di persuaderlo all'acquisto di un determinato prodotto
94 Per quanto riguarda un'analisi dei crescenti investimenti compiuti nel settore del marketing
dalle multinazionali si rimanda a: N. KLEIN, No Logo, Economia Globale e Nuova
Contestazione, supra nota 5, pag. 25 ss.
95 V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N. ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto Industriale, in
Trattato di Diritto Commerciale, diretto da G. COTTINO, supra nota 40, pag. 26; A. GRIFFITHS, An
Economic Perspective on Trademark Law, supra nota 33, pag. 147 parla invece di marketing
power “The marketing power of trademark secures the owner's return on this additional
investment as well.”
96 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28,
pag. 10 “With soaring advertising and marketing costs, right holders perceived the need to see
their investments secured. […] With strong pressure from the industry, positive trademark law
and jurisprudence has expanded the scope of the trademark rights. European trademark law
protects the communicator function by protecting the distinctive character and repute of
trademarks against free-riding, blurring, and tarnishment.”
97 V. Interflora Inc. v. Marks & Spencer plc. Flowers Direct On-line, C- 323/09, 22 settembre
2011, para. 60.
30
o servizio, come affermato, ad esempio, nella sentenza Google
France (“La vie des affaires étant caractérisée par une offre variée
de produits et de services, le titulaire d’une marque peut avoir non
seulement l’objectif d’indiquer, par ladite marque, l’origine de ses
produits ou de ses services, mais également celui d’employer sa
marque à des fins publicitaires visant à informer et à persuader le
consommateur ”). 9 8 Anche se queste due funzioni possono talvolta
coincidere, in realtà è bene tenerle su due piani concettuali
differenti, come fa notare la Corte nella sentenza Interflora ; la
funzione pubblicitaria, infatti, si esplica solamente tramite la
comunicazione al pubblico, la funzione di investimento, invece, si
può sì esplicare tramite la pubblicità, ma anche attraverso altre
strategie commerciali. 9 9
La
tutela
di
queste
due
nuove
funzioni
avviene
attraverso
l'istituzione di una nuova categoria di marchio la cui protezione non
è più subordinata al rischio di confusione o all'identità sia dei beni
che dei segni. Questo è il c.d. marchio notorio, 1 0 0 che verrà
introdotto in tutte le legislazioni nazionali degli Stati comunitari, in
realizzazione di quell'armonizzazione, obbiettivo primario della
98 Google France SARL v. Louis Vuitton Mallettier (C-236/08), Viaticum SA, Luteciel SARL (C237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL (C- 238/08) riunite, 23 marzo 2010, para. 91.
99 V. Interflora Inc. v. Marks & Spencer plc. Flowers Direct On-line, C- 323/09, 22 settembre
2011 para. 61 “Although that function of a trade mark – called the ‘investment function’ – may
overlap with the advertising function, it is none the less distinct from the latter. Indeed, when
the trade mark is used to acquire or preserve a reputation, not only advertising is employed,
but also various commercial techniques.”
100V. L'Oreal SA v. Bellure NV, C- 487/07, para. 34 “Article 5(2) of Directive 89/104 establishes,
for the benefit of trade marks with a reputation, a wider form of protection than that laid down
in Article 5(1). The specific condition of that protection consists of a use without due cause of a
sign identical with or similar to a registered mark which takes or would take unfair advantage
of, or is or would be detrimental to, the distinctive character or the repute of the earlier
mark.” V. anche Intel Corporation v. CPM United Kingdom Ltd, C- 252/07, 27 novembre
2008, para. 26; Adidas-Salomon v. Fitnessworld Trading Ltd, C- 408/01, 23 ottobre 2003,
para. 27; Marca Mode CV v. Adidas AG, C- 425/98, 22 giugno 2000, para. 34; v. L. BENTLY, B.
SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 877 “Section 5(3) [Directive 89/104,
n.d.r.] introduces protection for this 'advertising function' by protecting the mark against
various forms of use, including 'dilution'.” Per un approfondimento sulla categoria del marchio
notorio si rimanda a 1.2.3.3.
31
Direttiva 2008/95/CEE. 1 0 1
Parallelamente
una
protezione
alla
d'investimento
venne
garantita
negli
funzione
Stati
pubblicitaria
Uniti
attraverso
e
il
Federal Anti-Dilution Ac t (FTDA), emanato nel 1995 e riformato nel
2006 attraverso il Trademark Dilution Revision A ct (TDRA). Il
FTDA
introdusse
nella
legislazione
americana
diluizione, conferendo così ai marchi c.d.
il
concetto
di
famosi un elevato
standard di protezione, in risposta alle richieste provenienti dal
mondo delle multinazionali.
Ma
sia
dei
marchi
famosi
che
della
fattispecie
diluitiva
ci
occuperemo più avanti nel corso della nostra trattazione. 1 0 2
1.2.2. Le prerogative del titolare del marchio ed i requisiti generali
per la loro violazione.
L'esclusività dell'utilizzo del marchio ed il diritto di prevenirne
ogni
utilizzazione
non
autorizzata
da
parte
di
terzi,
nello
svolgimento dell'attività economica, sono le principali prerogative
del titolare del marchio. Ciò può esser desunto sia da fonti di tipo
internazionale, sia dalle fonti di origine comunitaria. Entrambe,
difatti, concordano su questo punto.
101In Italia ciò avvenne attraverso il d.lgs. n. 480 del 4 dicembre 1992 che, oltre alla categoria del
marchio notorio, introdusse anche altre significative innovazioni tra cui: 1) qualunque soggetto
può registrare un marchio (e non solo un imprenditore come era prima del 1992); 2)viene
soppresso il c.d. “vincolo aziendale” che subordinava il trasferimento del marchio al
trasferimento dell'azienda produttrice dei beni da esso contrassegnati; 3) è stata poi introdotto il
divieto di uso ingannevole del marchio e conseguentemente il divieto di peggiorare la qualità
dei prodotti senza adeguate informazioni al pubblico. V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N.
ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto Industriale, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto
da G. COTTINO, supra nota 40, pag. 26 ss.; M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio,
Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA , Diritto
Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 66 ss. Per una completa
disamina del d.lgs. 480/92 si rimanda a A. VANZETTI, C. GALLI, La Nuova Legge Marchi, supra
nota 24.
102V. 1.2.3.3., 2.4., 3.5.1.
32
“The owner of a registered trademark shall have the exclusive right
to prevent all third parties not having owner's consent from using in
the course of trade. ” 1 0 3
“Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto
esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio
consenso, di usare nel commercio ” 104
Una differenza che però possiamo notare nella comparazione tra
l'art. 16(1) dell'accordo TRIPs e la Direttiva 2008/95/CEE è che,
alla formulazione dei diritti del titolare del marchio, quest'ultima fa
seguire un elenco delle fattispecie contraffattive. 1 0 5 Al contrario,
l'art. 16(1) TRIPs non è corredato da un elenco altrettanto esaustivo;
infatti, pur menzionando due di queste fattispecie (indicate anche
dalla
Direttiva
2008/95/CEE),
ossia
“ l'uso,
nel
corso
del
commercio, di segni identici o simili per dei prodotti o dei servizi
identici o simili a quelli per cui il marchio è stato registrato nel
caso da questo uso possa derivare un rischio di confusione ”,
rimanda, nella seconda parte dell'articolo stesso, all'art. 6 bis
CUP, 1 0 6 per quel che riguarda la terza fattispecie, ovvero la
protezione accordata ai marchi cd. well known.
Le normative nazionali degli Stati comunitari seguono quanto
indicato dalla Direttiva 89/104 (ora 2008/95/CEE), in quell'ottica di
103 TRIPs, art.16(1).
104 Regolamento 207/2009, art. 9 e Direttiva 2008/95/CEE art. 5.
105 Delle fattispecie contraffattive ci occuperemo diffusamente nei paragrafi successivi.
106 CUP, art. 6 bis “The countries of the Union undertake, ex officio if their legislation so permits,
or at the request of an interested party, to refuse or to cancel the registration, and to prohibit
the use, of a trademark which constitutes a reproduction, an imitation, or a translation, liable
to create confusion, of a mark considered by the competent authority of the country of
registration or use to be well-known in that country as being already the mark of a person
entitled to the benefits of this convention for identical or similar goods. These provisions shall
also apply when the essential part of a mark constitutes a reproduction of any such well-known
mark or an imitation liable to create confusion therewith”; per un' analisi di questo articolo si
rimanda a 1.2.3.3.
33
armonizzazione che costituisce lo scopo di quest'ultima. 1 0 7
Negli Stati Uniti il Lanham Act prevede una protezione dei diritti
del marchio in qualche modo simile a quella prevista dalle
legislazioni dei paesi europei, ma più diretta e più favorevole al suo
titolare nella sua formulazione. 1 0 8 La tutela del marchio contro gli
usi non autorizzati da parte di terzi è prevista dal Lanham Act
all'art. 1114:
“Any person who shall, without the consent of the registrant
(a) use in commerce any reproduction, counterfeit, copy, or
colorable imitation of a registered mark in connection with the sale,
offering for sale, distribution, or advertising of any goods or
services on or in connection with which such use is likely to cause
confusion, or to cause mistake, or to deceive; or
(b) reproduce, counterfeit, copy, or colorably imitate a registered
mark and apply such reproduction, counterfeit, copy, or colorable
imitation to labels, signs, prints, packages, wrappers, receptacles
or advertisements intended to be used in commerce upon or in
connection
with
the
sale,
offering
for
sale,
distribution,
or
advertising of goods or services on or in connection with which
such use is likely to cause confusion, or to cause mistake, or to
deceive, shall be liable in a civil action by the registrant for the
remedies hereinafter provided. Under subsection (b) hereof, the
107Possiamo ad esempio menzionare il Trade-Mark Act del 1994 in vigore nel Regno Unito che
all'art. 9 recita: “The proprietor of a registered trade-mark has the exclusive rights in the trademark which are infringed by use of the trade-mark in the United Kingdom without his consent”.
Per quanto riguarda la normativa italiana, l'art.1 del d.lgs. n. 480/92 afferma invece: “ I diritti
del titolare del marchio d'impresa registrato consistono nella facoltà di far uso esclusivo del
marchio. Il titolare ha diritto di vietare ai terzi, salvo il proprio consenso.” Possiamo notare
che entrambi questi articoli sono seguiti dall'elencazione delle tre fattispecie contraffattive
indicate dall'art.5 della Direttiva 2008/95/CEE, di cui seguono lo schema.
108V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 213 “On reading
these provisions [art. 1114 Lanham Act. n.d.r.] one is instantly struck by how much more direct
they are than their European equivalent and how much more formidably pro-trade mark owner
is their mode of expression.”
34
registrant shall not be entitled to recover profits or damages unless
the acts have been committed with knowledge that such imitation is
intended to be used to cause confusion, or to cause mistake, or to
deceive.
Shall be liable in a civil action by the registrant for the remedies
hereinafter provided”.
Il
succitato
articolo
indica
le
condizioni
affinché
l'uso
non
autorizzato del marchio da parte di terzi possa dar luogo ad
un'azione di tipo civilistico.
Questi requisiti sono: l'uso nel commercio (di cui vengono elencate
le varie tipologie), la mancanza del consenso da parte del titolare e
la
probabilità
di
causare
confusione,
errore
o
inganno
nel
consumatore.
Il quadro viene poi completato dall'art. 1125 che conferisce
protezione ai marchi famosi attraverso quella fattispecie diluitiva,
entrata a far parte del sistema nord-americano attraverso il Federal
Trade-mark Anti-Dilution Act, modificato nel 2006 dal Federal
Trade-mark Anti-Dilution Revision Act, di cui ci occuperemo più
avanti.
Prima di passare all'analisi delle fattispecie contraffattive è però
necessario esaminare quei requisiti che costituiscono la base per la
violazione dei diritti del titolare del marchio; questi, come abbiamo
potuto osservare attraverso l'analisi delle fonti europee, statunitensi
e transnazionali, consistono, in sintesi, in un uso del marchio nel
corso commercio, denotato dall'assenza di consenso da parte del suo
titolare.
Per quanto riguarda il consenso del titolare del marchio al suo
utilizzo possiamo notare come si debba trattare di un consenso di
35
tipo esplicito. 1 0 9 Per chiarire cosa si intenda invece per utilizzo “ in
the course of trade ”, possiamo citare la sentenza sul caso Arsenal
della Corte di Giustizia Europea, che lo indica come un uso che “ it
takes place in the context of commercial activity with a view to
economic advantage and no as private matter. ” 11 0
Questa posizione, che evidenzia la necessità della sussistenza di
un'attività e di un vantaggio economico dietro l'utilizzo non
autorizzato del marchio altrui, è stata ribadita anche dalle più
recenti sentenze Google France 111 ed Ebay. 11 2
L'art. 5.3 della Direttiva 2008/95/CEE fa poi un elenco, oggetto di
trasposizione all'interno delle varie legislazioni nazionale degli
Stati Membri, 11 3 di taluni tipi di utilizzo del marchio altrui
109V. A. VANZETTI, V. DI CATALDO, Manuale di Diritto Industriale, supra nota 16, pag. 229 “Sembra
evidente che ove questo consenso dovesse venire inteso semplicemente come mancanza del
titolare della volontà di far valere l'esclusiva, e cioè come mera tolleranza della
contraffazione, la norma sarebbe pleonastica o del tutto ovvia. Ciò induce a ritenere che il
consenso in questione in realtà abbia un significato diverso, e precisamente che esso richiami
un consenso esplicitamente manifestato dal titolare, seppure con quelle caratteristiche di
precarietà, e quindi di revocabilità ad nutum che caratterizzano il cosiddetto consenso
dell'avente diritto .”
110 Arsenal F.C. Plc v. Matthew Reed, C- 206/01, 12 novembre 2002, para. 40.
111Google France SARL v. Louis Vuitton Mallettier (C- 236/08), Viaticum SA, Luteciel SARL (C237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL (C- 238/08) riunite, 23 marzo 2010, para. 50 “L’usage du
signe identique à la marque a lieu dans la vie des affaires dès lors qu’il se situe dans le
contexte d’une activité commerciale visant à un avantage économique et non dans le domaine
privé.” Bently pone l'accento sul fatto che il requisito dell'uso nel corso del commercio serva a
restringere l'ambito dei diritti del titolare del marchio, v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual
Property Law, supra nota 1, pag. 919 “The fact that the use must take place 'in the course of
trade' serves to restrict the scope of protection given to trade-mark owners.”
112L'Oreal SA v. EBay International AG, C- 324/09, 12 luglio 2011, para. 55 “Accordingly, when
an individual sells a product bearing a trade mark through an online marketplace and the
transaction does not take place in the context of a commercial activity, the proprietor of the
trade mark cannot rely on his exclusive right as expressed in Article 5 of Directive 89/104 and
Article 9 of Regulation No 40/94. If, however, owing to their volume, their frequency or other
characteristics, the sales made on such a marketplace go beyond the realms of a private
activity, the seller will be acting ‘in the course of trade’ within the meaning of those
provisions.”
113V. ad esempio art. 20.2 CPI “Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in
particolare vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro confezioni; di offrire i
prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire i
servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno
stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.” Oppure art.
10.4 TMA “For the purpose of this section a person uses a sign if, in particular, he: a) affixes
it to goods or the packaging thereof; b) offers or exposes goods for sale, puts them on the
market or stocks them for those purposes under the sign, or offers or supplies services under
the sign; c) imports or exports goods under the sign; or d) uses the sign on business papers or
36
considerati idonei ad infrangere le prerogative del titolare del
marchio:
“Si può in particolare vietare, ove sussistano le condizioni
menzionate ai paragrafi 1 e 2:
a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;
b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a
tali fini, ovvero di offrire o fornire servizi contraddistinti dal
segno;
c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;
d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella
pubblicità. ”
Questo elenco, di per sé non esaustivo, può esser implementato da
ciò che la giurisprudenza, di volta in volta, consideri come uso 11 4
idoneo a infrangere i diritti del titolare del marchio secondo le
circostanze. Rimane, ad esempio, non chiaro se l'utilizzo parodistico
del marchio Barbie da parte del gruppo musicale degli Aqua, in un
famoso caso che approfondiremo più avanti, sia da considerarsi
come “in course of trade” o no. 11 5
in advertising.”
114V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 199 “Since this list is
expressed to be non-exhaustive, the courts can add to it any activities which they consider to
be a 'use'.” V. anche M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P.
AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà
Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 128 “La norma definisce gli usi vietati in
termini assai ampi, mediante un elenco di atti che ha natura esemplificativa”. Ad esempio un
ampliamento giurisprudenziale degli utilizzi del marchio che possono dar luogo a violazione
dei diritti del titolare è testimoniato da alcune recenti sentenze: v. L'Oreal SA v. EBay
International AG, C-324/09, 12 luglio 2011 , para. 87; Google France SARL v. Louis Vuitton
Mallettier (C- 236/08), Viaticum SA, Luteciel SARL (C- 237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL
(C- 238/08) riunite, 23 marzo 2010, para. 43 e 52; in questi due casi la Corte di Giustizia
Europea ha infatti stabilito che l'utilizzo di una parola chiave corrispondente ad un marchio
nell'ambito di un servizio di posizionamento Internet compiuto da un'impresa commerciale
costituisce una violazione dei diritti del titolare.
115V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 922 “It also remains
unclear whether use a sign in art or music, as with Warhol's famous depictions of Campbell's
37
Le suddette attività, menzionate dall'art. 5.3 della Direttiva, sono
quindi quelle attività riservate al titolare del marchio, che delineano
una fattispecie contraffattiva qualora vengano compiute da terzi non
autorizzati.
E'
necessario
poi
evidenziare
come
possano
comportare
contraffazione anche attività per così dire preparatorie alla messa in
commercio, come ad esempio l'apposizione del segno sui prodotti o
lo
stoccaggio
di
questi. 11 6
Si
deve
poi
notare
come
nel
summenzionato articolo non vi sia riferimento alcuno all'uso, da
parte del terzo, del segno costituente il marchio come ditta, insegna
o, ad esempio, come domain name; questo poiché, tanto in sede
nazionale quanto in sede comunitaria, è stato accolto il principio
della c.d. unitarietà dei segni distintivi, ricomprendendo così
nell'uso esclusivo del marchio anche l'utilizzo del medesimo segno
come ditta, insegna o domain name. 11 7
Per quanto poi riguarda la normativa americana possiamo constatare
come sia il succitato art. 1114 del Lanham Act a menzionare quelle
attività che, se compiute da terzi non autorizzati, comportano la
soup cans or pop group Aqua's use of the mark BARBIE in its song 'Barbie girl? Would
constitute use 'in course of trade'”. V. 3.5.
116V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 211 “Neither TRIPs
nor the major European trade mark laws directly address the extent to which are preparatory
to infringement as defined by law are themselves to be regarded as infringing acts. That does
not mean that 'secondary' or 'preparatory' acts which lead to a statutorily defined infringement
are not themselves civil legal wrongs under trade mark law, since many acts which are
preparatory to another's infringing act are themselves explicitly listed in the European
legislation as primary infringements in their own right, for example affixing the sign to the
goods or their packaging and stocking for infringing purposes”. V. anche M. RICOLFI, I Segni
distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI,
M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2,
pag. 128.
117V. G. SENA, Il Diritto dei Marchi: Marchio Nazionale e Marchio Comunitario, supra nota 36,
pag. 138 “L'elencazione esemplificativa di cui agli artt 20.2 CPI e 9.2 r.m.c. non contiene un
esplicito riferimento al divieto della adozione e dell'uso da parte di un terzo del segno che
costituisce oggetto del marchio, come ditta, ragione o denominazione sociale, insegna, domain
name, ed in genere segno distintivo. Si è tuttavia già messo in luce come, tanto la nostra legge
(artt.22 e 12.1b e c CPI), quanto il regolamento sul marchio comunitario (artt. 8.4 e 52.1 reg.
m.c.) abbiano accolto il principio di unitarietà dei segni distintivi, cosicché come regola può
dirsi che il diritto d'esclusiva sul marchio comprende anche, ovviamente nei limiti della sua
sfera di rilevanza, il suo uso come ditta, ragione, denominazione sociale, insegna, domain
name ecc.”
38
violazione dei diritti del titolare. Se, come nella normativa europea,
si fa riferimento alla offerta in vendita, alla distribuzione e all'uso
nella pubblicità, non viene però indicata come attività riservate
esclusivamente
al
titolare
l'apposizione
del
segno
nella
corrispondenza commerciale. Per quanto riguarda l'importazione di
beni recanti un segno contraffatto se ne occupa invece l'art. 1125,
facendone divieto qualora riguardi prodotti che ledono il diritto di
esclusiva del titolare sul segno. 11 8
Un'altra prospettiva che merita considerazione è quella che concerne
l'uso del marchio nel mondo di Internet. Negli ultimi anni un nuovo
tipo di violazione dei diritti del titolare del marchio ha preso piede:
il
c.d.
cybersquatting .
Ma
di
questa
fattispecie
e
delle
problematiche ad essa legate ci occuperemo nel proseguo della
nostra trattazione. 11 9
1.2.3. Le fattispecie contraffattive
L'azione spettante al titolare del marchio, che ritenga lesi i propri
diritti,
è
la
c.d.
azione
di
contraffazione,
che
analizzeremo
focalizzandoci sui diversi tipi di conflitti tra segni distintivi,
seguendo quella tripartizione adottata dalla Direttiva Europea
89/104 (ora 2008/95/CEE) e seguita dalle legislazioni nazionali
degli Stati Membri. 1 2 0
118 Lanham Act, art. 1125(b) “Importation. Any goods marked or labeled in contravention of the
provisions of this section shall not be imported into the United States or admitted to entry at
any customhouse of the United States. The owner, importer, or consignee of goods refused
entry at any customhouse under this section may have any recourse by protest or appeal that is
given under the customs revenue laws or may have the remedy given by this Act in cases
involving goods refused entry or seized.”
119 V. 2.3, 3.3.
120V. ad esempio art. 20.1 CPI “Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso,
39
Questa tripartizione viene adottata, anche se non esplicitamente,
anche dalla normativa TRIPs, come abbiamo potuto osservare nel
paragrafo precedente.
La normativa americana, al contrario, non adotta
una tassonomia
così rigida; 1 2 1 le norme di riferimento in questo sistema sono infatti
l'art. 1114 e 1125 del Lanham Act, che, come vedremo, non
compiono una categorizzazione paragonabile a quella degli articoli
5.1. e 5.2. della Direttiva 2008/95/CEE.
Tanto
nei
sistemi
che
seguono
il
modello
della
Direttiva
2008/95/CEE, quanto nel sistema statunitense, possiamo però notare
come
il
soggetto
che
è
legittimato
a
proporre
azione
di
contraffazione sia in primo luogo il titolare del marchio.
La Direttiva 2008/95/CEE afferma infatti all'art. 5(1) che “il
titolare [del marchio, n.d.r.] ha il diritto di vietare ai terzi, salvo
proprio consenso, di usare nel commercio... ”; questa indicazione
viene seguita dalle legislazioni vigenti negli Stati membri. 1 2 2
di usare nell'attività economica: a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici
a quelli per cui esso è stato registrato; b) un segno identico o simile al marchio registrato, per
prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i segni e
dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il
pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni; c) un segno
identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio
registrato goda nello stato di rinomanza e se l'uso del segno senza giusto motivo consente di
trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca
pregiudizio agli stessi.” V. anche art. 10 TMA : " (1) A person infringe a registered trade mark
if he uses in the course of trade a sign which is identical with the trade mark in relation to
goods or services which are identical with those for which it is registered. (2) A person
infringes a registered trade mark if he uses in the course of trade a sign where because - (a)
the sign is identical with the trade mark and is used in relation to goods or services similar to
those for which the trade mark is registered, or (b) the sign is similar to the trade mark and is
used in relation to goods or services identical with or similar to those for which the trade
mark is registered, there exists a likelihood of confusion on the part of the public, which
includes the likelihood of association with the trade mark. (3) A person infringes a registered
trade mark if he uses in the course of trade in relation to goods or services a sign which - (a) is
identical with or similar to the trade mark, where the trade mark has a reputation in the United
Kingdom and the use of the sign, being without due cause, takes unfair advantage of, or is
detrimental to, the distinctive character or the repute of the trade mark.”
121V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 197 “In legal system
which are not based on the European model, such as the United States, there is more fluidity in
categorizing infringement and, for example, causing confusion can be a factor in establishing
dilution of a famous trade-mark.”
122V. ad esempio: art. 14 TMA “ An infringement of a registered trade-mark is actionable by the
proprietor of the trade-mark.” V. art. L.716-5 del Code de la propriété intellectuelle francese
40
Questa legittimazione spetta anche al proprietario di un marchio
comunitario, come afferma il Regolamento 207/2009 che, all'art. 9,
riprende la formula usata dalla succitata Direttiva. Il Regolamento,
però,
introduce
anche
una
legittimazione
attiva
all'azione
di
contraffazione nei confronti del licenziatario del marchio, con
autorizzazione
da
parte
del
titolare
o
anche
in
assenza
di
quest'ultima, qualora la licenza sia di tipo esclusivo 1 2 3 ed il
proprietario non provveda alla difesa dei suoi diritti. Questa
apertura alla legittimazione del licenziatario viene esplicitamente
seguita dalle legislazione di alcuni Stati Membri, 1 2 4 ma non dalla
normativa italiana. In essa difatti non vi è alcuna norma che preveda
la legittimazione attiva del licenziatario a proporre l'azione di
contraffazione.
Ciononostante,
questa
legittimazione
viene
riconosciuta,
per
analogia legis con il Regolamento 207/2009 1 2 5 da dottrina 1 2 6 e
“L'action civile en contrefaçon est engagée par la propriétaire de la marque”; art. 20.1 CPI che
riprende, parola per parola, quanto previsto dalla Direttiva 89/104, ora 2008/95/CEE “Il
titolare ha diritto di vietare ai terzi, salvo il proprio consenso, di usare [il marchio n.d.r.]
nell'attività economica...”.
123V. Regolamento 207/2009, art. 22.3 “Fatte salve le clausole del contratto di licenza, il
licenziatario può avviare un’azione per contraffazione di un marchio comunitario soltanto con
il consenso del titolare del medesimo. Tuttavia il titolare di una licenza esclusiva può avviare
una siffatta azione se il titolare del marchio, previa messa in mora, non avvia lui stesso
un’azione per contraffazione entro termini appropriati.”
124V. ad esempio art. 31 TMA “An exclusive licence may provide that the licencee shall have, to
such extent as may provided provide that the licencee shall have, to such extent as may
provided to be licence, the same rights and remedies in respect of matters occurring after the
grant of the licence […] Where or to extent that provision is made, the licencee is entitled,
subject to the provisions of the licence and to the following provisions of this sector, to bring
infringement proceedings, against any person other than the proprietor, in his own name.” V.
art. L.716-5, Code de la propriété intellectuelle “Toutefois, le bénéficiaire d'un droit exclusif
d'exploitation peut agir en contrefaçon, sauf stipulation contraire du contrat si, après mise en
demeure, le titulaire n'exerce pas ce droit. Toute partie à un contrat de licence est recevable à
intervenir dans l'instance en contrefaçon engagée par une autre partie afin d'obtenir la
réparation du préjudice qui lui est propre.”
125V. M.S. SPOLIDORO, La Legittimazione dei Licenziatari dei Diritti di Proprietà Intellettuale,
AIDA, 2006, pag. 229.
126V. ibid., pag. 214 “Per le licenze esclusive è infatti piuttosto consolidata l'opinione secondo cui
la legittimazione ad agire spetta al licenziatario, nella misura in cui è a lui che spetta il diritto
di esclusiva.” V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N. ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto
Industriale, in Trattato di Diritto Commerciale, diretto da G. COTTINO, supra nota 40, pag. 92 in
cui viene indicato come legittimato attivo anche l'ente titolare del marchio collettivo.
41
giurisprudenza 1 2 7 al licenziatario in esclusiva mentre, per quanto
concerne il licenziatario non esclusivo, la dottrina non è altrettanto
concorde. 1 2 8
Negli
Stati
legittimazione
Uniti
il
attiva
Lanham
del
Act
titolare
prevede
del
esplicitamente
marchio. 1 2 9
la
Questa
legittimazione è poi prevista anche per il licenziatario esclusivo, 1 3 0
pur se non esplicitamente indicata dal Lanham Act .
Per quanto riguarda la legittimazione passiva questa spetta ai
soggetti che compiono quegli atti indicati dagli art. 5.1 della
Direttiva e dell'art. 1114 del Lanham Act, che sono stati oggetto
della nostra analisi nel paragrafo precedente.
127V. ad es. FIMAG e FIMAS s.r.l. c. Artistica Meridionale, Trib. Catania, ord. 3 luglio 2002, in
Giur. Ann. Dir. Ind., 2003, 4508; Nobel Sport Martignoni s.p.a. c. Laziale Pesca e Munizioni,
Corte d'Appello di Milano, 17 luglio 2001, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2002, 4357; Co.Ce.Pa.
s.p.a. c. Giuseppina Zirilli, 27 gennaio 1992, in Giur. Ann. Dir. Ind. 1992, 2791.
128V. N. ABRIANI, I Segni distintivi in N. ABRIANI, G. COTTINO, M. RICOLFI, Diritto Industriale, in
Trattato di Diritto Commerciale, diretto da G. COTTINO, supra nota 40, pag. 92; v. anche M.S.
SPOLIDORO, La legittimazione dei Licenziatari dei Diritti di Proprietà Intellettuale, supra nota
125, pag. 214- 215. La parte maggioritaria di essa tende comunque a conferire legittimazione
attiva anche al licenziatario non esclusivo, in modo tale che gli possa tutelare i propri interessi
nei confronti del contraffattore e che quindi il contratto di licenza non venga svuotato
dall'impossibilità di far valere i diritti in esso contenuti. V. ibid., pag. 216 “Parte della dottrina
forse maggioritaria, parte della giurisprudenza in materia di proprietà industriale […] non
condividono però questo ragionamento [l'esclusione della legittimazione attiva per il
licenziatario esclusivo, n.d.r.], osservando che il licenziatario esclusivo acquista un diritto
reale sul bene immateriale oggetto dello ius excludendi del titolare, sia pure a contenuto
limitato o minore, di guisa che, almeno entro i limiti della licenza, anche il licenziatario non
esclusivo avrebbe diritto di tutelare direttamente quel tanto di riserva monopolistica che a lui
sarebbe concesso, pena l'annullamento del significato economico della licenza stessa.”
129V. art. 1114 Lanham Act; v. anche S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of
United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag.
390 “The infringer of the mark shall be liable in a civil action by the registrant.”
130V. M.S. SPOLIDORO, La Legittimazione dei Licenziatari dei Diritti di Proprietà Intellettuale,
supra nota 125, pag. 218 “Anche negli Stati Uniti in linea di principio la legittimazione attiva
spetta solo ai licenziatari esclusivi.”
42
1.2.3.1. Identità di segni e di beni
Seguendo la tripartizione indicata dalla Direttiva 2008/95/CEE 1 3 1 la
prima delle tre fattispecie contraffattive che ci troviamo ad
analizzare consiste nell'identità di segni e di beni, altresì prevista
dall'accordo TRIPs:
“Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto
esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio
consenso, di usare nel commercio: a) un segno identico al marchio
di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato
registrato; ” 1 3 2
“The owner of a registered trademark shall have the exclusive right
to prevent all third parties not having the owner ’s consent from
using in the course of trade identical or similar signs for goods or
services which are identical or similar to those in respect of which
the trademark is registered where such use would result in a
likelihood of confusion. In case of the use of an identical sign for
identical goods or services, a likelihood of confusion shall be
presumed”. 1 3 3
Dal raffronto di queste due normative possiamo notare che, mentre
la Direttiva non indica la confusione come requisito di questo primo
tipo
di
contraffazione,
l'accordo
TRIPs,
invece,
parla
sì
di
confusione, ma al tempo stesso afferma che, in caso di segni identici
131Quanto previsto da questa Direttiva viene trasposto, così come abbiamo avuto modo di vedere
anche in precedenza, nelle legislazioni nazionali degli Stati membri della Comunità; v. ad es.
art. 10 TMA, art. 20.1 CPI, art. 713-2 Code de la propriété intellectuelle.
132 Art. 5.1 Direttiva 2008/95/CEE.
133Art. 16(1) TRIPs Agreement.
43
usati per prodotti o servizi identici, il rischio di confusione non
deve esser dimostrato (come vedremo accade per il secondo tipo di
conflitto), dandosi per presunta la sua sussistenza.
Dalle succitate normative si deduce che due sono i requisiti
necessari affinché si concreti questo primo tipo di conflitto:
l'identità dei segni e l'identità dei prodotti e dei servizi sui quali
questi vengono apposti.
Riguardo all'identità dei segni, 1 3 4 se questa appare palese per quel
che concerne il fenomeno della c.d. “ pirateria dei marchi” 1 3 5 ,
possiamo notare come, in altri casi, il problema della statuizione o
meno di un'identità tra due segni, sia di più difficile soluzione. Alle
volte, infatti, pur se due segni non sono identici in tutto e per tutto,
vengono considerati come tali dalla giurisprudenza. E' la stessa
Corte di Giustizia Europea ad affermarlo nella sentenza Arthur: 1 3 6 in
questo caso, difatti, il marchio Arthur et Felicie venne ritenuto
responsabile di contraffazione nei confronti del marchio preesistente
Arthur. Pur se questi due segni presentavano alcune differenze tra di
loro, queste vennero ritenute insignificanti in un'analisi complessiva
dei due segni. Quest'esame deve infatti avere come punto di
riferimento
l'impressione
del
consumatore
ragionevolmente
informato ed avveduto, il quale fa affidamento sull'immagine non
perfetta del segno che ha mantenuto nella sua memoria. Qualora
nella mente di del consumatore non sia quindi chiara la provenienza
del bene, in quanto il segno che vi è apposto si discosti da un altro
segno utilizzato per prodotti identici solamente per particolari che
si possono considerare insignificanti, allora i due segni verranno
134Anche in questo caso deve esser applicati la teoria dell'unitarietà dei segni distintivi che
abbiamo analizzato in precedenza.
135V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V.
MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e
Concorrenza, supra nota 2, pag. 117; W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of
Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of
Expression under European Law, supra nota 28, pag. 29.
136SA Sociètè LTJ Diffusion v. Sociètè SA Sadas Vertbaudet, C- 291-00, 20 marzo 2003.
44
considerati identici. 1 3 7
L'altro requisito richiesto dall'art. 5.1 della Direttiva è l'identità dei
beni e dei servizi sopra i quali viene posto il segno e per la cui
statuizione può esser utile far riferimento alle classi merceologiche
indicate dall'accordo di Nizza. Ciononostante, la registrazione del
marchio per prodotti rientranti nella medesima classe, non è di per
sé bastevole per stabilirne l'identità, in quanto la portata delle classi
è piuttosto ampia. 1 3 8
Un altro aspetto meritevole di attenzione è poi il significato della
nozione di uso che viene associata a beni o servizi identici.
Abbiamo
accennato
precedentemente
alla
nozione
di
uso
nel
commercio, ma è ora necessario capire cosa si intenda per uso, sì
137V. ibid. para. 52-54 “Toutefois, la perception d’une identité entre le signe et la marque doit
être appréciée globalement dans le chef d’un consommateur moyen qui est censé être
normalement informé et raisonnablement attentif et avisé. Or, à l’égard d’un tel
consommateur, le signe produit une impression d’ensemble. En effet, ce consommateur moyen
n’a que rarement la possibilité de procéder à une comparaison directe des signes et des
marques, mais doit se fier à l’image non parfaite qu’il en a gardée en mémoire. En outre, le
niveau d’attention est susceptible de varier en fonction de la catégorie de produits ou de
services en cause. La perception d’une identité entre le signe et la marque n’étant pas le
résultat d’une comparaison directe de toutes les caractéristiques des éléments comparés, des
différences insignifiantes entre le signe et la marque peuvent passer inaperçues aux yeux d’un
consommateur moyen. Dans ces conditions, il convient donc de répondre à la question posée
que l’article 5, paragraphe 1, sous a), de la directive doit être interprété en ce sens qu’un
signe est identique à la marque lorsqu’il reproduit, sans modification ni ajout, tous les
éléments constituant la marque ou lorsque, considéré dans son ensemble, il recèle des
différences si insignifiantes qu’elles peuvent passer inaperçues aux yeux d’un consommateur
moyen.” V. anche BMW v. Deenik, C- 63/97, 23 febbraio 1999, para. 42. Per quanto riguarda la
dottrina in merito: v. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING,
Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 375 “A sign will be
identical with the registered mark where it reproduces, without any modification or addition,
all the elements constituting the mark or were, viewed as a whole, it contains differences so
insignificant they may go unnoticed by the average consumer.” V. anche J. PHILLIPS, Trade Mark
Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 313; M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa,
Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA,
Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 117; L. BENTLY, B.
SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1 , pag. 917.
138V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 334 “The same
cannot however be said where two parties’ goods are registered within the same class under
the Nice classification scheme, since the range of goods or services covered by each class is
very wide.” Un ottimo esempio di ciò viene fornito da una sentenza di un tribunale britannico
del 2003 in cui si afferma che i c.d. free newspapers ed i tradizionali quotidiani non possono
esser considerati un bene identico ai tradizionali quotidiani a pagamento. V. Associated
Newspapers Ltd. v. Express Newspapers, Chancery Division, 11 giugno 2003, EWCH 1322.
45
nel commercio, ma in relazione 1 3 9 a beni o servizi identici a quelli
per il quale il marchio è stato registrato.
Senza meno costituisce uso per beni identici quello compiuto da Mr.
Reed in un caso che ha fatto scuola in merito; quest'ultimo, un
venditore di sciarpe e magliette contrassegnate dal logo della
squadra dell'Arsenal presso bancarella di fronte allo stadio, pur
avvertendo a chiare lettere, per mezzo di un cartello, della non
ufficialità di parte dei prodotti da lui posti in vendita, venne
comunque giudicato responsabile di contraffazione nei confronti del
marchio detenuto dalla suddetta società calcistica. La Corte di
Giustizia, infatti, ritenne che, pur in presenza di un c.d. disclaimer,
l'uso del marchio compiuto da Mr. Reed fosse idoneo a far venir
meno la garanzia di provenienza dei beni, 1 4 0 che, come abbiamo
139 L'uso in relazione a beni o servizi identici è quindi una conditio sine qua non affinché si possa
parlare di contraffazione. V. in merito D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY,
D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 368 “To
constitute infringement under any head of s.10 of the 1994 Act, the trade-mark must be used in
relation to goods or services.”
140V. Arsenal F.C. Plc v. Reed, C- 206/01, 12 novembre 2002, para. 56-57 “Having regard to the
presentation of the word ‘Arsenal’ on the goods at issue in the main proceedings and the other
secondary markings on them, the use of that sign is such as to create the impression that there
is a material link in the course of trade between the goods concerned and the trade mark
proprietor. That conclusion is not affected by the presence on Mr Reed's stall of the notice
stating that the goods at issue in the main proceedings are not official Arsenal FC products.
Even on the assumption that such a notice may be relied on by a third party as a defence to an
action for trade mark infringement, there is a clear possibility in the present case that some
consumers, in particular if they come across the goods after they have been sold by Mr Reed
and taken away from the stall where the notice appears, may interpret the sign as designating
Arsenal FC as the undertaking of origin of the goods.” V. anche Anheuser-Busch v.
Budejovický Budvar, národní podnik, C- 245/02, 16 novembre 2004, para.60. Per quanto
riguarda la dottrina in merito v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1,
pag. 924 ss.; M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G.
FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà
Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 117 ss.; D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R.
MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34,
pag. 364 ss. Interessante il punto di vista di Sakulin in merito a questa sentenza che si riallaccia
anche a quanto detto in 1.2.1.; v. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of
Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of
Expression under European Law, supra nota 28, pag. 72 “However, the extension of protection
in a manner to entail a prohibition of post-sale confusion, which was implicitly accepted in the
ECJ's decision, is probably not justifiable by economic rationales.” Possiamo poi osservare
come, mentre nella Direttiva 2008/95/CEE così come anche nel TMA britannico o nel Codice
della Proprietà Industriale italiano non vi sia alcun riferimento ai disclaimers, un richiamo
all'invalidità di questo tipo di avvertenze è contenuto invece all'art. L-713-2 del Code de la
propriété intellectuelle “Sont interdits, sauf autorisation du propriétaire: a) La reproduction,
46
visto, 1 4 1 è considerata una funzione essenziale del marchio.
Sempre per quanto riguarda l' uso del marchio è interessante la
decisione, di segno opposto, della Corte di Giustizia Europea nel
caso Opel-Autec. In questo caso la nota casa automobilistica, il cui
marchio è registrato sia per automobili che per giocattoli, lamentò
l'uso che l'azienda Autec, produttrice di giocattoli, aveva fatto del
suo marchio apponendolo su dei modellini in scala delle auto Opel.
In questo caso, però, la Corte di Giustizia affermò che l'utilizzo
compiuto dalla Autec del blitz Opel non era da considerarsi come
contraffazione. Ciò in quanto, l'apposizione del logo Opel venne
considerato,
prendendo
come
riferimento
il
parametro
del
consumatore mediamente informato e ragionevolmente avveduto,
come elemento atto a
rendere la riproduzione in scala dell'auto il
più possibile fedele all'originale e non veniva quindi usato come
marchio. Per questo motivo era da escludersi un pregiudizio alla
funzione d'origine del marchio Opel. 1 4 2
l'usage ou l'apposition d'une marque, même avec l'adjonction de mots tels que : "formule,
façon, système, imitation, genre, méthode", ainsi que l'usage d'une marque reproduite, pour
des produits ou services identiques à ceux désignés dans l'enregistrement.”
141V. 1.2.1.
142V. Adam Opel AG v. Autec AG, C- 48/05, 2007, 25 gennaio 2007, para. 44 “Tuttavia,
l’apposizione di un segno, che sia identico ad un marchio registrato in particolare per
autoveicoli, su modellini di veicoli contraddistinti dal marchio in questione, al fine di
riprodurre fedelmente tali veicoli, non mira a fornire un’indicazione relativa ad una
caratteristica dei detti modellini, bensì è soltanto un elemento della riproduzione fedele dei
veicoli originali.” V. W. CORNISH, D. LLEWELYN, T. APLIN, Trade Marks and Names, in
Intellectual Property: Patents, Copyright, Trade Marks and Allied Rights, supra nota 14, pag.
780 “As the reference from the German court had explained that the average German
consumer of the products in the toy industry expected scale models to be realistic and that such
a consumer would understand that the Opel logo on Autec's products indicated that it was a
miniature replica of an Opel car, the Court of Justice considered that the referring would have
to conclude that the use did not affect the essential function of the trade-mark registered for
toys.” V. anche W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into
the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law,
supra nota 28, pag. 71 che, riferendosi all'uso fatto da Autec del marchio Opel, parla di
“ornamental feature”; v. anche M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta,
Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto
Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2., pag. 120; L. BENTLY, B.
SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 925. Sempre nel senso di negare la
sussistenza di un uso del marchio come tale da parte di un terzo non autorizzato v. Oreal SA v.
Ebay International AG, C- 324/09, 12 luglio 2011, para. 105. Sul caso Opel torneremo
comunque più avanti.
47
Come vedremo più avanti nel corso della nostra trattazione il
ritenere l'utilizzo del marchio altrui come uso del marchio, in
quanto espletante la sua funzione primaria di indicatore d'origine,
sarà di vitale importanza al fine di ricomprendere il bilanciamento
tra i diritti del suo titolare e la libertà d'espressione all'interno o
all'esterno della normativa marchi.
La legislazione statunitense, invece, così come traspare dall'art.
1125 del Lanham Act, non compie alcuna distinzione tra il conflitto
dovuto alla doppia identità di segni e beni (come abbiamo visto
compie la normativa comunitaria) e quello dovuto invece alla
identità o somiglianza tra beni e segni, che richiede il requisito
della c.d. “ likelihood of confusion ” e di cui ci occuperemo nel
paragrafo successivo .
1.2.3.2. Il rischio di confusione
Il secondo tipo di conflitto riguarda l'uso di un segno identico o
simile a quello precedentemente registrato come marchio, per beni
identici o simili a quelli per cui il marchio aveva ottenuto la
registrazione. Questa fattispecie contraffattiva è prevista sia dalla
normativa
comunitaria
(seguita,
come
abbiamo
in
precedenza
osservato, dalle legislazioni dei vari stati membri della Comunità),
sia da quella transazionale:
“Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto
esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio
consenso, di usare nel commercio: a) […]; b) un segno che, a
48
motivo dell’identità o della somiglianza col marchio di impresa e
dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal
marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di
confusione per il pubblico compreso il rischio che si proceda a
un’associazione tra il segno e il marchio di impresa. ” 1 4 3
“The owner of a registered trademark shall have the exclusive right
to prevent all third parties not having the owner ’s consent from
using in the course of trade identical or similar signs for goods or
services which are identical or similar to those in respect of which
the trademark is registered where such use would result in a
likelihood of confusion.” 1 4 4
I requisiti necessari affinché venga a concretarsi questo secondo
tipo di conflitto sono: in primo luogo l'identità o la somiglianza dei
segni così come dei prodotti o dei servizi sui quali sono apposti ed,
in seconda istanza, è necessario che, per via delle identità o
somiglianze suddette, sussista quella probabilità di confusione
dovuta alla contemporanea presenza dei beni o servizi sul mercato.
143Art. 5 Direttiva 2008/95/CEE. Questo articolo (o più precisamente il corrispettivo articolo
della precedente Direttiva 89/104) viene ripreso dalle legislazioni dei paesi comunitari, seppur
con formulazioni in parte diverse, come testimoniano ad esempio da: art. 10(2) TMA “A
person infringes a registered trade mark if he uses in the course of trade a sign where because
- (a) the sign is identical with the trade mark and is used in relation to goods or services
similar to those for which the trade mark is registered, or (b) the sign is similar to the trade
mark and is used in relation to goods or services identical with or similar to those for which
the trade mark is registered, there exists a likelihood of confusion on the part of the public,
which includes the likelihood of association with the trade mark.” Art. L-713-3 Code de la
propriété intellectuelle “Sont interdits, sauf autorisation du propriétaire, s'il peut en résulter
un risque de confusion dans l'esprit du public :a) La reproduction, l'usage ou l'apposition
d'une marque, ainsi que l'usage d'une marque reproduite, pour des produits ou services
similaires à ceux désignés dans l'enregistrement ;b) L'imitation d'une marque et l'usage d'une
marque imitée, pour des produits ou services identiques ou similaires à ceux désignés dans
l'enregistrement.” Art. 20 CPI “Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio
consenso, di usare nell'attività economica: [..] b) un segno identico o simile al marchio
registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell'identità o somiglianza fra i
segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di
confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due
segni.”
144 Art. 16 (1) TRIPs.
49
Per quel che concerne l'identità dei segni e dei beni o dei servizi
rimandiamo
all'analisi
compiuta
nel
paragrafo
precedente.
Nell'analisi della somiglianza di beni e servizi è da ribadire a
maggior ragione quanto affermato a proposito dell'identità dei beni
ossia che, la loro appartenenza alla medesima classe merceologica,
non ne comporta, di per sé, la somiglianza. 1 4 5
La Corte di Giustizia Europea si è quindi occupata di stabilire i
requisiti affinché si possa parlare di somiglianza tra beni o servizi;
ciò è avvenuto nella sentenza Canon Kabushiki Kaisha v. MGM: la
MGM intendeva infatti registrare il marchio CANNON per “film
registrati su videocassette (preregistrate); produzione, locazione e
proiezione di film per sale di proiezione e aziende televisive. ” Ciò,
però, non fu visto di buon occhio dalla ricorrente Canon, che aveva
in
precedenza
fotografici,
registrato
cineprese
e
l'omonimo
proiettori;
marchio
apparecchi
per
per
“ apparecchi
riprese
e
registrazioni televisive, apparecchi di ricezione e di riproduzione
televisiva, ivi compresi gli apparecchi di registrazione e di lettura
su nastro o su disco.” La Corte di Giustizia ha dunque affermato
quali siano i fattori di cui si debba tener conto nel valutare la
somiglianza o meno di prodotti o servizi:
145Da notare come però sia valevole anche il discorso inverso: qualora due beni o servizi siano
rubricati in due classi merceologiche differenti non è impossibile che vengano comunque
considerati simili. Questo porta ad affermare che il posizionamento in una classe merceologica
piuttosto che in un'altra non è rilevante ai fini della statuizione del grado di somiglianza tra
beni e servizi in quanto è considerata una questione prettamente amministrativa. V. L. BENTLY,
B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 870: “It is clear the fact that goods
or services are registered in different classes does not mean inevitably that they are not similar.
[…] The fact that the signs relate to different classes is irrelevant because the way the goods or
services are classified is an administrative matter, whereas the question of whether goods or
services are similar is a substantive law.” V. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe,
supra nota 91, pag. 323; J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag.
334; v. anche: Institut für Lernsysteme GmbH v. OHIM, T-388-00, 23 ottobre 2002, para. 54
“In secondo luogo, la commissione di ricorso ritiene che i servizi di «sviluppo ed
organizzazione di corsi per corrispondenza» considerati dal marchio anteriore siano simili ai
«libri di testo e materiali stampati, ovvero libri di esercizi per studenti, cataloghi, manuali
didattici, materiale stampato per l'insegnamento e schede e libretti per studenti che desiderano
imparare l'inglese come seconda lingua» designati dal marchio richiesto.”
50
“ Per va lu ta re la so m ig l ia n z a tr a i p ro d o t ti o i s er viz i in
questione,
si
deve
tener
conto
[...]
di
tutti
i
fattori
pertinenti che caratterizzano il rapporto tra i prodotti o i
servizi. Questi fattori includono, in particolare, la loro
natura, la loro destinazione, il loro impiego nonché la
l o r o c o n c o r r e n z i a l i t à o c o m p l e m e n t a r i t à . ” 146
La statuizione della somiglianza o meno tra due segni dipende
anch'essa da fattori stabiliti in ambito giurisprudenziale. L'analisi
compiuta dal giudice, infatti, dovrà in primo luogo focalizzarsi sulla
determinazione
del
grado
di
somiglianza
visuale,
auditiva
e
concettuale 1 4 7 tra il marchio registrato ed il segno utilizzato su beni
146V. Canon Kubashiki Kaisha v. MGM, C-39/97, 29 settembre 1998, para. 23; v. Institut für
Lernsysteme GmbH v. OHIM, T-388-00, 23 ottobre 2002, para. 51; nelle conclusioni del
giudice A.G. Jacobs riguardo alla medesima causa possiamo poi notare come venga accolta una
lista di fattori idonei a determinare la somiglianza di due prodotti o servizi, tratta dalla
giurisprudenza britannica (Sugar Plc v James Robertson & Sons Ltd ,23 maggio 1996, RPC
281) “According to the United Kingdom Government, the following type of factors should be
taken into account in assessing the similarity of goods or services: (a)the uses of the respective
goods or services;(b) the users of the respective goods or services; (c) the physical nature of
the goods or acts of service; (d) the trade channels through which the goods or services reach
the market; (e) in the case of self-serve consumer items, where in practice they are respectively
found or likely to be found in supermarkets and in particular whether they are, or are likely to
be, found on the same or different shelves;(f) the extent to which the respective goods or
services are in competition with each other: that inquiry may take into account how those in
trade classify goods, for instance whether market research companies, who of course act for
industry, put the goods or services in the same or different sectors.” Tritton fa notare come, per
la somiglianza tra prodotti o servizi, non sia necessario tenere in considerazione il rischio di
confusione; v. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 324 “It is of
note that these requirements do not necessitate considering the likelihood of confusion. Thus, it
must be shown that the goods or services are similar regardless whether there is a likelihood of
confusion taking other circumstances into account.” Per un'analisi più approfondita dei
parametri che servono a stabilire la somiglianza dei beni o dei servizi v. J. PHILLIPS, Trade Mark
Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 335 ss. Per una panoramica della giurisprudenza
britannica in merito v. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING ,
Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 253 ss.
147V. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING , Kerly’s Law of Trade
Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 247 “In order to asses the degree of similarity
between the marks concerned, the national court must determine the degree of visual, aural or
conceptual similarity between them.” V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property
Law, supra nota 1, pag. 863 “The marks should be assessed from the point of view of their
visual, aural and conceptual similarity”, v. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe,
supra nota 91, pag. 321 ss., v. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32,
pag. 321 ss.; v. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI,
G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà
Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 122 ss.
51
o servizi a loro volta simili o identici. La necessità di questa
triplice
valutazione
emerge,
in
ambito
comunitario,
da
una
consolidata giurisprudenza. 1 4 8 La medesima mette altresì in luce
come, la tipologia di prodotti o servizi coinvolti e le modalità della
loro immissione in commercio, possano incidere sulla rilevanza di
ciascuno dei fattori sopra indicati nella determinazione del grado di
somiglianza. 1 4 9 I giudici devono inoltre tener conto che il parametro
di riferimento, sulla base del quale vengono compiute queste
valutazioni, rimane il consumatore ragionevolmente informato ed
avveduto, il quale, come altresì visto nel paragrafo precedente, alle
volte può conservare nella sua memoria un'immagine non perfetta
del
marchio,
ed è
proprio
a
questa
i giudici
dovranno
far
riferimento. 1 5 0
148V. Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co v. Klijsen Handel BV, C-342/97, 22 giugno 1999, para. 27
“Al fine di valutare il grado di somiglianza esistente tra i marchi di cui trattasi, il giudice
nazionale deve determinare il loro grado di somiglianza visuale, auditiva e concettuale e,
eventualmente, valutare la rilevanza che occorre attribuire a questi diversi elementi, tenendo
conto, della categoria dei prodotti o servizi di cui trattasi e delle condizioni in cui essi sono
messi in commercio.” V. anche Sabel v. Puma, C- 251/95, 11 novembre 1997; v. Phillips-Van
Heusen Corp v. OHIM, T-292/01, 14 ottobre 2003, para. 55; v. Adidas-Salomon AG v. Fitness
World, C- 408/01, 23 ottobre 2003, para. 28; v. Institut für Lernsysteme GmbH v. OHIM, T388-00, 23 ottobre 2002, para. 62.
149V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 864 “The relative
importance of each sort of similarity will vary with the circumstances in hand, in particular the
goods and the types of mark. In the case of certain kinds of goods, such as clothes, visual
similarity between the marks in issue will be the most important form of similarity. In contrast,
it has been said that wine marks will be perceived verbally; with the restaurant services (where
word-of-mouth recommendations highly important), it is likely that phonetic similarity will be
a key.” V. Inter-Ikea Systems BV v. OHIM, T- 112/06, 16 gennaio 2008; Phillips-Van Heusen
Corp. v. OHIM, T- 292/01, 14 ottobre 2003, para. 55; Castellani Spa v. OHIM, T- 149/06, 29
novembre 2007, para. 53; Mistery Drinks Gmbh v. OHIM, T- 99/01, 15 gennaio 2003, para.
48; v. anche J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 pag. 327 ss.
150V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 865 “ The court also
bear in mind that consumers may not be able to remember a mark perfectly (this is called the
notion of 'imperfect recollection'). The average consumer only rarely has the chance to make a
direct comparison between marks, and so must place his trust in the imperfect picture of them
that has kept in his mind. In many cases this means that while at first glance two marks may
appear dissimilar, when the possibility of imperfect recollection is taken into account, the
marks may in fact be similar.” V. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota
91, pag. 327 “The matter must be judged through the eyes of the average consumer of the
goods or services in question. The average consumer is deemed to be reasonably wellinformed and reasonably circumspect and observant but who rarely have the chance to make
direct comparisons between marks and must be instead rely upon imperfect picture that the
consumer has kept in his mind.” V. anche M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio
Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA , Diritto
52
In
varie
sentenze
i
giudici
comunitari
insistono
poi
sull'interdipendenza dei suddetti requisiti al fine di determinare il
rischio di confusione: a una maggior somiglianza tra i beni o servizi
(o addirittura a una loro identità) può corrispondere una minor
somiglianza tra i segni e viceversa. 1 5 1
Nell'analisi del grado di somiglianza necessaria affinché possa
concretarsi la fattispecie contraffattiva è inoltre necessario che la
Corte tenga sempre presente il requisito del rischio di confusione. 1 5 2
Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 123, D. KITCHIN, D.
LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade
Names, supra nota 34, pag. 248; per quanto riguarda la giurisprudenza in merito vedi: Lloyd
Schuhfabrik Meyer & Co v. Klijsen Handel BV, C-342/97, 22 giugno 1999, para. 25-26; Sabel
v. Puma AG, C-251/95, 11 novembre 1997, para. 23; v. Institut für Lernsysteme GmbH v.
OHIM, T- 388-00, 23 ottobre 2002, para. 47. Ciò fa si che venga conferita un'importanza
maggiore a quelli che sono gli elementi dominanti del marchio: v. Claudia Oberhauser v.
OHIM, T- 104/01, 23 ottobre 2002, para. 47 “Infatti, nell'ambito della valutazione globale del
rischio di confusione, si deve rilevare che il fatto che il consumatore medio serbi memoria solo
di un'immagine imperfetta del marchio conferisce maggiore importanza all'elemento
predominante del marchio in causa.” Comunque sia la comparazione deve esser sempre
compiuta globalmente, evitando di comparare uno solo degli elementi, fosse anche quello
dominante; v. Shaker de L. Laudato & C. Sas v. Liminana y Botella, C- 334/05, 12 giugno
2007, para. 41 “Si deve infatti sottolineare che, secondo la giurisprudenza della Corte, nel
verificare l’esistenza di un rischio di confusione, la valutazione della somiglianza tra due
marchi non può limitarsi a prendere in considerazione solo una componente di un marchio
complesso e paragonarla con un altro marchio. Occorre invece operare il confronto
esaminando i marchi in questione considerati ciascuno nel suo complesso, il che non esclude
che l’impressione complessiva prodotta nella memoria del pubblico pertinente da un marchio
complesso possa, in determinate circostanze, essere dominata da una o più delle sue
componenti.” V. anche Formula One Licensing BV v OHIM, T- 10/09, 17 febbraio 2011, para.
31; Medion AG v. Thomson, C- 120/04, 6 ottobre 2005, para. 29; Matratzen Concord Gmbh v.
OHIM, T- 06/01, 23 ottobre 2002, para. 29.
151V. Canon Kubashiki Kaisha v. MGM, C- 39/97, 29 settembre 1998, para. 17 “La valutazione
globale del rischio di confusione implica una certa interdipendenza tra i fattori che entrano in
linea considerazione, e in particolare la somiglianza dei marchi e quella dei prodotti o dei
servizi designati. Così, un tenue grado di somiglianza tra i prodotti o i servizi designati può
essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i marchi e viceversa.
L'interdipendenza tra questi fattori trova in effetti espressione nel decimo 'considerando‘ della
direttiva, secondo il quale è indispensabile interpretare la nozione di somiglianza in relazione
al rischio di confusione, la cui valutazione a sua volta dipende in particolare dalla notorietà
del marchio sul mercato e dal grado di somiglianza tra il marchio e il contrassegno e tra i
prodotti o servizi contraddistinti.” V. anche Marca Mode CV v. Adidas AG, C- 425/98, 22
giugno 2000, para. 40; Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co v. Klijsen Handel BV, C- 342/97, 22
giugno 1999, para. 19; Institut für Lernsysteme GmbH v. OHIM, 23 ottobre 2002, T- 388-00
para. 46; Laboratorios RTB v. OHMI - Giorgio Beverly Hills, T- 163/01, 9 luglio 2003, para.
32; Phillips-Van Heusen Corp v. OHIM, T-292/01, 14 ottobre 2003, para. 45.
152V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 321 “Neither the CFI nor
ECJ has developed any test for similarity of marks which is not closely connected with the
concept of likelihood of confusion.”
53
Questo rischio sussiste quando, nella mente di un consumatore
ragionevolmente informato ed avveduto, può crearsi confusione per
quel che riguarda l'origine dei beni o servizi, la cui garanzia, come
abbiamo avuto modo di vedere, 1 5 3 rappresenta la funzione essenziale
del marchio. Qualora vi sia un pericolo che il consumatore possa
ritenere che beni o servizi provengano dalla stessa impresa o da due
imprese collegate economicamente, allora si ritiene sussistente il
rischio di confusione. 1 5 4 Come recita l'art. 5(1)(b) della Direttiva
2008/95/CEE, inoltre, nel rischio di confusione è anche compreso il
c.d. rischio di associazione tra il marchio ed il segno utilizzato.
Questo rischio consiste nel pericolo che il consumatore possa
compiere un'associazione tra i due segni, anche a prescindere dal
determinarsi della confusione sull'origine di prodotti o servizi.
E'
153V. 1.2.1.
154V. Canon Kubashiki Kaisha v. MGM, C- 39/97, 29 settembre 1998, para. 29 “Costituisce
perciò un rischio di confusione ai sensi dell'art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva la possibilità che
il pubblico possa credere che i prodotti o servizi in questione provengono dalla stessa impresa
o eventualmente da imprese economicamente legate tra loro (v. in questo senso sentenza
SABEL, citata, punti 16-18). Di conseguenza, come ha osservato l'avvocato generale nel
paragrafo 30 delle sue conclusioni, per escludere l'esistenza di tale rischio di confusione, non
è sufficiente dimostrare semplicemente l'insussistenza del rischio di confusione nella mente del
pubblico quanto al luogo di produzione dei prodotti o servizi di cui trattasi.” V. anche: Sabel
BV v. Puma AG, C-251/95, 11 novembre 1997, para. 16-18; Phillips-Van Heusen Corp v.
OHIM, T-292/01, 14 ottobre 2003, para. 45; Lloyd Schuhfabrik Meyer & Co v. Klijsen
Handel BV, C-342/97, 22 giugno 1999, para. 17; Laboratorios RTB v. OHMI - Giorgio
Beverly Hills, T- 163/01, 9 luglio 2003, para. 30; Formula One Licensing BV v OHIM, T10/09, 17 febbraio 2011, para. 25. Per quel che riguarda la dottrina v. D. KITCHIN, D. LLEWELYN,
J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names,
supra nota 34, pag. 378 “ The risk that the public believe that the goods or services in question
come from the same undertaking, or, as the case may be, economically linked undertakings,
constitutes a likelihood of confusion.”;V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra
nota 91, pag. 329 “The relevant type of confusion is confusion as trade origin. Thus, mere
association, in the sense that later mark brings the earlier mark to mind, is not sufficient.
Conversely, if the association between the marks causes the public to wrongly believe that the
respective goods/services come from the same or economically linked undertakings, there is a
relevant likelihood of confusion.” V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law,
supra nota 1, pag. 872 che parla di “classic form of confusion”; per quanto riguarda questo tipo
di confusione riguardante la funzione essenziale del marchio come indicatore dell'identità
dell'origine v. anche M. RICOLFI, I segni distintivi d'impresa, marchio ditta, insegna, in P.
AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto industriale, proprietà
intellettuale e concorrenza, supra nota 2, pag. 121. Bently poi pone l'accento sul collegamento
economico che il consumatore può ritenere esistente tra due prodotti: questo può consistere
anche nel ritenere che vi sia un rapporto di licenza o di autorizzazione tra le imprese (v. anche
Durferrit v. OHIM, T- 224/01, 9 aprile 2003, para. 62).
54
dunque possibile che si concreti la fattispecie prevista dall'art. 5(1)
(b) della Direttiva anche qualora non vi sia un rischio di confusione,
ma
solamente
rischio
di
associazione
tra
i
marchi?
Questo
interrogativo rappresenta il nodo cruciale della sentenza Sabel v.
Puma: 1 5 5 la Corte di Giustizia ivi affermò che il rischio di
associazione non può esser considerato un'alternativa al rischio di
confusione e quindi, per il concretarsi della fattispecie indicata
dall'art. 5(1)(b), non è da solo bastevole. Il rischio di associazione
non è infatti da considerarsi come un fattore dal quale si possa
presumere l'esistenza di un rischio di confusione, ma serve invece a
definirne l'estensione. 1 5 6
Un altro importante fattore
nella valutazione del rischio di
confusione è poi la distintività del segno anteriore registrato come
marchio. Se questo difatti, attraverso l'uso che ne è stato fatto nel
corso degli anni, o per mezzo di sue caratteristiche intrinseche, ha
acquisito un forte carattere distintivo, il rischio di confonderlo con
altri segni posteriori aumenterà. Questa è la linea seguita dalla
giurisprudenza comunitaria 1 5 7 sin dalla sentenza Sabel dove, al
paragrafo 24, la Corte afferma che:
“ il
rischio di confusione è tanto più elevato quanto più rilevante è il
carattere distintivo del marchio anteriore. Non può quindi essere
escluso che la somiglianza concettuale derivante dal fatto che due
155Sabel v. Puma, C- 251/95, 11 novembre 1997.
156V. ibid., para. 19 “Orbene, dal tenore di tale disposizione emerge come la nozione di rischio di
associazione non costituisca un'alternativa alla nozione di rischio di confusione, bensì serva a
precisarne l'estensione. I termini stessi della disposizione escludono, quindi, che essa possa
trovare applicazione laddove non sussista nel pubblico un rischio di confusione.” V. anche
Marca Mode CV v. Adidas AG, C- 425/98, 22 giugno 2000, para. 31. Per la dottrina v. G.
TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 324 “The fact that art. 4 (1)(b)
refers to a 'likelihood of association' does not mean that any type of association is sufficient. It
refers to a likelihood of association within the meaning of confusion as to trade origin, i.e. that
a person will mistake goods bearing particular marks as being connected or associated in the
course of trade with the proprietor of the earlier trademark.” V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN,
Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 872 ss.
157V. Sabel v. Puma, C- 251/95, 11 novembre 1997, para. 24; v. anche Lloyd Schuhfabrik Meyer
& Co v. Klijsen Handel BV, C- 342/97, 22 giugno 1999, para. 28.
55
marchi
utilizzino
immagini
concordanti
nel
loro
contenuto
semantico possa creare rischio di confusione nel caso in cui il
marchio anteriore possieda un carattere distintivo particolare, sia
intrinsecamente, sia grazie alla notorietà di cui goda presso il
pubblico.”
Questo criterio viene però meno qualora il marchio che si ritiene
contraffatto abbia un grado di rinomanza così alto da render più
semplice per il consumatore distinguerlo dal marchio posteriore,
riducendo quindi il rischio di confusione. 1 5 8
E' necessario precisare che, affinché vi sia rischio di confusione,
debbano comunque esser presenti quei requisiti di identità o
somiglianza dei segni e dei beni (o servizi), non essendo l'alto
carattere distintivo del marchio anteriore autonomamente bastevole
a delinearlo. 1 5 9 Il carattere distintivo del marchio anteriore è quindi
da considerarsi come uno dei fatto ri che, insieme alla somiglianza di
158V. Claude Ruiz Picasso v. OHIM, T- 185/02, 22 giugno 2004, para. 57 “Il segno denominativo
PICASSO è dotato, per il pubblico di riferimento, di un contenuto semantico chiaro e
determinato. Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la rilevanza del significato del
segno ai fini della valutazione del rischio di confusione non è messa in dubbio, nella
fattispecie, dal fatto che tale significato non abbia alcun nesso con i prodotti considerati.
Infatti, la notorietà del pittore Pablo Picasso è tale che non è plausibile ritenere, in assenza di
indizi concreti in senso contrario, che il segno PICASSO, quale marchio per veicoli, possa
sovrapporsi, nella percezione del consumatore medio, al nome del pittore di modo che tale
consumatore, di fronte al segno PICASSO nel contesto dei prodotti di cui trattasi, astragga
d’ora in avanti dal significato del segno relativo al nome del pittore e lo percepisca.” V. G.
TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 327 “However if the mark is
highly distinctive because of the use made, it might be thought to be counterintuitive. If a trade
mark is very well known, then it could be said that the public are more likely to notice another
mark which differs in small ways from.” V. anche D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R.
MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34,
pag. 255.
159V. Les editions Albert René v. OHIM, T- 311/01, 22 ottobre 2002, para. 61 “Un rischio di
confusione presuppone un'identità o una somiglianza tra i segni nonché tra i prodotti o i
servizi designati, e la notorietà di un marchio è un elemento che va preso in considerazione
per valutare se la somiglianza tra i segni o tra i prodotti e servizi sia sufficiente per provocare
un rischio di confusione (v., in questo senso, sentenza Canon, cit., punti 22 e 24). Orbene, dato
che, nella fattispecie, i segni contrapposti non possono essere considerati in alcun modo né
identici né simili, dal punto di vista visivo, auditivo e concettuale, il fatto che il marchio
anteriore sia ampiamente noto ovvero che goda di notorietà nell'Unione europea non può
incidere sulla valutazione globale del rischio di confusione.” V. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J.
MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law of Trade Marks and Trade Names,
supra nota 34, pag. 255.
56
segni e prodotti, serve a stabilire la sussistenza del rischio di
confusione. 1 6 0
Come meglio esamineremo nel corso del II e del III capitolo la
tutela nei confronti di un rischio di confusione ha costituito l'unica
arma nelle mani del trademark holder per difendersi da un uso non
autorizzato del proprio marchio in chiave parodistica o critica,
almeno fino all'emanazione della Direttiva 89/104, che introdurrà la
categoria del marchio notorio fornendogli una speciale protezione.
L'analisi
della
giurisprudenza
delle
corti
europee,
successiva
all'emanazione di detta Direttiva, ci dimostrerà, però, nel corso del
II e del III capitolo, che il criterio del rischio di confusione sarà
comunque
ampiamente
utilizzato
anche
posteriormente
al
conferimento di una speciale tutela al marchio notorio.
Negli Stati Uniti il requisito della c.d. likelihood of confusion viene
trattato dalla sezione 32, art. 1114 del Lanham Act, che elenca
anche le attività che possono determinarlo. 1 6 1 Per likelihood of
confusion si intende la probabilità che il consumatore possa
confondersi sull'origine dei prodotti, ossia che possa pensare che i
prodotti provengano dalla stessa azienda o che tra le aziende
sussista
un
collegamento
economico. 1 6 2
Alla
probabilità
di
confusione, nella legislazione statunitense, è associata anche la
160V. Canon Kubashiki Kaisha v. MGM, C- 39/97, 29 settembre 1998, para. 17.
161Art. 1114 Lanham Act “Any person who shall, without the consent of the registrant (a) use in
commerce any reproduction, counterfeit, copy, or colorable imitation of a registered mark in
connection with the sale, offering for sale, distribution, or advertising of any goods or services
on or in connection with which such use is likely to cause confusion, or to cause mistake, or to
deceive; or (b) reproduce, counterfeit, copy, or colorably imitate a registered mark and apply
such reproduction, counterfeit, copy, or colorable imitation to labels, signs, prints, packages,
wrappers, receptacles or advertisements intended to be used in commerce upon or in
connection with the sale, offering for sale, distribution, or advertising of goods or services on
or in connection with which such use is likely to cause confusion, or to cause mistake, or to
deceive, shall be liable in a civil action by the registrant for the remedies hereinafter
provided.”
162V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and
Trademark, supra nota 4, pag. 637 ss.; v. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals
of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag.
390 ss.
57
probabilità di causare errore o inganno nel consumatore, sempre
riguardo all'origine dei prodotti.
Come d'altronde in ambito comunitario, non è poi richiesta, affinché
vi sia contraffazione, la prova della confusione nella mente
consumatori, ma viene ritenuta bastevole la sussistenza della
probabilità che questa confusione possa ingenerarsi. 1 6 3
Per quanto riguarda i requisiti che devono sussistere affinché si
possa parlare di likelihood of confusion questi variano, in parte, a
seconda delle liste stilate da ciascuno degli undici circuiti federali;
dal
loro
confronto
è
possibile
però
individuare
linee
guida
comuni. 1 6 4 In primo luogo viene messo in luce il requisito della
somiglianza dei marchi (al cui interno vi è naturalmente anche
l'identità tra questi), 1 6 5 che deve esser esaminata in termini di
somiglianza visiva, auditiva e di significato. 1 6 6 Un altro fattore che
influenza la probabilità di confusione è poi la forza del marchio
(mark
strength )
che
è
assimilabile
a
quella
che
in
ambito
comunitario è definita distintività; quindi più il marchio anteriore è
forte, ossia distintivo, più il rischio di confusione sarà alto. 1 6 7 Ciò
163V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 390: “The plaintiff must show that
there is a likelihood that the consumer will confused, mislead or deceived regarding the source
or origin of the goods or services. That is, the plaintiff must show only a likelihood of
confusion and not need to establish actual confusion.” Comunque sia non basta che vi sia una
mera possibilità di confusione; v. New York Stock Exchange, Inc. v. New York, New York Hotel
LLC, U.S. Federal Court of Appeals, 2 nd Circuit, 1 aprile 2002 “To support a finding of
infringement, a plaintiff must show a probability, not just a possibility, of confusion”.
164Per un'analisi delle liste compilate da ciascun circuito federale si rimanda a S.W. HALPERN, C.A.
NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent,
Trademark, supra nota 45, pag. 391.
165Il caso di identità di beni e servizi non è espressamente previsto dalla normativa americana.
Tuttavia nei casi di doppia identità la probabilità di confusione viene di certo ritenuta più alta ;
v. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and
Trademark, supra nota 4, pag. 627 “Confusion is most likely to result when an unauthorized
party uses a mark identical to that the plaintiff on the exact same type of goods or services as
are sold by the plaintiff and sells in the same geographic area.”
166V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 394; v. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS,
Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 640.
167V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and
Trademark, supra nota 4, pag. 644 “The stronger the mark, the more likely courts are to find a
likelihood of confusion”; v. anche S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of
58
però, come visto anche in ambito comunitario, incontra delle
eccezioni: un caso per noi molto interessante è quello che ha visto
contrapposti il NYSE 1 6 8 (New York Stock Exchange ), in precedenza
registrato come marchio incorporante la raffigurazione dell'edificio
ove il NYSE ha sede, ed un casinò, sito lungo la Las Vegas Strip,
che, oltre a chiamarsi New York New York, riproduceva l'immagine
dell'edificio sede del NYSE all'interno dell'hotel ad esso collegato e
promuoveva un club di gioco d'azzardo chiamato New York New
York $lot Exchange. Il secondo circuito federale ha riscontrato però
non sussistenti i requisiti per il determinarsi della likelihood of
confusion : l'uso di un segno simile al marchio NYSE doveva infatti
esser ritenuto come un utilizzo in chiave umoristica del marchio
attraverso un palese gioco di parole; per questo motivo un giocatore
d'azzardo (da considerarsi, in questo caso, come il pubblico di
riferimento) non avrebbe potuto confondersi quanto all'origine del
club, tanto da ritenere che questo costituisse una branca dell'attività
del New York Stock Exchange . Anche in questo caso, dunque,
l'ampia fama del marchio, invece che aumentare la probabilità di
confusione, 1 6 9 l'ha diminuita, facendo venir quindi meno il requisito
principale di questo tipo di contraffazione. Come nella normativa
comunitaria anche in quella statunitense la somiglianza dei beni e
United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag.
396.
168New York Stock Exchange, Inc. v. New York, New York Hotel LLC, U.S. Federal Court of
Appeals, 2nd Circuit, 1 aprile 2002.
169New York Stock Exchange, Inc. v. New York, New York Hotel LLC, U.S. Federal Court of
Appeals, 2nd Circuit, 293 F.3d 550, 1 aprile 2002 “NYSE contends that the district court did not
give due weight to the strength of its marks. However, the strength of NYSE's marks does not
necessarily increase the likelihood of confusion under these circumstances [...] Indeed, viewed
within the context of the Casino's theme, it is highly unlikely that anyone would misunderstand
the Casino's attempt at a humorous theme because it actually "depends on a lack of confusion
to make its point”; v. anche in riferimento alla normativa transazionale: L.P. RAMSEY, Free
Speech and International Obligations to Protect Trademarks, The Yale Journal of International
Law, 2010, pag. 429 "For example, a national court may hold that a particular use of
another's trademark is not likely to be confusing under trademark infringement law because it
communicates ideas, or a humorous joke or pun, rather than information about the source of
the goods or services. Such a case-by-case interpretation of national infringement law clearly
complies with Article 16(1) [TRIPs n.d.r.] because members are only required to prevent a
likelihood of confusion".
59
dei servizi è un altro importante parametro in base al quale viene
determinata
la
probabilità
di
confusione.
Nell'esperienza
nordamericana questo requisito viene ritenuto in un rapporto di
proporzionalità diretta con la concorrenzialità tra i prodotti e i
servizi: più questi sono in diretta concorrenza e meno sarà
necessario un alto grado di somiglianza per far si che sia
determinata la probabilità di confusione e viceversa.
Un altro parametro in qualche modo simile a quest'ultimo è poi la
prossimità dei canali di commercio e pubblicitari: qualora i prodotti
presi in esame siano appetiti dalla stessa tipologia di consumatore e
siano in vendita negli stessi luoghi e con le medesime modalità la
probabilità di confusione sarà quindi maggiore.
Anche negli Stati Uniti viene determinato quale sia il soggetto nella
mente del quale dovrebbe prodursi confusione in merito all'origine
dei prodotti: se, come abbiamo visto, dottrina e giurisprudenza
comunitaria fanno unanimemente riferimento al parametro del
consumatore ragionevolmente informato e avveduto, dall'altra parte
dell'oceano il medesimo parametro non si è affermato in maniera
tanto univoca. Se alcune corti prendono infatti come riferimento il
“reasonably prudent consumer ” altre, invece, preferiscono far
riferimento
alla
percentuale
di
consumatori
che
rischiano
di
confondersi; se quest'ultima supera una certa soglia (di però
difficile determinazione) allora si darà per accertatala probabilità di
confusione. 1 7 0
Così come accade in area comunitaria 1 7 1 anche negli Stati Uniti, poi,
170V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and
Trademark, supra nota 4, pag. 639 “[...] Courts require the plaintiff to show that an
appreciable or substantial number of consumers are likely to be confused. […] Unfortunately
there is no bright line test as to what constitutes the required 'substantial number of
consumers'. Some courts have focused on the percentage of applicable consumers confused,
and others have emphasized the absolute numbers. […] Other courts frame the requirement in
terms of the confusion of a 'reasonably prudent consumer'. This amounts to the same thing
because it disregards conduct that will only confuse the (hopefully small number of) inattentive
or foolish consumers.”
171V. Alcon Inc. v. OHIM, C- 412/05, 26 aprile 2007, para. 61; v. Picasso v. OHIM, C- 361/04, 12
gennaio 2006, para. 23; v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag.
60
si considera l'attenzione prestata dai consumatori come calibrata a
seconda del prodotto che questi si apprestano ad acquistare: se
difatti l'acquisto riguarda beni di consumo quotidiano l'attenzione
posta sarà minore e quindi sarà più facile che si concretizzi un
rischio di confusione; se, al contrario, si acquista un bene di un
certo valore, il consumatore porrà un'attenzione maggiore e ciò
comporterà una minor probabilità di confusione. Per questo motivo
il
rischio
di
confusione
viene
considerato
inversamente
proporzionale al costo del prodotto. 1 7 2
Un
altro
fattore
che
viene
preso
in
considerazione
dalla
giurisprudenza americana è poi l'intenzione del soggetto accusato di
contraffazione ai danni del titolare del marchio. Se infatti la buona
fede del convenuto non può esser usata come difesa in un giudizio
di contraffazione, al contrario, la provata intenzionalità nel creare
una probabilità di confusione nel pubblico di riferimento, viene
considerata una prova di colpevolezza. 1 7 3
E' poi da evidenziare come il criterio del rischio di confusione sia
stato ampiamente utilizzato dalle Corti americane nei casi di
utilizzo parodistico o critico del marchio, prima dell'emanazione del
Federal Trademark Antidilution Act (FTDA) nel 1995 in quanto
rappresentava l'unico strumento a difesa dei diritti del titolare del
marchio. Prima che venisse data protezione federale al marchio
871 “The tribunals accept that the characteristics of the average consumers of the goods may
vary with the sector concerned. For example, consumers purchasing cars take more attention
than those buying sweets. In some circumstances, where consumers are advised (e.g. by
medical professionals), they may be particularly attentive and thus unlikely to confuse
superficially similar marks.”
172V. ibid., pag. 643 “A second inter-connected group of factors courts often consider in assessing
likelihood of confusion are the cost of the goods or services in question, the degree of care
purchasers of these goods usually exercise and the level of sophistication of the consumers
who buy those goods. The theory here is that consumers pay more attention when buying
expensive items, so that more similarity in the marks can be tolerated without engendering any
serious risk of confusion. Conversely when the items are cheap and purchased on the spur of
the moment, consumers might be inattentive and even minimal similarity in the marks might
lead to significant confusion.”
173V. ibid. pag. 646 “While a plaintiff thus need not prove bad intent on the part of the defendant,
evidence of bad intent is universally considered probative of likelihood of confusion”.
61
famoso, molte cause riguardanti la parodia o la critica del marchio
venivano risolte cercando di stabilire se questo uso potesse o meno
creare confusione nei consumatori. 1 7 4 Questa è la linea adottata
dalla giurisprudenza americana in diverse sentenze a partire dalla
fine degli anni '70. Possiamo citare, ad esempio, il caso STOP THE
OLYMPIC PRISON, nel quale un gruppo di attivisti si oppose alla
conversione del Lake Placid Olympic Village in una prigione e
utilizzò il logo olimpico in svariati posters al fine di promuovere la
mobilitazione. 1 7 5 Alle rimostranze del titolare del logo olimpico la
Corte distrettuale di New York rispose affermando che l'utilizzo
compiuto dal movimento STOP THE OLYMPIC PRISON non era di
per sé confusorio, in quanto, pur usando i cinque cerchi olimpici,
era ben chiaro l'intento di protesta insito nei posters, tanto che
nessuno avrebbe potuto credere nell'esistenza di una qualsiasi
connessione con il Comitato Olimpico. 1 7 6
In altri casi le Corti americane si sono invece dimostrate propense a
distorcere la loro analisi sulla sussistenza del rischio di confusione,
in base a considerazioni di tipo prettamente moralistico. 1 7 7
174V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution, and Speech: First Amendment Limitations on the
Trademark Estate, an Update, TMR 2004, pag. 549 “The requirement in trademark
infringement actions that the plaintiff prove a likelihood of confusion generally offers
breathing space for free speech interests.”
175http://www.docspopuli.org/articles/STOP/STOP.html
176V. Stop the Olympic Prison v. United States Olympic Committee, U.S. District Court, New
York, 489 F. Supp. 1112, 25 febbraio 1980 “On the basis of its own examination of the poster,
the Court finds it extremely unlikely that anyone would presume it to have been produced,
sponsored or in any way authorized by the U.S.O.C. While at a fleeting glance, someone might
conceivably mistake it for a poster advertising the Olympics, nobody could conceivably retain
such a misconception long enough to do any harm: for example, there is no danger that
anyone would purchase or display it as such. Under the circumstances, therefore, the Court
concludes that the defendant has failed to meet its burden of proving trademark infringement.”
