CONFIMI
Rassegna Stampa del 17/09/2015
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INDICE
CONFIMI
17/09/2015 QN - Il Resto del Carlino - Reggio Emilia
«Jobs act, pronti alla vertenza»
6
17/09/2015 La Provincia di Cremona - Nazionale
Apindustria Import-Export
7
CONFIMI WEB
16/09/2015 www.ilrestodelcarlino.it 13:33
La Fiom diffida le aziende reggiane: «Non applicate il Jobs Act»
9
17/09/2015 borsaitaliana.it 00:13
Economia e finanza: gli avvenimenti di GIOVEDI' 17 settembre -8-
10
16/09/2015 www.etribuna.com 09:42
Confimi Industria a EXPO per la settimana dedicata alla dieta mediterranea
11
16/09/2015 reggioreport.it 16:00
Jobs Act, la Fiom diffida 664 aziende
12
16/09/2015 triesteprima.it 03:16
Settimana Europea della mobilità al via: ricco calendario di eventi e iniziative
17
SCENARIO ECONOMIA
17/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
La dura realtà del deficit
20
17/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Visco: più Europa, i Paesi superino le diffidenze
22
17/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
A tavola con Merkel (parlando di donne)
26
17/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Il giorno della Fed
28
17/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
Popolari, «spa» avanti piano La corsa al tetto per i soci
30
17/09/2015 Corriere della Sera - Nazionale
BlaBlaCar raccoglie (altri) 200 milioni di dollari
31
17/09/2015 Il Sole 24 Ore
L'Ocse alza a 0,7% la stima sul Pil 2015 ma abbassa la previsione 2016 (1,3%)
32
17/09/2015 Il Sole 24 Ore
Così l'algoritmo punta sulla Yellen
33
17/09/2015 Il Sole 24 Ore
Fed, i falsi dilemmi e le vere paure
35
17/09/2015 Il Sole 24 Ore
Fca, l'intesa con i sindacati Usa rilancia la strategia su Gm
37
17/09/2015 Il Sole 24 Ore
Bankitalia: arrivano sanzioni europee, multe fino a 5 milioni
39
17/09/2015 Il Sole 24 Ore
Abi: banche italiane serene sui risultati Srep
40
17/09/2015 La Repubblica - Nazionale
Padoan: "Interverremo sugli esodati con urgenza Niente Tasi per gli affittuari"
41
17/09/2015 La Repubblica - Nazionale
"Caro Draghi la politica espansiva sta indebolendo la spinta riformista"
43
17/09/2015 Panorama
Ridurre la spesa si può: chiedete a Maroni
45
17/09/2015 Panorama
L'ASCESA DI MR EXPO
46
17/09/2015 Panorama
SONO PIENO D'ENERGIA
49
17/09/2015 MF - Nazionale
A Shanghai crollano gli scambi
51
17/09/2015 MF - Nazionale
Il bail in? Non siamo come Cipro
52
17/09/2015 MF - Nazionale
La Banca di Francia e i conflitti dei governatori
54
17/09/2015 MF - Nazionale
La ripresa c'è, Renzi la rafforzi nella Padania
55
SCENARIO PMI
17/09/2015 Corriere della Sera - Milano
Codice di garanzia per le imprese «Stop ai ritardi nei pagamenti»
57
17/09/2015 MF - Nazionale
Futurimpresa investe in Fvf Secondo deal in due mesi
59
16/09/2015 Insurance Review
UN RISCHIO EMERGENTE, UNA POLIZZA PER TUTTI
60
16/09/2015 Insurance Review
COSI CAMBIA IL RISK MANAGEMENT ITALIANO
61
CONFIMI
2 articoli
17/09/2015
Pag. 10 Ed. Reggio Emilia
diffusione:165207
tiratura:206221
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SCONTRO SINDACATO-IMPRENDITORI DOPO LE PAROLE DI SEVERI
«Jobs act, pronti alla vertenza»
di SIMONE RUSSO SONO 800 le lettere di diffida inviate dalla Fiom alle imprese reggiane con l'obbiettivo di
portare alla disapplicazione del Jobs act. La sigla dei metalmeccanici annuncia che laddove non ci sia
risposta positiva, il sindacato è pronto ad aprire vertenze. L'iniziativa coinvolge 664 aziende, che
complessivamente occupano circa 31.200 lavoratori, le associazioni imprenditoriali interessate sono 7
(Unindustria/Federmeccanica, Confapindustria, Confimi, Legacoop, Unione Cooperative, Cna e
Confartigianato) ed inoltre ci sono 128 tra consulenti e studi professionali. SI TRATTA di una prima azione di
carattere contrattuale, con la quale si chiede alle imprese di non applicare unilateralmente le nuove norme, in
particolare per quanto riguarda la tutela contro i licenziamenti arbitrari, sia di natura individuale sia collettiva, il
controllo a distanza dei lavoratori e il demansionamento. «Quello che chiediamo, e che il presidente di
Unindustria Reggio reputa 'inconcepibile' - spiega Sergio Guaitolini, segretario Fiom provinciale - è di aprire
un tavolo di confronto che possa portare a soluzioni contrattuali condivise, che garantiscano pari dignità e
pari diritti a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla data di assunzione. In caso contrario, si apriranno
vertenze in ogni singola azienda». SECONDO la Fiom il jobs act si caratterizza come un 'condono' per le
aziende che licenziano illegalmente, perché di fatto cancella la sanzione per gli imprenditori che violano la
legge. «Può questa essere definita modernizzazione?», si chiede la Fiom. La sigla sindacale inoltre definisce
«ingenerosa e offensiva, oltreché gratuita, la nota diramata da Unindustria in cui il presidente Severi rivolge
alla Fiom accusandola di 'scaricare sulle imprese del territorio la sua incapacità di dialogo'. LA SIGLA dei
metalmecanici sostiene che i dati smentiscono una sua scarsa propensione al dialogo: Fiom ha siglato
«numerosi contratti aziendali, (oltre 100 nel 2014); e che sia in quei contratti, sia quotidianamente, affronta
discute e risolve nelle imprese, attraverso le proprie Rsu e attraverso relazioni costruttive, le problematiche
che si pongono, arricchendo le soluzioni condivise anche del punto di vista dei lavoratori a tutela delle loro
condizioni. «Con la sua iniziativa la Fiom sta portando avanti come categoria quelle che sono disposizioni
della Cgil nazionale di contrasto al Jobs act e noi la sosteniamo», sottolinea Guido Mora, segretario generale
della Camera del Lavoro Territoriale di Reggio.
CONFIMI - Rassegna Stampa 17/09/2015
6
17/09/2015
Pag. 7
diffusione:22748
tiratura:28110
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Apindustria Import-Export
Cremona - 'Import-Export: adempimenti, procedure e documenti doganali' è il tema del corso che Apindustria
Cremona organizza per giovedì 1° ottobre, dalle 9 alle 12, presso la sede di via Gaspare Pedone 20. Le
iscrizioni sono aperte fino alle 12 di giovedì 24 settembre. Inf o 0 3 7 2 2 4 0 7 4 , f o r m a z i
[email protected].
CONFIMI - Rassegna Stampa 17/09/2015
7
CONFIMI WEB
5 articoli
16/09/2015 13:33
Sito Web
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La Fiom diffida le aziende reggiane: «Non applicate il Jobs Act»
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La lettera è stata spedita a 664 imprese che occupano 31.200 lavoratori: "Vogliamo un tavolo di confronto"
Severi (Unindustria): "Richieste Fiom inconcepibili"
Una manifestazione della Fiom Cgil contro il Jobs Act Una manifestazione della Fiom Cgil contro il Jobs Act
Reggio Emilia 16 settembre 2015 - La Fiom Cgil ha deciso, nell'ambito delle iniziative concordate per
contrastare il Jobs Act, di inviare lettere di diffida a tutte le imprese industriali sul territorio reggiano in cui sia
presente almeno un iscritto alla Fiom e, contestualmente, alle Associazioni imprenditoriali ed ai
Consulenti/Studi Professionali che assistono queste imprese.
L'iniziativa coinvolge 664 aziende, che complessivamente occupano circa 31.200 lavoratori, le Associazioni
imprenditoriali interessate sono 7 (Unindustria/Federmeccanica, Confapindustria, Confimi, Legacoop, Unione
Cooperative, C.N.A. e Confartigianato) ed inoltre ci sono 128 tra Consulenti e Studi professionali.
Si tratta della prima azione per chiedere alle imprese di non applicare unilateralmente le nuove norme, in
particolare per quanto riguarda la tutela contro i licenziamenti arbitrari, sia di natura individuale sia collettiva, il
controllo a distanza dei lavoratori e il demansionamento.
«Quello che chiediamo, e che il presidente di Unindustria Reggio reputa "inconcepibile", - spiega Sergio
Guaitolini, segretario Fiom provinciale - è di aprire un tavolo di confronto che possa portare a soluzioni
contrattuali condivise, che garantiscano pari dignità e pari diritti a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla
data di assunzione, al fine di evitare l'imbarbarimento dei rapporti e l'apertura di vertenzialità in ogni singola
azienda».
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17/09/2015 00:13
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borsaitaliana.it
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POLITICA E ATTIVITA' PARLAMENTARE - Roma: le commissioni Giustizia e Finanze del Senato
proseguono l'esame del decreto legislativo relativi a a contenzioso e riscossione. Ore 9,00 e 13,30
- Roma: l'Aula del Senato esamina il disegno di legge di riorganizzazione dell'attivita' di consulenza
finanziaria Ore 9,30
- Roma: l'Aula del Senato esamina la mozione sulle tariffe rc auto. Ore 11,00
- Roma: la commissione Affari costituzionali del Senato prosegue l'esame del disegno di legge con le riforme
istituzionali. Ore 14,00
- Roma: la commissione Industria del Senato nell'ambito del disegno di legge sulle aree industriali dismesse
la Conferenza delle Regioni. Ore 14,00
- Roma: la commissione Ambiente del Senato prosegue le votazioni sugli emendamenti al disegno di legge
collegato ambientale. Ore 14,30
- Roma: la commissione Ambiente del Senato esamina il disegno di legge sulle agenzie ambientali. Ore
15,00
- Roma: in Aula al Senato e' previsto question time con il ministro dell'Ambiente, Gianluca Galletti. Ore 16,00
- Roma: la commissione di inchiesta sulla Contraffazione e la pirateria commerciale esamina la relazione sul
settore dell'olio d'oliva. Ore 8,30 e 14,00
- Roma: la commissione di inchiesta sulla Contraffazione e la pirateria commerciale esamina la relazione sul
settore della mozzarella di bufala campana. Ore 9,00 e 14,30
- Roma: la commissione Antimafia ascolta il presidente dell'Associazione imprese edili manifatturiere, Dino
Piacentini. Ore 14,00
- Roma: la commissione di inchiesta sul Sistema di accoglienza ascolta il presidente della Regione Piemonte,
Sergio Chiamparino. Ore 14,00
- Roma: la commissione Antimafia ascolta il presidente dell'Associazione costruttore edili, Claudio De Albertis
Ore 15,00
--In collaborazione con Borsa Italiana www.borsaitaliana.it
Red(RADIOCOR) 16-09-15 20:12:23 (0634) NNNN
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2015
10
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Economia e finanza: gli avvenimenti di GIOVEDI' 17 settembre -8-
16/09/2015 09:42
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Confimi Industria, sarà tra i protagonisti ad Expo della Settimana della Dieta Mediterranea Patrimonio
UNESCO, in programma dal 14 al 20 settembre. L'occasione è lo "Show cooking e Serata Mediterranea" - in
scena martedì 15 settembre dalle 13 alle 22 all'interno del Cluster Bio-Mediterraneo - che vedrà alcune
aziende associate alla categoria alimentare di
Confimi Industria impegnate nella preparazione di alcuni tipi di pasta delle tradizionali regionali.