V. anche M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on
the Trademark Estate, TMR 1997, pag. 57 “Finding no intent on the part of the defendant to
palm off its poster, and no evidence of actual confusion among the public, the court concluded
that no one would be likely to believe that the United States Olympic Committee was in any
way connected with the poster.” Di segno opposto invece è la decisione di pochi anni
successiva nel caso Planned Parenthood Federation of America v. Problem of pregnancy of
Worcester Inc., U.S. District Court, Middlesex County, 16 ottobre 1986.
177V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the
Trademark Estate, supra nota 176, pag. 58 “Too often, however, courts have allowed
extraneous considerations such as distaste with the defendant's message or concern about its
62
E' il caso, ad esempio, di “ Enjoy Cocaine” 1 7 8 e di “Dallas
Cowboys”. 1 7 9 In entrambi i casi le Corti, chiamate a decidere sulla
violazione delle prerogative del titolare del marchio, ritennero
disgustoso e offensivo l'utilizzo compiutone da terzi. Per questo
forzarono
i
criteri
di
analisi
del
rischio
di
confusione: 1 8 0
affermarono, dunque, che i consumatori avrebbero potuto ritenere
esistente un collegamento tra l'azienda produttrice della bevanda più
famosa al mondo e quella produttrice di posters con la dicitura
Enjoy Cocaine, 1 8 1 così come tra la squadra di footbal dei Dallas
Cowboys e un film pornografico in cui delle false cheerleaders
indossavano le divise sociali. 1 8 2
Su questi due casi e su altri decisi prima dell'emanazione del FTDA
torneremo nella seconda parte della nostra trattazione, quando ci
effect on the plaintiff's trademark to distort their analysis of the likelihood of confusion”.
178Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972.
179Dallas Cowboys Cheerleaders, Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S. Federal Court of
Appeals, 2nd Circuit, 604 F. 2d 200, 14 agosto 1979.
180V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the
Trademark Estate, an Update, supra nota 174, pag. 550 “It is easy to understand how courts
might have been offended by these 'parodies', but it is difficult to conceive that any rational
being would believe the owners of such valuable marks would have used them, or allowed
them to be used, in such a damaging fashion.”
181V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the
Trademark Estate, supra nota 176, pag. 58 “The Court rejected the defendant's argument that
no one 'of average intelligence or even below average intelligence' would believe that its
poster […] had been produced or sponsored by Coca-Cola Company […] Indeed, none of the
evidence marshaled by the plaintiff or credited by the court could overcome the simple fact
that, in order to be confused, consumers would need to believe that one of the most successful
companies in America had so completely misread the public mood as to make light of drug use
at a time when drug abuse was clearly a topic of national concern.” V Coca-Cola Co. v.
Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972 ”Not only does
visual comparison of defendant's poster with specimen advertising of plaintiff indicate the
likelihood of such a mistaken attribution but recent so-called 'pop art' novelty advertising
utilized by plaintiff may have served to further the impression that defendant's poster was just
another effort of that kind by plaintiff to publicize its product. At all events, in assessing the
probability of confusion '[t]he standard to be employed is the ordinary purchaser, not the
expert.' Omega, supra, 451 F.2d at 1195. And the ordinary purchaser consists of a 'vast
multitude which includes the ignorant, the unthinking and the credulous, who, in making
purchases, do not stop to analyse, but are governed by appearances and general impressions.'
Florence Mfg. Co. v. J. C. Dowd & Co., 178 F. 73, 75 (2 Cir. 1910). Judged by that standard,
plaintiff has made a sufficiently clear showing of a high probability of confusion resulting from
defendant's use of the "Coca-Cola" trademark format in an advertising context.”
182V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the
Trademark Estate, supra nota 176, pag. 60.
63
focalizzeremo sugli effetti della satira, della parodia e della critica
sul marchio, nonché sui diritti del suo titolare, e sulla risposta data
dalla giurisprudenza nei vari sistemi oggetto del nostro esame.
Si può però constatare come, in entrambe le sopracitate cause,
nonostante
l'impegno
profuso
dalla
Corte
nel
dimostrare
la
likelihood of confusion , in realtà questo requisito non fosse di per sé
necessario, in quanto secondo la legge anti-diluizione dello stato di
New York, per il concretarsi della fattispecie di tarnishment,
sarebbe bastato provare il carattere distintivo del marchio. 1 8 3
Se, come abbiamo visto, il rischio di confusione rappresentava,
prima dell'emanazione del FTDA, l'unica protezione di tipo federale
dei diritti del trademark holder nei confronti di un uso parodistico o
critico del marchio, è però da sottolineare come questa difesa sia
stata oggetto di ampio utilizzo, per quanto concerne altresì la tutela
del marchio famoso, anche posteriormente alla promulgazione del
FTDA, come analizzeremo nel corso del II e del III capitolo.
1.2.3.3. Il marchio notorio
Il terzo tipo di conflitto riguarda i marchi c.d. notori o che godono
di fama e, come avremo modo di osservare, è quello che più da
vicino interessa l'argomento della nostra trattazione.
La maggior parte dei problemi riguardanti lo scontro tra la tutela del
marchio e la libertà d'espressione concernono, difatti, l'utilizzo, da
parte di terzi non autorizzati, di quei marchi dotati di una certa
fama o notorietà. Nel perseguimento di fini parodistici, satirici o di
critica sociale, come vedremo, un marchio dotato delle suddette
caratteristiche risulta infatti esser uno strumento più idoneo. Come
abbiamo analizzato in precedenza, i titolari dei c.d. well known
183V. ibid., pag. 60.
64
trade marks o di quei marchi dotati di una certa reputazione sono
quindi stati artefici, nel corso degli ultimi decenni, di forti pressioni
a livello internazionale per far in modo che venisse attribuita una
protezione,
non
solo
alla
funzione
d'identità
d'origine
del
marchio, 1 8 4 ma anche alla sua funzione pubblicitaria, 1 8 5 in modo da
tutelare quegli investimenti compiuti per dotare il marchio di una
certa reputazione e rinomanza.
Prima di analizzare la tutela che ad essa viene conferita, è bene dare
una definizione di marchio notorio o famoso così come indicato da
parte della normativa transazionale, comunitaria e statunitense.
Da un punto di vista transnazionale una tutela viene conferita a quei
marchi c.d. well known. Il significato di well known trade mark
viene indicato dall'art. 16(2) TRIPs il quale afferma che, nel
determinare se un marchio possa esser definito notorio, gli Stati
membri debbano valutare la “knowledge of the trademark in the
relevant sector of the public, 1 8 6 including knowledge in the Member
184Protezione che è prevista dai due tipi di conflitti presi in considerazione nei due paragrafi
precedenti.
185V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 876 “The section
recognizes [Art. 4.4. Direttiva 2008/95/CEE, n.d.r.] that the value of a trade mark may lie not
simply in its ability to indicate source, but also in the image conveyed by the trademark, its so
called 'advertising function.'” V. anche quanto detto in 1.2.1.
186V. L.P. RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, supra nota
169, pag. 430 “The 'relevant sector of public' could include both the plaintiff's and the
defendant's customers and potential customers.” Il pubblico che deve esser preso in
considerazione è dunque quello di riferimento dei prodotti o dei servizi contrassegnati sia dal
marchio anteriore che posteriore; a proposito v. anche G. TRITTON, Intellectual Property in
Europe, supra nota 91, pag. 239 “This means that a mark need not to be known to the public at
large but merely those who purchase relevant goods or services.” Ciò fa si che debbano esser
oggetto di protezione, secondo la normativa transnazionale, anche quei marchi che sono famosi
solo presso un determinato segmento di pubblico; v. ibid., pag. 239: “There may be marks
which are very well known but only in a technical sector.” Un altro fattore da tenere in
considerazione è poi il “dove” debba avvenire l'uso del marchio notorio; non è infatti
necessario che il marchio sia usato nel paese dove la protezione viene richiesta; v. G. TRITTON,
Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 239 “There is a general consensus of
opinion that is not a requirement of art. 6bis that a mark must be used in the country where the
protection is sought.” V. per un esempio pratico L.P. RAMSEY, Free Speech and International
Obligations to Protect Trademarks, supra nota 169, pag. 430-431 “Thus, even if McDonald's
has not yet registered its mark or expanded its hamburger franchise into South Africa,
advertising or other promotion of the marks in that state may make it more likely the
McDonald's marks will be deemed well known to the relevant public and enable McDonald's to
prevent third parties to registering or using its marks in that state.”
65
concerned which has been obtained as a result of the promotion of
the trade mark ”. 1 8 7
Un'ulteriore specificazione di cosa si intenda per notorietà del
marchio è contenuta poi nelle c.d. Joint Recommendation Provisions
on the Protection of Well-Known Marks , un documento di soft law
(quindi non vincolante per gli stati firmatari dei TRIPs), 1 8 8 emanato
nel 1999 in sede WIPO, su iniziativa degli Stati Uniti e di quegli
altri Stati membri del WTO desiderosi
di una maggior tutela del
marchio c.d. well known. 1 8 9 In questo documento, all'art. 2(1)(b),
vengono indicati i fattori di cui le competenti autorità nazionali
devono tener conto nel determinare quando un marchio possa esser
considerato well known:
“1. the degree of knowledge or recognition of the mark in the
relevant sector of the public;
2. the duration, extent and geographical area of any use of the
mark;
187Art. 16(2) TRIPs. L'art. 16 TRIPs a sua volta richiama l'art. 6 bis della Convenzione di Parigi il
quale, a proposito della notorietà del marchio, afferma che questa debba esser apprezzata dalle
competenti autorità nazionali (“[...] of a mark considered by the competent authority of the
country of registration or use to be well known in that country as being already the mark of a
person entitled to the benefits of this Convention and used for identical or similar goods”).
L'art. 16(2) indica quindi i criteri affinché un marchio possa esser ritenuto notorio: v. G.
TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 239 “Article 16(2) sets out certain
criteria for determining whether a mark is well known or not within the meaning of art. 6 bis. ”
Da considerare poi come la locuzione “well known” non abbia niente a che fare con un
concetto di buona reputazione; v. N. PIRES DE CARVALHO, The TRIPs Regime of Trademarks and
Designs, supra nota 59, pag. 364 “A second implicit element of the definition is that, if
knowledge may derive from promotion and not necessarily from actual experiences by
consumers, it follows that there is no need for the mark to have acquired good (or bad)
reputation of any kind: unqualified knowledge is enough.”
188V. L.P. RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, supra nota
169, pag. 433 “This interpretation of TRIPs Article 16(3) in the Joint Recommendation of Well
Known Marks does not by itself bind the WTO members. Some commentators refers to this non
binding resolution as 'soft law', although it is not really 'law' in any traditional sense because
it does not create any binding legal obligation. Representatives of the WIPO say that states are
under a moral obligation to comply with the Joint Recommendation, but, unlike in the WTO,
the WIPO has not dispute settlement mechanism to encourage compliance.”
189V. ibid., pag. 432 “A few years after TRIPs became effective, representatives of the United
States and other WTO members who wanted stronger anti-dilution protection for well known
marks sought to clarify the meaning of TRIPs Article 16(3) in another forum: the World
Intellectual Property Organization.”
66
3. the duration, extent and geographical area of any promotion of
the mark, including advertising or publicity and the presentation, at
fairs or exhibitions, of the goods and/or services to which the mark
applies;
4. the duration and geographical area of any registrations, and/or
any applications for registration, of the mark, to the extent that
they reflect use or recognition of the mark;
5. the record of successful enforcement of rights in the mark, in
particular, the extent to which the mark was recognized as well
known by competent authorities;
6. the value associated with the mark.”
I parametri, non vincolanti, indicati dalla Joint Recommendation
Provisions devono esser considerati come principi guida dalle
autorità nazionali e la loro rilevanza può variare a seconda delle
circostanze. 1 9 0
In ambito comunitario, invece, una tutela viene conferita non solo a
quei marchi c.d. well known, ma viene estesa anche a quei marchi
c.d.
notori,
reputazione. 1 9 1
che
I
si
considerano
requisiti
affinché
dotati
un
di
una
marchio
determinata
possa
esser
190Art. 2(1)(c) Joint Recommendation Provisions on the Protection of Well-Known Marks “The
above factors, which are guidelines to assist the competent authority to determine whether the
mark is a well-known mark, are not pre-conditions for reaching that determination. Rather, the
determination in each case will depend upon the particular circumstances of that case. In some
cases all of the factors may be relevant. In other cases some of the factors may be relevant. In
still other cases none of the factors may be relevant, and the decision may be based on
additional factors that are not listed in subparagraph (b), above. Such additional factors may
be relevant, alone, or in combination with one or more of the factors listed in subparagraph
(b), above.”
191V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 331 “It will be noted that
the above provisions [art. 5(2) Direttiva 2008/95/CEE e art. 9(1)(c) Regolamento 207/2009
n.d.r.] go further than art.16(3) of TRIPs which only applies to well-known marks within the
meaning of art.6bis. it extends such protection to marks which have a reputation.”
L'espressione “gode di notorietà” utilizzata in ambito italiano in inglese viene espressa con la
locuzione “has a reputation”, in francese con “jouit d'une renommèe”, in tedesco con
“bekend”, in spagnolo con “goce de renombre”; tuttavia, come fa notare V. Barresi in B. BEEBE,
K.A. PLEVAN, D. LLEWELYN, I. SIMON, V. BARRESI, A. BRIDGES, S. PROGROFF, Dilution: a Review of
Recent Developments, in H.C. HANSEN, Intellectual Property Law and Policy, vol.10, Hart
67
considerato tale sono indicati dalla Corte di Giustizia Europea nella
sentenza General Motors Corp. v. Yplon SA; 1 9 2 in questa causa la
celebre casa automobilistica contestava l'uso, da parte della Yplon,
del marchio Chevy, registrato dalla GM per autoveicoli ed in seguito
utilizzato in Europa dalla Yplon per detergenti.
La Corte, chiamata a stabilire quella soglia di reputazione oltre la
quale un marchio debba esser considerato notorio, affermò che
questo debba esser ritenuto tale quando “it was known by a
significant part of the public concerned by the products or services
covered by the mark” ; 1 9 3 infatti, prosegue la Corte, il marchio
anteriore può esser considerato notorio solo quando “there is a
sufficient degree of knowledge of that mark that the public, when
confronted with the earlier trade mark may possibly make an
association between the two marks, even when used for non-similar
products or services, and that the trade mark may consequently be
Publishing, 2008, pag. 571 “The ECJ has reassured us that, despite linguistic differences, a
knowledge threshold requirement needs to be satisfied.”
192General Motors Corp. v. Yplon SA, C- 375/97, 14 settembre 1999.
193Ibid. para. 22. Il requisito richiesto dalla Corte è quindi di tipo quantitativo come fa notare L.
BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 879 “It appears from the
judgment that the test is primarily quantitative in the sense of the mark must be known , i.e.
that a significant number of the consumers must be familiar with the mark.” Phillips pone
l'accento poi sulla differenza tra marchio dotato di fama e marchio dotato di reputazione:
mentre il primo deve esser conosciuto da una larga parte dei consumatori, al di là del proprio
pubblico di riferimento, il secondo può, per esser considerato come dotato di reputazione, può
esser conosciuto anche solamente dal suo pubblico di riferimento; v. J. PHILLIPS, Trade Mark
Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 371 “Coca Cola has a reputation because it is
famous, but many trade marks enjoy a very substantial reputation despite their manifest lack of
fame. Trade marks such VANDOREN (clarinet reeds), KNOCKANDO (malt whiskey),
EUTHYMOL (dentifrices) are not famous in the 'Coca Cola' sense but, in the markets in which
they are used, they are both known and well respected by the ECJ calls 'public concerned”; v.
anche D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING , Kerly’s Law of
Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 261; v. anche PAGO International GmbH
v. Tirolmilch registrierte Genossenschaft mb9 H, C-301/07, 6 ottobre 2009, para. 27 “A livello
territoriale, il requisito relativo alla notorietà deve considerarsi soddisfatto qualora il marchio
comunitario goda di notorietà in una parte sostanziale del territorio della Comunità.” Per quel
che riguarda il pubblico che deve esser preso in considerazione questo deve essere quello di
riferimento del marchio anteriore, come recita la Corte nella medesima sentenza al paragrafo
24 “The public amongst which the earlier trade mark must have acquired a reputation is that
concerned by that trade mark, that is to say, depending on the product or service marketed,
either the public at large or a more specialised public, for example traders in a specific sector.”
V. anche PAGO International GmbH v. Tirolmilch registrierte Genossenschaft mb9 H, C301/07, 6 ottobre 2009, para. 21-24.
68
damaged”. 1 9 4
La valutazione del grado di reputazione necessaria affinché il
marchio possa esser definito notorio deve esser compiuta da parte
delle corti nazionali per mezzo di criteri indicati dalla Corte di
Giustizia nella medesima sentenza; questi criteri sono: “ the market
share held by the trade mark, the intensity, geographical extent and
duration of its use and the size of the investment made by the
undertaking in promoting it ”. 1 9 5
Negli Stati Uniti, invece, una tutela anti-diluitiva viene conferita a
quei marchi dotati di fama e distintività. Sono queste le condizioni
richieste dalla sezione 43(c) del Lanham Act. 1 9 6 Questi due requisiti
sono stati oggetto di ampio dibattito all'interno della dottrina e della
giurisprudenza statunitense e hanno costituito uno dei punti focali
della riforma del Federal Anti-Dilution Trademark A ct (FTDA). 1 9 7 Il
Trademark Anti-Dilution Revision A ct (TDRA) del 2006, oltre a
modificare il concetto di “ fame”, ha aggiunto anche la distintività
del marchio anteriore ai requisiti che questo deve avere per godere
della tutela anti-diluitiva. 1 9 8
194Ibid. para. 23.
195Ibid. para. 27; Phillips fa notare come la Corte di Giustizia non ponga una soglia oltrepassata
la quale il marchio si possa definire notorio, ma lascia alle corti nazionali questo compito,
indicando ad esse i parametri su cui basarsi. V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical
Anatomy, supra nota 32, pag. 372 “The world reputation [...] suggests only that there is a
'knowledge threshold requirement' which a trade mark must meet before it is entitled to
protection. The ECJ has wisely declined to fix that threshold, this being a job which falls
within the province of national courts.” V. anche PAGO International GmbH v. Tirolmilch
registrierte Genossenschaft mb9 H, C-301/07, 6 ottobre 2009, para. 25 “Nell’esaminare tale
condizione, il giudice nazionale deve prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti
della causa, cioè, in particolare, la quota di mercato coperta dal marchio, l’intensità, l’ambito
geografico e la durata del suo uso, nonché l’entità degli investimenti realizzati dall’impresa
per promuoverlo.” Riallacciandoci inoltre al discorso compiuto precedentemente sulle funzioni
del marchio che vengono tutelate, appare evidente, dall'analisi compiuta in questo paragrafo,
come la funzione tutelata dal terzo tipo di conflitto sia quella pubblicitaria.
196V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 362 “The most important fact
requirement is that only famous marks can take advantage of Section 43(c).”
197V. 3.5.1.
198Art. 1125(c)(1) Lanham Act “the owner of a famous mark that is distinctive, inherently or
through acquired distinctiveness, shall be entitled to an injunction against another person
who[...]”.
69
Un marchio è considerato sufficientemente famoso per accedere alla
suddetta protezione quando è “widely recognized by the general
consuming public of the United States ”. 1 9 9 Il TDRA ha alzato
l'asticella del grado di notorietà necessaria affinché un marchio
possa esser considerato famoso, facendo sì che non possano godere
di protezione anti-diluitiva quei marchi che siano noti solamente in
una determinata area geografica degli Stati Uniti o presso un
segmento specializzato di consumatori (c.d “ niche market”). 2 0 0 Sono
inoltre esclusi da questo tipo di protezione quei marchi che siano sì
famosi, ma al di fuori dei confini statunitensi. 2 0 1 Il TDRA indica poi
199Art. 1125(c)(2)(A) Lanham Act.
200L'eliminazione della protezione contro la diluizione per i marchi c.d. di nicchia è una delle
novità apportate dal TDRA, come fa notare Hofrichter in J.A. HOFRICHTER, Tool of the
Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision
Act 2006, supra nota 48, pag. 1939 “The TDRA also redefines a 'famous' mark as one that is
'widely recognized by the general consuming public of the United States' thereby eliminating
dilution protection for marks that are only well-known in 'niche markets'.” V. anche X.T.
NGUYEN, Fame Law: Requiring Proof of National Fame in Trademark Law, Cardozo Law
Review 2011, pag. 98 ss. “The TDRA eliminated niche fame and imposed a substantially
higher degree of fame that a trademark must possess for the purpose of dilution law. [...]
Trademarks with a level of fame recognized by the public only in a specialized segment or
geographic place or region in the United States are not protected.” V. anche B. BEEBE, A
Defense of the New Federal Anti-dilution Trade Mark Law, Fordham Intell. Prop. Media & Et.
L. J. 2006, pag. 1156; v. anche S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United
States Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 362; v. A.
J. ROBERTS, New-school trademark dilution: famous among the juvenile consuming public, The
Intellectual Property Law Review, 2009, pag. 589 ss.; v. Roederer v. J. Garcia Carrión S.A.,
U.S. District Court, Minnesota, 732 F. Supp. 2d 836, 2010 “A mark that is famous only within
a niche market does not qualify as famous‘ within the meaning of [the TDRA‘s] § 1125(c).” Per
quanto riguarda le controverse posizioni giurisprudenziali in merito alla protezione dei c.d.
marchi di nicchia, prima che la riforma, apportata dal TDRA, sgombrasse il campo dai dubbi,
si rimanda a R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights,
Patents and Trademark, supra nota 4, pag.704 ss. “The court have struggled with whether
niche fame is sufficient to allow a plaintiff to pursue a claim of trademark dilution. The
emerging judicial consensus is that marks famous only in a specialized market, rather than
well known to the general public, should not be considered 'famous' under the federal dilution
statute. […] There is however, a line of cases, holding that a mark with only limited or niche
fame is entitled to protection against dilution where the defendant is using the mark in sales to
the same narrow market segment.”
201V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 362 “The requirement that the
consuming public must be in the United States means that marks famous outside of the U.S.
will not be eligible for dilution protection.” V. X.T. NGUYEN, Fame Law: Requiring Proof of
National Fame in Trademark Law, supra nota 200, pag. 100 “The fame of a trademark is
confined within its national territory. That means evidence demonstrating that a particular
mark is widely recognized by the general consuming public in other countries is not considered
part of or a substitution for fame recognition by the U.S. general consuming public.”
70
quali siano i fattori che devono esser presi in considerazione dalle
corti federali nella valutazione del grado di fama; questi fattori, non
esclusivi, 2 0 2 sono:
“(i) The duration, extent, and geographic reach of advertising and
publicity of the mark, whether advertised or publicized by the owner
or third parties. (ii) The amount, volume, and geographic extent of
sales of goods or services offered under the mark. (iii) The extent of
actual recognition of the mark.
(iv) Whether the mark was
registered under the Act of March 3, 1881, or the Act of February
20, 1905, or on the principal register.”
L'altro requisito richiesto dal TDRA è poi la distintività del
marchio. Questa costituiva uno dei parametri che le corti dovevano
tenere in considerazione nel valutare la fama del marchio, secondo
quanto previsto dal FTDA. 2 0 3 Il TDRA, invece, pone il requisito
della distintività a fianco di quello della fama. Al tempo stesso il
TDRA ritiene dotati di carattere distintivo anche quei marchi che
202V. art. 1125(c)(2)(A) Lanham Act “In determining whether a mark possesses the requisite
degree of recognition, the court may consider all relevant factors, including the following”; v.
anche S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual
Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 363 “The TDRA lays out
four nonexclusive factors for courts to consider when determining whether a mark has the
requisite degree of distinctiveness.” V. anche X.T. NGUYEN, Fame Law: Requiring Proof of
National Fame in Trademark Law, supra nota 200, pag. 101.
203I parametri fissati dal precedente FTDA erano invece: “(A) the degree of inherent or acquired
distinctiveness of the mark; (B) the duration and extent of use of the mark in connection with
the goods or services with which the mark is used; (C) the duration and extent of advertising
and publicity of the mark; (D) the geographical extent of the trading area in which the mark is
used; (E) the channels of trade for the goods or services with which the mark is used; (F) the
degree of recognition of the mark in [the] trading areas and channels of trade used by the
mark‘s owner and the person against whom the injunction is sought; (G) the nature and extent
of use of the same or similar marks by third parties; and (H) whether the mark was registered
under the Act of March 3, 1881, or the Act of February 20, 1905, or on the principal register.”
Un confronto con quelli previsti dal TDRA viene fatta da Nguyen in X.T. NGUYEN, Fame Law:
Requiring Proof of National Fame in Trademark Law, supra nota 200, pag. 103 “Comparing
the above factors of the old statute to the factors for determining fame under the TDRA, there
is a noticeable difference. The old fame factors have been simplified and combined into the
new factors. A careful examination, however, reveals that in reality there is not much
difference, as many of the factors in the old statute are similar to those of the new statute.”
71
abbiano acquisito questo carattere attraverso l'uso e non solo quelli
c.d.
“inherently
distinctive ”,
sgombrando
così
il
campo
dall'interpretazione di alcune corti che ritenevano dotati di fama
solamente i secondi. 2 0 4
Da un punto di vista della normativa transazionale, la protezione del
marchio notorio viene affidata all'art. 16 TRIPs, che a sua volta
richiama l'art. 6 bis della Convenzione di Parigi . Quest'ultimo
afferma che:
“The countries of the Union undertake, ex officio if their legislation
so permits, or at the request of an interested party, to refuse or to
cancel the registration, and to prohibit the use, of a trademark
which constitutes a reproduction, an imitation, or a translation,
liable to create confusion, of a mark considered by the competent
authority of the country of registration or use to be well known in
that country as being already the mark of a person entitled to the
benefits of this Convention and used for identical or similar goods.
These provisions shall also apply when the essential part of the
204L'art 1125(c)(1) Lanham Act parla esplicitamente di “mark that is distinctive, inherently or
through acquired distinctiveness” Nel prosieguo della sua comparazione tra i parametri posti
dal FTDA e quelli richiesti invece dal TDRA Nguyen in X.T. NGUYEN, Fame Law: Requiring
Proof of National Fame in Trademark Law, supra nota 200, pag. 103 afferma che “The only
factor in the old statute absent in the new one is factor (A), inherent or acquired distinctiveness
of the mark. This factor was excluded in response to the conflict among the federal appellate
circuits as some required famous marks to possess ―inherent distinctiveness while others
declined to impose such a requirement. Excluding the distinctiveness factor, the new statute
extends anti-dilution protection to trademarks qualified as famous, regardless of if they are
inherently distinctive or have acquired a secondary meaning.” A proposito di quanto affermato
dal 2nd Circuit riguardo al carattere distintivo del marchio v. J.A. HOFRICHTER, Tool of the
Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision
Act 2006, supra nota 48, pag. 1940 “The TDRA also rejects a Second Circuit rule only
allowing dilution protection for 'inherently distinctive' marks by adding that protection is
available to marks that are distinctive, 'inherently or through acquired distinctiveness.' This
change provides anti-dilution claims for marks that were not granted protection under the
Second Circuit’s interpretation, increasing the number of plaintiffs eligible for anti-dilution
protection.” V. anche V. Barresi in B. BEEBE, K.A. PLEVAN, D. LLEWELYN, I. SIMON, V. BARRESI, A.
BRIDGES, S. PROGROFF, Dilution: a Review of Recent Developments, in H.C. HANSEN, Intellectual
Property Law and Policy, supra nota 191, pag. 560 “First, the TDRA quite clearly establishes
that non inherently distinctive marks may qualify for antidilution protection, which overrides a
line of cases out of the Second Circuit Court of Appeals in New York and other states, most
often associated with Judge Leval.”
72
mark constitutes a reproduction of any such well–known mark or an
imitation liable to create confusion therewith. ”
L'art. 16 TRIPs amplia poi la portata del succitato art. 6 bis CUP,
prevedendo una egual tutela anche per i servizi, non menzionati
dalla CUP, e per quei beni (o servizi) dissimili rispetto a quelli per
cui il marchio anteriore è stato registrato. 2 0 5 Quest'ultima estensione
sussiste solamente, però, se l'uso che viene fatto del marchio
posteriore è in grado di danneggiare gli interessi del titolare del
marchio well known. 2 0 6
Le condizioni affinché venga assicurata tutela al marchio well
known, vengono poi meglio specificate dalle già citate
Recommendation
Provisions
on
the
Protection
of
Joint
Well-Known
Marks. In questo documento si afferma che un marchio, c.d . well
known, debba godere di protezione, a prescindere dalla somiglianza
dei beni o dei prodotti, se almeno una di queste condizioni è
rispettata:
“(i) the use of that mark would indicate a connection between the
goods and/or services for which the mark is used, is the subject of
an application for registration, or is registered, and the owner of
the well-known mark, and would be likely to damage his interests;
(ii) the use of that mark is likely to impair or dilute in an unfair
205Art. 16(3) TRIPs : “Article 6bis of the Paris Convention (1967) shall apply, mutatis mutandis,
to goods or services which are not similar to those in respect of which a trademark is
registered, provided that use of that trademark in relation to those goods or services would
indicate a connection between those goods or services and the owner of the registered
trademark and provided that the interests of the owner of the registered trademark are likely to
be damaged by such use.” V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag.
239 “The article [16(2) and (3) TRIPs n.d.r.] extent protection in two ways. First, the
protection which is to provided under Art.6bis of the Paris Convention to well-known trade
marks is also given to service marks. Secondly, in relation to well known marks which are
registered, protection for well known marks is extended to dissimilar goods and services.” V.
anche G.E. EVANS, TRIPs and Trade Mark Use, in J. PHILLIPS, I. SIMON, Trade Mark Use, Oxford
University Press, 2005, pag. 304.
206V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 240.
73
manner the distinctive character of the well-known mark;
(iii) the use of that mark would take unfair advantage of the
distinctive character of the well-known mark.”
Come traspare dall'art 1, l'intento perseguito dalla normativa TRIPs
è quello di statuire un livello minimo di protezione comune a tutti i
paesi firmatari, lasciando dunque questi ultimi liberi di conferire
una tutela più ampia ai diritti del titolare del marchio. 2 0 7
Il suddetto livello minimo di protezione viene riconosciuto, ed in
parte ampliato, dalla normativa comunitaria. 2 0 8 Questa è basata su
quanto viene statuito in proposito dalla Direttiva 2008/95/CEE, 2 0 9 la
quale, all'articolo 5(2), afferma che:
“Ciascuno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia
il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel
commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i
prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato
registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato
membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebito
vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di
impresa o reca pregiudizio agli stessi. ”
210
207V. Art.1 TRIPs “Members shall be free to determine the appropriate method of implementing
the provisions of this Agreement within their own legal system and practice.”; v. anche L.P.
RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, supra nota 169,
pag. 432. “TRIPs Article 16 only sets forth minimum standards of protection, so member states
may elect to offer greater protection for well-known marks regardless of whether the mark is
registered or use of the mark causes confusion, indicates a connection between the third party
and markholder, or is likely to cause damage to the markholder.” V. G. MANDRINO, E.
GRANZIERA, Gli Accordi Commerciali Multilaterali e Settoriali, in A. COMBA Neoliberismo
Internazionale e Global Economic Governance, supra nota 65, pag. 141 “L'accordo TRIPs
stabilisce standards minimi di tutela applicabili a livello internazionale alla salvaguardia dei
diritti di proprietà intellettuale. Resta salva, comunque, la facoltà dei membri di garantire una
protezione più ampia e intensa rispetto a quanto previsto dall'Accordo, purché ciò avvenga in
conformità alle previsioni dello stesso.” V. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe,
supra nota 91, pag. 240.
208V. supra per quanto concerne l'estensione della protezione conferita a livello transazionale al
marchio well known da parte della normativa comunitaria ai marchi dotati di reputazione.
209Come anche dall'art. 9(1) del Regolamento 207/2009 che lo ricalca.
210La lettera della Direttiva viene trasposta all'interno delle legislazioni dei paesi comunitari,
74
I requisiti che devono dunque sussistere affinché un marchio notorio
possa ricevere tutela sono quindi:
– un utilizzo nel commercio, non autorizzato dal titolare del
marchio, per prodotti dissimili a quelli per cui il marchio è stato
registrato; 2 11
– l'identità o la somiglianza del segno rispetto al marchio d'impresa
anteriore; 2 1 2
come testimoniano ad esempio: art. 10(3) TMA “A person infringes a registered trade mark if
he uses in the course of trade a sign which (a)is identical with or similar to the trade mark,
and (b)is used in relation to goods or services which are not similar to those for which the
trade mark is registered, where the trade mark has a reputation in the United Kingdom and the
use of the sign, being without due cause, takes unfair advantage of, or is detrimental to, the
distinctive character or the repute of the trade mark.” Art. L-713-5 Code de la propriété
intellectuelle “La reproduction ou l'imitation d'une marque jouissant d'une renommée pour des
produits ou services non similaires à ceux désignés dans l'enregistrement engage la
responsabilité civile de son auteur si elle est de nature à porter préjudice au propriétaire de la
marque ou si cette reproduction ou imitation constitue une exploitation injustifiée de cette
dernière. Les dispositions de l'alinéa précédent sont applicables à la reproduction ou
l'imitation d'une marque notoirement connue au sens de l'article 6 bis de la Convention de
Paris pour la protection de la propriété industrielle précitée.” Art. 20 CPI “Il titolare ha il
diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell'attività economica: […] (3) un
segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il
marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l'uso del segno senza giusto motivo
consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del
marchio o reca pregiudizio agli stessi.”.
211Per quanto riguarda la somiglianza dei prodotti o dei servizi è da notare come, anche se la
lettera del succitato art.5(2) pare riferirsi solamente a prodotti o servizi dissimili, in realtà la
tutela viene estesa anche a quei prodotti o servizi identici o simili come statuito dalla Corte di
Giustizia Europea: v. Davidoff & Cie SA and Zino Davidoff SA v. Gofkid Ltd, C- 292/00, 9
gennaio 2003, para. 14 “By its first question, the national court essentially asks whether
Articles 4(4)(a) and 5(2) of the Directive are to be interpreted as entitling the Member States to
provide specific protection for registered trade marks with a reputation in cases where the later
mark or sign, which is identical with or similar to the registered mark, is intended to be used
or is used for goods or services identical with or similar to those covered by the registered
mark.” V. anche Adidas-Salomon AG and Salomon Benelux BV v. Fitnessworld Trading Ltd,
C- 408/01, 23 ottobre 2003, para. 13-14. Per il concetto di utilizzo “in the course of trade” si
rimanda a 1.2.3.1.
212Per il concetto di identità tra segni si rimanda a 1.2.3.1.; per il concetto di somiglianza v.
1.2.3.2. Riguardo alla somiglianza tra marchi è bene però sottolineare come la dottrina e la
giurisprudenza evidenzino una differenza tra la somiglianza richiesta dall'art. 5(2) e quella
indicata dal 5(3); v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 880
“Whereas under section 5(2) the tribunal is asking whether the marks are confusingly similar,
under section 5(3) the tribunal must asses whether the marks are sufficiently similar that the
average consumer will make a link between them.” Queste affermazioni sono basate su alcune
sentenze in cui la Corte di Giustizia Europea ha statuito questo diverso grado di somiglianza
necessaria affinché le due fattispecie si concretizzino; v. Adidas-Salomon AG and Salomon
Benelux BV v. Fitnessworld Trading Ltd , C- 408/01, 23 ottobre 2003, para. 31 “la tutela
prevista dall'art. 5, n. 2, della direttiva non è subordinata alla constatazione di un grado di
somiglianza tra il marchio notorio e il segno tale da generare, nel pubblico interessato, un
rischio di confusione tra gli stessi. È sufficiente che il grado di somiglianza con il marchio
75
– la notorietà del marchio nello stato membro; 2 1 3
– un uso immotivato del segno che consenta di trarre un indebito
vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio
anteriore o che causi ad esso un pregiudizio.
Avendo già in precedenza analizzato i primi tre requisiti sopra
indicati, non ci resta che concentrare la nostra attenzione sulla
quarta ed ultima condizione, posta dalla normativa comunitaria,
affinché un marchio notorio possa accedere alla relativa tutela. Per
facilitarne la comprensione è però necessario scomporre questo
requisito ed analizzarne le componenti.
La normativa europea, come vedremo, 2 1 4 non vieta ogni uso del
marchio notorio, ma solamente quegli usi che comportano un
“unfair advantage ” per chi, privo di autorizzazione, utilizza il
marchio anteriore, oppure un “detriment” a spese della reputazione
o del carattere distintivo del marchio.
L'indebito
vantaggio
tratto
dalla
reputazione
o
dal
carattere
distintivo del marchio anteriore consiste nell'appropriarsi di quel
“selling
power”,
che
è
caratteristica
intrinseca
del
marchio
notorio, 2 1 5 al fine di trasferirlo su di un marchio posteriore, per
aumentarne
le
possibilità
di
successo
presso
il
pubblico
di
consumatori. Questo uso non ha di per sé la finalità di ingannare il
consumatore sull'origine dei prodotti o dei servizi, 2 1 6 ma tende a
notorio ed il segno abbia come effetto che il pubblico interessato stabilisca un nesso tra il
segno ed il marchio d'impresa.” V. anche Intel Corporation Inc. v. CPM UK Ltd., C- 252/07,
27 novembre 2008, para. 30; v. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota
91, pag. 331 ss. Comunque sia anche nella statuizione della somiglianza tra marchi, secondo
l'art. 5(2), i segni i questione devono esser valutati attraverso un apprezzamento globale che,
come abbiamo visto in 1.2.3.2., tenga conto della loro somiglianza visiva, sonora e concettuale;
v. ibid.; v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 880.
213V. supra.
214V. 1.4. e 1.5.
215V. 1.2.1.
216V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 337 “A trader may choose
to make use of the selling power of a brand for the purpose of launching their own product in a
manner that does not actually deceive consumer.”.
76
sfruttare in maniera parassitaria la notorietà del marchio anteriore,
come
affermato
da
una
consolidata
giurisprudenza. 2 1 7
Questo
sfruttamento, il c.d. “ free-riding ”, fenomeno che analizzeremo più
in profondità nel corso della nostra trattazione, 2 1 8 deve esser
caratterizzato, affinché si concretizzi questa fattispecie, da un
ingiusto arricchimento a vantaggio di chi, non autorizzato, utilizzi il
marchio anteriore. Questo ingiusto arricchimento consiste in un
“substantial saving on investment in promotion and publicity for its
own mark, since its benefits from that which has made the earlier
mark highly famous. ” 2 1 9
E' da notare, poi, come, più forte è il carattere distintivo o la
217V. Antarctica srl. v. OHIM, T- 47/06, 10 maggio 2007, (caso Nasdaq) riguardante l'uso del
marchio NASDAQ per una linea di caschi per bicicletta, para. 60-61 “[...]Taking account of the
fact that the financial and stock market listing services supplied by the intervener under its
trade mark NASDAQ and, therefore, the trade mark NASDAQ itself, undeniably present a
certain image of modernity, that link enables the transfer of that image to sports equipment
and, in particular, to the high-tech composite materials which would be marketed by the
applicant under the mark applied for, which the applicant appears to recognise implicitly by
stating that the word ‘nasdaq’ is descriptive of its main activities. 61 - Therefore, in light of
that evidence, and taking account of the similarity of the marks at issue, the importance of the
reputation and the highly distinctive character of the trade mark NASDAQ, it must be held that
the intervener has established prima facie the existence of a future risk, which is not
hypothetical, of unfair advantage being drawn by the applicant, by the use of the mark applied
for, from the reputation of the trade mark NASDAQ.” V. Aktieselskabet af 21 november 2001 v.
OHIM, T- 477/04, 6 febbraio 2007, para. 65 “It must also be noted that the concept of taking
unfair advantage of the distinctive character or the reputation of the earlier mark must be
understood as encompassing instances where there is clear exploitation and free-riding on
the coat-tails of a famous mark or an attempt to trade upon its reputation.” V. anche Spa
Monopole, compagnie fermière de Spa SA/NV v. OHIM, T- 67/04, 25 maggio 2005, para. 5152.; v. anche, per quanto riguarda un caso in cui l'esistenza dell'ingiusto vantaggio non è stata
ritenuta fondata Sigla SA v. OHIM, T-215/03, 22 marzo 2007, para. 73 “Orbene, dato che la
ricorrente non ha illustrato caratteristiche particolari rivendicate per il suo marchio anteriore
né il modo in cui queste ultime sarebbero tali da facilitare la commercializzazione dei servizi
oggetto del marchio richiesto, le caratteristiche associate abitualmente ad un marchio notorio
di una catena di ristorazione rapida, evocate al precedente punto 57, non si possono
considerare idonee, di per sé, ad arrecare un vantaggio a servizi di programmazione di
computer, nemmeno se destinati ad alberghi e ristoranti.” Per la dottrina v. G. TRITTON,
Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 336 ss.; L. BENTLY, B. SHERMAN,
Intellectual Property Law, supra nota 1, pag.883 ss.
218V.2.3.1.
219V. Ferrero v. Kindercare Learning, OHIM, Commissione di Ricorso, R-1004/2000, 2005,
para. 26. v. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING, Kerly’s Law
of Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 265 “The advantage for that
undertaking arises in the substantial saving on investment in publicity and promotion for its
own goods, since it is able to 'free ride' on that already undertaken by the earlier reputed mark.
It is unfair since the reward for the costs of promoting, maintaining and enhancing a particular
trade mark should belong to the owner of the earlier trade mark in question.”
77
reputazione del marchio anteriore, più sarà facile il determinarsi di
un ingiusto vantaggio per il soggetto che, non autorizzato, lo
utilizzi o di un danno al suo carattere distintivo o alla sua
reputazione. 2 2 0
Passando poi all'analisi del rischio di un danno al carattere
distintivo del marchio anteriore o alla sua reputazione, dobbiamo
premettere che questo rappresenta uno dei punti focali della nostra
trattazione e, come tale, sarà analizzato con dovizia di particolari
più avanti, laddove ci troveremo ad analizzare gli effetti che
l'utilizzo di un marchio per fini parodistici, satirici o di critica
sociale possono avere su di esso. 2 2 1
Per il momento, perseguendo lo scopo intrinseco di questo capitolo,
che consiste nell'illustrazione della tutela che la legge fornisce alle
prerogative del titolare del marchio, verrà fornita solamente una
panoramica generale della questione.
Come recita la lettera della Direttiva 2008/95/CEE, il danno che può
esser arrecato al marchio notorio, attraverso un suo utilizzo non
autorizzato, può riguardare il detrimento al suo carattere distintivo
(ed in questo caso si parlerà di detriment by blurring ) o il
danneggiamento della sua reputazione ( detriment by tarnishment ).
Queste due tipologie di danno si concretano non solo nei casi in cui
il marchio venga utilizzato con i suddetti fini di parodia, satira o
critica; la giurisprudenza, sia comunitaria che delle corti degli stati
membri, testimonia, infatti, un ricorrere di queste due fattispecie
anche in casi di usi diversi da quelli succitati. 2 2 2 Per una questione
220V. D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING , Kerly’s Law of Trade
Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 265 “The strongest the earlier trademark's
distinctive reputation and character the easier it will be to accept that unfair advantage has
been taken or detriment ha been caused.” V. anche J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical
Anatomy, supra nota 32, pag. 373; v. General Motors Corp. v. Yplon SA, C- 375/97, 14
settembre 1999, para. 30 “A tal riguardo va osservato che più il carattere distintivo e la
notorietà di quest'ultimo saranno rilevanti, più sarà facilmente ammessa l'esistenza di un
pregiudizio”.
221V. 2.4.
222V. ad esempio Sigla v. OHIM, T-215/03, 22/3/2007, Adidas-Salomon AG and Adidas Benelux
BV v. Fitnessworld, C-408/01, 23 ottobre 2003, Marca Mode CV v. Adidas AG, C-425/98,
78
di organicità, però, tratteremo anche di questi più in là nella nostra
trattazione, quando ci troveremo ad approfondire le fattispecie di
blurring 2 2 3 e di tarnishment. 2 2 4
L'ultimo dei requisiti richiesti poi dall'art. 5(2) della Direttiva
2008/95/CEE è la mancanza di una motivazione nell'uso del marchio
notorio anteriore. La protezione conferita al marchio notorio scatta
solamente quando, l'uso non autorizzato compiuto da terzi, avvenga
“without due cause”. Come la stessa dottrina sottolinea, 2 2 5 né la
Direttiva
2008/95/CEE,
né
la
giurisprudenza
comunitaria,
forniscono una chiara interpretazione di cosa venga inteso per “ uso
immotivato ”. Non ci resta quindi che far riferimento a quanto
statuito in merito da alcune corti di paesi membri della Comunità.
Una definizione di cosa si debba intendere per uso immotivato del
marchio altrui si può trovare in una sentenza della Corte di
Giustizia
del
Benelux
nella
quale
il
detentore
del
marchio
CLAERYN, registrato per gin, chiamò in causa la Colgate-Palmolive
ritenendola responsabile di violazione del suo marchio anteriore,
attraverso il marchio CLAREYN da quest'ultima registrato per
detergenti. La Corte di Giustizia del Benelux affermò dunque che
per uso immotivato debba esser inteso un uso compiuto “ without a
justifiable reason ”; nella stessa sentenza vennero poi indicati quali
siano i casi in cui un uso debba esser considerato giustificato. In
primo luogo quando colui che usa il marchio si è trovato costretto
ad usarlo ed, in secondo istanza, quando egli lo abbia usato in forza
di un suo proprio diritto. 2 2 6 Questa impostazione viene confermata
22/6/2000, Hollywood v. Souza Cruz, English Board of Appeal, R- 283/1999-3, [2002].
223V. 2.4.1.1.
224V. 2.4.1.2.
225V. G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 344 “This provision has not
been considered by the ECJ nor is there any guidance in the Directive as to its meaning.” V.
anche D. KITCHIN, D. LLEWELYN, J. MELLOR, R. MEADE, T. MOODY, D. KEELING , Kerly’s Law of
Trade Marks and Trade Names, supra nota 34, pag. 263.
226V. Lucas Bols v. Colgate-Palmolive (1976) IIC 420; v. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical
Anatomy, supra nota 32, pag. 376 ss.; L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra
nota 1, pag.888 ss.; G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91, pag. 344 ss.
79
dalla High Court inglese nella sentenza Premier Brands UK Ltd v.
Typhoon Europe Ltd; nel caso si verifichi un ingiusto vantaggio o un
danno
per
il
marchio
anteriore,
qualora
il
non
autorizzato
utilizzatore dimostri che l'uso da egli fatto del marchio sia avvenuto
con
un
giustificato
motivo,
allora
costui
non
sarà
ritenuto
responsabile della violazione . Il grado di prova richiesto è però
molto alto. 2 2 7
Come vedremo nel corso del II e del III capitolo il criterio del due
cause avrà una decisiva importanza nel bilanciamento tra libertà
d'espressione e diritti del titolare del marchio notorio, in quanto,
laddove venga provata la sua sussistenza, l'uso del marchio altrui
con finalità parodistiche o critiche non potrà esser definito come
illecito, ancorché determinante un danno alla capacità distintiva o
alla reputazione del marchio.
Negli Stati Uniti la normativa di riferimento per la tutela del
marchio famoso, come già accennato in precedenza, è il Federal
227V. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag.889 “In Premier Brands
UK v. Typhoon Europe, Neuberger J held that the phrase 'without due cause' required an
applicant (or in the case of an alleged infringer, the defendant) to show some justifiable reason
for using its sign in relation to its goods even thought this was unfair or detrimental to the
earlier mark. The decision to select a particular mark in good faith would not justify its
registration (or continued use).” Phillips pone l'accento sul fatto che questa previsione
conferisca una certa flessibilità di giudizio al giudice; v. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a
Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 377 “Those words also give a court a degree of
flexibility in a situation in which the allegedly infringing act confers some advantage or inflicts
some detriment but where the justice of the case nonetheless leads the court to the conclusion
that the defendant should not be liable.” Un grado di prova ancor più elevato viene poi preteso
poi dal Board of Appeal dell'OHIM nel caso Souza Cruz v. Hollywood: affinché l'utilizzatore
del marchio possa invocare il c.d. due cause deve dimostrare che o egli è obbligato all'uso del
segno in questione e che quindi il titolare del marchio anteriore non può ragionevolmente
impedirglielo, o che questo uso avviene in forza di un suo specifico diritto. V. Souza Cruz v.
Hollywood, OHIM, Commissione di Ricorso, 25 aprile 2001, para. 85 “The Board of Appeal
considers that it must be imposed as a condition for due cause that the trade mark applicant
should be obliged to use the sign in question, such that, notwithstanding the detriment caused
to the proprietor of the earlier trade mark, the applicant cannot reasonably be required to
abstain from using the trademark, or that the applicant has a specific right to use this sign,
over that the right of the earlier trade mark's proprietor does not take precedence.” V. anche L.
BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 888; G. TRITTON, Intellectual
Property in Europe, supra nota 91, pag. 344; J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy,
supra nota 32, pag. 377.
80
Trademark Anti-dilution Act (FTDA) del 1995, oggetto di riforma da
parte del Trade Mark Anti-dilution Reform Act del 2006 (TDRA) ed
inserito all'art. 1125, sezione 43(c) del Lanham Act. Tralasciando
ora le vicende legate alla riforma della tutela del marchio contro la
fattispecie diluitiva, che saranno oggetto di analisi nel corso della
nostra trattazione, 2 2 8 è bene esaminare la protezione fornita negli
Stati Uniti al marchio c.d. famous. L'art. 1125 sez. 43(c) del
Lanham Act afferma che:
“Subject to the principles of equity, the owner of a famous mark
that is distinctive, inherently or through acquired distinctiveness,
shall be entitled to an injunction against another person who, at
any time after the owner ’s mark has become famous, commences use
of a mark or trade name in commerce that is likely to cause dilution
by blurring or dilution by tarnishment of the famous mark,
regardless of the presence or absence of actual or likely confusion,
of competition, or of actual economic injury. ”
Come possiamo notare i requisiti, che vengono richiesti affinché un
marchio possa accedere alla tutela prevista da questa sezione del
Lanham Act, sono principalmente due: il primo concerne la fama e il
carattere distintivo di cui deve esser dotato il marchio, di cui ci
siamo già occupati nel corso di questo paragrafo, mentre il secondo
consiste nel rischio che, attraverso un uso non autorizzato compiuto
nel corso commercio, il marchio subisca la c.d. diluizione. Il
significato del termine dilution 2 2 9 veniva un tempo chiarito all'art.
228V. 3.5.1.
229Il concetto di dilution venne introdotto nel 1927 da Schechter (v. F. SCHECHTER, The Rational
Basis of Trademark Protection, Harvard Law Review, 1927) che si riferiva, al danneggiamento
dell'unicità del marchio famoso, degna di tutela per via del suo selling power; v. B. BEEBE, A
Defense of the New Federal Anti-dilution Trade Mark Law, supra nota 200, pag. 1145 “In a
seminal 1927 article, the trademark practitioner and scholar Frank Schechter introduced to
American law the concept of trademark dilution. By 'dilution',Schechter meant to refer to the
impairment of a trademark’s uniqueness. His primary concern was to preserve what he
variously termed a mark’s 'arresting uniqueness,' its 'singularity', 'identity,” and 'individuality,'
81
1127 sez. 45 del Lanham Act:
“The term "dilution" means the lessening of the capacity of a
famous
mark
to
identify
and
distinguish
goods
or
services,
regardless of the presence or absence of (1) competition between
the owner of the famous mark and other parties, or (2) likelihood of
confusion, mistake, or deception.”
Questa definizione è però diventata superflua, ed è quindi stata
eliminata, a causa della riforma compiuta dal TDRA. Quest'ultimo,
come è evidente dalla lettera del nuovo art. 1125, suddivide infatti
il concetto di dilution in “dilution by blurring ” e “dilution by
tarnishment”, dando ad entrambi una chiara definizione.
Questa bipartizione 2 3 0 va a sostituire la summenzionata definizione
di dilution , conferendo alle due fattispecie di diluizione un assetto
più netto e definito di quanto non faccia la corrispettiva normativa
comunitaria. Come abbiamo accennato in precedenza, la dilution by
blurring e la dilution by tarnishment costituiscono uno dei punti
its quality of being 'unique and different from other marks.' In Schechter’s view, trademark
uniqueness was worth protecting because it generated 'selling power.'”Comunque sia questo
suo concetto di diluizione basato sull'unicità del marchio non entrerà mai nella legislazione
nord-americana in materia; v. ibid., pag. 1147, “Schechter’s original conception has never been
enacted into law, and the language of the TDRA is careful to steer clear of it. Indeed, in the
early stages of the drafting of the Act, a form of antidilution protection based on 'uniqueness'
was proposed and rejected.” V. anche M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First
Amendment Limitations on the Trademark Estate, supra nota 176, pag. 54.
230L'introduzione di una così netta bipartizione è una delle riforme più importanti introdotte dal
TDRA del 2006; v. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech,
Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48, pag. 1939 “While the
previous law only provided definition of dilution in general in § 1127, the TDRA defines
dilution by blurring, and also adds six non-exclusive factors that a court 'may consider' in
'determining whether a mark or trade name is likely to cause dilution by blurring.' The TDRA
also explicitly adds tarnishment actions, which are arguably absent from the current statute,
and provides a definition of dilution by tarnishment.” V. anche B. BEEBE, A Defense of the New
Federal Anti-dilution Trade Mark Law, supra nota 200, pag. 1156 “it explicitly provides that
both 'dilution by blurring' and 'dilution by tarnishment' are forms of dilution actionable under
Section 43(c) and formulates definitions of 'dilution by blurring' and 'dilution by
tarnishment'.” V. anche S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States
Intellectual Property Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 361.
82
focali della nostra trattazione e, come tali, saranno oggetto di
approfondimento nel suo proseguo.
1.3. Le limitazioni del diritto di utilizzazione esclusiva del
marchio da parte del titolare - gli usi consentiti del
marchio altrui
Come abbiamo avuto modo di analizzare in precedenza, il principale
diritto spettante al titolare del marchio consiste nell'esclusività
della sua utilizzazione e, conseguentemente, nella possibilità di
impedirne l'uso a tutti quei soggetti da lui non espressamente
autorizzati. Questo diritto, però, trova due tipi di limitazioni: gli usi
c.d. consentiti del marchio altrui (oggetto di analisi in questo
paragrafo) e gli usi c.d. atipici (dei quali ci occuperemo nel
paragrafo successivo).
La previsione di determinate eccezioni all'uso esclusivo del marchio
da parte del suo titolare è prevista a livello transnazionale dall'art.
17 TRIPs:
“Members may provide limited exceptions to the rights conferred by
a trademark, such as fair use of descriptive terms, provided that
such exceptions take account of the legitimate interests of the owner
of the trademark and of third parties.”
Questa norma prevede dunque la possibilità, per i legislatori dei
paesi membri del WTO, di prevedere dei limiti al diritto di esclusiva
del titolare del marchio. 2 3 1 Quest'articolo si premura poi di far un
231Queste eccezioni devono però tener sempre in dovuta considerazione le prerogative del titolare
del marchio e devono quindi esser limitate, pur nella ricerca di un bilanciamento con le
necessità dei terzi; v. N. DONTAS, Permitted Use under International Law, in J. PHILLIPS,
Trademark at the Limit, Edward Elgar, 2006, pag. 7 “Art. 7 is the outcome of the balance
83
esempio di cosa si intenda per eccezione ai diritti del titolare del
marchio e fa riferimento all'uso di termini in funzione descrittiva;
tale uso deve però esser connotato dal requisito dell'onestà. 2 3 2 Gli
altri usi consentiti del marchio altrui, indicati come eccezioni dalla
suddetta norma, che il legislatore nazionale è libero di prevedere,
devono esser però sempre statuiti tenendo presenti gli interessi del
titolare del marchio e quelli dei terzi. Il richiamo agli interessi del
terzo è di grande importanza per quel che riguarda la protezione
della libertà d'espressione, in quanto vi rientrano sia la possibilità
per un soggetto di esprimersi liberamente, utilizzando il marchio a
fini di critica sociale, parodia o satira, sia quella del pubblico ad
ascoltarlo. 2 3 3 Su questo tema torneremo nel paragrafo successivo,
quando ci occuperemo di analizzare quelle eccezioni all'utilizzo
esclusivo del marchio, che, pur non avendo una protezione tipizzata
nell'art. 6 della Direttiva 2008/95/CEE, non vengono considerati
between preserving the trademark rights of the owner against the necessity of allowing third
parties a reasonable use of someone else's mark. Therefore, only limited exceptions are
justified, that is, exceptions that do not affect the core of the rights conferred by a trade mark.”
232V. ibid., pag. 9 “The terms 'fair use' and 'respect of the legitimate interest of the owner of the
trade mark and of third parties' will, most probably, be interpreted as the duty to protect the
core of the trade mark rights, that is, as the obligation to avoid any use that will not be in
accordance with honest practices in industrial and commerce matter. Such would be in the
case if, for example, the third party use gives the impression that there is a commercial
connection between the third party and the trade mark owner, or affects the value of the
trademark by taking unfair advantage of its reputation, or it amounts to denigration of that
mark.” V. anche N. PIRES DE CARVALHO, The TRIPs Regime of Trademarks and Designs, supra
nota 59, pag. 393.
233V. L.P. RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, supra nota
169, pag. 442 “Such third parties [ci si riferisce all'uso compiuto del marchio nel caso Barbie
girl, Plesner ed Esso citati in precedenza dall'autrice, n.d.r.] have a legitimate interest in using
the marks of others to express themselves, and the public has a legitimate interest in hearing
what they have to say. […] Thus, the 'legitimate interests of third parties' in trademark disputes
must include the right to freedom of expression and, more specifically, the right to use
language claimed as a trademark to communicate information and ideas. The person or firm
using the mark has a free speech right to speak. The audience has the right to receive the
expression. Future speakers (including competitors, critics, social activists, and other
commentators) and the rest of the general public will benefit if third parties choose to
communicate in certain truthful ways because they believe their right of free speech will be
protected against litigious trademark holders.” Pires De Carvalho in N. PIRES DE CARVALHO, The
TRIPs Regime of Trademarks and Designs, supra nota 59, pag. 393, afferma, per quanto
riguarda gli interessi dei terzi, che questi devono esser definiti dal legislatore nazionale “Those
interests, naturally, must also be determined by public policies. After all, the protection of
those legitimate interests causes the individual rights of trademark owners to be diminished.”
84
come atti di infrazione delle prerogative del titolare del marchio. A
differenza di queste tipologie di utilizzazioni, ve ne sono altre, di
cui ci occuperemo in questo paragrafo, tipizzate dal succitato art. 6
e
definite
comportano
come
il
usi
consentiti
concretrarsi
del
marchio
altrui,
che
non
della fattispecie di contraffazione.
Ampliando quanto previsto dall'Art. 17 TRIPs, 2 3 4 l'art.6 della
Direttiva 2008/95/CEE indica tre tipi di usi consentiti del marchio
altrui, nel corso del commercio, che non possono esser impediti dal
titolare del marchio.
“Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare
dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:
a) del loro nome e indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità,
alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica all’epoca
di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre
caratteristiche del prodotto o del servizio;
c)
del
marchio
di
impresa
se
esso
è
necessario
per
contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in
particolare come accessori o pezzi di ricambio, purché l’uso sia
conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e
commerciale.”
Il primo uso consentito del marchio altrui riguarda l'utilizzo del
proprio nome o del proprio indirizzo in un'attività economica (ad
esempio nella corrispondenza commerciale). Questo uso, anche
qualora un nome o un indirizzo corrispondano ad un marchio
234V. L.P. RAMSEY, Free Speech and International Obligations to Protect Trademarks, supra nota
169, pag. 437 “It is clear from the text of Article 17 that states may allow 'fair use of
descriptive terms,' but WTO members are not restricted to this particular exception; they may
enact other limited exceptions to trademark rights.”
85
precedentemente registrato, non potrà esser vietato dal suo titolare,
se avviene in accordo con gli onesti usi commerciali e industriali. 2 3 5
Il soggetto potrà quindi registrare il proprio nome come ditta, ma
non come marchio, per non entrare in conflitto con i diritti del
titolare del marchio anteriore. 2 3 6
235Il criterio delle oneste pratiche commerciali e industriali corrisponde a quello del 'fair use'
indicato dal succitato art. 17 TRIPs; v. Anheuser-Busch Inc. v. Budejovický Budvar, národní
podnik, C- 245/02, 16 novembre 2004, para. 82 “È necessario poi che tale uso sia conforme
agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale, unico criterio di valutazione
indicato dall'art. 6, n. 1, della direttiva 89/104. La condizione relativa agli «usi di lealtà»
costituisce, in sostanza, l'espressione di un obbligo di lealtà nei confronti dei legittimi interessi
del titolare del marchio [...]. Si tratta quindi, in sostanza, della stessa condizione posta dall'art.
17 dell'accordo TRIPs.” La Corte di Giustizia in questa sentenza indica anche quali siano i
fattori da tener in considerazione per stabilire se vi sia o meno il rispetto degli interessi del
titolare del marchio; v. ibid., para. 83 “detta condizione relativa agli usi di lealtà va valutata
tenendo conto della misura in cui, da una parte, l'uso della ditta del terzo verrebbe inteso dal
pubblico interessato, o per lo meno da una parte significativa di esso, come sintomatico di un
collegamento tra i prodotti del terzo e il titolare del marchio o una persona autorizzata ad
usare il marchio, nonché, dall'altra, della misura in cui il terzo avrebbe dovuto esserne
consapevole. Un ulteriore elemento da considerare nel procedere a tale valutazione è
rappresentato dal fatto che si tratta di un marchio che gode di una certa notorietà nello Stato
membro in cui è registrato ed in cui è richiesta la sua tutela e dal quale il terzo potrebbe trarre
vantaggio per la commercializzazione dei suoi prodotti.” V. anche Gerolsteiner Brunnen
GmbH & Co. v. Putsch GmbH, C- 102/02, 7 gennaio 2004, para. 24; BMW v. Deenik, C- 63/97,
23 febbraio 1999, para. 61; v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1,
pag. 933; v. anche S. MIDDLEMISS, Permitted Use under European law: the Framework, in J.
PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 14, dove vengono invece indicati, anche
attraverso l'analisi della Direttiva sulla pubblicità comparativa (2006/114/CEE), quegli usi da
considerarsi invece disonesti “use which gives the impression of a commercial connection
between parties; use which affects the value of a trade mark by taking unfair advantage; use
which entails discrediting or denigrating a trade mark; presentation of a product as an
imitation or replica of the trade mark owner's product.” Nella stessa opera si procede anche
all'analisi del requisito dell' uso “in accordance with honest practices in industrial or
commercial matters” in relazione ai succitati casi BMW e Gerolsteiner; v. anche A. ROUGHTON,
Permitted Infringing Use the Scope of Defences to an Infringment Action, in J. PHILLIPS, I.
SIMON, Trademark Use, supra nota 205, pag. 181 ss.; v. anche K. CEDERLUND, P. HANSSON, Non
Traditional Trade Marks; Unauthorised but Permitted Use, in J. PHILLIPS, Trademark at the
Limit, supra nota 231, pag. 269.
236V. Anheuser-Busch Inc. v. Budejovický Budvar, národní podnik, C- 245/02, 16 novembre 2004,
para. 81 “L'eccezione prevista dall'art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 può, in linea di
principio, essere fatta valere da un terzo per usare un segno identico o simile ad un marchio
per designare la sua ditta benché si tratti di un uso rientrante nell'art. 5 n. 1, della detta
direttiva.” V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 227 “The
honest use by a human being of his or her name cannot be prevented under trade mark law.
[...] However, the use of one's name as a trade mark will not be tolerated by law if another
person owns a trade mark for the same name. This is because the public's interest in not being
confused by the existence of two identical or nearly identical trade marks for the same product
is given a higher legal value […] than the individual right to use his own name.” V. anche M.
86
Il secondo uso consentito corrisponde a quell'uso descrittivo
“suggerito” dal summenzionato art. 17 TRIPs. Se dunque un
marchio, precedentemente registrato, viene usato per descrivere la
specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la
provenienza
geografica,
l'epoca
di
fabbricazione
o
ad
altre
caratteristiche del prodotto o del servizio, questo uso non darà
luogo alla violazione dei diritti del titolare, se compiuto in accordo
con gli usi onesti commerciali e industriali 2 3 7 . E' comunque
necessario
notare
come
viga
il
divieto
di
registrare
marchi
puramente descrittivi; un marchio può sì contenere indicazioni
descrittive, ma deve altresì avere un elemento distintivo. 2 3 8
Orbene, questo elemento distintivo non potrà esser liberamente
utilizzato da terzi, al contrario, invece, dell'elemento descrittivo che
potrà esser usato per i sopracitati scopi.
Il terzo uso consentito, tipizzato dalla Direttiva 2008/95/CEE, è
quello finalizzato ad indicare la destinazione di un prodotto o di un
servizio. Questo, in particolar modo, accade per quei beni composti
da più parti, alcune delle quali intercambiabili tra di loro. Queste
parti di ricambio possono infatti venir prodotte dallo stesso
fabbricante del prodotto principale o da un'altra azienda; in questo
secondo caso l'azienda in questione deve poter indicare che i suoi
prodotti sono adattabili ad un determinato prodotto principale,
contraddistinto da un certo marchio. Un caso che ha fatto scuola in
materia è quello delle lamette sostitutive per rasoi Gilette; 2 3 9
RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V.
MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e
Concorrenza, supra nota 2, pag. 129.
237V. supra nota 235.
238V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa, Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V.
MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA, Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e
Concorrenza, supra nota 2, pag. 130; v. anche G. TRITTON, Intellectual Property in Europe,
supra nota 91, pag. 358; Phillips in J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra
nota 32, pag. 222 fa inoltre notare come sia la descrittività che la distintività possono esser
acquisite o perdute attraverso l'uso.
239The Gillette Company, Gillette Group Finland Oy LA-Laboratories Ltd Oy, C- 228/03, 17
87
quest'ultima aveva chiamato in causa un'azienda produttrice di
lamette, contrassegnate dal marchio PARASON FLEXOR , in quanto
utilizzava il marchio Gilette per indicare la compatibilità delle sue
lamette con i rasoi della ricorrente. La Corte di Giustizia, dopo aver
specificato che la dicitura “ per accessori o pezzi di ricambio ” è da
considerarsi puramente esemplificativa, 2 4 0 ha affermato che, qualora
non vi siano altri mezzi per informare il pubblico, è lecito utilizzare
il marchio per indicare la destinazione del proprio prodotto, se ciò
avviene
nel
rispetto
delle
oneste
pratiche
industriali
e
commerciali. 2 4 1
marzo 2005.
240V. ibid., para. 32 “Peraltro, poiché la destinazione dei prodotti in quanto accessori o pezzi di
ricambio è data solo a titolo di esempio, trattandosi probabilmente di situazioni correnti in cui
è necessario utilizzare un marchio per indicare la destinazione di un prodotto, l'applicazione
dell'art. 6, n. 1, lett. c), della direttiva 89/104 non è limitata a tali situazioni.”
241V. ibid. para. 39 “L'uso del marchio da parte di un terzo che non ne è il titolare è necessario
per indicare la destinazione di un prodotto messo in commercio da tale terzo quando tale uso
costituisce in pratica il solo mezzo per fornire al pubblico un'informazione comprensibile e
completa su tale destinazione al fine di preservare il sistema di concorrenza non falsato sul
mercato di tale prodotto.” Sempre per quanto riguarda le informazioni data al pubblico v.
BMW v. Deenik, C- 63/97, 23 febbraio 1999, para. 60 “è sufficiente rilevare, come ha
osservato l'avvocato generale al paragrafo 54 delle sue conclusioni, che, se un commerciante
indipendente effettua la manutenzione e la riparazione di automobili BMW o è effettivamente
specializzato in tale campo, tale informazione non può in pratica essere comunicata ai suoi
clienti senza che egli faccia uso del marchio BMW.” Per la dottrina v. J. PHILLIPS, Trade Mark
Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 224 “The important exception is the use of
another's trade mark in order to indicate product compatibility: this may done for example, by
the use of statements such as 'this software has been written in order to reduce the frequency of
crashes experienced by users of Microsoft Explorer in a Microsoft Windows environment […]
the use of another's trademark is specifically condoned when it indicates that the product to
which it is attached functions as a 'spare part' for the product with which that trade mark is
associated, for example, 'these cartridges are compatible with all PARKER fountain pens.'” V.
S. MIDDLEMISS, Permitted Use under European law: the Framework, in J. PHILLIPS, Trademark
at the Limit, supra nota 231, pag. 19 “To establish a defence, the defendant's use of a trade
mark must be necessary to indicate the intended purpose. In other words, use is only permitted
where either the information cannot be communicated without that use, or it is the only
practical way of communicating the information. The scope of the requirement of necessity has
yet to be clarified but is likely to vary with the particular circumstances of the case.”
Monteagudo e Porxas mettono l'accento sul fatto che le fattispecie indicate dall'art. 6 della
Direttiva siano da considerarsi come eccezioni al diritto di utilizzazione esclusiva prevista
dall'art. 5, v. M. MONTEAGUDO, N. PORXAS, Repairs and other specialist services in the light of
the ECJ's BMW ruling, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 110 “[...]the
limitations on the trade mark right are exceptions to a trade mark infringement act under art.
5. Thus, the application of art. 6(1) involves solely and exclusively determining whether the
specific conditions referred to above are fulfilled and their fulfillment determines, as a matter
of law, an exception to the infringement.” V. anche L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property
Law, supra nota 1, pag. 935 ss.; G. TRITTON, Intellectual Property in Europe, supra nota 91.,
88
Torneremo a trattare dell'art. 6 della Direttiva nel corso della nostra
trattazione in quanto, come vedremo, parte della dottrina ravvisa
una ricomprensione di un utilizzo parodistico o satirico del marchio
altrui all'interno delle eccezioni da esso previste.
Il corrispettivo statunitense della dottrina degli usi consentiti di
matrice comunitaria è la dottrina del c.d. " fair use". La norma di
riferimento è l'art. 1115(b)(4) del Lanham Act che recita:
"That the use of the name, term, or device charged to be an
infringement is a use, otherwise than as a mark, of the party’s
individual name in his own business, or of the individual name of
anyone in privity with such party, or of a term or device which is
descriptive of and used fairly and in good faith only to describe the
goods or services of such party, or their geographic origin"
La dottrina americana è solita distinguere due tipi di fair use: il c.d.
descriptive fair use e il nominative fair use. 2 4 2 Il descriptive fair
use (detto anche classic fair use) concerne l'uso di parole,
corrispondenti ad un marchio registrato, per descrivere beni e
servizi. Questo utilizzo, se compiuto onestamente, in buona fede
(fairly and in good faith ) ed in modo tale che la parola sia usata non
come marchio, ma in senso descrittivo, non può esser vietato dal
titolare del marchio anteriore. 2 4 3 La prova di un uso corretto e
pag. 359 ss.
242V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 406 “There are two different types of
defences encompassed under the umbrella term of fair use. The first is the classic fair use
defense that arises when the plaintiff’s mark is descriptive in nature […] The second type of
fair use is nominative fair use.”
243V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and
Trademark, supra nota 4, pag. 747 “Many trademarks consist of ordinary English words that
communicate information. Such words can become trademarks on a variety of situations. If
they actually describe the goods or services to which they are appended, they will considered
'descriptive' […] If any of these situations, however, the trademark owner of such a mark
cannot prevent other firms from using the words in their underlying and everyday English
89
meramente descrittivo del termine oggetto di controversia viene
data dalla sussistenza o meno della confusione nel pubblico circa
l'origine dei prodotti; qualora questa sussista non si può però
considerare che il termine sia stato usato in senso puramente
descrittivo e quindi questo uso non deve esser permesso. 2 4 4 Al tempo
stesso però parte della giurisprudenza americana ha affermato che,
qualora l'uso sia stato fatto in buona fede e onestamente, un rischio
di confusione debba esser comunque tollerato dal titolare del
marchio, in quanto è il prezzo da pagare per l'aver scelto e registrato
un termine descrittivo per contraddistinguere i propri prodotti. 2 4 5
L'altro tipo di fair use evidenziato dalla dottrina americana è il c.d.
nominative fair use. L'uso del marchio altrui non costituisce una
violazione dei diritti del suo titolare quando avviene da parte di un
sense to communicate information.” V. D. QUINTO, A.P. ALDEN, Descriptiveness in American
Trade Mark Law, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 155 “That defence
succeeds when the court finds that the defendant is using the phrase at issue not in a
trademark sense but merely to describe its goods or services.” V. anche S.W. HALPERN, C.A.
NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law: Copyright, Patent,
Trademark, supra nota 45, pag. 406.
244V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and
Trademark, supra nota 4, pag. 749 “The real test of 'descriptive use' is whether the defendant's
use avoids generating a likelihood of confusion. If the use creates confusion it is probably not
merely descriptive, and will not to be allowed.”
245V. Kp permanent make-up, inc. v. Lasting impression i, inc., et al., U.S. Supreme Court, n. 03409, 8 dicembre 2004 “Since the burden of proving likelihood of confusion rests with the
plaintiff, and the fair use defendant has no free-standing need to show confusion unlikely, the
Court recognizes that some possibility of consumer confusion is compatible with fair use.”
Comunque sia la Corte Suprema nella stessa sentenza si rifiuta di stabilire il grado di
confusione necessaria affinché non sia più possibile parlare di 'fair use'; v. ibid. “Because the
Court does not rule out the pertinence of the degree of consumer confusion under the fair use
defense, it does not pass upon the Government’s position that §1115(b)(4)’s “used fairly”
requirement demands only that the descriptive term describe the goods accurately. Accuracy
has to be a consideration in assessing fair use, but the proceedings below have raised no
occasion to evaluate other concerns that courts might pick as relevant–e.g., commercial
justification and the strength of the plaintiff’s mark–as to which the door is not closed.” V.
anche D. QUINTO, A.P. ALDEN, Descriptiveness in American Trade Mark Law, in J. PHILLIPS,
Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 156 “Although KP Permanent make-up clarified
the relationship between a plaintiff's burden in proving a likelihood of confusion and the
classic fair use defence, the Supreme Court decline to address a number of other important
questions. For example, even though some degree of consumer confusion may now co-exist
with fair use, the Court indicated that there might be a limit on the amount of confusion that
must be accepted before the defence becomes available. The Court declined, however, to offer
any guidance on how much confusion is too much.” V. anche R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS,
Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark, supra nota 4, pag. 749.
90
terzo per identificare i suoi prodotti o servizi in quanto non esiste
un modo migliore per farlo. 2 4 6 Proprio la necessità di utilizzo del
marchio è uno dei fattori che devono esser tenuti in considerazione
per stabilire se il suddetto uso viene compiuto "fairly", come
traspare dalla liste compilate dai Circuits statunitensi per stabilire
se vi sia o meno onestà nell'uso. La più applicata di queste liste è
quella indicata dal 9 t h Circuit nella causa The New Kids on the Block
v. News Am. Publ'g Inc; 2 4 7 l'utilizzo inautorizzato del marchio altrui
è da considerarsi " fair", e quindi non punibile, se rispetta tutte le
condizioni di seguito elencate:
“First, the product or service in question must be one not readily
identifiable without use of the trademark; second, only so much of
the mark or marks may be used as is reasonably necessary to
identify the product or service; and third, the user must do nothing
that would, in conjunction with the mark, suggest sponsorship or
endorsement by the trademark holder.”
Tra i molti usi del marchio altrui che rispettano i suddetti criteri
possiamo
annoverare
l'utilizzo
per
servizi
di
riparazione
specializzati e per parti di ricambio 2 4 8 (alla stregua di quanto
246V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 406 “With nominative fair use the
defendant uses the plaintiff's mark because there is no better way to identify the defendant's
goods and services.”
247The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9th
Circuit, 971 F. 2d 302, 1992; v. anche Brother Records, Inc. v. Jardine, U.S. Court of Appeals,
9th Circuit, 318 F.3d 900, 28 gennaio 2003; per il 3rd Circuit, invece, nella causa Century 21
Real Estate Corp. v. Lendingtree, Inc., 425 F.3d 211, 11 ottobre 2005“To demonstrate fairness,
the defendant must satisfy a three-pronged nominative fair use test, derived to a great extent
from the one articulated by the Court of Appeals for the Ninth Circuit. Under our fairness test,
a defendant must show: (1) that the use of plaintiff's mark is necessary to describe both the
plaintiff's product or service and the defendant's product or service; (2) that the defendant uses
only so much of the plaintiff's mark as is necessary to describe plaintiff's product; and (3) that
the defendant's conduct or language reflect the true and accurate relationship between plaintiff
and defendant's products or services.” V. D. QUINTO, A.P. ALDEN, Descriptiveness in American
Trade Mark Law, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag.158.
248V. R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and
91
previsto dall'Art. 6 della Direttiva 2008/95/CEE) e l'utilizzo nella
pubblicità comparativa. 2 4 9 Anche l'uso in chiave parodistica o critica
del marchio, pur se con difficoltà maggiori rispetto a quanto
previsto riguardo al copyright, 2 5 0 diviene poi possibile attraverso
questa dottrina. Ciò viene evidenziato dal giudice Kozinski nel
sopracitato caso The New Kids Block, quando, conseguentemente al
fatto che “sometimes there is no descriptive substitute, and a
problem
closely
related
to
genericity
and
descriptiveness
is
presented when many goods and services are effectively identifiable
only by their trademarks”, egli afferma che “it is often virtually
impossible to refer to a particular product for purposes of
comparison, criticism, point of reference or any other such purpose
without using the mark”. 2 5 1
Trademark, supra nota 4, pag. 742 “The question is whether unaffiliated and unauthorized
repair service providers and repair part vendors may specifically mention other parties'
trademark in describing their own goods and services. So long as they speak the truth the
answer is yes.” Come però messo in luce in ambito europeo dalla sentenza BMW ciò non deve
esser fatto in modo tale da creare una falsa immagine di collegamento o affiliazione con il
titolare del marchio; v. ibid. pag. 743 “The line that cannot be crossed in these situations is for
the third party user of the mark to in any way falsely suggest that is authorized by or affiliated
with the trademark owner.” V. anche Volkswagenwerk Aktiengesellschaft v. Church, U.S. Court
of Appeals, 9th Circuit, 411 F.2d 350,1969, citata dal giudice Kozinski in The New Kids on the
Block v. News Am. Publ'g Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 971 F. 2d 302, 1992.
249Per un'analisi della pubblicità comparativa negli Stati Uniti si rimanda a C.H. GOOGE, L.
CLAYTON, Comparative Advertising in the United States, in J. PHILLIPS, I. SIMON, Trade Mark
Use, supra nota 205, pag. 25 ss.
250V. M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the
Trademark Estate, supra nota 176, pag. 50ss. “Both trademark and copyright law posses
affirmative defenses to an infringement action in the form of 'fair use' defense. However, only
the copyright fair use doctrine provides any meaningful protection for free speech interests.[...]
Yet the fair use defense set forth in Section 32(b)(4) of the Lanham Act is limited to the use of
another party's mark to describe one's own goods. Unless parody is in some fashion
descriptive of the defendant's goods, it is difficult to see how the trademark fair use doctrine
could be used to protect parody.” La prova dell'uso parodistico di opere protette da copyright è
da considerarsi un fattore molto importante per chi debba difendersi dall'accusa di aver
utilizzato senza autorizzazione opere protette dal diritto d'autore come traspare da Rogers v.
Koons, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 960 F. 2d 301, 2 aprile 1992 e dal
recentissimo caso che ha visto coinvolto il pittore Prince accusato di essersi appropriato delle
opere del fotografo Cairou. Sul criterio di fair use applicato all'utilizzo parodistico o critico del
marchio e sul raffronto con la corrispettiva disciplina prevista per il copyright torneremo in
2.3.2.
251The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit,
971 F. 2d 302, 1992; v. anche D. QUINTO, A.P. ALDEN, Descriptiveness in American Trade Mark
Law, in J. PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 158 “The New Kids policy has
been applied to allow the parodic use of a trade mark to denote the target of the parody.”
92
Sia il nominative che il descriptive fair use, attraverso il TDRA,
vengono a costituire esplicite esenzioni di responsabilità per quel
che riguarda l'utilizzo del marchio altrui. All'art. 1125(3)(A) del
Lanham Act si afferma, infatti, che laddove abbia luogo un fair use
(compresi il nominative e il descriptive ) l'utilizzo del marchio altrui
non verrà considerato come illecito. Tra le tipologie di fair use
consentite vengono altresì menzionate la critica e la parodia del
marchio; un'eccezione a sé stante viene poi dedicata al suo uso noncommerciale. Di queste esenzioni ci occuperemo approfonditamente
più avanti nel corso della nostra trattazione, quando ci troveremo ad
analizzare i criteri attraverso i quali avviene il bilanciamento tra
libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio all'interno
della giurisprudenza americana. 2 5 2
1.4. Le eccezioni al diritto di utilizzazione esclusiva del
marchio da parte del titolare - gli usi atipici del
marchio altrui
Al di fuori degli usi consentiti del marchio altrui che, come abbiamo
visto, vengono tipizzati dall'art. 6 della Direttiva 2008/95/CEE, vi
sono altri usi, c.d. atipici, in quanto non ricompresi nella succitata
Direttiva, che non sono vietabili dal titolare del marchio. Definibili
come utilizzi non-distintivi del marchio altrui, essi non sono
espressamente permessi da alcuna norma, ma al tempo stesso non
possono esser considerati infrattivi dei diritti del titolare del
marchio in quanto non ricadono all'interno della normativa sui
marchi. 2 5 3 Ciò in forza del fatto che il marchio in questi casi non
252V. 2.2.1.2., 2.2.1.3., 3.1., 3.5.1.
253V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32, pag. 233 “There are a
range of activities that are permitted without the need for a specific defence, because they do
not even fall within the scope of infringement.” V. M. RICOLFI, I Segni distintivi d'Impresa,
Marchio, Ditta, Insegna, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA,
93
viene utilizzato nella sua funzione primaria, ossia per distinguere
beni o servizi.
Tra questi usi possiamo annoverare, ad esempio, l'utilizzo del
marchio relativo ad un prodotto intermedio da parte del produttore
del prodotto finito, 2 5 4 l'utilizzo del logo distintivo di un prodotto
nella sua riproduzione in scala, 2 5 5 il richiamo ad un altro marchio
nella pubblicizzazione del proprio. Un altro caso che poi si deve far
rientrare nell'uso atipico del marchio è quello della pubblicità
comparativa, per regolar la quale è stata emanata la Direttiva
2006/114/CE. 2 5 6 Affinché questi usi possano esser considerati non
contrari alle prerogative del titolare del marchio è però necessario
che rispettino quelle oneste pratiche commerciali e industriali, sul
cui significato ci siamo intrattenuti nel paragrafo precedente. I
predetti usi, così come anche la pubblicità comparativa, rientrano,
nella disciplina americana, all'interno di quel nominative fair use
oggetto nella nostra analisi nel paragrafo precedente. All'interno del
Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, supra nota 2, pag. 131.
254Pensiamo ad esempio ad un produttore automobilistico che nel libretto di istruzioni della
vettura da lui venduta indica l'utilizzazione di pneumatici Pirelli o di un impianto audio Bose.
255V. Adam Opel AG v. Autec AG, C- 48/05, 25 gennaio 2007 para. 22 “Pertanto, l'apposizione su
modellini di veicoli, da parte di un terzo, di un segno identico ad un marchio registrato per
giocattoli può essere vietata, ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva, soltanto qualora
pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni di tale marchio.” V. L. BENTLY, B. SHERMAN,
Intellectual Property Law, supra nota 1, pag. 925.
256Introdotta in Italia attraverso il d.lgs. n. 145 del 2 agosto 2007. Affinché la pubblicità
comparativa sia permessa deve rispettare determinate condizioni previste dall'art. 4 della
Direttiva 2006/114/CEE “a) non sia ingannevole; b) confronti beni o servizi che soddisfano gli
stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi; c) confronti obiettivamente una o più
caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il
prezzo, di tali beni e servizi; d) non causi discredito o denigrazione di marchi, denominazioni
commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o circostanze di un concorrente; e) per
i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisca in ogni caso a prodotti aventi la stessa
denominazione f) non tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio,
alla denominazione commerciale o ad altro segno distintivo di un concorrente o alle
denominazioni di origine di prodotti concorrenti; g) non rappresenti un bene o servizio come
imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione
commerciale depositati; h) non ingeneri confusione tra i professionisti, tra l’operatore
pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni
distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente.” Per un
approfondimento sul tema si rimanda a P. DE JONG, Comparative Advertising in Europe, in J.
PHILLIPS, Trademark at the Limit, supra nota 231, pag. 53 ss.
94
nominative fair use, come abbiamo visto, può esser fatta rientrare
anche la possibilità di utilizzare il marchio per fini di critica o
parodia.
Questa
possibilità
è
stata
d'altronde
esplicitata
dall'eccezione ai diritti del titolare del marchio, introdotta dal
TDRA, riguardante un fair use compiuto al fine di “ (ii)identifying
and parodying, criticizing, or commenting upon the famous mark
owner or the goods or services of the famous mark owner.” 2 5 7 Nella
disciplina europea, come vedremo, ciò non è ancora stato oggetto di
una chiara formalizzazione, ma viene auspicato che quell'eccezione
ai diritti di copyright previsti in caso di un uso parodistico o critico
del materiale da essi protetto, venga estesa anche ai marchi. 2 5 8 Come
vedremo quindi, in assenza di eccezioni ad hoc, laddove l'utilizzo
del marchio altrui, per fini parodistici o critici, possa esser
configurato come uso del marchio, in quanto compiuto con funzione
distintiva , il bilanciamento con i diritti del titolare del marchio
dovrà avvenire attraverso la statuizione della non-contraffattorietà
ex art. 5(1) e 5(2) dell Direttiva. Al contrario, quando l'utilizzo del
marchio non possa esser definito come uso, il summenzionato
bilanciamento avverrà al di fuori della normativa dei marchi e
verranno presi in considerazione altri parametri per valutarne la sua
liceità, come ad esempio la responsabilità aquiliana dell'utilizzatore
non autorizzato e l'eventuale danno nei confronti del titolare del
marchio. Vedremo
nel corso della nostra trattazione che la
giurisprudenza delle corti nazionali europee abbia, a seconda dei
casi, ritenuto determinati utilizzi come usi del marchio, mentre altre
volte abbia compiuto il suddetto bilanciamento al di fuori della
normativa marchi, avendo definito determinati utilizzi non come usi
del marchio.
257V. art. 1125(3)(A) Lanham Act.
258V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28,
pag. 281 “It has been argued, in various European jurisdictions, that in analogy to copyright
law, a parody exception should be applied to limit trademark rights.”
95
A questi ed altri aspetti saranno dunque dedicati i due successivi
capitoli.
96
CAP. II: IL CONFLITTO TRA LIBERTA' D'ESPRESSIONE E
DIRITTI DEL TITOLARE DEL MARCHIO
SOMMARIO: 2.1.La nozione di libertà di espressione ed i suoi limiti. - 2.1.1. In Italia e nei paesi
Europei. - 2.1.2. Nella Comunità Europea. - 2.1.3. Negli Stati Uniti. - 2.2. Il conflitto tra libertà
d'espressione e prerogative del titolare del marchi. - 2.2.1. Strumenti e finalità. - 2.2.1.1. Parodia e
satira – una distinzione opportuna?. - 2.2.1.2. Critica. - 2.2.2. La libertà d'espressione nelle
espressioni commerciali.- 2.2.3. La libertà d'espressione nelle espressioni non commerciali o
miste. - 2.3. Tutela del marchio notorio e libertà d'espressione. - 2.3.1. Due cause, interesse sociale
e free-riding. - 2.3.2. Fair use e tassonomia delle eccezioni.- 2.4. Gli effetti dell'utilizzo
parodistico, satirico o critico del marchio - La diluizione. - 2.4.1. Blurring (Offuscamento). 2.4.2. Tarnishment (Annacquamento).
2.1. La nozione di libertà di espressione ed i suoi limiti.
Dopo aver analizzato nel I capitolo le prerogative del titolare del
marchio e la tutela che i vari ordinamenti presi in esame, ad esse
conferiscono, è giunto il momento di confrontarci con il secondo
termine di riferimento della nostra trattazione, ossia la libertà di
espressione, per poi addentrarci nella disamina del conflitto tra
quest'ultima e i sopracitati diritti.
La libertà d'espressione è un principio nobile ed antico le cui origini
risalgono fin alla πολις ateniese; il suo riconoscimento e la sua
tutela da parte da parte del potere temporale (e talvolta anche da
parte di quello religioso) hanno costituito un tema ricorrente nel
corso dei secoli, seguendo una linea immaginaria che va da
97
Euripide 1 e Pericle 2 passando per Galileo, 3 Milton, 4 i padri nobili
del liberalismo, per giungere alla Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo e del cittadino francese ed alla Costituzione
americana ed ai suoi emendamenti. Questi due ultimi Statuti,
emanati sul finire del XVIII secolo, furono, difatti, i primi in cui
venne riconosciuto e costituzionalizzato, questo principio. Affinché,
però,
questo
esempio
venisse
seguito
anche
dagli
altri
stati
nazionali bisognerà attendere, almeno nei territori del c.d. blocco
occidentale , ancora più di un secolo. Solo dopo la terribile
esperienza dei totalitarismi, che in nome dell' ethischer Staat
avevano visto come nemica e di conseguenza soppresso la libertà
d'espressione, la maggior parte delle nazioni, in particolar modo
quelle
rinate
dalle
ceneri
della
guerra,
affermarono
e
costituzionalizzarono questo principio. Sull'onda di uno spirito
dettato dalla reazione agli orrori della Seconda Guerra Mondiale si
procedette
poi,
a
livello
sia
transazionale
che
regionale,
all'introduzione di carte dei diritti fondamentali a garanzia di
quest'ultimi. Tra questi diritti rientrò a pieno titolo, come avremo
modo di vedere, la libertà d'espressione. Il riconoscimento di questa
1 V. il discorso di Teseo nelle Supplici riportato da Milton all'inizio della sua Areopagitica (v.
nota 3) “Ecco che cosa è libertà: «Chi ha qualche utile consiglio, e vuole offrirlo alla città?».
Chi se la sente, celebre diviene di colpo; e chi non se la sente, se ne sta zitto. Uguaglianza più
perfetta, esiste?”
2 V. L. PELLICANI, La Libertà dei Moderni, in AA.VV, La Libertà dei Moderni tra Liberalismo e
Democrazia, Società Aperta edizioni, 2000, pag. 27 “Nell’Atene di Pericle, all’ideale del
governo del popolo, s’intrecciò il principio fondamentale del liberalismo moderno, che cioè
ciascun cittadino, all’interno dell’organismo statale, deve conservare la libertà di pensare e di
agire autonomamente e di manifestare con franchezza la propria opinione, mentre lo Stato ha
da immischiarsi quanto meno nella vita privata dei singoli.”
3 Celebre il suo scontro con il potere ecclesiastico del tempo riguardo al riconoscimento della
forma del globo terrestre.
4 Celebre è il suo discorso al Parlamento inglese del 1644 nel corso del quale si scaglia contro la
censura preventiva in favore della libertà d'espressione e di stampa. V. J. MILTON, Areopagitica,
Discorso per la Libertà di Stampa, RCS, 2010, pag. 52 “[..] che ci può esser di più bello che
permettere a un uomo di giudizio, di studio e di coscienza, altrettanto buono, per quanto ne
sappiamo, di quelli che c'insegnarono ciò che conosciamo, di render pubblico al mondo, non
furtivamente di casa in casa, ciò che è più pericoloso, ma apertamente con i suoi scritti, quale
sia la sua opinione, quali le sue ragioni, e per quali motivi ciò che viene ora insegnato non
può esser valido?”
98
libertà,
caposaldo
di
ogni
ordinamento
che
voglia
definirsi
democratico, 5 è stato altresì accompagnato, come vedremo, dalla
statuizione di alcuni limiti, per evitare che essa si trasformasse in
una libertà di diffamazione o offesa, di incitamento all'odio o alla
diffusione di contenuti che la comune morale, pur sempre coinvolta
in un incessante processo evolutivo potesse definire come osceni o
che, per ragioni di sicurezza nazionale, dovessero esser tenuti
segrete. 6 Altro limite posto alla libertà d'espressione è quello che
concerne la difesa dei diritti di proprietà , come possono essere i
diritti della proprietà intellettuale ed, in particolar modo, per
quanto riguarda l'oggetto della nostra trattazione, le prerogative del
titolare del marchio. Ciò non toglie, come vedremo, che, nella
ricerca di un bilanciamento tra questo principio e i c.d. " rights of
others", 7 la libertà d'espressione debba esser considerata come un
principio più alto, fondamentale per l'uomo, e quindi limitabile
solamente
nel
caso
ricorrano
quelle
determinate
e
tipizzate
eccezioni a cui sopra abbiamo accennato. L'introduzione e la
costituzionalizzazione a livello sia transazionale che statale di
5 V. R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Costituzionale, Giappichelli, Torino, 2006, pag. 510
“Siccome la circolazione delle idee è il presupposto della democrazia, la libertà di
manifestazione del pensiero (detta anche libertà d'espressione) è da sempre considerata, dalla
stessa giurisprudenza costituzionale, la pietra angolare del sistema democratico.” V. anche W.
BRADLEY, K.D. EWING, Constitutional and Administrative Law, Pearson, 2007, pag. 541 “The
right of freedom of expression, in the words of art. 10 of the European Convention on Human
Rights, includes freedom to hold opinions and 'to receive and impart information and ideas
without interference by public authority and regardless of frontiers'. This freedom is
fundamental to the individual's life in a democratic society.” V. anche W. SAKULIN, Trademark
Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights
and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap.I , pag. 112-113; v. anche
J.H. GARVEY, F. SCHAUER, The First Amendment, a Reader, West Publishing Co., St. Paul, 1992,
pag. 100 ss.
6 V. ibid., pag. 116 “The rationale of discovering truth and the democracy rationale also provide
indications of the limitations of the freedom. Such limitations of freedom of expression may be
warranted if expression is overly harmful or offensive, meaning that a balancing process
between the freedom and the harms caused must be carried out.”
7 V. art. 10.2 Convenzione Europea dei Diritti dell'uomo in cui si parla di restrizioni alla libertà
d'espressione per assicurare la protezione dei diritti altrui come vedremo in 2.1.2.; v. anche la
art. 5.2. Grundgesetz tedesca che, come vedremo in 2.1.1., prevede limitazioni alla libertà
d'espressione in caso di contrasto con leggi generali (“in den Vorschriften der allgemeinen
Gesetze“).
99
questo principio porta, inoltre, come conseguenza il dovere in capo
al legislatore di rispettarne la ratio, tanto nei rapporti verticali
Stato-individuo, quanto nella legiferazione che ha ad oggetto i
rapporti orizzontali tra individui. 8 Il riconoscimento e l'elevazione a
diritto fondamentale della libertà d'espressione porta quindi con sé
un'obbligazione di tipo positivo per il legislatore, che consiste nel
dovere di statuire norme, anche per quel che riguarda il diritto dei
marchi, che, pur tenendo conto dei diritti degli altri , nei rapporti tra
individui non causino un'ingiustificata restrizione od amputazione
della suddetta libertà. 9 Quando questo bilanciamento, operato dal
legislatore, dovesse poi dimostrarsi ambiguo o carente, tanto nella
8 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28,
cap. I pag. 102 “Indirect horizontal effect means that application of fundamental rights in
horizontal conflicts is effected indirectly by interpreting the norms of private law in
accordance with constitutional norms.” Questa è una delle grandi novità apportate dalla
Convenzione Europea dei Diritti dell''uomo secondo Sakulin il quale fa discendere questi
effetti dagli dal Preambolo della Convenzione e dagli artt. 1 e 13; v. ibid. “In cases before the
ECtHR, only state parties can be held responsible for a violation. Therefore, in a technical
sense, cases brought before the Court always concern a vertical legal conflict between private
parties and State parties. The underlying conflict may however well be one between private
parties. In such cases, the ECtHR has relied upon an institutional theory of indirect horizontal
effect, i.e. on a broad understanding of the responsibility of state organs. The basis of indirect
horizontal effect of the rights contained in the ECHR can be found in the Preamble, as well as
in Articles 1 and 13 of the Convention. The Preamble states that a Contracting State needs 'to
secure to everyone within its jurisdiction the rights and freedoms defined in the convention.'”
9 V. ibid., pag. 103 “In the conflict between third party freedom of expression and trademark
rights, such positive obligations are very important. From the international perspective of the
EctHR, a State is under the obligation to ensure that the exercise of trademark rights will not
cause a disproportionate impairment of freedom of expression.” Sakulin vede dunque lo stato
come garante ultimo del pluralismo e come tale ricade su di esso il dovere di strutturare la
tutela del marchio in maniera compatibile col rispetto della libertà d'espressione; v. ibid., pag,
105 “The positive obligation must, in my view, thus be characterised as follows: the state, as
the ‘ultimate guarantor of pluralism’, is under an obligation to structuring trademark law in a
manner that it does not create obstacles to expressive diversity and in fulfilling this obligation
the state needs to weigh the interest in protection expressive diversity against the interests of
prospective trademark right holders.” Lo stesso si può rilevare nei rapporti tra Unione Europea
e Stati Membri, ossia l'obbligo positivo per questi ultimi di applicare le normative europee nel
rispetto di quei diritti che, come vedremo in 2.1.2., sono indicati come fondamentali
dall'Unione stessa; v. R. ADAM, A. TIZZANO, Lineamenti di Diritto dell'Unione Europea,
Giappichelli, Torino, 2010, pag. 125 “Quanto invece al rispetto dei diritti fondamentali
nell'applicazione dei Trattati, la Corte di Giustizia non si è limitata ad affermare l'obbligo di
tale rispetto degli atti delle istituzioni ed ad a valutare conseguentemente la compatibilità di
tali atti con i diritti fondamentali. Essa ha anche precisato, […], che il limite che deriva da
quell'obbligo si pone anche nei confronti dei comportamenti delle autorità nazionali quando
queste agiscono in attuazione del diritto posto in essere dai Trattati.”
100
garanzia della libertà d'espressione quanto nella tutela di altri diritti
individuali, sarà compito del giudice, come vedremo, ricercare un
equilibrio.
Nei seguenti paragrafi compiremo quindi una rapida panoramica di
come
il
principio
della
libertà
d'espressione
sia
stato
costituzionalizzato a livello nazionale, regionale e transnazionale,
all'interno
degli
ordinamenti
oggetto
del
nostro
esame
comparativistico .
2.1.1. In Italia e nei paesi europei.
In ambito europeo il riconoscimento da parte degli stati nazionali
della libertà d'espressione è avvenuto in maniera temporalmente
disomogenea. L'eccitazione prodotta dalle idee illuministiche e dai
successi del movimento indipendentista nord-americano portarono la
Francia, al termine di una sanguinaria rivoluzione, ad esser il primo
paese del Vecchio Continente a costituzionalizzare la libertà
d'espressione agli articoli 10 e 11 della Déclaration des droits de
l’homme et du citoyen : 1 0
“Nul ne doit être inquiété pour ses opinions, même religieuses,
pourvu que leur manifestation ne trouble pas l’ordre public établi
par la Loi.
10 Il rango costituzionale della Déclaration viene ribadito dal Preambolo della Costituzione del
1946, conservato dalla Costituzione del 1958 ed infine modificato nella forma, ma non di fatto
nella sostanza, dalla recente legge costituzionale n. 2005-205 del 1 marzo 2005 la quale
afferma che “Le peuple français proclame solennellement son attachement aux Droits de
l'homme et aux principes de la souveraineté nationale tels qu'ils ont été définis par la
Déclaration de 1789, confirmée et complétée par le préambule de la Constitution de 1946,
ainsi qu'aux droits et devoirs définis dans la Charte de l'environnement de 2004 .“
101
La libre communication des pensées et des opinions est un des
droits les plus précieux de l’Homme: tout Citoyen peut donc parler,
écrire, imprimer librement, sauf à répondre de l’abus de cette
liberté, dans les cas déterminés par la Loi ."
Libertà
d'espressione
viene
dunque
definita
come
libertà
di
pensiero, anche religioso, e di manifestazione di esso attraverso la
scrittura e la stampa. Le limitazioni ad essa poste, come possiamo
notare, riguardano questioni di ordine pubblico e quegli abusi
determinati dalla legge.
L'espansionismo napoleonico disseminò nei paesi conquistati il
germe delle idee illuministiche, che sopravvisse, anche se con toni
non
altrettanto
radicali,
anche
nel
successivo
periodo
della
Restaurazione. Fu così che la libertà di stampa, antesignana della
libertà
d'espressione
ed
in
essa
ricompresa,
venne
costituzionalizzata nel 1815 in Olanda, 11 nel 1831 in Belgio e nel
1848, attraverso lo Statuto Albertino, in Italia. 1 2 La Germania, non
toccata
dalle
conquiste
napoleoniche,
vedrà
una
costituzionalizzazione della libertà d'espressione solamente nel
1919, attraverso l'art.118 della fugace quanto moderna Costituzione
di Weimar, cancellata dal nazionalsocialismo e ristabilita, ed
opportunamente modificata, dalla neonata Repubblica Federale
Tedesca nel 1949. All'art. 5 della Grundgesetz si afferma che:
“Ognuno ha diritto di esprimere e diffondere liberamente le sue
opinioni con parole, scritti e immagini, e di informarsi, senza
essere impedito, da fonti accessibili a tutti. Sono garantite la
11 Nei Paesi Bassi avremo poi una piena costituzionalizzazione della libertà d'espressione (e non
solo di quella di stampa) nel 1983, anno in cui viene riformata la Costituzione introducendovi
una carta dei diritti.
12 Art. 28 Statuto Albertino, 1848: “La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi.”
102
libertà di stampa e d’informazione mediante la radio ed il
cinematografo. Non si. può stabilire alcuna censura
Questi diritti trovano i loro limiti nelle disposizioni delle leggi
generali, nelle norme legislative concernenti la protezione della
gioventù e nel diritto della persona al suo onore.
L’arte e la scienza, la ricerca e l’insegnamento sono liberi. La
libertà d’insegnamento non esenta dalla fedeltà alla Costituzione.”
La garanzia da essa fornita riguarda l'espressione delle proprie idee
attraverso la parola, la scrittura, le immagini. Viene inoltre
assicurata la libertà di stampa e per i nuovi media quali radio e
cinematografo, senza possibilità di censura, oltre la libertà di
scienza ed insegnamento. I limiti in essa individuati concernono,
come possiamo vedere, le leggi generali, la protezione dei giovani e
il diritto all'onore.
In Italia, invece, una piena costituzionalizzazione del la libertà
d'espressione avverrà con la costituzione repubblicana del 1948.
Questo principio verrà introdotto all'art. 21:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero
con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa
non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può
procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità
giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa
espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che
la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il
tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della
stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia
giudiziaria,
che
devono
immediatamente,
e
non
mai
oltre
ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa
103
non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro
s'intende revocato e privo di ogni effetto. [...]
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre
manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce
provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”
In questa norma, che al pari di quella francese e tedesca ingloba
altresì la libertà di stampa, prevede alcune limitazioni derivanti
dalla legge sulla stampa e dalle norme dettate dal c.d. buon
costume. 1 3
Per quanto riguarda poi la Gran Bretagna, la mancanza di una
costituzione scritta ha rallentato il processo di riconoscimento, su di
un piano formale 1 4 ed, in un'ottica di gerarchia delle fonti, più alto,
della libertà d'espressione. Ciò è difatti avvenuto solamente nel
1998 attraverso lo Human Rights Act che garantisce la libertà
d'espressione all'articolo 12, vietando ogni restrizione alla stampa
senza che vi sia la decisione di una corte in merito e ponendo
l'obbligo per le corti di avere un “particular regard to the
importance of the Convention right to freedom of expression”.
Da citare in ultimo la Spagna che vedrà costituzionalizzata la libertà
d'espressione solamente nel 1978, attraverso la costituzione che
13 Sul concetto di 'buon costume' v. R. BIN, G. PITRUZZELLA, Diritto Costituzionale, Giappichelli,
supra nota 4, pag. 511 “L'unico limite che l'art. 21 Cost. Pone alla libertà d'espressione è il
buon costume, viene inteso come il 'pudore sessuale. […] E' evidente che, proprio perché
riferito alla morale sessuale, il limite del buon costume è legato all'evoluzione dei costumi.”
14 In quanto su un piano sostanziale questo principio era già ampiamente riconosciuto a livello
giurisprudenziale; v. W. BRADLEY, K.D. EWING, Constitutional and Administrative Law, supra
nota 4, pag. 541 “The right of freedom of expression has been formally strengthened by the
Human Rights Act 1998, although even before the enactment and coming into force of this
measure the right to freedom of expression was winning a new prominence in the case law,
being supported by a number of powerful judicial dicta and extrajudicial statements. […] In
fact the Human Rights Act has made only a limited impact in the field of freedom of expression,
despite the very robust judicial dicta in its defence.”
104
segna
il
passaggio
dalla
dittatura
franchista
alla
monarchia
costituzionale.
2.1.2. Nella Comunità Europea
Il primo riconoscimento in ambito europeo dei diritti fondamentali,
tra i quali la libertà d'espressione, avvenne pochi anni dopo la
conclusione della Seconda Guerra Mondiale. Questo accordo, che
vide tra i suoi firmatari originari quei paesi europei facenti parte del
c.d. blocco occidentale , venne concluso a Roma il 4 novembre 1950
e prese il nome di Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo
(CEDU). In essa viene garantita la libertà d'espressione all'art. 10
che recita:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto
include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare
informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte
delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il
presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime
di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di
televisione.
2.
L'esercizio
di
queste
libertà,
poiché
comporta
doveri
e
responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni,
restrizioni
o
sanzioni
che
sono
previste
dalla
legge
e
che
costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la
sicurezza nazionale, per l'integrità territoriale o per la pubblica
sicurezza, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati,
per la protezione della salute o della morale, per la protezione
della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione
105
di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità
del potere giudiziario.”
La formulazione utilizzata nella descrizione delle attività tutelate
dalla libertà d'espressione è volutamente ampia, in modo da
ricomprendervi un ampio spettro di differenti tipi di espressione ed
altresì di comunicazione. 1 5 A tutela dei diritti sanciti dalla CEDU
venne poi attivata, nel 1959, la Corte Europea dei Diritti Umani con
sede a Strasburgo, al cui giudizio possono adire persone sia fisiche
che giuridiche, dopo che i rimedi, previsti dalle giurisdizioni
interne, siano esauriti. Gli stati firmatari della CEDU si sono inoltre
impegnati a dar esecutività alle sentenze da essa pronunciate. 1 6 La
stessa CEDU prevede, altresì, una serie di limitazioni della libertà
d'espressione 1 7 al fine di prevenire quei possibili danni derivanti da
un suo abuso. Oltre alle restrizioni che concernono ragioni di
sicurezza pubblica o nazionale, di integrità territoriale, di salute,
morale, reputazione altrui, ordine pubblico, prevenzione dei reati,
per il tema della nostra trattazione riveste grande importanza il
15 Ciò è stato confermato dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo come fa notare Sakulin in v.
W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag.93- 94. “Article 10.1 ECHR describes the subject matter in very broad terms […] In
its jurisprudence, the ECtHR has made clear on many occasions that Article 10 is not
restricted to certain categories of information, ideas, or only those forms of expression that are
of democratic value. In principle, all kinds of expression fall under the subject matter of Article
10.1 ECHR. This includes opinions as well as factual information. The Article also covers
radio programs with popular music, commercial information, or advertisements. The use of
symbols equally falls under Article 10 ECHR.”
16 V. CEDU, art. 46.1. “Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze
definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti.”
17 V. K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the
Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, Lewis & Clark Law Review,
2007, pag. 683-684 “The European countries are governed by the European Convention of
Human Rights, which affords protection for freedom of expression in Article 10, as well as
authorizes limitations of that freedom: (1) in certain circumstances; (2) when necessary; and if
so, (3) by legislative action. Limitations for reasons other than those expressly stated are not
allowed.”
106
rispetto dei diritti degli altri , tra i quali possono rientrare a pieno
titolo i diritti della proprietà intellettuale. 1 8
Il processo di costituzione dell' Unione Europea è andato poi di pari
passo
con
il
riconoscimento
al
suo
interno
di
quei
diritti
fondamentali enunciati dalla CEDU. Ciò è avvenuto sin dal Trattato
di Maastricht del 1992 che al Titolo I, art. F.2 afferma che
“l'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e
quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati
membri, in quanto principi generali del diritto comunitario ”.
18 Parte della dottrina e della più recente giurisprudenza arriva a costituzionalizzare i diritti della
proprietà intellettuale; v. ibid., pag. 675-676 “Another approach could be to view trademark
law as a manifestation of constitutionally protected property […] This view shows great
deference to the legislature. An extreme form of this approach views any trademark interest as
constitutionally protected property. In a recent case before the European Court of Human
Rights, it was argued that a trademark application created constitutionally protectable
“legitimate expectations,” which must be protected against expropriation, even if registration
is subsequently rejected due to opposition by a third party with prior rights to the mark.” La
decisione a cui si riferisce Weckstrom è Anheuser-Busch Inc. v. Portugal, Corte Europea dei
Diritti Umani, 45-36, 11 gennaio 2007: richiamandosi al I Protocollo alla CEDU, emanato nel
1952 ed intitolato Protezione della Proprietà, il quale afferma all'art.1 che “ogni persona fisica
o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà
se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi
generali del diritto internazionale” la Corte sostiene “that while it was clear that a trade mark
constituted a “possession” within the meaning of Article 1 of Protocol No. 1 [italics added],
this was so only after final registration of the mark, in accordance with the rules in force in the
State concerned. Prior to such registration, the applicant did, of course, have a hope of
acquiring such a “possession.” but not a legally-protected legitimate expectation.” A
prescindere ora dalla problematica se una richiesta di registrazione possa esser considerata
come proprietà all'interno dell'art. 1 del I Protocollo, riveste per noi interesse il fatto che la
Corte non esiti a qualificare il marchio come una proprietà pienamente rientrante nel suddetto
articolo; v. a proposito anche A. RAHMATIAN, Trade Marks and Human Rights, in P.L.C.
TORREMANS, Intellectual Property and Human Rights, Wolters Kluwer, 2008, pag. 344 “This
aspect of human rights protection concerns the holder of a trade mark as the holder of a
property right. The extent of this property right is defined by the essential function of the trade
mark. The protection of property can normally be found in national constitutions, but is not a
typical feature of international human right protection. Neither the International Covenant on
Civil and Politic Rights, nor the International Covenant on Economic, Social and Cultural
Rights contain property protection provisions. The European Convention on Human Rights
protects property not in his main body, but only trough the First Protocol which was added
later. […] The newest, and in the present context of trade marks, most relevant decision of the
European Court of Human Rights is Anheuser-Busch Inc. v. Portugal [...] The European Court
of Human Rights held that a trade mark, as well as a trade mark application, and indeed any
intellectual property right is 'possession' within the meaning of Art. 1."
107
Nel 2000 è stata poi promulgata dagli Stati Membri dell'Unione la
Carta
dei
Diritti
Fondamentali
dell'Unione
Europea
(2000/C364/01), detta anche Carta di Nizza dal luogo della sua
proclamazione), che, modificata successivamente nel 2007 e nel
2010 (2010/C83/02), garantisce la libertà d'espressione all'articolo
11:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto
include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di
comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza
da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.”
I diritti sanciti da questa Carta non verranno inseriti però nel
Trattato Europeo promulgato a Nizza nel 2000. 1 9 Per il suo ingresso
a pieno titolo nell'architettura delle fonti dell' Unione bisognerà
infatti attendere il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1
novembre 2010, che darà piena vincolatività per gli Stati Membri ai
diritti da essa sanciti, in base al richiamo che ne viene fatto all'art.
6. Attraverso quest'ultimo viene difatti conferita alla Carta dei
Diritti Fondamentali dell'Unione Europea lo stesso valore giuridico
spettante ai Trattati. 2 0 Viene inoltre ribadita, dallo stesso articolo,
l'adesione alla CEDU e la ricomprensione dei diritti da essa
19 La Carta di Nizza quindi non era dotata, al momento della sua promulgazione, di alcuna
efficacia vincolante per gli Stati; v. R. ADAM, A. TIZZANO, Lineamenti di Diritto dell'Unione
Europea, supra nota 8, pag. 127 “Essa [la Carta di Nizza, n.d.r.] si presentava allora come uno
strumento formalmente privo di valore vincolante, che ritraeva però un indubbio valore
interpretativo dal fatto di essere comunque ricognitiva di diritti in buona parte già altrove
consacrati in forma giuridica.”
20 V. Versione consolidata del Trattato sull'Unione Europea, C- 83/13, 30 marzo 2010, art. 6.1
“L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha
lo stesso valore giuridico dei trattati.”
108
garantiti all'interno del diritto dell' Unione Europea in qualità di
principi generali. 2 1
2.1.3. Negli Stati Uniti
Nella
struttura
legislativa
americana
la
garanzia
dei
diritti
fondamentali è affidata al c.d. Bill of rights, composto da dieci
emendamenti aggiunti alla Costituzione nel 1789, poco dopo la sua
promulgazione. La libertà d'espressione è oggetto del primo di
questi emendamenti:
“Congress shall make no law respecting an establishment of
religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the
freedom of speech, or of the press; or the right of the people
peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress
of grievances.”
In questo emendamento, fonte di ispirazione per le successive
costituzionalizzazioni
della
libertà
d'espressione
nel
Vecchio
Continente, viene indicato a chiare lettere il divieto in capo al
Congresso di stabilire leggi che limitino la libertà di parola
(“ freedom of speech”) e quella di stampa. Se per un lungo periodo
questa norma riguardò solamente il potere legislativo federale, a
partire dal caso Gitlow v. New York la Corte Suprema stabilì,
attraverso l'applicazione della “ due process clause ”, prevista dal
21 V. ibid., artt. 6.2. e 6.3. “2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze
dell'Unione definite nei trattati. 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle
tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in
quanto principi generali.”
109
XIV emendamento, che i sopracitati diritti dovessero esser difesi
anche contro possibili menomazioni compiute da leggi statali. 2 2
Pur se non indicati dal I emendamento, sussistono comunque sia dei
limiti
alla
libertà
d'espressione
nell'ordinamento
statunitense,
riconosciuti nel corso degli anni dalla giurisprudenza della Corte
Suprema, al fine di scongiurare quei pericoli derivanti da un suo
abuso. Queste restrizioni riguardano l'oscenità, 2 3 la diffamazione, 2 4
l'incitamento al reato 2 5 o alla sedizione, il causare un panico
ingiustificato. 2 6
Nel 2010 è stato poi emanato il “Securing the Protection of our
Enduring and Established Constitutional Heritage Act ” (SPEECH
Act) che rende non esecutive le sentenze emesse al di fuori degli
Stati Uniti a carico di cittadini americani, qualora non siano
dichiarate compatibili con il I emendamento.
22 V. Gitlow v. New York, U.S. Supreme Court, 268 US 652, 8 giugno 1925 “For present
purposes we may and do assume that freedom of speech and of the press-which are protected
by the First Amendment from abridgment by Congress-are among the fundamental personal
rights and 'liberties' protected by the due process clause of the Fourteenth Amendment from
impairment by the States.”
23 V. ad es. Roth v. United States, U.S. Supreme Court, 354 US. 476 24 giugno 1957 “At the time
of the adoption of the First Amendment, obscenity law was not as fully developed as libel law,
but there is sufficiently contemporaneous evidence to show that obscenity, too, was outside the
protection intended for speech and press.” Il criterio dell'oscenità, al pari di quello del buon
costume (v. 2.1.1.), è in continua evoluzione nel corso del tempo e dipende dal comune sentire
del cittadino medio; v. Miller v. California, U.S. Supreme Court, 413 U.S. 15, 21 giugno 1973
“The basic guidelines for the trier of fact must be: (a) whether "the average person, applying
contemporary community standards" would find that the work, taken as a whole, appeals to the
prurient interest, Roth, supra, at 489, (b) whether the work depicts or describes, in a patently
offensive way, sexual conduct specifically defined by the applicable state law, and (c) whether
the work, taken as a whole, lacks serious literary, artistic, political, or scientific value.”
24 Per un approfondimento in materia v. D. MILO, Defamation and Freedom of Speech, Oxford
University Press, 2008.
25 V. Brandeburg v. Ohio, U.S. Supreme Court, 395 U.S. 444, 9 giugno 1969 “These later
decisions have fashioned the principle that the constitutional guarantees of free speech and
free press do not permit a State to forbid or proscribe advocacy of the use of force or of law
violation except where such advocacy is directed to inciting or producing imminent lawless
action and is likely to incit537 U.S.e or produce such action.” V. anche Stewart v. McCoy, U.S.
Supreme Court, 537 U.S. 993, 21 ottobre 2002.
26 V. Schenck v. U.S., U.S. Supreme Court, 249 U.S. 47, 3 marzo 1919 “The most stringent
protection of free speech would not protect a man in falsely shouting fire in a theater and
causing a panic.”
110
2.1.4. Nelle fonti transnazionali
La tutela della libertà d'espressione, come anche di altri diritti
fondamentali dell'uomo, ha altresì una dimensione transnazionale
testimoniata principalmente da due carte dei diritti promulgate in
sede ONU. La prima di queste venne emanata nel 1948, a pochi anni
dalla creazione dell'ONU e della fine della II Guerra Mondiale e
prese il nome di Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo . In
essa la libertà d'espressione trova tutela all'art. 19.2:
“Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di
espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria
opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e
idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.”
Come in alcune delle Carte Costituzionali analizzate nei paragrafi
precedenti
anche
nella
Dichiarazione
Universale
dei
Diritti
dell'Uomo la libertà d'espressione viene intesa sia in senso attivo
(ossia come libertà del soggetto di manifestare le proprie opinioni),
sia in senso passivo (come il diritto dell'individuo a ricevere idee e
informazioni). Anche in essa, poi, sono indicate delle limitazioni
all'esercizio dei diritti e alle libertà fondamentali. Di ciò si occupa
l'art. 29.2:
“Nell'esercizio dei suoi diritti e delle sue libertà, ognuno deve
essere sottoposto soltanto a quelle limitazioni che sono stabilite
dalla legge per assicurare il riconoscimento e il rispetto dei diritti
e della libertà degli altri e per soddisfare le giuste esigenze della
111
morale, dell'ordine pubblico e del benessere generale in una società
democratica.”
L'esercizio delle libertà fondamentali da parte dell'individuo non
deve quindi travalicare il rispetto di diritti e libertà altrui e quei
confini dettati dalla morale, dall'ordine pubblico e dal benessere
generale. Nella prospettiva di nostro interesse possiamo ascrivere i
diritti del titolare del marchio sotto la dicitura “ diritti altrui”.
I diritti propugnati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti
dell'Uomo del '48 vengono poi ribaditi da un altro documento
emanato in sede ONU nel 1976. Questo è il Patto internazionale sui
diritti civili e politici, che si occupa della tutela della libertà
d'espressione all'art. 19.2:
“Ogni individuo ha diritto alla libertà d'espressione; tale diritto
comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni
e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per
iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso altro
mezzo di sua scelta.”
Al pari dell'art. 19.2 della Dichiarazione Universale dei Diritti
dell'Uomo viene dunque data tutela alla libertà d'espressione sia
nella sua dimensione attiva che passiva. Nel Patto internazionale
sui diritti civili e politici vengono in aggiunta specificati gli
strumenti attraverso i quali è possibile esercitare questa libertà. Tra
questi strumenti viene indicata anche la forma artistica che, come
vedremo, rivestirà grande importanza nella nostra trattazione.
L'ampia formula “ altro mezzo di sua scelta ” fa si che vi vengano
ricompresi anche strumenti quali ad esempio Internet, che, pur non
112
esistenti all'epoca della promulgazione di questa carta, vi possono
esser ricompresi dato il carattere residuale della dicitura utilizzata.
All'art. 19.3 vengono poi indicati i limiti all'interno dei quali la
libertà d'espressione viene tutelata:
“L'esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente
articolo comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere
pertanto sottoposto a certe restrizioni che però devono esser
espressamente stabilite dalla legge e necessarie: a) al rispetto dei
diritti o della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della
sicurezza nazionale, dell'ordine pubblico, della sanità o della
morale pubblica. ”
Oltre quindi al rispetto dei diritti altrui, dell'ordine pubblico e della
morale questa carta, rispetto alla Dichiarazione Universale dei
Diritti dell'Uomo, aggiunge la salvaguardia della reputazione altrui,
della sanità e della sicurezza nazionale.
Da notare,
in ultimo,
come
la
normativa
TRIPs
non faccia
riferimento alla protezione della libertà d'espressione né ad alcuna
altra limitazione ai diritti dei marchio. 2 7 Ciononostante l'utilizzo
inautorizzato da parte di terzi di marchi nel perseguimento di fini
parodistici, satirici e critici viene fatto rientrare all'interno delle
eccezioni ricomprese nella categoria del fair use, indicata dall'art.17
27 V. K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the
Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, supra nota 17, pag. 690 “Unlike
agreements regarding other forms of intellectual property, the TRIPS agreement does not
contain any explicit limitations on trademark rights (other than allowing for limited
exceptions).”
113
TRIPs, 2 8 sul quale ci siamo soffermati al paragrafo 1.3 e su cui
ritorneremo più avanti nel corso del presente capitolo.
2.2. Il conflitto tra libertà d'espressione e prerogative del
titolare del marchi.
Dopo aver analizzato, nel primo capitolo, le prerogative del titolare
del marchio e la loro tutela nei diversi ordinamenti oggetto del
nostro studio ed aver esaminato, nei paragrafi precedenti, la tutela,
in essi conferita alla libertà d'espressione ed i limiti a quest'ultima
posti, è giunto il momento di addentrarci nel cuore della nostra
trattazione. Come già accennato nell'introduzione, difatti, nel corso
degli ultimi quarant'anni, l'esercizio della libertà d'espressione si è
più
volte
scontrato
(transnazionale,
con
regionale
quei
e
diritti
nazionale),
che,
a
sono stati
vari
nel
livelli
tempo
conferiti al titolare del marchio o che discendono da principi
civilistici altri rispetto al diritto dei marchi, 2 9 nei casi in cui
l’utilizzo del segno distintivo altrui non venga considerato come
uso
del
marchio, 3 0
come
vedremo
quando
ci
occuperemo
di
28 V. United Nation Conference on trade and development, Dispute Settlement, WTO, 3.14
TRIPs, 2003, pag. 16 (http://www.unctad.org/en/docs/edmmisc232add18_en.pdf ) “There are a
variety of circumstances under which it may be necessary or useful to permit the use of a
trademark or service mark outside the specific context of the marketing of the particular good
or service on which it is used by its holder. These circumstances are addressed in a broad way
by Article 17 of the TRIPS Agreement which permits limited exceptions, such as the fair use of
descriptive terms. The writer of a news story regarding a company and its products may refer
to the products by their trademark since there is a public interest in this type of reference. The
writer of a satire or parody might refer to a trademarked product in the interests of promoting
freedom of expression.”
29 Come ad esempio il risarcimento del danno ingiusto (art. 2043 C.C. e art. 1382 Code Civil
Français) o la concorrenza sleale (art. 2598 C.C.)
30 V. ad esempio Bumms Mal Wieder, Bundesgerichtshof, 3 giugno 1986, in GRUR 1986; Bild
der keine Meinung, OLG Hamburg, 4 giugno 1998; Kampagne gegen die Jagd, OLG Koln, 10
marzo 2000; Oil-of-Elf.de, Kammergericht Berlin, 23 ottobre 2001; Stoppesso.de, LG
Hamburg, 10 giugno 2002; Ass. Investici c. Trenitalia, Trib. Milano, 7 settembre 2004, FIAT c.
RAI, Formigli, Santoro, Trib. Torino, 20 febbraio 2012. V. anche quanto detto in 1.4.
114
analizzare
la
giurisprudenza
in
merito.
Questo
scontro
viene
originato dall'utilizzo non autorizzato del marchio altrui (sia che
venga inteso come uso del marchio o che avvenga, per così dire, al
di fuori del diritto dei marchi), attraverso diversi strumenti (quali
ad esempio l'arte, la musica, Internet) e con diverse finalità:
prettamente parodistiche o satiriche in alcuni casi, denotate altresì
da intenti di critica sociale in altri. Altre volte invece, sotto le
mentite spoglie di un uso parodistico, come vedremo, si sono celati
scopi meramente commerciali. L'utilizzo del marchio altrui nelle sue
diverse forme, come avremo modo di osservare, ha determinato
molteplici conseguenze per quel che riguarda i marchi, la loro
reputazione e la loro capacità attrattiva e distintiva. A queste
abbiamo già accennato nel capitolo dedicato alla tutela del marchio
notorio (v. 1.2.3.3.), ma vi ritorneremo, nei paragrafi che seguono,
focalizzandoci sugli effetti che la satira, la parodia e la critica
possono avere su di esso. Approfondiremo inoltre le categorie del
due cause e del fair use, alle quali abbiamo altresì accennato nel
corso del primo capitolo, oltre che la differenziazione compiuta, tra
utilizzazioni del marchio altrui compiute con intenti commerciali e
quelle, invece, di essi prive. In questo modo verranno costituite
quelle basi ermeneutiche che ci saranno utili, nel corso del capitolo
III,
nella
ricostruzione
del
bilanciamento,
operato
dalla
giurisprudenza, tra libertà d'espressione e prerogative del titolare
del marchio, al fine di dirimere il conflitto tra di loro.
2.2.1. Strumenti e finalità.
L'utilizzo non autorizzato del marchio altrui nel corso degli anni è
avvenuto,
come
avremo
modo
115
di
vedere,
attraverso
diversi
strumenti. Abbiamo già accennato, nel primo capitolo, a casi che
hanno riguardato, ad esempio, un’utilizzazione mediante opere
d'arte, 3 1 magliette, 3 2 posters, 3 3 filmini o riviste pronografiche. 3 4
Altre
utilizzazioni
si
sono
verificate,
nel
corso
degli
anni,
all'interno di opere letterarie 3 5 o musicali 3 6 . Negli ultimi anni, poi,
conseguentemente alla diffusione di questa nuova tecnologia, il
canale preferenziale per un utilizzo non autorizzato del marchio è
senza dubbio diventato Internet. 3 7 Per via delle sue intrinseche
31 V. ad es. Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di Den Hague, 4 maggio
2011, anche se in questo caso, come vedremo, si tratta dell’utilizzo di un design registrato; v.
anche Mattel Inc., v. Walking Mountain Productions, U.S. Court of Appeals, 9th Circuit, 353
F.3d 792, 6 marzo 2003.
32 V. ad es. Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9
marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss.; Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana
Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; Hard Rock
Holdings Ltd. c. BM e BG s.r.l., Trib. Roma, 16 settembre 2005; Mutual of Omaha Insurance
Company v. Novak, U.S. Federal Court of Appeals, 8th Circuit, 836 F.2d 397, 30 dicembre
1987; Black Dog Tavern Co., Inc. v. Hall, U.S. District Court, Massachusetts, 823 F.Supp. 48,
3 giugno 1993; Nike, Inc. v. .Just Did It. Enterprises, U.S. Court of Appeals, 7th Circuit, 6 F. 3d,
1993; Starbucks Corp. v. Dwyer, U.S. District Court, N.D. California, 2000; ADIHASH, gives
you speed, OLG Hamburg, 5 settembre 1991, in GRUR 1992; Smith v. Wal-Mart, U.S. District
Court, Georgia, 537 F. Supp. 2d 1302, 20 marzo 2008.
33 V. ad es. Stop the Olympic Prison v. United States Olympic Committee, U.S. District Court,
New York, 489 F. Supp. 1112, 25 febbraio 1980; Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S.
District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972; Grosses Mordoro Poker
Bundesgerichtshof, 17 aprile 1984, in GRUR 1984.
34 Dallas Cowboys Cheerleaders, Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S. Court of Appeals, 2 nd
Circuit, 604 F.2d 200, 1979; The Pillsbury Company v. Milky Way Productions, Inc. et al., U.S.
District Court, Georgia, 215 U.S.P.Q, 24 dicembre 1981; Lucasfilm Ltd. v. Media Market
Group, Ltd, U.S. District Court, N.D. California, 182 F. Supp. 2D 897, 8 gennaio 2002.
35 V. ad es. Dr. Seuss Enters. L.P. v. Penguin Book USA, Inc., U.S. Court of Appeals, 9 th Circuit,,
109 F.3d 1394 , 27 marzo 1997.
36 Mattel v. MCA Records, US Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F.3d 894, 24 luglio 2002; The
New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 971
F.2d 302, 1992.
37 V. ad es. S.A. Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16
novembre 2005; Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de
Paris, Arrêt del 30 aprile 2003; Stoppesso.de, LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, in
GRUR 2003; Oil-of-Elf.de, Kammergericht Berlin, 23 ottobre 2001; Scheiss-t-online, LG
Dusseldorf, 30 gennaio 2002; Ass. Investici c. Trenitalia, Trib. Milano, 7 settembre 2004;
IlMioCastello spa c. Monte dei Paschi di Siena, Trib. Siena, 11 agosto 2003; Northland
Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25 settembre
2000; Bally Total Fitness Holding Corp. v. Faber, U.S. District Court, California, 29 F. Supp.
2D, 23 novembre 1998; Ford Motor Co. v. 2600 Enterprises, U.S. District Court, Michigan,
177 F. Supp. 2D, 20 dicembre 2001; Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New
Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998; Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court,
South. D. New York, 24 marzo 1997; OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court,
Western District, New York, 86 F.Supp.2d 17, 28 febbraio 2000; Smith v. Wal-Mart, U.S.
District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2d 1302, 20 marzo 2008; People for the Ethical
116
caratteristiche, che permettono il raggiungimento di una platea tanto
ampia da potersi considerare universale, e alle difficoltà, almeno nei
primi anni della sua espansione, di un suo controllo e di un suo
inquadramento giuridico, Internet ha rappresentato e rappresenta il
canale privilegiato attraverso il quale la parodia, la satira e la
critica del marchio (e soprattutto delle malefatte del suo titolare)
possono raggiungere un pubblico sempre più vasto. 3 8 Avremo modo
di analizzare più approfondimente questa tematica nel corso del
paragrafo 3.3., che sarà per l'appunto dedicato all'ampliarsi del
conflitto
tra
i
diritti
del
titolare
del
marchio
e
la
libertà
d'espressione nel mondo telematico.
Dedicheremo, invece, i seguenti paragrafi ad un'analisi delle finalità
perseguite dagli utilizzatori non autorizzati del marchio altrui.
Treatment of Animals, Inc. v. Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 263 F.3d
359, 18 settembre 2001.
38 V. H. TRAVIS, The Battle for Mindshare: The Emerging Consensus that the First Amendment
Protects Corporate Criticism and Parody on the Internet, Virg. Journ. of Law & Techn., 2005,
pag. 2 “Consumers, political activists, and small businesses are increasingly turning to the
Internet to voice their complaints about unfair or unlawful corporate conduct. These
“cybergripers” are establishing thousands of Web sites, newsgroups, listservs, and blogs
dedicated to criticizing or parodying their targets.” V. anche M. BARRET, Domain Names,
Trademarks and the First Amendment: Searching for Meaningful Boundaries, Connecticut Law
Review, 2007, pag. 975 “In many respects the Internet has turned trademark law on its head.
This new technology provides unprecedented opportunities, both to trademark owners and to
their critics, parodists and other detractors, to utilize marks to get their message across to a
global audience. Trademark owners predictably have objected to their detractors’ use of their
marks to avail themselves of this new, potentially global forum, and have pushed hard to cut
them off through application (and expansion) of trademark infringement, dilution, and
anticybersquatting causes of action.” V. anche M. MARZETTI, Speechless Trademarks? Dilution
Theory meets Freedom of Speech, Collection of research papers, WIPO Worldwide Academy,
2004-2005, pag. 15 “The Internet has made very easy to access to huge loads of data (which
may help to reduce information asymmetries) at the click of a mouse. It also empowered
common people to post their own thoughts and critical comments online, in the form of
websites or blogs. Because of these factors, conflicts originated online (between trademark
owners and netizens) are more abundant than those pertaining to the brick-and-mortar world.”
V. anche W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the
Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra
nota 28 cap. I, pag.13; v. anche W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, Iowa L. R.,
2008, pag. 58.
117
2.2.1.1. Parodia e satira – una distinzione opportuna?
Abbiamo
sottolineato
conosciuto,
negli
in
ultimi
precedenza
decenni,
come
un
il
marchio
incremento
abbia
della
sua
importanza, del suo valore e della sua presenza, fattori che lo hanno
trasformato
in
un
imprescindibile
protagonista
della
moderna
cultura popolare. Come tale esso è diventato bersaglio di parodia,
satira e critica da parte di artisti, cantanti, contestatori o semplici
imprenditori decisi a sfruttarne la notorietà per vendere i propri
prodotti. In questo paragrafo analizzeremo le categorie della parodia
e della satira, interrogandoci sul significato e sull'opportunità di
una distinzione tra di loro. Il paragrafo successivo sarà invece
dedicato
all'esame
degli
utilizzi
non
autorizzati
del
marchio
compiuti a fine di critica.
Nate come generi letterari, satira e parodia, seppur generalmente
confuse tra di loro, 3 9 presentano differenti caratteristiche. Partendo
da una distinzione prettamente di carattere etimologico-linguistico ,
mentre la parodia viene definita come " versione caricaturale o
burlesca di un'opera seria", 4 0 la satira, seguendo l'espressione del
suo padre latino Orazio, castigat ridendo mores, ossia prende di
mira, esponendoli al ridicolo, costumi e comportamenti umani. 4 1
39 V. C.E. MAYR, Critica, Parodia, Satira, AIDA, 2003, pag. 278 “Parodia e satira, spesso
confuse nel linguaggio comune, concernono fattispecie diversamente delineate sotto l'aspetto
giuridico.”
40 V. N. ZINGARELLI, Vocabolario della Lingua Italiana, Zanichelli, 1996, pag. 1233; v. anche C.E.
MAYR, Critica, Parodia, Satira, supra nota 39, pag. 278 “La parodia consiste insomma nel
rifacimento scherzoso di un'opera d'arte, specie letteraria, che di essa rappresenta
l'indispensabile antecedente.”
41 V. ibid. pag. 278 “La satira è il genere letterario e artistico che mette a nudo, con tono
scherzoso e ridicolizzandoli, costumi, abitudini o comportamenti di un singolo individuo o di
una categoria di persone.” V. anche N. ZINGARELLI, Vocabolario della Lingua Italiana, supra
nota 40, pag. 1564 “Discorso, scritto, atteggiamento e sim. che ha più o meno esplicitamente
lo scopo di metter in ridicolo ambienti, concezioni, modi di vivere e sim.” Sulla differenza tra
parodia e satira v. anche E. GREDLEY, S. MANIATIS, Parody: A Fatal Attraction, Part 1: The
Nature of Parody and its Treatment in Copyright, EIPR, 1997, pag. 340 “Parody's ironic or
comic juxtapositioning of artistic or linguistic materials is also claimed as its defining
characteristic, whereas this is not a prerequisite of satire, which need not depend on imitation
118
La differenza che possiamo dunque riscontrare, da questa prima
analisi, è che, mentre la parodia non ha altre finalità che non siano
quelle appunto burlesche o di giocosa critica dell'opera originale , la
satira nel suo disvelare, seppur attraverso la comicità, l'assurdità di
determinati costumi, si propone altresì di " castigarli ".
Parodia
e
satira
sono
state
approfonditamente
analizzate
da
giurisprudenza e dottrina soprattutto in relazione al diritto d'autore.
In
Italia
la
giurisprudenza
ha
affermato
che
la
parodia
è
caratterizzata da un parassitismo ontologico (essendo, per forza, la
parodia di qualcos'altro) ma non da parassitismo concorrenziale, in
quanto non si pone in concorrenza con l'opera originaria. 4 2 Essa
merita la protezione accordata dagli artt. 21 e 33 della Costituzione
e, per questo, non viene ritenuta necessaria l'autorizzazione da parte
dell'autore
dell'opera
originaria. 4 3
Sempre
restando
in
ambito
italiano, per quanto invece concerne la satira, la giurisprudenza ha
più volte affermato l'esistenza di un vero e proprio diritto di satira
coperto
dall' ombrello
costituzionale
offerto
dall'art.
21
della
Costituzione, ritenendolo però operante solamente quando essa
venga esercitata entro quei limiti comunque previsti alla libertà di
manifestazione del pensiero. 4 4
of existing materials. It is generally agreed that satire's primary intention is moral or social
criticism and its stance aggressive, corrective and often negative towards a source work.”
42 V. nota di G. GUGLIELMETTI a Tamaro e Baldini&Castoldi c. Comix s.r.l., Trib. Milano,
Ordinanza, 29 gennaio 1996, in AIDA, 1996, 675 “In secondo luogo l'ordinanza del tribunale
di Milano pone in evidenza che, benché la parodia intrattenga una stretta relazione con
l'opera parodiata, senza la quale in effetti essa non avrebbe neppure ragione d'essere, tuttavia
questo rapporto non implicherebbe che lo sfruttamento economico dell'opera parodistica
possa compromettere o ridurre le utilità economiche dell'opera parodiata.”
43 V. Tamaro e Baldini&Castoldi c. Comix s.r.l., Trib. Milano, 29 gennaio 1996, in AIDA, 1996,
672 “Si deve, d'altro canto, convenire con il primo giudice [il riferimento è alla sentenza del
Trib. Di Napoli del 27/5/1908 avente ad oggetto la parodia dell'opera dannunziana “La figlia di
Jorio”, n.d.r.], che la conclusione si rivela, in ogni caso, obbligata in considerazione della
tutela costituzionalmente garantita alla libertà di manifestazione del pensiero ed a quella di
creazione artistica, tanto più che, come reiteratamente sottolineato dalla dottrina, qualora si
richiedesse il consenso dell'autore dell'opera parodiata per la realizzazione della parodia,
verrebbe ad esser pregiudicata la stessa possibilità di sopravvivenza del genere, essendo il
rilascio dell'autorizzazione altamente improbabile quantomeno nei casi di più intensa e accesa
contrapposizione all'opera parodiata.”
44 V. V. Senesi, S. Frau, Corte di Cassazione, 22 dicembre 1998, in AIDA, 1999, 391 “In effetti
119
Per quanto riguarda la tutela del marchio, invece, la giurisprudenza
italiana non ha adottato una chiara distinzione tra le fattispecie di
parodia e satira. Nei casi che si è finora trovata ad affrontare,
comunque, l'utilizzo non autorizzato del marchio altrui ha sempre
avuto i connotati di un utilizzo parodistico più che satirico. 4 5
L'approfondimento di questi casi verrà compiuto più avanti nella
nostra trattazione, ma possiamo fin d'ora anticipare che questo
utilizzo è quasi sempre avvenuto, nel panorama italiano, attraverso
uno sfruttamento in chiave commerciale della notorietà del marchio
anteriore. 4 6 Ciò ha comportato la venuta meno della protezione
offerta dalla libertà d'espressione a questo tipo di parodia, in quanto
non rivolta alla creazione di un'opera, ad esempio, artistica, ma
(quasi) sempre semplicemente agganciata al marchio anteriore per
fini commerciali. 4 7
esiste un diritto di satira riconosciuto in dottrina, distinto da quelli di cronaca e di critica
soprattutto dalla giurisprudenza di merito. […] Ma al pari di ogni altra manifestazione di
pensiero, essa non può superare il rispetto dei valori fondamentali, esponendo, oltre il ludibrio
della sua immagine pubblica, al disprezzo della persona.” V. anche il commento di M. FAZZINI a
Editoriale La Repubblica s.p.a. e E. Scalfari c. B. Craxi, Corte di Cassazione, 13 novembre
1996, in AIDA, 1997, pag. 634-635 “La satira, si argomenta, è una manifestazione del
pensiero umano e ciò significa la riconduzione all'art. 21 cost. […] Per costante
giurisprudenza, l'esercizio del diritto di satira è altresì soggetto a limiti interni ed esterni
finalizzati a renderlo compatibile con i contrapposti diritti della personalità facenti capo ai
soggetti colpiti dal messaggio satirico.” Se, per quanto riguarda la tutela del marchio, non
possiamo parlare di limiti dovuti ai diritti della personalità del suo titolare, questi limiti
riguardano invece, in questo caso, i diritti a costui conferiti in quanto titolare di un marchio.
45 V. Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony
Music- Entertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in IDI 2010, 214 ss. e
Giur. Ann. Dir. Ind. 2009, 5466; Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana
Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; La Chemise
Lacoste S.A. c. Crocodile Garments LTD, Trib. Milano, 12 luglio 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind.,
1999, 4017; Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino,
9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss.; GRH c. Newton Compton editori, Trib. Roma, 23 giugno
2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375.
46 V. Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano,
4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss.; GRH c. Newton
Compton editori, Trib. Roma, 23 giugno 2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375.
47 V. C. GALLI, La Protezione del Marchio oltre il Limite del Pericolo di Confusione, in AA.VV.,
Segni e Forme Distintive, la Nuova Disciplina, collana diretta da A. VANZETTI, G. SENA, Giuffrè,
Milano, 2001, pag. 44 “E' però evidente che altro è la parodia effettuate nel contesto di
un'opera di carattere letterario o artistico, altro è quella realizzata in ambito commerciale al
fine di vendere prodotti o servizi: ed infatti anche nella giurisprudenza statunitense, che per
prima e più ampiamente si è occupata dei problemi dell'uso parodistico dell'altrui marchio
120
In ambito europeo possiamo riscontrare un maggior numero di casi
di utilizzo parodistico o satirico del marchio altrui avvenuti in
chiave non prettamente commerciale; ciò ha reso più semplice la
loro ricomprensione all'interno della libertà d'espressione. 4 8 Nella
giurisprudenza dei principali paesi europei in tema di marchi, come
del resto in quella italiana e al contrario, come vedremo tra poco, di
quella statunitense, non viene però approfondita la distinzione,
nell'ambito del diritto dei marchi, tra parodia e satira, tendendo a
ricomprenderle entrambe all'interno della libertà d'espressione,
qualora non presentino intenti puramente commerciali, confusori o
concorrenziali rispetto ai prodotti contrassegnati dal marchio che,
senza autorizzazione, viene utilizzato o non siano puramente
denigratorie del marchio stesso. 4 9 Ci occuperemo dei casi in cui le
questa giustificazione (fondata sul primo emendamento alla Costituzione americana) non è
generalmente ammessa; ad analoga conclusione sembra giungere, almeno di regola, il nostro
ordinamento, almeno sulla scorta della giurisprudenza che esclude che le comunicazioni
pubblicitarie e commerciali possano beneficiare della previsione di cui all'art. 21 della
Costituzione e ritiene che vadano invece ricondotte a quella dell'art. 41.” V. anche C. GALLI,
L'Allargamento della Tutela del Marchio e i Problemi di Internet, in AA.VV., Il futuro dei
marchi e le sfide della globalizzazione, Cedam, Padova, 2002, pag. 28-30; v. anche Trib.
Torino, ord. 9 marzo 2006, nota di M. VENTURELLO, in IDI, 2007 pag. 149 ss. In un caso recente,
invece, viene dato rilievo ad un utilizzo parodistico del marchio privo di ogni finalità di
vantaggio commerciale derivante dall'agganciamento al marchio anteriore; v. Deutsche
Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony MusicEntertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in IDI 2010, 214 ss. e Giur. Ann.
Dir. Ind. 2009, 5466.
48 V. ad esempio Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, in GRUR 2005 e in IIC,
2007, 119 ss.; Guignols de l'info, Cour de Cassation, 12 luglio 2000; Deutsche Grammophon
GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony Music- Entertainement Italy
S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, IDI 2010 e Giur. Ann. Dir. Ind. 2009, 5466.
49 Ciò è testimoniato dal fatto che la dottrina non compie differenziazioni nel trattare il tema della
parodia piuttosto che della satira in riferimento al marchio; v. ad esempio W. SAKULIN,
Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between
Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. II; A.
RAHMATIAN, Trade Marks and Human Rights, in P.L.C. TORREMANS, Intellectual Property and
Human Rights, supra nota 18; v. anche M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R.
METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN, Les Conflits
entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, Report Q188, France, AIPPI, 2005; J.
MUTIMEAR, N. DAGG, D. MCFARLAND, A. BRODIE, J. TURNER, D. BROOK, A. ROUGHTON, R. ABNETT,
Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, Report Q188, United
Kingdom, AIPPI, 2005; C. GALLI, D. DE ANGELIS, A.B. GELOSA, N. GIORA , Conflicts between
Trademark Protection and Freedom of Expression, Report Q188, Italy, AIPPI, 2005; C. ROHKE,
K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of
Expression, Report Q188, Germany, AIPPI, 2005.
121
corti
europee
hanno
compiuto
un
bilanciamento
tra
libertà
d'espressione e prerogative del trademark holder in merito a casi di
utilizzo parodistico o satirico del marchio nel corso del presente e
del successivo capitolo, cercando di evidenziare il meccanismo
attraverso il quale, all’interno della normativa sui marchi, venga
dato rilievo e protezione alla libertà d’espressione. Nel III capitolo,
poi, non trascureremo altresì di esaminare quei casi in cui l’utilizzo
del marchio altrui per fini parodistici o satirici non è stato
considerato come un uso del marchio, facendo ricadere il suddetto
bilanciamento al di fuori della trademark law.
Ampio spazio, invece, ha trovato nella giurisprudenza americana la
distinzione tra satira e parodia,
non solo per quanto riguarda il
copyright, ma anche, di riflesso, per i marchi. Ciò è avvenuto
attraverso l'elaborazione di alcuni criteri atti a distinguerle e alla
previsione di un differente livello di tutela.
In Campbell v. Acuff-Rose Music , Inc. la Corte Suprema ha
affermato che la parodia " needs to mimic an original in order to
make its point", 5 0 mentre la satira " can stand on its own feet and so
requires justification for the very act of borrowing. " 5 1 Questa
distinzione 5 2 comporta l'attribuzione alla satira di un livello di
tutela minore rispetto a quello garantito alla parodia, tanto per
quanto riguarda il copyright, quanto per ciò che concerne i marchi.
Ciò in quanto, chi compie un utilizzo parodistico dell'opera altrui
potrà usufruire dell'ombrello del fair use, 5 3 al contrario di chi,
invece, ne effettui un utilizzo satirico, il quale avrà bisogno di una
50 Ciò che prima si è definito come “parassitismo ontologico”.
51 V. Campbell v. Acuff-Rose Music, Inc., U.S. Supreme Court, 510 U.S. 569, 7 marzo 1994.
52 V. B.P. KELLER, R. TUSHNET, Even More Parodic than the Real: Parody Lawsuits Revisited,
TMR, 2004, pag. 982-983 “Campbell drew a line between parody and satire, identifying the
former as a favored type of transformative use and the latter as likely to be an unnecessary
use of another's copyrighted work.”
53 La dottrina del fair use è stata oggetto di analisi in 1.3. e vi torneremo in 2.3.2.
122
justification . 5 4 Questa decisione della Corte Suprema, seppur non
abbia goduto di gran seguito presso le corti, 5 5 non rimase un caso
isolato. In Dr. Seuss Enters. L.P. v. Penguin Book USA, Inc., il Nono
Circuito della Corte d'appello federale rigettò le argomentazioni
proposte dalla difesa la quale asseriva che l'utilizzo del marchio e
dell'opera di Theodor Geisel (meglio conosciuto come Dr. Seuss)
nella rappresentazione satirica dei fatti di cronaca riguardanti l'exstella del footbal O.J. Simpson rispettasse i canoni del fair use; la
Corte affermò che il " fair use does not apply to satires but rather
only to true parodies ". 5 6
Questa distinzione ha subito forti critiche da parte della dottrina. In
primo luogo è stato evidenziato come la linea di demarcazione tra
satira e parodia non sia sempre cristallina; ciò, secondo la stessa
dottrina, può dar vita a manipolazioni da parte di abili professionisti
del diritto. 5 7 Inoltre, viene sottolineato come la suddetta distinzione,
54 V. J.W. MARSHALL, N.J. SICILIANO, The Satire/Parody Distinction in Copyright and Trademark
Law – Can Satire Ever Be a Fair Use?, ABA Section of litigation, IP Litigation Committee,
pag. 3 “The dichotomy approach is certainly easier to apply: if the new work arguably
criticized or commented on the original, a parodic character reasonably can be perceived (the
Campbell Court noted that this was the threshold inquiry in any parody fair use case), the
other factors concurrently become less important, and a fair use finding is quick to follow. On
the other hand, if the new work used the original work as a mere vehicle to criticize something
else (such as society in general), it is satire, not parody, and therefore not fair use.”
55 Comunque fa notare Cantwell in M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First
Amendment Limitations on the Trademark Estate: an Update, supra nota 174 cap. I, pag. 562563 “Lower courts have applied this dictum in choosing to offer less protection to satires than
to parodies in trademark as well as copyright infringement claims.”
56 Dr. Seuss Enters. L.P. v. Penguin Book USA, Inc.,U.S. Court of Appeals, 9th Circuit, 109 F.3d
1394, 1997; v. anche C.J. BROWN, A Parody of a Distinction: the Ninth Circuit’s Conflicted
Differentiation Between Parody and Satire, Santa Clara Computer & High Tech. L. J, 2004,
pag. 721 “A few years ago, however, this same circuit in Dr. Seuss Enterprises, L.P. v. Penguin
Books USA, Inc. (Seuss) held that a book using the writing style of Dr. Seuss, as well as a
character fashioned after the Cat in The Cat in the Hat, was a satire and therefore did not
qualify for a fair use defense against claims of trademark and copyright infringement.” Brown
contrappone questa sentenza a quella presa dal 9th Circuit pochi anni dopo nel caso Mattel, Inc.
v. MCA Records, Inc. di cui ci occuperemo più avanti, in cui l'uso da parte del gruppo musicale
Aqua del marchio Barbie venne considerato come parodia e quindi ricompreso nella dottrina
del fair use; v. ibid. “In Mattel, Inc. v. MCA Records, Inc. (Mattel), the Ninth Circuit recently
held that a song based on the Barbie doll was a parody and therefore qualified for a fair use
defense against a claim of trademark infringement.”
57 V. B.P. KELLER, R. TUSHNET, Even More Parodic than the Real: Parody Lawsuits Revisited,
supra nota 52, pag. 984 “The central lesson to be drawn from the copyright cases is that,
although the parody/satire line has become quite significant, the demarcation between parody
123
oltre ad esser inutile nella statuizione di un rischio di confusione,
sia, di per sé, priva di significato. 5 8 Un'erosione di questa linea di
demarcazione viene poi ravvisata nell'autorizzazione che, sempre
più frequentemente, viene concessa dal titolare del marchio per un
utilizzo ironico del marchio stesso da parte di terzi. 5 9 Questa
distinzione, comunque, se è stata usata in alcuni casi in cui era
necessario stabilire la sussistenza di una likelihood of confusion ,
minor rilevanza, invece, riveste per quel che concerne i casi di
dilution . 6 0
E' da notare, però, che la distinzione tra satira e parodia nel sistema
statunitense ha rilevanza soprattutto per quel che concerne l'uso
commerciale del marchio altrui. Per quanto riguarda, invece, gli usi
sia satirici che parodistici, di tipo non commerciale, questi, almeno
stando alle dichiarazione degli estensori del FTDA e alla lettera
della legge (anche se come vedremo nel paragrafo successivo queste
dichiarazioni non rispecchiano in pieno la verità dei fatti) non
and satire is not always clear. First, as a practical matter, the distinction is far too malleable in
the hands of a capable practitioner or judge to be of much use.” La malleabilità di questa
distinzione riguarda altresì il mondo dei marchi; v. ibid., pag. 1002 “Another aspect of the
problem with borrowing from Campbell to decide trademark cases is that "parody" is just as
subject to manipulation by clever parties or courts in trademark as in copyright.” V. anche C.J.
BROWN, A Parody of a Distinction: the Ninth Circuit’s Conflicted Differentiation Between
Parody and Satire, supra nota 56, pag.721 ss.
58 V. ibid., pag. 1000 “As in copyright, the parody/satire divide is unhelpful in addressing the
central question in trademark infringement cases: whether the defendant's use is likely to
cause confusion among a substantial number of consumers. If a joke is recognizable as a joke,
consumers are unlikely to be confused, and whether the butt of the joke is society at large, or
the trademark owner in particular, ought not to matter at all.”
59 V. ibid., pag. 1000-1001 “An additional wrinkle is that trademark owners, like copyright
owners, are increasingly willing to authorize activities that could be understood as mocking
the mark This trend not only makes it more difficult for consumers to tell when "jokes" are
unauthorized, it also further erodes the parody/satire distinction. These trademark owners
clearly are parodying themselves rather than satirizing society, perhaps in order to attract the
attention of irony-loving consumers.” V. anche J.W. MARSHALL, N.J. SICILIANO, The
Satire/Parody Distinction in Copyright and Trademark Law – Can Satire Ever Be a Fair Use?,
supra nota 54, pag. 5.
60 V. B.P. KELLER, R. TUSHNET, Even More Parodic than the Real: Parody Lawsuits Revisited,
supra nota 52, pag. 1009 “it appears that most courts will continue to feel little need to borrow
from Campbell when analyzing dilution claims that are doomed on other, simpler grounds.” V.
anche J.W. MARSHALL, N.J. SICILIANO, The Satire/Parody Distinction in Copyright and
Trademark Law – Can Satire Ever Be a Fair Use?, supra nota 54, pag. 13.
124
possono esser vietate. 6 1 Sulle esenzioni di responsabilità per un
utilizzo non commerciale, parodistico o critico del marchio e sulla
differenza, talvolta riscontrata nella giurisprudenza statunitense, tra
i propositi parlamentari di tutela di questo tipo di utilizzazioni e
quanto, in concreto, deciso dalle corti, torneremo più avanti nel
corso del presente capitolo.
2.2.1.2. Critica.
L'utilizzo non autorizzato del marchio da parte di terzi può avere,
altresì, finalità critiche, che possono riguardare sia la denuncia,
attraverso l'utilizzo dello stesso, della condotta del suo titolare, sia
una critica, in senso più ampio, del prodotto contrassegnato dal
marchio stesso e dei suoi effetti. Questo fenomeno, come abbiamo
in precedenza accennato, è senza dubbio cresciuto di pari passo con
l'espansione del web, che ha fornito, a critici e contestatori, una
platea mondiale alla quale portare a conoscenza la loro lotta contro,
ad esempio, le pratiche dannose per l'ambiente compiute dal titolare
61 V. art. 1125(3) Lanham Act in cui vengono previsti le eccezioni alla prerogativa di utilizzazione
esclusiva del titolare del marchio. Come vedremo nel seguente paragrafo, però, determinate
interpretazioni che sono state compiute nel corso degli anni di questa norma ne hanno ristretto
la portata, comportando altresì minaccia alla libertà d'espressione. Ciò nonostante le
rassicurazioni in merito al pericolo di un restringimento della libertà d'espressione fornite nel
Senato USA dagli estensori del FTDA, tra i quali ad esempio, il senatore Hatch. Parte del suo
discorso viene riportato in: Mattel v. MCA Records, US Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F.3d
894, 24 luglio 2002 “The legislative history bearing on this issue is particularly persuasive.
First, the FTDA's sponsors in both the House and the Senate were aware of the potential
collision with the First Amendment if the statute authorized injunctions against protected
speech. Upon introducing the counterpart bills, sponsors in each house explained that the
proposed law will not prohibit or threaten noncommercial expression, such as parody, satire,
editorial and other forms of expression that are not a part of a commercial transaction.”
125
del marchio, 6 2 la nocività dei prodotti da quest'ultimo posti in
commercio 6 3 o le sue politiche aziendali di taglio del personale. 6 4
Se da un lato si è assistito alla proliferazione di questa tipologia di
critica, dall'altro, come abbiamo analizzato nel corso del primo
capitolo, la novella protezione dei marchi dotati di reputazione o
famosi, ha fatto sì che venisse innalzata quella barriera a protezione
delle prerogative del trademark holder, tanto da costituire, talvolta,
una minaccia per la libertà d'espressione.
Prima di questa nuova tipologia di tutela il titolare del marchio
poteva infatti invocare a difesa delle proprie prerogative solamente
il rischio che si potesse ingenerare una confusione nella mente del
consumatore
riguardo
ad
un'affiliazione
della
“ campagna”
di
protesta condotta dal terzo, all'azienda produttrice dei beni o servizi
contrassegnati dal marchio ed utilizzato nella protesta stessa, come
abbiamo in parte esaminato nel primo capitolo. Questo tipo di
protezione contro una likelihood of confusion costituiva, però, una
barriera alquanto debole per le prerogative del trademark holder in
caso di utilizzo del marchio in funzione critica; ciò in quanto
risulterebbe difficile per un giudice affermare che il consumatore
medio possa confondersi, per quanto riguarda l'origine, tra il
marchio e quegli strumenti, ad esempio posters o t-shirts, finalizzati
alla critica della condotta del suo titolare o del prodotto da egli
venduto, ritenendoli provenienti dalla medesima fonte. 6 5
62 S.A. Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre
2005; Greenpeace v. SPCEA (Areva), Cour de Cassation, 8 aprile 2008; Stoppesso.de, LG
Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, in GRUR 2003.
63 Comité national contre les maladies respiratoires et la tuberculose (CNMTR) v. Société JT
International GmbH, Cour de Cassation, Arrêt del 19 ottobre 2006; Grosses Mordoro Poker
Bundesgerichtshof , 17 aprile 1984, in GRUR 1984.
64 Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30
aprile 2003.
65 V. in questo senso Stop the Olympic Prison v. United States Olympic Committee, U.S. District
Court, New York, 489 F. Supp. 1112, 25 febbraio 1980; Hofrichter fa l'esempio di un cittadino
americano di nome Abe che ipoteticamente compisse una campagna di protesta contro il
colosso della grande distribuzione Wall-Mart, attraverso l'utilizzo del logo Wall-Mart su
126
Questa
prospettiva,
però,
subì
un
radicale
mutamento
con
l'introduzione delle norme a tutela del marchio notorio o famoso, a
livello tanto trasnazionale quanto regionale e nazionale, che si
andarono ad aggiungere alla protezione conferita contro il rischio di
confusione, la quale rimane comunque sia azionabile anche nel caso
il marchio sia da considerarsi notorio. Il rafforzamento della tutela
del marchio, al di là della
somiglianza
importanti
dei
beni
strumenti
o
al
likelihood of confusion
servizi,
conferisce
trademark
holder,
quindi
e della
nuovi
ed
autorizzandolo
ad
invocare una sorta di censura contro qualsiasi utilizzo del marchio
che possa danneggiarne la reputazione. 6 6 Questa fattispecie, che
prende il nome di tarnishment e della quale ci occuperemo
diffusamente in un paragrafo ad essa appositamente dedicato,
riguarda molto da vicino la possibilità di criticare determinate
condotte aziendali attraverso l'uso del marchio. E' infatti a dir poco
scontato che un utilizzo del marchio in una campagna di critica
delle malefatte del suo titolare possa intaccarne la reputazione e la
capacità attrattiva, conseguita attraverso anni di marketing. 6 7 Per
quei casi che si pongono poi al di fuori del diritto dei marchi, in
forza di un utilizzo non qualificato come uso del marchio o di
rilievi civilistici che si pongono su di un piano più ampio, e per
posters, magliette ed un sito Internet; v. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand
Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra
nota 48 cap. I, pag. 1925 “Protection under trademark law is primarily based on whether a
second user creates confusion with an existing trademark or name.8 It seems relatively clear
that Abe’s use of the Wal-Mart mark does not create confusion, as no reasonable person would
believe that the t-shirts or other materials that are critical of Wal-Mart were produced by WalMart itself, even though they do use the Wal-Mart mark. Indeed, there is nothing under the
current confusion-based analysis in trademark law that prohibits such behavior.”
66 V. C. GEIGER, Trade Marks and Freedom of Expression – The Proportionality of Criticism, in
IIC, 2007, pag. 328-329 “With rights having an important social function, i.e. being subject to
a certain number of limits (explicit and implicit) imposed by the public interest, intellectual
property is tending to change gradually into a mechanism for protecting private interests, with
the result that any use that “disturbs” these interests is to be prohibited. Criticism and
information (often itself critical) are amongst these uses that disturb.”
67 V. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with
the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48 cap. I, pag. 1944 “Indeed Abe clearly
desires to harm the reputation of Wall-Mart as he feels only in this way might he be able to
change its labor practices.”
127
altri in cui il marchio utilizzato non sia considerato famoso, bisogna
poi sottolineare come il danno alla reputazione del marchio abbia
comunque un suo rilievo ai sensi delle norme nazionali che
forniscono tutela contro un danno ingiusto, come vedremo quando
analizzeremo la giurisprudenza in merito.
Il suddetto rafforzamento delle tutele nei confronti del titolare del
marchio notorio, unito all’azionabilità delle condotte denigratorie
del marchio anche al di fuori della trademark law, portano ad
inquietanti interrogativi riguardo alla sussistenza di spazi riservati
tanto alla critica, quanto alla parodia e alla satira. Alcuni autori si
sono spinti a parlare di una sorta di private censorship, che
arriverebbe a limitare ogni possibile azione di disturbo delle
prerogative dei titolari del marchio e ad avere una sorta di chilling
effect sulla libertà d'espressione. 6 8
Questo pericolo, come vedremo meglio quando ci troveremo ad
analizzare la giurisprudenza in merito, è avvertito soprattutto in
ambiente statunitense. In Europa, difatti, quando la giurisprudenza
si è trovata ad analizzare casi di uso parodistico, satirico o critico
del marchio, grande rilevanza ha conferito al principio della libertà
d'espressione, nei modi che meglio esamineremo nel corso del III
68 V. ad es. C. GEIGER, Trade Marks and Freedom of Expression – The Proportionality of
Criticism, supra nota 66, pag. 329 che parla esplicitamente di “private censorship”; v. anche
W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 142 “However, even if national authorities generally grant the appropriate level of
protection in cases before them, obstacles to the exercise of the freedom may by themselves
create disproportionate impairments. Such obstacles may be the prospect of severe sanctions,
significant costs of litigation, a need to litigate to the highest court in order to get their
freedom respected,216 or a lack of equality of arms between litigants.” In ambiente statunitense
v. invece J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems
with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48 cap. I, pag. 1928 “These
changes, taken together, justify the concern that the new anti-dilution law will create barriers
to exercising one's free speech in a way that trademark law has never done before”; v. anche
M. LAFRANCE, Steam, Shovels and Lipstick, Trademark, Greed and the Public Domain, Nevada
L.J., 2006, pag. 447 “In various context, this uncertainty and non-uniformity has a chilling
effect on both competition and free expression, and threatens to erode the public domain giving
certain trademark owner the opportunity to obtain the near-equivalent of copyright or design
patent protection without being subject to the limitations of those statutory regimes.”
128
capitolo, pur se con determinati limiti e bilanciamenti dovuti ad un
suo utilizzo, sì denotato da parodia, satira o critica, ma altresì di
tipo commerciale. Se un chilling effect sulla libertà d'espressione
può esser riscontrato in Europa, questo è più che altro dovuto al
peso di una delle (eventuali) parti processuali, ossia del titolare del
marchio, che il più delle volte, ha i connotati di una ricca e potente
multinazionale. Questo diverso peso delle parti è dovuto sia da
aspetti prettamente processuali, quali ad esempio l'onere della
prova, sia dalla minaccia, per chi compie un utilizzo non autorizzato
del marchio, di dover pagare gravose spese legali ed altrettanto
onerosi risarcimenti nel caso di vittoria del trademark holder. 6 9 A
questo si aggiunga poi l' intimidazione, portata dal titolare del
marchio, a quanti conducano una campagna di critica (o anche una
69 Questa problema è stato riconosciuto dalla stessa Corte Europea dei Diritti dell'uomo nella
causa Steel&Morris v. United Kingdom del 2005; in essa la Corte riconosce da un lato
l'importanza della libera circolazione di idee e dall'altra la mancanza di una equità da un punto
di vista procedurale tra un colosso come in questo caso McDonald's e un gruppo di attivisti che
ne denunciavano l'attività per quanto riguarda l'onere della prova, il peso delle spese legali e la
mancanza di aiuti statali per sostenerle, comportando in questo modo, conclude la Corte, un
chilling effect sulla libertà d'espressione; v. Steel&Morris v. United Kingdom, Corte Europea
dei Diritti dell'Uomo, 15 febbraio, 2005, para. 95 “If, however, a State decides to provide such
a remedy to a corporate body, it is essential, in order to safeguard the countervailing interests
in free expression and open debate, that a measure of procedural fairness and equality of arms
is provided for. The Court has already found that the lack of legal aid rendered the defamation
proceedings unfair, in breach of Article6 § 1. The inequality of arms and the difficulties under
which the applicants laboured are also significant in assessing the proportionality of the
interference under Article10. As a result of the law as it stood in England and Wales, the
applicants had the choice either to withdraw the leaflet and apologise to McDonald's, or bear
the burden of proving, without legal aid, the truth of the allegations contained in it. Given the
enormity and complexity of that undertaking, the Court does not consider that the correct
balance was struck between the need to protect the applicants' rights to freedom of expression
and the need to protect McDonald's rights and reputation. The more general interest in
promoting the free circulation of information and ideas about the activities of powerful
commercial entities, and the possible "chilling" effect on others are also important factors to
be considered in this context, bearing in mind the legitimate and important role that campaign
groups can play in stimulating public discussion.” V. anche W. SAKULIN, Trademark Protection
and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and
Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 144 “The lack of the
requirement for a trademark right holder to proof the existence of harm, for instance, may, in
certain circumstances, itself be a disproportionate restriction on freedom of expression.”