Il modenese "Pastificio Palaganese" di Monchio di Palagano, le "Eccellenze Alimentari" di Valeggio sul
Mincio in provincia di Verona, gli abruzzesi "iCanapai" di Introdacqua, Pastificio Miglianico di Miglianico e il
Pastificio Regal di Scerne di Pineto, mostrando le fasi di preparazione delle proprie paste tipiche e
spiegandone le peculiarità legate alla dieta mediterranea daranno vita ad un vero e proprio show culinario, di
più, una food experience. Saranno infatti abili chef a cuocere le paste emiliane, venete e abruzzesi nel pieno
rispetto delle tipicità regionali destinate al tasting del pubblico.
Non solo pastifici: numerose le aziende abruzzesi che faranno da scenario all'evento centrale legato alla
preparazione della pasta di semola e all'uovo: l'Azienda Agricola Colle del Sole di Francavilla al Mare
produttrice di vino; l'Evangelista Liquori di San Giovanni Teatino di Chieti per i liquori; l'Oleificio D'Annunzio di
Casalanguida per l'olio; "La Tradizione", laboratorio alimentare di Francavilla al Mare per i sughi e i
condimenti.
Pietro Marcato, Vicepresidente di Confimi Alimentare, che ha curato l'organizzazione dell'evento, ricorda "La
partecipazione di Confimi Industria Alimentare - unica associazione a prender parte alla Settimana della Dieta
Mediterranea Patrimonio UNESCO in Expo - è parte di un percorso che vede da alcuni mesi la
Confederazione membro effettivo della cabina di regia sulla pasta, istituita presso il Mipaaf". E continua "Da
parte del Mipaaf, c'è un'apertura ulteriore, ovvero da una parte la possibilità di realizzazione cooking show
tematici per ogni singola Regione, e dall'altra creare momenti di divulgazione di altri prodotti, oltre la pasta,
legati alla dieta mediterranea, utili a far conoscere le aziende produttrici aderenti al sistema Confimi
Industria".
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2015
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Confimi Industria a EXPO per la settimana dedicata alla dieta mediterranea
16/09/2015 16:00
Sito Web
reggioreport.it
6/9/2015 - La Fiom di Reggio Emilia ha inviato a 664 aziende della provincia di Reggio Emilia (dove lavorano
32 metalmeccanici) , a 128 consulenti e a 7 associazioni imprenditoriali altrettante lettere di diffida ad
applicare la nuova normativa del Jobs Act ancora in via di approvazione in materia di licenziamenti, di
cambiamento delle mansioni e di controllo a distanza. Le associazioni chiamate in causa sono
Unindustria/Federmeccanica, Confapindustria, Confimi, Legacoop, Unione Cooperative, C.N.A. e
Confartigianato. Le cooperative, insomma, non vengono risparmiate: del resto è propriol'ex presidente di
Legacoop Giuliano Poletti a firmare il Jobs Act come ministro del Lavoro del governo Renzi.
La lettera è formalmente conciliante, perchè contiene la richiesta di "un serio e fattivo confronto", ma in realtà
i toni sono duri, e nella parte finale persino ultimativi: "La presente organizzazione - si legge nella diffida - non
accetterà mai un simile stravolgimento delle condizioni di lavoro" e soprattutto non potrà accettare che nella
stessa azienda, lavoratori che svolgono le stesse mansioni "siano protetti o meno verso i licenziamenti
arbitrari".
La Fiom chiede alle associazioni imprenditoriali l'apertura di un "tavolo di confronto", ma avverte che se
questo tavolo non ci sarà. darà fuoco alle polveri aprendo vertenze sindacali azienda per azienda, e anche
portando le imprese in tribunale: " Di fronte alla vostra indisponibilità ad avviare un serio e fattivo confronto su
tali temi - si legge - e ancor peggio a fronte di vostre iniziative unilaterali sui terreni sopra richiamati,
avvieremo tutte le azioni, sindacali e legali, che saremo in grado di mettere in campo nei confronti della vostra
azienda per garantire la tutela dei lavoratori". Azioni che "sarebbero inevitabili".
La risposta peraltro è già arrivata: Il presidente di Unindustria Reggio Mauro Severi ha definito l'iniziativa
"inqualificabile", invitando implicitamente le imprese a non cedere alle diffide. Unica apertura, la possibilità gli
valutare e migliorare il Jobs Act dopo i primi mesi di applicazione. Di "tavoli" non si parla proprio.
L'iniziativa, che parte dalla Fiom dell'Emilia-Romagna sotto la spinta della Cgil nazionale, è stata presentata
dal segretario provinciale della Camera del Lavoro-Cgil di Reggio Emilia Guido Mora, dal segretario
provinciale della Fiom Sergio Guaitolini e dal segretario organizzativo Marco De Simone. Naturalmente
Reggio Emilia costituisce un banco di prova decisivo per la Fiom anche a livello nazionale: qui il sindacato di
Landini rappresenta "circa il 90%" dei metalmeccanici, e in questi anni di crisi ha firmato centinaia di accordi
aziendale per rinnovare i contratti o finalizzata alla tenuta delle imprese e alla difesa dei posti di lavoro.
Di fronte, da sinistra il segretario provinciale della Cgil Guido Mora, il segretario della Fiom di Reggio Emilia
Sergio Guaitolini, il segretario organizzativo Marco De Simone
Di fronte, da sinistra il segretario provinciale della Cgil Guido Mora, il segretario della Fiom di Reggio Emilia
Sergio Guaitolini, il segretario organizzativo Marco De Simone
"Quello che chiediamo, e che il presidente di Unindustria Reggio reputa "inconcepibile", - spiega Sergio
Guaitolini, segretario Fiom provinciale - è di aprire un tavolo di confronto che possa portare a soluzioni
contrattuali condivise, che garantiscano pari dignità e pari diritti a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla
data di assunzione, al fine di evitare l'imbarbarimento dei rapporti e l'apertura di vertenzialità in ogni singola
azienda".
Il jobs act si caratterizza come un "condono" per le aziende che licenziano illegalmente - sostengono Fiom e
Cgil - perché di fatto cancella la sanzione per gli imprenditori che violano la legge: " Può questa essere
definita modernizzazione? E' così estraneo alla pratica sindacale chiedere l'avvio di un confronto su
provvedimenti che incidono profondamente sulla natura dei rapporti di lavoro e sui loro diritti? Allora, come
non definire ingenerosa e offensiva, oltreché gratuita, la nota diramata da Unindustria in cui il Dott. Severi
rivolge alla Fiom accusandola di "scaricare sulle imprese del territorio la sua incapacità di dialogo"?
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Jobs Act, la Fiom diffida 664 aziende
16/09/2015 16:00
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"Rispondiamo dicendo che chiedere che chi viene licenziato in modo illegittimo possa avere il diritto al
reintegro nell'azienda non è incapacità di dialogo ma tutela di un diritto basilare - continua Guitolini - e che
cancellare questo diritto e chiamarlo "Contratto a tutele crescenti" è una truffa, perché non vi è alcuna tutela
crescente, anzi le tutele sono smantellate per sempre e resta solo un basso indennizzo monetario".
La Fiom "non avrebbe bisogno di ricordare ad Unindustria che a Reggio Emilia è di gran lunga il sindacato più
rappresentativo, con circa il 90 % degli iscritti; che sottoscrive con le imprese associate alla sua
Organizzazione numerosi contratti aziendali, (oltre 100 nel 2014); e che sia in quei contratti, sia
quotidianamente, affronta discute e risolve nelle imprese, attraverso le proprie RSU e attraverso relazioni
costruttive, le problematiche che si pongono, arricchendo le soluzioni condivise anche del punto di vista dei
lavoratori a tutela delle loro condizioni. Ma siamo in un periodo storico in cui la memoria è corta e vittima di
abbagli. Per cui lo ricordiamo".
"Riguardo all'accusa di anacronismo rispondiamo che anacronistica è una visione che vorrebbe il lavoro
senza diritti e i lavoratori schiavi senza la possibilità di organizzarsi per chiedere migliori condizioni di vita e di
lavoro - ha concluso Guaitolinbi - .La Fiom il dialogo lo vuole, lo cerca, lo pratica e lo pretendeper il rilancio
del sistema industriale attraverso investimenti, ricerca e sviluppo, innovazione, valorizzazione delle
professionalità. Siamo pronti a confrontarci sulla ricerca del miglioramento dell'efficienza, della qualità del
prodotto e della produttività dell'impresa, nel rispetto però, imprescindibile, della dignità e delle condizioni di
tutti i lavoratori".
Alla conferenza stampa era presente anche Guido Mora, e non certo per caso. "Con la sua iniziativa la Fiom
porta avanti le disposizioni della Cgil nazionale di contrasto al Jobs act, e noi la sosteniamo" - ha sottolineato
il segretario della Cgil reggiana, che non ha mancato di polemizzare con Severi - "Credo non abbia capito
quanto sia sia grave e sicuramente negativo non mettersi tutti, sindacato, imprese e associazioni, su un piano
di confronto rispetto alle norme introdotte dal Job act Inoltre i maggiori organismi europei sottolineano come
in Italia i livelli di flessibilità siano elevati, non è quindi proseguendo in questa direzione che ci avviciniamo
alla "normalità europea", come scrive Severi, piuttosto ce ne allontaniamo".
LA LETTERA DELLA FIOM ALLE ASSOCIAZION IMPRENDITORIALI
Spett. Unindustria Reggio Emilia,
le recenti novità legislative, quelle già emanate e quelle che stanno per essere approvate, possono indurre
profondi cambiamenti nella complessiva condizione dei lavoratori, potendo incidere su aspetti fondamentali
del rapporto di lavoro, durante il suo svolgimento - incidendo sulla tutela della professionalità, con la riscrittura
dell'articolo 2103 del codice civile, sulla stessa dignità, con l'apertura verso forme pervasive di controllo a
distanza - ed infine sulla stessa protezione verso licenziamenti ingiustificati ed arbitrari, con la nuova
disciplina dei licenziamenti per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015.
Tali possibili cambiamenti non solo rappresenterebbero una forte discontinuità e peggioramento rispetto al
quadro legale precedente ma si pongono in netto contrasto anche con le prassi e le regolamentazioni
collettive,di ogni livello, applicate in azienda, apparendo soprattutto incompatibili con i principi della nostra
Costituzione e della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, oltre che con la Carta sociale europea.
Per questi motivi la scrivente organizzazione vi preannuncia che non accetterà mai un simile stravolgimento
delle condizioni di lavoro. In particolare, non potrà accettare che, nella stessa azienda, lavoratori che
svolgono le stesse mansioni siano protetti o meno verso i licenziamenti arbitrari individuali o collettivi, per
l'applicazione di una diversa disciplina dei licenziamenti solo in ragione del momento dell'assunzione. Non si
riterranno accettabili prassi ed atti aziendali che, con il demansionamento, avviliscano e penalizzino la
professionalità dei lavoratori, così come non si riterranno accettabili forme di controllo a distanza pervasive ed
ossessive, che mettano in discussione la stessa dignità del lavoratore, prima ancora che la propria privacy e
salute.
A fronte di questo quadro, la scrivente organizzazione in ragione della tradizione di gestione condivisa delle
regole dei rapporti di lavoro che da sempre hanno caratterizzato il nostro territorio, costruita attraverso la
16/09/2015 16:00
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contrattazione collettiva e non solo, Vi invita, e per Vostro tramite invita le aziende che rappresentate, a non
procedere unilateralmente, con l'applicazione concreta ed immediata delle nuove regole disponibili, ma
direnderVi disponibili ad un serio confronto sindacale finalizzato ad individuare soluzioni condivise che
riescano a coniugare, come sempre è avvenuto nel nostro territorio, il perseguimento dell'efficienza e
competitività delle imprese con il rispetto della dignità del lavoro.
Nello spirito di cui sopra, e al fine di avviare un fattivo confronto, qui di seguito vengono indicati gli argomenti
su cui lo stesso si potrebbe sviluppare, con l'individuazione di alcuni punti per noi fondamentali.
Per quanto attiene al tema dei licenziamenti, premesso che la scrivente organizzazione non potrà mai
accettare una disciplina dei licenziamenti che lascia privi di tutela tutti i lavoratori assunti dopo il 7 marzo
2015, si impone un confronto urgente finalizzato ad individuare una soluzione negoziale che garantisca un
quadro di tutele adeguate anche a questi lavoratori a fronte di licenziamenti arbitrari. Qualora l'individuazione
di una soluzione negoziale non dovesse arrivare in tempi brevi, nel frattempo Vi invitiamo, onde evitare che la
singola azienda ed il singolo lavoratore si trovino da soli a gestire ed affrontare un possibile licenziamento
con la nuova disciplina, ad introdurre in via temporanea una procedura di confronto preventiva tra azienda,
rappresentanze sindacali, e rispettive associazioni sindacali.
Tale sede di confronto potrebbe servire a vagliare meglio le ragioni dell'ipotizzato licenziamento, delle
possibili alternative ed in ipotesi anche con mutamenti di mansioni o d'orario. Potrebbe anche essere utile ad
individuare, in via pattizia, i costi che l'azienda è disposta a sostenere, sia per accompagnare l'uscita del
lavoratore, sia per il contenuto della sanzione che gli verrà applicata in caso di impugnazione e successivo
accertamento giudiziale dell'illegittimità del licenziamento stesso. Il periodo eventualmente necessario per
raggiungere un accordo generale su tale materia potrebbe servire, attraverso la sperimentazione che si
svilupperebbe sui casi singoli ma anche attraverso un monitoraggio complessivo, a far maturare ipotesi
negoziali condivisibili dalle parti.
Naturalmente il confronto e la ricerca di soluzioni, anche partendo in via provvisoria dai singoli casi, non potrà
non riguardare anche la materia dei licenziamenti collettivi. Per questi ultimi, non solo si impone il
superamento della incomprensibile differenza di tutele tra lavoratori assunti prima o dopo il 7 marzo 2015, ma
la necessità di introduzione di impegni seri da parte delle aziende a ragionare in termini di effettiva mobilità da
posto di lavoro a posto di lavoro.
Il tema della disciplina dei licenziamenti richiama necessariamente anche quello degli appalti rispetto ai quali
si pone una generale esigenza di limitazione, con la introduzione di un impegno da parte delle aziende a non
procedere a subappalti per le lavorazioni interne al ciclo produttivo (come è avvenuto già in importanti
imprese), oltre al ripristino del principio di parità di trattamento salariale. Va evitato che tutti i lavoratori
impegnati negli appalti diventino "neo assunti" con i cambi di appalto e perdano, quindi, la tutela dell'art. 18
dello statuto dei lavoratori a fronte di licenziamenti illegittimi. A questo scopo bisognerà prevedere
l'assunzione di specifici impegni da parte delle aziende committenti. Ad esempio "...
l'azienda si impegna ad inserire nei contratti di appalto, che andrà a stipulare o rinnovare per l'esecuzione di
opere e servizi all'interno della stessa, clausole con le quali, nel caso si successione di imprese nell'appalto,
totale o parziale, il passaggio di dipendenti dal vecchio al nuovo appaltatore avvenga in forza di cessione del
contratto individuale di lavoro, con la continuità giuridica dello stesso e quindi con il mantenimento delle
stesse discipline economiche e normative, anche per quello che attienealla disciplina limitativa e
sanzionatoria dei licenziamenti, individuali e collettivi".
Oppure: "l'azienda si impegna ad inserire nei contratti di appalto che andrà a stipulare o rinnovare per
l'esecuzione di opere e servizi all'interno della stessa, clausole con le quali, nel caso di successione di
imprese nell'appalto, totale o parziale, per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, a seguito di cambio di
appalto, sarà vigente ed operante la disciplina di legge precedente il d. lgs. 4 marzo 2015, n. 23, se più
favorevole di quest'ultima."
16/09/2015 16:00
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Un confronto serio e fattivo andrà avviato anche sui temi della disciplina del mutamento di mansione e
controllo a distanza. Sono temi sui quali il confronto e la contrattazione possono proficuamente trovare
soluzioni che tengano conto dei mutamenti organizzativi e tecnologici avvenuti nel corso degli anni. Soluzioni
che però non possono tradursi in danni irreparabili ed inaccettabili alla persona, alla sua dignità e
professionalità.
Confidiamo quindi che vogliate cogliere lo spirito della presente, e quindi rendervi subito disponibili ad avviare
un percorso negoziale su queste tematiche. Vi comunichiamo inoltre che, data l'urgenza e l'importanza di
questi temi, procederemo ad avviare una comunicazione a tutte le aziende, che qui alleghiamo, per invitarle a
non procedere unilateralmente su queste tematiche, pena le necessarie ed inevitabili reazioni sul piano
sindacale e legale. Anche per questo, se non volete lasciare le singole aziende a dover affrontare da sole tali
tematiche ed il possibile contrasto sindacale, si rende necessario un confronto diretto e serrato su tali
tematiche, in grado di poter individuare regole applicabili alle aziende del nostro territorio.
FIOM-CGIL Reggio Emilia, FIOM-CGIL Emilia Romagna
LA LETTERA DELLA FIOM ALLE AZIENDE REGGIANE
Oggetto: Disciplina licenziamenti - mansioni - controllo a distanza
Spett. Direzione, le recenti novità legislative, quelle già emanate e quelle che stanno per essere approvate,
possono indurre profondi cambiamenti nella complessiva condizione dei lavoratori, potendo incidere su
aspetti fondamentali del rapporto di lavoro, durante il suo svolgimento - incidendo sulla tutela della
professionalità, con la riscrittura dell'articolo 2103 del codice civile, sulla stessa dignità, con l'apertura verso
forme pervasive di controllo a distanza - e infine sulla stessa protezione verso licenziamenti ingiustificati ed
arbitrari .
Tali possibili cambiamenti non solo rappresenterebbero una forte discontinuità e peggioramento rispetto al
quadro legale precedente, ma si pongono in netto contrasto anche con le prassi e le regolamentazioni
collettive, di ogni livello, applicate in azienda, ma soprattutto appaiono incompatibili con i principi della nostra
Costituzione e della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, oltre che con la Carta sociale europea.
Per questi motivi la scrivente organizzazione vi preannuncia che non accetterà mai un simile stravolgimento
delle condizioni di lavoro. In particolare non potrà accettare che, nella stessa azienda, lavoratori che svolgono
le stesse mansioni siano protetti o meno verso i licenziamenti arbitrari, per l'applicazione di una diversa
disciplina dei licenziamenti solo in ragione del momento dell'assunzione, questo sia per quanto attiene ai
licenziamenti individuali che per i licenziamenti collettivi. Così non si riterranno accettabili prassi ed atti
aziendali che, con il demansionamento, avviliscano e penalizzino la professionalità dei lavoratori, oppure
forme di controllo a distanza pervasive ed ossessive, che mettano in discussione la stessa dignità del
lavoratore prima ancora che la propria privacy e salute.
Su tutti questi aspetti vi diffidiamo dal procedere con un'applicazione unilaterale delle suddette discipline
legali, invitandovi ad un sereno e fattivo confronto con le rappresentanze sindacali e le organizzazioni
sindacali al fine di individuare le soluzioni che possano tenere insieme le esigenze delle imprese, in termini di
adeguatezza organizzativa e necessaria competitività, con la tutela della persona del lavoratore.
Questo vale per il tema del controllo, per il quale vi invitiamo ad una gestione condivisa delle criticità e
particolari esigenze aziendali, per le quali abbiamo avuto sempre la dovuta attenzione. Lo stesso dicasi per la
nuova disciplina legale sui mutamenti di mansioni, rispetto alla quale, eventuali esigenze aziendali, potranno
trovare adeguata risposta solo nell'ambito di una rivisitazione della materia da parte della contrattazione
collettiva nazionale. Infine, per quanto attiene alla disciplina dei licenziamenti vi invitiamo a sfruttare lo spazio
temporale esistente, prima che verosimilmente si manifesti l'esigenza di procedere a dei licenziamenti di
lavoratori neo assunti, a ricercare soluzioni condivise, magari anche temporanee, ove non si raggiunga
l'intesa su un assetto definitivo della materia.
Preavvertiamo che in caso contrario, di fronte alla vostra indisponibilità ad avviare un serio e fattivo confronto
su tali temi, ed ancor peggio a fronte di vostre iniziative unilaterali sui terreni sopra richiamati, avvieremo tutte
16/09/2015 16:00
Sito Web
reggioreport.it
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2015
16
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
le azioni, sindacali e legali, che saremo in grado di mettere in campo nei confronti della vostra azienda per
garantire la tutela dei lavoratori.
Reggio Emilia 09/09/2015 FIOM-CGIL Reggio Emilia
16/09/2015 03:16
Sito Web
triesteprima.it
Prende il via oggi, mercoledì 16 e fino martedì 22 settembre, in molteplici punti del territorio comunale, nelle
vie e piazze del centro e della periferia, nelle scuole, in stabilimenti balneari, sul tram (di Opicina) e persino in
barca nel Golfo, il nutrito e variegato programma della "S.E.M. 2015"
Settimana Europea della Mobilità sostenibile, parcheggi a 1 euro l'ora
Prende il via oggi, mercoledì 16 e fino martedì 22 settembre, in molteplici punti del territorio comunale, nelle
vie e piazze del centro e della periferia, nelle scuole, in stabilimenti balneari, sul tram (di Opicina) e persino in
barca nel Golfo, il nutrito e variegato programma delle manifestazioni triestine della "S.E.M. 2015 - Settimana
Europea della Mobilità sostenibile", organizzate dal Comune di Trieste con la collaborazione di Regione,
Provincia, Università degli Studi di Trieste - LabAc (Laboratorio di Accessibilità) e di numerose altre
associazioni ed enti culturali, ricreativi, naturalistici, di tutela ambientale e di promozione sociale, nonché con
l'adesione di istituti scolastici, società cittadine di trasporto pubblico e di gestione della sosta, e con il
contributo di AcegasApsAmga-Gruppo Hera, Associazione Stazione E.N. Rogers, Bagno Ausonia-Confini
Impresa Sociale, Segnaletica Stradale Triestina e Trieste Trasporti S.p.A.
Sono previsti due importanti appuntamenti: la passeggiata cittadina: studenti e pedoni insieme per più isole
pedonali, bus e sicurezza stradale, a cura di COPED-Camminatrieste. Partenza alla ore 9.00 dal Giardino
Pubblico (rotonda di via Giulia) e arrivo in piazza Venezia, percorrendo vie pedonalizzate e piazze
riqualificate; a seguire brevi interventi e proposte. Si tratta di un evento a sostegno dei diritti fondamentali
contenuti nella Carta Mondiale della Pedonalità e nella Carta Europea del Pedone
(www.retecivica.trieste.it/cammts).
CALENDARIO COMPLETO INIZIATIVE
Nel pomeriggio, alle ore 18.00, nella Sala Bazlen di Palazzo Gopcevich (via Rossini 4), si terrà l' incontro
pubblico sulle azioni per una nuova mobilità "Strada facendo", a cura del Comune di Trieste. Saranno
presenti gli assessori Andrea Dapretto, Laura Famulari, Elena Marchigiani e Fabiana Martini e assessori
provinciali Roberta Tarlao e Vittorio Zollia, nonchè Mario Ravalico, presidente della Commissione Urbanistica
e Traffico del Comune di Trieste, Ilaria Garofolo e Silvia Grion dell'Università degli Studi di Trieste e Mauro
Morassut (CUPH)
Tutti i giorni dal 16 al 22 settembre viene promosso il servizio denominato "TaxiBike", un servizio di bike
shuttle e bike services effettuato a cura di Radio Taxi Trieste e A.S.D. 360 MTB. Si tratta di un servizio attivo
365 giorni all'anno, H24, che prevede il trasporto di persone con biciclette al seguito (massimo 4 persone con
4 bici al seguito), con vetture attrezzate e tutto il necessario per un pronto intervento in caso di guasti
meccanici alla bici. La prenotazione della corsa viene effetuata chiamando il numero 040 307730; in
occasione della SEM il trasporto delle biciclette sarà gratuito, mentre per i passeggeri si applicano le tariffe
taxi in vigore (www.radiotaxitrieste.it/taxi-bike).