McGeveran afferma che tutto ciò abbia come risultato un'auto-censura per evitare il pericolo di
un lungo e dispendioso processo; v. W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra
nota 38, pag. 64 “Self-censorship of expressive uses in such circumstances is quite rational and
apparently quite common.”
129
semplice parodia o satira) contro di esso, attraverso le c.d. cease
and desist letters ; 7 0 la prospettazione di pesanti conseguenze legali
ed economiche in caso di mancata cessazione delle azioni di critica
al marchio può infatti determinare il congelamento di ogni spunto
critico. Se per queste ragioni si può temere una restrizione della
libertà di critica e più in generale della libertà d'espressione in
ambito europeo, a maggior ragione questo discorso vale in ambito
statunitense. 7 1 Ciò anche se il Lanham Act, recentemente modificato
dal TDRA, prevede espressamente un'esenzione di responsabilità per
chi compia un fair use del marchio famoso con scopi critici o
parodistici, o per coloro che lo utilizzino a fini non-commerciali,
come affermato dall'art. 1125(3)(A):
70 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 292 “Many parties will quickly discontinue their political, cultural and other noncommercial or mixed expression when receiving a cease and desist letter. […] Most of such
incidents occur secretly, which means that it is difficult to tell on what scale Article 2.20.1.d
TMDir produces such chilling effects. It did however occur to my knowledge in the case of the
Marlboro Poster of the International Socialists, in the case of the T-shirt by artist Nadia
Plessner, and in a case where Dutch police uses a parody of the of popular drink Bacardi
Breezer in an anti-drinking campaign.” V. anche, in ambito statunitense H. TRAVIS, The Battle
for Mindshare: The Emerging Consensus that the First Amendment Protects Corporate
Criticism and Parody on the Internet, supra nota 38, pag. 37 “The uncertainty in the law
permits cease-and-desist letters to be used to threaten Web publishers and their ISPs with
costly litigation, even in cases of overreaching by trademark owners.” V. R. SCHAFFERGOLDMAN, Cease and Desist: Tarnishment Blunt's Sword in its Battle against the Unseemly, the
Unwholesome, and the Unsavory, Fordham Intell. Prop. Media & Ent. L.J., 2010, pag. 1288 “It
is clear, then, that the threat of a looming cease-and-desist letter often chills speech and that
existing doctrinal protections do not lessen this chilling effect. From a legal perspective, this
chilling effect is especially problematic because a cease-and-desist letter acts as the private
action equivalent of a prior restraint.”
71 Il timore di un chilling effect sulla libertà d'espressione dovuta ai costi processuali,
all'incertezza delle regole e alle minacce portate dalle grandi multinazionali è confermata da
McGeveran in W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra nota 38, pag. 52 “The
lethal combination of uncertain standards with lengthy and costly litigation creates a classic
chilling effect upon the unlicensed use of trademarks to facilitate speech, even when such uses
are perfectly lawful. This effect undoubtedly occurs, though admittedly it is difficult to measure
because it occurs far away from the courthouse, through practices that never find their way
into any casebook. Markholders policing their portfolios send cease-and-desist letters
attacking virtually any unlicensed use of their trademarks. From television networks to
insurance companies, risk-averse institutional gatekeepers demand expansive rights clearance.
Lawyers counsel clients to avoid the trouble of a potential lawsuit. In response to this array of
powerful entities, speakers either avoid unlicensed uses of trademarks entirely or withdraw
them at the first hint of legal action.”
130
“The following shall not be actionable as dilution by blurring or
dilution by tarnishment under this subsection:
(A)Any fair use, including a nominative or descriptive fair use, or
facilitation of such fair use, of a famous mark by another person
other than as a designation of source for the person’s own goods or
services, including use in connection with—
(i)advertising or promotion that permits consumers to compare
goods or services; or
(ii)identifying and parodying, criticizing, or commenting upon the
famous mark owner or the goods or services of the famous mark
owner.
(B) All forms of news reporting and news commentary.
(C) Any noncommercial use of a mark.”
Pur se questa norma, ad una prima lettura, appare teleologicamente
orientata alla conservazione di uno spazio vitale per la libertà
d'espressione, la stessa può altresì rivelarsi un'arma pericolosa
contro di essa, a seconda dell'interpretazione che ne venga fornita.
La chiara specificazione riguardo alla protezione degli usi noncommerciali del marchio, difatti, rischia di non permettere, ad
esempio, di ricomprendervi campagne di protesta che diano vita ad
iniziative di raccolta fondi attraverso, ad esempio, la vendita di
magliette o gadgets contrassegnati dal marchio che si intenda
criticare,
in
quanto,
un'estensiva
interpretazione
della
norma,
qualificherebbe ciò come uso in commercio, pur se finalizzato
all'autofinanziamento della campagna, non permettendogli quindi di
beneficiare dell'eccezione prevista alla lettera (C). In alcuni casi 7 2
la giurisprudenza americana ha altresì considerato come uso in
commercio anche la semplice previsione, in un sito di protesta, di un
72 Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998;
Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997.
131
link ad un altro sito ove venga posto in vendita il relativo
merchandise ; inoltre, come viene affermato, ad esempio , in Jews for
Jesus v. Brodsky, è da ritenersi come uso in commercio qualsiasi uso
del marchio che possa causare un danno economico al suo titolare. 7 3
Qualora, poi, un gruppo di attivisti volesse avvalersi dell'esenzione
prevista
alla
lettera
A(ii),
anche
in
questo
caso
dovrebbe
confrontarsi con il rischio che una determinata interpretazione della
norma possa far svanire questo scudo protettivo. Ciò in quanto,
affinché il resistente possa beneficiarne, l'uso da egli fatto del
marchio, pur se con fini parodistici o critici, deve avvenire in modo
tale da non costituire una “designation of source for the person’s
own goods or services ”. Se, ad esempio, una campagna di protesta,
come sopra accennato, si autofinanzia con la vendita di t-shirts o
gadgets ,
ciò,
anche
qualora
l'organizzazione
sia
chiaramente
definibile come no-profit, può comportare che l'uso del marchio
venga definito come in relazione a beni o servizi. 7 4
A riguardo, inoltre, sorge il problema, stigmatizzato dalla dottrina, 7 5
che non sia stata data una chiara definizione di cosa venga inteso
73 V. Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998
"The conduct of the Defendant also constitutes a commercial use of the Mark and the Name of
the Plaintiff Organization because it is designed to harm the Plaintiff Organization
commercially by disparaging it and preventing the Plaintiff Organization from exploiting the
Mark and the Name of the Plaintiff Organization." V. anche Planned Parenthood v. R. Bucci,
U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997 "Defendant argues that his use is not
"commercial" within the meaning of § 1125(c). I hold, however, that defendant's use of
plaintiff's mark is "commercial" for three reasons: (1) defendant is engaged in the promotion
of a book, (2) defendant is, in essence, a non-profit political activist who solicits funds for his
activities, and (3) defendant's actions are designed to, and do, harm plaintiff commercially."
Questa interpretazione viene contestata in Ford Motor v. 2600 Enterprises, U.S. District Court,
E.D. Michigan, 20 dicembre 2001 e bollata come "arguably dictum". Per la dottrina v. M.
BARRET, Domain Names, Trademarks and the First Amendment: Searching for Meaningful
Boundaries, supra nota 38, pag. 1018 ss.; J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand
Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra
nota 48 cap. I, pag. 1941-1945; H. TRAVIS, The Battle for Mindshare: The Emerging Consensus
that the First Amendment Protects Corporate Criticism and Parody on the Internet, supra nota
38, pag. 38. Torneremo comunque sull'ampliarsi delle fattispecie ricomprese nell'uso
commerciale del marchio nel corso dei prossimi paragrafi.
74 V. Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997.
75 V. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with
the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48 cap. I, pag. 1949.
132
per “designation of source” all'interno del Lanham Act. Se infatti
venisse data a questa espressione un significato sinonimico di
marchio, come segno capace di distinguere beni o servizi , l'uso che
ne venisse fatto in funzione di merchandise a sostegno di un
movimento di protesta, contro il titolare del marchio stesso,
potrebbe esser definito, oltre che in relazione a beni o servizi,
altresì come indicatore d'origine, comportando così la venuta meno
dell'eccezione prevista dalla lettera A(ii).
Se venisse appoggiata questo
genere di
interpretazione dalla
giurisprudenza verrebbe svilito l'intento di protezione della libertà
d'espressione con cui sono state emanate le esenzioni sopra
analizzate, conferendo in tal modo un'importante arma alle grandi
multinazionali per tacitare le critiche nei loro confronti. 7 6
Vedremo nel corso della nostra trattazione come questi timori, per
quanto
fondati,
saranno
in
parte
fugati
dall'evoluzione
della
giurisprudenza in merito. Certamente, nonostante vengano talora
riconosciute le eccezioni dell'art. 1125(3) del Lanham Act e venga
dunque
dato
peso
al
principio
della
libertà
d'espressione
costituzionalizzato dal I Emendamento, non è azzardato affermare
che oltreoceano, viste anche le paventate novità legislative in tema
76 V. ad esempio ibid., pag. 1951 “the 'designation of source' phrase takes the teeth out of the fair
use exclusion by limiting the scope of its protection, meanwhile providing a valuable tool to
corporations seeking to obstruct organized criticism of their practices.” A questa teoria si
oppone però Beebe in B. BEEBE, A Defense of the New Federal Trademark Antidilution Law,
Fordham Intell. Prop. Media & Ent. L.J., 2006, pag. 1172 “The first aspect of the Act’s
definition of tarnishment may very well play a crucial role in limiting the reach of antitarnishment protection under the Act. Consider a t-shirt or bumper sticker that states 'WalMart is Evil.' This conduct, though certainly tarnishing, is not prohibited under the Act. The
reason is that in neither of these cases will consumers perceive these signs as designations of
the source of the defendants’ goods. Similarly, a motion picture about the exploitation of
service industry workers that prominently features the Wal-Mart mark would also not be
enjoinable under the Act. The motion picture is not using the mark as a designation of the
source of the motion picture—though, of course, the motion picture is using the plaintiff’s mark
as a designation of source of the plaintiff’s goods.”
133
di copyright, 7 7 non tiri una buona aria per la conservazione di quegli
spazi destinati alla libertà d'espressione.
2.2.2. La libertà d'espressione nelle espressioni commerciali.
Come abbiamo accennato nei precedenti paragrafi, nel determinare
la ricomprensione di un uso satirico, parodistico o critico di un
marchio altrui, all'interno di quel recinto protetto da lla libertà
d'espressione, riveste un ruolo di primo piano il tipo di uso che ne
viene fatto. Se, infatti, come abbiamo sottolineato nel paragrafo
dedicato a satira e parodia, l'uso non autorizzato del marchio altrui
riveste scopi prettamente di tipo commerciale , allora le Corti
saranno inclini a non ritenerlo coperto dall' ombrello costituzionale
fornito dalla libertà d'espressione; al contrario, invece, di quel che
accade,
con
determinate
eccezioni,
quando
l'uso
compiuto
è
puramente non-commerciale o, come vedremo, principalmente noncommerciale . D’altronde l’uso nel corso del commercio, per quanto
il suo significato venga interpretato piuttosto ampiamente per
favorire gli interessi del titolare del marchio, 7 8 è, come abbiamo
visto nel corso del primo capitolo, una delle condizioni affinché si
concretizzi la contraffazione.
Se queste sono le linee guida seguite dalle Corti sia europee che
statunitensi, bisogna però specificare cosa venga inteso per uso
commerciale ed uso non-commerciale del marchio. Tenendo a mente
quanto affermato nel corso del I capitolo riguardo all' uso del
77 V. le due proposte di legge, sostenute dalle grandi multinazionali, che si propongono di limitare
la libertà del web e che grandi proteste stanno provocando da parte di questo stesso mondo
comprensibilmente geloso delle sue libertà. Queste due proposte di legge passano sotto il nome
di SOPA (Stop On-Line Piracy Act) e PIPA (Preventing Real Online Threats to Economic
Creativity and Theft of Intellectual Property Act).
78 W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 215.
134
marchio, noteremo che le categorie di uso commerciale e non
commerciale siano in continua evoluzione, come abbiamo già messo
sia nel corso del I capitolo che del precedente paragrafo.
Il presente paragrafo sarà dedicato a delineare i contorni dell'uso
commerciale del marchio e della sua influenza sulle decisioni
riguardanti la violazione delle prerogative del trademark holder,
mentre, nel successivo, ci concentreremo sulla definizione fornita,
sia in ambito europeo sia negli Stati Uniti, di utilizzo noncommerciale.
Per quanto riguarda il Vecchio Continente abbiamo già in parte
discusso, nel corso del I capitolo, alcuni profili riguardanti cosa si
intenda per uso in commercio e come esso sia uno dei requisiti
fondamentali affinché il titolare del marchio far valere i propri
diritti di esclusiva, secondo quanto disposto a livello comunitario
dall'art. 5 della Direttiva 2008/95/CEE . 7 9 Abbiamo quindi analizzato
quegli usi, che, pur avvenendo nel commercio, sono espressamente
non-vietabili dal titolare del marchio, in forza dell'Art. 6 della
Direttiva 2008/95/CEE 8 0 e ci siamo occupati altresì dei c.d. usi
atipici del marchio, 8 1 che, pur non essendo espressamente previsti
da alcuna norma, non possono esser vietati in quanto non definibili
come veri e propri usi del marchio come tale. In questo ultimo caso,
infatti, l'utilizzo del marchio non avviene in funzione di indicazione
d'origine di beni o servizi e si posiziona al di fuori della normativa
sui marchi.
Nella prospettiva che ora più da vicino ci riguarda, compiremo
dunque un'analisi di quei casi in cui le corti degli Stati europei
hanno definito come puramente commerciale un uso parodistico o
satirico del marchio, riscontrando quindi la materializzazione di un
79 V. 1.2.2.
80 V. 1.3.
81 V. 1.4.
135
ingiusto
vantaggio
ex
art.
5.2
della
Direttiva
2008/95/CEE,
concernente, come abbiamo esaminato, 8 2 il marchio notorio, e
negando, in questa modo, quella protezione accordata dal principio
della libertà d'espressione.
In Italia la giurisprudenza si è occupata più volte dell'utilizzo in
chiave
parodistica
di
marchi
notori
altrui
posti
su
capi
di
abbigliamento ed, in particolar modo, su t-shirts dall'intento, per
così dire, ironico. L'ultimo, in ordine temporale, è il caso PORCO
DIESEL, 8 3 nel quale la Clever Internet Company aveva utilizzato il
noto marchio DIESEL per la creazione di magliette contrassegnate
dalla dicitura PORCO DIESEL e si era difesa dall'accusa di
contraffazione affermando che la suddetta dicitura fosse parte dello
slang giovanile, in funzione di una nota canzone del gruppo Elio e
le Storie Tese. Ciononostante il Tribunale di Torino ravvisò un uso
commerciale del marchio DIESEL da parte della Clever, in quanto,
pur essendo riconosciuto dal Tribunale l'intento parodistico del
resistente mediante l'apposizione della parola PORCO, ciò non fu
ritenuto sufficiente a far scattare la tutela conferita dalla libertà
d'espressione. L'identità dei beni su cui erano posti i segni (in
entrambi i casi capi di abbigliamento), l'identità, o quantomeno la
somiglianza dei segni e quindi la possibile confusione ingenerabile
nel consumatore, fecero propendere il Tribunale per l'identificazione
di un uso commerciale 8 4 e quindi anche contraffattivo, secondo
quanto previsto della lettera a) dell'art. 20 CPI (o in alternativa
anche dalla lettera b) ) del marchio DIESEL.
82 V. 1.2.3.3.
83 Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo
2006, in IDI, 2007, 149 ss.
84 Ciò in quanto la Corte richiama all'art. 20 CPI, che espressamente conferisce al titolare del
marchio il diritto esclusivo di utilizzazione e la possibilità di vietare a terzi l'utilizzazione
all'interno della propria attività economica. Questo d'altronde, come abbiamo visto nel corso
del Capitolo I, corrisponde a quanto previsto dalla Direttiva 2008/95/CEE all'art. 5.
136
Questa sentenza era stata preceduta dal caso AGIP-ACID , 8 5 in cui la
famosa compagnia petrolifera contestava l'uso fatto dalla Dig. It
International e dalla Ambrosiana Serigrafica s.r.l. del suo logo in
una raffigurazione, stampata su t-shirts, di un cane a sei zampe con
la scritta ACID (inneggiante all'uso di droghe sintetiche o, come
affermato dalla parte resistente, al genere musicale acid-rock), al
posto della convenzionale dicitura AGIP. Il Tribunale di Milano pose
in
evidenza
l'“ utile
commerciale
dell'operazione ”,
l'indebito
vantaggio tratto dalla rinomanza del marchio (c.d. free-riding), il
detrimento per quest'ultimo ed, anche se in modo forse opinabile, 8 6
il rischio di confusione per quel che riguarda la possibilità
dell'esistenza di un contratto di licenza tra l'AGIP e le resistenti. Il
suddetto uso venne dunque ritenuto compiuto in violazione delle
prerogative del titolare del marchio.
In entrambi questi casi, quindi, l'utilizzo parodistico del marchio
altrui venne considerato come un mero sfruttamento commerciale
conferente un indebito vantaggio all'utilizzatore e, per questa
ragione, non coperto dall'art. 21 della Costituzione. 8 7 A questo
85 Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4
marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987.
86 Nella sentenza (v. ibid.) si parla di “verosimile possibilità di ritenere che l'attrice potesse aver
concesso licenza d'uso del marchio all'impresa iniziatrice dell'operazione commerciale”.
Questa parte della sentenza viene contestata da Galli in C. GALLI, L'Allargamento della Tutela
del Marchio e i Problemi di Internet, in AA.VV., Il futuro dei marchi e le sfide della
globalizzazione, supra nota 47, pag. 29 “Certamente nessuno poteva pensare che il produttore
delle magliette in questione fosse la stessa Agip o comunque un soggetto legato
contrattualmente a quest'ultimo, e quindi non poteva configurarsi un rischio di confusione.”
87 V. ibid., pag. 44-45 “E' peraltro indubbio che la parodia instaura per definizione un
collegamento con il messaggio di cui io marchio è portatore; questo collegamento comporta
un approfittamento a favore dell'autore della parodia, che proprio su tale collegamento (e
quindi sullo sfruttamento della rinomanza del marchio parodiato) si fonda.” V. anche C. GALLI,
D. DE ANGELIS, A.B. GELOSA, N. GIORA, Conflicts between Trademark Protection and Freedom
of Expression, supra nota 49, pag. 198 “The law has considered as infringement pursuant to
art. 1, 1st paragraph, letter c) of the Trademark Law (now art. 21, 1st paragraph, letter c) of
the CPI, corresponding with art. 5.2 of Directive 89/104/EEC) the reproduction of the well–
known trademark of 'Agip' oil products (depicting a six–legged dog with a flame coming from
its mouth on a yellow background, outlined with a dark line) on t–shirts placed on sale with
the word “Acid“ in place of the word 'Agip', because the use constituted unauthorised parody,
liable to procure undue advantage in terms of commercial utility and to cause prejudice to the
reputation of the 'Agip' trademark.” V. anche C. GALLI, L'Allargamento della Tutela del
Marchio e i Problemi di Internet, in AA.VV., Il futuro dei marchi e le sfide della
137
proposito è molto chiaro il Tribunale di Roma, nell'ordinanza sul
caso Gambero Rosso - Gambero Rozzo , in cui afferma che l'utilizzo
parodistico del marchio Gambero Rosso è connotato dall'“'intento di
sfruttamento della fama altrui a fini commerciali (essendosi, nella
specie, al di fuori di ipotesi di semplici manifestazioni del pensiero,
ai fini dell'esercizio del diritto di critica o di satira, in quanto lo
scopo delle opere contestate non è certo quello di deridere o
criticare l'opera parodiata, le guide del 'Gambero Rosso', quanto di
sfruttarne alcuni elementi per creare un prodotto concorrente sul
mercato
e
che
non
ne
rappresenta
affatto
un
sostanziale
rovesciamento) e di parassitismo ovvero di approfittamento dei
valori acquisiti dall'altrui segno da parte dei resistenti.” 8 8 Tale uso,
puramente commerciale ed oltretutto traente un indebito vantaggio
nei confronti del titolare della rinomanza del marchio Gambero
Rosso, è quindi da considerarsi contraffattivo.
L'uso commerciale non autorizzato del marchio altrui è stato
chiaramente analizzato anche dalla giurisprudenza europea. La
Corte del Benelux, dando un'interpretazione molto ampia della
fattispecie, negli anni '70 affermò che l'utilizzo erotico di una
bottiglia di Coca-Cola in un film di carattere pornografico fosse da
considerarsi come uso in commercio, al pari dell'uso del logo
Phillips associato alla svastica nazionalsocialista sulla copertina di
una rivista che si proponeva di denunciare le attività dell’azienda
olandese durante gli anni del III Reich. 8 9 In Germania, invece,
globalizzazione, supra nota 47, pag. 28-30; v. anche Trib. Torino, ord. 9 marzo 2006, nota di M.
VENTURELLO, in IDI, 2007 pag. 149 ss.
88 GRH c. Newton Compton editori, Trib. Roma, 23 giugno 2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009,
5375. Il caso ha riguardato la pubblicazione di guide eno-gastronomiche dal titolo Gambero
Rozzo, per evidenziare una differenziazione in termini di una minor dispendiosità e
pretenziosità dei ristoranti in essa indicativi, rispetto alla celebre guida del Gambero Rosso.
Questo uso è però stato considerato come free-riding dal Tribunale di Roma.
89 V. E. GREDLEY, S. MANIATIS, Parody: A Fatal Attraction? Part 2: Trade Mark Parodies, EIPR,
1997, pag. 418 “The Benelux courts have interpreted 'use in the course of trade' broadly, to
include use of a logo of the Phillips company, with Nazi swastikas substituted for stars , on the
cover of a news magazine containing an article on the company's alleged activities during the
138
possiamo riscontrare alcuni casi in qualche modo simili a quelli
analizzati dalla giurisprudenza italiana di cui sopra. Nel caso
MARS, ad esempio, l'azienda produttrice di dolciumi si oppose
all'utilizzo compiuto di una parodia del suo slogan “Mars Will Liven
You up at Work, Sport and Play ” compiuta da parte di un'azienda
produttrice di profilattici (“ Mars Will Liven You up for Sex-sport
and Play”). Il Bundesgerichtshof affermò la sussistenza di uno
sfruttamento
a
fini
commerciali
del
marchio
oltre
che
una
possibilità di confusione rispetto all'origine dei beni. 9 0
Un uso ed uno sfruttamento commerciale della notorietà del marchio
altrui è poi stato rinvenuto, ad esempio, dal Tribunal de Grande
Instance de Paris nell'utilizzo del logo del famoso formaggio
francese Président come copertina di un album musicale. 9 1
Second World War; and the use of a Coca-Cola bottle for sexual purposes in a scene from the
pornographic film Alicia. In the Phillips case, the use w2as considered to be commercially
motivated, the aim being to increase sales of the magazine by means of the startling visual
impact of the altered logo on its cover; in the Alicia case, the film was shown commercially in
numerous cinemas.”
90 V. Markenverunglimpfung/Mars, Bundesgerichtshof, 10 febbraio 1994, in GRUR 1994, IIC
1995 “To promote the sale of its products, the defendant engages in direct exploitation of the
high degree of renown and good name of the plaintiff’s marks.[...] The risks exists that it is the
plaintiff who will be viewed as the distributor of the little folding box containing
contraceptives, by a certain percentage of consumers, namely by those who did not purchase
the gag item as such from the display bearing the defendant's name, but who encounter it
trough some other way and inspect it only casually.” V. in proposito E. GREDLEY, S. MANIATIS,
Parody: A Fatal Attraction? Part 2: Trade Mark Parodies,supra nota 89, pag. 417-418; J.
PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 cap. I. Un caso simile, sempre
riguardante l'uso parodistico di un marchio famoso (quello della crema Nivea in questo caso)
per la vendita di preservativi è Markenverunglimpfung II/Nivea, Bundesgerichtshof, 19 ottobre
1994, in GRUR 1995. V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an
Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under
European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 268 “The crucial finding in these cases [Nivea e
Mars, n.d.r.] was that the purpose of the commercial parodies had not been to express an
opinion about the right holder, it’s products or it’s advertising methods. Rather the purpose of
the use was found to be nothing more than the increase in sales of an otherwise not well-selling
product.”
91 V. Président, Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 ottobre 1996; v. M. BLOCH-WEILL, S.
NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R.
MANSUY, S. GUERLAIN, Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra
nota 49, pag. 127-128 “ Ainsi, le 4 octobre 1996, le Tribunal de Grande Instance de Paris
considérait que l’ utilisation comme couverture d’un album musical de la marque semi
figurative “Président” qui représente l’emballage d’un fromage constituait l’utilisation illicite
d’une marque renommée à des fins commerciaux pour des produits non similaires aux termes
de l’article L 713–5 du CPI, et ne tombait pas sous l’exception de parodie du droit d’auteur
français puisque l’ œuvre déposée également à titre de marque était utilisée à titre d’accessoire
139
Da notare poi l'importante presa di posizione della Corte di
Giustizia Europea che ha recentemente considerato come uso nel
commercio l'utilizzo di parole chiave nell'ambito di un servizio di
posizionamento Internet compiuto da un'impresa commerciale. 9 2
Questa decisione potrebbe, in futuro, esser gravida di conseguenze
anche per quel che riguarda un uso parodistico o critico del
marchio.
Come vedremo meglio in seguito, l' uso commerciale non è però
l'unico
parametro
attraverso
il
quale
viene
compiuto
un
bilanciamento tra libertà d'espressione e prerogative del titolare del
marchio. Come ad esempio testimonia la recente causa, discussa dal
tribunale di Amsterdam, Mercier BV v. Punt.nl. BV, anche qualora
l'uso
che
viene
fatto
del
marchio
venga
considerato
non-
commerciale (in questo caso una parodia di Nijntje, un famoso
cartone animato per bambini, registrato anche come marchio,
ospitata in un sito Internet), vi è comunque la possibilità che questo
uso violi le prerogative del titolare del marchio, qualora, senza un
giustificato motivo , provochi detrimento al marchio parodiato. 9 3
publicitaire. […] Ceci étant, lorsque la parodie est invoquée comme une forme de liberté
d’expression qui doit bénéficier des garanties constitutionnelles attachées à ce droit
fondamental, les tribunaux vérifient si l’usage est réellement parodique ou si, au contraire, il
est dénigrant, s’il a pour but de capter une clientèle attirée par la renommée de la marque, ou
s’il s’agit d’une utilisation à des fins commerciales.” V. anche K. WECKSTROM, The Lawfulness
of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the Balancing of Societal Interests
behind Trademark Protection, supra nota 17, pag. 673 “Similarly, depicting the famous
wrapping paper for 'PRESIDENT' cheese on an album cover constituted unlawful exploitation
of another’s reputation, although the argument was made that the use was satirical.”
92 V. L'Oreal SA v. EBay International AG, C-324/09, 12 luglio 2011 , para. 87 “Con riferimento
alla pubblicità che compare su Internet a partire da parole chiave corrispondenti a marchi, la
Corte ha già statuito che una parola chiave di questo tipo è lo strumento utilizzato
dall’inserzionista per rendere possibile la visualizzazione del proprio annuncio ed è dunque
oggetto di un uso «nel commercio» ai sensi dell’art. 5 della direttiva 89/104 e dell’art. 9 del
regolamento n. 40/94.” V. anche Google France SARL v. Louis Vuitton Mallettier (C-236/08),
Viaticum SA, Luteciel SARL (C-237/08), CNNRH SARL, Tiger SARL (C- 238/08) riunite, 23
marzo 2010, para. 43 e 52.
93 V. Mercier v. Punt.nl., Corte di Amsterdam, 22 dicembre 2009; v. VAN BAEL & BELLIS, On
Belgian Business Law, Brussels, gennaio 2010, pag. 9; è interessante vedere come una parodia
dello stesso cartone animato, ospitata sul giornale belga Deng oltre che sul suo sito Internet,
fosse stata giudicata dalla Corte d'Appello di Antwerp nel 2005 come violazione dei diritti del
titolare del marchio Nijntje (Dick Bruna e Mercier); in questa sentenza però l'utilizzo che ne
veniva compiuto era indicato come commerciale (in quanto finalizzato alla vendita di maggior
140
Sulla categoria del due cause e sui meccanismi attraverso i quali
viene introdotta una tutela della libertà d’espressione all’interno
della trademark law dei paesi europei e bilanciata con i diritti
conferiti al titolare del marchio torneremo più avanti nel corso della
nostra trattazione.
La qualificazione di uso non autorizzato del marchio altrui riveste
grande importanza anche nella giurisprudenza statunitense. Ciò
viene testimoniato, ad esempio, dal fatto che l'uso non-commerciale
di un marchio altrui
sia oggetto
di una delle esenzioni
di
responsabilità indicate dall'art. 1125(3)(A). La statuizione, quindi,
del “se” l'uso di un marchio si possa definire come commerciale o
meno,
acquista
una
rilevante
importanza
nel
riscontrare
una
violazione dei diritti del titolare del marchio. 9 4 Come abbiamo
inoltre anticipato nel capitolo I, l'art. 1125 del Lanham Act afferma
il diritto del trademark-holder di vietare l'uso non autorizzato del
marchio di cui è titolare nel commercio. 9 5 Una definizione, piuttosto
ampia, di cosa venga inteso per commercio viene fornita dall'art.
1127 del Lanham Act il quale afferma che “the word 'commerce'
means all commerce which may lawfully be regulated by Congress ”.
Sempre all'interno del medesimo articolo viene poi specificato cosa
si intenda per uso in commercio: “the term 'use in commerce' means
copie di Deng) e venne negata la sussistenza di una parodia in quanto non vi era una sufficiente
differenziazione rispetto all'originale; v. Code NV v. Mercis BV and Dick Bruna, Corte d'
Appello di Antwerp, 2 maggio 2006; v. a commento D. VOORHOOF, Is Freedom of Expression a
Legitimate Argument for Disrespecting Copyright? the Parody Metaphor, in A. STROWEL, F.
TULKENS, Droit d’auteur et liberté d’expression. Regards francophones, d’Europe et d’ailleurs,
Larcier, Brussels, 2006, pag. 47.
94 V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, The Bureau of
National Affairs Inc., Washington, 2004, pag. 331-332 “If, as Congress appears to have
intended, the parameters of the noncommercial use exemption are framed by the constitutional
'commercial speech' doctrine, one must examine that doctrine as well to understand this
exemption. […] It is evident that Congress understood the commercial speech doctrine to give
less protection to commercial speech than is given to other forms of speech.”
95 V. 1.2.2.
141
the bona fide use of a mark in the ordinary course of trade, and not
made merely to reserve a right in a mark.”
Queste definizioni in realtà, data la loro ampiezza, non ci aiutano
più di tanto nello stabilire cosa le Corti americane intendano per uso
commerciale. La stessa dottrina ha evidenziato come la linea di
demarcazione tra uso commerciale e non sia piuttosto incerta e
possa subire degli spostamenti a seconda delle interpretazioni
fornite dalle Corti. 9 6 Un esempio interessante, e molto criticato, 9 7 di
commercial speech è quello che è stato individuato dalla Corte
Suprema nel caso San Francisco Arts & Athletics, Inc. v. United
States Olympic Committee ; in questo caso, difatti, l'uso da parte di
un comitato in difesa dei diritti degli omosessuali del logo Olimpico
per promozionare i c.d. Gay Olympic Games venne giudicato come
uno
sfruttamento
Suprema. 9 8 Più
commerciale
recentemente
e
poi,
quindi
la
vietato
dalla
differenziazione
tra
Corte
uso
commerciale e non commerciale del marchio, ha riguardato molto da
vicino il suo utilizzo compiuto attraverso Internet. Di queste
problematiche
ci
siamo
in
parte
già
occupati
nel
paragrafo
96 V. M. LAFRANCE, No Reason to Live: Dilution Laws as Unconstitutional Restriction on
Commercial Speech, South Carolina Law Review, 2007, pag. 712 “Furthermore, the line
between commercial and noncommercial speech is a shaky one, and some have argued that no
such distinction can or should be drawn. If there is a line, it certainly is elusive. V. anche D.S.
WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 332
“However, the commercial speech doctrine has not been static.”
97 Critiche molto feroci contro questa sentenza arrivarono dal giudice Kozinski nella sua
dissenting opinion come riporta Schaffer-Goldman in R. SCHAFFER-GOLDMAN, Cease and Desist:
Tarnishment Blunt's Sword in its Battle against the Unseemly, the Unwholesome, and the
Unsavory supra nota 70, pag. 1263 "Dissenting from the rehearing en banc, Judge Kozinski
cautioned that the result reached by the court 'threaten[ed] a potentially serious and
widespread infringement of personal liberties'. The SFAA sought to use the term 'Olympic' to
evoke a positive and healthy image of gay men and women. According to Judge Kozinski,
denying the SFAA the right to use the word 'Olympic' deprived them of an essential 'nuance of
meaning'.” V. anche M.A. NASER, Trademarks and Freedom of Expression, IIC, 2009, pag. 193.
98 V. San Francisco Arts & Athletics, Inc. v. United States Olympic Committee, U.S. Supreme
Court, 483 U.S. 522, 25 giugno 1987 “In this case, the SFAA sought to sell T-shirts, buttons,
bumper stickers, and other items, all emblazoned with the title 'Gay Olympic Games.' The
possibility for confusion as to to sponsorship is obvious. Moreover, it is clear that the SFAA
sought to exploit the 'commercial magnetism'”.
142
precedente, in cui abbiamo analizzato le difficoltà di far rientrare
all'interno dell'eccezione di uso non commerciale l'utilizzo del
marchio per fini di critica. Come abbiamo sottolineato, un recente
orientamento delle Corti americane, che ha considerato come uso
commerciale
del
marchio
qualsiasi
uso
legato
ad
aspetti
commerciali 9 9 può costituire una minaccia alla libertà di critica e di
espressione. A ciò contribuisce in maniera sostanziale anche il fatto
che, come affermato in Jews for Jesus v. Brodsky, un uso del
marchio atto a danneggiare economicamente il suo titolare possa
esser definito come uso commerciale. 1 0 0 Le due sopracitate tendenze
sono entrambe confermate da OBH, Inc.v. Spotlight ; in questo caso
la creazione di un forum atto a criticare il sito web del The Buffalo
News attraverso l'utilizzo del marchio del ricorrente, venne indicato
come uso commerciale del marchio per due ordini di ragioni: a) in
quanto prevedeva links ad altri siti a carattere commerciale; b) in
quanto si proponeva di danneggiare economicamente la parte
resistente. 1 0 1 Un altro caso interessante in questo senso è quello in
99 V. Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997.
100V. 2.2.1.2.
101V. OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 28
febbraio 2000 “First, defendants' use of the mark as the domain name for the Tortora web site
constitutes a commercial use because, as stated above, that web site contains a hyperlink that
connects users to defendants' other web site, the on-line version of Apartment Spotlight
Magazine, which defendants operate for commercial purposes. Second, defendants' use of
plaintiffs' trademark constitutes a commercial use because defendants' actions are designed to,
and do, harm plaintiff commercially. Planned Parenthood, 1997 WL 133313, at *5.6 As the
court stated in Planned Parenthood:defendant's use is commercial because of its effect on
plaintiff's activities. First, defendant has appropriated plaintiff's mark in order to reach an
audience of Internet users who want to reach plaintiff's services and viewpoint, intercepting
them and misleading them in an attempt to offer his own political message. Second,
defendant's appropriation not only provides Internet users with competing and directly
opposing information, but also prevents those users from reaching plaintiff and its services and
message. In that way, defendant's use is classically competitive: he has taken plaintiff's mark
as his own in order to purvey his Internet services--his web site--to an audience intending to
access plaintiff's services.” Welkowitz si mostra critico verso questa sentenza, v. D.S.
WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94, pag.
335-336 “The defendants claimed that their use came within Section 43(c)(4)(B), but the court
disagreed, citing links on the defendant's Web site to the defendant's commercial ventures, and
the fact that the defendant's Web site was intended to do commercial harm to plaintiff. While
the first is a plausible reason for declining the defense (since the links are not intended as
expressive commentary and may use the plaintiff's mark to generate their own business), the
second is more questionable. Parodies may intend to harm their target, but this does not
143
cui il Quarto Circuito federale ha indicato come commerciale
l'utilizzo, all'interno di un sito web, della parodizzazione del
marchio dell'associazione animalista PETA, in quanto, qualora un
internauta fosse alla ricerca del vero sito della PETA, si sarebbe
potuto
imbattere
nella
sua
parodizzazione;
questa
possibile
distrazione di internauti ed il collegamento a links eticamente
contrari ai propositi della PETA, furono sufficienti a far propendere
la Corte per la statuizione di siffatto uso come commerciale. 1 0 2
Questo orientamento delle Corti americane non è però univoco,
come testimoniano diverse sentenze che in parte contraddicono
quanto affermato in quelle fin qui analizzate a riguardo. Della loro
analisi ci occuperemo nel seguente paragrafo.
remove them from the realm protected expression.” V. anche H. TRAVIS, The Battle for
Mindshare: The Emerging Consensus that the First Amendment Protects Corporate Criticism
and Parody on the Internet, supra nota 38, pag. 27-28.
102Il caso riguarda appunto l'utilizzo del marchio dell'associazione animalista PETA (People for
Ethical Treatment on Animals) in chiave parodistica (People Eat Tasty Animals) attraverso un
sito web. Questo uso “distrattivo” degli internauti, insieme alla previsione di alcuni link a siti
commerciali, venne definito come uso commerciale; v. People for the Ethical Treatment of
Animals, Inc. v. Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 263 F.3d 359, 18
settembre 2001 "Prospective users of plaintiffs' services who mistakenly access defendants'
web site may fail to continue to search for plaintiffs' web site due to confusion or frustration.
Such users, who are presumably looking for the news services provided by the plaintiffs on
their web site, may instead opt to select one of the several other news-related hyperlinks
contained in defendants' web site. These news-related hyperlinks will directly link the user to
other news-related web sites that are in direct competition with plaintiffs in providing newsrelated services over the Internet. Thus, defendants' action in appropriating plaintiff's mark
has a connection to plaintiffs' distribution of its services." V. a riguardo H. TRAVIS, The Battle
for Mindshare: The Emerging Consensus that the First Amendment Protects Corporate
Criticism and Parody on the Internet, supra nota 38, pag. 22 “Even though the defendant did
not sell or advertise any products on his Web site, the court found the requisite connection to
commercial activity in the bare possibility that the site would attract some Internet users who
were initially searching for PETA’s own site, coupled with the site’s hyperlinks to thirty “meat,
fur, leather, hunting, animal research, and other organizations, all of which held views
generally antithetical to PETA’s views.”
144
2.2.3. La libertà d'espressione nelle espressioni non commerciali o
miste.
Se, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, le corti europee
tendono ad esser restie a qualificare come protetti dalla libertà
d'espressione quegli utilizzi del marchio caratterizzati da finalità di
puro sfruttamento commerciale , con un maggior favore sono visti
invece usi di carattere esclusivamente non-commerciale o che
abbiano sì una componente di commercialità, vista però come non
preponderante. La non-commercialità , come vedremo, non può però
esser considerato l'unico fattore di cui le corti hanno mostrato di
avvalersi nel decidere se accordare quella protezione fornita dalla
libertà d'espressione; bisogna infatti tener altresì conto di altri
importanti fattori, come ad esempio del rischio di confusione,
indicato dall’art. 5(1) della Direttiva 2008/95/CEE, del c.d. due
cause, previsto invece dall’art. 5(2), e di valutazioni concernenti
profili di proporzionalità delle quali, come vedremo più avanti, non
si potrà far a meno nel conferire una tutela alla libertà d’espressione
all’interno del diritto dei marchi, attraverso la qualificazione degli
usi suddetti come non-contraffativi, per le ragioni che vedremo.
La giurisprudenza delle corti europee, laddove lo ha qualificato
come uso del marchio, 1 0 3 si è mostrata propensa a considerare come
uso puramente non-commerciale un utilizzo non autorizzato del
marchio altrui per scopi critici. Questa tendenza traspare da diverse
decisioni che hanno appunto riguardato un utilizzo del marchio atto
a criticare i comportamenti del suo titolare. In due differenti casi
103Vedremo meglio in 3.4.1.2. come ad esempio la giurisprudenza tedesca, a differenza di quella
francese, non abbia, in diverse occasioni, considerato l’utilizzo del marchio altrui a fini critici
come uso del marchio, soprattutto quando esso è avvenuto attraverso Internet. V. ad esempio
Stoppesso.de, LG Hamburg, 10 giugno 2002; Oil-of-Elf.de, Kammergericht Berlin, 23 ottobre
2003; Gen-Milch, LG Koln, 24 maggio 2006; Bild der keine Meinung, OLG Hamburg, 1999;
Kampagne gegen die Jagd, OLG Koln, 10 marzo 2000. V. in merito W. SAKULIN, Trademark
Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights
and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 210.
145
accaduti in Francia (casi E$$O e Danone) le corti hanno, ad
esempio, constatato, nella critica dell'operato del titolare del
marchio attraverso siti web che si avvalevano dell'utilizzo del
marchio stesso, la mancanza di qualsiasi proposito commerciale da
parte
dei
fautori
della
campagna
di
protesta. 1 0 4
Questo
ha
sicuramente influito nella ricomprensione dell'utilizzo del marchio
nell'alveo della protezione conferita dalla libertà d'espressione, in
quanto considerato come non-contraffattivo per mancanza del
requisito dell’uso nel corso del commercio e di una possibile
confusione nel pubblico. 1 0 5 Se però, come meglio vedremo nel corso
del nostro studio, la critica viene attuata in maniera oltremodo
denigratoria, anche qualora non venga rinvenuto alcun proposito
commerciale, la protezione conferita dalla libertà d'espressione non
potrà esser riconosciuta, come ad esempio è accaduto, sempre in
Francia, nel caso Areva, almeno, come vedremo, fino al giudizio
della Corte di Cassazione . 1 0 6
104Le corti francesi negli ultimi anni sono state a chiamate a discutere diversi casi di critica
dell'operato del marchio compiuta attraverso l'utilizzo del marchio stesso; le più famose sono
gli affaires Danone ed E$$O. In entrambi l'uso compiuto del marchio da parte delle
associazioni promotrici della campagna di protesta venne definito al di fuori del commercio.
Nel primo, alcuni dipendenti della famosa azienda francese di latticini avevano dato vita ad un
sito web (jeboycottedanone.org) in cui contestavano la politica di licenziamenti condotta
dall'azienda. Questo uso venne definito non commerciale e, come vedremo più avanti, coperto
dalla libertà d'espressione; v. Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour
d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003 “Les signes jeboycottedanone.net et
jeboycottedanone.com ne visent manifestement pas à promouvoir la commercialisation de
produits ou de services, concurrents de ceux des sociétés intimées, en faveur de l’association
RESEAU VOLTAIRE et de Olivier MALNUIT mais relève au contraire d’un usage purement
polémique étranger à la vie des affaires.” Nel caso Esso la famosa compagnia petrolifera
contestò l'uso compiuto dalla associazione ambientalista Greenpeace del suo logo in un sito
web (STOPE$$O.org) in cui venivano denunciate i danni all'ambiente e alla salute dovuti a
certe pratiche della Esso. Anche in questo caso la corte optò per un uso non commerciale da
parte di Greenpeace; v. S.A. Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris,
Arrêt del 16 novembre 2005 “puisque les références faites aux deux marques, mêmes
renommées, dont elle est titulaire, ne visent manifestement pas à promouvoir la
commercialisation de produits ou de services, concurrents de ceux de la société appelante, au
profit de l’association Greenpeace France mais relève d’un usage purement polémique à la vie
des affaires et à la compétition entre entreprises commerciales.” V. anche Comité national
contre les maladies respiratoires et la tuberculose (CNMTR) v. Société JT International GmbH,
Cour de Cassation, Arrêt del 19 ottobre 2006; Grosses Mordoro Poker Bundesgerichtshof , 17
aprile 1984, in GRUR 1984.
105 Approfondiremo queste cause, insieme ad Areva in 3.4.1.1.
106Nella caso Areva (la società che in Francia ha il controllo monopolistico dell'energia atomica)
146
E' interessante notare come le Corti europee siano favorevoli a
qualificare come non-commerciale un uso a scopi critici del
marchio, non dando rilevanza a eventuali attività di fund-raising,
pur presenti se ad esempio pensiamo ad organizzazioni quali
Greenpeace o alla presenza di link a siti a carattere altresì
commerciale, a differenza, come abbiamo avuto modo di vedere, di
quanto compiuto in alcuni casi dalla giurisprudenza statunitense.
All'interno della giurisprudenza europea sono poi rinvenibili casi in
cui,
sebbene
commerciale,
l'utilizzo
questo
del
non
marchio
venga
abbia
carattere
considerato
come
in
parte
un
mero
agganciamento finalizzato allo sfruttamento della notorietà del
marchio
altrui
né
un
elemento
preponderante
rispetto
a
considerazioni di altra natura.
Un esempio in questo senso è rinvenibile nella giurisprudenza
italiana. Nel recente caso Deutsche Grammophon Gmbh v. Hukapan
S.p.a., l'utilizzo parodistico del noto logo Deutsche Grammophon ,
sostituito, mediante la medesima grafia, con la dicitura Gattini,
sulla copertina di un disco della band Elio e le Storie Tese , nota per
la sue canzoni di carattere beffardo e satireggiante, pur essendo per
Greenpeace aveva utilizzato di questa società associandolo al disegno di un teschio e di un
pesce morto ed al motto «Arrêt de soi» (fine della corsa); il TGI rilevò sì la natura non
commerciale dell'operazione, ma ha altresì sottolineò, che l'uso fatto del marchio AREVA è
puramente denigratorio; v. Sté AREVA v. Association Greenpeace France, Association
Greenpeace New Zealand et SA Internet FR, Tribunal de Grande Instance de Paris, 9 luglio
2004 "Attendu que que par ailleurs les associations GREENPEACE n'ont pas vocation à
promouvoir des produits et services de substitution à l'énergie nucléaire et ne proposent aucun
produit ou service aux particuliers de sorte que le consommateur ne peut être tenté de se
détourner de la marque AREVA par l'effet de leur campagne; qu'ainsi et en l'état d'un différend
étranger à la vie des affaires et à la compétition entre entreprises commerciales, l'article L.
713-3 du Code de la propriété intellectuelle n'est pas davantage applicable. […] Attendu que
l'équation "AREVA = mort" procède donc d'une démarche purement dénigrante qui engage la
responsabilité de leurs auteurs.” Questa decisione venne poi confermata in appello (v.
Greenpeace France v. Spcea, Cour d’Appel de Paris, 17 novembre 2006) ma ribaltata dai
giudici della Cour de Cassation (v. Greenpeace France v. Spcea, Cour de Cassation, 8 aprile
2008). E’ da notare però come il marchio Areva non sia stato considerato come marchio famoso
e quindi, per quel che riguarda il diritto dei marchi, le corti si siano riferite solamente all’art.
713-3 del Code de la Propriété Intellectuelle; le considerazioni riguardanti la proporzionalità
della critica, quindi, si sono svolte al di fuori del diritto dei marchi, ma presentano comunque
profili di interesse. Approfondiremo comunque questo caso in 3.4.1.1.
147
sua natura commerciale non è stato vietato in quanto non presentava
quegli
aspetti
precedente
con
di
la
agganciamento
finalità
di
alla
notorietà
addivenire
ad
del
un
marchio
vantaggio
economico. 1 0 7 Il tribunale di Milano non ha quindi considerato
siffatto uso come costituente una fattispecie di free-riding.
Un caso recente e di grande interesse, che analizzeremo più a fondo
nel corso della nostra trattazione, ma a cui è altresì doveroso
accennare in questa sede è il caso Plesner, un'artista danese autrice
di
una
serie
di
opere
intitolate
Simple
living
denotate
dall'accostamento di un bambino in evidente stato di denutrizione a
delle borsette del celebre brand Luis Vuitton . L'artista danese,
chiamata in causa dalla Luis Vuitton , per violazione dei suoi diritti
di proprietà intellettuale derivanti dall’uso di un design registrato,
dopo un lungo iter processuale, 1 0 8 venne però assolta dalla corte di
Den Haag, in quanto, pur se le sue opere erano offerte al pubblico in
vendita ed utilizzate in un'attività di merchandise attraverso posters
e magliette, la corte affermò che "under preliminary judgment it is
plausible that Plesner's intention is not (or was not) to free ride
with Luis Vuitton's reputation in a commercial sense." 1 0 9
Un altro caso nel quale, anche in presenza di un uso non autorizzato
e in parte commerciale del marchio, venne comunque negata la
107V. Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony
Music- Entertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in IDI, 2010, 214 ss. e
Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5466 "Tuttavia, risulta del tutto evidente dall'uso in concreto
effettuato che la similitudine strutturale e percettiva tra i due elementi grafici in questione sia
stata perseguita da Hukapan non per determinare confusione nei potenziali acquirenti o per
agganciarsi alla notorietà del segno della ricorrente sfruttandola commercialmente, bensì
quale ironica citazione del celeberrimo marchio D.G. con finalità parodistiche (tipiche della
cifra stilistica degli EELST).” V. anche il commento di C. Manfredi alla sentenza in ibid. IDI,
2010, pag. 218-220 "Nonostante la similitudine dei segni (peraltro evidente a parere di chi
scrive, soprattutto ad un esame visivo comparativo delle due etichette), è parso poco probabile
al Giudice della cautela che un gruppo già noto, la cui musica è notoriamente di tipo ironicoparodistico possa aver pensato di sfruttare la notorietà dell'etichetta della Deutsche
Grammophon per trarne un vantaggio commerciale.”
108Di esso ci occuperemo in 3.4.2.2.
109Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di Den Hague, 4 maggio 2011.
148
violazione dei diritti del suo titolare è il caso Lila-Postkarte . Il
caratteristico
colore
lilla
utilizzato
nell'incartamento
della
cioccolata prodotta dalla nota azienda Milka venne utilizzato, in
Germania, come tonalità cromatica in alcune cartoline. Oltre a ciò
all'interno delle suddette cartoline veniva riportata la versione
satirica di una poesia di Goethe, unitamente alla raffigurazione di
una
mucca,
animale
presente
altresì
nell'incartamento
della
cioccolata prodotta dalla Milka, e alla firma Rainer Maria Milka in
cui, con un gioco di parole, veniva associato il nome del famoso
poeta tedesco R.M. Rilke al marchio suddetto. Pur se le cartoline
erano poste in vendita, il Bundesgerichtshof affermò che l'uso del
marchio
Milka,
chiaramente
richiamato
attraverso
le
suddette
modalità, non si poteva definire puramente commerciale, in quanto
giustificato dalla libertà d'espressione artistica e per questa ragione
non considerabile come tale. 11 0
Passando sul versante statunitense, fermi restando i rilievi compiuti
nei paragrafi precedenti, concernenti la tendenza di alcune corti
americane all'ampliamento della nozione di commercial use, tanto
da costituire una minaccia alla libertà d'espressione, dobbiamo però
evidenziare come questi orientamenti non siano seguiti in maniera
uniforme da tutta la giurisprudenza d'oltreoceano.
110V. Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e in IIC, 2007, 119 ss. V.
in merito A. RAHMATIAN, Trade Marks and Human Rights, in P.L.C. TORREMANS, Intellectual
Property and Human Rights, supra nota 18, pag. 349 “The Supreme Court held that the use of
the colour lilac is trade mark use, and the marketing of the postcard does make use of the
reputation of the claimant's trade mark, since a parody relies on the fact that the public are
able to associate it with the well-known mark. However, there is still no infringement because
the defendant could invoke the constitutional right to freedom of the arts (a specific version of
freedom of expression). The postcard is a satirical artistic engagement with the claimant's
trade mark. Where trade marks are not used in a derogatory way or in an exclusively
commercial context, the right of the freedom of arts prevails.” V. anche BIRD&BIRD, Brands
Update, a Periodical Update on Developments in European and Asian Brand Law & Practice,
2006, pag. 1-2 “The Court held that "freedom of art" superseded the rights of Milka because
(1) the postcard did not damage the reputation of Milka's trade marks and (2) the use of the
signs was not purely commercial. The mere fact that the producer of the postcards had a
commercial interest in selling the cards was not considered sufficient to lead to an unfair use.”
149
Nel caso Northland Insurance Cos. v. Blaylock , ad esempio, la
creazione da parte di quest'ultimo di un sito web, attraverso l'uso
del marchio Northland (www.northlandinsurance.com ), finalizzato
alla critica dell'omonima compagnia di assicurazioni, non venne
ritenuto un uso commerciale del marchio suddetto, 111 in contrasto
quindi con quanto statuito in Jews for Jesus v. Brodsky, Planned
Parenthood 11 2 e OBH Inc. v. Spotlight che abbiamo esaminato in
precedenza.
Un altro caso in contrasto con le tre succitate sentenze è Ford
Motor Co. v. 2600 Enterprises, nel quale la parte resistente aveva
registrato il dominio Internet www.fuckgeneralmotors.com corredato
da un link che rimandava al sito web della FORD, celebre casa
automobilistica. La Corte Distrettuale del Michigan ritenne l'uso
compiuto dalla 2600 Enterprises assolutamente non commerciale in
quanto non si proponeva né di vendere beni, né, data la natura
parodistica più che critica del sito, di danneggiare economicamente
la FORD. 11 3 Nella stessa sentenza, inoltre, la corte diede vita ad
111V. Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25
settembre 2000 "In this case, defendant does not appear to be situated to benefit financially or
commercially from the existence of this web site, which appears to be solely intended to
capture the attention of insurance consumers to share defendant’s commercial commentary and
critics"; v. anche e Bally Total Fitness Holding Corp. v. Faber, U.S. District Court, California,
29 F. Supp. 2D, 23 novembre 1998. V. per la dottrina D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution,
Federal, State and International Law, supra nota 94, pag. 337-338.
112Riguardo al danno riportato al ricorrente, la corte distrettuale del Minnesota afferma che,
mentre in Planned Parenthood ciò era stato dimostrato, non altrettanto era stato fatto in
Northland Insurance v. Blaylock; v. Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court,
Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25 settembre 2000 “In addition, there was evidence in the record
to demonstrate that Internet users were being diverted from visiting Planned Parenthood’s web
site. Id., at *4. Based on that evidence, the court determined that defendant’s actions were
commercially harming plaintiff. Id. at *4('one witness explained ‘we didn’t resume the search
[for plaintiff’s web site] after finding defendant’s’). Here, the court cannot make similar
conclusions based upon the limited record.”
113V. Ford Motor Co. v. 2600 Enterprises, U.S. District Court, Michigan, 177 F. Supp. 2D, 20
dicembre 2001 “In this case, no allegation has been made that Defendants are providing any
goods or services for sale under the FORD mark or that they solicit funds as did the defendant
in Planned Parenthood. […] First, the facts of this case are distinguishable from both Planned
Parenthood and Jews for Jesus, in which the defendants had appropriated domain names that
incorporated the plaintiffs’ trademarks. Here, the domain name registered by Defendants-“fuckgeneralmotors.com”--does not incorporate any of Ford’s marks. Rather, Defendants only
use of the word 'ford' is in its programming code, which does no more than create a hyperlink--
150
un'aspra critica all'orientamento palesatosi in Planned Parenthood ,
Jews for Jesus e OBH, che faceva rientrare all'interno della
categoria di uso commerciale qualsiasi uso che potesse danneggiare
economicamente il titolare del marchio. 11 4
Un'altra sentenza molto importante in questo senso è Mattel v. MCA
Records; come abbiamo già accennato in precedenza, essa riguarda
la parodia compiuta dalla band musicale Aqua della nota bambola
Barbie. La corte, guidata dal giudice Kozinski, autore, tra l'altro,
come abbiamo avuto modo di vedere, della dissenting opinion nel
caso San Francisco Arts & Athletics, Inc. v. United States Olympic
Committee, affermò che l'uso compiuto dalla band danese del
marchio Barbie non doveva esser considerato come puramente
commerciale. Questo in quanto la canzone dava vita ad una parodia
della celeberrima bambola e quindi, avendo scopi non solamente
economici, ma altresì artistici e parodistici, l'uso compiuto del
marchio Barbie non poteva definirsi tale; per queste ragioni il 9 t h
albeit automatic--to Plaintiff’s “ford.com” site. The court is unpersuaded that this use of the
FORD mark in any way hampers Plaintiff’s commercial success in an unlawful manner.” Per la
dottrina v. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra
nota 94, pag. 338.
114La Corte, nella stessa sentenza, compie una critica di Planned Parenthood, Jews for Jesus e
OBH e lancia un esplicito appello alla libertà di espressione, di critica e del web contro il
preteso potere delle multinazionali di censurare qualsiasi contenuto 'scomodo'; v. ibid. “This
court does not believe that Congress intended the FTDA to be used by trademark holders as a
tool for eliminating Internet links that, in the trademark holder’s subjective view, somehow
disparage its trademark. Trademark law does not permit Plaintiff to enjoin persons from
linking to its homepage simply because it does not like the domain name or other content of the
linking web-page. Second, the implication in Planned Parenthood and Jews for Jesus that the
'commercial use' requirement is satisfied any time unauthorized use of a protected mark
hinders the mark owner’s ability to establish a presence on the Internet or otherwise
disparages the mark owner is flawed. Indeed, many uses by persons other than the trademark
holder are expressly placed outside the scope of the FTDA […] While arguably neither news
reporting, competitive advertising, parody, nor criticism is at issue in this case, and although
Defendants’ use of the term “art” hardly seems apropos, the court is satisfied that Defendants’
use of the word 'ford' in their programming code is, at least, 'noncommercial.' Their use thus is
not actionable under the FTDA. If the FTDA’s 'commercial use' requirement is to have any
meaning, it cannot be interpreted so broadly as to include any use that might disparage or
otherwise commercially harm the mark owner.” V. anche Lockheed Martin Corp. v. Network
Solutions Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 193 F.3d 980, 25 ottobre 1999.
151
Circuit applicò l'eccezione di non commercialità, nonostante il gran
successo in termini di vendite registrato dalla suddetta canzone. 115
Un ultimo caso molto interessante sotto il profilo della noncommercialità e del totale superamento degli orientamenti delle
succitate Planned Parenthood , Jews for Jesus e OBH è poi il caso
Smith v. Wal-Mart Stores , Inc: 11 6 in esso un semplice cittadino, Mr.
Smith, per esprimere il suo disgusto nei confronti della grande
distribuzione, simboleggiata negli Stati Uniti dal marchio Wal-Mart,
diede vita ad un sito web all'interno del quale associava il logo WalMart
all'Olocausto
( www.walocaust.com);
non
curante
della
“minaccia” rappresentata dalla cease and desist letter, prontamente
inviatagli dalla Wal-Mart, diede vita ad altri slogan incorporanti il
succitato marchio (come ad es. Walqaeda, Freedom-Haters Always ,
Freedom Haters Mart ), oltre che ad iniziative di merchandise,
riportando i suddetti slogans su t-shirts e adesivi acquistabili dal
115Mattel v. MCA Records, US Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F.3d 894, 24 luglio 2002
“Barbie Girl is not purely commercial speech, and is therefore fully protected. To be sure, MCA
used Barbie's name to sell copies of the song. However, as we've already observed, see pp.
901-02 supra, the song also lampoons the Barbie image and comments humorously on the
cultural values Aqua claims she represents. Use of the Barbie mark in the song Barbie Girl
therefore falls within the noncommercial use exemption to the FTDA. For precisely the same
reasons, use of the mark in the song's title is also exempted”. Nella stessa sentenza vi è altresì
un richiamo a Hoffman v. Capital Cities/ABC Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9 th Circuit,
255 F.3d 1180, 6 luglio 2001 in cui si afferma che “the core notion of commercial speech is
that it does no more than propose a commercial transaction.” La letteratura in merito a Mattel
v. MCA Records è ampia: v. anche C.J. BROWN, A Parody of a Distinction: the Ninth Circuit’s
Conflicted Differentiation Between Parody and Satire, supra nota 56, pag.721 ss.; S.L.
BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, TMR, 2008, pag. 1213-1214;
S.M. CORDERO, Cocaine-Cola, the Velvet Elvis, and Anti-Barbie: Defending the Trademark and
Publicity Rights to Cultural Icons, supra nota 6 cap. I, pag. 636-639 (in cui viene compiuta
un'analisi di tutte le cause che hanno coinvolto la famosa bambola della Mattel); B.P. KELLER,
R. TUSHNET, Even More Parodic than the Real: Parody Lawsuits Revisited, supra nota 52, pag.
1005-1009; D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra
nota 52, pag. 329-330; R. SCHAFFER-GOLDMAN, Cease and Desist: Tarnishment Blunt's Sword in
its Battle against the Unseemly, the Unwholesome, and the Unsavory supra nota 70, pag. 12691271; M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the
Trademark Estate: an Update, supra nota 174 cap. I, pag. 575-579. Negli anno seguenti la
linea indicata dal giudice Kozinski in questa causa fu seguita da diverse corti; v. ad es.
Lucasfilm Ltd. v. Media Market Group, Ltd., District Court, N.D. California, 182 F. Supp. 2D
897, 22 gennaio 2002 (riguardante la parodia del film Star Wars, attraverso Starballz); Smith v.
Wal-Mart Stores, Inc., U.S. District Court, N.D. Georgia, 475 F. Supp. 2d., 20 marzo 2008.
116 Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2d 1302, 20 marzo 2008.
152
suo sito Internet. Lui stesso promosse inoltre una causa contro la
Wal-Mart per difendere il suo diritto di critica. La corte distrettuale
della Georgia affermò che l'utilizzo compiuto da Mr. Smith era da
considerarsi del tutto parodistico 11 7 e, come tale, non-commerciale,
in quanto, come affermato in Bolger v. Youngs Drug Prods e
riportato dalla corte “parody is a form of noncommercial expression
if it does more than propose a commercial transaction .” 11 8
Come dunque possiamo notare le ultime sentenze che abbiamo
analizzato scavano un ampio solco rispetto a quanto affermato in
Planned Parenthood, Jews for Jesus e OBH; 11 9 in Smith v. Wal-Mart,
infatti, persino qualora vi sia un chiaro sfruttamento commerciale
della
parodia,
l'utilizzo
del
marchio
è
stato
definito
non-
commerciale. 1 2 0 In una prospettiva comparativistica è necessario
117V. ibid. "He invented the term 'Walocaust' to encapsulate his feelings about Wal-Mart, and he
created his Walocaust designs with the intent of calling attention to his beliefs and his cause.
He never expected to have any exclusive rights to the word. He created the term 'Wal-Qaeda'
and designs incorporating it with similar expressive intent. The Court has found those designs
to be successful parodies."
118V. ibid., Bolger v. Youngs Drug Products, U.S. Supreme Court, 463 U.S. 60, 4 giugno 1983.
Per la dottrina v. S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota
115, pag. 1249 "The court noted that Smith’s sale of merchandise featuring his designs did not
automatically make his speech commercial. 'At least one court of appeals has specifically
addressed whether a social advocate selling t-shirts that carried the group’s social message
was engaging in noncommercial speech, despite the fact that the group sold the t-shirts to the
public for profit' and found that the shirts were analogous to 'the sandwich boards that union
pickets sometimes wear.' Therefore, the shirts were 'a medium of expression prima facie
protected by the free-speech clause of the First Amendment, and they do not lose their
protection by being sold rather than given away.” Richiamandoci alla differenza di vedute tra
Hofrichter e Beebe (v. supra nota 76) si può affermare come, nell'ottica di questa causa, sia il
secondo che abbia pronosticato l'esatta soluzione di una causa, poi verificatasi realmente, di
critica/parodia del marchio Wal-Mart, mentre le preoccupazioni di Hofrichter, si sono, almeno
in questo caso, rivelate infondate.
119Come fa notare McGeveran in W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra nota 38,
pag. 59 “In general, the results of reported cases involving expressive uses (as defined above)
have stabilized in the last decade and now favor the expressive uses most of the time. A number
of infamous decisions against expressive uses that critics occasionally cite are outdated and
might well come out differently under more recent doctrine.”
120V. Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2D 1302, 20 marzo 2008
“Thus, Smith’s parodic work is considered noncommercial speech and therefore not subject to
Wal-Mart’s trademark dilution claims, despite the fact that Smith sold the designs to the public
on t-shirts and other novelty merchandise.” V. per la dottrina S.L. BURSTEIN, Dilution by
Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag. 1249.
153
sottolineare che, a differenza, ad esempio, dei casi Areva, 1 2 1
Deutsche
Pest 1 2 2
Nutella, 1 2 3
nei
quali
a
critiche
oltremodo
denigratorie o a parodie di dubbio gusto, non era stata accordata la
protezione fornita dalla libertà d'espressione, in Smith v. Wal-Mart,
nonostante associazioni in parte discutibili, esagerate e denigratorie
del marchio Wal-Mart all'Olocausto e ad Al-Quaeda, è stata
concessa l'eccezione, contenuta nel TDRA, prevista appunto per gli
usi non commerciali. 1 2 4
2.3. TUTELA DEL MARCHIO NOTORIO E LIBERTÀ
D'ESPRESSIONE
Nei
precedenti
paragrafi
abbiamo
avuto
modo
di
analizzare
l'importanza della commercialità e, specularmente, della noncommercialità nelle sue diverse sfumature, come fattori attraverso i
quali viene compiuto il bilanciamento tra libertà d'espressione e
prerogative del titolare del marchio, sia per quanto riguarda i
marchi notori, sia per quel che riguarda quelli non dotati di questa
caratteristica, in quanto l’uso nel corso del commercio è richiesto
anche per quel che riguarda utilizzi non autorizzati del marchio che
121Greenpeace v. SPCEA (Areva), Cour d'appel de Paris, 17 novembre 2006.
122Deutsche Pest, LG Hamburg, 27 ottobre 1999, in GRUR 2000. Il caso riguarda l'apposizione
della frase Deutsche Pest su alcuni camion di un'impresa di costruzione; nell'intenzione degli
autori costituiva una parodizzazione della società postale tedesca Deutsche Post. V. in merito
C. ROHKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and
Freedom of Expression, supra nota 49, pag. 152; E. BAUD, The Damage Done, the Altered,
Unauthorised Use of Third Parties Trademarks in France, Germany and the UK, Trademark
World, 2005, pag. 32.
123Nutella, Cour d'Appel de Paris, 7 maggio 2004; il caso riguarda l'utilizzazione del marchio
Nutella da parte di uno speaker radiofonico in un programma radio francese, in cui, in un
contesto umosristico associva tale marchio alla pedofilia; il TGI, in primo grado, aveva accolto
la difesa del resistente affermando che questo uso non era atto a danneggiare il marchio
detenuto dalla Ferrero; la sentenza venne ribaltata in appello. V. in merito G. TRIET, Interim
Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone
Litigation, in in J. PHILLIPS, Trade Marks at the Limit, supra nota 231 cap. I, pag. 169; M.
BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J.
MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN, Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté
d'Expression, supra nota 49, pag. 127.
124 S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag. 1247 ss.
154
possano determinare un rischio di confusione. Abbiamo poi visto
come
un
uso
del
marchio
notorio
caratterizzato
da
finalità
puramente commerciali possa dar vita alla fattispecie di free riding,
concretizzante un indebito vantaggio tratto dalla capacità distintiva
o dalla notorietà del marchio. Si è altresì messo in luce come i
suddetti parametri non siano però gli unici ad esser presi in
considerazione
dalle
corti
qualora
si
trovino
a
ricercare
un
equilibrio tra questi diritti.
Come abbiamo visto nel corso del primo capitolo nel corso degli
anni l’evoluzione legislativa ha conferito una tutela più ampia a
quei marchi c.d. notori, 1 2 5 ai quali viene conferita una protezione
che va al di là della somiglianza o identità dei segni e dei prodotti o
servizi su cui sono apposti e quindi oltre il rischio di confusione
(che pur rimane azionabile). Se dunque per il marchio non notorio,
tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, la protezione contro degli
usi non autorizzati vi è solamente nel caso si concretizzi un rischio
di confusione, 1 2 6 al marchio notorio viene fornita una tutela anche
nei confronti di usi che ne possano danneggiare capacità distintiva o
reputazione e, per quel che riguarda l’Europa, possano determinare,
come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, un ingiusto vantaggio.
Al di là quindi della commercialità, nel ricomprendere gli utilizzi
non
autorizzati
del
marchio
altrui
all’interno
della
libertà
d’espressione, un ruolo fondamentale è quindi giocato da altri
fattori quali, ad esempio, l' interesse sociale, la proporzionalità della
critica o della parodia e, fenomeno in parte già analizzato,
l'indebito
vantaggio
eventualmente
tratto
dall'utilizzatore
non
autorizzato, che, qualora si materializzi, dà vita al fenomeno del
c.d. free-riding . Se questi elementi, nella giurisprudenza europea,
vengono compresi nel c.d. due cause e nella categoria dell'unfair
125 V. 1.2.3.3.
126 Per un approfondimento sul tema si rimanda a 1.2.3.2.
155
advantage ,
entrambe
contenute
nell'art.
5(2)
della
Direttiva
2008/95/CE dedicato al marchio notorio, in quella statunitense,
invece, una categoria molto importante, come in parte abbiamo visto
nel I capitolo, è quella del fair use, la quale però non è la sola,
come vedremo, ad esser tenuta in considerazione nel bilanciamento
dei suddetti interessi e nelle esenzioni di responsabilità previste
dall'art. 1125(3) del Lanham Act.
Dedicheremo quindi i prossimi due paragrafi all'analisi di questi
importanti fattori al fine di completare le basi ermeneutiche
attraverso le quali, nel III capitolo, tenteremo di comprendere il
bilanciamento effettuato dalla giurisprudenza.
2.3.1. Due cause, interesse sociale e free-riding
Come abbiamo analizzato nel corso del primo capitolo, l'art. 5(2)
della Direttiva 2008/95/CEE afferma, riguardo al marchio notorio,
che gli stati membri della CEE sono liberi di adottare misure a
protezione delle prerogative del suo titolare, qualora terzi ne
compiano un uso immotivato che determini un indebito vantaggio
per questi ultimi, ottenuto attraverso il carattere distintivo o la
notorietà del marchio anteriore, o cagioni, a questi, un pregiudizio.
Abbiamo altresì evidenziato come la categoria del due cause non sia
stata ancora dovutamente analizzata dalla giurisprudenza delle corti
europee, se non in poche sentenze in cui si è affermata la
sussistenza di un giustificato motivo qualora la parte resistente,
nell'utilizzo del marchio famoso, stia esercitando un proprio diritto
ed, in qualche modo, si trovi costretta ad utilizzarlo. 1 2 7
127V. Lucas Bols v. Colgate-Palmolive, Corte di Giustizia del Benelux, 1976, in IIC 1976;
Premier Brands UK Ltd v. Typhoon Europe Ltd, UK High Court, 21 gennaio 2000, in ETMR
156
Nella parte iniziale del presente capitolo abbiamo poi sottolineato
come la libertà d'espressione sia da intendersi tanto in senso attivo
(come libertà, dunque, di manifestare il proprio pensiero in varie
forme), quanto in un'ottica di tipo passivo (ossia nel diritto,
correlato, di poter ricevere queste manifestazioni di pensiero altrui
nelle forme, ad esempio, del pubblico dibattito).
Questa libertà d'espressione di tipo passivo è definibile come un
interesse sociale ad esser destinatari di idee, informazioni, punti di
vista; insomma un interesse ad esser spettatori del pubblico
dibattito. Ciò è a dir poco essenziale nel mondo di oggi, dove, in
una molteplicità di interessi in gioco, un'opinione il più possibile
aderente alla realtà dei fatti, posto che ad essa si possa aspirare, è
costituibile solo per mezzo del confronto tra le diverse voci che, in
una società che sulla pretesa di un'effettiva democrazia delle idee,
imprescindibile elemento della relativa forma di stato, ha basato
l'idea della propria superiorità culturale, è essenziale elemento. La
stessa Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha più volte ribadito il
forte interesse pubblico e sociale al pluralismo, 1 2 8 sia in relazione al
mondo dei media, 1 2 9 che hanno il compito di cani da guardia di
libertà e democrazia, 1 3 0 sia in relazione a singoli o gruppi, più o
2000; Souza Cruz v. Hollywood, OHIM Board of Appeal, 25 aprile 2001.
128L'importanza del pluralismo viene affermata dalla corte ad esempio in Handyside v. United
Kingdom, Corte Europea dei Diritti Umani, 7 dicembre 1976 “Freedom of expression
constitutes one of the essential foundations of such a society, one of the basic conditions for its
progress and for the development of every man. Subject to paragraph 2 of Article 10 (art. 102), it is applicable not only to "information" or "ideas" that are favourably received or
regarded as inoffensive or as a matter of indifference, but also to those that offend, shock or
disturb the State or any sector of the population. Such are the demands of that pluralism,
tolerance and broadmindedness without which there is no 'democratic society'.”
129L'importanza dei media, per quel che riguarda l'informazione, viene riconosciuta dalla Corte
così come il diritto del pubblico di ricevere le informazioni; v. The Sunday Times v. United
Kingdom, Corte Europea dei Diritti Umani, 26 novembre 1991 “Not only does the press have
the task of imparting such information and ideas: the public also has a right to receive them.”
130V. Dalban v. Romania, Corte Europea dei Diritti Umani, 28114/95, 28 settembre 1999 “In
cases such as the present one, the national margin of appreciation is circumscribed by the
interest of democratic society in enabling the press to exercise its essential role of “public
watchdog” and to impart information of serious public concern. It would be unacceptable for
a journalist to be debarred from expressing critical value judgments unless he or she could
prove their truth.“ V. anche Bergens Tindende v. Norway, Corte europea dei Diritti Umani, 2
157
meno nutriti, che conducano attività di informazione o protesta, 1 3 1
fenomeno quest'ultimo, in forte crescita attraverso lo sviluppo del
web.
Il suddetto interesse sociale, dunque, data la sua importanza, può e
deve esser fatto rientrare in quello che l'art. 5(2) della Direttiva
indica come due cause; ciò anche nell'ottica del rispetto dei
paramentri stabiliti in Premier Brands UK Ltd v. Typhoon Europe
Ltd e Lucas Bols v. Colgate-Palmolive, in quanto, chi utilizzi il
marchio altrui per fini di critica, parodia o satira sta esercitando un
proprio diritto, conferitogli dal principio della libertà d'espressione,
e, se ha intenzione di criticare o parodiare un determinato marchio,
non può far a meno di riferirvisi. 1 3 2 Affinché, però, questo uso possa
esser effettivamente coperto dalla libertà d'espressione e quindi
giustificato , è necessario che esso sia sostenuto da quell' interesse
sociale a cui sopra accennato e che si esplichi in modo tale da non
far acquisire al suo utilizzatore un vantaggio ingiusto. 1 3 3 L'interesse
maggio 2000 “In cases such as the present one, the national margin of appreciation is
circumscribed by the interests of a democratic society in enabling the press to exercise its vital
role of “public watchdog” by imparting information of serious public concern.”
131V. Steel&Morris v. United Kingdom, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 15 febbraio, 2005
“The Court considers, however, that in a democratic society even small and informal campaign
groups, such as London Greenpeace, must be able to carry on their activities effectively and
that there exists a strong public interest in enabling such groups and individuals outside the
mainstream to contribute to the public debate by disseminating information and ideas on
matters of general public interest such as health and the environment.” V. anche Vides
Aizsardzibas Klubs v. Lettonie, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, 27 maggio 2004 ”En tant
qu’organisation non gouvernementale spécialisée en la matière, la requérante a donc exercé
son rôle de «chien de garde» conféré par la loi sur la protection de l’environnement. Une telle
participation d’une association étant essentielle pour une société démocratique, la Cour
estime qu’elle est similaire au rôle de la presse tel que défini par sa jurisprudence constante
(paragraphe 40 b) ci-dessus). Par conséquent, pour mener sa tâche à bien, une association
doit pouvoir divulguer des faits de nature à intéresser le public, à leur donner une
appréciation et contribuer ainsi à la transparence des activités des autorités publiques.”
132V. ad es. Weckstrom a proposito di Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone in
K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the
Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, supra nota 17, pag. 686 “the
court noted that reference to the plaintiff’s mark was necessary to show the political or
polemical nature of the message.” In riferimento ai casi Danone ed E$$O v. anche G. TRIET,
Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone
litigation, supra nota 113, 164-165 "At every level, the courts have considered that reference to
the marks was necessary to inform internauts of the contents of the web pages."
133In una prospettiva rovesciata possiamo citare ad esempio quanto affermato da Sakulin in W.
158
sociale è dovuto da una serie di fattori, quali ad esempio l'interesse
a esser informati su temi sociali, ambientali oppure anche solamente
quello di esser destinatari di un’opera d’arte o un gioco di parole
che
argutamente
muova
all’ilarità.
La
determinazione
della
sussistenza dell' interesse sociale spetta, caso per caso, alla corte
chiamata a decidere ed il suo riconoscimento non è sempre così
scontato.
Come
vedremo
meglio
nel
III
capitolo,
questo
riconoscimento passa attraverso un'analisi di proporzionalità della
critica, della parodia o della satira rispetto agli scopi che vuole
raggiungere e, appunto, al supposto interesse del pubblico ad
esserne destinatario.
Come vedremo il parametro dell’interesse sociale è importante sia
all’interno
del
diritto
dei
marchi,
in
quanto
componente
fondamentale del due cause, sia all’esterno di esso, nei casi in cui le
corti si sono trovate a dover decidere su di una diffamazione del
marchio in base al principio di responsabilità aquiliana, come nei
casi suddetti.
Per quanto invece riguarda i casi di parodia del marchio, che il più
delle
volte
si
accompagnano,
altresì,
ad
operazioni
di
tipo
commerciale, se il suddetto interesse sociale è stato riconosciuto, ad
esempio, nel caso Lila-Postkarte o Plesner, per mezzo della sua
qualificazione
come
forma
artistica, 1 3 4
o
nel
caso
Deutsche
Grammophon , in quanto è stato riconosciuta una mera parodia,
caratteristica, altresì, dello stile di Elio e le Storie Tese , ciò non è,
SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 268 “The balance may tip in favour of trademark rights, when the expression, in
which the trademark use takes place, is commercial and serves no public interest what so
ever.”
134V. 2.2.3.
159
ad
esempio,
Nutella 1 3 7
e
avvenuto
in
Président. 1 3 8
Deutsche
E'
Pest, 1 3 5
interessante
poi
Porco
notare
Diesel , 1 3 6
come
il
riconoscimento della genuina natura della parodia, e quindi del
correlato interesse sociale ad esserne destinatari, può arrivare anche
a prevalere sulla sussistenza di un interesse commerciale; 1 3 9 ad
esempio in Lila-Postkarte, pur se le cartoline in cui si richiamava al
marchio Milka, erano poste in vendita, la corte affermò che non si
trattasse di un uso puramente commerciale, in quanto, laddove
venga riconosciuta la genuinità della parodia come forma d'arte,
l'uso del marchio non può esser definito tale. 1 4 0 Al contrario, in
Punt.nl, anche se la parodia di Nijntje non era compiuta a fini
commerciali, essendo stata qualificata dalla Corte come gratuita e
denigratoria, venne, per questi motivi, fatta oggetto di divieto. 1 4 1
135Deutsche Pest, LG Hamburg, 27 ottobre 1999, in GRUR 2000.
136Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo
2006, in IDI, 2007, 149 ss.
137Nutella, Cour d'Appel de Paris, 7 maggio 2004.
138Président, Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 ottobre 1996.
139Sakulin chiama quegli usi che combinano elementi artistici e commerciali mixed expression;
nel bilanciamento che le corti devono eseguire tra diritti del titolare del marchio e libertà
d'espressione egli, oltre al pubblico interesse, individua poi come criteri che devono esser usati
dalla corte l'intento dell'utilizzatore, la funzione dei contenuti e il fatto che il marchio sia usato
come indicatore d'origine; in questo bilanciamento, affinché si l'utilizzatore non autorizzato
possa usufruire del c.d. due cause è necessario però che la corte riconosca primariamente un
interesse pubblico sottostante; v. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of
Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of
Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 269 “In sum, if the expression
contains elements that are of public interest, Article 10 ECHR requires of courts to make an
adequate distinction between purely commercial expression and mixed expression. In such an
assessment, courts should take into account at least the following factors: (1) the intensity of
the public interest as opposed to the commerciality, (2) whether the use has taken place in an
editorial manner, i.e. in the contents of a commercial (news) publication or film (3) whether
the trademark has been used in a source-identifying manner, (4) the intent of the speaker. […]
Under Article 5.2. TMDir, the criteria of unfairness and due cause offer room for balancing,
but all depends, however, on courts being willing to recognise and protect the public interest
elements in mixed expression.”
140V. Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e in IIC, 2007, 119 ss.; a
riguardo v. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the
Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra
nota 28 cap. I, pag. 267 “In the Lila Postkarte case, the BGH decided that the artistic freedom
under Article 5.3 GG of a third party using a trademark use on a humorous postcard must
prevail over possible free-riding if the expression is not following purely commercial aims. It
held that the viewers will be able to recognise that the particular message is humorous and
critical.”