Sempre dal 16 al 22 settembre, è attiva l'iniziativa "Usiamo i parcheggi in contenitore", a cura di Saba Italia
S.p.A. Nei parcheggi in contenitore: Silos, Ospedale Maggiore, Il Giulia e Campo San Giacomo, sarà
possibile parcheggiare a una tariffa agevolata di 1 Euro/ora sino ad un massimo di 5 Euro per l'intera giornata
(www.sabait.it).
Prende avvio domani anche l'iniziativa "Tutti al cinema" (che proseguirà tutti i giorni feriali fino a martedì 22),
a cura de La Cappella Underground, ARPA FVG LaREA e Comune di Trieste (Polizia Locale), con proiezioni
di film sul tema della mobilità sostenibile in alcune scuole cittadine (fra cui Stock, Morpurgo, Carducci e
Galilei).
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2015
17
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Settimana Europea della mobilità al via: ricco calendario di eventi e
iniziative
16/09/2015 03:16
Sito Web
triesteprima.it
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 17/09/2015
18
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Nelle scuole primarie verrà proiettato L'incredibile volo di Carrol Ballard (USA, 1996), si parla di mobilità in
maniera fantasiosa, fornendo spunti semplici ma incisivi per pensare a modi diversi di muoversi e
all'importanza di farlo in modo naturale. Mentre nelle scuole secondarie di I grado sarà proiettato il film Una
storia vera di David Lynch (USA, 1999), una storia di mobilità alternativa, che fa della lentezza una risorsa per
rafforzare i legami tra le persone.
Nelle scuole secondarie di II grado verrà prioiettato un film a scelta fra: Who killed the electric car? di Chris
Paine (USA, 2006), un intrigante documentario, che vuole far luce su uno dei più efferati crimini degli ultimi
tempi: chi ha ucciso l'auto elettrica; The revenge of the electric car di Chris Paine (USA, 2011), la rinascita
dell'auto elettrica: senza utilizzare nemmeno una goccia di carburante fossile, una nuova generazione di
vetture fast, furious e più ecologiche che mai; Sobre ruedas - el sueno del automovil di Oscar Clemente
(Spagna, 2011), una riflessione ironica ed efficace sulla nostra dipendenza dall'automobile, per promuovere
una nuova cultura della mobilità (www.lacappellaunderground.org; www.ea.fvg.it).
Settimana Europea della mobilità
SCENARIO ECONOMIA
21 articoli
17/09/2015
Pag. 1
diffusione:619980
tiratura:779916
La dura realtà del deficit
Enrico Marro
Con l'aggiornamento del Def, il Documento di economia e finanza che verrà approvato domani dal Consiglio
dei ministri, va dato
atto al governo di essere stato,
una volta tanto, prudente nelle sue stime
dello scorso aprile, tanto da doverle
rivedere in meglio anziché in peggio.
La crescita del Prodotto interno lordo
sarà superiore al previsto, sia quest'anno
(0,9% invece di 0,7%) che nei prossimi.
E ciò è dovuto non solo a fattori esterni,
forse irripetibili nella loro coincidenza,
ma anche alle decisioni di politica
economica che, alla fine, cominciano
a produrre qualche effetto positivo sui consumi e sull'occupazione, sia pure ancora inferiori alle attese. Visti
questi primi risultati, fa bene il governo ad insistere sulla linea intrapresa: taglio delle tasse e manovra
espansiva. Ma est modus in rebus .
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, annuncia che con la prossima legge di Stabilità, una manovra da 27
miliardi
nel 2016 per evitare che aumentino le tasse
(le cosiddette clausole di salvaguardia
su Iva e accise che valgono 16 miliardi)
e per tagliarne altre (da quelle sulla prima casa agli sgravi sul lavoro e per il Mezzogiorno), l'Italia sfrutterà i
margini di flessibilità previsti delle regole europee fino a un punto di Pil, ovvero fino a 17 miliardi di euro, per
finanziare gli interventi previsti. Ora, è bene chiarire che la formula «margini di flessibilità» ha un impatto
diretto sul deficit. Ovvero: quando un governo chiede alla commissione di utilizzare i margini significa che sta
chiedendo il via libera per aumentare il proprio deficit in rapporto al Pil.
Per il 2016 l'Italia ha già ottenuto il permesso di far salire il deficit dall'1,4% tendenziale all'1,8%, grazie alle
riforme per la crescita messe in campo. Si tratta di 6,4 miliardi di euro, che insieme con 10 miliardi di tagli
della spesa pubblica ( spending review ) andranno a disinnescare le clausole di salvaguardia. In teoria
rimarrebbe un altro 0,6% di margine di flessibilità, cioè una decina di miliardi di ulteriore espansione del
deficit, che potrebbe essere concesso a fronte non solo delle riforme ma delle altre due condizioni previste
dalle regole europee: il cofinanziamento di investimenti infrastrutturali; il dover far fronte a crisi, emergenze e
calamità (gli immigrati?).
Renzi ha già detto che non intende utilizzare tutti i margini potenziali, anche perché sa benissimo che la
Commissione europea non glielo concederebbe. E il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ha precisato
ieri alla Camera che il deficit nel 2016 non veleggerà verso il 3% e sarà inferiore al 2,6% previsto per
quest'anno. Ma al di là di questo c'è una considerazione che dovrebbe consigliare prudenza al governo. Può
un Paese con un debito pubblico di oltre il 130% del Prodotto interno lordo, che ogni anno si presenta sui
mercati per chiedere circa 400 miliardi di euro di prestiti collocando titoli di Stato, finanziare quasi due terzi
della manovra in deficit? Che fine farebbe la promessa di basare la credibilità della stessa sui tagli strutturali
della spesa pubblica?
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
20
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Come tagliare le tasse
17/09/2015
Pag. 1
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tiratura:779916
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
21
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Il governo sa bene che la lunga stagione dei bassi tassi d'interesse potrebbe finire e che per l'Italia resta una
priorità non prestare il fianco alla speculazione. Una maggior credibilità è stata conquistata al prezzo di anni
di sacrifici senza precedenti. Ora dobbiamo consolidarla e non esporla al rischio di manovre con il passo più
lungo della gamba.
Enrico Marro
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17/09/2015
Pag. 1
diffusione:619980
tiratura:779916
Visco: più Europa, i Paesi superino le diffidenze
Daniele Manca
I cambiamenti che stiamo vivendo «sono così ampi che pensare di affrontarli con quella che Tommaso
Padoa-Schioppa chiamava "veduta corta" invece che con una visione di lungo periodo sarebbe un errore che
impedirebbe al nostro Paese e all'Europa di rispondere adeguatamente». Il governatore della Banca d'Italia,
Ignazio Visco, in un'intervista al Corriere, si dice convinto del fatto che per affrontare positivamente le ansie e
i timori per la «rapida evoluzione tecnologica», la «crisi finanziaria globale» e quella dei debiti sovrani sia
necessario che i Paesi dell'Europa superino la «diffidenza di fondo» nelle loro relazioni. Perché se si sono
adottati meccanismi per la «risoluzione delle crisi sovrane», «sul versante della convergenza verso l'Unione
politica siamo ancora indietro. O perlomeno prevale una tendenza all'essere intergovernativi più che
federali». alle pagine 2 e 3
«Stiamo vivendo un momento di cambiamento importante. Una fase per molti versi completamente diversa
da quelle alle quali eravamo abituati. Tendenze strutturali, in primis la potente quanto rapida evoluzione
tecnologica, si intrecciano con gli andamenti ciclici - la "Grande recessione" - seguiti alle recenti crisi, quella
finanziaria globale iniziata nel 2007 negli Stati Uniti e quella dei debiti sovrani che ha colpito l'area dell'euro
dal 2010 . Tendenze profonde che probabilmente risalgono alla caduta del Muro di Berlino, con l'apertura al
commercio e al movimento dei capitali, che ha generato la globalizzazione e l'integrazione negli scambi
internazionali prima di Paesi sostanzialmente autarchici come la Cina, l'India. E che oggi ci fanno guardare
all'Africa come il continente sul quale sono riposte le maggiori aspettative di sviluppo. Apertura che significa
anche movimento di persone, come stiamo vedendo drammaticamente in questi giorni. I cambiamenti sono
così ampi che pensare di affrontarli con quella che Tommaso Padoa-Schioppa chiamava "veduta corta"
invece che con una visione di lungo periodo sarebbe un errore che impedirebbe al nostro Paese e all'Europa
di rispondere adeguatamente». È l'Ignazio Visco economista, scienziato, che emerge nettamente dal suo
libro «Perché i tempi stanno cambiando» (edizioni Il Mulino, in libreria da oggi). Ma uno scienziato che dal
suo ufficio di Via Nazionale, da Governatore della Banca d'Italia, ha dovuto prendere decisioni, fare scelte,
partecipare e condividere quelle della Banca centrale europea, guidando una delle istituzioni il cui ruolo nelle
moderne democrazie si è dimostrato fondamentale nel governo degli accadimenti economici e non solo .
È innegabile che il sentimento prevalente in questi anni sia quello dominato dal timore per i rischi più che dal
cogliere le opportunità di questi grandi cambiamenti?
«È comprensibile. Il tratto distintivo delle tecnologie digitali e dell'automazione è la velocità con la quale
tendono a sostituire il lavoro, anche in campi nei quali il fattore umano appariva finora determinante. La
domanda è la stessa che si poneva il discepolo di Keynes, il premio Nobel James Meade: la perdita di
occupazione dovuta alle tecnologie sarà permanente? Difficile non comprendere l'angoscia di chi non sa se
riuscirà ad avere un impiego» .
Ma c'è una risposta ?
«Una situazione del genere si è già verificata spesso in passato, fin dai tempi del movimento dei luddisti
contro l'introduzione delle macchine nell'industria all'inizio dell'Ottocento. L'avvento di nuove tecnologie porta
con sé la perdita di taluni lavori alla quale ha però di norma corrisposto la nascita di nuovi, in quantità
maggiore e di migliore qualità. L'attuale ondata di innovazione in campi come la robotica, la genomica,
l'intelligenza artificiale potrà influire notevolmente sulla domanda di impieghi non di routine a qualificazione
sia alta che bassa. Oggi la differenza è la velocità con cui l'innovazione tecnologica influenza la disponibilità
di posti di lavoro. L'effetto di "spiazzamento" della tecnologia sui lavori esistenti è più incerto e si estende a
quelli non di routine. La transizione verso un nuovo equilibrio appare più lunga e con effetti rilevanti sul
reddito disponibile, sulla sua distribuzione e, in ultima analisi, sulla domanda aggregata. Bisogna perciò da un
lato "investire in conoscenza", nelle competenze, nel capitale umano necessari per affrontare il cambiamento;
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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INTERVISTA CON IL GOVERNATORE DELLA BANCA D'ITALI A
17/09/2015
Pag. 1
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tiratura:779916
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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dall'altro, prestare attenzione agli istituti necessari per sostenere il reddito di chi perde il lavoro, non solo in
un'ottica individuale ma anche macroeconomica» .
Per il momento prevalgono i costi...
«Dipende anche da come si comunicano e vengono percepiti certi cambiamenti. C'è attenzione sui tassisti
dopo l'avvento di Uber mentre non molti si sono preoccupati degli effetti della chiusura di molte librerie a
causa di Amazon o di tante agenzie di viaggio dopo l'avvento di Trip Advisor. I cambiamenti comportano
costi, anche sociali, quali la perdita di quote di lavoro importanti, ma tendono a prevalere i benefici privati. Chi
avrebbe immaginato di potere oggi chiamare gratis in America grazie a Skype ? Una cosa che ai miei tempi
quando studiavo negli Stati Uniti era impensabile».
Qual è il ruolo della politica ?
«È fondamentale la sua capacità di reazione in tempi adeguati e in via preventiva. Per fare fronte a un
fenomeno come quello migratorio non dobbiamo aspettare che accadano disastri e limitarci a gestire
l'emergenza. Lo stesso si potrebbe dire sul versante dei cambiamenti climatici dei quali abbiano contezza da
vent'anni e più. È fondamentale, come ho detto, l'investimento in conoscenza. Perché la formazione, il
sapere, il mettere assieme i saperi, saranno elementi decisivi nella creazione di nuova occupazione. "Unire le
menti, creare il futuro" è in effetti il tema della prossima Esposizione universale del 2020» .