141 V. Mercier v. Punt.nl., Corte di Amsterdam, 22 dicembre 2009.
160
Le valutazioni a cui le corti sono chiamate nello stabilire la
sussistenza di un interesse sociale presentano profili di evidente
difficoltà;
plausibile
qualora
che
però
dall'uso
questo
del
venga
marchio
riconosciuto,
discenda
un
diventa
danno
alla
reputazione dello stesso o al suo carattere distintivo, 1 4 2 a patto che
l'uso non sia meramente denigratorio, il che farebbe venir meno lo
stesso interesse sociale ; non può esser infatti qualificato tale
l'ascolto, da parte del pubblico di gratuite offese. Allo stesso modo
è possibile che la notorietà del marchio o il suo carattere distintivo
comportino, per il suo utilizzatore, un vantaggio; 1 4 3 qualora, però,
questo sia giustificato dall'interesse del pubblico a fruire di una
forma d'arte, che sfrutta sì, anche a fini commerciali, il marchio, ma
che non ne costituisce, in termini di sfruttamento ed agganciamento,
il fine principale, allora questo vantaggio non si porrà al di fuori
della
legge. Al
contrario,
nel
caso
in
cui
agganciamento
e
sfruttamento costituiscano il fine principale dell'operazione si
configura quel fenomeno, a cui abbiamo già accennato nel corso
142 L'art. Art. 5(2) della Direttiva 2008/95/CEE afferma infatti che solo in assenza di un
giustificato motivo il danno alla reputazione o al carattere distintivo del marchio è qualificabile
come violazione dei diritti del suo titolare; come abbiamo visto, ad esempio, nei casi STOP-E$
$0, Jeboycottedanone, stopesso.de, in presenza di un due case dovuto all'interesse sociale a
ricevere informazioni, l'utilizzo non autorizzato del marchio non può esser definito al di fuori
della legge. V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into
the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law,
supra nota 28, pag. 282-283 “Criticism, comment, art and parody that involve trademarks may
often harm the distinctive character or repute of those trademarks. In the case of a boycott, it
may even be the very intention to cause economic harm. Critical expression and calls for
boycott may however be permissible forms of expression and Article 10 ECHR grants
heightened protection even to expression that shocks, offends, or disturbs. Moreover, it grants
speakers a large freedom to criticise, to exaggerate and to chose means of expression that
communicate messages in the most effective form, meaning the fact that harm is caused to the
distinctive character or repute of a trademark cannot be the decisive factor in prohibiting third
party trademark use in non-commercial expression or mixed expression. Rather, the particular
expression needs to be balanced against the interests of the trademark right holder.”
143L'art. Art. 5(2) della Direttiva 2008/95/CEE afferma che solo in assenza di un giustificato
motivo il vantaggio tratto dal carattere distintivo o dalla reputazione del marchio altrui può
esser definito come violazione dei diritti del suo titolare; v. ad esempio Nadia Plesner Joensen
v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di Den Hague, 4 maggio 2011 (anche se, come vedremo
questo caso ha riguardato l’utilizzo non-autorizzato di un design registrato); Lila Postkarte,
Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e inIIC, 2007, 119 ss.
161
della nostra trattazione, del
free-riding. 1 4 4 Ciò in quanto, in
mancanza del riconoscimento di una qualche forma d'arte o della
genuinità della parodia o della satira del marchio, il suo utilizzatore
non
autorizzato
conseguirebbe
un
vantaggio,
tale
da
potersi
qualificare indebito (unfair), proprio per la mancanza della suddetta
caratterizzazione del suo uso. La fattispecie del free-riding è da
considerasi una violazione dei diritti del titolare del marchio,
venendosi a realizzare, in mancanza di un giustificato motivo , la
prima
delle
situazioni
previste
dall'art.
5(2)
della
Direttiva
2008/95/CEE. Per queste ragioni, dunque, siffatto utilizzo viene
sanzionato dalla legge.
2.3.2. Fair use e tassonomia delle eccezioni.
Abbiamo avuto modo di analizzare, nei paragrafi precedenti, come il
sistema americano si differenzi da quello europeo per il fatto che le
esenzioni di responsabilità per chi compia usi diluitivi del marchio
altrui vengano chiaramente tipizzate all'interno del Lanham Act
all'art. 1125(3). A prima vista, quindi, viene lasciato alle corti uno
spazio interpretativo più ristretto nell'effettuare il bilanciamento tra
libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio, in
quanto, attraverso l'indicazione delle suddette esenzioni, viene in
qualche modo internalizzato, nel diritto dei marchi, il principio
della libertà d'espressione. In questo modo le corti dovrebbero esser
in parte sollevate dal gravoso compito di operare una mediazione
144Casi evidenti di free-riding che abbiamo analizzato nel corso del presente capitolo sono ad
esempio Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib.
Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c.
G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss.; GRH c.
Newton Compton editori, Trib. Roma, 23 giugno 2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375.;
ADIHASH, gives you speed, OLG Hamburg, 5 settembre 1991, in GRUR 1992; Président,
Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 ottobre 1996.
162
libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio, in
quanto questo bilanciamento viene in parte compiuto dalla legge
stessa. Nonostante ciò costituisse l'obbiettivo degli estensori del
FTDA (e poi del TDRA), non sempre l'interpretazione data dalle
corti ha rispecchiato le intenzioni del legislatore, come abbiamo
osservato in alcuni dei casi analizzati in precedenza. 1 4 5
In un'analisi della tassonomia delle esenzioni proposta dall'art.
1125(3) possiamo, in primo luogo, notare come venga dato risalto
alla categoria del c.d. fair use; 1 4 6 si afferma dunque una generale
esclusione di responsabilità per chi compia un utilizzo onesto del
marchio altrui nella pubblicità comparativa e, caso che a noi
interessa più da vicino, nell'“identifying and parodying, criticizing,
or commenting upon the famous mark owner or the goods or
services of the famous mark owner.” 1 4 7 Viene dunque riconosciuta in
questa
sede
un'esplicita
esenzione
per
quanto
riguarda
la
145Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998;
Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997;
OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 28 febbraio
2000; abbiamo già approfondito questi casi in 2.2.2.
146Il principio del fair use nasce per il diritto d'autore ed è previsto dall'art. 117 del Copyright Act
che afferma “Notwithstanding the provisions of sections 106 and 106A, the fair use of a
copyrighted work, including such use by reproduction in copies or phonorecords or by any
other means specified by that section, for purposes such as criticism, comment, news reporting,
teaching (including multiple copies for classroom use), scholarship, or research, is not an
infringement of copyright. In determining whether the use made of a work in any particular
case is a fair use the factors to be considered shall include—(1) the purpose and character of
the use, including whether such use is of a commercial nature or is for non profit educational
purposes;(2) the nature of the copyrighted work; (3) the amount and substantiality of the
portion used in relation to the copyrighted work as a whole; and(4) the effect of the use upon
the potential market for or value of the copyrighted work. The fact that a work is unpublished
shall not itself bar a finding of fair use if such finding is made upon consideration of all the
above factors.” Questo principio, che difende in modo ampio la libertà d'espressione all'interno
del diritto d'autore non è però in toto importabile all'interno del diritto dei marchi in quanto
esso è considerato un animale diverso rispetto al diritto d'autore; v. W. MCGEVERAN, Rethinking
Trademark Fair Use, supra nota 38, pag. 121 “Nevertheless, trademark is a different animal,
and the lessons of copyright may not be fully transferable. For starters, copyrights vest
automatically upon creation, but a trademark is granted based on fact-specific circumstances
and public perception. The scope of the initial right also differs tremendously: at least as a
prima facie matter, copyrights prohibit virtually any form of use, while only uses likely to
confuse (or, now,dilute) violate trademark law. Because of these dissimilarities, the existence of
trademark rights is far more contingent on factual circumstances.”
147Lanham Act, art. 1125(3)(A)(ii).
163
parodizzazione e la critica del marchio e dei prodotti da esso
contrassegnati. Ciò deve però avvenire nei limiti di un uso che
possa definirsi fair e la questione ruota quindi attorno a quali
utilizzi possano definirsi come tali. La stessa norma include,
all'interno della categoria del fair use il c.d. descriptive fair use ed
il nominative fair use. Queste due tipologie di uso onesto sono già
state esaminate nel corso del I capitolo. 1 4 8 La categoria del fair use
è andata però espandendosi, attraverso il TDRA, ben oltre il
nominative e il descriptive fair use, intendendo appunto, come uso
onesto anche la parodia e la critica del marchio. 1 4 9 L'esenzione di
responsabilità dovuta dal fair use può però esser riconosciuta
solamente se l'utilizzazione del marchio famoso non avvenga in
funzione di una designation of source. Di questa novità, introdotta
dal TDRA, abbiamo già accennato in precedenza, 1 5 0 evidenziando il
fatto che la legislazione statunitense non fornisca alcuna chiara
indicazione di cosa si debba intendere per designation of source,
fattore che però si rivela molto importante per stabilire se un
determinato utilizzo del marchio possa godere dell'esenzione di
responsabilità in forza di un fair use. Un altro punto non chiaro di
questa prima parte della norma è poi cosa si intenda per nominative
fair use; se, come abbiamo visto, questo concetto viene introdotto
dal giudice Kozinski in The New Kids on the Block v. News Am.
Publ'g Inc., dove viene creato un apposito test 1 5 1 affinché un
148V. 1.3.
149V. B.N. LOVEJOY, Tarnishing the Dilution by Tarnishment Cause of Action: Starbucks Corp. v.
Wolfe's Borough Coffee, Inc. and V. Secret Catalogue Inc. v. Moseley, Compared, Berkeley
technology Law Journal, 2011, pag. 631-632 “Further, unlike the FTDA, the TDRA explicitly
specifies that various nominative fair uses are not actionable under the statute. The TDRA
specifically shields comparative advertising, parodies, all forms of news reporting and news
commentary, and any other noncommercial use of a mark from liability for dilution.” V. anche
S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag. 12411242 “the TDRA significantly broadens the fair use exemption as compared to the FTDA […]
the TDRA explicitly exempts a broad range of fair uses, from nominative fair uses to parodies.”
150V. 2.2.1.2.
151V. 1.3. Il test indicato dal 9th Circuit in The New Kids on the Block v. News Am. Publ'g Inc.
viene poi utilizzato e in parte modificato dallo stesso 9 th Circuit in decisioni successive: v., ad
esempio, Playboy Enters., Inc. v. Welles, U.S. Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 279 F.3d
164
determinato uso possa definirsi come nominative fair use, è altresì
vero che, nel corso degli anni, circuiti diversi dal 9 t h Circuit, hanno
utilizzato dei test di tipo diverso. 1 5 2 La domanda posta dalla dottrina
è quindi cosa si intenda per nominative fair use. Come vedremo non
si tratta dell'unico appunto da essa compiuto al TDRA.
Il punto (B) dell'art. 1125(3), che si riferisce all'esenzione di
responsabilità per chi utilizzi il marchio in funzione di “ news
reporting and news commentary” non presenta particolari difficoltà
interpretative, 1 5 3 al contrario, invece, del punto (C) del medesimo
articolo,
nel
quale
viene
esplicitamente
sollevato
da
ogni
responsabilità chi utilizzi il marchio altrui per fini non commerciali.
796, 1 febbraio 2002; Mattel, Inc. v. Walking Mountain Prods., U.S. Federal Court of Appeals,
9th Circuit, 353 F.3d 792, 2003.
152V. Century 21 Real Estate Corp. v. Lendingtree, Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 3rd
Circuit, 425 F.3d 211, 11 ottobre 2005 “Few other courts have spoken on the precise issue of
how nominative fair use is successfully invoked. Indeed, it seems that only the Second, Fifth,
and Sixth Circuits have referenced the nominative fair use defense by name and even on these
occasions have done so only to refer to what district courts had done with the issue or to
decline to adopt the Ninth Circuit's test as a whole.” Nella stessa sentenza il 3rd Circuit
propone altresì un suo test per provare il nominative fair use; v. ibid. “In so doing, we conclude
that the test [quello del 9th Circuit, n.d.r.]as written suffers from a lack of clarity. This is evident
in the contortions that the Ninth Circuit Court of Appeals itself has gone through in applying it,
the confusion that the District Court here encountered in its application, and in our conviction
that a modified inquiry would aid in reaching the right result. We will adjust the test to include
a slightly different set of considerations:1. Is the use of plaintiff's mark necessary to describe
(1) plaintiff's product or service and (2) defendant's product or service? 2. Is only so much of
the plaintiff's mark used as is necessary to describe plaintiff's products or services.”; v. anche
S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag. 12431244 “While the Ninth Circuit’s formulation has had influence on rulings in other circuits, the
Ninth Circuit’s test is not universally accepted. […] The Third Circuit has adopted its own twostep approach for dealing with questions of nominative fair use, inspired by, but not strictly
following, the Ninth Circuit. As of 2005, the Seventh Circuit 'has not ruled on the applicability
of the nominative fair use defense, nor the standards by which a claim of nominative fair use
should be evaluated.' As of February 2007, the First Circuit had not yet 'decided whether to
endorse the Ninth Circuit’s test for nominative fair uses,' but noted that it had previously
'recognized the underlying principle.' So while the TDRA now officially recognizes a defense of
nominative fair use, it is not clear how courts will analyze and apply the defense in TDRA
tarnishment cases.” V. anche W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra nota 38,
pag. 89 “The Third and Fifth Circuits, and some district courts, also have deployed various
forms of nominative fair use doctrine. The First and Sixth Circuits, in contrast, explicitly
declined opportunities to adopt the test.”
153V. S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, 2008, supra nota 115,
pag. 1250 “This exemption seems to be fairly self-explanatory and noncontroversial.The TDRA
places no restrictions on the use of a trademark in the context of news reporting or
commentary.”
165
Il problema che viene posto dalla dottrina e dalla giurisprudenza è
però cosa si debba intendere per
abbiamo
analizzato
nei
paragrafi
non-commercial use. Come
precedenti, 1 5 4
difatti,
la
giurisprudenza americana è stata ondivaga nella definizione di uso
commerciale e non commerciale , come traspare d'altronde dal
confronto che abbiamo compiuto tra le diverse decisioni prese dalle
corti in merito. 1 5 5 Per questo McGeveran , ad esempio, ha proposto
alcune modifiche legislative, in modo tale da introdurvi una chiara
definizione di uso non-commerciale e non lasciare che questo
importante aspetto possa venire interpretato liberamente dalle
corti. 1 5 6
L'incertezza riguardo alle interpretazioni che possono esser fornite
dalle corti dell'art. 1125(3), infatti, rischia di incidere gravemente
sulla libertà d'espressione. 1 5 7 Si deve infatti considerare, come
accennato
in
precedenza,
che,
la
maggior
parte
delle
cause
154V. 2.2.2., 2.2.3., 2.2.1.2.
155V. il raffronto compiuto nel corso dei paragrafi precedenti tra Planned Parenthood, Jews for
Jesus e OBH, da una parte, e Northland Insurance, Ford Motor e Wal Mart dall'altra su cosa si
debba intendere per uso commerciale del marchio. Nelle prime infatti viene indicato come uso
commerciale anche un semplice link ad un sito con intenti; commerciale viene inoltre definito
ogni uso del marchio che possa danneggiare economicamente il suo titolare; questo
orientamento viene ribaltato da Northland Insurance, Ford Motors e Wal-Mart, fino ad arrivare
a Mattel v. Mca Records dove viene definito non commerciale l'utilizzo del marchio Barbie in
una nota canzone del gruppo pop Aqua; di ciò si è già discusso in 2.2.2., 2.2.3., 2.2.1.2.
156V. W. MC GEVERAN, The Trademark Fair Use Reform Act, Boston University Law Review,
2010, pag. 2299-2321.
157V. W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark Fair Use, supra nota 38, pag. 111 “The more serious
impact emerges earlier, before any suit is filed, when the chilling effect occurs. Imagine an
average person—not a lawyer—who is contemplating an unlicensed expressive use of a
trademark and understandably worries about liability. The person asks an attorney for advice.
The bottom line of the response should be that courts usually favor expressive uses. But, it will
need to be accompanied by a lengthy memo, full of caveats, which cites in the alternative to a
series of amorphous precedents, warns that those cases are all fact-specific, and predicts that
litigation may be protracted. This response might not inspire great confidence.” Hofrichter
pone l'accento sulla necessità di trovare una definizione di designation of source per evitare un
chilling effect sulla libertà d'espressione; v. J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand
Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra
nota 48, pag. 1957 “Accepting the fact that phrases such as 'source' and 'origin' do, in fact,
present interpretational difficulties, it is important that an interpretation is crafted early on
that clearly demarcates what is actionable and what is protected speech. In this way, the
statute will have less of a restraining effect on protected speech whether in court or out of
court via 'chilling effects.'”
166
riguardanti il contrasto tra prerogative del titolare del marchio e
libertà
d'espressione,
vedono
come
parte
attrice
una
ricca
multinazionale e come resistente un singolo individuo, piccole
società o ONG. Se quest'ultima parte processuale non ha, in qualche
modo, la certezza riguardo all'esito del processo, potrebbe autoinibirsi nell'uso del marchio altrui, anche per fini protetti dalla
libertà d'espressione, in quanto spaventata da possibili e costose
conseguenze. Oppure, nel caso abbia già compiuto quest'uso, desista
dal continuarlo, una volta ricevuta la minaccia del titolare del
marchio sotto forma di una cease and desist letter, a cui abbiamo
già accennato in precedenza. 1 5 8 Per evitare questo chilling effect
sulla libertà d'espressione parte della dottrina, primo tra tutti
McGeveran, 1 5 9 suggerisce di sgombrare il campo da possibili
incertezze interpretative, così da infondere quel coraggio, in alcuni
casi mancante, a chi usi un marchio in funzione parodistica o critica
o si proponga di farlo. In questo modo i timori di una riduzione del
breathing space, riservato alla libertà d'espressione, verrebbero
fugati.
158V. 2.2.1.2.
159McGeveran propone diverse modifiche al TDRA, tra le quali l'eliminazione della dicitura
“designation of goods” (proposta appoggiata anche da Hofrichter in J.A. HOFRICHTER, Tool of
the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution
Revision Act 2006, supra nota 48, pag. 1957 “The best way to prevent the harms discussed in
this Note would be to altogether remove the “designation of source” exception to the fair use
exclusion.”) dall'art. 1125(3)(A), l'introduzione nel FTDA del cosiddetto safe harbor per la
libertà d'espressione dato dalla non commercialità così come definita dal giudice Kozinski in
Mattel v. Mca Records, una particolare protezione per i c.d. communicative works, per i loro
titoli e per la comunicazione politica; queste proposte sono contenute in W. MC GEVERAN, The
Trademark Fair Use Reform Act, supra nota 156, pag. 2299-2321.
167
2.4. GLI EFFETTI DELL'UTILIZZO PARODISTICO,
SATIRICO O CRITICO DEL MARCHIO – LA
DILUIZIONE.
Dopo aver analizzato i criteri attraverso i quali le corti, sia europee
che americane, compiono un bilanciamento tra libertà d'espressione
e prerogative del titolare del marchio, e prima di esaminare come, in
concreto, avvenga questa mediazione, tema che sarà oggetto del III
capitolo, si ritiene necessario approfondire gli effetti che un utilizzo
parodistico, satirico o critico del marchio notorio possono avere sul
medesimo.
A questi aspetti avevamo in parte già accennato nel corso del
capitolo I, 1 6 0 senza però compiere una approfondita analisi in
merito. Possiamo sin da subito notare come la normativa americana
e quella europea, pur distinguendosi per le forme utilizzate, siano
molto simili nei contenuti. Se la legislazione comunitaria non parla
né di dilution, né di blurring né tanto meno di tarnishment , al
contrario di quella americana, come vedremo nei prossimi paragrafi,
essa comprende al suo interno queste categorie.
Inizieremo il nostro esame partendo dall'analisi comparativistica
della fattispecie di diluizione. Questo concetto viene elaborato negli
Stati Uniti e introdotto a livello legislativo federale nel 1995, 1 6 1
attraverso il FTDA, che si propone di dar una protezione a livello
federale al marchio famoso, 1 6 2 al di là della fattispecie di confusione
che si stava, nel tempo, rivelando sempre più inadeguata allo scopo.
Il FTDA afferma dunque che diluizione è da intendersi come “the
160V.1.2.3.3.
161In realtà il concetto di dilution ha radici più risalenti nel tempo, essendo stato creato nel 1927
da F. Schechter e introdotto in varie legislazioni statali, prima tra le quali quella del
Massachusetts nel 1947
162Abbiamo già analizzato in 1.2.3.3. le caratteristiche che il marchio negli Stati Uniti deve avere
per esser considerabile come famoso.
168
lessening of the capacity of a famous mark to identify and
distinguish goods or services, regardless of the presence or absence
of (1) competition between the owner of the famous mark and other
parties, or (2) likelihood of confusion, mistake, or deception.” 1 6 3
Quindi, al di là di ogni possibilità di confusione, inganno o
concorrenzialità tra i marchi e i prodotti da essi contrassegnati, per
diluizione si intende la perdita o l'indebolimento di quella che,
come abbiamo visto nel primo capitolo, costituisce la funzione
essenziale del marchio, ossia la capacità distinguere prodotti o
servizi. 1 6 4 Questa definizione di diluizione diventerà superflua, e
verrà di conseguenza eliminata, con la riforma del FTDA, avvenuta
nel 2006, attraverso il TDRA, che porterà diverse modifiche al
concetto di diluizione e alla protezione del marchio famoso. Le
principali novità da esso introdotte e che più da vicino ci riguardano
sono: la diversa qualificazione di marchio famoso (di cui ci siamo
occupati nel I capitolo), la modificazione delle esenzioni di
responsabilità per gli utilizzatori non autorizzati del marchio (tema
affrontato nel paragrafo precedente), l'introduzione della possibilità
di adire al giudice in caso di likelihood of dilution e non solo di
actual dilution (tema che approfondiremo nel III capitolo), ed,
infine, la netta divisione tra blurring e tarnishment. Il FTDA infatti
accennava solamente alla fattispecie di blurring (“dilution of the
distinctive quality of the mark”),165 tacendo però su quella di
tarnishment . 1 6 6 Il TDRA, al contrario, parla sì di diluizione,
eliminandone però la definizione all'art. 1127, e divide nettamente
163FTDA, Lanham Act, art. 1127.
164La diluizione viene descritta dal Frank Schecheter, unanimemente considerato il creatore di
questa fattispecie, come “the gradual whittling away or dispersion of the identity and hold
upon the public mind of the mark or name by its use upon non-competing goods.” V. F.
SCHECHTER, The Rational Basis of Trademark Protection, Harvard Law Review, Harvard Law
Review, 1927.
165FTDA, Lanham Act, art. 1125(C).
166V. M. LAFRANCE, Steam, Shovels and Lipstick, Trademark, Greed and the Public Domain,
supra nota 68, pag. 456 “The FTDA does not separately defines blurring and tarnishment […]
in contrast to the state antidilution statutes, which typically are worded in such a way that they
clearly encompass both blurring and tarnishment, the FTDA is silent on tarnishment."
169
questa fattispecie in blurring e tarnishment , che saranno oggetto di
approfondimento nei paragrafi seguenti.
La normativa comunitaria, invece, come abbiamo accennato, non fa
esplicito riferimento a queste fattispecie attraverso l'utilizzo dei
termini
sopra
indicati.
In
essa,
all'art.
5(2)
della
Direttiva
2008/95/CEE, si parla di detrimental (danno) al marchio famoso,
specificando poi che questo può avvenire nei confronti della
reputazione del marchio (delineando, implicitamente, la fattispecie
indicata oltreoceano come
tarnishment) o della sua
capacità
distintiva (ciò che negli Stati Uniti è definito come blurring). Non
ci resta dunque che passare all'analisi di queste due fattispecie.
2.4.1. Blurring (Offuscamento)
Per blurring viene inteso, tanto in ambito europeo, quanto in quello
statunitense, un utilizzo del marchio che ne comporti un danno alla
sua capacità distintiva . In questo modo si esprimono sia l'art. 5(2)
della Direttiva 2008/95/CE che, pur non nominando esplicitamente
la fattispecie, parla di “ pregiudizio al carattere distintivo […] del
marchio”, sia l'art. 1125(2)(B) del Lanham Act, che definisce il
blurring come una “association arising from the similarity between
a mark or trade name and a famous mark that impairs the
distinctiveness of the famous mark.” Per danno alla capacità
distintiva del marchio viene intesa una sua diminuita attitudine ad
esser associato ai prodotti o ai servizi per i quali è stato registrato,
venendo così a pregiudicare quella che, come abbiamo visto in
170
precedenza, viene definita come funzione essenziale del marchio. 1 6 7
Questa perdita del legame tra marchio e prodotto o servizio deve
avvenire nella mente del pubblico di riferimento, il quale, pur non
confondendosi
sull'origine
dei
prodotti,
perviene
ad
un
affievolimento della capacità di associare il marchio anteriore ai
prodotti per i quali esso è stato registrato dal suo titolare,
determinando
altresì
un'attenuazione
del
selling
power
del
marchio. 1 6 8
167 La dottrina e la legislazione americana parla di blurring in quanto l'uso fatto dal terzo non
autorizzato blurs, offusca, il legame tra il marchio e i prodotti del suo titolare; v. B. BEEBE, A
Defense of the New Federal Trademark Antidilution Law, supra nota 76, pag. 1148 “The idea
underlying the concept of blurring is that the defendant’s use of a mark similar or identical to
the plaintiff’s mark will “blur” the link between the plaintiff’s mark and the goods or services
to which the plaintiff’s mark is traditionally attached.” Ciò, richiamandoci all'analisi compiuta
in 1.2.1., altro non fa che aumentare il c.d. search cost per il consumatore, come emerge
dall'analisi compiuta da Posner in Ty Inc. v. Perryman, U.S. Federal Court of Appeals, 7th
Circuit, 306 F.3d 509, 4 ottobre. 2002 “There is concern that consumer search costs will rise if
a trademark becomes associated with a variety of unrelated products. Suppose an upscale
restaurant calls itself "Tiffany." There is little danger that the consuming public will think it's
dealing with a branch of the Tiffany jewelry store if it patronizes this restaurant. But when
consumers next see the name 'Tiffany' they may think about both the restaurant and the jewelry
store, and if so the efficacy of the name as an identifier of the store will be diminished.
Consumers will have to think harder — incur as it were a higher imagination cost — to
recognize the name as the name of the store So "blurring" is one form of dilution.” V. anche
J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech, Problems with the
Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48, pag. 1933-1934. Per quel che riguarda la
giurisprudenza comunitaria in merito v. Intel Corp. Inc. v. CPM United Kingdom Ltd., Corte di
Giustizia Europea, C-252/07, 27 novembre 2008, para. 29 “as regards, in particular, detriment
to the distinctive character of the earlier mark, also referred to as ‘dilution’, ‘whittling away’
or ‘blurring’, such detriment is caused when that mark’s ability to identify the goods or
services for which it is registered and used as coming from the proprietor of that mark is
weakened, since use of the later mark leads to dispersion of the identity and hold upon the
public mind of the earlier mark. That is notably the case when the earlier mark, which used to
arouse immediate association with the goods and services for which it is registered, is no
longer capable of doing so.” V. anche ibid., para. 76; v. anche le Conclusioni dell'avvocato
generale F.G. Jacobs in Adidas v. Fitnessworld, Corte di Giustizia Europea, C-408-01, 10 luglio
2003, para. 37 “L'essenza della diluizione, in questo senso classico, consiste nello
smussamento della qualità distintiva del marchio, di modo che esso non risulta più in grado di
suscitare un'immediata associazione mentale con i beni per i quali è stato registrato ed
utilizzato.”
168V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45 cap. I, pag. 361 che cita Mead Data
Central, Inc. v. Toyota Motor Sales, U.S.A., Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 875
F.2d 1026, 1989 “Blurring involves 'the whittling away of an established trade-mark's selling
power and value through its unauthorized use by others upon dissimilar products.'”
171
A differenza della normativa comunitaria quella statunitense indica
altresì i fattori che devono esser valutati dalle corti nel decidere il
concretarsi o meno di questa fattispecie; questi fattori sono:
“(i) The degree of similarity between the mark or trade name and
the
famous
mark.
(ii)
The
degree
of
inherent
or
acquired
distinctiveness of the famous mark. (iii) The extent to which the
owner of the famous mark is engaging in substantially exclusive use
of the mark. (iv) The degree of recognition of the famous mark.
(v)Whether the user of the mark or trade name intended to create an
association with the famous mark. (v) Any actual association
between the mark or trade name and the famous mark.” 1 6 9
Questi parametri sono in un rapporto di interdipendenza tra di loro,
ed altresì non-esclusivi : ad una maggior distintività o fama del
marchio, ad esempio, può corrispondere un più basso grado di
somiglianza tra il marchio e il segno utilizzato dal c.d. junior user e
viceversa. 1 7 0 Viene poi data molta rilevanza all'intento del junior
user
nel
creare
un'associazione
(c.d.
predatory
intent) 1 7 1
e
all'associazione stessa che ne deriva. Anche qualora non tutti i
parametri indicati siano soddisfatti, è però possibile il concretarsi di
questa fattispecie. 1 7 2 La previsione di questo test da parte del TDRA
ha spazzato via quelle incertezze dovute ai diversi tipi di tests
adottati in precedenza dalle corti americane. 1 7 3
169Lanham Act, art. 1125(c)(2)(B).
170V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94,
pag. 82 “However, a distinctive but relatively weak mark seems to require a far greater degree
of similarity, and elicits a more exacting scrutiny of the dilution claim.”
171V. ibid. pag. 85 “Predatory intent refers to the defendant's desire to trade on the reputation or
goodwill of the plaintiff's mark. If the second user intends to trade on the goodwill of the first
user, one may infer, in the absence of contrary evidence, that the attempt was successful.”
172V. S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45, pag. 365 “Like other multifactor tests in
trademark law, the six TDRA factors for dilution by blurring are discretionary and
nonexclusive.”
173Prima del TDRA, mancando nel FDTA un'indicazione dei parametri per stabilire la sussistenza
172
La
normativa
comunitaria,
invece,
non
fornisce
esplicite
delucidazioni per quel che riguarda determinati fattori o parametri
che devono esser tenuti in considerazione dalle corti nello stabilire
quando ricorra la fattispecie di blurring , lasciando alle corti una
facoltà
di
interpretazione
giurisprudenza
attraverso
i
riferimento,
comunitaria
quali
più
ha
statuire
possa
ampia.
elaborato
se,
instaurarsi
nella
quel
Ciononostante
una
mente
nesso
lista
di
la
fattori
del
pubblico
di
che
permetta
il
configurarsi tanto di un pregiudizio al carattere distintivo del
marchio anteriore quanto di un indebito vantaggio per il junior user.
Questi fattori, elaborati dalla Corte di Giustizia Europea, sono:
“- il grado di somiglianza tra i marchi in conflitto;
- la natura dei prodotti o dei servizi per i quali i marchi in conflitto
sono rispettivamente registrati, compreso il grado di prossimità o di
dissomiglianza di
tali
prodotti
o
servizi
nonché
il
pubblico
interessato;
- il livello di notorietà del marchio anteriore
- la distintività, intrinseca o acquisita grazie all’uso, del marchio
anteriore;
-
l’esistenza
di
un
rischio
di
confusione
nella
mente
del
pubblico.” 1 7 4
di una fattispecie di blurring, vi era diversi tipi di tests applicati dalle corti, elaborati dalle
stesse in alcune sentenze; possiamo ad esempio citare il Mead Data test (Mead Data Central v,
Inc. v. Toyota Motor Sales, U.S.A., Inc, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit 875 F.2d
1026, 18 maggio 1989), il Nabisco test (Nabisco, Inc. v. PF Brands, Inc., U.S. Federal Court of
Appeals, 2nd Circuit, 191 F.3d 208, 26 ottobre 1999), il Eli Lilly test (Eli Lilly & Co. v. Natural
Answers Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 7th Circuit, 233 F.3d 456, 21 novembre 2000); per
un loro approfondimento v. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and
International Law, supra nota 94, pag. 246-257.
174Intel Corp. Inc. v. CPM United Kingdom Ltd., Corte di Giustizia Europea, C- 252/07, 27
novembre 2008, para. 42. In merito v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra
nota 1 cap. I, pag. 886.
173
Affinché sia provato il pregiudizio, o il rischio di un pregiudizio,
alla distintività del marchio anteriore si richiede
dimostrati
una
modifica
del
comportamento
“che siano
economico
del
consumatore medio dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio
anteriore è registrato dovuta all’uso del marchio posteriore o un
rischio serio che una tale modifica si produca in futuro.” 1 7 5
Il blurring può esser sì una delle conseguenze di un uso parodistico,
satirico
o
critico
del
marchio,
in
quanto
nella
mente
del
consumatore un determinato segno non evocherà più solamente i
prodotti per i quali esso è stato registrato come marchio ma altresì
le risultanze di un siffatto uso. Ciononostante, come vedremo nel
paragrafo che segue, la conseguenza che meglio pare addirsi ad un
utilizzo parodistico, satirico o critico del marchio è il c.d.
tarnishmen t
che,
in
alcuni
casi,
è
altresì
combinato
ad
un
danneggiamento del carattere distintivo del marchio . 1 7 6
2.4.2.Tarnishment (Annacquamento).
La fattispecie che più da vicino riguarda l'argomento della nostra
trattazione è quella di tarnishment . La normativa europea, pur non
nominando esplicitamente questa fattispecie, parla di “danno alla
175Ibid. para. 77.
176V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota ?94,
pag. 96 “Many cases involve parodies of trademarks, which would be ineffective if they caused
a lessening of source identification. The real issue in such cases is a combination of loss of
control on the mark's message, and a fear that the good reputation associated with the mark
will be harmed by tarnishing use.” V. ad esempio Moseley v. Victoria's Secret Catalogue v.
Moseley, U.S. Federal Court of Appeals, 6 th Circuit, 19 maggio 2010; Mattel v. MCA Records,
US Federal Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F.3d 894, 24 luglio 2002; Eastman-Kodak Co. v.
Rakow, U.S. District Court, New York, 739 F.Supp. 116, 2 agosto 1989; Louis Vuitton
Malletier S.A. v. Haute Diggity Dog, U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 464 F. Supp. 2d
495, 13 novembre 2007.
174
reputazione del marchio”, 1 7 7 mentre quella statunitense la descrive
come una “ association arising from the similarity between a mark
or trade name and a famous mark that harms the reputation of the
famous mark.” 1 7 8
Il tarnishment consiste dunque in un'associazione che si viene a
creare nella mente del consumatore che svilisce la reputazione del
marchio;
è
quindi
da
considerare
come
un
sottoinsieme
del
blurring 1 7 9 in quanto, oltre a indebolire l'originario legame tra
marchio e prodotti per i quali è stato registrato, danneggia
quell' aura che anni di marketing hanno contribuito a creare intorno
al marchio. Al pari del blurring, poi, può comportare una riduzione
del selling power del marchio. 1 8 0
Questo danno alla reputazione del marchio può avvenire in vari
modi, che, come vedremo, in alcuni casi possono lambire molto da
vicino i confini tra prerogative del titolare del marchio e libertà
d'espressione.
Il primo tipo di danneggiamento alla reputazione del marchio può
delinearsi attraverso l'associazione del marchio a prodotti di bassa
qualità o totalmente diversi rispetto a quelli commercializzati dal
suo titolare e che in qualche modo, date le loro caratteristiche
intrinseche, possano creare un detrimento all'immagine del marchio
nella mente dei consumatori. 1 8 1 Un ottimo esempio sul versante
177Direttiva 2008/95/CE, art. 5(2).
178Lanham Act, art. 1127(C)(2)(c).
179V. B.A. JACOBS, Trademark Dilution on the Constitutional Edge, Columbia Law Review, 2004,
pag. 169 “But tarnishment may better be understood as a subset of blurring: If blurring occurs
when consumers mentally associate two marks, then cases where consumers negatively
associate two marks, traditionally termed tarnishment, are included in blurring.” V. anche Ty
Inc. v. Perryman, U.S. Federal Court of Appeals, 7 th Circuit, 306 F.3d 509, 4 ottobre 2002 “So
'tarnishment' is a second form of dilution. Analytically it is a subset of blurring, since it
reduces the distinctness of the trademark as a signifier of the trademarked product or service.”
180V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94,
pag. 258 “This [tarnishment n.d.r.] may reduce the mark's selling power among consumers,
diminishing its value as marketing tool.”
181V. ibid., pag. 109 “A second form of tarnishment occurs when the junior user produces an
175
europeo è fornito dai casi MARS e NIVEA, che, come accennato in
precedenza, hanno riguardato l'accostamento dei due celebri marchi
registrati rispettivamente per dolciumi e creme cosmetiche a
profilattici. 1 8 2 La medesima ratio è stata poi applicata nel caso
Souza Cruz v. Hollywood, in cui il resistente utilizzava il marchio
Hollywood ,
precedentemente
contrassegnare
il
suo
registrato
prodotto,
ossia
per
delle
chewing-gum,
sigarette.
per
Questo
accostamento venne ritenuto dal Board of Appeal dell' OHIM come
inferior (even if non-competing) product, engendering a risk that the consumers associate the
senior user with the poor quality. This can occur even in the absence of confusion.” S.W.
HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property Law:
Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45 cap. I, pag. 366 “Association with goods or
services of inferior quality is another category that cover a wide range of possible cases.” R.E.
SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights, Patents and Trademark,
supra nota 4 cap. I, pag. 716 “There is some authority that tarnishment can be established
when a defendant uses plaintiff's mark in shoddy, low quality, or perhaps even dangerous
goods.” S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115, pag.
1237-1240. Per quanto riguarda la dottrina europea v. L. BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual
Property Law, supra nota 1 cap. I, pag. 887 “The first is where the proposed use on the
applicant's goods would reflect badly on the opponent's reputation. This would be the case
where the mark is used on ineffective goods, but there might equally be damage to reputation
where there is some other negative association with goods or as it is sometimes called,
'antagonism' between goods.”
182V. Markenverunglimpfung/Mars, Bundesgerichtshof, 10 febbraio 1994, in GRUR 1994 e in IIC
1995 “If marks, whose reputation was established by the plaintiff only in connection with
confectionery, in particular a candy-bar, and which marks have great advertising value for
these goods, are used- as on the part of the defendant- for labelling of contraceptive wrappers,
then this circumstance alone suffices to impair their advertising power in regard to the original
goods and, moreover, to ruin their positive image at least as far as part of the public is
concerned […] for their purpose, contraceptives evoke certain associations (sexual relations,
AIDS prevention, etc.), which significant portions of the addressed public would certainly
rather do without when it comes to buying candy, and with which reputable candy
manufacturers, in particular, rightfully do not wish to e identified because, as a rule,
contraceptives do not appear to promote the sale or image of their products.” V. in proposito E.
GREDLEY, S. MANIATIS, Parody: A Fatal Attraction? Part 2: Trade Mark Parodies,supra nota 89,
pag. 417-418; J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 cap. I, pag. 384.
Un caso simile, sempre riguardante l'uso parodistico di un marchio famoso (quello della crema
Nivea in questo caso) per la vendita di preservativi è Markenverunglimpfung II/Nivea,
Bundesgerichtshof, 19 ottobre 1994, in GRUR 1995; v. anche C A Sheimer (M) Sdn Bhd's
application, opposition by Visa InternationalService Association, UK Trade Mark Registry,
1999, ETMR, riguardo al rifiuto di registrazione del marchio VISA per profilattici in quanto a
detrimento del corrispondente marchio registrato per carte di credito. Sempre a proposito di
preservativi è poi da sottolineare come in un altro caso (Oasis Stores Ltd's appliocation;
opposition of Ever Ready plc, UK Trade Mark Registry, 1999, ETMR) l'utilizzo del segno
EVEREADY per contrassegnare preservativi non venne considerata come danneggiante
l'immagine del marchio anteriore EVER READY registrato per batterie; v. J. PHILLIPS, Trade
Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 cap. I, pag. 386.
176
danneggiante l'immagine del marchio del ricorrente. 1 8 3 A questo
riguardo, sul versante americano, possiamo citare ad esempio
l'associazione tra la nota marca di gioielli Tiffany ed un ristorante di
Boston che usava il medesimo nome. 1 8 4 Un altro caso
in qualche
modo simile è poi Diane Von Furstenberg Studio v. Snyder, in cui la
parte resistente aveva utilizzato il marchio DVF per contrassegnare
abiti di qualità molto assai inferiore rispetto a quelli della
ricorrente; la corte, oltre a rilevare una likelihood of confusion ,
affermò altresì che l'uso compiuto da Snyder era tale da danneggiare
la reputazione del marchio DVF. 1 8 5
183V. Souza Cruz v. Hollywood, OHIM Board of Appeal, 25 aprile 2001, para. 95 “Therefore the
negative connotation conveyed by tobacco contrasts strikingly with the ‘HOLLYWOOD’ trade
mark’s image. No worse association can be imagined for a confectionery manufacturer than
one with products capable of causing death. Use of the ‘HOLLYWOOD’ trade mark in
correlation with tobacco products would produce a regrettable association with the health
risks and other negative feelings.” V. J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra
nota 32 cap. I, pag. 385-386. Un altro accostamento che è stato ritenuto danneggiare
l'immagine del marchio è quello tra il marchio detenuto dalla casa automobilistica AUDI e l'uso
che ne è stato fatto per apparecchi acustici AUDI-MED; v. Audio Medical Devices Ltd's
application; opposition of Audi AG, UK Trade Mark Registry, 1999. In Francia possiamo poi
rilevare il caso Hilton International v. Raclet, Tribunal de Grande Instance de Paris, 1999,
riguardo alla registrazione del marchio Hilton, precedentemente registrato per alberghi, per
alcolici.
184Tiffany & Co. v. Boston Club, Inc., U.S. District Court, Massachusetts, 213 F. Supp. 836, 1964;
v. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94,
pag. 109-110.
185Diane Von Furstenberg Studio v. Snyder, U.S. District Court, Eastern Virginia, 10 settembre
2007 “The Plaintiff in this case argues that the DVF mark has been diluted by tarnishment,
which "generally arises when the plaintiff's trademark is linked to products of shoddy quality,
or is portrayed in an unwholesome or unsavory context likely to evoke unflattering thoughts
about the owner's product.'[...] This Court finds that there is no dispute that Defendants used
the identical DVF mark on the inferior-quality dresses they sold, and that such act was likely
to cause dilution of the DVF mark.” V. a proposito S.L. BURNSTEIN, Dilution by Tarnishment,
the New Case of Action, supra nota 115, pag. 1237-1238 “With little analysis and no reference
to the statute, the court simply states that because the fake DVF dresses were of poor quality,
tarnishment is present.” Con riguardo a questa causa Burnstein richiama però altresì
l'inopportunità del richiamo alla categoria del tarnishment in questo caso; v. ibid. “The theory
of dilution by tarnishment should not apply to similar marks on copied products—if it did, it
would simply repeat the anti-counterfeiting provisions of the Lanham Act.” V. anche DanFoam A/S v. Brand Named Beds, LLC, U.S. District Court, Southern New York, 500 F. Supp.
2d 286, 2007 riguardo alla vendita in-autorizzata da parte del resistente di materassi
contrassegnati dal marchio del ricorrente in confezioni più piccole, per risparmiare sui costi di
trasporto, che inficiavano la qualità del materasso stesso; a riguardo v. S.L. BURNSTEIN, Dilution
by Tarnishment, the New Case of Action, Trad. Reporter, 2008, supra nota 115, pag. 1238-1239
e S.W. HALPERN, C.A. NARD, K.L. PORT, Fundamentals of United States Intellectual Property
Law: Copyright, Patent, Trademark, supra nota 45 cap. I, pag. 366.
177
L'altra tipologia di tarnishment, che è poi quella che più da vicino
riguarda il tema del nostro studio, deriva dall'utilizzo parodistico,
satirico o critico del marchio, capace, per sua stessa natura, di
danneggiare l'immagine del marchio. Una prima tipologia di utilizzo
parodistico o satirico del marchio, che più volte si è riscontrata,
concerne l'accostamento del marchio a condotte malsane, disdicevoli
o capaci di scuotere la morale pubblica. 1 8 6
Per quanto riguarda il Vecchio Continente possiamo riscontrare casi
in cui è avvenuta la giustapposizione di un marchio al consumo di
droghe come, ad esempio, in AGIP-ACID 1 8 7 e ADIHASH; 1 8 8 altre
volte (v. PORCO DIESEL) 1 8 9 il marchio ha visto danneggiata la sua
reputazione per l'accostamento a temi vagamente blasfemi, mentre
in altri casi ciò si è verificato attraverso l'accostamento a temi
scabrosi come la pedofilia (v. il caso Nutella) 1 9 0 o il sesso. 1 9 1 Ciò è
senza dubbio avvenuto anche negli Stati Uniti a partire dal famoso
caso Coca-Cola v. Gemini Rising 1 9 2 riguardante la vendita di posters
con la scritta Enjoy-Cocaine combinata al logo della celebre
bevanda, coinvolta altresì nel caso Coca-Cola v. Alma-Leo USA,
Inc. 1 9 3 Per quanto riguarda il tarnishment del marchio legato
186V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94,
pag. 262 “Certainly the most common situation for courts to invoke tarnishment is where the
famous mark is used in connection with unwholesome activity, usually pornography.”
187Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4
marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; v. supra nota 80.
188Il caso riguarda l'associazione del celebre brand Adidas alla stilizzazione di una foglia di
marijuana e alla scritta “ADIHASH, gives you speed”; v. ADIHASH, gives you speed, OLG
Hamburg, 5 settembre 1991, in GRUR 1992. V. W. SAKULIN, Trademark Protection and
Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom
of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 268-269.
189Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo
2006, in IDI, 2007, 149 ss.
190Nutella, Cour d'Appel de Paris, 7 maggio 2004, v. supra nota 113.
191V. supra nota 183 sull'utilizzo di marchi famosi per contrassegnare preservativi.
192Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972
“To associate such a noxious substance as cocaine with plaintiff's wholesome beverage as
symbolized by its 'Coca-Cola' trademark and format would clearly have a tendency to impugn
that product and injure plaintiff's business reputation.” Di questo caso abbiamo già parlato nel
corso di 1.2.3.2.
193La causa riguarda la fabbricazione da parte della Alma-Leo di una bottiglietta di plastica con le
178
all'accostamento al sesso possiamo citare invece Dallas Cowboy
Cheerleaders , 1 9 4 Pillsbury Co. v. Milky Way fresh Productions,
Inc., 1 9 5 American Express Co. v. Vibra Approved Labs. Corp., 1 9 6
Victoria's Secrets v. Moseley, 1 9 7 Kodak Co. v. Rakow, 1 9 8 Hasbro, Inc.
stesse caratteristiche di quella della Coca-cola, contenente dei chewing gum a forma di polvere
bianca, forma che evidentemente richiamava la cocaina. V. Coca-cola v. Alma-Leo USA, U.S.
District Court, Illinois, 719 F. Supp. 725, 17 agosto 1989 “We finally note that the sale of
Magic Powder will likely injure Coca-Cola's reputation. […] In sum, the association with
Coca-Cola through the use of a bottle with the same shape will likely injure Coca-Cola's
reputation, whether or not confusion takes place.”
194Il caso, di cui abbiamo già parlato in 1.2.3.2., riguarda la produzione di un film dai contenuti
pornografici che vede come protagonista una ex-cheerleader della squadra dei Dallas
Cowboys; nel film si faceva uso delle casacche della suddetta squadra ed è per questo uso del
marchio che la società sportiva decise di adire al giudice; v. Dallas Cowboys Cheerleaders,
Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 604 F.2d 200, 14
agosto 1979 “it is hard to believe that anyone who had seen defendants' sexually depraved film
could ever thereafter disassociate it from plaintiff's cheerleaders. This association results in
confusion which has 'a tendency to impugn (plaintiff's services) and injure plaintiff's business
reputation .'”
195Il caso riguarda l'utilizzo del pupazzo Poppie Fresh, testimonial dell'industria alimentare
Pillsbury, in alcune raffigurazioni, sul giornale Screw, in cui veniva disegnato intento in atti
sessuali; v. Pillsbury Co. v. Milky Way Prods., Inc., U.S. District Court, Georgia, 215 U.S.P.Q.,
24 dicembre 1981 “The court concludes that, despite the lack of actual damages, there is a
likelihood that the defendants' presentation could injure the business reputation of the plaintiff
or dilute the distinctive quality of its trademarks.”
196La causa riguarda la parodia della celebre carta di credito American Express e del suo slogan
'Don't leave home without it' riportato su una confezione di preservativi che richiamava altresì
forma e logo della carta; v. Am. Express Co. v. Vibra Approved Labs. Corp., U.S. District Court,
New York, 10 U.S.P.Q. 2D 2006, 1989 “Defendants' condom card cannot be shrugged off as a
mere bawdy jest, unreachable by any legal theory. American Express has a legitimate concern
that its own products' reputation may be tarnished by defendants' conduct; and that damage,
impossible to quantify and hence irreparable, will result.”
197Il caso riguarda l'utilizzo da parte di un sexy shop di un'insegna (Victor's Secret) molto
somigliante ad una nota marca di lingerie (Victoria's Secret); il titolare del sexy shop fu
chiamato in causa e l'uso da lui compiuto fu tacciato di danneggiare sia il carattere distintivo
del marchio Victoria's Secrets sia la sua reputazione; il 6th Circuit della Corte d'Appello
federale diede ragione a Victoria's Secret, individuando sia blurring che tarnishment, ma questa
decisione fu ribaltata dalla Corte Suprema che non affermò non esservi sufficienti prove di
diluizione per condannare. Dopo la decisione della Corte Suprema però il Congresso emanò il
nuovo TDRA nel quale non si richiede più actual dilution ma una likelihood of dilution; il 6th
Circuit quindi tornò sul caso nel 2010, ribadendo il concretarsi della fattispecie di tarnishment,
in modo opposto a quanto deciso dalla Corte Suprema, appellandosi alla nuova legge; v.
Moseley v. Victoria's Secret Catalogue v. Moseley, U.S. Federal Court of Appeals, 6th Circuit,
19 maggio 2010 “The new law seems designed to protect trademarks from any unfavorable
sexual associations. Thus, any new mark with a lewd or offensive-to-some sexual association
raises a strong inference of tarnishment.” Su questa causa e sulla sua influenza
nell'emanazione del TDRA torneremo in 3.5.
198Il caso riguarda l'associazione compiuta da un comico durante uno show televisivo del marchio
Kodak a pratiche sessuali; v. Eastman-Kodak Co. v. Rakow, U.S. District Court, New York, 739
F.Supp. 116, 2 agosto 1989 “The mental association between the two marks coupled with the
content of defendant's act creates a likelihood that the "affirmative associations [that the
Kodak] mark has come to convey" and which the Company has carefully tended for over a
179
v. Internet Ent’mt Group, Ltd.,199 American Diary Queen Corp. v. New
Line Prods., Inc . 2 0 0
Altre volte la parodia o la satira del marchio, pur non riguardando
temi considerati scabrosi per la pubblica morale, come sostanze
stupefacenti o sesso, possono comunque causare un annacquamento
della reputazione del marchio come è avvenuto, ad esempio, in
Germania nel caso Deutsche Pest . 2 0 1 Per quanto riguarda gli Stati
Uniti possiamo poi citare: Gucci Shops Inc. v. R.H. Macy & Co 2 0 2 e
Anheuser-Busch, Inc. v. Balducci Publications. 2 0 3
Dall'analisi
americana,
compiuta
possiamo
della
notare
giurisprudenza,
che,
qualora
sia
un
europea
uso
satirico
che
o
parodistico del marchio avvenga in relazione a temi quali il sesso o
la droga, temi che per loro natura sono maggiormente idonei a
scioccare la morale comune e di conseguenza a danneggiare la
reputazione del marchio, le corti siano state più restie a considerare
questo utilizzo come protetto dalla libertà d'espressione. 2 0 4 Al
century will be tarnished by defendant's use of the mark.”
199Il caso riguarda l'utilizzo del marchio CANDY LAND, detenuto dall'azienda Hasbro e registrato
per giocattoli da parte di un'altra società per la costituzione di un sito web a contenuto
pornografico (www.candyland.com); v. Hasbro, Inc. v. Internet Ent’mt Group, Ltd., U.S.
District Court, Washington, 40 U.S.P.Q.2d, 9 febbraio 1996.
200 Il caso non riguarda un uso in chiave “sessuale” del marchio, ma comunque questo viene
utilizzato in un film dallo spiccato carattere satirico e dai contenuti forti nel titolo stesso, pur
non essendovi alcun riferimento al marchio Dairy Queen, registrato per prodotti caseari e
surgelati all'interno del film; v. American Diary Queen Corp. v. New Line Prods., Inc., U.S.
District Court, Minnesota, 35 F.Supp.2d 727, 22 dicembre 1998 .
201Deutsche Pest, LG Hamburg, 27 ottobre 1999, in GRUR 2000; v. supra nota 112.
202Il caso riguarda dei pannolini per bambini che riportavano il marchio GUCCHI GOO e strisce
molto similari al marchio Gucci; v. Gucci Shops Inc. v. R.H. Macy & Co, U.S. District Court,
New York, 466 F. Supp. 838, 1977.
203Il caso riguarda l'ironica pubblicità compiuta dalla Balducci Publications della birra Michelob
(marchio detenuto dalla Anheuser-Busch) attraverso la sua parodizzazione Michelob-Oily
(sottointendendo che nella birra fosse contenuto olio); v. Anheuser-Busch, Inc. v. Balducci
Publ’ns, U.S. Federal Court of Appeals, 8th Circuit, 28 F.3d 769, 30 giugno 1994 “In this case,
the majority of those surveyed construed the ad parody as suggesting that Michelob beer
contains oil. This relationship obviously tarnishes the marks' carefully-developed images.
Moreover, the tarnishment results from a negative, although vague, statement about the quality
of the product represented by the trademark.”
204Un caso in controtendenza, accaduto negli Stati Uniti, è L.L. Bean, Inc. v. Drake Publishers,
nel quale il marchio Bean era stato usato da una rivista dai contenuti piccanti in fotografie ove
delle modelle nude utilizzavano prodotti marcati Bean in esplicite pose sessuali; venne però
180
contrario quando la parodia coinvolge tematiche differenti dalle
suddette, le corti saranno maggiormente predisposte a considerare
questo uso all'interno del recinto della libertà d'espressione e come
innocuo per la reputazione del marchio. In questi casi, dunque, la
fattispecie di tarnishment non viene a concretizzarsi. In Europa
possiamo ad esempio citare i casi Lila-Postkarte, 2 0 5 Deutsche
Grammophon , 2 0 6 e Citroen. 2 0 7 Per quel che riguarda gli Stati Uniti
riconosciuto dal I Circuito federale il carattere parodistico e la non commercialità dell'utilizzo;
v. L.L. Bean, Inc. v. Drake Publishers, Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 1st Circuit, 811 F.2d
26, 1987 “Appellant's parody constitutes an editorial or artistic, rather than a commercial, use
of plaintiff's mark. The article was labeled as "humor" and "parody" in the magazine's table of
contents section; it took up two pages in a one-hundred-page issue; neither the article nor
appellant's trademark was featured on the front or back cover of the magazine. Drake did not
use Bean's mark to identify or promote goods or services to consumers; it never intended to
market the "products" displayed in the parody.”
205Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e in IIC, 2007, 119 ss.
206Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony MusicEntertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in IDI 2010, 214 ss. e Giur. Ann.
Dir. Ind. 2009, 5466; in questa causa in realtà il Trib. di Milano non esclude che vi possa esser
un danno alla reputazione del marchio Deutsche Grammophon, precisando altresì che l'intento
della Hukapan era di per sé non denigratorio ma anzi celebrativo "Tuttavia non può
aprioristicamente negarsi che anche una citazione parodistica, pur se priva di intenti
denigratori ed, anzi decisamente celebrativa, possa determinare conseguenze negative sul
complessivo messaggio veicolato dal segno Deutsche Grammophon, in qualche modo ledendo
i diritti della sua titolare. Siffatti profili potranno essere adeguatamente sceverati in sede
giudiziaria di merito, anche all'esito della dimostrazione degli effetti che ne siano conseguiti."
207Il caso riguarda un l'utilizzo satirico del marchio Citroen nel corso di uno show televisivo in
cui veniva altresì preso di mira il CEO della casa automobilistica (M. J. Calvet); la Corte di
Cassazione afferma che anche se a prima vista l'utilizzo del marchio Citroen può apparire
denigratorio (gli autori della trasmissione fanno dire ad un finto M. Calvet che le auto Citroen
non sono di buona qualità) in realtà ,dato il tenore della trasmissione, in cui molte volte
vengono messi alla berlina personaggi politici e dato il fatto che M. Calvet si è più volte
espresso sulla situazione economico-politica della Francia, l'utilizzo fatto del marchio non può
per la Corte di Cassazione esser indicato come denigratorio. V. Guignols de l'info, Cour de
Cassation, 12 luglio 2000. V. ibid., Conclusioni dell'Avvocato Generale M. Joinèt “Ces
principes appliqués aux 'Guignols de l’info' permettent de dire que dans le cadre de l’exercice
de la liberté d’expression et de création, les auteurs de l’émission satirique n’ont pas commis
une faute du seul fait d’avoir utilisé les marques Peugeot et Citroën sans autorisation. En
restant dans le domaine de l’humour ont-ils abusé de ce droit en faisant tenir au président des
sociétés Peugeot et Citroën des appréciations dénigrant ces marques? Cette interrogation
nécessite que ces propos soient replacés dans le contexte général des émissions. […] Jacques
Calvet en sa qualité de président de deux importantes sociétés de construction automobile
s’est souvent exprimé publiquement en termes énergiques sur la politique économique du pays
et sur sa conception de la défense des constructeurs français à l’égard des concurrents
étrangers. Les auteurs de l’émission ont choisi de lui faire dire que certains des produits des
marques Peugeot et Citroën n’étaient pas de bonne qualité. Ces propos pris au premier degré
constituent incontestablement des actes de dénigrement. Dans le contexte de l’émission où
toutes les situations et tous les hommes sont systématiquement tournés en dérision, M. Calvet a
subi le même traitement que celui infligé aux hommes politiques. Le fait que dans sa
caricature, les marques soient citées en termes peu flatteurs ne suffit pas à donner à celle-ci un
181
possiamo invece citare Louis Vuitton Malletier S.A. v. Haute Diggity
Dog, 2 0 8
Lyons
Partnership
v.
Giannoulas, 2 0 9
Mattel
v.
Mca
Records, 2 1 0 New York Stock Exchange, Inc. v. New York, New York
Hotel LLC, 2 11 Jordache Enterprises, Inc. v. Hogg Wyld, Ltd. 2 1 2
caractère fautif. Les objets ne sauraient être plus protégés que les hommes et nul ne peut se
méprendre sur le caractère peu sérieux des propos qu’il tient sur les véhicules des sociétés
qu’il préside. L’association dans la moquerie du personnage de M. Calvet et de ses produits
des sociétés découle du principe même de l’émission et non d’une volonté de dénigrement.“ A
riguardo vedi G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French
Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113, pag. 165-166; M. BLOCH-WEILL, S.
NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R.
MANSUY, S. GUERLAIN, Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra
nota 49, pag. 126.
208Il IV Circuito federale rigettò la tesi di Louis Vuitton Mallettier secondo la quale l'utilizzo del
marchio Chewy Vuiton per prodotti destinati a cani comportava tarnishment e blurring del
marchio Vuitton, in quanto il titolare di quest'ultimo non aveva mostrato prove sufficienti del
rischio di danno alla reputazione o di offuscamento del marchio medesimo; v. Louis Vuitton
Malletier S.A. v. Haute Diggity Dog, U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 464 F. Supp.
2D 495, 13 novembre 2007 "To establish its claim for dilution by tarnishment, LVM must show,
in lieu of blurring, that Haute Diggity Dog’s use of the 'Chewy Vuiton' mark on dog toys harms
the reputation of the LOUIS VUITTON mark and LVM’s other marks. LVM argues that the
possibility that a dog could choke on a 'Chewy Vuiton' toy causes this harm. LVM has,
however, provided no record support for its assertion." Torneremo su questo caso in 3.5.
209 In questo caso la Corte distrettuale del Texas rigettò la tesi del ricorrente, il titolare del
marchio Barney utilizzato per un pupazzo a forma di dinosauro, secondo il quale l'utilizzo fatto
da parte del creatore di Famous Chicken, un personaggio di intrattenimento per eventi sportivi,
il quale aveva coinvolto il dinosauro Barney in uno dei suoi sketches, comportasse tarnishment
del suddetto marchio; v. Lyons Partnership v. Giannoulas, U.S. District Court, Texas, 993F.
Supp. 282, 29 luglio 1998 “tarnishment likewise fails to apply. Defendants' skit does not link
Barney to products of shoddy quality or portray him in an unwholesome or unsavory context
with the result that the public will associate the lack of quality or lack of prestige in
defendants' goods with the plaintiff's unrelated goods.”
210Di questa causa ci siamo già occupati nel corso di questo capitolo e torneremo ad occuparci in
3.5.2. Per quanto riguarda il presente argomento, possiamo evidenziare come il IX Circuito
federale affermò che non vi era sì blurring ma non considera l'ipotesi danneggiamento della
reputazione del marchio Barbie; comunque sia l'utilizzo compiuto dal gruppo Aqua ricade
nell'esenzione di uso non commerciale come abbiamo visto in precedenza v. Mattel, Inc. v.
MCA Records, Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 9 th Circuit, 177 F. Supp. 2d. 661, 24 luglio
2002 “MCA's use of the mark is dilutive. MCA does not dispute that, while a reference to
Barbie would previously have brought to mind only Mattel's doll, after the song's popular
success, some consumers hearing Barbie's name will think of both the doll and the song, or
perhaps of the song only. This is a classic blurring injury and is in no way diminished by the
fact that the song itself refers back to Barbie the doll. [...] Because we find blurring, we need
not consider whether the song also tarnished the Barbie mark .”
211Di questo caso ci siamo già occupati in precedenza nel corso di questo capitolo; parodistico
del nome New York $lot Exchange, per un club di gioco d'azzardo a Las Vegas non fu
considerato come lesivo della reputazione del NYSE; New York Stock Exchange, Inc. v. New
York, New York Hotel LLC, U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 293 F.3d 550, 1 aprile
2002.
212In questo caso venne rigettata l'accusa di tarnishment da parte della Jordache che accusava
un'altra azienda produttrice di vestiti di danneggiare la reputazione del proprio marchio
attraverso la parodia “Lardashe”con la quale marchiava la propria linea di abbigliamento per
182
Per quanto riguarda invece un uso del marchio a fini di critica
dell'operato del suo titolare bisogna sottolineare come un utilizzo di
tal fatta sia di per sè idoneo a danneggiare la reputazione del
marchio, in quanto, pur se non diretto contro i prodotti da esso
contrassegnati, è atto a disvelare le maleffatte del suo titolare; come
abbiamo
sottolineato
in
precedenza,
però,
e
come
meglio
analizzeremo nel III capitolo, qualora queste critiche siano sorrette
da un interesse sociale non sarà il danneggiamento della reputazione
del marchio ad esser tenuta in maggior considerazione dalle corti,
quanto, invece, la libertà di esprimere, e l'interesse ad esser
destinatari, di informazioni rilevanti per la salute pubblica, 2 1 3 per
una complessiva e reale valutazione dell'operato del titolare del
marchio, 2 1 4 o del servizio da lui offerto o dei valori da esso
propugnati. 2 1 5 Solo qualora la critica vada al di là dell' interesse
taglie forti; v. Jordache Enterprises, Inc. v. Hogg Wyld, Ltd., U.S. Federal Court of Appeals,
10th Circuit, 828 F.2d 1482, 1987 “It is unlikely that the public would assume that the same
manufacturer would use quite different marks on substantially the same product. While we do
not hold that this type of tarnishment is established only where the Lanham Act likelihood of
confusion test has been satisfied, the antidilution statute does require some showing that the
public will associate both products with the same manufacturer. Our review of the record
convinces us that the public will not associate Lardashe jeans with the appellant or, if they do,
they will only make the association because of the parody and not because they believe
Jordache Enterprises, Inc. manufactures Lardashe jeans. Therefore, there is no likelihood of an
injury to appellant, and its dilution claim must fail.”
213 Possiamo ad esempio citare in ambito europeo Société Greenpeace France, Cour d'Appel de
Paris, Arrêt del 16 novembre 2005, della quale abbiamo già parlato nel corso del presente
capitolo sulla quale torneremo in 3.4.1.2.; Comité national contre les maladies respiratoires et
la tuberculose (CNMTR) v. Société JT International GmbH, Cour de Cassation, Arrêt del 19
ottobre 2006; Grosses Mordoro Poker Bundesgerichtshof, 17 aprile 1984, in GRUR 1984;
entrambe queste due ultime sentenze riguardano campagne anti-fumo condotte contro un
determinato brand di sigarette (Camel nel primo caso, Marlboro nel secondo); su di entrambe
torneremo nel corso di 3.4.2.1.
214Possiamo citare in ambito europeo Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone,
Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003, sulla quale ci siamo già soffermati nel corso
del presente capitolo e sulla quale ritorneremo in 3.4.1.1.
215In ambito europeo possiamo citare Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte
di Den Hague, 4 maggio 2011, di cui abbiamo già parlato nel corso di questo capitolo e su cui
torneremo in 3.4.2.2.; sul versante americano occorre indicare il caso del sito falwell.com in cui
vengono fatte oggetto di critica le posizioni omofobe del reverendo battista Jerry Falwell, il
quale aveva altresì registrato il proprio nome come marchio; v. Lamparello v. Falwell, U.S.
Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 420 F.3d 309, 24 agosto 2005; v. anche Smith v. WalMart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2D 1302, 20 marzo 2008 di cui abbiamo già
discusso nel corso del presente capitolo; v. anche Bally Total Fitness Holding Corp. v. Faber,
U.S. District Court, California, 29 F. Supp. 2D 1161, 23 novembre 1998 riguardante la
183
sociale e si trasformi in denigrazione 2 1 6 la libertà d'espressione non
potrà
fornire
manifestazione
strumenti
del
idonei
pensiero
in
alla
protezione
quanto
verrà
di
a
questa
di
m ancare
il
giustificato motivo per attentare alla reputazione del marchio. Ciò
vale, come vedremo meglio nel seguente capitolo quando ci
troveremo ad analizzare la giurisprudenza in merito, sia qualora il
bilanciamento venga compiuto all’interno del dirito dei marchi, sia
nel caso, invece, avvenga all’esterno di esso, sulla base di una
responsabilità aquiliana.
registrazione di un sito con scopi critici web ballysucks.com. Di segno contrario invece le già
citate Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo
1998; Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo
1997; OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 86
F.Supp.2d 17, 28 febbraio 2000.
216 Greenpeace v. SPCEA (Areva), Cour d'appel de Paris, 17 novembre 2006 che però, come
vedremo in 3.4.1.1. venne ribaltata in Cassazione
184
CAP. III : ALLA RICERCA DI UN BILANCIAMENTO TRA
LIBERTA' D'ESPRESSIONE E DIRITTO AL MARCHIO
SOMMARIO: 3.1. Premessa. - 3.2. I criteri di bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del
titolare del marchio in Europa. - 3.3. L'ampliarsi del conflitto tra libertà d'espressione e prerogative
del titolare del marchio nella società di Internet. - 3.3.1. L'Anticybersquatting Consumer
Protection Act negli Stati Uniti. - 3.3.2. Domain names, libertà d'espressione e contraffazione del
marchio in Europa. - 3.4. La risposta della giurisprudenza in Europa. - 3.4.1. La critica del marchio
in Europa. - 3.4.1.1. I casi Danone, E$$O e Areva. - 3.4.2. Nei casi di parodia e satira del marchio.
- 3.4.1.2. Una panoramica sulla giurisprudenza italiana ed europea. - 3.4.2.2. Simple living: arte,
design e critica. - 3.5. La risposta della giurisprudenza statunitense – alla ricerca di una linea
evolutiva al passo con la dinamica legislativa.
3.1. Premessa.
Nel primo capitolo del nostro studio ci siamo soffermati sull'analisi
delle prerogative del titolare del marchio e di come le normative,
oggetto del nostro esame comparativistico, vi forniscano una tutela;
nel secondo, invece, dopo un'analisi del principio della libertà
d'espressione, così come costituzionalizzata negli ordinamenti di
nostro interesse, abbiamo approfondito criteri e parametri utilizzati
dalle corti sia europee che statunitensi per dirimere i conflitti tra
libertà d'espressione e prerogative del titolare del marchio. Ci siamo
inoltre intrattenuti sui possibili effetti che un uso parodistico,
satirico o critico possono avere sulla capacità distintiva o sulla
reputazione del marchio. Scopo di questo III capitolo sarà quindi
quello di analizzare l'applicazione da parte della giurisprudenza, sia
europea
che
statunitense,
di
quei
parametri
che
abbiamo
approfondito nel corso del II capitolo in vari casi riguardanti la
critica, la satira e la parodia del marchio. Ci soffermeremo con
particolare
attenzione
su
alcuni
di
essi
in
quanto
ritenuti
particolarmente significativi. Per quanto riguarda la critica del
marchio in Europa, oltre a fornire un'ampia panoramica delle
185
sentenze tedesche, francesi ed italiane in merito, porremo una
particolare attenzione all'analisi dei casi E$$O, Danone e Areva;
verrà poi compiuta una panoramica delle decisioni delle corti
europee in tema di conflitto tra un utilizzo parodistico o satirico del
marchio e le prerogative del suo titolare, a cui seguirà un attento
esame del recente caso Louis Vuitton-Plesner, riguardante un
utilizzo
di
diritti
di
proprietà
intellettuale,
derivanti
dalla
registrazione di un design, all'interno di opere artistiche .
Per quel che riguarda il versante statunitense tenteremo poi di
tracciare una linea evolutiva della giurisprudenza, dando conto delle
principali modifiche legislative avvenute nel corso degli anni e dei
loro effetti sulle decisioni delle corti; ci focalizzeremo poi sulle
cause che sono ritenute più significative in funzione della nostra
analisi.
Prima
di
passare
quindi
all'esame
dei
casi
giurisprudenziali,
seguendo le linee guida sopra accennate, sarà però necessario
compiere
due
importanti
precisazioni:
in
primo
luogo,
sarà
necessario compiere un riepilogo dei criteri e dei meccanismi
utilizzati dalle corti, soprattutto europee, data la loro complessità,
nel decidere i casi riguardanti parodia, satira o critica del marchio.
Inoltre,
in
un
secondo
momento,
accenneremo
alle
questioni
riguardanti l'utilizzo del marchio attraverso il web; esamineremo
dunque le normative in merito e le problematiche nascenti da questo
tipo di uso, che, come abbiamo visto in precedenza, si rivela esser
in continua espansione.
186
3.2. I criteri di bilanciamento tra libertà d'espressione e
diritti del titolare del marchio in Europa.
Nel capitolo precedente abbiamo visto come, tanto nella normativa
comunitaria in tema di marchi, quanto in quella dei diversi stati
nazionali, non si faccia riferimento alcuno ad una esenzione di
responsabilità per chi compia un utilizzo parodistico, satirico o
critico
del
marchio
commercialità.
legislazione
provveduto
Ciò,
altrui,
a
differenza
statunitense
ad
pur
introdurre
che,
al
se
denotato
di
come
suo
dalla
quanto
abbiamo
interno
delle
una
previsto
non
dalla
esaminato,
esenzioni
ha
di
responsabilità per chi compia un fair use a carattere parodistico o
critico del marchio altrui e per quegli utilizzi denotati dalla non
commercialità . 1 Al di là delle considerazioni compiute riguardo
all'interpretazione delle esenzioni previste per questi utilizzi dal
Lanham Act, possiamo sottolineare come questa sia una differenza
assai rilevante tra la legislazione statunitense e quella degli stati
europei. La prima, infatti, al fine di stabilire se un determinato
utilizzo non autorizzato del marchio altrui sia lecito, presenta due
nodi da sciogliere; in primo luogo bisogna stabilire se questo
l'utilizzo possa comportare un rischio di confusione per quanto
riguarda l'origine, inglobante, al suo interno, un rischio che il
pubblico possa ritenere in qualche modo legati o affiliati il titolare
del marchio e l'utilizzo compiuto dal terzo del marchio stesso. 2
Nella maggior parte dei casi, però, un utilizzo in funzione critica,
satirica o parodistica del marchio, sarà difficilmente interpretato
dalle corti come causante un rischio di confusione, anche se la
giurisprudenza americana non ha lesinato eccezioni in questo
senso. 3 Una seconda considerazione riguarderà poi, nel caso si tratti
1 V. Art. 1125(3)(A) Lanham Act, v. 2.1.2.2.
2 V. per un approfondimento del rischio di confusione 1.2.3.2.
3 V. ad esempio Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F.
187
di un marchio famoso, la possibilità che l'utilizzo di quest'ultimo
abbia causato danni alla sua reputazione o alla sua capacità
distintivo. Nel caso di un uso denotato da un carattere noncommerciale,
o,
qualora
definibile
come
fair
use,
critico
o
parodistico , però, questo uso potrà usufruire delle specifiche
esenzioni previste dallo stesso Lanham Act, che abbiamo in parte
analizzato nel corso del secondo capitolo e sulla cui applicazione
concreta torneremo in 3.5.
In Europa, invece, un'esenzione di responsabilità per quel che
riguarda un utilizzo parodistico, critico e/o non-commerciale del
marchio è prevista esplicitamente, a livello legislativo, solamente
per quel che riguarda il diritto d'autore . Nella Direttiva 2001/29/CE
si afferma esplicitamente che:
“gli Stati membri hanno la facoltà di disporre eccezioni o
limitazioni ai diritti di cui agli articoli 2 e 3 nei casi seguenti: […]
c) nel caso di riproduzione a mezzo stampa, comunicazione al
pubblico o messa a disposizione di articoli pubblicati su argomenti
di attualità economica politica o religiosa o di opere radiotelevisive
o di altri materiali dello stesso carattere, se tale utilizzo non è
espressamente riservato, sempreché si indichi la fonte, incluso il
nome dell'autore, o nel caso di utilizzo delle opere o di altri
materiali in occasione del resoconto di un avvenimento attuale nei
limiti di quanto giustificato dallo scopo informativo e sempreché si
indichi, salvo in caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome
dell'autore; […]
Supp. 1183; 1972,Dallas Cowboys Cheerleaders, Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S.
Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 604 F. 2d 200, 14 agosto 1979; San Francisco Arts &
Athletics, Inc. v. United States Olympic Committee, U.S. Supreme Court, 483 U.S. 522, 25
giugno 1987; Mutual of Omaha Insurance Company v. Novak, U.S. Federal Court of Appeals,
8th Circuit, 836 F. 2d 397, 30 dicembre 1987.
188
k) quando l'utilizzo avvenga a scopo di caricatura, parodia o
pastiche."
A questa Direttiva viene dato seguito, più o meno pedissequamente,
dalle diverse normative in tema di diritto d'autore in vigore nei
paesi membri. Una tutela esplicita ad utilizzi parodistici, oltre che
critici, dell'opera altrui la possiamo riscontrare in particolare in
Francia 4 e Belgio. 5 In Italia 6 ed in Olanda, 7 ad esempio, non viene
invece prevista una protezione specifica per la parodia o per la
caricatura dell'opera altrui, ma questa viene comunque garantita
attraverso formule di carattere ampio. In Germania, poi, la critica e
la
parodia
autorizzate
di
un'opera
attraverso
("utilizzazioni
libere "). 8
protetta
la
dal
previsione
Esplicite
diritto
di
eccezioni
d'autore
" freie
per
vengono
Benutzung "
un
utilizzo
4 V. Code de la Propriété Intellectuelle, art. L. 122-5 “Lorsque l’œuvre a été divulguée, l'auteur
ne peut interdire: […] 3° Sous réserve que soient indiqués clairement le nom de l'auteur et la
source : a) Les analyses et courtes citations justifiées par le caractère critique, polémique,
pédagogique, scientifique ou d'information de l’œuvre à laquelle elles sont incorporées; b) Les
revues de presse; […] 4° La parodie, le pastiche et la caricature, compte tenu des lois du
genre.”
5 V. Loi relative au droit d'auteur et aux droits voisins art. 46.5 “Les articles 35, 39, 42 et 44 ne
sont pas applicables lorsque les actes visés par ces dispositions sont accomplis dans les buts
suivants: 1° les citations tirées d'une prestation, effectuées dans un but de critique, de
polémique, de revue, d'enseignement, ou dans des travaux scientifiques, conformément aux
usages honnêtes de la profession et dans la mesure justifiée par le but poursuivi; […] 5° la
caricature, la parodie ou le pastiche, compte tenu des usages honnêtes."
6 V. Legge n. 633, 22 aprile 1941 art. 3 “Le opere collettive, costituite dalla riunione di opere o
di parti di opere, che hanno carattere di creazione autonoma, come risultato della scelta e del
coordinamento ad un determinato fine letterario, scientifico didattico, religioso, politico od
artistico, quali le enciclopedie, i dizionari, le antologie, le riviste e i giornali sono protette
come opere originali, indipendentemente e senza pregiudizio dei diritti di autore sulle opere o
sulle parti di opere di cui sono composte.“ V. inoltre per quel che riguarda la critica dell'opera
altrui, ibid., art. 70 “Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la
loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei
limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione
economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve
inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.”
7 V. Dutch Copyright Act, art. 18 “It shall not be deemed to be an infringement of the copyright
in a work referred to in Article 10, first paragraph, under (vi), which is permanently displayed
in a public thoroughfare, to reproduce or publish a reproduction of such work, provided that
the work does not constitute the main part of the reproduction, that the reproduction differs
appreciably in size or process of manufacture from the original work and that, with regard to
architectural works, only the exterior thereof is reproduced.”
8 V. Urheberrechtsgesetz, art. 24 “An independent work created by free use of the work of
another person may be published and exploited without the consent of the author of the used
189
parodistico, critico e/o non-commerciale del marchio, come abbiamo
sottolineato in precedenza, non sono invece contemplate né dalla
normativa comunitaria in tema di marchi, né dalle varie legislazioni
nazionali. La protezione di questi usi passa quindi attraverso il
bilanciamento, operato caso per caso dalle corti, tra i diritti del
titolare del marchio ed il principio della libertà d'espressione.
Questo
bilanciamento
può
esser
operato
sia
all'interno
della
normativa marchi, attraverso le modalità che fra poco vedremo, sia
all'esterno di essa. Un primo discrimen a riguardo è rappresentato
dalla configurazione o meno dell'utilizzo del segno come uso del
marchio, 9 ossia un uso del segno compiuto al fine di realizzare la
sua funzione precipua di distinguere beni e servizi. Qualora l'uso,
compiuto dal terzo non autorizzato, possa definirsi come uso del
marchio, allora al fine di garantire la protezione accordata dalla
libertà d'espressione a queste utilizzazioni, caratterizzate da fini
parodistici, satirici o critici, si dovrà transitare all'interno della
legge marchi; se invece quest'utilizzo non viene qualificato come
uso del marchio, allora il bilanciamento con la libertà d'espressione
cadrà al di fuori delle varie normative nazionali sui marchi e si
poggerà per lo più sugli articoli che ogni codice civile pone a
sanzione di condotte determinanti una responsabilità aquiliana per
chi le compia, dovuta ad un danno alla reputazione delle persone
giuridiche. Vedremo nel corso dell'analisi della giurisprudenza
europea quale tipo di bilanciamento venga operato caso per caso.
Nel caso il bilanciamento sia da compiersi, almeno in parte,
internamente alla normativa sui marchi, per le ragioni sopra esposte,
bisogna analizzare come questo avvenga in concreto e attraverso
quali articoli della normativa. Parte della dottrina ritiene di
work.“
9 Riguardo alla nozione di uso del marchio si rimanda a 1.2.3.1. in riferimento al caso OpelAutec ed a 1.4.
190
compiere un bilanciamento con la libertà d'espressione facendo
rientrare gli usi del marchio in funzione critica, parodistica o
satirica all'interno dell'art. 6 della Direttiva, come referential o
descriptive use . 1 0 Le condizioni che devono esser osservate affinché
un tale uso possa esser riconosciuto come rientrante tra le eccezioni,
previste dal suddetto articolo, al diritto esclusivo di utilizzazione
del marchio in capo al suo titolare, sono però assai restrittive, tanto
per le espressioni denotate da commercialità quanto per quelle che
sono prive di questo elemento. 11 Il descriptive use sembra oltretutto
10 V. a proposito le risposte fornite dai gruppi AIPPI francese e tedesco alla domanda “Y–a–t–il
une disposition dans votre loi sur les marques qui concerne spécifiquement l’admissibilité de
par exemple: – la critique de la marque d’autrui ou la référence désobligeante à la marque
d’autrui; – la parodie, la satire ou l’ironie; – l’usage par un artiste de la marque d’autrui; –
l’utilisation de la marque d’autrui comme signe de loyauté ou d’allégeance; – l’utilisation de
la marque d’autrui dans des buts de comparaison, de référence, de description,
d’identification, ou pour communiquer de l’information sur les caractéristiques du propre
produit du défendant dans la limite où un tel usage peut être considéré comme un exercice du
droit constitutionnel de liberté d’expression.” V. M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE,
R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN, Les
Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 124125 “Le Code de la Propriété Intellectuelle dans sa partie relative aux marques ne contient
pas de disposition permettant l’utilisation sans autorisation d’une marque à des fins de
critique, parodie, satire, ironie, artistiques, ou comme expression de loyauté ou allégeance. Il
en est de même dans le Règlement CE n° 40/94 du 20 décembre 1993 sur la marque
communautaire. Par contre, l’article L. 713–6 (b) du CPI permet l’utilisation d’une marque ou
d’un signe similaire comme référence nécessaire pour indiquer la destination d’un produit ou
d’un service, notamment en tant qu’accessoire ou pièce détachée, à condition qu’il n’y ait pas
de confusion dans son origine. Cet article permet au titulaire de la marque de demander que
l’utilisation soit limitée ou interdite, si elle porte atteinte à ses droits.” In risposta alla
medesima domanda a nome del gruppo tedesco v. C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S.
ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota
49 cap. II, pag. 152; W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an
Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under
European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 154 “In order to remain consistent, a correction
would then either have to be made via the unwritten constituent fact of illegality in sec. 14
MarkenG, taking into consideration the assessment of art. 5 of the Basic Constitutional Law,
or sec. 23 no. 2 MarkenG would have to be interpreted in such a way that it also covers
satirical and critical use.”
11 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 276 “Consequently, the concerns raised in section 5.3.2 [il cui titolo è Freedom of
non commercial and mixed expression, n.d.r.] with regard to expressive diversity, can currently
not be addressed in any manner by Article 6.1.b TMDir.” V. anche ibid. pag. 272 “Article 6.1.b
TMDir, allowing for descriptive use, does not apply to expressively descriptive or generic use
in its present interpretation, as it only applicable to use of a trademark to directly describe
characteristics of a good or service.” V. anche nota a Deutsche Grammophon GmbH e
Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony Music- Entertainement Italy S.p.a., Trib.
Milano, 31 dicembre 2009, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5466 "Vero è che la differenziazione
191
riguardare un uso del marchio altrui atto a descrivere i prodotti o
servizi del soggetto che compia questo uso; 1 2 se ciò può in qualche
modo funzionare per utilizzi del marchio atti a criticare i prodotti o
i servizi commercializzati dal suo titolare, altrettanto non può esser
affermato nel caso il marchio venga ad esempio utilizzato per
criticare le condotte o le politiche poste in esser dal trademark
holder. Per quel che riguarda invece il referential use, questa
eccezione, oltre ad apparire teleologicamente orientata ad indicare
la destinazione di determinati prodotti o servizi (come pezzi di
ricambio, che l'art. 6 esplicitamente prevede), non riesce a fornire
un'adeguata protezione alla libertà d'espressione in relazione ad un
utilizzo non autorizzato del marchio. Ciò in quanto potrebbe sì
definirsi come necessaria l'indicazione di un determinato marchio
per farne bersaglio di una critica o di una parodia, ma non
altrettanto
potrebbe
dirsi
riguardo
all'utilizzo
del
logo
corrispondente, come in generale avviene. 1 3 Un'ulteriore difficoltà,
che si riscontra qualora si voglia far transitare la protezione di un
uso critico o parodistico del marchio attraverso l'art. 6 (ed i suoi
corrispettivi nazionali), almeno per quel che riguarda gli utilizzi
commerciali o le c.d. mixed expression, è poi rappresentata dalla
clausola sul rispetto delle oneste pratiche commerciali. 1 4
corrispondente è tutt'altro che facile all'interno delle coordinate normative proprie del diritto
nazionale comunitariamente armonizzato e del diritto comunitario, visto che le ipotesi di uso
lecito del marchio altrui, sancite dall'art. 21.1 c.p.i. e 6 della Direttiva costituiscono elenco
tassativo e chiuso, che pare non dare ingresso alle istanze di libertà di espressione e di
critica.”
12 V. in merito A. ROUGHTON, Permitted Infringing Use: The Scope of Defences to an Infringement
Action, in J. PHILLIPS, I. SIMON, Trade Mark Use, Oxford Univeristy Press, 2005, pag. 196 “It
seems fairly clear that the word [indication ndr.] is to be given an unrestricted meaning since
the purpose of Article 6 is to enable honest traders to describe their goods.” V. supra 1.3.
13 V. G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace
and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 165 "In practice, the problem arose for
figurative marks such as logos. Indeed, if it is impossible to express an opinion about a product
without mentioning its name, it seems hardly necessary, in order to convey one's ideas about
that product, to reproduce the figurative elements of the mark."
14 Sakulin estrapola dalla giurisprudenza comunitaria quei requisiti affinché un utilizzo non
autorizzato del marchio possa dirsi in linea con le oneste pratiche commerciali; v. W. SAKULIN,
Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between
Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag.
192
In mancanza di un'esplicita previsione di eccezioni per un uso
parodistico, critico e/o non commerciale del marchio, sarebbe forse
più utile qualificare tali usi semplicemente come non contraffattivi,
secondo gli art. 5.1 e 5.2 della normativa comunitaria. Seguendo
questa prospettiva, in primo luogo la corte dovrebbe stabilire se
l'utilizzo in questione sia da ritenersi come commerciale o meno;
qualora,
infatti,
l' uso
del
marchio
non
sia
definibile
come
commerciale, come in diversi casi concernenti la critica, non
verrebbe soddisfatto quel requisito di use in the course of trade
richiesto dall'art. 5 della Direttiva affinché si possa affermare
l'esistenza di una contraffazione. Questo è l'orientamento preso
dalle corti francesi nei casi ESSO, AREVA e DANONE, nei quali,
come vedremo, l'uso del marchio a fini critici venne ritenuto come
non contraffattivo in quanto non commerciale (oltre che non
confusorio), creando in questo modo un'implicita eccezione per un
uso di tal fatta. 1 5 In seconda istanza dovrebbe esser affrontata la
questione della sussistenza di un rischio di confusione, nella mente
del consumatore mediamente informato e avveduto, per quel che
riguarda l'origine dei prodotti o servizi, tale da spingerlo a ritenere
che tra il titolare del marchio e l'utilizzatore non autorizzato
intercorra un qualche rapporto di affiliazione o licenza. 1 6 Nella
maggior parte di casi di utilizzo parodistico o critico del marchio
questo rischio appare però alquanto basso, per ragioni intrinseche al
tipo di utilizzo stesso. Per quel che riguarda poi i marchi c.d.
254 “(a) does not create the “impression that there is a commercial connection between the
third party and the trade mark owner.”(b) does not take an unfair advantage of the distinctive
character or repute of the trademark, (c) does not discredit or denigrate the mark, or (d) does
not present the third party products as an imitation.”
15 V. in merito G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French
Greenpeace and Danone Litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 171 “The Danone/Greenpeace
case law is therefore outstanding in that it expressly makes, of non-commercial use, an
exception to the trade mark proprietor's monopoly. This is where it's novelty lies and why it
deserves to be counted among the important decisions in French trademark law.” Torneremo
su questi casi in un paragrafo ad essi dedicato; v. 3.4.1.1.
16 Per un approfondimento sul rischio di confusione e sulle sue diverse sfumature v. 1.2.3.2.
193
notori, come abbiamo avuto modo di analizzare nel corso del cap.
I, 1 7 bisognerà poi fare i conti con un livello di protezione più alto
fornito dall'ordinamento a questi e concernente un possibile danno
alla loro capacità distintiva e/o alla loro reputazione, nonché una
previsione di illiceità nel caso ci si approfitti di queste ultime per
trarne un vantaggio di tipo commerciale. 1 8 Nel II capitolo abbiamo
quindi non a caso analizzato i criteri del due cause e dell'unfair
advantage che risultano decisivi nel ritenere non contraffattivo un
uso non autorizzato del marchio altrui. Qualora un utilizzo, infatti,
seppur non autorizzato, possa qualificarsi come giustificato, in
forza di un diritto di chi lo compie, e non traente indebito
vantaggio, esso non comporterà una contraffazione del marchio e
quindi, seppur non beneficiante di una specifica eccezione, potrà
dirsi lecito anche se determina un danno alla capacità distintiva o
alla reputazione del marchio. Per quanto riguarda la categoria
dell'indebito vantaggio viene data molta importanza alla finalità che
l'utilizzatore
non
autorizzato
persegue:
se,
difatti,
un
uso
esclusivamente commerciale, che mira ad agganciarsi ed a sfruttare
la notorietà o dalla capacità distintiva del marchio per ricavarne un
vantaggio economico indebito, è visto con sfavore dalle corti, 1 9
venendosi a determinare una fattispecie di free-riding, al contrario,
quando quest'uso è non puramente commerciale, allora saranno
maggiori le possibilità che venga compreso nel recinto protetto
dalla libertà d'espressione e ritenuto quindi lecito. Il discrimen in
questo caso concerne la capacità di creare, attraverso l'utilizzo del
marchio altrui, un significato altro rispetto a quello ordinario e
17 V. 1.2.3.3.
18 V. art. 5.2. Direttiva 2008/95/CEE.
19 V. Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano,
4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987; GRH c. Newton Compton editori, Trib.
Roma, 23 giugno 2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375; Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c.
G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo 2006, IDI 2007, 149 ss.; Président,
Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 ottobre 1996; ADIHASH, gives you speed, OLG
Hamburg, 5 settembre 1991,GRUR 1992.
194
commerciale del marchio; se, ad esempio, il marchio venisse
impiegato in maniera artistica o in modo tale da invitare alla
riflessione o all'ilarità il pubblico, anche qualora quest'uso fosse in
parte commerciale, in quanto ad esempio avvenga attraverso un
medium di per sé tale, esso non verrà qualificato come un uso
esclusivamente commerciale e ciò deporrà a favore della sua liceità
in quanto non concretizzante un fattispecie di free-riding . 2 0 L'altro
elemento che deve esser poi analizzato, affinché un uso non
autorizzato del marchio notorio possa esser considerato noncontraffattivo, è poi, come accennato in precedenza, il criterio del
due cause. Affinché si possa affermare che l'utilizzo del marchio
20 V. Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony
Music- Entertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, Giur. Ann. Dir. Ind., 2009,
5466, e IDI 2010, 214 ss.; Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e
IIC, 2007, 119 ss.; Guignols de l'info, Cour de Cassation, 12 luglio 2000; Olivier Malnuit v.
Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003; Société
Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre 2005; Comité national
contre les maladies respiratoires et la tuberculose (CNMTR) v. Société JT International GmbH,
Cour de Cassation, Arrêt del 19 ottobre 2006; Grosses Mordoro Poker Bundesgerichtshof, 17
aprile 1984, in GRUR 1984; Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di
Den Hague, 4 maggio 2011. Un'altra soluzione proponibile sarebbe quella di adottare
l'interpretazione del concetto di non commercialità adottata in Mattel v. Mca Records dalla
corte d'appello federale negli Stati Uniti (v. 2.2.3., 3.5.) considerando quindi come non
commerciali tutti quegli usi del marchio che hanno interti non puramente commerciali ma
altresì, ad esempio, parodistici. Questa soluzione è però sconsigliata sa Sakulin, che la vede
possibile solamente qualora venga introdotta un'esplicita eccezione di non-commercialità che
per ora è assente; v. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry
into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law,
supra nota 28 cap. I, pag. 271 “I do think that such an exception may be necessary, since the
use in the course of trade exists under European trademark law, has ceased to function as
appropriate boundary,266 the ‘use in relation to goods and services’ criterion is interpreted
expansively under both Article 5.1 TMDir and Article 5.2 TMDir, and in relation to Article 5.1
TMDir, no limitation exists at all that would facilitate the necessary balancing with freedom of
non-commercial or mixed expression.” Solo infatti le espressioni puramente non-commerciali
o 'politiche' sembrano ricadere in una sorte di implicita eccezione di non commercialità, mentre
per le altre, essendo trasmesse attraverso media commerciali, sono considerate essere compiute
nel corso del commercio; v. ibid., pag. 215 “Purely non-commercial use, use in science and, in
the case of Germany, in lexical publications and political expression does not fall under the
criterion. ['in the course of trade', n.d.r.] From the perspective of freedom of expression, the
greatest problem with regard to the current interpretation is that trademark use that is of
public interest and is contained in or on a commercial medium will fall under the criterion.
Such use, which includes use in films, books, art, or comedy, belongs to the core of expression
that must be strongly protected under Article 10 ECHR. Courts currently, rather than using the
criterion of ‘use in the course of trade’ as clear a facilitator for a balance of interest between
trademark rights and freedom of noncommercial and mixed expression, interpreted the
criterion expansively to serve the interests of trademark rights holders.”
195
notorio altrui sia sorretto da un giusto motivo sono necessarie, come
abbiamo evidenziato nel corso del I capitolo, 2 1 due condizioni:
l'esercizio di un diritto da parte di chi ne compia l'uso e la
necessità, in capo al medesimo soggetto, di compiere quest'uso. Nel
secondo capitolo abbiamo evidenziato come il diritto sottostante un
giustificato motivo possa esser ravvisato nella libertà d'espressione,
nella sua ottica sia attiva che passiva. Si è poi sottolineato, e
avremo altresì modo di sviluppare ulteriormente questa tematica
attraverso l'analisi della giurisprudenza, come la proporzionalità
dell'utilizzo rispetto agli scopi che si prefigge sia un elemento di
grande importanza per non far venir meno quell'interesse pubblico
che diverrebbe assente nel caso di mera denigrazione del marchio. 2 2
Un altro elemento che riveste una grande importanza, soprattutto nei
casi di critica del marchio, è poi la veridicità di quanto venga
affermato; se infatti il marchio viene utilizzato in funzione critica,
ma quanto affermato da chi ne compia questo uso non è supportato
da prove o è addirittura falso, allora si tratterà di pura denigrazione
e diffamazione e verrà meno il giustificato motivo al suo utilizzo
non autorizzato. 2 3 Proporzionalità e veridicità, come avremo modo
21 V. 1.3.
22 V. 2.3.1.; v. anche in merito W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an
Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under
European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 283 “pejorative or polemic use of trademark can be
justified but […] the limit of acceptable value judgments should be drawn at the level of
defamation or 'Schmahkritik'. This means that a prohibition is justified when the use of a
trademark in criticism or comment no longer bears any factual relationship to an issue of
public interest connected to the trademark, but rather primarily disparages the trademark at
stake.”
23 V. ibid. “Moreover it is of importance whether the expression is a value judgment or a
statement fact. Stricter standards apply to statements of fact, which must be true and the
person expressing them may be required to provide prove of the allegations. […] Opinions and
value judgments do enjoy a larger freedom, though they must be grounded in factual
evidence.” V. anche C. GEIGER, Trade Marks and Freedom of Expression – The Proportionality
of Criticism, supra nota 66 cap. II, pag. 324-325 “Transferred to the context of trade-marks for
purposes of parody, this would mean that organizations are required to act in good faith and
not to communicate incorrect information, the aim of which would be to damage companies
and not to provide constructive criticism. As an example, the caricatures would have been
abusive if they had suggested that cigarettes involved specific health consequences that they
obviously do not have.”
196
di analizzare, sono entrambi parametri che si applicano altresì
quando il bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del titolare
del marchio venga operato al di fuori della specifica normativa sui
segni distintivi o quando, una volta affermata la non contraffattività
dell'uso del marchio, sia necessario stabilire se possa sorgere una
responsabilità aquiliana nei confronti di chi abbia compiuto detto
uso.
Tornando all'analisi del due cause dobbiamo poi soffermarci sulla
seconda
condizione
che
deve
esser
soddisfatta
affinché
si
concretizzi tale giustificato motivo e che la giurisprudenza in
merito, per quanto assai povera, definisce come insormontabile
necessità
di
riferirsi
al
marchio. 2 4
Questa
è
senza
dubbio
un'interpretazione molto restrittiva del due cause, che sembrerebbe
sollevare a questo proposito le stesse problematiche relative al
referential use ex art. 6. Bisogna però sottolineare alcune differenze
a riguardo. In primo luogo la giurisprudenza riguardante il due
cause è molto limitata in confronto a quella concernente l'art. 6, che
è sembrata più volte chiara nell'indicare come il fine stesso
dell'eccezione da esso prevista, l'indicazione della destinazione di
un determinato prodotto o servizio. 2 5 Se poi si considera il fatto che,
24 V. Lucas Bols v. Colgate-Palmolive, Corte di Giustizia del Benelux, 1976, in IIC 1976; v. W.
SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 248 “some courts have interpreted the criterion of due cause as requiring that a
third party may use a trademark only if there is an insurmountable necessity for such use,
which is not the case if the third party had an alternative means to express him or herself.” V.
anche J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 cap. I, pag. 376 ss.; L.
BENTLY, B. SHERMAN, Intellectual Property Law, supra nota 1 cap. I, pag. 888 ss.; G. TRITTON,
Intellectual Property in Europe, supra nota 91 cap. I, pag. 344ss. Ci siamo già occupati
dell'argomento in 1.3.
25 V. ad es. BMW v. Deenik, Corte di Giustizia Europea, C- 63/97, 23 febbraio 1999; The Gillette
Company, Gillette Group Finland Oy LA-Laboratories Ltd Oy, C- 228/03, 17 marzo 2005; v. a
riguardo K. CEDERLUND, P. HANSSON, Non-traditional Trade Marks: Unauthorised but Permitted
Use, in J. PHILLIPS, I. SIMON, Trade Mark Use, Oxford University Press, 2005, pag. 268 “The
lawfulness or otherwise of use of another's trade mark under Article 6(1)(c) of the Trade Mark
Directive depends on whether that use is necessary to indicate the intended purpose of a
product or service. A use is necessary in order to indicate the intended purpose of a product or
service marketed by the third party, if such use constitutes the only practical means providing
the public with comprehensive and complete information on that intended purpose in order to
197
per usufruire dell'art. 6 l'uso debba esser compiuto nel rispetto delle
oneste pratiche del commercio e che tra le condizioni affinché
queste siano rispettate vi sono quelle indicate dagli artt. 5(1) e
5(2), 2 6 allora la ricomprensione al suo interno degli usi in funzione
critica o parodistica del marchio diventa quanto mai difficile. Se
parte della dottrina ha cercato di introdurre all'interno dell'art. 6 il
bilanciamento dei diritti del titolare del marchio con la libertà
d'espressione, prevedendo una sorta di implicita eccezione per gli
usi da questa protetti e cercando di favorire, in questo modo, il suo
riconoscimento all'interno della normativa sui marchi, ciò non pare
però fornire tangibili benefici a questo scopo. Se un'eccezione per
gli usi parodistici o critici vi deve essere all'interno della normativa
sui marchi, questa dovrebbe esser introdotta non su un piano
interpretativo, ma legislativo, al pari di quanto compiuto dal
legislatore americano, o da quello europeo riguardo al diritto
d'autore; un'introduzione a livello puramente interpretativo rischia
infatti di esser infruttuosa per le ragioni suddette e nella maggior
parte dei casi sembrerebbe meglio optare per il riconoscimento di
una non contraffattività dei summenzionati usi, che comunque
fornirebbe alla libertà d'espressione quel breathing space necessario
alla sua sopravvivenza.
Se la soluzione migliore per sgombrare il campo da ogni dubbio
sarebbe introduzione di un'esenzione per quanto riguarda un uso
preserve the undistorted system of competition in the market for that product.” V. anche M.
MONTEAGUDO, N. PORXAS, Repairs and other specialist services in the light of the ECJ's BMW
ruling, in J. PHILLIPS, I. SIMON, Trade Mark Use, Oxford University Press, 2005; per un
approfondimento delle succitate sentenze e del c.d. referential use si rimanda a 1.3.
26 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 253-254 “Article 6.1 TMDir will not apply if the descriptive use or referential use
is not 'in accordance with honest practices in industrial or commercial matters.' This is
interpreted as a 'duty to act fairly in relation to the legitimate interests of the trade mark
owner,' which is only fulfilled if the use, (a) does not create the 'impression that there is a
commercial connection between the third party and the trade mark owner.' (b) does not take an
unfair advantage of the distinctive character or repute of the trademark, (c) does not discredit
or denigrate the mark, or (d) does not present the third party products as an imitation.”
198
parodistico, critico e/o non-commerciale del marchio all'interno
della legislazione comunitaria, nonostante parte della dottrina sia
favorevole, 2 7 non si intravedono all'orizzonte riforme legislative
orientate in questo senso. Vedremo quindi, nei prossimi paragrafi,
l'applicazione in concreto dei criteri e dei principi, sui quali ci
siamo dilungati nel presente, da parte della giurisprudenza delle
corti europee ed evidenzieremo quegli aspetti, all'interno delle
sentenze di cui ci occuperemo, che ci sembreranno più interessanti
per quanto riguarda i profili ora trattati. Prima di procedere a questo
esame, però, si ritiene necessario accennare ad alcuni aspetti
concernenti
l'utilizzo
dei
marchi
all'interno
del
web,
che
ci
torneranno utili al fine di comprendere alcune delle decisioni, prese
dalle corti sia europee che americane, che hanno avuto ad oggetto
un siffatto uso.
3.3. L'ampliarsi del conflitto tra libertà d'espressione e
prerogative del titolare del marchio nella società di
Internet.
Il conflitto tra libertà d'espressione e diritti dei titolari dei marchi
ha conosciuto un'espansione direttamente proporzionale alla crescita
e alla diffusione di Internet. Come abbiamo avuto modo di
accennare nel corso del secondo capitolo, infatti, per le sue
intrinseche caratteristiche il web rappresenta il mezzo ideale per chi
voglia esprimere un dissenso o una critica nei confronti delle
27 V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 271 “In my opinion, this exception [il riferimento è all'esenzione per noncommercialità dell'uso prevista dall'art. 1125(3) del Lanham Act, n.d.r.] should be an example
for the European trademark law. By creating such an exception trademark law would make
clear that, in line with Article 10 ECHR and the rationales for trademark rights, mixed
expression that is of public interest must, in most cases, be kept out of the reach of trademark
rights.”
199
pratiche
adoperate
dal
titolare
di
un
marchio
o
per
chi
semplicemente intenda compiere una parodia o una satira del
marchio. Già nel corso dei primi due capitoli del nostro studio ci
siamo imbattuti in casi di utilizzo del marchio per fini critici o
parodistici
attraverso
Internet. 2 8
Si
ritiene
dunque
necessario
compiere un focus sulla regolamentazione del web e sui suoi risvolti
per quel che concerne la tutela dei marchi, sia in ambito statunitense
che in ambito europeo.
3.3.1. L'Anticybersquatting Consumer Protection Act negli Stati
Uniti.
Negli Stati Uniti l'utilizzo non autorizzato dei marchi all'interno del
web ha dato vita ad una serie di fenomeni potenzialmente dannosi
per i diritti del trademark holder. Tra questi fenomeni, oggetto del
presente paragrafo, il più diffuso è il c.d. cybersquatting che
consiste nella registrazione, da parte di un terzo, di un domain name
coincidente con un marchio, prima che il titolare di quest'ultimo lo
abbia registrato (come domain name ). Questa pratica viene attuata,
il più delle volte, col fine di vendere, in un secondo momento, il
domain name corrispondente al marchio al titolare di quest'ultimo e
28 Per la giurisprudenza americana v. Lamparello v. Falwell, U.S. Federal Court of Appeals, 4th
Circuit, 420 F.3d 309, 24 agosto 2005, People for the Ethical Treatment of Animals v.
Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 263 F. 2d 359, 23 agosto 2001, Bally
Total Fitness Holding Corp. v. Faber, U.S. District Court, California, 29 F. Supp. 2D 1161, 23
novembre 1998, Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6
marzo 1998; Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24
marzo 1997; OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York,
86 F.Supp.2d 17, 28 febbraio 2000, Ford Motor Co. v. 2600 Enterprises, U.S. District Court,
Michigan, 177 F. Supp. 2D, 20 dicembre 2001, Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S.
District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25 settembre 2000; per quella europea v. invece
Mercier v. Punt.nl., Corte di Amsterdam, 22 dicembre 2009, Olivier Malnuit v. Société
Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30 aprile 2003, Stoppesso.de,
LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, in GRUR 2003, S.A. Société Esso v. Société
Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre 2005.
200
viene definita in dottrina come “classic cybersquatting" . 2 9 Questo
fenomeno, unito ad altri tipi di sfruttamento commerciale del
marchio altrui attraverso Internet, ha spinto il legislatore federale
ad intervenire, in quanto gli strumenti previsti dal
FTDA si
mostravano insufficienti a questo scopo. 3 0 Al fine di prevenire la
registrazione di domain names, corrispondenti ad un altrui marchio,
compiuta in mala fede e con intenti di profitto 3 1 è stato quindi
29 V. G.J.H. SMITH, BIRD & BIRD, Internet Law and Regulation, Sweet & Maxwell, 2002, pag. 78
"Cybersquatters, similarly, register domain names before the trade mark owner have done so,
with a view to exacting price for trasferring the domain name to the trade-mark owner." M.
BARRET, Internet Trademark Suits and the Demise of 'Trademark Use, University of California,
Davis, 2006, pag. 396 "In the 1990s, a number of enterprising individuals registered multiple
domain names consisting of others’ marks, followed by '.com' or another generic top level
domain. In some instances, they proceeded to set up nominal websites under the domain
names. In others, they simply held the domain name registrations, hoping later to sell them at a
profit to the trademark owners. I refer to these actions as 'classic cybersquatting.'" D.S.
WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94 cap. II,
pag. 112. V. anche R.E. SCHECHTER, J.R. THOMAS, Intellectual Property, the Law of Copyrights,
Patents and Trademark, supra nota 4 cap. I, pag. 792.
30 Tra i casi di cybersquatting che si verificarono anche prima dell'emanazione dell'ACPA uno dei
più conosciuti è Panavision International, L.P. v. Toeppen, U.S. Federal Court of Appeals, 9 th
Circuit, 141 F. 3D 1316, 17 aprile 1998, in cui la famosa casa di produzione cinematografica
Panavision citò in giudizio Mr. Toeppen, che aveva registrato il domain name di un sito
(www.panavision.com) nel quale mostrava delle fotografie della città di Pana in Illinois. La
Panavision citò Toeppen per infrazione e diluizione del marchio e il Nono Circuito federale
confermò la tesi della ricorrente, in quanto il marchio Panavision era da considerarsi famoso e
quindi passibile di diluizione che d'altronde, secondo la Corte, si era verificata in quanto l'uso
fatto da Toeppen diminuiva “the capacity of the Panavision marks to identify and distinguish
Panavision's goods and services on the Internet.” Inoltre l'uso compiuto da Toeppen venne
considerato come commerciale in quanto egli stesso si era proposto di vendere il domain name
alla Panavision. Se in questa causa gli strumenti forniti dal FTDA si dimostrarono bastevoli per
tutelare gli interessi del trademark holder, dopo questa sentenza i c.d. cybersquatters
prestarono maggior attenzione nel cercare di evitare responsabilità civili per le loro azioni;
questo è quanto sottolineato nel Senate Report n. 106-140, 5 agosto 1999 “While the [FTDA]
has been useful in pursuing cybersquatters, cybersquatters have become increasingly
sophisticated as the case law has developed and now take the necessary precautions to
insulate themselves from liability. For example, many cybersquatters are now careful to no
longer offer the domain name for sale in any manner that could implicate liability under
existing trademark dilution case law. And, in cases of warehousing and trafficking in domain
names, courts have sometimes declined to provide assistance to trademark holders, leaving
them without adequate and effective judicial remedies. This uncertainty as to the trademark
law's application to the Internet has produced inconsistent judicial decisions and created
extensive monitoring obligations, unnecessary legal costs, and uncertainty for consumers and
trademark owners alike.” Questo Report del Senato viene riportato in Sporty's Farm v.
Sportsman's Market, Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 202 F.3d 489, 2 febbraio
2000 in cui si afferma altresì che “In short, the ACPA was passed to remedy the perceived
shortcomings of applying the FTDA in cybersquatting cases.”
31 V. ibid., pag. 155; J. LIPTON, Internet, Domain names, Trademarks and Free Speech, Edward
Elgar, 2010, pag. 22.
201
emanato nel 1999 l'Anticybersquatting Consumer Protection Act
(ACPA) che, inserito all'interno del Lanham Act, afferma:
“A person shall be liable in a civil action by the owner of a mark,
including a personal name which is protected as a mark under this
section, if, without regard to the goods or services of the parties,
that person—
(i) has a bad faith intent to profit from that mark, including a
personal name which is protected as a mark under this section; and
(ii) registers, traffics in, or uses a domain name that—
(I) in the case of a mark that is distinctive at the time of
registration of the domain name, is identical or confusingly similar
to that mark;
(II) in the case of a famous mark that is famous at the time of
registration of the domain name, is identical or confusingly similar
to or dilutive of that mark; or
(III) is a trademark, word, or name protected by reason of section
706 of title 18 or section 220506 of title 36.” 3 2
Questo articolo presenta molti aspetti interessanti per il nostro
studio; in esso infatti viene ritenuto civilmente responsabile chi
registri, traffichi o usi un domain name identico, o dotato di una
somiglianza tale da ingenerare confusione nel pubblico, ad un
marchio del quale non sia titolare. Viene inoltre precisato che,
qualora il marchio usato o registrato come domain name sia identico
o confusoriamente simile ad un marchio famoso, verrà sanzionata
altresì la condotta di colui che, attraverso il domain name, determini
una
diluizione
del
marchio.
Affinché
queste
condotte
siano
sanzionabili è però necessario che venga dimostrata una mala fede
di chi abbia compiuto la registrazione del domain name orientata
32 Lanham Act, art. 1125(d)(1)(A).
202
alla ricerca di un profitto. I fattori non-esclusivi che devono esser
presi in considerazione dalle corti nella determinazione della mala
fede del resistente sono indicati dallo stesso Lanham Act. 3 3
L'ACPA va comunque al di là di una prevenzione del c.d. classic
cybersquatting , essendo stato utilizzato dalle corti americane anche
per quel che riguarda usi parodistici o critici del marchio, che più
da vicino riguardano il tema della nostra trattazione. Nello stesso
articolo, nel quale vengono indicati i fattori che le corti dovrebbero
prendere in considerazione per stabilire la mala fede del resistente,
vi è infatti la previsione dell'intento di “divert consumers from the
mark owner ’s online location to a site accessible under the domain
name that could harm the goodwill represented by the mark, either
for commercial gain or with the intent to tarnish or disparage the
mark, by creating a likelihood of confusion as to the source,
sponsorship, affiliation, or endorsement of the site.” 3 4
33 V. Lanham Act, art. 1125(d)(1)(B)”(i) In determining whether a person has a bad faith intent
described under subparagraph (A), a court may consider factors such as, but not limited to (I)
the trademark or other intellectual property rights of the person, if any, in the domain name;
(II) the extent to which the domain name consists of the legal name of the person or a name
that is otherwise commonly used to identify that person; (III) the person’s prior use, if any, of
the domain name in connection with the bona fide offering of any goods or services; (IV) the
person’s bona fide noncommercial or fair use of the mark in a site accessible under the domain
name; (V) the person’s intent to divert consumers from the mark owner’s online location to a
site accessible under the domain name that could harm the goodwill represented by the mark,
either for commercial gain or with the intent to tarnish or disparage the mark, by creating a
likelihood of confusion as to the source, sponsorship, affiliation, or endorsement of the site;
(VI) the person’s offer to transfer, sell, or otherwise assign the domain name to the mark owner
or any third party for financial gain without having used, or having an intent to use, the
domain name in the bona fide offering of any goods or services, or the person’s prior conduct
indicating a pattern of such conduct; (VII) the person’s provision of material and misleading
false contact information when applying for the registration of the domain name, the person’s
intentional failure to maintain accurate contact information, or the person’s prior conduct
indicating a pattern of such conduct; (VIII) the person’s registration or acquisition of multiple
domain names which the person knows are identical or confusingly similar to marks of others
that are distinctive at the time of registration of such domain names, or dilutive of famous
marks of others that are famous at the time of registration of such domain names, without
regard to the goods or services of the parties; and (IX) the extent to which the mark
incorporated in the person’s domain name registration is or is not distinctive and famous
within the meaning of subsection (c). (ii) Bad faith intent described under subparagraph (A)
shall not be found in any case in which the court determines that the person believed and had
reasonable grounds to believe that the use of the domain name was a fair use or otherwise
lawful.”
34Ibid.
203
L'emanazione dell'ACPA fornisce quindi al titolare del marchio
un'ulteriore arma per combattere quegli usi diluitivi del marchio nel
web, per quanto il TDRA rimanga, comunque sia, un utile strumento
nel perseguimento di questo scopo. 3 5
Gli usi diluitivi del marchio altrui in Internet avvengono il più delle
volte attraverso i c.d. gripe site, ossia siti web che si propongono di
criticare un determinato brand. 3 6 Nella giurisprudenza americana si
possono rinvenire due diverse tipologie di casi che coinvolgono una
possibile diluizione del marchio in Internet attraverso una critica
del marchio stesso o dei prodotti o servizi da esso contrassegnati .
Una
prima
tipologia
riguarda
l'utilizzo
del
marchio
nella
registrazione di un domain name tale e quale, senza l'aggiunta di
altri termini. A riguardo possiamo citare ad esempio Planned
Parenthood , 3 7
Jews
for
Jesus , 3 8
OBH, 3 9
PETA, 4 0
Northland
Insurance, 4 1 Falwell. 4 2 A questi casi abbiamo già accennato nel
corso del II capitolo, quando ci siamo occupati della definizione
della nozione di uso del marchio nel commercio. Le prime tre delle
cause citate non contemplano però l'applicazione dell'ACPA; 4 3 l'uso
35 V. J. LIPTON, Internet, Domain names, Trademarks and Free Speech, supra nota 31, pag. 24
“Thus the introduction of the ACPA without a clear legislative intent that it would replace
infringement and dilution actions in domain space now simply adds another string to a trademark's holder bow. Instead of streamlining litigation, plaintiff trade-mark holders can now
plead the ACPA, trademark infringement, and dilution, in the alternative.”
36 Ibid.; v. anche M.P. FOX, Does It Really Suck?: The Impact of Cutting-Edge Marketing Tactics
on Internet Trademark Law and Gripe Site Domain Name Disputes, Fordham Intell. Prop.
Media & Ent. L. J., 2009, pag. 232 “Dissatisfied consumers have discovered that the Internet is
a vast field over which they can express their discontent. Creating a consumer gripe website is
one means of using the Internet to criticize a company. These gripe sites abound with stories
of corruption, fraud, and customer mistreatment.”
37 Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997.
38 Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998.
39 OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 86 F.Supp.2d
17, 28 febbraio 2000.
40 People for the Ethical Treatment of Animals v. Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4th
Circuit, 263 F. 2d 359, 23 agosto 2001.
41 Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25
settembre 2000.
42 Lamparello v. Falwell, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 420 F.3d 309, 24 agosto
2005.
43 Planned Parenthood e Jews for Jesus vennero decise prima dell'emanazione dell'ACPA,
204
del marchio in siti web, di per sé non prettamente commerciali, ma
nei quali vi erano altresì links che rimandavano a siti dotati di tali
caratteristiche,
venne
considerato,
come
abbiamo
analizzato
precedentemente, come un uso commerciale del marchio anche se
finalizzato ad attività di fund-raising . 4 4 Queste considerazioni
possono essere in parte trasposte anche per quanto riguarda l'analisi
di
altri
casi
decisi,
invece,
anche
sotto
l'ottica
dell'ACPA.
L'applicazione dei principi stabiliti in Planned Parenthood , Jews
for Jesus e OBH può esser riscontrata ad esempio nel caso PETA:
l'uso compiuto da Mr. Doughney del marchio PETA, per il domain
name di un sito dove si inneggiava al consumo di carne e all'uso di
prodotti derivati da animali, venne ritenuto commerciale in quanto
prevedeva numerosi links ad altri siti presso i quali avveniva la
vendita di tali prodotti. Mr. Doughney fu inoltre ritenuto in mala
fede secondo tutti i parametri indicati dal Lanham Act ed, in
particolar modo, venne considerato responsabile del c.d. classic
cybersquatting in quanto aveva offerto al titolare del marchio PETA
di comprare il dominio Internet da egli registrato. 4 5
mentre OBH, pur essendo stata decisa successivamente, non contempla l'applicazione
dell'ACPA, nonostante la sua retroattività affermata in Sporty's Farm v. Sportsman's Market,
Inc., U.S. Federal Court of Appeals, 2nd Circuit, 202 F.3d 489, 2 febbraio 2000 (v. in merito alla
retroattività D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra
nota 94 cap. II, pag. 427). Ciò in quanto il ricorrente non ha avanzato alcuna richiesta per
l'applicazione dell'ACPA; v. OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western
District, New York, 86 F.Supp. 2d 17, 28 febbraio 2000 "The Court notes that, on November
18, 1999, while this case was pending, the Anticybersquatting Consumer Protection Act
("ACPA"), Pub.L. No. 106-113, 15 U.S.C. s 1125(d), was enacted. The Second Circuit has
recently held that the ACPA applies retroactively to pending cases. Sporty's Farm, 202 F.3d
489, 496. The Court expresses no opinion as to whether plaintiffs would have a viable ACPA
claim under the facts of this case. In any event, plaintiffs have not moved to amend their
complaint to add an ACPA claim. Thus, the Court will not consider such a claim at this time."
44 V. 2.2.1.2. e 2.2.2. V. anche D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and
International Law, supra nota 94 cap. II, pag. 276 "One concern with Web sites contaning
critical commentary is whether the use constitutes a 'commercial' use of the mark, particularly
when the purpose is to comment on the business of the well-known mark owner. In most cases,
relying on links to money-raising venrues or solicitations of funds, courts have found a
commercial use."
45 V. People for the Ethical Treatment of Animals v. Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th
Circuit, 263 F. 2d 359, 23 agosto 2001 “The district court reviewed the factors listed in the
statute and properly concluded that Doughney (I) had no intellectual property right in
peta.org; (II) peta.org is not Doughney's name or a name otherwise used to identify Doughney;
205
In controtendenza rispetto a queste decisioni è necessario indicare
invece Northland Insurance 4 6 e Falwell. 4 7 Nel primo caso la
registrazione di un domain name corrispondente al marchio di una
compagnia assicurativa, col fine di dar vita ad un sito web in cui
ospitare le lamentele di clienti delusi dai servizi da questa offerti,
non venne considerato né come uso commerciale 4 8 né venne
riscontrata un bad faith intent to profit . Pur ricorrendo alcuni dei
fattori non esclusivi indicati dall'art. 1125(d)(1)(B) del Lanham Act,
infatti, pesarono in maniera determinante a favore del resistente il
fatto
che
il
sito
fosse
puramente
non-commerciale,
e,
di
conseguenza anche l'uso compiuto del marchio stesso, e che il suo
ideatore non avesse cercato di vendere il dominio alla ricorrente. 4 9
46
47
48
49
(III) Doughney had no prior use of peta.org in connection with the bona fide offering of any
goods or services; (IV) Doughney used the PETA Mark in a commercial manner; (V)
Doughney "clearly intended to confuse, mislead and divert internet users into accessing his
web site which contained information antithetical and therefore harmful to the goodwill
represented by the PETA Mark"; (VI) Doughney made statements on his web site and in the
press recommending that PETA attempt to "settle" with him and "make him an offer"; (VII)
Doughney made false statements when registering the domain name; and (VIII) Doughney
registered other domain names that are identical or similar to the marks or names of other
famous people and organizations." In merito v. G.J.H. SMITH, BIRD & BIRD, Internet Law and
Regulation, supra nota 29, pag. 159; J. LIPTON, Internet, Domain names, Trademarks and Free
Speech, supra nota 31, pag. 28.
Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25
settembre 2000.
Lamparello v. Falwell, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 420 F.3d 309, 24 agosto
2005.
Di questa caso ci siamo già occupati in 2.2.3.
V. Northland Insurance Cos. v. Blaylock, U.S. District Court, Minnesota, 115 F. Supp. 2D, 25
settembre 2000 “While the first three factors support a finding of bad faith intent (defendant
possessed no intellectual property rights in this domain name when he registered it, it is not
defendant’s legal name nor does it otherwise identify defendant, and defendant had not
engaged in prior use of the domain name in connection with prior offering of goods or
services), the court finds that the fourth factor, noncommercial use, strongly weighs in
defendant’s favor since there is no direct evidence of commercial use. Plaintiff argues that
defendant has used this domain name for commercial purposes in that he ultimately seeks to
sell it to plaintiff. The record, however, does not indicate any attempt to sell this domain name
on defendant’s part. Defendant has never expressly offered to sell the domain site to plaintiff
and has never used the web site for anything other than commentary. The next two factors
(intent to divert for commercial gain or to tarnish, and any offers to sell) weigh against a
finding of bad faith because, while defendant admits he intends to attract Internet users
interested in plaintiff’s business, the record does not reflect that he does so for commercial
purposes or to tarnish, and the record does not reflect that defendant sought financial gain
through an offer to sell this domain name. […] While the evidence indicates that defendant has
perhaps exhibited bad intent in setting up this web site to criticize plaintiff’s business
practices, his “intent to profit,” is not sufficiently discernable at this stage and presents an
206
Un altro caso in qualche modo simile è Lamparello v. Falwell ; in
esso la registrazione di un sito (www.fallwell.com ), con un dominio
di per sé leggermente diverso dal nome del reverendo Falwell,
registrato da quest'ultimo altresì come marchio, nel quale venivano
aspramente criticate le posizioni omofobe di quest'ultimo, non venne
considerato censurabile. Infatti venne riconosciuto il carattere
prettamente critico del sito nei confronti delle discutibili idee del
reverendo Falwell e ciò non venne ritenuto sminuito dal fatto che
nel sito medesimo fosse contenuto un link al sito Amazon.com nel
quale era offerto in vendita un libro. 5 0 Decisioni simili alle ultime
due che abbiamo esaminato sono TMI, Inc. v. Maxwell 5 1 e Lukas
Nursery & Landscaping v. Grosse. 5 2 In Lamparello v. Falwell viene
poi sottolineato energicamente dalla corte come il fine dell'ACPA
non sia quello di limitare la critica su Internet, quanto invece quello
di evitare il c.d. classic cybersquatting e le registrazioni multiple di
domini. 5 3 Un fattore tenuto in forte considerazione dalle corti
issue that seems best resolved by the trier of fact.”
50 Lamparello v. Falwell, U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 420 F.3d 309, 24 agosto 2005
“After close examination of the undisputed facts involved in this case, we can only conclude
that Reverend Falwell cannot demonstrate that Lamparello "had a bad faith intent to profit
from using the [www.fallwell.com] domain name." PETA, 263 F.3d at 367. Lamparello clearly
employed www.fallwell.com simply to criticize Reverend Falwell’s views. Factor IV of the
ACPA, 15 U.S.C. § 1125(d)(1) (B)(i)(IV), counsels against finding a bad faith intent to profit in
such circumstances because "use of a domain name for purposes of comment, [and] criticism,"
H.R. Rep. No. 106-412, 1999 WL 970519, at *11, constitutes a "bona fide noncommercial or
fair use" under the statute, 15 U.S.C. § 1125(d)(1)(B)(i)(IV). That Lamparello provided a link
to an Amazon.com web-page selling a book he favored does not diminish the communicative
function of his website. The use of a domain name to engage in criticism or commentary "even
where done for profit" does not alone evidence a bad faith intent to profit, H.R. Rep. No. 106412, 1999 WL 970519, at *11, and Lamparello did not even stand to gain financially from
sales of the book at Amazon.com. Thus factor IV weighs heavily in favor of finding Lamparello
lacked a bad faith intent to profit from the use of the domain name.”
51 TMI, Inc. v. Maxwell, U.S. Federal Court of Appeals, 5th Circuit, 26 aprile 2004, in cui il
resistente registrò un sito (www.trendmakerhome.com) che differiva solo di una lettera da
quello del ricorrente (www.trendmakerhomes.com) per lamentarsi del cattivo servizio ricevuto
dalla TMI.
52 Lukas Nursey & Landscaping v. Grosse, U.S. Federal Court of Appeals, 6 th Circuit, 359 F. 3d.,
5 marzo 2004, in cui un consumatore, Mr. Grosse, aveva aperto sito (www.lucasnursey.com) in
cui esprimeva la propria insoddisfazione per il servizio offerto dalla Lukas Nursey, titolare del
sito (www.lukasnursey.com).
53 Ibid."The paradigmatic harm that the ACPA was enacted to eradicate' is 'the practice of
cybersquatters registering several hundred domain names in an effort to sell them to the
legitimate owners of the mark.' Lucas Nursery & Landscaping, Inc. v. Grosse, 359 F.3d 806,
207
americane nello statuire un bad faith intent to profit è infatti anche
il numero di domini registrati dal resistente. 5 4 Se quest'ultimo,
difatti, come accaduto nel caso PETA e al contrario di Lamparello
v. Falwell, TMI, Inc. v. Maxwell, Lukas Nursery & Landscaping v.
Grosse,
ha
registrato
un
alto
numero
di
domini,
diviene
maggiormente probabile che la corte reputi questa sua attività come
segno di un bad faith intent to profit . Ciò è avvenuto ad esempio nel
caso Coca-Cola Company LLC v. Purdy, in cui il resistente aveva
registrato una settantina di domain names utilizzando celebri marchi
(v. ad esempio drinkcoke.org, mycoca-cola.com, mymcdonalds.com,
mypepsi.org,
my-washingtonpost.com );
in
caso
di
accesso
ai
corrispondenti siti si veniva poi reindirizzati ad altri siti dedicati al
sostegno di campagne anti-abortiste, nei quali inoltre avveniva
un'attività di fund-raising, attraverso la vendita di magliette e
cappellini. 5 5 Nella decisione della corte, sfavorevole a Purdy, influì
810 (6th Cir. 2004). The Act was also intended to stop the registration of multiple marks with
the hope of selling them to the highest bidder, "distinctive marks to defraud consumers' or 'to
engage in counterfeiting activities,' and "well-known marks to prey on consumer confusion by
misusing the domain name to divert customers from the mark owner’s site to the
cybersquatter’s own site, many of which are pornography sites that derive advertising revenue
based on the number of visits, or ‘hits,’ the site receives.' S. Rep. No. 106-140, 1999 WL
594571, at *5-6. The Act was not intended to prevent 'noncommercial uses of a mark, such as
for comment, criticism, parody, news reporting, etc.,' and thus they 'are beyond the scope' of
the ACPA.”
54 Questa presa di posizione effettuata dal IV Circuito Federale in Lamparello v. Falwell viene
criticata da Lipton in J. LIPTON, Internet, Domain names, Trademarks and Free Speech, supra
nota 31, pag. 29 “It is difficult to see how the multiple registrations of other domain names
have any bearing on the use of a domain name corresponding to the plaintiff's mark where, in
fact, the defendant is actually utilizing the name for an expressive purpose.”
55 La corte ritenne Purdy responsabile di cybersquatting anche se nei siti da lui registrati non
venivano criticati i marchi utilizzati come domain names ma si rimandava invece a siti antiabortisti; l'uso dei marchi famosi come domain names era finalizzato quindi più che altro ad
attrarre il maggior numero possibile di internauti; v. Coca-Cola Company LLC v. Purdy, U.S.
Federal Court of Appeals, 8th Circuit, 382 F. 3d 774, 1 settembre 2004 “The first four statutory
factors do not appear to weigh against a finding that Purdy had a bad faith intent. He has no
legal rights in any of the marks that his domain names incorporate. See 15 U.S.C. § 1125(d)
(1)(B)(i)(I). He is not known by any of the names, and he has never previously used any of
them in the offering of goods or services. See id. at (II)-(III). While the evidence suggests that
Purdy has made some noncommercial or fair use of the plaintiffs' marks in critical
commentary sites accessible under the domain names, prior to the filing of this lawsuit he
principally attached the names to antiabortion websites that made no mention of plaintiffs
whatsoever. See id. at (IV). These websites can not be considered to be completely
noncommercial since they directly solicited monetary contributions and offered various
208
il
fatto
che
quest'ultimo
tentò
di
ottenere,
in
cambio
della
cessazione dell'uso del marchio Washington Post, degli spazi
dedicati alla sua causa all'interno del celebre quotidiano. 5 6 L'uso
fatto
da
Purdy
dei
suddetti
marchi,
inoltre,
venne
ritenuto
concretizzante una fattispecie di tarnishment, in quanto questi
venivano associati ad una netta presa di posizione su di un tema
caldo come può esser quello dell'aborto negli Stati Uniti. 5 7
Una seconda tipologia di gripe sites è poi quella in cui vengono
associate al marchio parole come “ sucks”, “boycott” , o “blows”
attraverso le quali viene dichiarato l'intento critico del sito stesso. 5 8
La rete abbonda di questa tipologia di gripe sites 5 9 e molte volte
56
57
58
59
antiabortion merchandise for sale. See id. Even after Purdy attached the domain names to his
own critical commentary sites, he continued to provide links to sites that solicit funds for the
antiabortion movement and sell merchandise. Such use of the domain names would apparently
profit the organizations of Purdy's choice, and nothing in the ACPA suggests that Congress
intended to allow cybersquatters to escape the reach of the act by channeling profits to third
parties. These factors support the district court's finding that plaintiffs were likely to establish
Purdy's bad faith intent to profit from the marks. “
Ibid. “Furthermore, the record shows that just days after Purdy began registering and using
the domain names at issue in this case, he apparently offered to stop using the Washington Post
domain names in exchange for space on the editorial page in that newspaper. A proposal to
exchange domain names for valuable consideration is not insignificant in respect to the issue
of bad faith intent to profit.”
Ibid. “It appears that he registered many of these domain names not because of stands the
plaintiffs had taken on abortion, but rather to divert Internet users to websites that could
tarnish and disparage their marks by creating initial confusion as to the sponsorship of the
attached websites and implying that their owners have taken positions on a hotly contested
issue.”
V. M.P. FOX, Does It Really Suck?: The Impact of Cutting-Edge Marketing Tactics on Internet
Trademark Law and Gripe Site Domain Name Disputes, supra nota 36, pag. 232 “Many gripe
sites’ domain names take the form of '[trademark]sucks.com.' In fact, the 'sucks' moniker is the
most popular denigrating term used in gripe site domain names. However, other gripe site
formats include '[trademark]stinks.com,' '[trademark]bites.com,' 'boycott[trademark].com,'
'[trademark]blows.com,' and 'ihate[trademark].com.' Using a company’s trademark in the
domain name is strategic because it will attract just the audience the website creator intends to
reach.” V. anche D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law,
supra nota 94, pag. 277.
V. R.D. PETTY, The World Wide Web vs. National Trademark Laws, Protecting the Brand in
Global Commerce, International Trade & Academic Research Conference (ITARC), Londra
2010,
disponibile
su
http://abrmr.com/pdf/The%20World%20Wide%20Web%20Vs.
%20National%20Trademark%20Laws%20-%20Protecting%20the%20Brand%20i%20Global
%20Commerce%20-%20Ross%20D%20Petty.pdf “Recent studies suggest that of Business
Week’s top 100 brands, 45 have complaint sites and 30 of those have more than one complaint
site (Krishnamurthy and Kucuk 2009). In 2008, a study of the Global 500 and Fortune 500
company names along with the top 100 brands found that only 20% of those names had '-
209
questi casi sono altresì giunti nelle aule di tribunale. In merito
possiamo citare ad esempio Bally Total Fitness Holding Corp. v.
Faber,
nel
quale
il
resistente
aveva
registrato
un
sito
(www.ballysucks.com ) all'interno del quale si lamentava del se rvizio
resogli dal centro benessere Bally Total Fitness . In questo caso,
deciso prima dell'emanazione dell'ACPA, 6 0 la corte affermò che
l'uso compiuto del marchio Bally da Mr. Faber era da considerarsi
non-confusorio ,
non-commerciale
e,
seppur
critico,
non
diffamatorio nei confronti del suo titolare. Per queste ragioni la
corte respinse le richieste della ricorrente. 6 1 Per quel che riguarda
casi
decisi
dopo
l'emanazione
dell'ACPA
possiamo
citare
Enterprises, Lucent Techs., Inc. v. Lucentsucks.com, 6 2 Fairbanks
Capital Corp. v. Kenney, 6 3 Smith v. Wal-Mart 6 4 In tutti questi casi le
corti
hanno
evidenziato
il
carattere
meramente
critico
o
parodistico 6 5 dei siti registrati dai resistenti e non hanno riscontrato
60
61
62
63
64
65
sucks' sites that were not owned by the brand name owner. A total of nearly 20,000 websites at
that time ended with 'sucks.com' making this the most common complaint site designation.
About 2000 domains ended with 'stinks.com' and about as many started with 'boycott.'”
V. anche Ford Motor Co. v. 2600 Enterprises, U.S. District Court, Michigan, 177 F. Supp. 2D,
20 dicembre 2001; pur se successivo all'ACPA, la corte non ne tenne conto in quanto la
ricorrente non aveva presentato reclamo a riguardo; di questa causa ci siamo comunque già
occupati in 2.2.3.
V. Bally Total Fitness Holding Corp. v. Faber, U.S. District Court, California, 29 F. Supp. 2D
1161, 23 novembre 1998.
Lucent Techs., Inc. v. Lucentsucks.com, U.S. District Court, Virginia, 95 F. Supp. 2D 528, 3
maggio 2000. Il caso riguarda la registrazione del dominio Internet Lucentsucks.com in cui
venfono criticati i prodotti e i servizi forniti dalla Lucent Tecnologies.
Fairbanks Capital Corp. v. Kenney,, U.S. District Court, Maryland, 303 F.Supp. 2d 583, 6
maggio 2003. Il caso riguarda la registrazione di una serie di domini Internet da parte di un
cliente insoddisfatto dei servizi forniti da Fairbanks. Tutti questi domini (boafairbanks.com;
fairbankscomplaint.com;
www.fairbankscapitalcomplaint.com;
citi-fairbanks.com;
bankofamericafairbanks.com;
fairbankscapital.net;
fairbankssucks.com;
fairbankscapitalsucks.com) rimandavano ad un altro sito conti-fairbanks.com in cui venivano
appunto criticati i servizi resi dalla banca.
Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2D 1302, 20 marzo 2008. di
questa causa abbiamo già trattato in 2.2.3.
V. Fairbanks Capital Corp. v. Kenney,, U.S. District Court, Maryland, 303 F.Supp. 2d 583, 6
maggio 2003 “Contrary to Fairbanks' assertions that Kenney is guilty of a 'bad faith attempt to
profit' from his use of the 'FAIRBANKS' mark, Kenney's overarching motivation for creating
and maintaining the website is to voice his strong criticisms about Fairbanks, provide a forum
for others to voice criticisms, and, if possible, prevent others from ending up in his situation.”
V. Lucent Techs., Inc. v. Lucentsucks.com, U.S. District Court, Virginia, 95 F. Supp. 2D 528, 3
maggio 2000 “A successful showing that lucentsucks.com is effective parody and/ or a cite for
210
un bad faith intent to profit, secondo i parametri indicati dall'art.
1125(d)(1)(B) del Lanham Act, 6 6 né una possibilità di confusione tra
i siti registrati e l'attività dei titolari dei marchi utilizzati nei
domain names . 6 7
Un ulteriore utilizzo del marchio su Internet è poi quello che
avviene attraverso i c.d. metatags. Per metatag si intendono delle
parti di codice che, invisibili all'utente di Internet, consentono di
individuare, tramite i motori di ricerca, le pagine web. 6 8 Questo uso
può causare diluizione del marchio se quest'ultimo venga posto
come metatag di determinati tipi di siti. Se ad esempio un
internauta, che sia alla ricerca di un sito legato ad un determinato
marchio, ad esempio Louis Vuitton, digiti il nome del marchio e tra
risultati gli compaia altresì un sito web pornografico, in quanto i
titolari di quest'ultimo hanno in precedenza inserito il marchio
Louis Vuitton come metatag , allora questo uso può dar vita ad una
critical commentary would seriously undermine the requisite elements for the causes of action
at issue in this case.”
66 V. Fairbanks Capital Corp. v. Kenney,, U.S. District Court, Maryland, 303 F. Supp. 2d 583, 6
maggio 2003 “Fairbanks is not entitled to injunctive relief as to its claim alleging a violation
of the ACPA as Fairbanks has failed to establish defendants''bad faith' intent to profit as
required by the statute.” E' in questo caso interessante come la corte si sia espressa in questi
termini nonostante la registrazione multipla di domini da parte del resistente (cfr. Coca-Cola
Company LLC v. Purdy, U.S. Federal Court of Appeals, 8 th Circuit, 382 F. 3d 774, 1 settembre
2004).
67 V. Smith v. Wal-Mart Stores, Inc., U.S. District Court, N.D. Georgia, 475 F. Supp. 2d, 20 marzo
2008 “To prove that Smith committed trademark infringement or cybersquatting, or subjected
Wal-Mart to unfair competition or deceptive trade practices, Wal-Mart must also show that
Smith’s use of its trademarks is likely to cause an appreciable number of potential buyers to
be confused about the source, affiliation or sponsorship of Smith’s products. […] The Court
thus concludes that Smith’s concepts adequately evoke Wal-Mart while maintaining their
differentiation, and they convey Smith’s satirical commentary; thus, they are successful
parodies. The finding that Smith’s concepts are parodies does not preclude the likelihood of
confusion analysis, however; it merely influences the way the likelihood of confusion factors
are applied. […] In sum, the Court is convinced that no fair-minded jury could find that a
reasonable consumer is likely to be confused by the challenged marks.” Possiamo notare come
in questa causa la Corte ponga l'accento sul fatto che il fine parodistico debba aver il suo peso
nel determinare la likelihood of confusion nella mente del consumatore.
68 V. M. BARRET, Internet Trademark Suits and the Demise of 'Trademark Use, supra nota 29, pag.
423-424 “Website operators have also made unauthorized reproductions of others’ marks in
metatags. Metatags consist of HTML code integrated into a website, which is invisible to
website visitors but can be read by search engines. The metatags are meant to communicate
the contents of a website to Internet search engines by means of a short description and
'keywords.'”
211
fattispecie di tarnishment, qualora il metatag associ il marchio a siti
di dubbia moralità, come nell'esempio proposto. 6 9 Comunque, se il
nome di un marchio viene inserito come metatag di un sito di critica
o parodia del marchio stesso (c.d. gripesite metatagging ) questo uso
non sarà definito come al di fuori della legge. 7 0 A conferma di ciò vi
è il caso Bihari v. Gross, in cui un cliente insoddisfatto dei servizi a
lui resi da una ditta di interior design, oltre a costituire dei siti in
cui si lamentava dei suddetti servizi, senza però citare il marchio
della ricorrente, al fine di indirizzare l'internauta ad essi, creò
altresì dei metatags utilizzando il marchio Bihari Interior. La corte
chiamata a decidere affermò che l'uso del marchio in un metatag,
per richiamare ad un sito in cui si critica il servizio offerto dal
titolare del marchio stesso, non può esser definito come uso
commerciale del marchio. 7 1
69 V. D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota 94,
pag. 279 "When the second user has a legitimate purpose for using the metatag, courts have
found that to be a fair use and not actionable. If the use were completely unrelated, or used for
an unscrupulous purpose, such as directing people to a pornographic web site, then this
misuse of a metatag could be held actionable as an infringement under a theory of 'initial
interest' confusion. Conceivably, it could be actionable as tarnishment if it directs people who
input the mark into a search engine to an unsavory web site.”
70 V. M. BARRET, Internet Trademark Suits and the Demise of 'Trademark Use, supra nota 94, pag.
425 “no one doubts that members of an organization dedicated to workers’ rights have a right
to picket the front of XYZ Co. to complain about abuse of workers, and there is little question
that those picketers have a right to use XYZ’s name and mark on their picket signs. If such an
organization were to set up a website describing XYZ by mark and name and setting forth the
same critical commentary, it should be able to include XYZ’s mark in metatags, to ensure that
Internet users seeking information on XYZ Co. will retrieve the address of the organization’s
website, regardless of whether this causes commercial harm to XYZ Co. The reference to the
mark in metatags describes the contents of the website and proposes no commercial
transaction.”
71 V. Bihari v. Gross, U.S. District Court, New York, 119 F. Supp. 2d. 309, 25 settembre 2001
“Bihari has failed to demonstrate a likelihood of success on the merits of this claim because
Gross's use of the 'Bihari Interiors' mark in the metatags is not likely to cause confusion and is
protected as a fair use.” Ciò poiché la corte afferma che questo uso del metatag è un uso
descrittivo, protetto quindi come descriptive fair use; v. ibid. “Here, Gross has included
'Bihari Interiors' in the metatags of his websites because the websites provide information
about Bihari Interiors and Marianne Bihari. Gross has not used the terms 'Bihari Interiors'
and 'Bihari' in the metatags as a mark, but rather, to fairly identify the content of his websites.
In short, Gross uses the 'Bihari Interiors' mark in its descriptive sense only. Moreover, use of
the 'Bihari Interiors' mark in the metatags of his websites is the only way Gross can get his
message to the public. A broad rule prohibiting use of 'Bihari Interiors' in the metatags of
websites not sponsored by Bihari would effectively foreclose all discourse and comment about
Bihari Interiors, including fair comment. Courts must be particularly cautious of
212
Possiamo
quindi
notare,
dall'analisi
fin
qui
compiuta
della
giurisprudenza, come le corti americane, se si esclude Planned
Parenthood, OBH e Jews for Jesus, abbiano garantito uno spazio
abbastanza
ampio
atteggiamento
non
alla
libertà
di
critica
ha
subito
modifiche
sul
dopo
web.
Questo
l'emanazione
dell'ACPA, che ha avuto come obbiettivo primario, dichiarato dal
Congresso stesso, quello di impedire il c.d. classic cybersquatting
denotato da un profitto finanziario 7 2 derivante dalla vendita di
domain names, identici ad un marchio registrato, ai titolari di
quest'ultimo e non quello di restringere la libertà di critica o
parodia sul web. 7 3 Ciononostante in alcuni casi dei casi analizzati
come Coca-Cola Company LLC v. Purdy e PETA, le corti hanno
affermato che gli internauti avrebbero potuto ritenere esistente,
secondo il V dei parametri posti dall'art. 1125(d)(1)(B) per stabilire
l'esistenza di un bad faith intent to profit, una “likelihood of
confusion as to source sponsorship, affiliation, or endorsement” 7 4
tra il sito e i titolari dei marchi utilizzati. 7 5 Si può osservare, però,
come in un mondo in cui il numero di utenti della rete si sta
ampliando sempre di più e in cui oramai, a vent'anni dalla nascita di
72
73
74
75
overextending the reach of the Lanham Act and intruding on First Amendment values.”
Nonostante ciò il fatto che nei siti registrati da Gross fossero presenti links ad altri siti di ditte
di interior design concorrenti della ricorrente fece però si che un uso, di per sè non
commerciale, fosse ritenuto dalla corte come commerciale; v. ibid. “However, the Gross
websites contain hyperlinks to other websites which promote the services of other interior
designers. The Gross websites effectively act as a conduit, steering potential customers away
from Bihari Interiors and toward its competitors, thereby transforming his otherwise protected
speech into a commercial use.”
V. M. BARRET, Domain Names, Trademarks and the First Amendment: Searching for
Meaningful Boundaries, supra nota 38 cap. II, pag. 1043.
V. ibid., pag. 1033-1036.
Lanham Act, art. 1125(d)(1)(B).
Per Coca-Cola Company LLC v. Purdy, U.S. Federal Court of Appeals, 8th Circuit, 382 F. 3d
774, 1 settembre 2004 v. supra nota 55; People for the Ethical Treatment of Animals v.
Doughney, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit, 263 F. 2d 359, 23 agosto 2001
“Doughney knowingly provided false information to NSI upon registering the domain name,
knew he was registering a domain name identical to PETA's Mark, and clearly intended to
confuse Internet users into accessing his website, instead of PETA's official website.
Considering the evidence of Doughney's bad faith, the safe harbor provision can provide him
no relief.”
213
Internet, gli internauti sono diventati sempre più smaliziati, è
difficile credere che la maggior parte di loro, capitati ad esempio su
uno dei siti registrati da Purdy, rimandanti a loro volta a siti antiabortisti, possano credere che grandi società come la Coca-Cola o
famosi giornali come il Washington Post si espongano in tal modo a
sostegno di siffatte campagne. 7 6 In dottrina vi è quindi chi
suggerisce che nella valutazione delle corti incidano altresì fattori
riguardanti il tipo di espressioni invocanti una tutela: se ad esempio
viene data protezione alle critiche mosse contro i servizi offerti da
alcune società o contro le discutibili posizioni del reverendo Falwell
o alla parodia del marchio Wal-Mart, una simile protezione non
viene invece fornita alla campagna anti-abortista di Purdy o alla
parodizzazione
dell'associazione
animalista
PETA. 7 7 E'
poi
da
sottolineare, ricollegandoci al discorso compiuto nel corso del
secondo capitolo sul chilling effect che può esser determinato, tra
gli altri fattori, dall'onerosità delle spese legali che la parte
processuale più debole può trovarsi costretta ad affrontare, che la
previsione di una nuova possibile rivendicazione per il trademark
76 V. M. BARRET, Domain Names, Trademarks and the First Amendment: Searching for
Meaningful Boundaries, supra nota 38 cap. II, pag. 1049 “When trademark infringement,
dilution or ACPA claims move into the realm of noncommercial speech, the competing interests
must be carefully balanced in order to avoid undue interference with both defendants’ and the
public’s First Amendment interests. In many cases, the public interest in avoiding confusion in
the Internet context has been much overemphasized. Given modern search engines and the
sophistication of Internet users (which grows with each new generation), the likelihood that
similar domain names, in themselves, will seriously hinder consumers from finding the
products or services they want is low—especially when the defendant’s website is not selling
competing goods or services, but is instead engaged in non-commercial speech. Even if a
domain name temporarily confuses consumers and leads them to a website they did not intend
to visit, the implications (from the public’s standpoint) are minor. In a matter of seconds the
consumer can return to his former Internet location.”
77 V. J. LIPTON, Commerce versus Commentary: Gripe Sites, Parody, and the First Amendment in
Cyberspace, Washington Law Review, 2006, pag. 1366 “Why should a consumer criticism site
that is not a parody effectively be subject to a lower standard of constitutional scrutiny than a
criticism site that takes the form of a parody, particularly when both are equally unlikely to
confuse consumers, and both involved links to other Websites where goods or services could be
purchased? It seems that, reading between the lines, maybe the answer lies in the subject
matter of the relevant speech. Maybe the court felt that a somewhat clumsy parody of PETA’s
activities did not merit the same constitutional protection as a critical stance on the Reverend
Jerry Falwell’s views on homosexuality.”
214
holder, sotto gli auspici dell'ACPA, altro non fa che aumentare
questi costi e di conseguenza i timori della parte resistente. 7 8
3.3.2. Domain names, libertà d'espressione e contraffazione del
marchio in Europa.
Anche in Europa, al pari che negli Stati Uniti, la crescita
esponenziale del fenomeno Internet ha causato non pochi problemi
ai titolari dei marchi. Questi fenomeni vanno dal c.d. classic
cybersquatting , all'utilizzo di metatags corrispondenti al marchio
alla creazione di c.d. gripe sites, in cui il marchio viene utilizzato
in funzione critica nei confronti dei prodotti o dei servizi forniti dal
suo titolare o di alcune sue pratiche dannose per l'ambiente o
criticabili da un punto di vista sociale. 7 9 Per quanto riguarda la
definizione delle suddette problematiche si rimanda a quanto detto
nel paragrafo precedente dedicato alla trattazione delle medesime
negli Stati Uniti. Se le problematiche sono le medesime, per quanto
invece riguarda l'atteggiamento del legislatore nei loro confronti,
dobbiamo
evidenziare
una
forte
differenziazione
del
contesto
europeo rispetto a quello statunitense. Se infatti i suddetti possibili
conflitti con il diritto dei marchi sono stati affrontati oltreoceano
attraverso la previsione di un apposito statuto (l'ACPA), ciò non è
invece avvenuto negli ordinamenti europei. Queste problematiche
vengono quindi affrontate in Europa considerando i domain names
come segni distintivi atipici 8 0 ed applicando ad essi, secondo il
78 V. J. LIPTON, Internet, Domain names, Trademarks and Free Speech, supra nota 31, pag. 24
“Thus, litigation costs have arguably increased post-ACPA rather than decreased.”
79 V. ad esempio Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris,
Arrêt del 30 aprile 2003, Greenpeace France v. Spcea, Cour de Cassation, 8 aprile 2008, S.A.
Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre
2005, Monte dei Paschi di Siena c. IlMioCastello spa, Trib. Siena, 21 luglio 2003, Ass.
Investici c. Trenitalia spa, Trib. Milano, 7 settembre 2004, Stoppesso.de, LG Hamburg,
Beschluß del 10 giugno 2002, in GRUR 2003, Scheiss-t-online, LG Dusseldorf, 30 gennaio
2002.
80 V. A. VANZETTI, V. DI CATALDO, Manuale di Diritto Industriale, supra nota 16 cap. I, pag. 333
215
principio di unitarietà dei segni distintivi, 8 1 le stesse norme che
vengono applicate ai marchi. 8 2 Questo avviene sia per quanto
riguarda il rischio di confusione tra il titolare del marchio ed il sito
che viene registrato con l'utilizzo del marchio stesso nel domain
name,
sia
per
le
fattispecie
di
blurring
e
tarnishment
che
concernono il marchio notorio.
Nell'analizzare brevemente i fenomeni ai quali abbiamo sopra
accennato il primo problema da affrontare, nell'ottica del diritto
nazionale dei paesi europei, è quello del c.d. classic cybersquatting
o domain grabbing ; questa fattispecie, come abbiamo visto nel
paragrafo precedente, riguarda una registrazione di domain names
“Benché fortemente atipici sotto vari profili, sono sicuramente segni distintivi i cosiddetti
domain names o nomi a dominio che, come è noto, corrispondono ai siti sulla rete Internet .”
Galli in C. GALLI, I Domain Names nella Giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 2001, pag. 11-14
compie un'analisi della giurisprudenza italiana per quel che riguarda la natura giuridica dei
domain names, arrivando a concludere, nonostante alcune corti si siano espresse in contrario,
che “Che i domain names siano anche strumenti tecnici per raggiungere siti web è in realtà
incontestabile; questa natura, tuttavia, non è affatto incompatibile col fatto che essi, in quanto
segni, comunichino anche un messaggio distintivo. La circostanza che, per il funzionamento
della rete, non possano esistere in tutto il mondo due domain names identici (mentre ben
possono esistere marchi identici, che si differenziano tra di loro per l'ambito merceologico e/o
territoriale di protezione) accentua anzi, se possibile, la componente del messaggio da essi
comunicato che concerne l'esistenza di un'esclusiva del titolare sull'uso del segno.” V. anche
C. GALLI, L'Allargamento della Tutela del Marchio e i Problemi di Internet, supra nota 47 cap.
II, pag. 30-31; L. LIUZZO, Il Principio dell'Unità dei Diritti sui Segni Distintivi e i Domain
Names nel Mercato Virtuale di Internet, in AA.VV., Studi di Diritto Industriale in Onore di
Adriano Vanzetti, Giuffrè, Milano, 2004, pag. 876-877.
81 Questo principio viene espressamente esteso ai domain names dall'art. 22 CPI “(1) E' vietato
adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito
usato nell'attività economica o altro segno distintivo (1) un segno uguale o simile all'altrui
marchio se, a causa dell'identità o dell'affinità tra l'attività di impresa dei titolari di quei segni
ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di
confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due
segni. (2) Il divieto di cui al comma 1 si estende all'adozione come ditta, denominazione o
ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell'attività economica o altro
segno distintivo di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi
anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza se l'uso del segno senza giusto motivo
consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del
marchio o reca pregiudizio agli stessi.”
82 V. ibid., pag. 26 “La conclusione, cui la giurisprudenza prevalente è pervenuta, è dunque nel
senso che l'uso di un segno come domain name si un sito Internet può violare gli altrui diritti
su un segno distintivo identico o simile, anche se di tipo diverso.” V. anche a riguardo degli
altri paesi europei G.J.H. SMITH, BIRD & BIRD, Internet Law and Regulation, supra nota 29,
pag. 110-148 in cui viene fatta un'analisi della legislazione dei diversi paesi europei (e non) in
materia e viene per l'appunto affermato che, in mancanza di regole specifiche, vengono
applicate le rispettive legislazioni nazionali in tema di marchi.
216
uguali o simili all'altrui marchio con lo scopo di rivenderli al suo
stesso titolare. Come sottolinea Galli, 8 3 la semplice registrazione del
dominio costituisce di per sé un uso del marchio; ciò in quanto
avviene una sorta di accaparramento (e per questa ragione il
medesimo dominio non sarà registrabile da nessun altro soggetto
compreso il titolare del marchio, data l' architettura della rete basata
sul principio first come first served ). 8 4 Ciò avviene anche se il
dominio venga solamente registrato ma non utilizzato, a differenza
di quanto previsto per il marchio, in quanto il domain name risulta
comunque visibile agli utenti di Internet. 8 5 Nel diritto italiano, al
fine di tutelare il trademark holder dalle summenzionate pratiche,
vengono richiamati l'art. 22 e l'art. 19 CPI; quest'ultimo riguarda il
divieto di registrazione in mala fede 8 6 e viene appunto utilizzato
come base per l'emanazione dell'inibitoria nei confronti del titolare
del domain name corrispondente al marchio registrato. 8 7 Per quanto
riguarda
il
domain
grabbing
concernente
marchi
non
famosi
bisognerà prender in considerazione, oltre alla buona o mala fede, il
rischio di confusione nel pubblico. 8 8 Per quanto invece riguarda i
83 C. GALLI, I Domain Names nella Giurisprudenza, supra nota 80, pag. 61.
84 V. T. TOSI, La Tutela della Proprietà Industriale, in AA.VV., I Problemi Giuridici di Internet,
dall'E-Commerce all'E-Business, Giuffrè, Milano, 2003, pag. 436 “Il domain name viene
assegnato all'entità che per prima presenta la domanda di registrazione, in applicazione del
principio del 'First come, First served.'” V. anche S. MANIATIS, Trade Mark Use on the Internet,
in J. PHILLIPS E I. SIMON, Trade Mark Use, Oxford University Press 2005, pag. 264.
85 V. C. GALLI, I Domain Names nella Giurisprudenza, supra nota 80, pag. 61.
86 V. G. SCHIANO DI PEPE, Brevi Considerazioni Intorno ai Rapporti fra Domain Name e Marchi e
Dintorni, in AA.VV., Studi di Diritto Industriale in Onore di A. Vanzetti, Giuffrè, Milano,
2004, pag. 1455 “In presenza di un marchio e di un domain name identico prevarrà il marchio
sul domain name, anche se anteriore, qualora possa escludersi la buona fede del suo titolare.
In caso contrario dovrà ritenersi prevalere il domain name.”
87 V. Art. 133 CPI “L'Autorità giudiziaria può disporre, in via cautelare, oltre all'inibitoria
dell'uso nell’attività economica del nome a dominio illegittimamente registrato, anche il suo
trasferimento provvisorio, subordinandolo, se ritenuto opportuno, alla prestazione di idonea
cauzione da parte del beneficiario del provvedimento.” V. C. GALLI, I Domain Names nella
Giurisprudenza, supra nota 80, pag. 63; A. VANZETTI, V. DI CATALDO, Manuale di Diritto
Industriale, supra nota 16, pag. 337,
88 V. T. TOSI, La Tutela della Proprietà Industriale, supra nota 84, pag. 443 “Il presupposto per
l'illiceità dell'appropriazione in oggetto [del marchio registrato non rinomato, n.d.r.] risiede
nel rischio di confusione per il pubblico. […] Ne consegue, dunque, la piena liceità della
registrazione (come nome di dominio) del marchio altrui, se l'entità registrante opera in un
settore merceologico completamente distinto da quello del titolare del marchio stesso, sì da
217
marchi notori, nel caso di registrazione da parte di un terzo di un
domain name corrispondente, sarà assai difficile conferirgli una
tutela, in quanto, tranne che in rare occasioni, egli avrà agito in
mala fede con lo scopo di accaparrarsi detto dominio. 8 9 Inoltre, oltre
al rischio di confusione, saranno valutati altri parametri quali
l'indebito vantaggio tratto dal carattere distintivo o dalla rinomanza
del marchio, o il pregiudizio arrecato ad essi. 9 0
La prospettiva che riguarda più da vicino il nostro studio è però
quella concernente un uso del marchio in Internet che possa creare
un danno alla reputazione del marchio o alla sua capacità distintiva
o che, inversamente, possa ottenere da questi un indebito vantaggio.
Questa fattispecie, come già analizzato nel corso del secondo
capitolo, 9 1
può
concretizzarsi
attraverso
un
accostamento
del
marchio a prodotti vili o scadenti, rispetto a quelli commercializzati
dal suo titolare, o a messaggi non coerenti con l'immagine del
marchio stesso, includendo in questa seconda categoria anche i casi
di parodia o satira del marchio notorio. 9 2 In ambito europeo
possiamo ad esempio citare il caso Nijntje avvenuto in Olanda, in
cui la parodizzazione di un popolare personaggio fumettistico
89
90
91
92
rendere impossibile qualsiasi rischio di confusione. […] Detta registrazione, tuttavia, risulta
viziata ove il terzo registrante risulti esser in mala fede, registri, cioè, il segno pur essendo
consapevole del diritto altrui, al solo fine ricattatorio o di disturbo.”
V. G. SCHIANO DI PEPE, Brevi Considerazioni Intorno ai Rapporti fra Domain Name e Marchi e
Dintorni, supra nota 86, pag. 1456 “La richiesta di assegnazione da parte di un terzo di un
nome a dominio corrispondente ad un marchio celebre non può quasi mai ritenersi effettuata
in buona fede e quindi non degna di tutela. L'aver occupato, infatti, in assenza di valide
ragioni giustificatrici e dirimenti un sito web precludendone il corrispondente uso a chi poteva
aspirarvi essendo titolare del relativo segno (marchio o ditta) è indubbiamente atto illecito.”
T. TOSI, La Tutela della Proprietà Industriale, supra nota 84, pag. 445-447.
V. 2.4.1.2.
V. C. GALLI, I Domain Names nella Giurisprudenza, supra nota 80, pag. 53 “Un'ipotesi di
approfittamento della rinomanza del marchio altrui che potrebbe configurarsi anche in
relazione all'uso di marchi rinomati come domain names è quella della parodia, in quanto essa
instaura per definizione un collegamento che comporta un approfittamento a favore dell'autore
della parodia, che proprio su tale collegamento (e quindi sullo sfruttamento della rinomanza
del marchio parodiato) si fonda e che spesso comporta anche un detrimento per questo
marchio, specialmente se la parodia è volgare, o comunque tale da ingenerare nella mente del
pubblico associazioni tra il marchio ed elementi estranei al messaggio ad esso
originariamente inerente, che possono quindi inquinarlo.”
218
attraverso l'accostamento all'utilizzo di droga, venne ritenuta come
denigratoria nei confronti del marchio ad esso corrispondente. 9 3
Un'altra fattispecie che merita attenzione è quella che riguarda la
critica del marchio, dei prodotti commercializzati dal suo titolare o
di pratiche aziendali da quest'ultimo poste in essere. Questa
tipologia di siti, come visto nel paragrafo precedente, prende il
nome di gripe sites. All'interno della giurisprudenza europea
possiamo citare diversi casi che hanno coinvolto l'utilizzo del
marchio
all'interno
di
questi
siti
caratterizzati
da
un'aperta
contestazione del suo titolare. Tra di essi Areva, 9 4 E$$O 9 5 e
Danone 9 6 in Francia, Trenitalia 9 7 e Monte dei Paschi 9 8 in Italia,
stoppesso.de, 9 9 scheiss.de, 1 0 0 Gen Milch 1 0 1 in Germania. A questa
tipologia di critica del marchio si applicheranno quindi, in assenza
di regole specifiche all'interno delle legislazioni dei paesi europei,
le stesse norme che vengono applicate per l'utilizzo del marchio a
fini critici. In primo luogo si stabilirà se l'utilizzo all'interno di un
sito web sia da considerarsi come uso del marchio o meno ed in base
a ciò verrà deciso se il bilanciamento con la libertà d'espressione
dovrà avvenire all'interno della normativa marchi o al di fuori di
essa.
Verranno
poi
valutati
diversi
parametri
tra
i
quali
la
commercialità dell'uso, l'approfittamento parassitario o il danno
subito dal marchio e l'esistenza di motivi di pubblico interesse tali
da giustificare questo uso, nonché la proporzionalità della critica. E'
93 Mercier v. Punt.nl., Corte di Amsterdam, 22 dicembre 2009. V. supra 2.2.2.
94 Greenpeace France v. Spcea, Cour de Cassation, 8 aprile 2008.
95 Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16 novembre
2005.
96 Olivier Malnuit v. Société Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 30
aprile 2003; riguardo a questo ultimo caso Schiano di Pepe parla di “Political Cybersquatting”;
v. G. SCHIANO DI PEPE, Brevi Considerazioni Intorno ai Rapporti fra Domain Name e Marchi e
Dintorni, supra nota 86, pag. 1460-1461.
97 Ass. Investici c. Trenitalia spa, Trib. Milano, 7 settembre 2004.
98 Monte dei Paschi di Siena c. IlMioCastello spa, Trib. Siena, 21 luglio 2003.
99 Stoppesso.de, LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, in GRUR 2003.
100 Scheiss-t-online, LG Dusseldorf, 30 gennaio 2002.
101Gen-Milch, Bundesgerichtshof, 11 marzo 2008.
219
interessante notare come le corti tedesche, nel caso di uso noncommerciale del marchio su Internet a fini critici, si siano
dimostrate molto propense a considerare questi utilizzi non come usi
del marchio, conferendo ad essi la protezione conferita dalla libertà
d'espressione e considerandoli al di fuori del diritto di esclusiva
invocato dai loro titolari. 1 0 2 In Francia, invece, le corti hanno
considerato questi utilizzi come usi del marchio e, pur riconoscendo
il diritto di critica all'interno dei c.d. complaint sites , ciò è
avvenuto attraverso un percorso più travagliato in cui, anche nel
caso di accertata non commercialità , hanno avuto un peso rilevante
le considerazioni riguardanti una possibilità di confusione oltre che,
come vedremo più avanti, un'attenta analisi della proporzionalità
della critica, come testimoniato dai lunghi iter processuali di Areva,
E$$O e Danone. Di questi casi, e degli altri summenzionati, ci
occuperemo però nei seguenti paragrafi, che avranno ad oggetto, per
l'appunto, l'utilizzo in funzione critica del marchio.
102V. per quanto riguarda la giurisprudenza tedesca W. SAKULIN, Trademark Protection and
Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom
of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 210-211 “German
jurisprudence does not apply trademark rights to non-commercial expression in relation to e.g.
complaint sites. In the Oil-of-elf.de case, the Kammergericht Berlin28 found that the criticism
of a complaint site operated by environmental non-profit campaigners, pursuing only idealistic
aims in directing their criticism against a multinational oil company, constituted use outside of
the course of trade. Similarly, the LG Köln found that a plaintiff could not invoke trademark
rights to stop Greenpeace from claiming that the milk of a dairy producer was ‘Gen-Milch’
(i.e. genetically modified milk), as the campaign group did not use the relevant trademark in
the course of trade.” Una tendenza simile è riscontrabile anche nella giurisprudenza italiana v.
Ass. Investici c. Trenitalia spa, Trib. Milano, 7 settembre 2004 in cui l'utilizzo del marchio
della società ferroviaria italiana all'interno di un sito in cui si denunciava il supporto logistico
della suddetta a operazioni militari attraverso la riproduzione della pagina della home page del
sito istituzionale di Trenitalia modificato in modo tale che il trasporto di materiale bellico
apparisse come l'unico servizio svolto da questa venne ritenuto come rientrante all'interno delle
espressioni protette dall'art. 21 della Costituzione.
220
3.4. La risposta della giurisprudenza in Europa.
Se nel corso della nostra trattazione abbiamo più volte accennato a
diversi casi della giurisprudenza europea e americana è ora arrivato
il momento di analizzare in profondità i più significativi tra questi,
partendo da quelli decisi dalle corti del Vecchio Continente, al fine
di analizzare come in concreto sia avvenuto il bilanciamento tra
libertà
d'espressione
e
diritti
del
titolare
del
marchio.
Nell'analizzare la giurisprudenza in merito a casi di critica, parodia
e satira del marchio occorre premettere che non sempre questi usi
possono costituire oggetto di una netta separazione. Se in alcuni
casi i loro confini sono netti e quindi un determinato utilizzo si
pone chiaramente come parodistico 1 0 3 o critico, 1 0 4 in altri i contorni
sono più sfumati. 1 0 5 In questi ultimi infatti si può creare un intreccio
tra parodia satira e critica, facendo sì che le prime due diventino
uno strumento per esprimere una contestazione nei confronti del
titolare del marchio, dei suoi prodotti o di una determinata condotta
da egli adottata. Altre volte invece la critica, svolgendosi attraverso
103V. ad esempio Bumms Mal Wieder, Bundesgerichtshof, 3 giugno 1986, in GRUR 1986; Fit for
fun, OLG Amburgo, 1 aprile 1999; Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, 3 Febbraio 2005,
GRUR 2005 e IIC, 2007, 119 ss.; Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l.
c. Hukapan s.p.a. e Sony Music- Entertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009,
in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5466 e IDI, 2010, 214 ss.; SA Pernod-Ricard v. M. Thierry A.,
Tribunal de Grande Instance de Paris, 9 gennaio 2004.