Nel suo saggio si sofferma sui fattori sottostanti la crisi finanziaria globale scoppiata negli Stati Uniti nel 2007
e sulla risposta delle autorità nazionali e internazionali.
«Le risposte alla crisi finanziaria sono state decise, ad ampio spettro, sia in termini di nuove regole per la
prevenzione delle crisi sia di politiche economiche, inclusa quella monetaria. La crisi ha riacceso la sfiducia
nelle istituzioni finanziarie. Miti come il mercato che si autoregola o la necessità di avere un light touch sulla
regolamentazione finanziaria si sono sgretolati e istituzioni come le banche centrali si sono mostrate decisive
per superare la crisi. Si è riproposto il dubbio di Amartya Sen: "Come è possibile che un'attività tanto utile
quale la finanza sia stata giudicata così dubbia sul piano etico". Ma si tratta di regolarla meglio, di renderla
chiaramente utile allo sviluppo economico e sociale, non di combatterla acriticamente» .
Nonostante questa risposta e i segnali di ripresa, come lei sottolinea nel saggio, Larry Summers parla del
pericolo di ristagno secolare.
«Sì, Summers ha riproposto una tesi risalente agli anni Trenta, un eccesso di risparmio sugli investimenti
che genera un equilibrio di sotto occupazione. Il quadro potrebbe complicarsi se prevalessero per lungo
tempo tassi d'interesse così bassi da alimentare una eccessiva assunzione di rischi finanziari. Ma l'ipotesi di
ristagno secolare, già confutata nei fatti dall'espansione economica successiva alla Seconda guerra
mondiale, è controversa. Una corrente di pensiero opposta - l'idea della "seconda età delle macchine" di
Brynjolfsson e McAfee - ritiene che gli sviluppi della tecnologia riservino effetti sulla produttività e quindi sulla
crescita ancora maggiori di quanto finora accaduto. Ma perché questi effetti si realizzino davvero occorre che
vi sia un aumento nei redditi delle famiglie e questo può essere rallentato dalla lentezza con la quali si
rimpiazzeranno i posti di lavoro eliminati dalle "macchine"» .
Negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione continua a scendere su valori bassi. Perché l'Europa non ha agito
con analoga efficienza ?
«Intanto perché in America davanti alle crisi i primi a reagire sono i privati, in Europa i privati aspettano il
pubblico. Il grado di flessibilità dell'economia, che determina anche la velocità di reagire agli choc, è poi
notoriamente maggiore. Nell'area dell'euro, la crisi dei debiti sovrani ha minato la fiducia tra Paesi membri.
L'innalzamento dei differenziali tra i tassi d'interesse, gli spread, dei titoli pubblici dei vari Paesi è stata dovuta
non solo ai dubbi sulla capacità di rimborsare i loro debiti, ma anche al fatto che i mercati hanno creduto
possibile la dissoluzione dell'euro» .
Crisi che adesso appare più lontana.
«La politica monetaria si è mossa con tempestività. Il Consiglio direttivo della Bce con una politica condivisa
dai governatori delle banche centrali dei Paesi membri, cosa che si tende a dimenticare, ha reagito
17/09/2015
Pag. 1
diffusione:619980
tiratura:779916
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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efficacemente con tutti gli strumenti a disposizione. Inoltre, sono stati compiuti progressi notevoli nella riforma
della governance europea, creando meccanismi per la risoluzione delle crisi sovrane e varando l'Unione
bancaria. Altri passi seguiranno. Ma sul versante della convergenza verso l'Unione politica siamo ancora
indietro. O perlomeno prevale una tendenza all'essere intergovernativi più che federali» .
L'interazione tra Bruxelles e le leadership nazionali è stata intensa.
«Sì, ma con una diffidenza di fondo. Le politiche di bilancio restano al centro delle discussioni. Ora si discute
anche dell'eccessiva complessità delle regole fiscali alla luce delle numerose riforme adottate dal 2010. Della
necessità di una semplificazione non è convinto solo il governo italiano. Questo non deve significare minore
attenzione all'equilibrio dei conti pubblici, ma vuol dire rendere più chiare le regole e, io ritengo, tenere conto
delle relazioni che intercorrono tra flussi e stock, tra deficit e debiti pubblici. Ma se si continua ad alimentare
un approccio confrontational tra Paesi del sud e quelli del nord, non si fa un gran servizio all'Europa» .
La proposta dei 5 saggi (da Juncker a Tusk passando per Draghi), come quella del ministro dell'economia
tedesco Schäuble, mostra però che il dibattito marcia.
«Certo. Ma forse con l'equivoco di interpretare le proposte come ulteriori cessioni di sovranità nel medio
periodo, mentre l'integrazione europea richiede oggi maggiore condivisione di sovranità e di responsabilità. Ci
si dovrebbe parlare più chiaramente» .
Renzi e Merkel lo fanno ma l'Italia rischia di fare la parte del più debole tra una Germania molto sicura di sé e
una Francia gelosa della propria sovranità.
«Molto dipende dalle persone. La leadership è fondamentale. E non sottovaluti la capacità di reazione del
nostro Paese dimostrata in questi ultimi anni».
Ma è sufficiente la buona volontà?
«No. Le riforme che servono sono note, così come abbiamo enfatizzato la necessità di collocarle in un
disegno organico e di attuarle nei tempi previsti. Servono innanzitutto una giustizia civile che funzioni, una
burocrazia efficiente, un ambiente favorevole alle imprese e rispettoso della legalità».
Magari più credito alle aziende.
«Nonostante una crisi che in Italia ha provocato una perdita di Pil di quasi 10 punti percentuali non si sono
viste crisi bancarie eclatanti. Vi sono certo difficoltà e in alcuni casi situazioni delicate, ma le condizioni del
credito stanno gradualmente migliorando. In Italia, però, le imprese sono troppo dipendenti dal credito
bancario e hanno una scarsa patrimonializzazione. Avrebbero bisogno di più capitali dal mercato ma anche
dagli imprenditori. Va agevolato l'uso di mezzi propri, non il debito, e bisogna dire che le misure tributarie
degli ultimi anni sono andate in questa direzione. E vanno favoriti gli investimenti privati e pubblici» .
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LA CRESCITA (variazioni percentuali sul periodo precedente) L'INFLAZIONE GLI OCCUPATI E IL TASSO
DEI SENZA LAVORO (variazioni percentuali rispetto all'anno precedente) (dati mensili destagionalizzati; mln
di persone e valori perc.) 2014 Fonte: Istat, Banca d'Italia d'Arco -0,3 0 0,3 0,6 0,9 1,2 1,5 Banca d'Italia
Commissione europea FMI OCSE '09 '10 '11 '12 '13 '14 '15 2015* 2016* 2014 2015* 2016* Tasso di
disoccupazione (scala dx) -0,4 0,7 1,5 1,5 1,4 1,2 0,6 0,7 0,6 -0,4 -0,4 -0,4 0,2 0,2 0,2 0 0,2 0,2 1,1 1,8 0,8
1,3 0,2 0,2 0 0,5 -0,5 1,0 1,5 2,0 23,4 23,2 23,0 22,8 22,6 22,4 22,2 22 ,4 0,7 1,5 1,5 1,4 1,2 0,6 0,7 0,6 -0,4 0,4 -0,4 0,2 0,2 0,2 0 0,2 0,2 1,1 1,8 0,8 1,3 0,2 0,2 0 0,5 -0,5 1,0 1,5 2,0 23,4 23,2 23,0 22,8 22,6 22,4 22,2
22,0 13 12 11 10 9 8 7 6 Occupati (scala sx) *previsione *previsione Banca d'Italia Commissione europea
FMI OCSE
Chi è
Ignazio Visco, 65 anni, è Governatore della Banca d'Italia da fine 2011. È stato assunto in Banca d'Italia nel
1972, dopo la laurea in Economia e commercio all'Università degli studi di Roma «La Sapienza». È autore di
numerose pubblicazioni. Dal '97 al 2002 è stato capo economista e direttore del Dipartimento economico
dell'Ocse a Parigi
17/09/2015
Pag. 1
diffusione:619980
tiratura:779916
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
La sovranità Più integrazione europea, serve una maggiore condivisione di sovranità e responsabilità.
Sarebbe necessaria più chiarezza
Le riforme Le riforme che servono sono note, vanno attuate nei tempi previsti. Una giustizia civile che funzioni
e una burocrazia efficiente
Il libro
Si chiama «Perché i tempi stanno cambiando» l'ultimo libro
di Ignazio Visco, edito
da Il Mulino Oggi sul sito
del Corriere www.corriere.it l'intervista completa a Ignazio Visco disponibile online
Le aziende Va creato un ambiente favorevole alle imprese
e quelle che dipendono troppo dal credito bancario vanno ripatrimonializzate
Le tecnologie Le tecnologie digitali tendono a sostituire il lavoro velocemente, anche in campi nei quali il
fattore umano era determinante
17/09/2015
Pag. 1
diffusione:619980
tiratura:779916
Il Forum della cancelliera con 50 esponenti da tutto il mondo. Per aiutare la crescita
Veronica De Romanis
La cancelliera tedesca Angela Merkel rilancia i temi del lavoro e del ruolo delle donne. In questo caso
l'attenzione della Merkel non rientra nella strategia del «politicamente corretto»: si tratta di una scelta ben
ponderata di politica economica. Le donne che lavorano sono una risorsa che permette di incrementare il
Prodotto interno lordo, una risorsa che può essere stimolata anche con incentivi e correttivi. a pagina 30
R aramente i capi di Stato e di governo si siedono intorno ad un tavolo per discutere di donne con le donne.
Lo ha fatto, invece, (non a caso) una donna, Angela Merkel organizzando, in occasione della presidenza
tedesca del G7, un Forum con donne provenienti da tutto il mondo. Una novità per un Paese che ospita il G7
ma anche per la cancelliera, che fino ad ora non aveva dato grande importanza alle questioni di genere. Nei
due giorni di lavori (ieri e oggi), 50 partecipanti hanno esaminato insieme alla Cancelliera come rafforzare il
ruolo delle donne in vari ambiti, da quello economico a quello politico, dalle nuove tecnologie alla salute.
La Merkel ha ascoltato le conclusioni dei lavori dei quattro gruppi (chi scrive ha partecipato al gruppo
Women's Economic Empowerment). Ha poi preso la parola, partendo da un dato. Nonostante le donne
rappresentino la metà della popolazione mondiale, partecipa al mercato del lavoro solo il 55%. Il tasso di
partecipazione invece che aumentare diminuisce: dal 1990 è sceso del 2%. Chi lavora, nella maggior parte
dei casi, lo fa in maniera precaria, in settori poco qualificati e a fronte di un salario inferiore a quello degli
uomini nella stessa posizione. Anche chi fa impresa è penalizzata rispetto agli uomini, sia in termini di
formazione sia di accesso alle risorse finanziarie perché opera in settori meno profittevoli. In politica la
situazione non migliora: le donne rappresentano il 22% dei parlamentari nazionali nel mondo e si contano
solamente 10 donne capo di Stato e 14 capo di governo.
Provare a trovare soluzioni discutendone con le donne non rientra (come potrebbero pensare i malpensanti)
in una strategia del «politicamente corretto» di Angela Merkel. Si tratta di una scelta ben ponderata di politica
economica. Come ha sottolineato lei stessa: «Una maggiore partecipazione delle donne - e delle giovani
donne - al mercato del lavoro è uno degli strumenti più efficaci per ridurre la povertà». Stime recenti indicano
che le donne investono il 90% del loro salario nella cura e nell'educazione della propria famiglia. In altre
parole, le donne che lavorano investono nel futuro e pertanto contribuiscono a sviluppare il potenziale di
crescita del Paese in cui operano.