104V. ad esempio Société Esso v. Société Greenpeace France, Cour d'Appel de Paris, Arrêt del 16
novembre 2005, Greenpeace France v. Spcea, Cour de Cassation, 8 aprile 2008; O. Malnuit e
La Reseau de Voltaire v. Sté Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris, 30 aprile
2003; Stoppesso.de, LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, in GRUR 2003; Gen-Milch,
Bundesgerichtshof, 11 marzo 2008, Scheiss-t-online, LG Dusseldorf, 30 gennaio 2002; Oil-ofelf.de, Kammergericht Berlin, 23 ottobre 2001; Monte dei Paschi di Siena c. IlMioCastello spa,
Trib. Siena, 21 luglio 2003.
105V. ad esempio Grosses Mordoro Poker, Bundesgerichtshof, 17 aprile 1984, in GRUR 1984;
'Bild der keine Meinung', OLG Hamburg, 1999; Deutsche Pest, LG Hamburg, 27 ottobre 1999;
in GRUR 2000; Kampagne gegen die Jagd, OLG Koln, 10 marzo 2000; Ass. Investici c.
Trenitalia spa, Trib. Milano, 7 settembre 2004; Michelin v. CGT, Cour d'Appel de Riom, 15
settembre 1994; CNMRT v. JT International, Cour de Cassation, 19 ottobre 2006.
221
un'utilizzazione parodistica o satirica, prende di mira il marchio, in
quanto icona culturale e simbolo di una determinata condotta o
tendenza sociale. 1 0 6 Constatato che la linea di demarcazione tra
satira, parodia e critica non è sempre così netta, nei seguenti
paragrafi svolgeremo dapprima un'analisi degli utilizzi del marchio
per fini critici, per poi concentrarci sugli utilizzi di tipo satirico e/o
parodistico. Occorre premettere in questa sede che, come abbiamo
evidenziato, se in alcuni casi i summenzionati fini o strumenti
risulteranno chiari, in altri, invece, saranno intrecciati tra di loro.
Nel compiere una suddivisione abbiamo quindi dedicato i primi
paragrafi a quegli usi che denotano un chiaro intento critico, pur se
talora raggiunto attraverso parodia e satira, mentre i secondi a
quegli usi che, pur se talvolta possono avere intenti critici, sono
fortemente caratterizzati dall'utilizzo di satira e parodia. Un caso
che poi, per diverse ragioni, meriterà di esser trattato a sé è il caso
Plesner nel quale si possono rintracciare sia forti spunti critici di un
certo modus vivendi, che alcuni spunti satirici; il fatto che poi l'uso
non riguardi tanto un marchio ma un design registrato e che ciò
avvenga all'interno di un'opera d'arte fa si che di questo caso ci
occuperemo in un paragrafo mono-tematicamente dedicato.
3.4.1. La critica del marchio in Europa.
Nell'intento di approfondire il comportamento della giurisprudenza
europea nei casi di utilizzo del marchio per fini di tipo critico nei
confronti del suo titolare, di sue condotte riprovevoli o dei prodotti
106V. ad esempio Louis Vuitton Malletier v. M. François D., Tribunal de Grande Instance de
Nanterre, 25 giugno 2002; Louis Vuitton Malletier SA v. N. Plesner, Corte di Den Hague, 27
gennaio 2011 (riguardante però l'utilizzo non autorizzato di un design registrato, come
vedremo in 3.4.2.2.)
222
da
egli
commercializzati
dedicheremo
il
presente
paragrafo
all'analisi della giurisprudenza europea in merito, concentrandoci
soprattutto su quella dei suoi tre paesi che, per vari motivi, possono
esser considerati i più rappresentativi, ossia Germania, Francia ed
Italia. Compiremo poi nei paragrafi seguenti un approfondimento su
tre casi decisi dalle corti francesi (gli affaires ESSO, Danone e
Areva)
che
ben
denotano
un
certo
atteggiamento
della
giurisprudenza nei confronti della critica operata attraverso l'uso del
marchio.
Partendo dall'analisi della giurisprudenza tedesca un caso di sicuro
interesse,
che
presenta
altresì
elementi
parodistici
secondo
quell' intreccio menzionato nel paragrafo precedente, è il caso che ha
riguardato il famoso quotidiano BILD. La Axel Springer, società
editrice del giornale e detentrice del relativo marchio, aveva
lanciato una campagna pubblicitaria attraverso lo slogan BILD DIR
EINE MEINUNG (trad. “Fatevi un'opinione ”); questo motto venne
modificato in modo parodistico, ma con evidenti intenti altresì
critici, attraverso lo slogan BILD DIR KEINE MEINUNG (trad.
“Non fatevi alcuna opinione” ) che, attraverso l'uso del marchio
BILD e la sostituzione di una sola lettera rispetto all'originale, ne
stravolse il significato. Il motto così modificato venne stampato su
cartoline. La corte di Amburgo in primo grado evidenziò, a
differenza, ad esempio, del caso Lila-Postkarte al quale abbiamo già
accennato nel corso del secondo capitolo e sul quale torneremo in
3.4.2., che il riportare il marchio su
delle cartoline non dovesse
esser inteso come un uso del marchio in quanto non designante la
loro origine. 1 0 7 La corte d' appello in seguito, nel bilanciare i diritti
107V. Bild der keine Meinung, OLG Hamburg, 4 giugno 1998; v. in merito E. BAUD, The Damage
Done, supra nota 122 cap. II, pag. 32 “The Hamburg court, however, denied such argument by
ruling that the printing of a slogan on a postcard is not a trademark use. The consumer
recognises that the slogan does not designate the origin of the postcard itself.” V. anche W.
SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28,
223
di
proprietà
intellettuale
della
Axel
Springer
con
la
libertà
d'espressione del distributore delle suddette cartoline, affermò che
la critica compiuta da quest'ultimo non era da considerarsi così
aspra da non meritare protezione. 1 0 8 Questo utilizzo del marchio
BILD venne quindi ritenuto protetto dalla libertà d'espressione in
forza di un bilanciamento avvenuto però al di fuori della legge
marchi tedesca. Una decisione in qualche modo similare è poi stata
presa dal Tribunale di Colonia nel caso Kampagne gegen die
Jagd; 1 0 9
la raffigurazione di un uomo che urinava sul
dell'associazione
tedesca
dei
cacciatori,
in
un
disegno
logo
usato
all'interno di una campagna contro la caccia, non venne ritenuto
come uso del marchio e la critica, per quanto connotata da una certa
durezza, venne ritenuta rientrante nei limiti posti dalla libertà
d'espressione. 11 0 Al contrario il Tribunale di Dusseldorf ritenne
l'utilizzo del segno T-Online, all'interno di un gripe site (scheiss-tonline.de , trad. “merda-t-online” ) in cui si criticavano i servizi di
Internet providing forniti dal suo titolare, come uso del marchio e la
critica, attraverso di esso compiuta, connotata da un'eccessiva
asprezza per poter godere della protezione conferita dall'art. 5 della
Grundgesetz . 111 Una decisione tesa a negare la protezione fornita
pag. 232.
108V. 'Bild der keine Meinung', OLG Hamburg, 1999; v. in merito E. BAUD, The Damage Done,
supra nota 122 cap. II, pag. 32 “In the case 'Bild Dir keine Meinung,' the Court of Appeals of
Hamburg decided in favor of the postcard distributor because, if there existed any criticism at
all, it was not so harsh as to prevail against the right of the postcard distributor to express his
opinion.” V. anche C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between
Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 152.
109Kampagne gegen die Jagd, OLG Koln, 10 marzo 2000.
110Ibid. V. in proposito W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an
Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under
European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 232 e 288.
111V. Scheiss-t-online, LG Dusseldorf, 30 gennaio 2002; v. C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S.
ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota
49 cap. II, pag. 152; questa decisione è stata oggetto di critica da parte di Sakulin in W.
SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 288 “In this context, it was, for instance, not in line with Article 10.2 ECHR (or
Article 5GG) that the LG Düsseldorf prohibited the use of the domain name ‘www.scheisstonline.de’ simply because it found the use of the word “scheiss” (shit) in the domain name to
224
alla libertà d'espressione è poi quella dell'OLG di Amburgo in un
caso nel quale il logo della compagnia petrolifera Shell veniva
accostato ad un teschio e stampato su t-shirts offerte in vendita .
Anche in questo caso la critica venne ritenuta espressa in maniera
troppo tranchant per meritare protezione e l'aspetto commerciale
dell'uso compiuto ebbe senz'altro un suo peso determinante nella
decisione
della
corte. 11 2
Possiamo
vedere
quindi
proporzionalità della critica rispetto all'obbiettivo che
come
la
mira a
raggiungere e la commercialità dell'utilizzo siano elementi tenuti in
gran considerazione nel valutare una possibile tutela fornita dalla
libertà d'espressione. Possiamo osservare, infatti, come le critiche
rivolte ad un'altra compagnia petrolifera, la ELF, all'interno di un
sito Internet che, in totale assenza di scopi lucrativi, criticava
l'impatto ambientale della ricorrente, non venne ritenuto come uso
del marchio e quindi venne considerato al di fuori della MarkenG ed
esclusivamente rivolto alla critica della summenzionata condotta. 11 3
Una decisione simile è stata presa nel caso STOPPESSO.DE, 11 4 nel
be devoid of any funny or ironic element and that it would purely defame the trademark. In my
opinion, the use of such a swearword is justified to draw the attention to justified criticism of a
major company, if that website indeed contains substantiated criticism.”
112V. Totenkopfsymbol, OLG Hamburg, 1998; v. E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap.
II, pag. 32 “The Hamburg Court of Appeals granted, because of the commercial character of
distribution,the injunction based on §1 Unfair Competition Act.22 It may be inferred from the
assessment on respective interests of the parties as taken by the Court of Appeals of Hamburg,
that the decision might have been the same if there had been no commercial distribution, the
act instead occurring as an uncommercial expression of opinion. It should be noted, however,
that in a noncommercial context, the means of expressing a certain opinion may be harsher
and more potentially impairing to the trademark owner than in a commercial context.”
113V. Oil-of-elf.de, Kammergericht Berlin, 23 ottobre 2001; v. in merito W. SAKULIN, Trademark
Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights
and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 210 “In the Oil-ofelf.de case, the Kammergericht Berlin28 found that the criticism of a complaint site operated by
environmental non-profit campaigners, pursuing only idealistic aims in directing their
criticism against a multinational oil company, constituted use outside of the course of trade.”
V. anche C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark
Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 151 “As a result of the fact
that non–commercial activities are excluded from the scope of application of MarkenG,
political or scientific statements, or activities by non–profit associations are not covered by
MarkenG from the outset (e.g. KG MMR 2002, 686 – oil–of–elf).”
114 Stoppesso.de, LG Hamburg, Beschluß del 10 giugno 2002, v. in merito C. ROHNKE, K. BOTT,
K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of
Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 152.
225
quale bersaglio della critica da parte dell'associazione Greenpeace,
venne fatta la compagnia petrolifera ESSO. Anche in questo caso la
corte negò l' uso del segno come marchio, dato il carattere noncommerciale del sito, e gli accordò la protezione fornita dall'art. 5
della Grundgesetz, in un bilanciamento effettuato nuovamente
all'esterno della legge marchi tedesca. Dalla comparazione degli
ultimi tre casi possiamo notare come l'assenza di scopi commerciali
abbia pesato molto nella statuizione, da parte delle corti, di un nonuso del marchio, facendo si che il bilanciamento con la libertà
d'espressione venisse operato al di fuori della normativa sui segni
distintivi. Sarà poi interessante vedere come nei casi E$$O e Areva
si siano espresse le corti francesi e di questo ci occuperemo nel
seguente paragrafo. Un altro caso, abbastanza risalente nel tempo
ma
con
profili
interessanti,
anche
da
un
punto
di
vista
comparativistico, è poi il caso Mordoro/Marlboro . Un'associazione
anti-tabagismo aveva infatti utilizzato, nel parodiare una pubblicità
della Marlboro, una modificazione dell'omonimo brand di sigarette
all'interno di un calendario, facente parte di una campagna antifumo. La trasformazione del marchio Marlboro in Mordoro (tenendo
presente che in tedesco Mord significa omicidio), non venne però
considerata come contraffazione del marchio in quanto veniva fatta
una critica alla dannosità dei prodotti commercializzati dalla
ricorrente e questa critica, nonostante una componente di freeriding, stante nel vantaggio ottenuto attraverso la notorietà del
marchio in questione nella vendita dei suddetti calendari, non venne
ritenuta diffamatoria; 11 5 è però da notare come questo caso risalga al
115Grosses Mordoro Poker, Bundesgerichtshof, 17 aprile 1984, in GRUR 1984. V. a riguardo W.
SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 265 “In its decision, the BGH recognised that in order to make a critical statement
about the advertising tactics of the plaintiff, the defendant was justified in taking advantage of
the level of knowledge and the image of the Marlboro trademark. The pure fact that the
commercial power of the plaintiff was influenced by the poster could not be qualified as
unfair.” V. anche E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 32-33 “However,
the Federal Supreme Court still decided in favor of freedom of expression, because the allusion
226
1984, quando alcuna protezione particolare veniva conferita ai
marchi c.d. notori, essendo questi ultimi protetti, alla stregua di
tutti gli altri, solamente contro il rischio di confusione. Lasciando
ora da parte la giurisprudenza tedesca, per quanto riguarda le
campagne anti-fumo altre due sentenze risultano assai interessanti;
entrambe riguardano il marchio Camel. Il primo caso riguarda lo
slogan, utilizzato in Austria in una pubblicità contro il consumo di
tabacco,
NUR
EIN
KAMEL
GEHT
MEILENWEIT
FÜR
EINE
ZIGARETTE (trad. “solo un cammello cammina per chilometri per
una sigaretta ” laddove Kamel, in tedesco, oltre a voler dire
cammello, significa anche “ stupido”). La Corte Suprema austriaca
affermò che l'industria del tabacco ha tollerato negli anni campagne
anti-fumo denotate anche dalla satira o dalla parodia, ma ciò non
permette di utilizzare un marchio particolare per simboleggiare
l'intera categoria di produttori di sigarette, in quanto parte dei
consumatori potrebbero esser tratti in inganno, ritenendo quel
particolare brand di bionde particolarmente dannoso per la salute in
confronto ad altri. 11 6 Questo ragionamento venne condiviso dalla
Corte Europea dei Diritti dell'Uomo 11 7 anche se criticato dalla
dottrina. 11 8 Passando alla giurisprudenza francese possiamo vedere
come il richiamo al marchio Camel su posters e adesivi, all'interno
di una campagna anti-tabacco rivolta agli adolescenti, venne sì
ritenuto degno di protezione, in quanto non travalicante i limiti
della libertà d'espressione, ma tale orientamento fu preso solamente
to death was considered sufficiently subtle particularly in a permitted criticism against
smoking, as not to be considered outright defamation.”
116Österreichische Schutzgemeinschaft für Nichtraucher v. R.J. Reynolds Tobacco Company,
Corte Suprema Austriaca, 13 settembre 1988; v. in merito W. SAKULIN, Trademark Protection
and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and
Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 284.
117Österreichische Schutzgemeinschaft für Nichtraucher v. Austria, Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo, 2 dicembre 1991.
118V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 284-285.
227
nel corso dell'ultimo grado cassazionale di giudizio, 11 9 avendo i
giudici, nelle decisioni precedenti, statuito la non liceità dell'uso
compiuto dal Comité national contre les maladies respiratoires et la
tuberculose
(CNMRT).
L'uso
in
questione
concerneva
la
raffigurazione di un dromedario, emaciato e steso a terra, con in
bocca una sigaretta esalante una nube di fumo a forma di teschio e
corredato dallo slogan “la clope c'est pire que la traversée du
desert” (trad. “la sigaretta è peggio della traversata del deserto ”).
In primo grado il Tribunal de Grande Instance di Parigi aveva
rigettato l'accusa di contraffazione a carico della CNMRT, ma al
contempo aveva condannato quest'ultima al pagamento simbolico di
1 Euro per l'uso compiuto degli elementi caratterizzanti i pacchetti
di
sigarette
commercializzati
dalla
ricorrente,
in
quanto
quest'utilizzo era da considerarsi denigratorio in base al principio
della responsabilità aquiliana. 1 2 0 Nel giudizio d'appello i giudici,
pur riconoscendo l'importanza delle libertà d'espressione e del
diritto di critica, evidenziarono che questi hanno pieno diritto di
svolgersi solamente qualora siano rispettosi dei diritti altrui; un uso
del marchio altrui atto a denigrare i prodotti commercializzati da
un'impresa (in quanto in questo modo viene visto l'uso compiuto dal
CNMRT in funzione del fatto che si richiami solamente al marchio
Camel) non può quindi esser considerato tale. 1 2 1 La Cour de
Cassation annullò questa sentenza sulla base del fatto che, avendo il
suddetto utilizzo il fine di salvaguardare la salute pubblica, materia
di
grande
interesse
sociale,
tale
uso
era
da
considerarsi
proporzionato rispetto allo scopo che voleva raggiungere e quindi
119CNMRT v. JT International, Cour de Cassation, 19 ottobre 2006.
120Sté JT International v. CNMRT, Tribunal de Grande Instance de Paris, 28 marzo 2003 “le
CNMRT a commis une faute au préjudice des sociétés JTI et JT en utilisant certains éléments
du décor du paquet [de Camel, n.d.r.] aux fins de discréditer les produits commercialisés sous
cette marque.”
121CNMRT v. Sté JT International, Cour d'appel de Paris, 14 gennaio 2005 “que la référence à
une marque spécifique de cigarette, même sur le mode parodique a pour conséquence de
porter un discrédit sur ce fabricant au détriment des autres dont l’image n’a pas été utilisée.”
228
non
costituiva
un
abuso
della
libertà
vedremo accadrà anche nel caso Areva,
d'espressione. 1 2 2
Come
quindi, la Corte di
Cassazione annullò la sentenza d'appello, rinvenendo quell'elemento
di proporzionalità della critica rispetto al fine, di cui abbiamo
evidenziato l'importanza nel corso del secondo capitolo, e che non
era invece stato riconosciuto nei gradi precedenti di giudizio. Al
contrario la Corte aveva confermato, una decina di anni prima, la
sentenza di condanna 1 2 3 nei confronti della CNMRT e del CNCT
(Comité Nationale contre le Tabagisme ), in un caso analogo, sulla
base del fatto che le summenzionate organizzazioni avessero
travalicato, col riferimento ai marchi di produttori di sigarette, quei
limiti alla libertà d'espressione derivanti dai diritti degli altri. 1 2 4
Per quel che riguarda la giurisprudenza d'oltralpe avremo modo di
approfondire nel prossimo paragrafo tre vicende ( E$$O, Areva e
Danone) piuttosto significative per ciò che concerne la critica
compiuta attraverso l'uso del marchio ed avente come bersaglio
l'azienda che ne è titolare. A riguardo, prima di passare all'analisi
della giurisprudenza italiana, è necessario citare un ultimo caso in
merito, ossia quello che ha riguardato la parodizzazione del famoso
pupazzo Bibendum, elemento figurativo del marchio Michelin, fatto
oggetto di raffigurazione, da parte di un sindacato scontento delle
politiche aziendali retrograde della suddetta, come una bestia
cavernicola con tanto di clava; il tutto venne accompagnato dallo
slogan “les idées du passé ne font pas tourner la roue du progrès ”
(trad.
“le
idee
del
passato
non
fanno
girare
la
ruota
del
122CNMRT v. JT International, Cour de Cassation, 19 ottobre 2006 “Qu'en statuant ainsi, alors
qu'en utilisant des éléments du décor des paquets de cigarettes de marque "Camel", à titre
d'illustration, sur un mode humoristique, dans des affiches et des timbres diffusés à l'occasion
d'une campagne générale de prévention à destination des adolescents, dénonçant les dangers
de la consommation du tabac, produit nocif pour la santé, le CNMRT, agissant, conformément
à son objet, dans un but de santé publique, par des moyens proportionnés à ce but, n'avait pas
abusé de son droit de libre expression, la cour d'appel a violé les textes susvisés.”
123V. Sté Phillips Morris Products v. CNCT, Cour d'appel de Rennes, 17 marzo 1992.
124V. CNCT e CNMRT v. Reynolds Gmbh e altri, Cour de Cassation, 21 febbraio 1995.
229
progresso”).
La
corte
d'appello
di
Riom
rigettò
l'accusa
di
contraffazione del marchio affermando che l'uso compiuto del
pupazzo Bibendum “en réalité, il s'agit d'un hommage à la marque
inversement proportionnel à la critique de la politique sociale de
l'entreprise.” 1 2 5 Venne infatti riconosciuto che la critica non era
rivolta contro i prodotti della Michelin, ma contro le decisioni dei
suoi vertici, come vedremo accadrà anche nel caso Danone e,
precedente che non sarà seguito dalla giurisprudenza successiva,
venne stabilita un'eccezione per l'utilizzo parodistico del marchio in
applicazione analogica di quanto previsto per il diritto d'autore. 1 2 6
A differenza della giurisprudenza francese e tedesca, quella italiana
non si presenta altrettanto ricca di casi concernenti un utilizzo del
marchio per i summenzionati fini critici. A riguardo possiamo infatti
citare solamente i casi MPS, Trenitalia e Fiat/Formigli; in tutti
questi casi, tranne nel primo in cui però la Monte dei Paschi
rinunciò ad agire per contraffazione del marchio, gli utilizzi del
segno distintivo altrui non vennero definiti come uso del marchio.
Il primo caso riguarda il gripe site registrato dalla IlMioCastello
spa al fine di convogliare il malcontento dei clienti delusi dai
servizi
offerti
dalla
(mpsclientidelusi.it ).
Il
banca
Monte
tribunale
di
dei
Paschi
Siena
emise
di
a
Siena
riguardo
un'ordinanza con la quale veniva vietato l'utilizzo di tale dominio,
in quanto poteva captare l'attenzione di quanti fossero alla ricerca
del sito istituzionale della MPS. 1 2 7
125V. Michelin v. CGT, Cour d'Appel de Riom, 15 settembre 1994.
126V. D. VORHOOF, Is Freedom of Expression a Legitimate Argument for Disrespecting Copyright?
the Parody Metaphor, in A. STROWEL, F. TULKENS, Droit d’auteur et liberté d’expression.
Regards francophones, d’Europe et d’ailleurs, supra nota 93 cap. II, pag. 43 “The Court of
Appeal in 1994 did not consider this use of the image and trademark as an infringement of
copyright or trademark law. The Court applied the explicit parody exception in the French
Intellectual Property Law (art. 122-5).”
127V. Monte dei Paschi di Siena c. IlMioCastello spa, Trib. Siena, 21 luglio 2003 “l'uso del segno
mps o MPS, tanto più unito all'espressione clienti delusi, certamente ha il potere di captare
l'attenzione di chi naviga in Internet (magari alla ricerca di uno dei numerosi siti della Banca
ricorrente), sia esso un cliente della Banca Monte dei Paschi di Siena, sia esso un qualsivoglia
consumatore, mentre lo stesso potere attrattivo certamente non deriverebbe dall'utilizzo di un
230
Lo stesso tribunale, nell'esame del ricorso presentato contro detta
decisione,
revocò
la
precedente
ordinanza,
ordinando
alla
IlMioCastello spa di trasformare il dominio mpslientidelusi.it in
clientidelusiprodottimps_4you&myway.it, in modo tale che fosse più
chiara la non affiliazione del sito con la summenzionata banca e che
la critica si rivolgesse specificamente ai due prodotti nell'occhio del
ciclone (ossia 4YOU e MY WAY). 1 2 8
Il caso Trenitalia, 1 2 9 invece, concerne la satira del sito istituzionale
della suddetta azienda, compiuta con lo scopo di criticare la sua
scelta di fornire un supporto logistico, in ordine al trasporto di
automezzi dell'esercito, alle operazioni militari svoltesi in Iraq e
Afghanistan.
Il
provvedimento
l'oscurazione
tribunale
cautelare
del
suddetto
di
a
Milano,
favore
sito,
lo
dopo
di
aver
emesso
Trenitalia,
revocò.
Nella
un
decidendo
successiva
ordinanza del 7 settembre 2005, infatti, venne dato ampio risalto
alla libertà d'espressione, di critica e di satira e fu applicata
quell'eccezione, prevista appunto per la satira, contenuta nel diritto
d'autore; 1 3 0
la
rielaborazione
grafica
dell' home
page
del
sito
istituzionale di Trenitalia vene dunque giudicata come apportante
sito privo di segni così distintivi .”
128V. IlMioCastello spa c. Monte dei Paschi di Siena, Trib. Siena, 11 agosto 2003; v. a riguardo C.
GALLI, D. DE ANGELIS, A.B. GELOSA, N. GIORA, Conflicts between Trademark Protection and
Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 197-198.
129Ass. Investici c. Trenitalia spa, Trib. Milano, 7 settembre 2004.
130Ibid. “Sul piano della tutela del diritto d’autore [...] e’ ormai opinione generalmente condivisa
quella che attribuisce all’opera parodistica la natura di opera autonoma, in quanto implicante
comunque una (seppur modesta) attività creativa, e dunque una protezione ai sensi degli artt.
1 e 2 L.A. in quanto dotata di propria autonoma individualità. [...] Del caso di specie non vi e’
dubbio che l’elaborazione contestata abbia integrato uno stravolgimento dell’home page del
sito di Trenitalia s.p.a., ricollegando i riconoscibili elementi formali e grafici a vicende di
indubbio rilievo politico al fine di manifestare in chiave satirica un evidente e severo giudizio
critico sul contributo posto in essere dalla società alla movimentazione di mezzi militari e
dunque – secondo la tesi che fonda tale elaborazione – all’indebita partecipazione del nostro
Paese ad eventi bellici in ossequio a direttive politiche di parte. In tale prospettiva non puo’
negarsi che l’elaborazione grafica in questione risulti effettiva espressione di uno spunto
critico – espresso anche con raffigurazioni di un certo impatto simbolico (v. il pop up
contestato) – che tuttavia nel suo complesso non appare eccedere l’ambito di una accesa
polemica politica condotta da posizioni radicalmente contrapposte in ordine a questioni che
involgono inevitabilmente anche profili di rilievo sia politico, che giuridico che di natura
morale.”
231
elementi creativi, critici e satirici tali da trasformare l' “opera”
originaria. Il fatto che nella satira di detto sito venisse utilizzato il
logo di Trenitalia non sembra però aver avuto il dovuto peso in
quest'ordinanza, che invece sposta l'intero problema all'interno di
una
rielaborazione
in
forma
satirica,
protetta
dalla
relativa
eccezione prevista per il diritto d'autore.
L'ultimo caso di cui ci occuperemo per quel che riguarda la
giurisprudenza italiana in merito è un caso molto recente 1 3 1
riguardante l'uso del marchio Alfa Romeo nel contesto di un
programma televisivo di approfondimento politico, per la precisione
Annozero, condotto da Michele Santoro. All'interno di una puntata,
dedicata alle contestate politiche aziendali della FIAT, detentrice del
sub-brand Alfa Romeo , il giornalista Corrado Formigli fu l'artefice
di un servizio nel quale, confrontando l'auto Alfa Romeo Mito con
altre due concorrenti della stessa categoria ( Mini Cooper e Citroen
DS3) rilevò che l'auto della FIAT era quella che risultava, dai tests
effettuati, la meno veloce; ciò a detta della ricorrente ha provocato
un grave danno alla reputazione del brand Alfa Romeo, che proprio
della sportività vorrebbe esser l'espressione. La ricorrente inoltre
contestò che, seppur le rilevazioni compiute sulla velocità massima
delle vetture erano da considerarsi veritiere, il carattere del servizio
ed il comportamento del suo autore fossero da ritenersi tendenziosi,
in quanto quest'ultimo colpevolmente tacque che sotto altri aspetti,
diversi dalla velocità massima, la vettura MITO era migliore delle
dette concorrenti e che nella prova avvenuta su pista la suddetta era
l'unica con inserito il sistema di sicurezza ESP, alquanto limitante le
prestazioni della vettura. Se da una parte, dunque, la FIAT ha messo
in luce il danno d'immagine ricevuto al suo brand per mezzo di un
servizio non obbiettivo, dall'altro Formigli ha invocato la protezione
conferita dall'art. 21 della Costituzione alla libertà d'espressione. Il
131FIAT c. RAI, Formigli, Santoro, Trib. Torino, 20 febbraio 2012.
232
Tribunale di Torino ha affermato però che la libertà d'espressione
incontra dei limiti, tra i quali il diritto di ogni soggetto giuridico
alla propria reputazione, protetto dall'art. 2 della Costituzione; 1 3 2 il
servizio di Formigli venne dunque ritenuto denigratorio 1 3 3 nei
confronti del marchio Alfa Romeo, in quanto non corrispondente al
vero; una notizia per esser ritenuta veritiera, e quindi oggetto di
interesse
pubblico ,
deve
esser
dotata
altresì
di
completezza,
altrimenti si tramuta in diffamazione. 1 3 4 Ragion per cui, per il danno
non patrimoniale causato al brand Alfa Romeo le parti convenute
sono state condannate al pagamento di oltre 5.000.000 di Euro.
Anche se questo caso si è svolto al di fuori della legge-marchi (così
come d'altronde il caso Trenitalia ), essendo basato soprattutto
sull'art. 2043, 1 3 5 anche per ovviare, forse, alle difficoltà relative a
132Ibid. “osserva il Tribunale che il diritto di cronaca, che pure è da intendere come una
manifestazione essenziale del diritto ( di rango costituzionale, ex art. 21 Cost.) della libertà di
manifestazione del pensiero nella rappresentazione di un avvenimento, non può non trovare il
suo limite dinanzi alla necessità di salvaguardare il diritto (ugualmente di rango
costituzionale, ex art.2 Cost.) di ogni soggetto giuridico alla propria reputazione. E, certo, la
tutela dell'onore non ha una dignità di secondo piano rispetto al diritto di libertà di cronaca ,
che trova un limite non solo nella legge penale ( in riferimento all'ipotesi della diffamazione,
che riguarda tale bene nel suo profilo oggettivo), ma anche nel complesso dei diritti altrui, tra
i quali è indubbiamente compreso quello del decoro e dignità di ogni singola persona.”
133Ibid. “In conclusione, nella fattispecie in esame, la reputazione della Fiat Group, sub-brand
Alfa Romeo, in riferimento alla vettura Alfa Mito, è risultata essere stata illecitamente
compromessa, nel corso della trasmissione di Annozero, con una denigratoria notizia non
veritiera, e, pertanto, l'operatività della esimente in esame (ex art. 51 cp) non può che essere
negata, con la conseguenza che il comportamento del sig. Formigli non ha perso il suo
carattere di illiceità.”
134Ibid. “Nel caso di specie, anche a volere effettuare un bilanciamento del diritto personale di
Fiat Group alla propria reputazione con quello della libera manifestazione del pensiero del
giornalista Formigli, non può certo essere affermata la prevalenza del secondo; così come
anche, e soprattutto, non può essere affermato un interesse della opinione pubblica alla
conoscenza di una notizia non vera; la verità deve infatti investire l'intero contenuto
informativo della comunicazione, in quanto solo il rigoroso rispetto della verità soddisfa
l'interesse sociale alla informazione, che non è configurabile in relazione a false notizie
diffamatorie.”
135Ibid. “Questo, in considerazione del fatto che la violazione del principio della libera
manifestazione del pensiero, in riferimento ai soggetti destinatari di una denigratoria notizia
teletrasmessa, costituisce un illecito pluri-offensivo, che lede e\o pone in pericolo non un solo
bene, ma più beni diversi, e, segnatamente tanto l'interesse dei cittadini ascoltatori a poter
esprimere liberamente le proprie idee liberamente formate, quanto l'eventuale interesse, in
capo al soggetto denigrato, a non vedere pregiudicata la propria immagine commerciale e
compromessala possibilità di vendita sul mercato dei propri prodotti secondo le regole del
mercato, tanto da patire un danno ex art. 2043 cc.”
233
definire l'utilizzo compiuto da Formigli come uso del marchio, esso
è interessante in quanto viene operato un bilanciamento tra libertà
d'espressione e diritti della titolare di un marchio, in un caso in cui
il marchio stesso è oggetto di diffamazione. Questa sentenza ha
provocato una levata di scudi da parte, soprattutto, del mondo del
giornalismo italiano, preoccupato di un possibile chilling effect
sulla libertà d'espressione. Si dà inoltre notizia della volontà delle
parti condannate di presentare appello nei confronti di detta
sentenza.
3.4.1.1. I casi Danone, E$$O e Areva.
In questo paragrafo affronteremo tre significativi casi decisi dalle
corti francesi in merito a tre diverse utilizzazioni del marchio in
Internet
in
funzione
critica
rispetto
a
determinate
politiche,
aziendali o ambientali, esercitate dal suo titolare.
Il primo di questi è il caso Greenpeace/ESSO, in cui il noto gruppo
ambientalista utilizzò e modificò all'interno del proprio sito web il
logo ESSO, trasformandolo in E$$O ed E££O ed affiancandolo alla
dicitura STOP al fine di denunciare le pratiche, dannose per
l'ambiente, adoperate dalla multinazionale del petrolio. Greenpeace
inoltre
utilizzò
la
dicitura
stop.esso
come
metatag.
L'iter
processuale di questa vicenda è piuttosto articolato. In primo grado
il TGI di Parigi, nel decidere sui provvedimenti cautelari da
adottare, condannò l'utilizzo compiuto da Greenpeace del suddetto
logo. 1 3 6 Quest'uso difatti non venne ritenuto giustificato dalla
necessità di riferirsi alla ESSO per criticarne la condotta, in quanto
136ESSO v. Greenpeace France e Société Internet FR, Tribunal de Grande Instance de Paris, 8
luglio 2002.
234
non era stato utilizzato solamente il nome Esso ma altresì riprodotto
il suo logo, 1 3 7 che, associato al simbolo del dollaro e della sterlina,
poteva senz'altro creare danno all'immagine del marchio, 1 3 8 nonché
confusione nel pubblico. 1 3 9 L'utilizzo del logo ESSO venne dunque
qualificato come uso del marchio e si dimostrarono, come visto,
fallimentari i tentativi tanto di qualificare quest'utilizzo come
referential use, quanto di ritenere quest'uso come non contraffattivo.
Questa
decisione
venne
ribaltata
nell'appello,
presentato
da
Greenpeace. 1 4 0 La Corte d'Appello di Parigi, infatti, contestò
l'ordinanza del TGI sotto vari profili: in primo luogo sottolineò
l'importanza della libertà d'espressione che può sì esser limitata, ma
solamente in misura necessaria a garantire i diritti altrui; 1 4 1 venne
inoltre contestato il rischio di confusione ravvisato dal TGI, in
137Ibid. “l'appropriation opérée de la marque, dans le cadre d'une présentation utilisant, pour les
titres et logos imités reproduits, des polices de caractère de grande dimension et en couleur, ne
participe pas exclusivement de la nécessité de communiquer les opinions de l'association, et
ses objectifs." V. in merito G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech:
the French Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 165.
138Ibid. “Que la terminologie adoptée, même si elle n'appelle pas explicitement au boycott des
produits de la marque, tend bien, comme le soutient la société demanderesse, à porter atteinte
à son image, et par conséquent à détourner le public de celle-ci, comme le confirment
l'évocation d'actions menées en vue de perturber la distribution, ou l'illustration par des
pompes à essence, l'une de la marque comportant barrage d'une croix au niveau du produit, à
côté d'une autre en vert, frappée du sigle de Greenpeace.”
139Ibid. “Qu'il existe en définitive un risque de confusion en ce sens dans l'esprit du public, au
sens des dispositions de l'article L 713-3 b) du Code de la Propriété Intellectuelle.” Ciò viene
affermato nonostante Greenpeace sostenesse che il carattere parodistico dell'utilizzo era atto a
escludere una confusione per quanto riguarda l'origine; il TGI però afferma che è bastevole un
rischio di associazione per il pubblico affinché si possa determinare un rischio di confusione;
ibid. “Qu'à cet égard, il n'apparaît pas que les dispositions de l'article 713-3 b) du Code de la
Propriété Intellectuelle puissent se trouver en contradiction avec les critères retenus en
matière de contrefaçon par la Directive citée pour la définition du concept de risque de
confusion; que la substitution du symbole du dollar aux lettres S du mot ESSO, seul ou inclus
dans le logo, a pour objet de capter l'attention de l' internaute moyennement informé, alors
que la marque semi-figurative est reproduite à l'identique, tant sur le plan graphique que des
couleurs, excepté en ce qui concerne les deux lettres 'S'; que de ce fait, la première perception
du logo comme de la marque verbale si légèrement modifiés évoque immanquablement les
produits et services offerts par cette marque notoire."
140Greenpeace France v. ESSO, Cour d'Appel de Paris, 26 febbraio 2003.
141Ibid. “Considérant que le principe à valeur constitutionnelle de la liberté d ' expression
implique que, conformément à son objet statutaire, l'association GREENPEACE puisse, dans
ses écrits ou sur son site internet, dénoncer sous la forme qu'elle estime appropriée au but
poursuivi les atteintes à l'environnement et les risques causés à la santé humaine par certaines
activités industrielles; que si cette liberté n'est pas absolue, elle ne peut néanmoins subir que
les restrictions rendues nécessaires par la défense des droits d' autrui."
235
quanto appariva chiaro sia l'intento critico dell'uso compiuto del
marchio ESSO, 1 4 2 sia il fatto che Greenpeace non vendesse prodotti
concorrenziali a quelli commercializzati dalla ESSO. Venne anzi
sottolineato come l'uso compiuto da Greenpeace fosse del tutto
estraneo a qualsiasi proposito di tipo economico. 1 4 3 La Corte
d'Appello quindi, pur non richiamandosi ulteriormente al referential
use, ritiene, per le summenzionate ragioni, l'uso compiuto da
Greenpeace come non-contraffattivo del marchio ESSO.
La causa, dopo un primo ed un secondo grado riguardante le misure
cautelari, venne decisa nel merito. Il TGI di Parigi 1 4 4 confermò le
osservazioni
compiute
dalla
Cour
d'Appel
sul
carattere
marcatamente critico dell'uso compiuto da Greenpeace del marchio
ESSO, uso che quindi, per questa ragione, non comportava alcun
rischio di confusione nella mente dell'internauta medio. 1 4 5 Venne
inoltre sottolineata la non-commercialità dell'uso compiuto da
Greenpeace,
nonostante
la
stessa
organizzazione
mettesse
in
vendita, tramite il suo sito, delle t-shirts riportanti il logo E$$O al
fine di sostenere la sua campagna. 1 4 6 Riguardo poi alle accuse di
142Ibid. “Considérant qu'à cet égard, il n'apparaît pas évident que la société ESSO puisse
utilement et sérieusement revendiquer l'application de l'article L 713-3 du Code de la
propriété intellectuelle, dès lors que, par les modifications apportées aux marques de la société
ESSO et les textes qui les accompagnent, l' association GREENPEACE montre clairement son
intention de dénoncer les activités de la société dont elle critique les incidences sur l'
environnement, sans induire en erreur le public quant à l' identité de l' auteur de la
communication.”
143Ibid. “Considérant en outre que, destiné à illustrer les informations fournies et le propos
critique développé dans la campagne menée par l'Association, le signe 'E$$O' , même s'il fait
référence aux marques appartenant à la société intimée , ne vise manifestement pas à
promouvoir la commercialisation de produits ou de services en faveur de GREENPEACE mais
relève au contraire d'un usage polémique étranger à la vie des affaires.”
144ESSO v. Greenpeace France, Tribunal de Grande Instance de Paris, 30 gennaio 2004.
145Ibid. “Mais attendu que par les modifications apportées aux marques dont s'agit et les propos
développés dans les textes les accompagnant, la défenderesse montre clairement son intention
de dénoncer la politique industrielle de la société ESSO dont elle critique les incidences sur
l'environnement, sans induire en erreur le public quant a l’identité de l'auteur de la
communication.”
146Ibid. “l'offre a vente de tee-shirts et de sucettes sur un site international entièrement en langue
anglais accessible depuis le site www.greenpeace.fr grâce a un lien hypertexte n'est pas
susceptible de se rattacher à la vie des affaires; que l'association GREENPEACE FRANCE ne
tire effet aucun profit économique de cette vente effectuée par son homologue anglais et
236
denigrazione ed uso parassitario del marchio, il TGI affermò che
l'utilizzo compiuto da Greenpeace rientrasse pienamente nei limiti
della libertà d'espressione, 1 4 7 dato anche il fatto che non venivano
criticati i prodotti della ESSO ma la sua condotta aziendale; 1 4 8
inoltre dichiarò che la sostituzione delle 'S' con il simbolo del
dollaro non venne compiuta al fine di discreditare, agli occhi del
pubblico, i prodotti venduti attraverso il marchio ESSO. 1 4 9 Questa
sentenza venne confermata in secondo grado dalla Cour d'Appel di
Parigi, 1 5 0
che
concordò
con
il
TGI
sia
riguardo
alla
non-
commercialità 1 5 1 dell'uso compiuto da Greenpeace del marchio
ESSO, sia riguardo alla sua ricomprensione all'interno di quel
recinto protetto dalla libertà d'espressione, 1 5 2 in quanto riscontrò
una
mancanza
di
denigrazione
dei
prodotti
della
ESSO. 1 5 3
Dall'analisi condotta del caso ESSO/Greenpeace possiamo vedere in
qualche modo confermate le teorie enunciate in 3.2. per quel che
guarda l'introduzione della libertà d'espressione all'interno della
qualifiée de 'donation'.”
147Ibid. “Attendu […] que la critique concernant la politique de la société ESSO, ouverte au
public par l'association GREENPEACE FRANCE sur son site Internet, n’excédait pas les
limites se la liberté d'expression.”
148Ibid. “Attendu […] que la demanderesse a par ailleurs, et tout en dénonçant 'ces actes
dénigrement' reconnu que le produits et services ESSO ne souffrent d'aucune critique de la
parte de GREENPEACE.”
149Ibid. “Attendu […] qu'il ne donc pas établi que par l'usage des éléments, tels que le
remplacement des S par des signes évoquant le dollar et l'expression au besoin semi-figurative
STOP ESSO, la défenderesse ait cherché à discréditer aux yeux du public les produits protégés
par les marques ESSO et ainsi porté atteinte aux droits de la demanderesse.”
150ESSO v. Greenpeace, Cour d'Appel de Paris, 16 novembre 2005.
151Addirittura le affermazioni compiute dalla ESSO riguardo alla commercialità dell'operazione di
Greenpeace, poiché in un sito collegato con un hypelink era in vendita del merchandise legato
alla protesta, vengono definite dalla corte come compiute in perfetta mala-fede “Considérant
que la société ESSO soutient que l'association Greenpeace France interviendrait dans la vie
des affaires dès lors que, d'un part, elle offrait à la vente des t-shirts portant les signes litigieux
et, que d'autre part , elle appellerait au boycott de ses produits; mais considérant qu'en
formulant des telles allégations la société ESSO fait preuve de la plus parfaite mauvaise foi.”
152Ibid. “Considérant qu'il résulte de l'ensemble de ces éléments que l'association Greenpeace
France a, ainsi que le tribunal l'a justement retenu, inscrit son action dans les limites de la
liberté d'expression, de sorte que l'action de contrefaçon engagée a son encontre par la société
ESSO sera rejetée et le jugement déféré confirmé.”
153Ibid. “Qu'il est donc pur le moins paradoxal d'invoquer des actes de dénigrement, dont au
demeurant il n'est pas précise la nature exacte, ainsi que le soulignent pertinemment les
premiers juges, et d'affirmer que le produits et services de la société appelante ne font objecte
d'aucune critique.”
237
trademark law, non tanto attraverso un referential use, quanto,
invece, per mezzo della qualificazione come non contraffattorio
dell'uso compiuto da Greenpeace del logo ESSO. Questo, infatti,
venne reputato non confusorio ed estraneo a qualsiasi tipo di
commercialità e quindi non rispondente alle condizioni richieste
affinché si possa concretizzare la contraffazione ex artt. 5(1) e 5(2)
della Direttiva 2008/95/CE. E' interessante però notare come la
corte, nel riferirsi ad una possibile denigrazione del marchio ESSO,
compia un'analisi al di fuori del diritto dei marchi richiamandosi
all'art. 1382 del Code Civil, nonostante detto marchio venga
reputato rinomato e quindi fosse teoricamente possibile considerare
detto uso denigratorio ai sensi dell'art. 713-5 (5.2 della Direttiva).
Ciò è da interpretarsi in ragione del fatto che, come evidenzieremo
anche nel caso Danone, le corti francesi paiono creare una sorta di
eccezione di non commercialità laddove non sia riscontrato il
requisito dell'uso in commercio, 1 5 4 che seppur assente all'interno del
Code de la Proprieté Intellectuelle, viene ricavato attraverso l'art. 5
della Direttiva. 1 5 5 Per questo motivo, dopo aver considerato come
non contraffattorio l'uso del marchio ESSO, la questione del
bilanciamento con la libertà d'espressione si sposta al di fuori del
diritto dei marchi e all'interno di quella responsabilità aquiliana
prevista dall'art. 1382. Non essendo però provato il danno ai
prodotti ESSO, l'istanza di denigrazione venne dunque respinta.
Un'altra causa significativa è poi Danone v. Le Rèseau Voltaire che
154V. G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace
and Danone Litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 171 “The Danone/Greenpeace case law is
therefore outstanding in that it expressly makes, of non-commercial use, an exception to the
trade mark proprietor's monopoly. This is where it's novelty lies and why it deserves to be
counted among the important decisions in French trademark law.”
155Ibid. “This notion [the use in the course of trade, n.d.r.] is not expressly contained in the
French Intellectual Property Code, although trade mark law is supposed to be the result of the
implementation of the Directive. It could be argued that such a notion exists indirectly and
implicitly trough the principle of speciality, which defines infringement as the use of a trade
mark for identical or similar products. Indeed a non-commercial use does not prima facie have
any bearing on products or services.”
238
presenta molti elementi di comunanza con Esso/Greenpeace. La
vicenda concerne la reazione alla chiusura di due stabilimenti della
celebre industria alimentare in Francia; questa decisione ed i
relativi licenziamenti diedero vita ad un movimento d'opinione atto
a boicottare i prodotti Danone; a questo movimento diedero voce
due siti Internet: “jeboycottedanone.com ” registrato da Olivier
Malnuit e “ jeboycottedanone.net ” registrato invece dall'associazione
La Rèseau de Voltaire pour la libertè d'expression . La Danone reagì
portando in tribunale i titolari dei suddetti domain names per
contraffazione, sfruttamento e denigrazione del marchio DANONE.
Anche in questo caso l' iter processuale si presenta piuttosto
articolato; in un primo momento, infatti, il TGI di Parigi si espresse
separatamente nei confronti di O. Malnuit e dell'associazione La
Reseau de Voltaire in merito ai provvedimenti cautelari richiesti
dalla Danone; in entrambe le sue ordinanze il TGI condannò i
resistenti a pagare una somma di denaro e a cessare l'utilizzo del
logo DANONE all'interno dei propri siti, ritenendo che, mentre
l'utilizzo del marchio verbale Danone, all'interno sia del sito che
dei domain names, potesse esser giustificato quale “ référence
nécessaire” 1 5 6 e che la giustapposizione della formula “ jeboycotte”
sgombrasse il campo da un qualsiasi rischio di confusione, 1 5 7 al
contrario
l'uso
giustificato
eccedendo
dal
i
del
logo
suddetto
limiti
della
DANONE
“ necessario
libertà
non
poteva
riferimento ”
d'espressione,
considerarsi
e
pertanto,
costituiva
una
156V. Danone v. O. Malnuit, Tribunal de Grande Instance de Paris, 23 aprile 2001 “Attendu que
l'utilisation du terme 'danone' dans le nom de domaine enregistré par Olivier M. correspond
cependant à une référence uniquement pour indiquer la destination du site polémique et ouvert
à des pétitions de l'intéressé.” V. anche Danone v. Le Reseau de Voltaire, Tribunal de Grande
Instance de Paris, 14 maggio 2001 “Mais attendu […] que cette utilisation correspond à une
référence nécessaire pour indiquer la destination du site polémique.”
157V. Danone v. O. Malnuit, Tribunal de Grande Instance de Paris, 23 aprile 2001 “Attendu que
l'utilisation du terme 'danone' […] associé au terme très explicite 'jeboyvotte' il ne peut
conduire, dans l'esprit du public, à aucune confusion quant a l'origine du service affecté pour
ce nom.” V. anche Danone v. Le Reseau de Voltaire, Tribunal de Grande Instance de Paris, 14
maggio 2001 “Mais attendu […] que cette utilisation [...] ne peut conduire, dans l'esprit du
public, à aucune confusion nécessaire quant à l'origine du service offert sous ce nom.”
239
contraffazione del marchio. 1 5 8 Possiamo osservare, quindi, che il
tentativo di far rientrare detto utilizzo del logo, all'interno di quelle
eccezioni che la Direttiva 2008/95/CE rubrica all'art. 6, fallì in
quanto considerato un riferimento non necessario.
Queste ordinanze furono confermate nel giudizio di merito, che vide
riunite le due cause. Il TGI di Parigi stabilì infatti che, mentre
l'utilizzo del marchio Danone, all'interno dei succitati domain
names, fosse da considerarsi come riferimento necessario e quindi
non contraffattivo, 1 5 9 l'utilizzo del corrispondente logo all'interno
dei relativi siti Internet era costitutivo di contraffazione, in quanto
andava al di là dei limiti della libertà d'espressione, non esistendo
nel diritto dei marchi francese alcuna eccezione per la parodia,
come per il diritto d'autore; 1 6 0 inoltre venne ritenuto che l'uso
suddetto potesse esser causa di confusione nel pubblico. 1 6 1 La
denigrazione del marchio Danone venne invece respinta dal TGI,
data anche l'inesistenza in entrambi i siti di alcuna riferimento
negativo ai prodotti Danone; in essi, invece, era contenuta una nota
158V. Danone v. O. Malnuit, Tribunal de Grande Instance de Paris, 23 aprile 2001 “Attendu que la
cartouche en forme de polygone qui ouvre chaque chapitre du site litigieux est la reproduction
servile des marques semi-figuratives notoirement connues de la demanderesse et cette
reproduction, sans l'autorisation de celle-ci, en relation avec ses produits et, alors qu'une telle
référence n'est nullement indispensable à l'objectif allégué par le défendeur, constitue en
revanche une contrefaçon.” V. anche Danone v. Le Reseau de Voltaire, Tribunal de Grande
Instance de Paris, 14 maggio 2001 “Attendu, en revanche, que la reproduction sur le site du
Réseau, et à l'identique, des marques semi-figurative Danone n'est en aucune cas
indispensable à la satisfaction de ses objectifs.”
159V. Stè Compagnie Gervais Danone v. O. Malnuit e Le Reseau de Voltaire, Tribunal de Grande
Instance de Paris, 4 luglio 2001 “l'usage en l'espèce reproché du terme 'danone' correspond,
sans confusion possible dans l'esprit du public sur l'origine du service offert, à l'adresse des
noms de domaine incriminées, à une référence nécessaire pour indiquer la nature du site
polémique consacré à la politique sociale du groupe d'entreprises Danone.”
160Ibid. “Attendu que ni le droit à l'information, ni le droit à la liberté d'expression ne peuvent
justifier l'imitation illicite incriminée et l'atteinte portée ainsi du droit de propriété de la
société Compagnie Gervais Danone sur ses marques complexes alors même que l'imitation de
la marque, si elle accompagne des propos par ailleurs librement tenus au fil des pages du site
Internet, n'est pas nécessaire à l'expression de cette opinion et ne sert qu'illustrer des pages
d’écran qu'il est possible d'illustrer autrement; attendu que l'exception de parodie, de pastiche
ou du caricature, propre à la législation des droits d'auteur n'existe pas en droit des marques.”
161Ibid. “Attendu qu'un tel usage du signe imité ne peut manquer d'entreiner l'association de ce
signe par l'internaute avec les marques invoquées qui sont par ailleurs fort connues, et dès lors
un risque de confusion dans l'esprit du public.”
240
in cui gli operai delle fabbriche destinate alla chiusura affermavano
di
amare
i
prodotti
da
loro
fabbricati
e
di
boicottarli
temporaneamente solo per protestare contro la chiusura degli
stabilimenti. 1 6 2
Questa sentenza fu in parte ribaltata nel conseguente appello. 1 6 3 La
Cour d'Appel de Paris, infatti, negò ogni possibilità di confusione
nel pubblico 1 6 4
e riconobbe che si trattasse di un uso non
commerciale. 1 6 5 Venne inoltre negato ogni intento denigratorio nei
confronti dei prodotti Danone 1 6 6 e affermato che l'uso fatto del
marchio rientrava all'interno dei limiti della libertà d'espressione; 1 6 7
riguardo al marchio Danone, nella sua connotazione verbale, venne
confermata
la
necessità
del
riferimento,
come
affermato
nei
precedenti giudizi. 1 6 8 Ancora una volta quindi viene implicitamente
162Ibid.
163O. Malnuit e La Reseau de Voltaire v. Sté Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de Paris,
30 aprile 2003.
164Ibid. “Considérant qu’à cet égard, les sociétés COMPAGNIE GERVAIS DANONE et
GROUPE DANONE ne sauraient invoquer les dispositions de l’aI1icle L 713-3 du Code de la
propriété intellectuelle, dès lors que, par les modifications apportées à la marque DANONE
par l’adjonction du pronom et du verbe "jeboycotte" et les textes qui l’accompagnent,
l’association RESEAU VOLTAIRE et Olivier MALNUIT montrent clairement leur intention de
dénoncer les pratiques sociales des sociétés mises en cause et les risques pour l’emploi, sans
induire en erreur le public quant à l’identité des auteurs de la communication.”
165Ibid. “les signes jeboycottedanone.net et jeboycottedanone.com ne visent manifestement pas à
promouvoir la commercialisation de produits ou de services, concurrents de ceux des sociétés
intimées, en faveur de l’association RESEAU VOLTAIRE et de Olivier MALNUIT mais relève
au contraire d’un usage purement polémique étranger à la vie des affaire.”
166Ibid. “qu’il résulte des éléments du dossier que, d’une part, la référence à la marque
DANONE était nécessaire pour expliquer le caractère politique ou polémique de la campagne
et, d’autre part, que, contrairement aux allégations des sociétés GROUPE DANONE et
COMPAGNIE GERVAIS DANONE, leurs produits n’étaient nullement dénigrés ni même visés,
puisque, sur les sites litigieux, on relève, tout au contraire, des mentions telles que «on aime
nos produits. On a envie de continuer à les fabriquer, on a envie que les gens continuent à les
acheter.”
167Ibid. “Mais considérant que le principe à valeur constitutionnel de la liberté d’expression, par
ailleurs reconnu tant par les traités et conventions internationales rappelés par l’association
RESEAU VOLTAIRE, implique que cette association et Olivier MALNUIT puissent, sur les
sites internet litigieux, dénoncer sous la forme qu’ils estiment appropriée les conséquences
sociales des plans de restructuration mis en place par les intimées ; que si cette liberté n’est
pas absolue, elle ne peut néanmoins subir que les restrictions rendues nécessaires par le
respect des droits d’autrui.”
168Ibid. “qu’il résulte des éléments du dossier que […] la référence à la marque DANONE était
nécessaire pour expliquer le caractère politique ou polémique de la campagne.”
241
ribadita
la
non
quest'utilizzo
non
necessarietà
venne
del
riferimento
considerato
illecito
al
in
logo,
ma
quanto
non
contraffattivo. La non contraffazione venne affermata dal momento
che l'uso del marchio Danone non fu ritenuto né come confusorio,
né come compiuto nel commercio.
Riguardo alla denigrazione del marchio notorio anche in questo caso
il bilanciamento pare quindi venir compiuto al di fuori del diritto
dei marchi, in quanto vengono ritenuti bastevoli alla delineazione di
un
uso
non
contraffattorio
la
non
confusorietà
e
la
non-
commercialità. Ancora una volta un'eventuale responsabilità per la
denigrazione
del
marchio
venne
ricompresa
all'interno
della
responsabilità aquiliana.
E' interessante quindi notare che le ultime due cause oggetto del
nostro esame siano accomunate da diversi elementi. In primo luogo
dal fatto che, pur trattandosi di marchi notori, non viene chiamata in
causa la fattispecie di tarnishment. Questo in quanto, per escludere
la contraffattorietà di detti utilizzi, le corti francesi hanno ritenuto
sufficienti
la
non
confusorietà
dell'utilizzo, 1 6 9
e
la
sua
non
commercialità, la quale serve altresì ad escludere una contraffazione
ai sensi dell'art. 713-5 del Code de la Propriete Intellectuelle. Le
considerazioni sul danno d'immagine al marchio e ai prodotti da
esso contrassegnati è stato affrontato dalle corti al di fuori, quindi,
del diritto dei marchi; un bilanciamento con la libertà d'espressione
è avvenuto in questo caso sia all'interno della trademark law,
considerando l'uso non contraffattivo, sia all'esterno, qualificandolo
come non denigratorio . 1 7 0 E' stato inoltre enfatizzato, in entrambe le
169V. G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace
and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 170-171 "faced with the problem of proving
actual likelihood of confusion, the judges contented themselves with finding a mere likelihood
of association, which they simply assimilated to a likelihood of confusion. However, European
case law is perfectly clear: a mere likelihood of association is insufficient of itself to prove a
likelihood of confusion."
170V. in riferimento a Danone E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 30 “The
242
sentenze,
come
coloro
che
criticano
una
determinata
pratica
aziendale possano scegliere i metodi e le forme che ritengono più
appropriate. 1 7 1
Un altro caso, accaduto in Francia nel corso dei primi anni del
nuovo millennio, ha poi visto i giudici esprimersi in modo
parzialmente differente, almeno fino al giudizio di Cassazione.
Questo caso concerne l'associazione compiuta da
Greenpeace,
all'interno dei propri siti Internet, del marchio AREVA, azienda
monopolista per l'erogazione e la distribuzione dell'energia nucleare
in Francia, alla figura di un teschio e di un pesce morto, per
sottolineare la pericolosità e la dannosità dell'energia atomica e
dell'inquinamento
radioattivo
prodotto
dalla
Spcea,
società
detentrice del marchio AREVA. La Spcea contestò dunque l'uso
compiuto da Greenpeace del suo marchio. In un primo momento il
TGI di Parigi, nel decidere sui provvedimenti cautelari, rigettò le
richieste della Spcea affermando che l'uso compiuto da Greenpeace
rientrasse
all'interno
della
libertà
d'espressione
e
che
non
Court held that the use of the semi-pictorial trademarks of Danone to support the criticism of
the employment policy conducted by Danone was not aimed at tarnishing its products and
services.” V. anche G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the
French Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 168 "In concrete terms,
in the Greenpeace/ Esso and Danone cases, the judges eventually ruled that the defendant
critics had not abused their rights to criticize and had not denigrated the companies'
products." V. Anche M. ISGOUR, L'Atteinte à l'Image de Marque des Personnes Morales,
Auteurs & Media, Larcier, 2007, pag. 221; K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big
Business: Comparing Approaches to the Balancing of Societal Interests behind Trademark
Protection, supra nota 17 cap. II, pag. 686.
171V. O. Malnuit e La Reseau de Voltaire v. Sté Compagnie Gervais Danone, Cour d'Appel de
Paris, 30 aprile 2003, supra nota 103; ESSO v. Greenpeace, Cour d'Appel de Paris, 16
novembre 2005 “Considérant que le principe à valeur constitutionnelle de la liberté d'
expression implique que, conformément à son objet statutaire, l'association GREENPEACE
puisse, dans ses écrits ou sur son site internet, dénoncer sous la forme qu'elle estime
appropriée au but poursuivi les atteintes à l'environnement et les risques causés à la santé
humaine par certaines activités industrielles; que si cette liberté n'est pas absolue, elle ne peut
néanmoins subir que les restrictions rendues nécessaires par la défense des droits d' autrui." V.
In merito K. WECKSTROM, The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches
to the Balancing of Societal Interests behind Trademark Protection, supra nota 17 cap. II, pag.
686 “The court noted that although the freedom of expression is not absolute, the speaker is
entitled to choose whatever form to denounce someone's activities it feels appropriate to the
objective pursued.”
243
sussistesse
un
rischio
di
confusione
nell'internauta. 1 7 2
Questa
ordinanza venne confermata nell'appello presentato dalla Spcea. 1 7 3
Un'inversione di tendenza si verificò però quando i giudici francesi
si trovarono a giudicare la questione nel merito. Il TGI di Parigi,
difatti, pur negando la contraffazione del marchio Areva da parte di
Greenpeace,
in
quanto
venne
riscontrata
come
mancante
la
confusione nelle menti del pubblico, dato l'evidente intento di
denuncia, 1 7 4 affermò che l'associazione del marchio Areva alla morte
fosse da considerarsi come un utilizzo denigratorio e, come tale,
comportasse la responsabilità aquiliana dei suoi autori, 1 7 5 i quali,
sottolineò la corte, avrebbero potuto scegliere qualsiasi altro mezzo
per “recapitare” quel determinato messaggio. 1 7 6 In questo caso
quindi sarebbe venuta a mancare la proporzionalità tra l'utilizzo del
marchio e le finalità critiche che si vogliono raggiungere attraverso
di esso; questa valutazione, però, venne compiuta ancora una volta
al di fuori del diritto dei marchi, in quanto si fonda sull'art. 1382
del Code Civil, attraverso il quale può esser ravvisato un illecito
nell'utilizzo del marchio al di là della sua non contraffattorietà.
Questa sentenza venne poi confermata in secondo grado dalla Cour
172V. Spcea v. Greenpeace France, Tribunal de Grande Instance de Paris, 2 agosto 2002 “Aussi, il
y a lieu de s'interroger sur la pertinence de l'application de l'art. L. 713-3 b) [sull'imitazione
confusoria, n.d.r.] précipité en l’espèce dès lors, d'une part, que la finalité des ces imitations
ne se situe pas sur le terrain commercial mais sur le terrain de la liberté d'expression dans le
cadre du droit à la critique et à la caricature et que, d'autre part, le risque de confusion est
problématique, l'internaute compte-tenu de la notoriété de l’éditeur du site ne pouvant croire
que les informations diffusées proviennent du titulaire des marques ou d’entreprises qui lui
sont liées.”
173V. Spcea v. Greenpeace France, Cour d'appel de Paris, 26 febbraio 2003.
174V. Spcea v. Greenpeace France, Tribunal de Grande Instance de Paris, 9 luglio 2004 “Mais
attendu qu'en association les marques de la Spcea à des têtes de mort, des poissons, des
bombes nucléaires ou à un slogan en forme de jeu de mots dans les conditions ci-dessus
décrites, les associations Greenpeace montrent clairement leur volonté de dénoncer les
activités de ladite société dont elles critiquent les incidences sur l'environnement, sans induire
en erreur le public l’identité de l'auteur des messages.”
175Ibid. “Attendu que l’équation 'Areva=mort' procède donc d'une démarche purement
dénigrante qui engage la responsabilité des leurs auteurs.”
176Ibid. “Mais attendu qu'elles pouvaient utiliser toutes autres moyens, y compris sous forme
d'images, pour illustrer leur positions et alerter le public sur le dangers que représenteraient
selon elles les choix adoptés en matière nucléaire.”
244
d'Appel de Paris 1 7 7 la quale, pur riconoscendo il carattere di
denuncia dell'utilizzo del marchio Areva da parte di Greenpeace,
affermò altresì che questo uso andasse al di là di quei limiti posti
alla libertà d'espressione e ne costituisse quindi un abuso, in quanto
denigratorio del marchio Areva e discreditante dei suoi prodotti; con
dato utilizzo, a parere della corte, Greenpeace era andata al di là di
quanto ritenuto lecito per supportare a una campagna contro le
scorie nucleari. 1 7 8 Anche riguardo alle accuse mosse da Spcea sulla
contraffazione del marchio Areva venne confermata la sentenza di
primo grado; l'uso compiuto da Greenpeace del marchio Areva non
doveva considerarsi come contraffattivo, dal momento che, oltre ad
esser assente un rischio di confusione, era avvenuto al di fuori del
commercio; nonostante la critica ai prodotti e servizi di Spcea,
Greenpeace, infatti, non proponeva la vendita di prodotti o servizi
concorrenti e non erano rintracciabili interessi economici sottostanti
alla campagna da essa promossa. 1 7 9
Queste ultime due sentenze sono divenute oggetto di frequente
citazione da parte della dottrina che ne ha enfatizzato la portata in
riferimento alla proporzionalità della critica, rispetto agli scopi che
intenda raggiungere. Questa proporzionalità, come esaminato nel
corso del secondo capitolo, viene ritenuta necessaria per far in
modo
che
l'utilizzo
critico
del
marchio
possa
usufruire
dell'“ombrello” fornito dal principio della libertà d'espressione e
177Greenpeace France v. Spcea, Cour d'Appel de Paris, 17 novembre 2006.
178Ibid. “les associations Greenpeace vont, en raison de la généralisation qu'elles induisent sur
l'ensemble des activités de la société intimée, au-delà de la liberté d'expression permise,
puisqu’elles incluent des activités qui ne sont pas concernées par la but que les associations
Greenpeace poursuivent en l’espèce, c’est-à-dire la lutte contre les déchets nucléaires; qu'elles
ont par cette généralisation, abusé du droit à la liberté d'expression, portant un discrédit sur
l'ensemble des produits et des services de la société Spcea et ont ainsi commis des actes fautifs
dont elles doivent réparation.”
179Ibid. “Considérant, en outre, qu'il n'est pas démontré par la société intimée que les
associations Greenpeace, présentes dans la cause, auraient, même de manière indirecte, incité
leur public, par l'usage reproché des marques, à acquérir des produits ou à s'adresser à des
services pour lesquels les associations auraient des intérêts personnelles qui pourraient les
rendre acteurs dans la vie des affaires.”
245
giustificare un danno lamentato ai sensi dell'art. 1382; proprio le
due sentenze sopra analizzate sono state utilizzate dalla dottrina
come un esempio di mancanza di proporzionalità della critica e
quindi di colpevole denigrazione del marchio. 1 8 0
La vicenda subì però un colpo di scena nel 2008; la Cour de
Cassation, infatti, ribaltò la decisione della Cour d'Appel di
Parigi, 1 8 1 affermando che l'utilizzo compiuto da Greenpeace del
marchio Areva, rivolto contro i prodotti e i servizi commercializzati
dalla Spcea e non nei confronti dell'“ honneur ou [de n.d.r.] la
considération de la personne morale ”, 1 8 2 non costituisse un abuso
della libertà d'espressione in quanto, secondo la stessa Corte,
Greenpeace
aveva
agito
conformemente
agli
scopi
da
essa
perseguiti, concernenti l'interesse generale e la salute pubblica, al
contrario di quanto affermato in precedenza dalla Cour d'Appel. 1 8 3 A
parere quindi dei giudici della Cassazione era stata quindi rispettata
quella proporzionalità tra la critica e lo scopo che si proponeva di
raggiungere, invocata come elemento imprescindibile dalla succitata
giurisprudenza
nonché
dalla
dottrina. 1 8 4
La
decisione
della
Cassazione ha riportato quindi il caso AREVA in linea con i casi
180V. C. GEIGER, Trade Marks and Freedom of Expression – The Proportionality of Criticism,
supra nota 66 cap. II, pag. 325 “Thus, in the case of Areva v. Greenpeace, the court held that
the trade mark had not been infringed but admitted that the limits of freedom of expression had
been exceed and that there had been a disparagement of the trade mark, which led to liability
of the Greenpeace organization.” V. anche G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and
Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag.
168-169; E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 31; K. WECKSTROM, The
Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the Balancing of Societal
Interests behind Trademark Protection, supra nota 17 cap. II, pag. 685; M. ISGOUR , L'Atteinte à
l'Image de Marque des Personnes Morales, Auteurs & Media, Larcier, 2007, pag. 221; D.
VORHOOF, Is Freedom of Expression a Legitimate Argument for Disrespecting Copyright? the
Parody Metaphor, supra nota 93 cap. II, pag. 44.
181Greenpeace France v. Spcea, Cour de Cassation, 8 aprile 2008.
182Ibid.
183Ibid. “Qu'en statuant ainsi, alors que ces associations agissant conformément à leur objet,
dans un but d’intérêt général et de santé publique par des moyens proportionnés à cette fin,
n'avaient pas abusé de leur droit de libre expression, la cour d'appel a violé les textes
susvisés.”
184V. in merito BIRD & BIRD, Trade Mark Caricatures Permitted in the Name of Freedom of
Expression, in BIRD & BIRD, Brands Update, 2008, pag. 6-7.
246
ESSO e Danone; anche in questo, infatti, l'uso del marchio è stato
definito come non-contraffattorio per le suddette ragioni ed il
giudizio di proporzionalità della critica è stato effettuato al di fuori
della normativa sui marchi, sulla base di una responsabilità
aquiliana e di un equilibrio tra libertà d'espressione e diritti degli
altri.
3.4.2. Nei casi di parodia e satira del marchio.
Dopo aver analizzato i più significativi casi di critica avvenuti
attraverso l'utilizzo del marchio, nel seguente paragrafo compiremo
una panoramica dei casi più importanti, decisi dalle corti europee,
per quel che invece riguarda la parodia e la satira del marchio. Ad
alcuni di questi abbiamo già accennato nel corso dei capitoli
precedenti, ma vi ritorneremo cercando di fornire un'inquadratura
generale della giurisprudenza europea in merito. Dedicheremo poi
un paragrafo all'approfondimento del caso Louis Vuitton v. Plesner,
riguardante l'utilizzo di un diritto di proprietà intellettuale derivante
da un design registrato, nel contesto di un'opera artistica, a cui
abbiamo già più volte accennato nel corso della nostra trattazione e
che è stato oggetto di una recente decisione da parte dei giudici
olandesi.
3.4.2.1. Una panoramica sulla giurisprudenza italiana ed europea.
Uno dei primi casi in ordine cronologico di parodia del marchio ad
essersi verificato in Europa, e più precisamente in Germania, è il
247
caso BMW, 1 8 5 nel quale la vendita di adesivi riportanti il logo della
celebre casa automobilistica associato ad uno slogan dal contenuto
volgare (“ BMW- Bumms Mal Wieder ”) non venne considerato dai
giudici tedeschi come contraffazione del marchio BMW. Questo in
quanto venne riconosciuto il carattere goliardico dell'uso del
marchio,
facilmente
comprensibile
anche
dal
pubblico
e
non
causante, secondo il Bundesgerichtshof, un ingiusto vantaggio a
favore del produttore dei suddetti adesivi; l'uso in questione,
inoltre, non venne definito come trademark use, dando vita, in
questo modo, alle critiche da parte della dottrina. 1 8 6 A una
conclusione opposta giunsero invece i giudici del Bundesgerichtshof
nei casi Mars 1 8 7 e Nivea, 1 8 8 dei quali ci siamo già occupati nel corso
del secondo capitolo. In entrambi questi casi, difatti, l'utilizzo dei
suddetti marchi in funzione parodistica, in associazione alla vendita
di profilattici, venne ritenuto come un uso del marchio altrui
concretizzante un indebito sfruttamento della notorietà dei marchi
Mars e Nivea e, come tale, ledente i diritti dei rispettivi titolari. 1 8 9
Un altro caso in cui i giudici tedeschi riconobbero la sussistenza di
una
fattispecie
di
free-riding
da
parte
dell'utilizzatore
non
185Bumms Mal Wieder, Bundesgerichtshof, 3 giugno 1986, in GRUR 1986.
186V. in proposito: A. RAHMATIAN, Trade Marks and Human Rights, in P.L.C. TORREMANS,
Intellectual Property and Human Rights, supra nota 18 cap. II, pag. 349; E. GREDLEY, S.
MANIATIS, Parody: A Fatal Attraction? Part 2: Trade Mark Parodies, supra nota 89 cap. II, pag.
418; W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the
Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra
nota 28 cap. I, pag. 231.
187Markenverunglimpfung/Mars, Bundesgerichtshof, 10 febbraio 1994, in GRUR 1994, IIC 1995.
188Markenverunglimpfung II/Nivea, Bundesgerichtshof, 19 ottobre 1994, in GRUR 1995.
189V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 268 “The crucial finding in these cases [Nivea e Mars, n.d.r.] was that the purpose
of the commercial parodies had not been to express an opinion about the right holder, it’s
products or it’s advertising methods. Rather the purpose of the use was found to be nothing
more than the increase in sales of an otherwise not well-selling product.” E. GREDLEY, S.
MANIATIS, Parody: A Fatal Attraction? Part 2: Trade Mark Parodies, supra nota 89 cap. II, pag.
417-418; J. PHILLIPS, Trade Mark Law, a Practical Anatomy, supra nota 32 cap. I; C. ROHNKE, K.
BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of
Expression, supra nota 49 cap. II.
248
autorizzato del marchio è il caso Allianz; 1 9 0 in esso la band hip-hop
“Die Allianz” venne ritenuta responsabile di infrazione del marchio
ALLIANZ, che
contraddistingue
i servizi
offerti
dall'omonimo
gigante delle assicurazioni. Nonostante la parola Allianz in tedesco
significhi alleanza, questo utilizzo venne vietato dall'OLG di
Monaco in quanto ritenuto come un uso del marchio traente un
indebito approfittamento della notorietà dello stesso. La decisione è
stata oggetto di critiche da parte della dottrina. 1 9 1 Sempre a
proposito di free-riding, è necessario poi citare il caso ADIHASH, 1 9 2
in cui la suddetta storpiatura del marchio Adidas , abbinato alla
raffigurazione di foglie di marijuana e alla dicitura “ gives you
speed”, venne ritenuto come uno sfruttamento della notorietà del
marchio della celebre azienda di abbigliamento sportivo. 1 9 3 Un altro
caso
nel
quale
i
giudici
tedeschi
ritennero
di
non
dover
ricomprendere un utilizzo non autorizzato del marchio a fini
parodistici all'interno della libertà d'espressione è poi il caso
Deutsche Pest, 1 9 4 al quale abbiamo già accennato nel corso della
nostra trattazione. 1 9 5 Questo caso ha riguardato l'utilizzo, da parte di
una ditta di costruzioni, di un vecchio camioncino appartenuto alle
Poste tedesche e la modificazione del logo Deutsche Post in
Deutsche Pest . Questa parodizzazione venne ritenuta dall'OLG di
Amburgo come un uso del marchio danneggiante la reputazione del
190Die Allianz, OLG Monaco, 25 novembre 1999.
191V. W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict
between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law, supra nota 28
cap. I, pag. 273 “The choice for the word ‘Allianz’ has thus, in my opinion, been no arbitrary
choice for a well-known trademark, but one for a descriptive sign that contributes to building
the identity of the band. For that reason, I think that it was disproportionate under Article 10
ECHR (as well as Article 5 GG) to prohibit the use of the term as a name for a hip-hop band.”
192ADIHASH, gives you speed, OLG Hamburg, 5 settembre 1991, in GRUR 1992.
193V. in merito W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression, an Enquiry into
the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under European Law,
supra nota 28 cap. I, pag. 268-269; C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts
between Trademark Protection and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 152.
194Deutsche Pest, LG Hamburg, 27 ottobre 1999, in GRUR 2000.
195V. 2.2.3.
249
marchio Deutsche Post e per questo venne vietata. 1 9 6 Sempre
nell'ambito della giurisprudenza tedesca dobbiamo poi citare due
casi riguardanti l'utilizzo di marchi famosi all'interno di cartoline
dal tono goliardico. Il primo di questi casi è Lila-Postkarte 1 9 7 del
quale ci siamo già occupati in 2.2.3., dove abbiamo sottolineato che
il successo della parodia compiuta dal creatore delle suddette
cartoline fece sì che l' uso del marchio Milka fosse considerato come
una forma d'arte e quindi rientrante all'interno della libertà
d'espressione. Il secondo caso riguarda invece la parodizzazione del
nome di una famosa rivista di fitness (Fit for fun ) che venne
trasformato, all'interno di cartoline dagli intenti goliardici, in Fick
for
fun. 1 9 8
intellegibile
Anche
da
questa
parte
del
parodia
venne
pubblico
e
ritenuta
quindi
non
chiara
ed
costituente
contraffazione del marchio Fit for fun. 1 9 9
Anche la giurisprudenza francese presenta diversi esempi di parodia
e satira del marchio. Abbiamo già citato, nel corso del II capitolo i
casi, Citroen, Nutella e President . Il primo ha riguardato la parodia,
all'interno di un programma televisivo, del CEO della Citroen al
quale, in un contesto goliardico, venivano attribuite espressioni
concernenti la scarsa qualità delle auto da questa prodotte. Il caso
arrivò fino in Cassazione la quale stabilì l'impossibilità di scindere
196V. E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 32 “The Hamburg court was of the
opinion that, notwithstanding such rights granted by the Federal Constitution, the owner of a
well-known trademark is not obliged to suffer negative associations with mortal illnesses such
as the plague, which could result in a grave impairment of the reputation of the mark and
transfer a negative image to the well-known trademark.” V. anche C. ROHNKE, K. BOTT, K.U.
JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection and Freedom of Expression,
supra nota 49 cap. II, pag. 152; W. SAKULIN, Trademark Protection and Freedom of Expression,
an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and Freedom of Expression under
European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 232-233.
197Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, I ZR 159/02, 3 Febbraio 2005, GRUR 2005 e IIC, 2007,
119 ss.
198Fit for fun, OLG Amburgo, 1 aprile 1999.
199V. C. ROHNKE, K. BOTT, K.U. JONAS, S. ASSCHENFELDT, Conflicts between Trademark Protection
and Freedom of Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 152; W. SAKULIN, Trademark Protection
and Freedom of Expression, an Enquiry into the Conflict between Trademark Rights and
Freedom of Expression under European Law, supra nota 28 cap. I, pag. 232.
250
la parodizzazione di M. Calvet, CEO della Citroen, dalle auto da
questa prodotte, evidenziando la copertura per mezzo della libertà
d'espressione di questa parodia e sottolineando la mancanza del
rischio di confusione nel pubblico. 2 0 0 Un altro caso riguardante
l'utilizzo di un marchio notorio in un programma di intrattenimento
è il caso Nutella; in esso il famoso marchio della Ferrero fu
associato, in maniera parodistica, ad atti di pedofilia. Se in primo
grado il TGI di Parigi aveva accolto le motivazioni della difesa,
incentrate su di un uso parodistico del marchio Nutella, la Corte
d'Appello invece affermò il carattere denigratorio di tale utilizzo. 2 0 1
Nel caso President, invece, l'uso del logo del celebre formaggio
francese come copertina di un album musicale venne ritenuto
costituente free-riding . 2 0 2 Sempre in tema di satira e parodia del
marchio notorio possiamo poi citare il caso PASTICHE 51, nel quale
un cittadino francese registrò un domain name (pastiche51.net, per
l'appunto) all'interno del quale si prendeva gioco del famoso liquore
francese PASTIS 51. Il TGI di Parigi ritenne questo uso del marchio
PASTIS 51 come denigratorio e quindi contraffattivo ai sensi
200V. Guignols de l'info, Cour de Cassation, 12 luglio 2000 “Mais attendu que l’arrêt que le
propos mettant en cause les véhicules de la marque s'inscrivaient dans le cadre d'une émission
satirique diffusée par une entreprise de communication audiovisuelle et ne pouvaient être
dissociés de la caricature faite de M. Calvet, de sorte que le propos incriminés relevaient de la
liberté d'expression sans créer aucun risque de confusion entre la réalité et l'ouvre satirique.”
A riguardo vedi G. TRIET, Interim Relief, Final Injunctions and Freedom of Speech: the French
Greenpeace and Danone litigation, supra nota 113 cap. II, pag. 165-166; M. BLOCH-WEILL, S.
NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R.
MANSUY, S. GUERLAIN, Les Conflits entre le Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra
nota 49 cap. II, pag. 126.
201V. Ferrero v. Rtl, Cour d'Appel de Paris, 7 maggio 2007; v. in merito G. TRIET, Interim Relief,
Final Injunctions and Freedom of Speech: the French Greenpeace and Danone Litigation,
supra nota 113 cap. II, pag. 169; M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER, E.
COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN , Les Conflits entre le
Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 127.
202Président, Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 ottobre 1996; v. in merito K. WECKSTROM,
The Lawfulness of Criticizing Big Business: Comparing Approaches to the Balancing of
Societal Interests behind Trademark Protection, supra nota 17 cap. II, pag. 673 “Similarly,
depicting the famous wrapping paper for 'PRESIDENT' cheese on an album cover
constituted unlawful exploitation of another’s reputation, although the argument was
made that the use was satirical.” M. BLOCH-WEILL, S. NAUMANN, A. LAKITS-JOSSE, R. METZGER,
E. COUIC, B. THOMAS, S. MICALLEF, J. MONTEIRO, R. MANSUY, S. GUERLAIN , Les Conflits entre le
Droits de Marques et la Liberté d'Expression, supra nota 49 cap. II, pag. 127-128.
251
dell'art. 713-5 del Code de la propriété intellectuelle (omologo
dell'art. 5.2. della Direttiva 2008/95/CEE sulla protezione del
marchio notorio). 2 0 3
Un
altro
caso
in
cui
i
giudici
transalpini
rinvennero
la
concretizzazione di un utilizzo denigratorio del marchio è il caso
Louis Vuitton v. François D. 2 0 4 Quest'ultimo, all'interno di un sito
Internet
(oedipe.net ),
aveva
dedicato
uno
scritto,
dal
titolo
emblematico (“ Louis Vuitton colle au cul de la burge ”) e dai toni
sarcastici ed irriverenti, ai prodotti commercializzati dalla Louis
Vuitton, indicati come simbolo della peggior borghesia consumista
ed esibizionista. Lo stesso aveva inoltre posto il marchio Louis
Vuitton
quale
contenente
il
metatag
rimandante
al
sito
da
egli
registrato
suddetto
pamphlet.
Il
TGI
di
Nanterre,
pur
riconoscendo l'importanza della libertà d'espressione, affermò che
l'uso compiuto da M. François D. fosse da considerarsi eccedente i
limiti ad essa posti, in quanto denigratorio dei prodotti della Louis
Vuitton. 2 0 5 E' interessante notare come lo stesso tribunale, non
ritenendo l'utilizzo del marchio all'interno di uno scritto come uso
del marchio, abbia svolto la sua analisi sul piano dei limiti alla
libertà d'espressione, al di fuori della legislazione in tema di
marchi, affermando che “cette activité [l'associazione critica e
satirica del marchio Louis Vuitton alla burge, la borghesia, n.d.r.]
est étrangère au domaine de l'article L 713-5 du code de la
203V. SA Pernod-Ricard v. M. Thierry A., Tribunal de Grande Instance de Paris, 9 gennaio 2004
“Attendu […] que l'emploi de cette dénomination dans de telles conditions participe de
l’avilissement des marques précitées et des produits qu'elles désignent en les associant, parmi
d'autres, à des plaisanteries sur la consommation de pastis, et engage en conséquence la
responsabilité de Monsieur A.” V. in proposito E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122
cap. II, pag. 30.
204Louis Vuitton Malletier v. M. François D., Tribunal de Grande Instance de Nanterre, 25 giugno
2002; v. in proposito E. BAUD, The Damage Done, supra nota 122 cap. II, pag. 30.