L'Italia è tra gli Stati avanzati che dovrebbero prestare maggiore attenzione a questi temi, di cui si parla in
ambiti accademici, molto meno nei tavoli politici. Talvolta appaiono come «priorità» nei programmi elettorali
ma poi spariscono dalle agende di governo. L'Italia ha il tasso di partecipazione femminile (52,2 per cento)
più basso tra i Paesi sviluppati, dopo la Turchia (36,6 per cento) e il Messico (44,5 per cento). Persino la
Spagna e la Grecia fanno (molto) meglio di noi (rispettivamente 69,8 per cento e 59 per cento). Le giovani
italiane poi, sono le più penalizzate perché lavora solo il 14,1 per cento, contro il 36,9 per cento della media
dei Paesi Ocse. In questo caso, l'Italia è addirittura penultima, davanti solo alla Grecia (10,9 per cento). Ogni
anno passato in coda a queste classifiche si traduce in perdite di crescita e di ricchezza. È stato stimato,
infatti, che se la partecipazione femminile italiana si allineasse entro il 2030 a quella maschile (74,7 per
cento), il Prodotto interno lordo pro capite aumenterebbe di circa un punto percentuale l'anno.
Eppure, quando la politica italiana si è occupata delle tematiche legate alle donne qualcosa è riuscita a
cambiare. Basti pensare alla legge sulle quote di genere nei consigli di amministrazione, che sta producendo
i suoi effetti. Proprio sulla questione della leadership femminile, la cancelliera ha dedicato una parte delle sue
conclusioni: «I Paesi con maggiore leadership e partecipazione delle donne alla vita economica, politica e
civile», ha dichiarato, «tendono ad essere più inclusivi e democratici e ad avere un maggiore grado di
sviluppo economico». Una indicazione chiara dell'agenda di politica economica dei prossimi anni della
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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A tavola con Merkel (parlando di donne)
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cancelliera.
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L'ultimo aumento dei tassi d'interesse deciso negli Stati Uniti risale al 2006 Allora Yellen si oppose al rincaro
del costo del denaro Adesso o a dicembre la decisione
Federico Fubini
L'ultima volta che il vertice della Federal Reserve ha discusso un rialzo dei tassi d'interesse fu talmente tanti
anni fa che ormai è storia. Letteralmente: i verbali sono già finiti negli archivi della banca centrale americana,
ed è passata abbastanza acqua sotto i ponti perché l'intera documentazione sia ormai desecretata.
Un giorno lo sarà anche la conversazione del Comitato federale di mercato aperto della Fed in corso in
queste ore a Washington. Ieri i presidenti delle sedi federali e i cinque componenti del consiglio hanno
ascoltato gli economisti dello staff e discusso dello stato dell'economia. Oggi devono gettare la maschera e
decidere se iniziare ad alzare o no i tassi d'interesse, subito o magari in dicembre. Sarebbe la prima volta
dopo la crisi dei mutui subprime del 2007, il fallimento di Lehman del 2008 e la grande recessione finita nel
2009. È passato così tanto tempo che i banchieri centrali americani potrebbero cedere alla tentazione di
guardarsi indietro, se non altro per capire come fecero allora e cosa sbagliarono. L'ultima volta che la Fed ha
avviato un ciclo di rialzi dei tassi era il giugno del 2004, dopo i postumi del crash delle imprese tecnologiche a
Wall Street. E l'ultima volta che li ha aumentati fu due anni dopo, quasi alla vigilia della peggiore crisi dal
1929.
Janet Yellen era presente entrambe le volte, a nome della Fed di San Francisco, e pesò sempre sulle
decisioni. Cinque anni dopo i verbali di quelle riunioni sono stati desecretati, e ora gettano un fascio di luce
sorprendente sul modo in cui l'attuale presidente pensa e lavora negli ingranaggi della Fed. Nel 2004 si
schierò per un rialzo del costo del denaro e per farlo proseguire nel tempo. Nel 2006 si oppose senza
determinazione, ma in entrami i casi Yellen emerge dai verbali più lucida dei presidenti della Fed del
momento: Alan Greenspan prima, Ben Bernanke poi.
Nel 2004 gli interessi della banca centrale erano bassissimi, appena all'1%, l'economia in pieno boom, i
mercati febbrili e gli Stati Uniti avevano già sviluppato un colossale disavanzo con l'estero di quasi il 6% del
Pil. Al tavolo della Fed il nervosismo è percepibile: la crisi che si sarebbe scatenata tre anni dopo è già una
macchia ai margini del radar. Il vicepresidente Tim Geithner, poi segretario al Tesoro con Barack Obama,
chiede allo staff se c'è il rischio di un «maligno aggiustamento disordinato». La risposta vorrebbe rassicurare:
«La nozione che gli investitori del mondo divengano così scoraggiati sull'economia americana da produrre
una correzione scomposta ci colpisce come remota». Geithner non è convinto: «Insomma, controlliamo il
rischio?», chiede ancora. Yellen parla poco dopo e non drammatizza, ma afferma che i tassi devono salire
per raffreddare l'economia: «Se la produzione continua a superare il potenziale, dovremo stringere» dice. E
aggiunge una nota rivelatrice di come probabilmente anche oggi vede le mosse della Fed: dal primo rialzo in
poi, sostiene, i tassi dovranno salire lungo un «percorso misurato».
Fu uno degli errori attribuiti a Greenspan: troppo prevedibile, troppo lento nel tenere sotto controllo la bolla
immobiliare e l'universo dei subprime cresciutole attorno. Nel giugno del 2006, al momento dell'ultimo rialzo
prima di quello oggi sul tavolo, quella bolla inizia a mostrare le prime crepe. Eppure la Fed prepara l'ultimo
della sua serie di rialzi dei tassi, al 5,25% anche se qualcosa non torna: lo staff parla di spesa dei
consumatori «più bassa del previsto» e della «grossa sorpresa del crollo nell'attività immobiliare». Michael
Moskow della Fed di Chicago nota una «sconnessione» fra il boom dei prezzi globali delle materie prime
sospinto dalla crescita della Cina e la brusca frenata dei consumi negli Stati Uniti. È la situazione esattamente
opposta a quella di oggi, in cui l'America viaggia in fretta ma la Cina e il prezzo del petrolio frenano. Certo in
quel momento Yellen mostra di saper leggere la realtà meglio del suo presidente Bernanke: «Sono
preoccupata - dice -. La crescita potrebbe rallentare molto più di quanto non sembri probabile». Allora la
futura leader della Fed si pronuncia contro un nuovo aumento dei tassi: preveggente, preferirebbe aspettare
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Il giorno della Fed
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per capire meglio la situazione. Ma quando si accorge che è sola su quella posizione, anziché provare a
convincere gli altri nel vertice della Fed, si piega a votare come loro. Aveva visto giusto, ma non si fidò di se
stessa: una trappola in cui Yellen, da domani, spera di non cadere più.
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Il cambio euro dollaro L'andamento dei tassi Usa 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007
2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 6 3 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013
2014 2015 Corriere della Sera
I banchieri
Foto: Oggi i vertici della Federal Reserve, la banca centrale statunitense, decidono se iniziare ad alzare o no i
tassi d'interesse, subito o magari in dicembre, dopo diversi anni in cui il costo del denaro è stato vicino allo
zero
Foto: Ben Bernanke è stato presidente della Fed dal 2006 al 2014. Nominato da George W. Bush, è
succeduto ad Alan Greenspan e ha gestito gli anni delle crisi dei subprime e di Lehman
Foto: Janet Yellen è presidente della Federal Reserve, la banca centrale statunitense, dal febbraio del 2014.
Oggi scioglie le riserve su un aumento dei tassi
Foto: Michael Moskow è stato dal 1994 fino al 2007 presidente della Federal Reserve di Chicago. E' stato un
membro del Federal Open Market Committee
Foto: Stanley Fischer dal 2014 è vice presidente della Fed. Ha preso il posto prima occupato da Janet Yellen.
Dal 2005 al 2013 è stato governatore della Banca d'Israele
Foto: Richard Fisher è stato presidente della Fed di Dallas dal 2005 fino ai primi giorni del settembre 2015. Si
è espresso a favore di un rialzo del costo del denaro per porre fine all'incertezza
Foto: Alan Greenspan ha ricoperto la carica di presidente della Federal Reserve dal 1987 al 2006, quindi
anche negli anni della bolla immobiliare. E' stato scelto da Ronald Reagan
Foto: Timothy Geithner è stato, dal 2009 al 2013, segretario al Tesoro degli Stati Uniti. Nel 2003 era stato
nominato presidente della Federal Reserve Bank di New York
La vicenda
Oggi la Fed
è chiamata a sciogliere un dilemma: meglio lasciare i tassi a zero ancora un po', in una fase delicata per
l'economia mondiale, o agire subito con il primo rialzo del costo del denaro dal 2006? L'attenzione è alta sulle
prossime mosse della banca centrale americana. L'ultima volta che i tassi sono saliti è stato nel giugno 2006,
quando alla guida della Fed c'era Ben Bernanke, considerato l'architetto del salvataggio dell'economia
americana con le misure non convenzionali adottate Sbagliare sulla percentuale dell'aumento e sui tempi,
potrebbe affossare la ripresa Usa. Oggi i tassi sono quasi a zero, tra lo 0 e lo 0,25%. Chi punta sul rialzo
prevede al massimo un +0,25%. Oggi, dopo mesi di dubbi, la banca scioglierà le riserve
17/09/2015
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Il Banco Popolare: guardiamo Bpm e Ubi. Moltrasio: limite al 5%
Fabrizio Massaro
MILANO Non decolla il riassetto delle banche popolari. Le discussioni sono in corso, ammettono i banchieri,
ma ancora senza dossier specifici: troppo ampie le distanze su punti cruciali come patrimonio, sede,
governance, per via dell'inevitabile taglio di poltrone ai vertici.
«È un momento di riflessione, quindi i contatti proseguono con tutti», ha detto il ceo di Banco Popolare, Pier
Francesco Saviotti, citando come interlocutori Bpm e Ubi Banca. Anche l'amministratore delegato di Bper,
Alessandro Vandelli, ha confermato che «è ancora una fase molto interlocutoria, di conversazioni e confronti.
Penso ci vorranno ancora un po' di mesi prima di vedere qualcosa di significativo. Io non ho una short list». I
due banchieri hanno parlato a margine dell'esecutivo Abi a Milano. La Borsa ha registrato la frenata sul risiko
con i titoli bancari in calo in controtendenza sull'indice.
I cantieri per la trasformazione in spa - imposta dal decreto sulle popolari - invece vanno avanti, in quanto
propedeutica alle aggregazioni. I pareri legali chiesti da alcuni istituti hanno sciolto ogni dubbio: tocca alla
nuova base azionaria approvare un'eventuale integrazione. Se si dovesse invece andare alla fusione come
coop, è stato il responso dei giuristi, l'assemblea dovrebbe comunque votare prima il passaggio in spa così
che siano i soci di capitale a pronunciarsi sull'operazione straordinaria. Se così non fosse, il board della
banca post-fusione sarebbe di fatto delegittimato in quanto eletto dai vecchi soci coop. Dunque, prima la
governance. In questo contesto i sindacati sono tornati a chiedere che gli statuti prevedano la presenza dei
lavoratori nei board.
Il Banco ha fissato l'assemblea entro l'autunno 2016 ma è pronto ad anticiparla in caso di operazioni
straordinarie; Veneto Banca la terrà nel 2016 insieme con l'aumento di capitale da 1 miliardo; Bper dovrebbe
convocarla tra aprile e l'autunno. Manca ancora la data di Bpm, ai cui vertici la Fabi ieri ha chiesto «chiarezza
sul presente e sul futuro e il coinvolgimento di tutte le associazioni interne ed esterne all'istituto». Più avanti è
Ubi, che il 10 ottobre porta in assemblea il cambio di statuto. Ma anche qui, cautela sul risiko: «Non siamo
obbligati a fare nulla», ha detto ai soci il presidente del consiglio di gestione, Franco Polotti. L'operazione
straordinaria deve avere «caratteristiche fondamentali e indiscutibili: la creazione di valore; non snaturare la
banca, che è una banca territoriale; avere stabilità sociale importante». Tanto che il presidente Andrea
Moltrasio si è detto «favorevole al tetto permanente al 5% del diritto di voto» .