205Ibid. “Il est incontestable qu'outre le titre 'Louis Vuitton colle au cul de la bourge', les propos
tenus par François D. sur son site pour présenter des produits de la société Louis Vuitton
Malletier sont péjoratifs, vulgaires et grossiers; ils n'ont pour but que de discréditer les
produits vendus par la société Louis Vuitton Malletier dans de termes qui sont dénigrants est
constituent un abus de la liberté d'expression.”
252
propriété
intellectuelle
mais
relève
du
régime
de
la
liberté
d'expression. ” 2 0 6
Passando ora all'analisi della giurisprudenza italiana in merito
possiamo sin da subito notare come in tutti i casi che andremo ad
analizzare l'utilizzo di un determinato marchio a fini parodistici o
satirici è stato considerato come uso del marchio (a differenza dei
casi sopra esaminati riguardanti un utilizzo critico del marchio). Il
bilanciamento con la libertà d'espressione è avvenuto, quindi, nei
casi che ci accingiamo ad esaminare, sempre all'interno della
normativa nazionale sui marchi. Le corti italiane, come abbiamo già
avuto modo di analizzare nel corso del secondo capitolo, si sono
espresse più volte a favore della concretizzazione di una fattispecie
di free-riding. Ciò è accaduto nei casi Agip-Acid, 2 0 7 Porco Diesel 2 0 8
Sard-Rock 2 0 9
e
Gambero
Rozzo . 2 1 0
Il
primo
riguarda
il
confezionamento di t-shirts sulle quali al celebre logo del cane a sei
zampe, appartenente alla nota azienda petrolifera, era stata associata
la dicitura Acid, inneggiante al consumo di droghe sintetiche.
Questo
uso
venne
ritenuto
dal
Tribunale
di
Milano
come
concretizzante un indebito vantaggio per la parte resistente ed un
danno alla notorietà del marchio parodiato e alla sua capacità
distintiva. 2 11
206Ibid.
207Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4
marzo 1999, Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987.
208Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo
2006, IDI, 2007, 149 ss.
209Hard Rock Holdings Ltd. c. BM e BG s.r.l., Trib. Roma, 16 settembre 2005.
210GRH c. Newton Compton, Trib. Roma, 23 giugno 2008, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375.
211Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica s.r.l., Trib. Milano, 4
marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 3987. “Si ritiene infatti che proprio il carattere
distintivo e la celebrità del marchio Agip siano stati il movente dell'operazione di distribuzione
presso i frequentatori di discoteche delle magliette oggetto di causa d'onde l'indiscutibile
rapporto di causalità tra la contraffazione del marchio e l'indebito uso del marchio
contraffatto e l'utile commerciale. Va aggiunto che la scritta Acid nel punto esatto dove nel
marchio originale trova collocazione la scritta Agip, per l'ambiguo riferimento sia a una
tendenza musicale sia a sostanze allucinogene notoriamente in uso in discoteche e ambienti
simili, non può non aver recato pregiudizio alla rinomanza del marchio Agip […] se non altro
per la verosimile possibilità di ritenere che l'attrice potesse aver concesso licenza d'uso del
253
Un altro caso di sfruttamento non autorizzato del marchio attraverso
il confezionamento di t-shirts, al quale abbiamo più volte accennato
nel corso del secondo capitolo, è il caso PORCO DIESEL. 2 1 2
L'utilizzazione del marchio registrato per articoli d'abbigliamento
DIESEL, abbinato alla parola PORCO, richiamante ad una canzone
del
gruppo
musicale
Elio
e
le
Storie
Tese
ed
altresì
ad
un'espressione blasfema, venne ritenuto dal Tribunale di Torino
come
contraffacente
il
marchio
suddetto.
Nonostante
l'identificazione del carattere parodistico di questo uso, attraverso
l'aggiunta
della
parola
PORCO,
determinante
altresì
la
non-
identicità dei segni, e benché sia stata riconosciuta dalla corte
l'appartenenza della suddetta espressione allo slang giovanile, in
forza dell'uso compiutone da Elio e le Storie Tese, i giudici
ritennero sussistente un pericolo di confusione nel pubblico, data la
somiglianza dei segni e la comunanza del settore merceologico in
cui essi sono stati oggetto di utilizzo. 2 1 3
Sempre in tema di t-shirts dal presunto carattere goliardico è
necessario poi citare il caso Sard-Rock, 2 1 4 nel quale l'utilizzo della
suddetta storpiatura del marchio rinomato Hard-Rock venne ritenuto
concretizzante una fattispecie di contraffazione. L'utilizzo dello
stesso logo di Hard-Rock per magliette recanti le scritte Sard-Rock
Dance, Sard-Rock Beach Club e Sard-Rock Cafè (quest'ultima molto
simile ad Hard-Rock Cafè, dicitura riportata sulle magliette vendute
presso la famosa catena di pubs Hard Rock ) fecero propendere il
marchio all'impresa iniziatrice dell'operazione commerciale.” Per la dottrina in merito v. supra
note 86-87, cap. II.
212Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company, Trib. Torino, 9 marzo
2006, IDI, 2007, 149 ss.
213Ibid. “Mentre volendo ritenere più aderente alla presente fattispecie l'ipotesi di cui all'art. 20
lett. b) C.p.i. si dovrebbe considerare che la notorietà del marchio DIESEL nel settore di
riferimento fa ritenere fondato il concreto pericolo di confusione tra prodotti, nel senso che il
potenziale consumatore potrebbe esser indotto a ritenere che DIESEL s.p.a. Abbia autorizzato
o comunque consentito la commercializzazione di prodotti recanti una scritta che contiene il
proprio marchio registrato.”
214Hard Rock Holdings Ltd. c. BM e BG s.r.l., Trib. Roma, 16 settembre 2005.
254
Tribunale di Roma per il riconoscimento sia di un rischio di
confusione 2 1 5 che di un indebito vantaggio per la resistente. 2 1 6 I
giudici inoltre respinsero la possibilità del riconoscimento di un
utilizzo parodistico del summenzionato marchio spingendosi ad
affermare che “appare invero improprio applicare la parodia al
fenomeno della contraffazione di marchio, laddove la ipotizzata
parodia
(Sard
al
posto
di
Hard)
presenta
come
oggetto
di
riferimento un segno distintivo, come tale destinato a individuare
un determinato prodotto distinguendolo da altr i.” 2 1 7
Una decisione di carattere opposto venne invece presa dal Tribunale
di Milano nel caso Lacoste; 2 1 8 il marchio Croco Kids, consistente
nella raffigurazione, in maniera fumettistica, di un coccodrillo in
posizione eretta e vestito come un bambino, con maglietta a righe e
calzoncini corti, non fu considerato come confusorio rispetto al noto
logo dell'azienda francese. Ciò poiché i giudici non ritennero i due
segni dotati di un sufficiente grado di somiglianza: mentre il
coccodrillo Lacoste è rappresentato in maniera naturalistica, quello
della resistente era invece denotato da un carattere burlesco e
giocoso, tale da conferirgli un'autonoma distintività e originalità 2 1 9
215Ibid. “Ad un esame sia comparato che distinto della maglietta recante il marchio Hard Rock e
delle magliette recanti il marchio del resistente, questo Tribunale ritiene che sussista il
paventato rischio di confusione dedotto dalla ricorrente, in quanto la collocazione delle parole
Sard Rock (e in un modello anche Cafe) all’interno di una sagoma circolare, i colori adottati
dal resistente per le parole suddette e per la sagoma circolare, le particolarità grafiche di due
consonanti (R e K) delle parole Sard Rock sono elementi idonei a suscitare nel pubblico la
(falsa) convinzione che il prodotto acquistato provenga dall’impresa titolare del marchio
contraffatto, o comunque che tra l’impresa che distribuisce il prodotto acquistato e quella
titolare sussista un rapporto contrattuale tale da far presumere che si tratti della medesima
fonte di origine.”
216Ibid.
217Ibid.
218La Chemise Lacoste S.A. c. Crocodile Garments Ltd, Trib. Milano, 12 luglio 1999, Giur. Ann.
Dir. Ind., 1999, 4017.
219Ibid. “Tuttavia la comparazione tra i contrapposti segni […] consente di ritenere che, pur
fondandosi anch'esso sulla raffigurazione di un coccodrillo, il marchio della convenuta risulti
efficacemente discostarsi dalla forma del marchio attoreo tanto da costituire un segno
distintivo autonomo e dotato di una propria originalità. Oltre alla presenza di un elemento
denominativo- il termine CROCO KIDS- il marchio della Crocodile Garments Limited
presenta infatti una rappresentazione del coccodrillo del tutto differente e contrastante, per il
255
escludendo un rischio di associazione confusoria nel pubblico. 2 2 0 La
stessa Corte, inoltre, negò, in un passaggio molto criticato 2 2 1 e
criticabile
della
sentenza,
che
si
potesse
affermare
un
approfittamento parassitario della notorietà del marchio Lacoste, in
quanto i prodotti summenzionati si collocavano all'interno della
medesima classe merceologica. 2 2 2
L'utilizzo del marchio altrui in funzione parodistica è poi stato
analizzato dalla giurisprudenza italiana in altri due casi, ai quali le
corti chiamate a decidere hanno fornito opposti pareri. Il primo di
questi casi, già oggetto della nostra analisi nel corso del secondo
capitolo, è il caso Deutsche Grammophon 2 2 3 in cui il gruppo
musicale Elio e le Storie Tese, privo di alcuna autorizzazione, aveva
utilizzato il logo della nota casa discografica di musica classica
all'interno della copertina di un loro album, sostituendo però alla
dicitura Deutsche Grammophon, contenuta nell'originale, il titolo
della loro opera, Gattini. Il Tribunale di Milano affermò che, pur se
era
lampante
il
richiamo
al
marchio
Deutsche
Grammophon ,
altrettanto chiaro era da considerarsi l'intento parodistico del
suddetto richiamo, dovuto alla caratteristica cifra stilistica della
band. Questo chiaro carattere ironico e parodistico fece escludere
suo carattere giocoso, con la figura di coccodrillo del marchio attoreo.”
220Ibid. “Nel caso di specie non si ravvisa dunque una effettiva identità o somiglianza tra segni e
deve escludersi alcun pericolo di confusione nel pubblico né alcuna apprezzabile possibilità di
associazione tra i segni.”
221V. C. GALLI, L'Allargamento della Tutela del Marchio e i Problemi di Internet, supra nota 47
cap. II, pag. 29 “Al di là del caso di specie, è però sin troppo evidente l'assurdità di questa
lettura restrittiva della norma: se un approfittamento parassitario c'è, non si vede ragione per
distinguere fra l'ipotesi in cui esso si verifichi per effetto dell'uso del segno dell'imitatore su
prodotti affini a quelli del titolare del marchio e quella in cui esso derivi dall'uso su prodotti
non affini, tutelando il titolare del marchio solo nel secondo caso.”
222La Chemise Lacoste S.A. c. Crocodile Garments Ltd, Trib. Milano, 12 luglio 1999, Giur. Ann.
Dir. Ind,. 1999, 4017 “Non può esser accolta nemmeno l'ipotesi […] di carenza di novità del
marchio ai sensi della lettera g) dell'art. 17 l.m., posto che tale previsione deve ritenersi
rivolta alla speciale tutela del marchio di rinomanza al di là del principio di relatività vigente
per gli altri marchi, nel caso di specie non ravvisabile per l'identità dei settori merceologici di
riferimento dei marchi in questione.”
223Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan s.p.a. e Sony MusicEntertainement Italy S.p.a., Trib. Milano, 31 dicembre 2009, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009,
5466. e IDI, 2010, 214 ss.
256
alla corte l'esistenza tanto di un rischio di confusione nel pubblico
di riferimento quanto di un fine di agganciamento e sfruttamento
della notorietà del marchio Deutsche Grammophon da parte della
resistente. 2 2 4
In senso opposto si è invece espresso il Tribunale di Roma che ha
recentemente qualificato come contraffattiva la storpiatura del noto
marchio
Gambero
Rosso,
utilizzato
dai
legittimi
titolari
per
contraddistinguere guide eno-gastronomiche . 2 2 5 La casa editrice
Newton Compton aveva infatti utilizzato la dicitura Gambero Rozzo
per intitolare, a sua volta, una guida eno-gastronomica indicante
ristoranti ed enoteche dai prezzi generalmente inferiori rispetto a
quelli dei locali recensiti dalla guida suddetta. Questo uso però
venne ritenuto come traente un indebito vantaggio dalla notorietà
del
marchio
Gambero
Rosso;
ciò
in
quanto
la
finalità
del
summenzionato utilizzo venne individuata nello sfruttamento della
fama commerciale del marchio e non in una parodizzazione o critica
delle opere da questo contraddistinte. 2 2 6 Il fatto, poi, che il marchio
224Ibid. “Tuttavia, risulta del tutto evidente dall'uso in concreto effettuato che la similitudine
strutturale e percettiva tra i due elementi grafici in questione sia stata perseguita da Hukapan
non per determinare confusione nei potenziali acquirenti o per agganciarsi alla notorietà del
segno della ricorrente sfruttandolo commercialmente, bensì quale ironica citazione del
celeberrimo marchio D.G. con finalità parodistiche (tipiche della cifra stilistica degli EELST).
Si tratta in sintesi di una sorta di auto-sberleffo celebrativo, che finge di allineare i 'best of' di
EELST, riorchestrati sinfonicamente, all'eccellenza colta della discografia di Deutsche
Grammophon. […] Considerate le modalità con cui nel settore merceologico di rifermento in
oggetto il pubblico è solito percepire il messaggio racchiuso nel segno distintivo, apre invero
assai improbabile che il consumatore medio di supporti musicali, di normale intelligenza,
diligenza, avvedutezza e cultura possa esser indotto in errore sulla provenienza del prodotto o
compia un'associazione che consenta di trarre un indebito vantaggio commerciale dalla
rinomanza del marchio della ricorrente.”
225GRH c. Newton Compton, Trib. Roma, 23 giugno 2008, Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375.
226Ibid. “ indubbiamente il pubblico di riferimento, pur non confondendo la fonte produttiva delle
distinte, ma affini, opere editoriali […] ha subito un'influenza significativa proprio correlata
all'associazione della guida 'Il Gambero Rozzo” (non a caso così denominata, anziché,
'L'aragosta rozza') alla ben più nota collana di opere dal titolo 'Gambero Rosso' ed alle sue
caratteristiche positive (anzitutto in termini di serietà e competenza nella selezione degli
esercizi), così svelando l'intento di sfruttamento della fama altrui a fini commerciali
(essendosi, nella specie, al di fuori di ipotesi di semplici manifestazioni del pensiero, ai fini
dell'esercizio del diritto di critica o di satira, in quanto lo scopo delle opere contestate non è
certo quello di deridere o criticare l'opera parodiata, le guide del 'Gambero Rosso', quanto di
sfruttarne alcuni elementi per creare un prodotto concorrente sul mercato e che non ne
257
Gambero Rosso fosse stato ritenuto notorio fece sì che, anche in
assenza di un rischio di confusione, 2 2 7 si determinasse la fattispecie
di contraffazione.
3.4.2.2. Simple living: arte, design e critica.
Un caso molto interessante sotto vari profili è quello che ha
riguardato l'opera Simple living dell'artista danese Nadia Plesner;
questo caso, pur avendo ad oggetto l'utilizzo non tanto di un
marchio quanto di un design registrato, 2 2 8 è molto importante in
quanto costituisce un chiaro e recente esempio di bilanciamento tra i
diritti della proprietà intellettuale e la libertà d'espressione, che
assume, in questo caso, i connotati della libertà artistica.
All'interno del dipinto in questione venne infatti proposta la
raffigurazione di un bambino di colore, in evidente stato di
denutrizione, evidenziato altresì dalla sua nudità; lo stesso portava
rappresenta affatto un sostanziale rovesciamento) e di parassitismo ovvero di approfittamento
dei valori acquisiti dall'altrui segno da parte dei resistenti.”
227Ibid.
228Come vedremo, infatti, l'utilizzo contestato dalla Louis Vuitton non è tanto quello del suo
marchio, ma del design della sua Audra bag. E' però da sottolineare come attraverso la
Direttiva 98/71/CE, recepita dai vari ordinamenti comunitari, la tutela del design viene ad esser
assai simile a quella dei segni distintivi di forma, venendosi a perdere la qualificazione del
design come “speciale ornamento”. Viene così a configurarsi una situazione in cui il design
può esser registrato come marchio di forma o disegno/modello, ma, come fa notare Floridia, la
tutela che ne deriva è di tipo omogeneo rispetto a quella conferita ai marchi; v. G. FLORIDIA, I
Disegni e i Modelli, in P. AUTERI, G. FLORIDIA, V. MANGINI, G. OLIVIERI, M. RICOLFI, P. SPADA ,
Diritto Industriale, Proprietà Intellettuale e Concorrenza, Giappichelli, Torino, 2009, pag.
290-291 “Poiché la forma secondo la nuova disciplina dei disegni e dei modelli altro non è
che un segno distintivo atipico tridimensionale del prodotto, lo spostamento della tutela
dall'ambito della concorrenza sleale a quello dei diritti di proprietà industriale è
sostanzialmente omogeneo a ciò che, nell'inquadramento sistematico del Codice, è avvenuto
per il marchio di fatto […] Il titolo della registrazione può configurarsi dunque sia come
registrazione di marchio di forma sia come registrazione di disegno e/o modello ma, in questo
secondo caso, il principio di alternatività delle tutele non trova applicazione perché si tratta di
tutele omogenee sicuramente cumulabili rispetto alle quali il problema che si pone è quello di
evitare interpretazioni confliggenti.”
258
con sé una borsetta assai simile al modello Audra fabbricato dalla
Louis Vuitton, del quale imitava design e colorazione, oltre che un
chihuahua avvolto da un cappottino rosa, richiamante all'esemplare
posseduto dall'ereditiera, nota alle cronache mondane, Paris Hilton.
I richiami alla borsetta Louis Vuitton e alla regina del gossip,
celebre per i suoi poco regali trascorsi, simboleggiavano, come la
stessa
artista
danese
ha
affermato, 2 2 9
una
critica
alla
scarsa
attenzione rivolta dai media e dall'opinione pubblica alla tragedia
del Darfur in confronto all'interesse, che gli stessi denotano, per le
scialbe
vicende
che
vedono
periodicamente
coinvolta
la
summenzionata star dello show business. L'opera Simple living
venne poi, per iniziativa della stessa Plesner, stampata su t-shirts e
posters, venduti all'interno del sito web dell'artista ed il profitto
ricavato dalla loro vendita devoluto all'associazione umanitaria
Divest for Darfur. La reazione dell'azienda titolare del marchio
Louis Vuitton non tardò però ad arrivare, dapprima attraverso una
cease and desist letter ed, in un secondo momento, avendo la
Plesner risposto alla suddetta missiva affermando il suo diritto alla
libertà artistica e d'espressione, per mezzo di una vertenza. In
questa vennero richiesti all'artista 7.500 $ per ogni giorno in cui
fosse continuata la vendita del suddetto merchandise , 7.500 $ per
ogni giorno in cui fosse continuata la menzione del marchio Louis
Vuitton all'interno del sito dell'artista e 7.500 $ per ogni giorno in
cui fosse stata ancora visibile la suddetta cease and desist letter
all'interno del sito medesimo, oltre a 15.000 $ di danni ed il
229V.http://www.nadiaplesner.com/page/page.phpmenu=portfolio&submenu=simple_living&type
=page “My first Simple Living campaign was inspired by the medias constant coverage of
completely meaningless things. As I was reading the book "Not on our watch" by Don Cheadle
and John Prendergast, I felt horrified by the fact that even with the genocide and other
ongoing atrocities in Darfur, Paris Hilton's prison insident was the one story getting all the
attention. Is it possible that show business has outruled common sense? When we're presented
with the same images in the media over and over again, we end up believing that they're
important. My thought was: Since doing nothing but wearing designer bags and small ugly
dogs apparently is enough to get you on a magazine cover, maybe it is worth a try for people
who actually deserve and need attention. If you can't beat them, join them! This is why I chose
to mix the cruel reality with showbiz elements in my drawing 'Simple Living'. “
259
pagamento delle spese legali. Ciò comportò l'emissione di una prima
ordinanza cautelare da parte del TGI di Parigi nel 2008, 2 3 0 a seguito
della quale l'artista danese cessò la vendita del merchandise e la
menzione del marchio Louis Vuitton all'interno del suo sito. Alcuni
anni dopo, però, la Plesner riprese ad utilizzare il design della
borsetta incriminata, dapprima in un dipinto dal titolo Darfunica,
all'interno del quale veniva riportata la medesima raffigurazione del
bambino di colore già presente in Simple Living, e poi, a detta
dell'azienda francese, attraverso la vendita del merchandise legato
alle sue opere pro-Darfur, non più attraverso il suo sito, nel quale,
tra l'altro, ricomparve la raffigurazione della Audra bag , ma nel
corso di “ esibizioni ” in cui presentava al pubblico le proprio opere
(in particolare di una, avvenuta a Copenaghen, il cui cartellone
pubblicitario riportava altresì l'opera Simple Living ). 2 3 1 Per questi
motivi la Corte di Den Hague emanò nel 2011 una seconda
ordinanza cautelare nei confronti dell'artista danese. 2 3 2 In essa i
giudici olandesi evidenziarono il carattere di indebito vantaggio
tratto dall'utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale della Louis
Vuitton (per la precisione del design della Audra bag) da parte della
Plesner nella vendita sia delle sue opere che del merchandise ad
esse legato. 2 3 3 Richiamandosi al caso Nijntje, 2 3 4 la corte affermò che
la libertà d'espressione, come limitazione dei diritti di proprietà
230Louis Vuitton Malletier SA v. N. Plesner, Tribunal de Grande Instance de Paris, 25 marzo 2008;
in questa ordinanza la Plesner viene condannata al pagamento di 5.000 E per ogni giorno in cui
avesse continuato la vendita di posters e magliette recanti il logo Louis Vuitton all'interno del
proprio sito. In seguito a questa decisione la Plesner cessò la suddetta vendita e la
raffigurazione della borsetta modello Audra riportante il marchio Louis Vuitton all'interno del
proprio sito Internet.
231Questa circostanza viene contestata dagli avvocati della Plesner che affermano che questa
vendita sarebbe avvenuta per iniziativa di un giornale danese, che aveva conservato delle
magliette dalla prima campagna Simple Living del 2008.
232Louis Vuitton Malletier SA v. N. Plesner, Corte di Den Hague, 27 gennaio 2011.
233Ibid. para. 18 “It is clear that the respondents intend to attract the public's attention to their
own products by using the intellectual property rights of Louis Vuitton, and in so doing so are
free riding on the public profile of Louis Vuitton and the media attention which the dispute
between Louis Vuitton and Plesner has generated in 2008.”
234Mercier v. Punt.nl., Corte di Amsterdam, 22 dicembre 2009; v. supra 2.2.2.
260
intellettuale, può esser invocata solo in casi eccezionali: 2 3 5 l'utilizzo
del marchio Louis Vuitton da parte della Plesner non può però esser
considerato tale, in quanto l'azienda Louis Vuitton non era in alcun
modo coinvolta nella tragedia del Darfur e quindi il riferimento al
suo marchio non poteva ritenersi necessario; 2 3 6 la corte infatti
suggerì che, per evocare l'opulenza del mondo occidentale, in
contrasto alle misere condizioni di vita sofferte dagli abitanti di una
parte del globo, la Plesner avrebbe potuto raffigurare, ad esempio,
una anello di diamanti o una costosa automobile. I giudici
conclusero poi affermando che l'uso compiuto dall'artista danese del
design della Audra bag, oltre a determinare un indebito vantaggio,
aveva altresì danneggiato, senza motivo, la reputazione della Louis
Vuitton, associandola al genocidio del Darfur. 2 3 7 Questa ordinanza
cautelare, pronunciata ex-parte, stabilì il pagamento di 5.000 E. per
ogni giorno in cui fosse continuato la menzione da parte della
Plesner del design della Audra bag, tanto nel suddetto merchandise,
quanto all'interno delle sue opere.
La Plesner impugnò detta ordinanza e il susseguente giudizio ne
comportò il sostanziale ribaltamento. 2 3 8 La corte di Den Hague,
infatti, affermò che il diritto della Plesner di esprimere la propria
arte, ed una critica sociale attraverso di essa, dovesse esser
considerato come avente un peso specifico maggiore rispetto alla
235Louis Vuitton Malletier SA v. N. Plesner, Corte di Den Hague, 27 gennaio 2011, para. 30.
236Ibid. para. 31 “First of all, there is no necessity to use the intellectual property rights of Louis
Vuitton. Louis Vuitton has nothing to do with the genocide in Darfur, and therefore it is not
necessary (and without reason) to associate Louis Vuitton with this genocide and to use its
intellectual property rights for this purpose.”
237Ibid. para. 34 “Moreover, the unauthorized (and unnecessary) use of the Design is also
causing serious detriment to the rights, as well as the name and reputation of Louis Vuitton
and its products. Although Louis Vuitton ha nothing to do whatsoever with the genocide in
Darfur, a link is established between Louis Vuitton and its products on the one hand, and the
situation in Darfur on the other hand. Naturally, this (unnecessary) use is very damaging to
Louis Vuitton and there is no justification for this use through a reliance on the freedom of
speech. There was none in 2008, and there certainly is no justification neither for the new
infringement in 2011.”
238Nadia Plesner v. Louis Vuitton Mallettier, Corte di Den Hague, 4 maggio 2011.
261
protezione dei diritti di proprietà intellettuale della Louis Vuitton,
derivanti dalla registrazione comunitaria del suddetto design, anche
qualora questa espressione artistica potesse scioccare il pubblico. 2 3 9
La corte preferì non affrontare la questione del sé i diritti derivanti
dalla registrazione di un design si spingessero fino a proteggere la
reputazione del suo titolare. L'uso compiuto dalla Plesner del design
suddetto venne definito come funzionale, proporzionato 2 4 0 e noncommerciale, 2 4 1 in quanto non era intenzione dell'artista trarre da
esso un vantaggio economico, quanto piuttosto far convergere
l'attenzione pubblica sulla tragedia del Darfur. 2 4 2 Se ciò è avvenuto
attraverso l'uso di un design appartenente alla Louis Vuitton, questo
non sta a significare che quest'azienda sia stata oggetto di accuse di
coinvolgimento con il suddetto disastro umanitario o che il pubblico
di riferimento abbia colto siffatto messaggio, anche per il fatto che
non sono state fornite prove a riguardo. 2 4 3 Il fatto che Louis Vuitton
si sia avvalsa della popolarità di personaggi dello show business ,
come la sopracitata Paris Hilton, per promuovere i propri prodotti,
la rende un possibile oggetto di un livello di critica più alto rispetto
a titolari di marchi che non facciano uso di tali testimonials; 2 4 4
239Ibid. “Under preliminary judgment, in the present circumstances the interest of Plesner to (to
continue to) be able to express her (artistic) opinion through the work 'Simple Living' should
outweigh the interest of Louis Vuitton in the peaceful enjoying of its possession.” Riguardo poi
alla possibilità che ad espressioni atte a scioccare il pubblico, la corte, nel ritenerle protette
dalla suddetta libertà di richiama alla sentenza Vereinigung Bildender Kunstler v. Austria, Corte
Europea dei Diritti Umani, 25 gennaio 2007.
240Ibid. “The use by Plesner is to be regarded for the time being as functional and proportional.”
241Ibid. “[The use of Plesner, n.d.r.] it does not serve a mere commercial purpose.”
242Ibid. “Under preliminary judgment it is plausible that Plesner's intention with 'Simple Living'
is not (or was not) to free-ride with Luis Vuitton's reputation in a commercial sense. She rather
uses Luis Vuitton's reputation to pass on her society-critical message.”
243Ibid. “It has neither been argued, nor has it become evident otherwise that at any moment
Plesner has suggested that Luis Vuitton would be involved in the problems in Darfur (which
would be incorrect). Apart from the question of whether it could be taken into consideration in
this design right case that after seeing 'Simple Living' a part of the public could possibly think
that Luis Vuitton […] is in any sense involved in the problems in Darfur, the court in
preliminary relief proceedings does not deem that this has become plausible and Louis Vuitton
has nit submitted any evidence thereof either.”
244Ibid. “The circumstance that Louis Vuitton is a very well-known company, the products of
which enjoy a considerable reputation, which it also stimulates through advertising famous
people, moreover implies that Louis Vuitton must accept critical use as the present one to a
262
proprio per questa sua scelta di marketing, deve in qualche modo
accettare una maggior attenzione critica nei propri confronti, in
quanto è divenuta simbolo di un certo way of life; ciò, se da una
parte le consente una più ampia vendita dei propri prodotti,
dall'altra la espone al biasimo di chi ad esso si oppone.
In questo caso, dunque, il bilanciamento tra diritti di proprietà
intellettuale e libertà d'espressione appare venir compiuto dalla
corte di Den Hague al di fuori delle norme a protezione dei diritti
sul design, pur se la stessa corte non nega che vi sia stato un uso del
disegno della Audra bag. Questo in quanto, nel soppesare i diritti di
proprietà intellettuale derivanti dalla registrazione di detto design e
la libertà artistica della Plesner, i giudici ritengono più importante
conferire una garanzia alla seconda. Gli stessi poi evitano di
interrogarsi se la protezione di un design registrato possa spingersi
fino a proteggere la reputazione del suo titolare, in quanto, anche se
fosse, ciò verrebbe ritenuto in ogni caso non essenziale ai fini di
detto bilanciamento. Come esaminato la corte corrobora la sua
opinione affermando l'intento non-commerciale dell'artista, che anzi
ha avuto il merito di richiamare l'attenzione, attraverso la sua opera,
su di un problema tanto grave. Questo caso quindi pare porsi al di
fuori di quei meccanismi di bilanciamento delineati nel corso della
nostra trattazione in quanto non riguarda l'utilizzo di un marchio ma
di un design registrato. Rimane comunque sia interessante ai fini
della nostra trattazione per il fatto che il suddetto bilanciamento
assuma
in
esso
particolari
sfumature.
Infatti,
pur
essendo
riconosciuto l'uso di un design registrato, il bilanciamento viene
compiuto al di fuori delle norme a tutela di questo e i diritti della
proprietà intellettuale vengono visti come non sufficientemente
stronger degree than other rightholders.” La corte per giustificare la sua affermazione si
richiama alla sentenza Steel&Morris v. United Kingdom, Corte Europea dei Diritti dell'Uomo,
68416/01, 15 febbraio, 2005, della quale abbiamo parlato nel corso del secondo capitolo.
263
pesanti per limitare una libertà d'espressione, connotata dalla noncommercialità, dalla proporzionalità e da un interesse pubblico
rispetto ad una tragedia come quella del Darfur.
3.5. La risposta della giurisprudenza statunitense – alla
ricerca di una linea evolutiva al passo con la dinamica
legislativa.
Dopo aver analizzato gli orientamenti delle corti nazionali europee
nei confronti di un utilizzo parodistico, satirico o critico del
marchio ed aver evidenziato i diversi meccanismi attraverso cui
avviene il bilanciamento tra libertà d'espressione e diritti del
titolare del marchio, è giunto il momento di compiere un'analisi di
alcuni casi affrontati in merito dalla giurisprudenza americana. Nel
corso della nostra trattazione abbiamo già accennato a molte cause,
decise dalle corti statunitensi, riguardanti l'utilizzo parodistico,
satirico o critico del marchio altrui. Dall'analisi compiuta è emerso,
tra le righe, come l'atteggiamento della giurisprudenza statunitense
sia comprensibilmente mutato nel tempo anche in funzione dello
sviluppo legislativo e di una differenziazione interpretativa tra i
vari circuiti federali.
In un primo momento la normativa, non facendo distinzioni tra
protezione del marchio famoso e del marchio non dotato di tale
caratteristica, aveva come unica arma per frenare un utilizzo
indiscriminato del marchio altrui la c.d. likelihood of confusion .
Molti casi furono decisi attraverso questo parametro, 2 4 5 che, alle
245Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183; 1972;
Dallas Cowboys Cheerleaders, Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S. Federal Court of
Appeals, 2nd Circuit, 604 F.2d 200, 14 agosto 1979; San Francisco Arts & Athletics, Inc. v.
United States Olympic Committee, U.S. Supreme Court, 483 U.S. 522, 25 giugno 1987;
Mutual of Omaha Insurance Company v. Novak, U.S. Federal Court of Appeals, 8th Circuit, 836
264
volte, venne altresì distorto al fine di fornire una protezione, in
realtà
non
concessa
dall'ordinamento,
ai
diritti
di
proprietà
intellettuale delle grandi multinazionali, soprattutto in casi in cui il
marchio era stato accostato a condotte capaci di scuotere in senso
negativo l'opinione pubblica. Si arrivò così ad affermare, ad
esempio, la sussistenza di un rischio di confusione nel consumatore
per quel che riguardava, ad esempio, l'uso della scritta EnjoyCocaine su dei posters 2 4 6 , l'utilizzo delle divise sociali di una
squadra di football, sulle quali risultava impresso il relativo
marchio, in un film a carattere pornografico 2 4 7 o l'utilizzo del
simbolo olimpico per promuovere i c.d. Gay Olympic Games . 2 4 8
Alla mancanza di una protezione ad hoc per il marchio famoso
ovviò, come analizzato nel primo capitolo, 2 4 9 il FTDA emanato nel
1995. Questa riforma, come visto, aggiunse un nuovo tipo tutela ai
diritti del titolare del marchio famoso, che andava al di là della
likelihood of confusion , pur rimanendo quest'ultima un importante
strumento azionabile dal trademark holder per difendersi da usi non
F.2d 397, 30 dicembre 1987; The Pillsbury Company v. Milky Way Productions, Inc. et al., U.S.
District Court, Georgia, 215 U.S.P.Q, 24 dicembre 1981; Stop the Olympic Prison v. United
States Olympic Committee, 489 F. Supp. 1112, New York District Court, 25 febbraio 1980.
246Coca-Cola Co. v. Gemini Rising, Inc., U.S. District Court, New York, 346 F. Supp. 1183, 1972;
v. in merito quanto detto in 1.2.3.2.
247Dallas Cowboys Cheerleaders, Inc. v. Pussycat Cinema, Limited, U.S. Federal Court of
Appeals, 2nd Circuit, 604 F.2d 200, 14 agosto 1979; v. in proposito quanto detto in 1.2.3.2.
248San Francisco Arts & Athletics, Inc. v. United States Olympic Committee, U.S. Supreme Court,
483 U.S. 522, 25 giugno 1987 “In this case, the SFAA sought to sell T-shirts, buttons, bumper
stickers, and other items, all emblazoned with the title 'Gay Olympic Games.' The possibility
for confusion as to to sponsorship is obvious.” V. in merito R. SCHAFFER-GOLDMAN, Cease and
Desist: Tarnishment Blunt's Sword in its Battle against the Unseemly, the Unwholesome, and
the Unsavory supra nota 70 cap. II, pag. 1262-1267. Per quanto riguarda lo sfruttamento
commerciale avvenuto a parere della Corte Suprema in questo caso da parte della San
Francisco Arts & Athletics, Inc. vedi quanto detto in 2.2.2. Un altro caso di applicazione per
così dire discutibile della likelihood of confusion è stato Mutual of Omaha Insurance (Mutual
of Omaha Insurance Company v. Novak, U.S. Federal Court of Appeals, 8 th Circuit, 836 F.2d
397, 30 dicembre 1987), nel quale venne ritenuta determinante un rischio di confusione
l'apposizione su t-shirts, da parte di attivisti anti-nucleare, delle scritta 'MUTANT OMAHA,
NUCLEAR HOLOCAUST INSURANCE' in quanto venne ritenuto possibile che il consumatore
ritenesse esistente un rapporto di sponsorship; v. in merito M.K. CANTWELL, Confusion,
Dilution and Speech: First Amendment Limitations on the Trademark Estate, supra nota 176
cap. I , pag. 61-62.
249V. 1.2.3.3.
265
autorizzati del marchio, anche nel caso questo fosse dotato di fama.
Questa nuova protezione era rappresentata dalla fattispecie della
dilution, esaminata nel corso del primo e del secondo capitolo. 2 5 0
All'interno del FTDA, inoltre, era contenuta una prima indicazione
di quelle esenzioni di responsabilità per chi effettuasse determinati
utilizzi del marchio famoso; chi, dunque, avesse compiuto un fair
use 2 5 1 del marchio all'interno della pubblicità comparativa, al fine
identificare prodotti e servizi del concorrente, chi usasse il marchio
in maniera non commerciale o chi, invece, lo utilizzasse per scopi di
informazione veniva esentato da ogni responsabilità, nel caso da
quest'uso fosse potuta discendere una diluizione del marchio. 2 5 2
Riguardo un utilizzo parodistico o critico del marchio assumeva in
quest'ottica
una
commercialità,
grande
soprattutto
importanza
l'eccezione
nell'interpretazione
fornita
di
non-
nel
caso
Barbie Girl dal 9 t h Circuit. 2 5 3 Come già anticipato nel corso del
nostro studio, 2 5 4 questo caso riguardò l'utilizzo parodistico del
marchio Barbie, la celebre bambola della Mattel, all'interno di una
canzone del gruppo pop danese Aqua. Questo uso, seppur non
determinante confusione in merito all'origine dei due prodotti,
250V. 1.2.3.3., 2.4.
251Per quanto riguarda il fair use v. 1.3. e 2.3.2.
252V. Lanham Act, art. 1125, nel testo precedente alla riforma apportata dal TDRA nel 2006: “The
following shall not be actionable under this section: (A) Fair use of a famous mark by another
person in comparative commercial advertising or promotion to identify the competing goods or
services of the owner of the famous mark. (B) Noncommercial use of a mark (C) All forms of
news reporting and news commentary.”
253Mattel v. MCA Records, US Court of Appeals, 9th Circuit, 296 F.3d 894, 24 luglio 2002; In
merito v. C.J. BROWN, A Parody of a Distinction: the Ninth Circuit’s Conflicted Differentiation
Between Parody and Satire, supra nota 56 cap. II, pag.721 ss.; S.L. BURNSTEIN, Dilution by
Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115 cap. II, pag. 1213-1214; S.M. CORDERO,
Cocaine-Cola, the Velvet Elvis, and Anti-Barbie: Defending the Trademark and Publicity
Rights to Cultural Icons, supra nota 6 cap. I, pag. 636-639 (in cui viene compiuta un'analisi di
tutte le cause che hanno coinvolto la famosa bambola della Mattel); B.P. KELLER, R. TUSHNET,
Even More Parodic than the Real: Parody Lawsuits Revisited, supra nota 52 cap. II, pag. 10051009; D.S. WELKOWITZ, Trademark Dilution, Federal, State and International Law, supra nota
94 cap. II, pag. 329-330; R. SCHAFFER-GOLDMAN, Cease and Desist: Tarnishment Blunt's Sword
in its Battle against the Unseemly, the Unwholesome, and theUnsavory supra nota 70 cap. II,
pag. 1269-1271; M.K. CANTWELL, Confusion, Dilution and Speech: First Amendment
Limitations on the Trademark Estate: an Update, supra nota 174 cap. I, pag. 575-579.
254V. 2.2.3.
266
comportò una diluizione (attraverso la fattispecie di blurring , per la
precisione) 2 5 5 del marchio Barbie, in quanto ne danneggiò la
capacità distintiva. 2 5 6 Ciononostante, la stessa corte affermò che si
dovesse
comunque
garantire
la
protezione
conferita
dal
I
emendamento a determinati tipi di espressione che, seppur diluitivi
del marchio, erano considerati degni di ottenerla. Questo spazio per
la freedom of speech, non esistendo ancora un'esenzione esplicita
per parodia e critica del marchio, che verrà introdotta, come
vedremo,
solamente
con
il
TDRA,
fu
rinvenuto
all'interno
dell'eccezione di non-commercialità. Ciò accadde pur se l'utilizzo
da parte della Mca Records venne pacificamente definito come
commercial use in commerce, in quanto la canzone era oggetto di
vendita presso il pubblico. 2 5 7 Il Nono Circuito federale, però,
affermò che la suddetta canzone non aveva propositi esclusivamente
commerciali in quanto, compiva una parodia della famosa bambola,
diventata nel corso degli anni una vera e propria icona culturale. 2 5 8
Questo fece sì che, pur riconoscendo il commercial use in commerce
del marchio, in ragione della parodia succitata, l'uso del marchio
Barbie venne qualificato come non puramente commerciale in
quanto “it does more than propose a commercial transaction. ” 2 5 9 Per
255La Corte, affermando di aver rinvenuto la fattispecie di blurring, non si pone il problema di
indagare anche su quella di tarnishment, seppur invocata dalla Mattel; v. ibid. “Because we
find blurring, we need not consider whether the song also tarnished the Barbie mark.”
256Ibid. “MCA's use of the mark is dilutive. MCA does not dispute that, while a reference to
Barbie would previously have brought to mind only Mattel's doll, after the song's popular
success, some consumers hearing Barbie's name will think of both the doll and the song, or
perhaps of the song only. This is a classic blurring injury and is in no way diminished by the
fact that the song itself refers back to Barbie the doll. To be dilutive, use of the mark need not
bring to mind the junior user alone. The distinctiveness of the mark is diminished if the mark
no longer brings to mind the senior user alone.”
257Ibid. “We are also satisfied that the song amounts to a 'commercial use in commerce.' Although
this statutory language is ungainly, its meaning seems clear: It refers to a use of a famous and
distinctive mark to sell goods other than those produced or authorized by the mark's owner.
That is precisely what MCA did with the Barbie mark: It created and sold to consumers in the
marketplace commercial products (the Barbie Girl single and the Aquarium album) that bear
the Barbie mark.”
258Per quanto riguarda la trasformazione dei marchi in icone culturali si rimanda a quanto
affermato nel corso dell'Introduzione (v. supra nota 6).
259Ibid.
267
questa ragione la corte affermò, richiamandosi anche a quelli che
secondo i propositi degli estensori del FTDA dovevano esser i suoi
obbiettivi, che il carattere non puramente commerciale del suddetto
uso del marchio Barbie gli consentisse di rientrare all'interno di
quell'eccezione di non commercialità prevista dal FTDA. 2 6 0
L'eccezione di non commercialità si dimostra quindi essere quella
più appetibile per chi sia alla ricerca di una protezione per un uso
parodistico o critico del marchio. Come già analizzato nel corso del
secondo
capitolo,
quindi,
fino
all'emanazione
del
TDRA
un
imprescindibile ruolo sarà giocato dalla qualificazione dell'uso
come commerciale, non-commerciale o non puramente commerciale
(ed in questi ultimi due casi, come abbiamo visto, sarà possibile
usufruire della suddetta esenzione). 2 6 1 Riguardo alla commercialità,
poi, abbiamo già messo in luce nel secondo capitolo come, solo
qualche hanno prima della sentenza Barbie girl, la giurisprudenza
americana, nella delineazione di quest'elemento, si fosse prodotta in
interpretazioni alquanto discutibili rinvenendo una commercialità
laddove, attraverso l'uso del marchio, si fosse concretizzato un
danno economico per il suo titolare o qualora, un sito web di per sé
non commerciale contenesse links ad altri siti dotati di tale
caratteristica. 2 6 2
260Ibid. “Barbie Girl is not purely commercial speech, and is therefore fully protected. […] the
song also lampoons the Barbie image and comments humorously on the cultural values Aqua
claims she represents. Use of the Barbie mark in the song Barbie Girl therefore falls within the
noncommercial use exemption to the FTDA.”
261V. anche Lucasfilm Ltd. v. Media Market Group, Ltd., District Court, N.D. California, 182 F.
Supp. 2D 897, 22 gennaio 2002 (riguardante la parodia del film Star Wars, attraverso
Starballz). In realtà, come vedremo fra breve, l'eccezione di non-commercialità continuerà ad
avere un ruolo di primo piano anche dopo l'emanazione del TDRA in quanto le eccezioni per
un uso fair use parodistico o critico del marchio non hanno ancora trovato applicazione nella
giurisprudenza.
262V. Jews for Jesus v. Brodsky, U.S. District Court, New Jersey, 993 F.Supp. 282, 6 marzo 1998;
Planned Parenthood v. R. Bucci, U.S. District Court, South. D. New York, 24 marzo 1997;
OBH v. Spotlight Magazine Inc., U.S. District Court, Western District, New York, 86 F.Supp.2d
17, 28 febbraio 2000; People for the Ethical Treatment of Animals, Inc. v. Doughney, U.S.
Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 263 F.3d 359, 18 settembre 2001. Questo orientamento fu
poi però smentito dalle successive sentenze Northland Insurance, Smith v. Wal Mart e Ford; v.
2.2.1., 2.2.2. e 2.2.3.
268
Come ci accingiamo ad esaminare, una più ampia tutela della libertà
d'espressione all'interno del Lanham Act verrà poi fornita attraverso
il
TDRA
del
2006,
che,
come
abbiamo
visto,
introdurrà
espressamente parodia e critica all'interno delle eccezioni previste
per
l'utilizzo
del
marchio
altrui.
Nel
cercare
di
dar
conto
dell'evoluzione del diritto e della giurisprudenza americana nei casi
di conflitto tra libertà d'espressione e tutela dei diritti del titolare
del marchio è però necessario accennare al caso dal quale scaturì la
riforma del FTDA. Questo è il caso Moseley, riguardante l'utilizzo
da parte del titolare di un sexy shop in Kentucky dell'insegna
Victor's Little Secrets , richiamante alla famoso marchio di lingerie
Victoria's Little Secrets . L'azienda titolare di quest'ultimo lamentò
che il suddetto utilizzo comportasse una diluizione del suo marchio,
attraverso un danneggiamento del suo carattere distintivo e della sua
reputazione.
Il
6 th
Circuit
affermando
che
il
ricorrente
federale
appoggiò
dovesse
provare
questa
tesi, 2 6 3
solamente
una
likelihood of dilution , in accordo con il 1 s t , il 2 n d e il 7 t h Circuits e
contrariamente a quanto previsto dal 4 t h e dal 5 t h , che invece
richiedevano una actual dilution , di ben più ardua probazione. 2 6 4
Moseley,
quindi,
presentò ricorso
alla
Corte Suprema 2 6 5
che,
chiamata a sgombrare il campo dai differenti orientamenti in merito
al grado di prova necessario per poter procedere ad una condanna
per diluizione del marchio famoso, affermò che il titolare del
263V. V. Secret Catalogue, Inc. v. Moseley, U.S. Federal Court of Appeals, 6 th Circuit, 259 F.3d
464, 2001.
264V. in merito J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand Criticism and Free Speech,
Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra nota 48 cap. I, pag. 1937
“While the Fourth and Fifth Circuits required proof of actual dilution, the First, Second, Sixth,
and Seventh Circuits adopted a “likelihood of dilution” standard, due in part to the belief that
proving actual dilution is impossible.” V. anche J.C. KAISER, Victor's not so Little Secret:
Trademark Dilution is Difficult but not Impossible to Prove following Moseley v. V. Secret
Catalogue, Inc., Chicago-Kent Law Review, 2005, pag. 431-434; T. MCCARTHY, Dilution of a
Trade Mark: European and United States Law Compared, in D. VAVER, L. BENTLY, Intellectual
Property in the New Millennium, Cambridge University Press, 2004, pag. 162-163; B.A.
JACOBS, Trademark Dilution on the Constitutional Edge, supra nota 180 cap. II.
265Moseley v. V. Secret Catalogue, Inc., U.S. Supreme Court, 4 marzo 2003.
269
marchio dovesse dar prova di actual dilution. 2 6 6 La stessa corte,
però, non aderì completamente alla posizione del 4 t h Circuit, che
richiedeva altresì la prova di un actual economic harm. 2 6 7 L'uso
compiuto da Moseley venne dunque ritenuto lecito in quanto il
titolare del marchio Victoria's Secret non era riuscito a provare
un'actual dilution. Questa sentenza della Corte Suprema, però,
invece che risolvere i conflitti tra i diversi Circuiti federali, portò
nuovi interrogativi, tra i quali la ricomprensione della fattispecie di
tarnishment all'interno del Lanham Act. 2 6 8 Al fine di chiarire il
grado di prova necessario per poter invocare la diluizione del
marchio famoso e di risolvere i problemi riguardanti la protezione
conferita dal FTDA alla fattispecie di tarnishment, venne quindi
emanato il TDRA nel 2006. In esso possiamo riscontrare diverse
novità legislative, alcune delle quali sono già state analizzate nel
corso della nostra trattazione. Vennero quindi tipizzate le fattispecie
di tarnishment e blurring, fu stabilito uno standard di prova
concernente una likelihood per entrambe e redatta una lista di sei
fattori non esclusivi di cui le corti dovessero tenere conto nello
statuire il concretizzarsi della fattispecie di blurring; 2 6 9 venne
operata inoltre una ridefinizione del concetto di marchio famoso. 2 7 0
La novità però più significativa, dal punto di vista della nostra
ricerca, è senza dubbio una riformulazione delle esenzioni di
responsabilità per chi compia un utilizzo non autorizzato del
marchio altrui. Ferme restando le eccezioni per un uso nella
266Ibid. “This text [art. 1125(c)(1) Lanham Act, n.d.r.] unambiguously requires a showing of
actual dilution, rather than a likelihood of dilution.”
267Ibid. “Of course, that does not mean that the consequences of dilution, such as an actual loss
of sales or profits, must also be proved.”
268Ibid. “Petitioners have not disputed the relevance of tarnishment, presumably because that
concept was prominent in litigation brought under state antidilution statutes and because it
was mentioned in the legislative history. Whether it is actually embraced by the statutory text,
however, is another matter.” V. in proposito J.A. HOFRICHTER, Tool of the Trademark: Brand
Criticism and Free Speech, Problems with the Trademark Dilution Revision Act 2006, supra
nota 48 cap. II, pag. 1938.
269V. supra 2.4.1.
270V. su questo punto 1.2.3.3.
270
pubblicità comparativa, non commerciale o in funzione di un news
reporting and news commentary, viene aggiunta l'esenzione per chi
compia un fair use del marchio famoso al fine di “ identifying and
parodying, criticizing, or commenting upon the famous mark owner
or the goods or services of the famous mark owner.” 2 7 1 Viene poi
specificato, all'interno del medesimo articolo, che nella nozione di
fair use siano ricompresi sia il nominative che il descriptive fair
use. 2 7 2 Questa nuova eccezione è sicuramente di grande interesse per
molti degli usi del marchio altrui dei quali abbiamo trattato nel
corso del nostro studio. Attraverso
questa esenzione, infatti,
nonostante alcune possibili difficoltà interpretative, 2 7 3 vengono
tradotte le istanze relative al I emendamento all'interno della
trademark law.
Ciononostante l'interpretazione fornita dal 9 t h Circuit in Mattel v.
Mca Records dell'eccezione di uso non-commerciale , continua ad
esser ampiamente utilizzata dalle corti americane. Ne sono una
testimonianza i casi Smith v. Wal Mart 2 7 4 e Burnett v. 20 t h Century
Fox. 2 7 5 Del primo, riguardante la parodizzazione del marchio WalMart, trasformato in Walqaeda, Freedom-Haters Always, Freedom
Haters Mart, all'interno di un sito dall'emblematico domain name
(www.walocaust.com ),
ci
siamo
già
in
parte
occupati
in
precedenza. 2 7 6 Nonostante la causa sia stata decisa due anni dopo
l'emanazione del TDRA, dobbiamo in questa sede sottolineare, però,
come la Corte distrettuale della Georgia, invece di applicare
l'esenzione prevista per un uso parodistico (o critico), pur se dette
parodizzazioni del marchio Wal Mart erano state stampate su t271Lanham Act art. 1125(c)(3)(ii).
272Per una loro trattazione v. 1.3. e 2.3.2.
273V. in merito 2.2.1.2.
274Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2d 1302, 20 marzo 2008.
275Burnett v. 20th Century Fox Film Corp., U.S. Federal Court of Appeals, 4th Circuit, 507 F.3d
252, 2007.
276V. 2.2.3.
271
shirts e adesivi in vendita attraverso il sito medesimo, preferì
riferirsi all'eccezione di non-commercialità così come interpretata in
Mattel v. Mca Records. Ciò in quanto la parodia compiuta da Mr.
Smith venne ritenuta successfull 2 7 7 e quindi meritevole di protezione
da parte del I Emendamento; se è vero che la parodia di Smith era
stata altresì sfruttata commercialmente dallo stesso attraverso la
vendita di merchandise, ciò venne considerato solamente come un
mezzo secondario per divulgare le sue idee; 2 7 8 l'uso compiuto da
Smith non può esser quindi considerato purely commercial per il
fatto che, come precisa la corte, il suo primario intento era quello di
esprimere il proprio punto di vista nei confronti della Wal-Mart. 2 7 9
Un altro caso, deciso dopo l'emanazione del TDRA in cui, pur
essendo
ipoteticamente
possibile
l'applicazione
della
parody
exemption, la corte optò per il riferimento all'eccezione di non
commercialità è il caso Burnett v. 20 t h Century Fox. 2 8 0 Carol Burnett
è una conduttrice di un omonimo show televisivo e titolare di alcuni
marchi, riferiti a personaggi da lei stessa interpretati. Uno di questi,
Charwoman (trad. “ signora delle pulizie”) fu parodiato all'interno
277Smith v. Wal-Mart, U.S. District Court, Georgia, 537 F. Supp. 2d 1302, 20 marzo 2008. “Smith
has strongly adverse opinions about Wal-Mart; he believes that it has a destructive effect on
communities, treats workers badly and has a damaging influence on the United States as a
whole. He invented the term "Walocaust" to encapsulate his feelings about Wal-Mart, and he
created his Walocaust designs with the intent of calling attention to his beliefs and his cause.
He never expected to have any exclusive rights to the word. He created the term "Wal-Qaeda"
and designs incorporating it with similar expressive intent. The Court has found those designs
to be successful parodies.” V. per la dottrina S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New
Case of Action, supra nota 115 cap. II, pag. 1247-1250; W. MCGEVERAN, Rethinking Trademark
Fair Use, supra nota 38 cap. II, pag. 70-71.
278Ibid.
279Ibid. “The Court is convinced that a reasonable juror could only find that Smith primarily
intended to express himself with his Walocaust and Wal-Qaeda concepts and that commercial
success was a secondary motive at most. Smith has strongly adverse opinions about Wal-Mart;
he believes that it has a destructive effect on communities, treats workers badly and has a
damaging influence on the United States as a whole. He invented the term "Walocaust" to
encapsulate his feelings about Wal-Mart, and he created his Walocaust designs with the intent
of calling attention to his beliefs and his cause. He never expected to have any exclusive rights
to the word. He created the term 'Wal-Qaeda' and designs incorporating it with similar
expressive intent.”
280Carol Burnett v. 20th Century Fox, U.S. Court of Appeals, 4th Circuit, 491 F. Supp. 2d., 2007.
272
di una puntata del cartone animato The Family Guy; Peter, il
personaggio principale del cartoon, entrando in un sexy shop con un
amico, afferma che è così pulito che pare ci lavori Carol Burnett;
subito dopo entra in scena Charwoman , accompagnata dal jingle che
introduce i suoi ingressi al Carol Burnett show, intenta a pulire il
pavimento, circondata dagli articoli tipicamente in vendita in un
negozio di tal fatta. Una scambio di battute di dubbio gusto tra Peter
ed un suo amico chiude lo sketch. La Burnett invocò sia una
violazione del copyright che un danneggiamento della reputazione
del marchio Charwoman; il 4 t h Circuit federale affermò però che
l'utilizzo compiuto dalla Fox, doveva, secondo l'interpretazione
stabilita in Mattel v. Mca , considerarsi come non-commercial
speech. 2 8 1
Un
caso
nel
l'applicazione
quale,
invece,
dell'esenzione
è
di
stata
presa
in
responsabilità
considerazione
per
un
uso
parodistico del marchio famoso è il caso Chewy Vuiton. 2 8 2 La
vicenda riguarda la parodizzazione del marchio Louis Vuitton da
parte di un'azienda produttrice di accessori per animali domestici
che aveva utilizzato il marchio Chewy Vuiton per alcuni giocattoli
per cani, tra i quali uno a forma di borsetta che richiamava, per le
sue caratteristiche ed il simbolo, CV al posto di LV, quelle
commercializzate dalla ricorrente. La Louis Vuitton fece quindi
ricorso sia per blurring che per tarnishment del marchio. Il 4 t h
281Ibid. “under MCA, Fox’s artistic and parodic work is considered noncommercial speech and,
therefore, not subject to a trademark dilution claim.” V. in merito S.L. BURSTEIN, Dilution by
Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115 cap. II, pag. 1245-1247; R. SCHAFFERGOLDMAN, Cease and Desist: Tarnishment Blunt's Sword in its Battle against the Unseemly, the
Unwholesome, and the Unsavory supra nota 70 cap. II, pag. 1273-1274.
282Louis Vuitton Malletier S.A. v. Haute Diggity Dog, U.S. Federal Court of Appeals, 4 th Circuit,
464 F. Supp. 2D 495, 13 novembre 2007; v. in merito S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment,
the New Case of Action, supra nota 115 cap. II, pag. 1244-1245; S. PROGROFF, A.J. ROBERTS, The
Art of Parody, New York Law Journal, 2009; D.R. GERHARDT, The 2006 Trademark Dilution
Revision Act Rolls Out a Luxury Claim and a Parody Exemption, North Carolina J. L. & Tech.,
2007, pag. 223-229; S.L. DOGAN, M.A. LEMLEY, The Trademark Use Requirement in Dilution
Cases, Santa Clara Computer & High Tech. L.J., 2008, pag. 556.
273
Circuit federale per la prima volta considerò l'applicazione della
parody exemption prevista dal TDRA, affermando però che la
parodia non può esser opposta automaticamente come difesa quando
il segno viene utilizzato come marchio, ossia come “ designation of
source”, 2 8 3 in quanto, come abbiamo visto, l'eccezione per un uso
parodistico opera solamente quando l'utilizzo può esser considerato
come fair use e ciò non avviene quando appunto il segno è
adoperato come marchio. 2 8 4 In questo caso, quindi, non fu applicata
la detta esenzione, ma l'uso compiuto dalla Haute Diggity Dog non
venne comunque ritenuto comportante né blurring ne tarnishment . Il
4 t h Circuit federale difatti affermò che, essendo quella operata dalla
Haute Diggity Dog da considerarsi una parodia di successo 2 8 5 ed
essendo il segno utilizzato non così simile a quello della Louis
Vuitton, 2 8 6 non si poteva ritenere che vi fosse un danno al carattere
distintivo del marchio suddetto. La stessa Corte, inoltre, negò la
sussistenza di un danno alla reputazione del marchio suddetto, in
quanto la Louis Vuitton non aveva fornito prove sufficienti a
283Ibid. “We begin by noting that parody is not automatically a complete defense to a claim of
dilution by blurring where the defendant uses the parody as its own designation of source, i.e.,
as a trademark. Although the TDRA does provide that fair use is a complete defense and
allows that a parody can be considered fair use, it does not extend the fair use defense to
parodies used as a trademark.”
284Ibid. “Under the statute's plain language, parodying a famous mark is protected by the fair
use defense only if the parody is not "a designation of source for the person's own goods or
services. […] In sum, while a defendant's use of a parody as a mark does not support a "fair
use" defense, it may be considered in determining whether the plaintiff-owner of a famous
mark has proved its claim that the defendant's use of a parody mark is likely to impair the
distinctiveness of the famous mark.”
285Ibid. “Even as Haute Diggity Dog's parody mimics the famous mark, it communicates
simultaneously that it is not the famous mark, but is only satirizing it. And because the famous
mark is particularly strong and distinctive, it becomes more likely that a parody will not impair
the distinctiveness of the mark. In short, as Haute Diggity Dog's "Chewy Vuiton" marks are a
successful parody, we conclude that they will not blur the distinctiveness of the famous mark as
a unique identifier of its source.”
286Ibid. “But in this case, Haute Diggity Dog mimicked the famous marks; it did not come so
close to them as to destroy the success of its parody and, more importantly, to diminish the
LVM marks' capacity to identify a single source. Haute Diggity Dog designed a pet chew toy to
imitate and suggest, but not use, the marks of a high-fashion LOUIS VUITTON handbag. It
used 'Chewy Vuiton' to mimic 'LOUIS VUITTON'; it used 'CV' to mimic 'LV'; and it adopted
imperfectly the items of LVM's designs. We conclude that these uses by Haute Diggity Dog
were not so similar as to be likely to impair the distinctiveness of LVM's famous marks.
274
supporto di tale tesi. 2 8 7
Dall'emanazione del TDRA non si rinvengono casi in cui le corti
americane abbiano applicato espressamente l'eccezione in esso
inserita per parodia o critica del marchio. Le corti hanno infatti
preferito riferirsi all'eccezione di non commercialità, così come
interpretata in Mattel v. Mca, o, come in Chewy Vuitton, smontare le
tesi della ricorrente non rinvenendo danno alcuno né alla capacità
distintiva né alla reputazione del marchio. Questo orientamento è
probabilmente frutto del fatto che, affinché un utilizzo parodistico
del marchio possa beneficiare della summenzionata eccezione,
questo non deve esser usato come marchio, ossia come designation
of source. 2 8 8 Ciò in quanto l'eccezione per un utilizzo parodistico
del marchio è sempre subordinata alla qualificazione di detto
utilizzo come fair use, il che appunto comporta, come affermato
dalla corte in Chewy Vuitton , che il marchio non sia usato come
indicatore d'origine del prodotto messo in commercio da chi compia
la parodia. 2 8 9
287Ibid. “To establish its claim for dilution by tarnishment, LVM must show, in lieu of blurring,
that Haute Diggity Dog's use of the 'Chewy Vuiton' mark on dog toys harms the reputation of
the LOUIS VUITTON mark and LVM's other marks. LVM argues that the possibility that a dog
could choke on a 'Chewy Vuiton' toy causes this harm. LVM has, however, provided no record
support for its assertion.”
288Di ciò ci siamo già occupati in 2.2.1.2.
289V. S.L. BURSTEIN, Dilution by Tarnishment, the New Case of Action, supra nota 115 cap. II, pag.
1244-1245 "Under the plain text of the fair use exemption, a parody would be an exempt fair
use if: 1) The parody targets the famous mark owner or the mark owner’s goods or services;
and 2) the parody does not serve “as a designation of source” for the parodist’s “own goods or
services. […] Of course, this exemption suffers from one of the same problems as the
nominative fair use exemption—the uses covered by the exemption should not be subject to the
TDRA at all because they are not trademark uses and are thus out of the reach of the TDRA.”
275
CONCLUSIONI
Nel corso del presente studio si è cercato di compiere un
approfondimento del conflitto, più volte palesatosi nel corso degli
anni, tra libertà d'espressione e diritti del titolare del marchio. Il
primo capitolo è stato quindi dedicato ad analizzare le prerogative
del trade mark holder partendo da una disquisizione sulle basi
razionali a loro sostegno. Abbiamo quindi avuto modo di osservare
come il ruolo dei marchi nella società si sia modificato negli ultimi
decenni,
comportando
altresì
la
trasformazione
della
ratio
sottostante la loro tutela. Da semplici indicatori di origine i marchi
sono infatti divenuti portatori, attraverso la sapiente opera dei
professionisti del marketing, di messaggi rivolti al consumatore,
tanto da assurgere al ruolo, in taluni casi, di icone culturali. Questa
operazione non è però risultata priva di costi per i titolari di questi
diritti di proprietà intellettuale, che si sono tradotti in ingenti
investimenti pubblicitari, meritevoli di garanzia. Caldeggiata dalle
grandi imprese multinazionali, la loro protezione è diventata realtà
a cavallo tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90 con l'emanazione
di norme transnazionali, regionali e nazionali, che hanno conferito
una novella tutela a quei marchi dotati di fama o notorietà. Nel
corso del primo capitolo abbiamo quindi esaminato le varie
tipologie di tutela conferita ai marchi sia notori sia privi di questa
caratteristica, da un punto di vista comparativistico rispetto alla
normativa TRIPS, a quella comunitaria e statunitense. Ci siamo poi
concentrati sulle possibili eccezioni, predisposte dagli ordinamenti
suddetti, alle prerogative del titolare del marchio.
Il secondo capitolo ha poi affrontato in primo luogo le tematiche
legate alla libertà d'espressione e alla sua introduzione all'interno
degli
ordinamenti
oggetto
del
nostro
esame
prendendo
in
considerazione altresì i limiti ad essa posti al fine di garantire il
276
pacifico godimento dei c.d. diritti degli altri . Il nostro esame poi,
avvicinandosi al cuore del conflitto, si è concentrato sull'analisi
della parodia e della satira del marchio e sulla loro differenziazione,
riconosciuta da parte della giurisprudenza americana e di converso,
almeno per quel che concerne il diritto dei marchi, ignorata da
quella europea. Dopo aver esaminato altresì la critica del marchio
ed aver cominciato ad accennare ad alcuni dei suoi risvolti
all'interno della giurisprudenza degli Stati Uniti e dei paesi europei,
abbiamo cominciato ad analizzare quegli elementi che si rivelano
decisivi nel bilanciamento tra libertà d'espressione e prerogative del
titolare del marchio. Si è quindi potuta osservare l'importanza
detenuta
dalla
commercialità
commercialità
dell'uso
del
bilanciamento
e
posto
si
è
e,
di
marchio
altresì
converso,
ai
fini
l'accento
dalla
del
non-
suddetto
sulle
diverse
interpretazioni fornite dalla giurisprudenza di questi elementi. A
questo proposito, poi, si è evidenziata l'esistenza di un terzo tipo di
utilizzo, che pur avendo in parte una connotazione commerciale, per
via del
medium
considerato
dalla
attraverso il quale
giurisprudenza,
ad
viene
compiuto,
esempio
nel
è stato
caso
Lila-
Postkarte in Europa o nel caso Barbie Girl negli Stati Uniti, come
non puramente commerciale, in quanto è mosso da intenti che vanno
al di là di un semplice sfruttamento economico del marchio altrui.
Nel tentativo di costruire le basi ermeneutiche per comprendere il
bilanciamento effettuato dalle corti, abbiamo poi indagato su alcuni
elementi considerati di vitale importanza per il raggiungimento di
questo scopo. Sul versante europeo, quindi, sono stati oggetto di
attento esame il criterio del due cause ex art. 5(2) della Direttiva
2008/95/CE, in riferimento altresì alla libertà d'espressione in
un'ottica di esercizio di un diritto proprio dell'individuo, ed il
criterio dell'ingiusto vantaggio, concretizzante una fattispecie di
free-riding qualora esso si materializzi. Per quanto invece concerne
277
la dottrina e la giurisprudenza americana si è posto invece l'accento
sul fair use e sulle esenzioni espressamente previste dal Lanham Act
per un utilizzo parodistico, critico o non-commerciale del marchio
altrui. L'ultima parte del secondo capitolo, poi, è stata dedicata
all'analisi in concreto della fattispecie di diluizione concernente il
marchio notorio o famoso, compiendo quella distinzione, presente
sia nell'ordinamento comunitario che in quello statunitense, tra il
danno alla capacità distintiva del marchio (c.d. blurring) e il
pregiudizio alla sua reputazione (c.d. tarnishment).
Il terzo capitolo è stato dedicato poi alla concreta attuazione del
bilanciamento suddetto. Prima di procedere all'analisi concreta della
giurisprudenza in merito è parso però doveroso compiere un rapido
excursus sull'utilizzo del marchio altrui in Internet, che grande
importanza sta rivestendo negli ultimi lustri e che nuove sfide ha
apportato per quel che riguarda l'uso dei marchi nei domain names
(e i problemi ad ciò legati come ad esempio il c.d. cybersquatting e
i
gripe
sites);
ci
siamo
quindi
focalizzati
sulla
normativa
statunitense in merito (ACPA) e su quella europea, che abbiamo
visto non presenta alcuna specifica legislazione in merito.
Si è giunti quindi al nocciolo del conflitto sopra richiamato,
mettendo in evidenza le differenze in merito tra gli ordinamenti
oggetto del nostro esame. Si quindi visto come il Lanham Act negli
Stati Uniti, nella sua ultima modificazione denominata FTDA ,
preveda esplicite esenzioni di responsabilità per quel che riguarda
un fair use in funzione parodistica o critica del marchio, oltre ad
una più generale eccezione concernente utilizzi non commerciali. A
riguardo si è passata in rassegna la giurisprudenza americana, a cui
lunghi accenni erano altresì stati dedicati nel corso dei precedenti
capitoli, cercando di tracciare una sua linea evolutiva al passo con
la dinamica legislativa. Si sono quindi esaminate le decisioni delle
corti avvenute anteriormente all'emanazione del FTDA, quando
278
l'unica tutela conferita al marchio concerneva una likelihood of
confusion , criterio talvolta oggetto di distorsioni. Si è passato poi
all'analisi delle cause decise sotto la vigenza del FTDA mettendo in
luce l'importanza, per quel che riguarda un uso parodistico o critico
del marchio, della sentenza Barbie Girl , che segna un punto di
svolta nella giurisprudenza americana in relazione all'eccezione di
non-commercialità ,
scavando
un
solco
rispetto
a
precedenti
decisioni quali Planned Parenthood, Jews for Jesus, OBH e PETA,
che invece avevano rischiato minacciare oltremodo la libertà
d'espressione. Si è poi analizzata la riforma legislativa apportata
attraverso il TDRA ed il caso giudiziario da cui essa è scaturita.
Dall'analisi della giurisprudenza posteriore a questa riforma si è
però visto come non abbiano ancora trovato concreta applicazione le
nuove eccezioni riguardanti un fair use del marchio effettuato con
fini parodistici o critici del marchio, forse anche per le difficoltà
interpretative concernenti l'elemento della designation of source,
come avevamo messo in luce già nel secondo capitolo. Si è quindi
potuto osservare come le corti, anche posteriormente all'emanazione
del
TDRA,
abbiano
ripetutamente
privilegiato
l'applicazione
dell'eccezione di non-commercialità così come interpretata dal 9 t h
Circuit in Barbie Girl.
Per quanto concerne la giurisprudenza dei paesi comunitari abbiamo
poi messo in luce alcune delle difficoltà incontrate dalle corti nel
garantire una protezione alla libertà d'espressione in merito ad un
utilizzo non autorizzato del marchio. Si è quindi creata una prima
scrematura tra i casi in cui questo utilizzo sia stato considerato
dalle
corti
come
uso
del
marchio, facendo
transitare questo
bilanciamento, almeno in parte, all'interno del diritto dei marchi e
quei casi dove invece detto utilizzo non è stato visto come uso del
marchio in quanto non indicante l'origine dei prodotti o servizi in
279
questione. In questa seconda prospettiva si è visto come la
giurisprudenza
abbia
operato
il
bilanciamento
tra
libertà
d'espressione e diritti del titolare del marchio al di fuori della
normativa sui marchi, riallacciandosi al principio di responsabilità
aquiliana. Per quanto invece concerne la prima delle ipotesi
summenzionate si è contestata quella dottrina che ha cercato di
creare uno spazio per la libertà d'espressione facendo rientrare
all'interno
delle
eccezioni
previste
dall'art.
6
della
Direttiva
2008/95/CE gli usi del marchio a fini parodistici o critici. Si è
quindi visto che in assenza di esenzioni esplicite, una tutela della
libertà d'espressione risulti più efficacemente garantita per mezzo
della qualificazione come non-contraffattori degli usi suddetti,
attraverso
la
determinazione
di
una
non-confusione,
di
un
giustificato motivo sorretto dall'interesse sociale oltre che della
mancanza di un vantaggio ingiusto a favore dell'utilizzatore.
Si è poi passati alla concreta analisi concreta della giurisprudenza
delle corti tedesche, francesi ed italiane sia per quanto riguarda sia
la critica del marchio che la sua parodia, cercando di evidenziare i
punti salienti di ogni decisione in merito. Abbiamo poi approfondito
in particolar modo alcuni casi degni di un particolare interesse come
ad esempio, riguardo alla critica del marchio, gli affaires Danone,
ESSO e Areva, che hanno mostrato un bilanciamento operato in parte
all'interno
del
diritto
dei
marchi,
in
forza
di
una
non
contraffattorietà dell'utilizzo determinata dall'assenza di un rischio
di confusione oltre che di commercialità, ed in parte all'esterno di
esso, sulla base del principio di responsabilità aquiliana legato ad
una possibile denigrazione dell'immagine del marchio. Si è poi dato
spazio all'analisi di un recente caso deciso dalla giurisprudenza
olandese nel quale oggetto di utilizzo a fini critici all'interno di
un'opera d'arte è stato un design registrato. Si è quindi osservato
come i diritti della proprietà intellettuale, in presenza di un
280
interesse sociale, siano stati considerati degni di una protezione
minore rispetto a quella da accordare alla libertà d'espressione.
A conclusione del nostro studio possiamo affermare che, pur
attraverso
meccanismi
differenti
una
garanzia
alla
libertà
d'espressione, nel caso di determinati utilizzi del marchio, denotati
da
certune
caratteristiche,
viene
conferita
sia
da
parte
dell'ordinamento statunitense che da parte di quello dei paese
comunitari. Nel primo un pericolo per la libertà d'espressione, che
però pare esser stato superato dalla successiva giurisprudenza, può
esser l'interpretazione data in alcuni casi all'eccezione di noncommercialità e al requisito, affinché si possa affermare un fair use,
di un utilizzo del marchio non come
designation of source ,
questione questa invece ancora aperta; nel secondo, invece, come
sottolineato da parte della dottrina, fallita la ricomprensione
all'interno dell'art. 6 dell Direttiva degli utilizzi parodistici, satirici
o non-commerciali del marchio, si sente la mancanza di un'esplicita
eccezione in merito da aggiungere alle norme vigenti. E' vero che
una commercialità è richiesta come base per la contraffattività
dell'utilizzo
ex
art.
5(1) e
5(2)
della
Direttive,
ma
l'ampia
interpretazione data a questo criterio non fornisce pari garanzie
rispetto ad una espressa eccezione in questo senso.
Vi è poi da sottolineare come, per entrambi i sistemi in esame, un
forte pericolo per la libertà d'espressione sia rappresentato da quel
chilling
effect
determinato
dalla
differenza
di
peso,
che
normalmente si verifica, tra le parti di un'eventuale giudizio.
L'effetto Davide contro Golia, potrebbe infatti scoraggiare l'utilizzo
da parte di semplici cittadini o ONG di marchi per fini critici o
parodistici per timore di lunghi e costosi iter processuali da
affrontarsi avendo come controparte molte volte una ricca e potente
multinazionale, che raramente tarda a reclamare i propri diritti
281
attraverso minacciose cease and desist letters .
Un altro fattore costituente una possibile minaccia alla libertà
d'espressione
è
poi
rappresentato
dalle
novità
legislative
concernenti la proprietà intellettuale che proprio in questo periodo
stanno prendendo forma a livello sia nazionale che transazionale
sotto i nomi di SOPA, PIPA e ACTA, riguardanti soprattutto il mondo
di Internet. Se il processo che avrebbe portato all'approvazione dei
primi due negli Stati Uniti pare esser arrivato ad un punto morto, il
terzo, concluso a livello trasnazionale il 26 gennaio 2012 è già in
vigore con conseguenze che solo una sua futura applicazione potrà
evidenziare.
282
SENTENZE
1) Giurisprudenza delle Corti Nazionali.
Italia
Tribunale
–
Co.Ce.Pa. s.p.a. c. Giuseppina Zirilli, Tribunale di Milano, 27 gennaio
1992, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1992, 2791.
–
Tamaro e Baldini&Castoldi c. Comix s.r.l., Tribunale. Milano, 29 gennaio
1996, in AIDA, 1996, 669 ss.
–
Agip petroli s.p.a. c. Dig.It. International s.r.l. e Ambrosiana Serigrafica
s.r.l., Tribunale di Milano, 4 marzo 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999,
3987.
–
La Chemise Lacoste S.A. c. Crocodile Garments Ltd, Tribunale di Milano,
12 luglio 1999, in Giur. Ann. Dir. Ind., 1999, 4017.
–
FIMAG e FIMAS s.r.l. c. Artistica Meridionale, Tribunale. Catania, 3
luglio 2002, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2003, 4508.
–
Monte dei Paschi di Siena c. IlMioCastello spa, Tribunale di Siena, 21
luglio 2003.
–
IlMioCastello spa c. Monte dei Paschi di Siena, Tribunale di Siena, 11
agosto 2003.
–
Ass. Investici c. Trenitalia spa, Tribunale di Milano, 7 settembre 2004.
–
Hard Rock Holdings Ltd. c. BM e BG s.r.l., Tribunale di Roma, 16
settembre 2005.
–
Diesel s.p.a. e Diesel Italia s.p.a. c. G.C.- Clever Internet Company,
Tribunale di Torino, 9 marzo 2006, in IDI, 2007, 149 ss.
–
GRH c. Newton Compton editori, Tribunale di Roma, 23 giugno 2008, in
Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5375.
283
–
Deutsche Grammophon GmbH e Universal Music Italia s.r.l. c. Hukapan
s.p.a. e Sony Music- Entertainement Italy S.p.a., Tribunale di Milano, 31
dicembre 2009, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2009, 5466 e IDI 2010, 214 ss.
–
FIAT c. RAI, Formigli, Santoro, Tribunale di Torino, 20 febbraio 2012.
Corte D'appello
–
Nobel Sport Martignoni s.p.a. c. Laziale Pesca e Munizioni, Corte
d'Appello di Milano, 17 luglio 2001, in Giur. Ann. Dir. Ind., 2002, 4357.
Corte di Cassazione
–
Editoriale La Repubblica s.p.a. e E. Scalfari c. B. Craxi, Cassaz. Civ. I
sez., n. 9938, 13 novembre 1996, in AIDA, 1997, 637 ss.
–
V. Senesi, S. Frau, Cassaz. Pen. V sez., n. 13563, 22 dicembre 1998, in
AIDA, 1999, 391 ss.
Francia
Tribunal de Grande Instance
–
Président, Tribunal de Grande Instance de Paris, 3eme Chambre, 4 ottobre
1996.
–
Hilton International v. Raclet, Tribunal de Grande Instance de Paris, 1999.
–
Danone v. O. Malnuit, Tribunal de Grande Instance de Paris, 23 aprile
2001.
–
Danone v. Le Reseau de Voltaire, Tribunal de Grande Instance de Paris, 14
maggio 2001.
–
Stè Compagnie Gervais Danone v. O. Malnuit e Le Reseau de Voltaire,
284
Tribunal de Grande Instance de Paris, 4 luglio 2001.
–
Louis Vuitton Malletier v. M. François D., Tribunal de Grande Instance de
Nanterre, 25 giugno 2002.
–
ESSO v. Greenpeace France e Société Internet FR, Tribunal de Grande
Instance de Paris, 8 luglio 2002.
–
Spcea v. Greenpeace France, Tribunal de Grande Instance de Paris, 2
agosto 2002.
–
SA Pernod-Ricard v. M. Thierry A., Tribunal de Grande Instance de Paris,
9 gennaio 2004.
–
ESSO v. Greenpeace France, Tribunal de Grande Instance de Paris, 30
gennaio 2004.
–
Spcea v. Greenpeace France, Tribunal de Grande Instance de Paris, 9
luglio 2004.
Cour d'Appel
–
Sté Phillips Morris Products v. CNCT, Cour d'Appel de Rennes, 17 marzo
1992.
–
Michelin v. CGT, Cour d'Appel de Riom, 15 settembre 1994.
–
Greenpeace France v. ESSO, Cour d'Appel de Paris, 26 febbraio 2003.
–
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–
Olivier Malnuit e La Reseau de Voltaire v. Société Compagnie Gervais
Danone, Cour d'Appel de Paris, 30 aprile 2003.
–
CNMRT v. Sté JT International, Cour d'Appel de Paris, 14 gennaio 2005.
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285
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Germania
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–
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–
Oil-of-elf.de, Kammergericht Berlin, 23 ottobre 2001.
–
Scheiss-t-online, LG Dusseldorf, 30 gennaio 2002.
–
Castor.de, LG Essen, 23 maggio 2002, in GRUR 2002.
–
Stoppesso.de, LG Hamburg, 10 giugno 2002, in GRUR 2003.
Oberlandesgerichte
–
ADIHASH, gives you speed, OLG Hamburg, 5 settembre 1991, in GRUR
1992.
–
Totenkopfsymbol, OLG Hamburg, 1998.
–
'Bild der keine Meinung', OLG Hamburg, 4 giugno 1998.
–
Fit for fun, OLG Hamburg, 1 aprile 1999.
–
Die Allianz, OLG Munchen, 25 novembre 1999.
–
Kampagne gegen die Jagd, OLG Koln, 10 marzo 2000.
286
Bundesgerichtshof
–
Grosses Mordoro Poker, Bundesgerichtshof, 17 aprile 1984, in GRUR
1984.
–
Bumms Mal Wieder, Bundesgerichtshof, 3 giugno 1986, in GRUR 1986.
–
Markenverunglimpfung/Mars, Bundesgerichtshof, 10 febbraio 1994, in
GRUR 1994, IIC 1995.
–
Markenverunglimpfung II/Nivea, Bundesgerichtshof, 19 ottobre 1994, in
GRUR 1995.
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Lila Postkarte, Bundesgerichtshof, I ZR 159/02, 3 Febbraio 2005, GRUR
2005 e in IIC, 2007, 119 ss.
–
Gen-Milch, Bundesgerichtshof, 11 marzo 2008.
Olanda
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Mercier v. Punt.nl., Corte di Amsterdam, 22 dicembre 2009.
–
Louis Vuitton Malletier SA v. N. Plesner, Corte di Den Hague, 27 gennaio
2011.
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Nadia Plesner Joensen v. Louis Vuitton Mallettier SA, Corte di Den Hague,
4 maggio 2011.
Belgio
–
Code NV v. Mercis BV, Dick Bruna, Corte d' Appello di Antwerp, 2 maggio
2006.
Regno Unito
287
–
Sugar Plc v James Robertson & Sons Ltd , Chancery Division, 23 maggio
1996.
–
C.A.
Sheimer
(M)
Sdn Bhd's
application,
opposition
by Visa
InternationalService Association, UK Trade Mark Registry, 1999, in
ETMR.
–
Oasis Stores Ltd's appliocation; opposition of Ever Ready plc, UK Trade
Mark Registry, 1999, in ETMR.
–
Audio Medical Devices Ltd's application; opposition of Audi AG, UK
Trade Mark Registry, 1999.
–
Premier Brands UK Ltd v. Typhoon Europe Ltd,, UK High Court, 21
gennaio 2000, in ETMR, 2000.
–
Associated Newspapers Ltd. v. Express Newspapers, Chancery Division,
11 giugno 2003.
Austria
–
Österreichische Schutzgemeinschaft für Nichtraucher v. R.J. Reynolds
Tobacco Company, Corte Suprema Austriaca, 13 settembre 1988.
Corte di Giustizia del Benelux
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