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La vicenda
La legge sulle Popolari varata a fine gennaio prevede la trasformazione in spa delle banche popolari con oltre
8 miliardi di attivo Sono 11 le popolari coinvolte: Ubi, Bper, Veneto Banca, Bpm, Pop. Sondrio, Pop. Bari,
Pop. Vicenza, Creval, Iccrea, Banco Popolare, Pop. Alto Adige
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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Popolari, «spa» avanti piano La corsa al tetto per i soci
17/09/2015
Pag. 39
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BlaBlaCar raccoglie (altri) 200 milioni di dollari
@massimosideri
(m.sid.) Sorride nelle fotografie ufficiali Frédéric Mazzella ( foto ), fondatore e chief executive officer della
francese BlaBlaCar. E ne ha ben motivo: sta per ricevere 200 milioni di dollari di finanziamenti in un'unica
tranche : vecchi capitali, nuovi business. Segno che anche in Europa è in corso uno spostamento di capitali
importanti dal vecchio mondo industriale alle nuove promesse digitali o, meglio, a quelle società che riescono
- grazie agli strumenti digitali della condivisione - a reinventare vecchi processi. BlaBlaCar, con 20 milioni di
persone la più grande community di ride sharing al mondo (fino a prova contraria o fino a nuovo successo), è
riuscita a dare un modello di business a un fenomeno che era già molto in voga ai tempi della Beat
generation: il passaggio. Se fosse vivo Jack Kerouac dovrebbe riscrivere la sua formidabile opera: On the
Road (con BlaBlaCar) . A dare una misura del fenomeno ci sono i 200 milioni di dollari (tecnicamente un
series D round) da parte di Venture Partners e Lead Edge Capital con la partecipazione di Vostok New
Ventures. Il round fa di BlaBlaCar una delle startup europee che hanno attirato maggiormente il sostegno
degli investitori: oltre 300 milioni di dollari sono stati raccolti fino a oggi. Il finanziamento verrà usato per
cavalcare ancora di più la crescita con lo sbarco della piattaforma in nuovi Paesi. Di certo è anche il segnale
dell'attenzione verso la sharing economy : nata come «non mi serve il trapano, ma solo il buco nel muro», è
diventata «non mi serve l'automobile, mi serve il passaggio da A a B».
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La Provincia di Milano
vuole uscire dalla Brebemi
(m.e.za.) Dopo aver raggiunto il pareggio di bilancio dal debito iniziale di 94 milioni, la Città Metropolitana di
Milano (ex Provincia dal primo gennaio) decide di sfilarsi dalla partecipazione in Autostrade Lombarde.
Tramite un avviso di asta pubblica, fa sapere di aver cominciato la procedura per alienare il 100% delle quote
detenute in Autostrade Lombarde, 2.847.000 azioni pari allo 0,61% del capitale della holding controlla il
78,98% della Società di Progetto Brebemi e il 51% di Argentea Gestioni (cooperativa costituita a metà marzo
per farsi carico della gestione di tutta l'autostrada Brebemi), oltre a Autostrade Bergamasche spa, Tangenziali
esterne di Milano spa e Tangenziale esterna spa. Prezzo base: 2.964.723 milioni di euro, poco più di un euro
per azione, da presentare entro il 28 settembre.
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Il pressing delle banche francesi
sulla Bce e madame Nouy
( r.fi.) Le banche francesi avrebbero esercitato pressioni sul Comitato Unico di Vigilanza (Ssm) della Banca
centrale europea per ridurre i requisiti di capitale richiesti dopo l'ultimo giro di revisioni, che si sta
concludendo in queste settimane. Lo scrive il quotidiano spagnolo «El Pais», ripreso da Bloomberg. Le
banche francesi avrebbero chiesto, e ottenuto, che il livello di capitale di base sia ridotto dello 0,25%. A
presiedere il Comitato di vigilanza di Francoforte è la francese Danièle Nouy.
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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Sussurri & Grida
17/09/2015
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LA CRESCITA IN ITALIA
L'Ocse alza a 0,7% la stima sul Pil 2015 ma abbassa la previsione 2016
(1,3%)
Marco Moussanet
Marco Moussanetu pagina 5 PARIGI. Dal nostro corrispondente L'Ocse ha lievemente ritoccato al rialzo le
stime di crescita per l'Italia nel 2015 (dello 0,1%, dallo 0,6% allo 0,7%). Si tratta dell'unico aumento (insieme a
quello relativo agli Stati Uniti, dello 0,4% al 2,4%) evidenziato dall'aggiornamento intermedio tra i due outlook
di giugno e novembre presentato ieri dall'organizzazione parigina, in mezzo a una lunga lista di ribassi. Il più
importante è quello del Brasile, pesantemente in recessione, che passa da una previsione negativa dello
0,8% in giugno a una del 2,8 per cento. Nessun cambiamento per la Germania (+1,6%) e per la Gran
Bretagna (+2,4%), mentre la crescita cinese frena dello 0,1% (al 6,7%), così come quella francese (all'1%).
L'economia mondiale dovrebbe salire del 3% (-0,1%) e quella della zona euro dell'1,6% (+0,1%), grazie anche
alla revisione della crescita italiana (che nei giorni scorsi il premier Matteo Renzi ha stimato nello 0,9%, lo
0,2% in più di quanto prevede l'Ocse). A proposito appunto dell'Italia, la capo economista dell'organizzazione,
Catherine Mann, ha spiegato che il rialzo - al di là degli effetti benefici dovuti al calo dei prezzi del petrolio, del
valore dell'euro e dei tassi bassi - è legato «al miglioramento dei livelli di attività e alla creazione di posti di
lavoro, che a loro volta si riflettono sui consumi, più elevati di quanto immaginato a giugno». «Sono state
avviate grandi riforme- ha aggiunto la Mann- che stanno portando i loro frutti». Ma l'incertezza del contesto
internazionale - dovuto soprattutto al rallentamento cinese, alle difficoltà di alcuni grandi Paesi emergenti e al
prevedibile impatto del rialzo dei tassi americani - pesa sulle previsioni 2016. Con la sola eccezione della
Gran Bretagna (ferma a +2,3%), tutte le stime sono al ribasso. Rispetto alle previsioni di giugno, la crescita
mondiale è quantificata al 3,6% (-0,2%), quella dell'area euro all'1,9% (-0,2%) e quella della Cina al 6,5%
(-0,2%). Frenano Stati Uniti (-0,2% al 2,6%), Germania (-0,4% al 2%), Francia (-0,3% all'1,4%) e anche Italia
(-0,2% all'1,3%). Rispetto ai mesi scorsi, spiega l'Ocse, le prospettive «si sono leggermente indebolite e lo
scenario è diventato meno chiaro». La crescita americana è solida (anche se il livello degli investimenti
rimane deludente), ma pesa l'andamento di molti mercati emergenti (con l'eccezione dell'India, per la quale le
stime continuano a immaginare una crescita al di sopra del 7%) e c'è il grande interrogativo riguardante la
Cina: «Il rischio maggiore per la crescita globale - scrive l'Ocse - è un rallentamento ancora più forte
dell'economia cinese». Quanto all'eurozona, la Mann sostiene che sta crescendo di un punto al di sotto di
quanto sarebbe lecito prevedere grazie a un contesto eccezionalmente favorevole. Le cause,a suo parere,
sono sostanzialmente due e legate tra loro: un livello di debito ancora troppo altoe soprattutto un sistema del
credito che rimane inefficace. La richiesta alla Bce è quindi quella di proseguire certo nella sua politica
monetaria accomodante di sostegno alla ripresa ma di avere come priorità assoluta quella di far funzionare il
trasferimento della liquidità, di ristabilire il corretto funzionamento dei canali del credito. Sui tassi americani,
infine, la Mann invita la Fed a una decisione graduale («Il problema non è tanto il quando bensì il come»), per
evitare scosse di cui l'economia mondiale davvero non ha bisogno.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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FINANZA E TECNOLOGIA
Così l'algoritmo punta sulla Yellen
Vittorio Carlini
Irobot sono pronti. Gli operatori hanno preparato i software per sfruttare la decisione della Fed sui tassi. Molti
scommettono sui prezzi dei titoli dopo l'annuncio. Altri, i flash trader, puntano ad interpretare la notizia in sé.
Servizio pagina 2 «Abbiamo preparato un software ad hoc. Una strategia, per un clien- te istituzionale, basata
sull'andamento dei prezzi dopo la pubblicazione del dato sui tassi d'interesse della Fed». Enrico Malverti, trai
più importanti analisti quantitativi in Italia, abbozza le linee guida del suo trading automatico. E,
indirettamente, conferma che i robot sono «pronti». Tutti scaldanoi «bit» per giocarsi le loro carte. Non solo
quelli, come nel suo caso, che non sfruttano migliaia di operazioni al secondo. Ma gli stessi High frequency
trader (Hft). «Di certo- aggiunge Giuseppe Belfiori, di FT Support - i flash trader saranno della partita». Per
mettere,e togliere, in pochi secondi migliaia di proposte di negoziazione. Cioè, cavalcare la volatilità
nell'immediato. Sia ben chiaro: la scelta del Comitato di politica monetaria, guidato da Yanet Yellen, potrebbe
anche non provocare scossoni sui li- stini. E, tuttavia, gli operatori ultraveloci timbreranno il cartellino. D'altro
canto, nonostante le molte strette regolamentari, gli Hft gestiscono circa il 50% degli scambi negli Stati Unitie
il 40% nel Vecchio continente. Non solo. Dopo essersi focalizzati sull'azionario hanno allargato la loro
presenza ad altri mercati. Uno tra tutti: il valutario. Su questo fronte, secondo Aite, i flash boys hanno
raggiunto una quota di scambi intorno al 40%. Al di là di numeri e percentuali, quali però le concrete mosse
dei robot. «Il nostro sistema, costruito peri future sul MiniNasdaqe Mini S&P500, ha un approccio statistico»
dice Malverti. «Sono state ana- lizzate le reazioni alle passate decisioni di politica monetaria della Fed». Su
che arco di tempo? «Circa 15 anni, cioè un periodo più che esaustivo». Dopo di che «è stato definito un certo
numero di scenari possibili» considerando, ovviamente, le due opzioni: che la Fed ritocchi i tassi, oppure li
mantenga inalterati. Ebbene: in questi scenari, all'interno di un periodo di tempo mai superiore al minuto,
sono stati individuati alcuni andamenti degli asset finanziari con una valenza statistica elevata. Vale a dire:
l'algoritmo, attraverso complessi calcoli, ha definito delle «figure», disegnate dal rialzoe al ribasso del future,
che se si concretizzano permettono di «prevedere» la possibile evoluzione del derivato stesso. Un esempio?
È presto detto. «Può pensarsi- dice Malverti- alla situazione in cui la Fed lascia invariati i tassi. Nel caso in cui
prezzi, in un minuto, crollano velocemente, per poi risalire, il robot darà l'ordine di vendere allo scoperto». Il
che, però, al signor Rossi pare un controsenso: nel momento in cui il future sale è poco razionale posizionarsi
al ribasso. «Nonè così - ribatte l'esperto -.Il sistema, da un lato, analizza la microstruttura del mercato in quel
momento. Ma, dall'altro, "ricorda" la più ampia impostazione dei listini». La quale, attualmente negli Usa, è
ribassista. Di qui l'imput di vendere allo scoperto. Certo,a fronte del fatto che il software fotografa
costantemente l'andamento della Borsa, la situazione può cambiare. Il segnale dato può diventare "vecchio".
«In quel caso- conclude Malverti- il trading automatico cambierà strategia». Fin qui, in parole molto semplici, il
modello statistico basato sull'analisi dei prezzi del future. Quale, invece, i meccanismi alla base degli algoritmi
ultra veloci che sfruttano il dato in sé? Questo,a ben vedere,è il regno dei grandi operatori. Di quelle istituzioni
che, potendo investire molto, hanno sviluppato software in grado di interpretare la notizia e le sue possibili
implicazioni. «In questo caso- dice Belfiori- entrano in gioco altre stra- tegie. Ad esempio: l'investitore si
concentra nell'individuare le attese di mercatoe imposta il robot». L'imput muteràa seconda che le stime siano
disattese oppure no. Detto così pare semplice. «In realtà -fa da eco Fabrizio Lillo, professore di matematica
finanziaria alla Normale di Pisa- l'analisi del comportamento degli investitori è complessa e richiede grandi
investimenti». Non si guardano più, ad esempio, solamente le tradizionali piattaforme come Bloomberg.
Vengono scandagliati i big data. Sono passati ai raggiX social network, blog, newsletter e via dicendo. «Un
lavoro dove bisogna, ad esempio attraverso il numero di click sulla pagina, capire il "peso" del commento
pubblicato». Oppure, assegnare maggiore rilevanza all'investitore esperto piuttosto che al semplice
risparmiatore. In tal modo, il flash trader potrà immediatamente operare non appena avrà letto il dato sui tassi
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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17/09/2015
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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della Fed. Margini di errore? Ovvi. E però, in questo caso, magari si amplieranno le differenze tra le proposte
di negoziazione di venditae acquisto. Un'occasione d'investimento per altri Hft. Oppure, un'altra occasione
per creare un flash crash.
Il fenomeno dell'algo-trading 63 54 32 42 20 19 15 10 51 64 36 41 21 24 13 20 65 50 39 40 22 28 14 23 65
49 42 40 31 23 15 25 2011 2012 2012 2013 Asia Asia 2013 2014 2014 2015* (*) Stime Amer ica Latina Amer
ica Latina Fonte: Aite Group Stati Uniti Europa Stati Uniti Europa
I volumi scambiati. Dati in % IL TRADING ALGORITMICO I volumi scambiati. Dati in % IL FLASH TRADER
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Fed, i falsi dilemmi e le vere paure
Donato Masciandaro
La banca centrale americana (Fed) continuerà ad essere opaca oppure imboccherà la strada della
trasparenza? Quello che conta, nella decisione di oggi sui tassi di interesse non è certo il singolo
provvedimento di mantenereo no l'attuale livello, quando piuttosto se ci sarà o meno un cambio di strategia
monetaria, in termini di trasparenza degli obiettivi, e quindi di relativa assunzione di responsabilità.È una
scelta importante, perché l'attuale navigazione a vista della Fed non può essere spiegata solo dall'incertezza
congiunturale; esiste verosimilmente anche la paura di rendere definitivamente evidente il fatto che la politica
monetaria non è più in grado di raggiungere i propri obiettivi. Come accade alla Fed, almeno per quel che
riguarda l'inflazione, da almeno 10 trimestri consecutivi. Peraltro l'inefficacia della politica monetaria in
situazioni di eccesso di creazione della liquidità sembra essere diventato un tratto endemico dell'azione non
solo della Fed, ma delle maggiori banche centrali. Oggi la presidente della Fed Janet Yellen è di fronte ad un
bivio: annunciare una manovra di piccolo cabotaggio, oppure avviare una svolta della politica monetaria
americana. Si avrà piccolo cabotaggio se la Fed si limiterà a comunicare che il livello dei tassi di interesse è
lo stesso, oppure è variato. Si avrà invece una cambiamento rilevante se la Fed ripristinerà una rotta di
politica monetaria, attraverso la definizione di una regola di condotta, che guiderà la dinamica dei tassi di
interesse nei prossimi mesi. La navigazione a vista è oramai diventato il tratto caratteristico della Fed del
governatorato Yellen. La ragione che in generale viene adottata per giustificarla è legata al livello di
incertezza che caratterizza il contesto economico degli Stati Uniti, e in generale dei mercati internazionali.
Non è una spiegazione convincente. In un passato anche recente il grado di incertezza rispetto al quale la
politica monetaria ha dovuto agire è stato anche maggiore; ma questo non ha impedito alla Fed di avere una
condotta esplicita e coerente. Continua pagina 3 Continua da pagina 1 Prendiamo le situazioni molto diverse
che la Fed ha dovuto affrontare negli ultimi anni. La prima corrispondente a un periodo che finisce nel 2001 - è
quella in cui la politica monetaria della Fed ha svolto un' azione di stabilizzazione congiunturale, per cui i tassi
di interesse si muovevano in modo da contrastare i surriscaldamenti delle variabili nominali e reali, seguendo
una regola monetaria. Ricordiamo i dati, guardando ai tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento
della Fed. Nel periodo in cui la regola è stata seguita, e partendo dal 1999, la variazione mensile media in
termini di frazioni di punti base - è stata molto ridotta, nell'ordine del 4%. Poi, prima con Greenspan e poi con
Bernanke e fino al momento della crisi del settembre 2008 - la regola è stata sì violata, ma in modo
sistematico verso il basso. I tassi di interesse sono rimasti sostanzialmente stabili - la variazione media è
rimasta nell'ordine del 4% - ancorché la scelta dell'accondiscendenza monetaria è stata verosimilmente
l'innesco, insieme alla deregolamentazione finanziaria, della deflagrazione della crisi finanziaria. Scoppiata la
crisi, i tassi sono velocemente e opportunamente scivolati verso il basso; in un anno la variazione media è
stata del 26%. La variabilità dei tassi è pienamente giustificata dall'eccezionalità della situazione, anche in
termini d'incertezza. Poi i tassi, pur nel perdurare dell'incertezza, si sono appiattiti sullo zero, per rimanerci in
modo costante. Dall'inizio della crisi, la variazione media è stata complessivamente molto bassa, pari al 9%.
Insomma, sia le regole monetarie dei tempi normali come pure la sistematica accondiscendenza monetaria
dei tempi straordinari hanno finito per rappresentare una bussola per i mercati e l'economia. Senza una
bussola, i mercati fibrillano. Quando la Fed di Bernanke annunciò che la bussola dell'accondiscendenza
monetaria si stava smagnetizzando, senza dire come e quando sarebbe stata sostituita, le fibrillazioni
divennero scosse. La regola straordinaria dell'accondiscendenza finanziaria venne ripristinata, anche se la
natura eccezionale della congiuntura economica si stava spegnendo. La Yellen ha finora continuato a
commettere lo stesso errore fatto da Bernanke: dichiarare che prima o poi la bussola verrà disattivata, ma
senza impegnarsi ad adottare una nuova rotta. Dunque non basta l'incertezza a spiegare la navigazione a
vista. E l'inerzia della Fed è ancora meno spiegabile, se si tiene conto delle crescenti pressioni politiche, di
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POLITICA MONETARIA
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parte essenzialmente repubblicana, ad adottare regole monetarie. Allora l'unica spiegazione residua rimane
una legittima paura: se non si dichiara la rotta, è perché si ha paura di non essere in grado di navigarla.
L'impotenza a raggiungere obiettivi dichiarati è già nei dati, meritoriamente offerti da analisti dalla stessa Fed.
Da quanto nel gennaio 2012 la Fed ha dichiarato esplicitamente di avere un obiettivo del 2% - dieci trimestri fa
- lo ha sistematicamente fallito per almeno 25 punti base. Gli analisti poi si interrogano sulle cause del
fallimento, distinguendo tra cattiva azione monetaria, cause strutturali e sfortuna, attribuendo a quest'ultima il
46% della responsabilità del fallimento. Ma se c'è di mezzo la sfortuna, allora c'è una ragione psicologica in
più ad avere paura, ma solo se si è superstiziosi. Di fronte all'incapacità di adottare una rotta, è meglio allora
continuare il piccolo cabotaggio, usando come usbergo l'incertezza macroeconomica e internazionale.
L'augurio è che presto - magari oggi - la politica monetaria americana sia in grado di ritrovare la sua bussola.
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Fca, l'intesa con i sindacati Usa rilancia la strategia su Gm
Marchionne: «Passo importante» per «costruire il futuro»
Marco Valsania
NEW YORK Continua u pagina 37 pAccordo fatto tra la Fiat Chrysler Automobiles e il sindacato americano
United Auto Workers. Al termine di un negoziato lampo, l'amministratore delegato di Fca Sergio Marchionne e
il leader della Uaw Dennis Williams hanno sancito con una calorosa stretta di mano, un abbraccio e un
annuncio congiunto all'insegna dell'ottimismo i termini della nuova intesa di principio raggiunta tra le due
delegazioni. E che ispireranno il nuovo contratto nazionale di lavoro quadriennale per i 39mila dipendenti
sindacalizzati di Fca come per l'intero settore automobilistico negli Stati Uniti. Un successo che potrebbe
rafforzare l'immagine di Fca e la credibilità di Marchionne mentre persegue nuove ambizioni di fusione,a
cominciare da una combinazione con la rivale General Motors. Due i punti cardine per proseguire, hanno
rivendicato Marchionne e Williams, il rafforzamento in un settore che che negli ultimi anni ha prima sofferto
una grave crisi e poi conosciuto una grande rinascita: l'eliminazione, in futuro, di una struttura salariale con
due fasce di compensi, drasticamente ridotta per i neo-assunti, che era stata concordata nel 2007 ma che nel
clima di ripresa è ormai invisa al sindacato. NEW YORK u Continua da pagina 35 pE misure per
ridimensionare i crescenti costi dell'assistenza sanitaria, che altrimenti minacciano di vanificare il risanamento
del settore, un intervento oggi caro sia alle imprese che ai lavoratori. L'intesa è stata raggiunta 19 ore dopo
che le parti avevano deciso di estendere temporaneamente il vecchio contratto di lavoro scaduto alla
mezzanotte di lunedì per consentire uno sprint negoziale. Deve tuttavia ancora superare gli ultimi ostacoli:
dovrà essere ratificata dalla maggioranza degli iscritti alla Uaw entro i prossimi 7-10 giorni, ragione per cui i
dettagli del compromesso non sono stati immediatamente resi noti per essere inizialmente presentati invece
alle sedi locali della Uaw. I vertici sindacali hanno inoltre precisato che, se i capisaldi del contratto dovrebbero
essere confermati anche in separate trattative con General Motors e Ford, intendono cercare di strappare
maggiori concessioni dalle due rivali di Fca, che la superano per dimensioni e profitti. Proprio la posizione di
so- rella minore di Detroit, in un mercato sempre più globale e che richiede forti investimenti per competere,
ha spinto di recente Marchionne a perseguire merger o partnership, coerenti con la sua previsione di ulteriori
drastici consolidamenti nell'auto. L'ad di Fca ha lanciato esplicite avance alla Gm per una combinazione che,
ha indicato, genererebbe va- sti vantaggi competivi e di redditività. Avance che sono state però respinte finora
dal chief executive della concorrente, Mary Barra. La conclusione del contratto nazionale, di sicuro, elimina
adesso un elemento di immediata tensione e distrazione dal dibattito sulle strategie future delle società e
riporta al centro dell'attenzione le ipotesi di nuove spinte alla trasformazione e all'innovazione nel settore.
Stando alle prese di posizioni di sindacato e azienda, il nuovo contratto con Fca inaugura una nuova stagione
di cooperazione tra le parti sociali. Prevede possibilità di aumenti salariali con un occhio puntato alla
eventuale scomparsa del sistema di doppia fascia nei compensi. «Sono convinto che abbiamo raggiunto un
accordo trasformativo - ha indicato Marchionne in una lettera ai dipendenti -. Perchè garantisce ai lavoratori
una equa partecipazione al successo che siamo capaci di ottenere assieme, assicurando allo stesso tempo
che l'azienda resti competitiva». Marchionne ha aggiunto che, tra i concetti alla base delle trattative c'è stata
«la natura ingiusta della struttura salariale. Credo le delegazioni abbiano identificato un processo che con
cura e serietà supererà il problema». Il nuovo contratto, ha dichiarato da parte sua Williams, «è equilibrato e
mantiene la competitività». Il precedente accordo prescriveva un salario massimo per i nuovi assunti pari a
19,28 dollari l'ora - una paga che a Fca riguarda il 45% dei dipendenti - contro i 28 dollari dei lavoratori più
anziani. Entrambi i livelli dovrebbero conoscere aumenti nell'ambito del rinnovo del contratto: secondo alcuni
analisti la paga dei neoassunti potrebbe arrivare attorno ai 25 dollari l'ora, l'incremento iniziale per i veterani
potrebbe invece essere limitato a 50 centesimi.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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Auto. Chiusi i negoziati con United Auto Workers per il rinnovo del contratto nazionale
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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I numeri
+ 3,2%
+ 5,4%
6,57
14,25
1 0,75
- 0,7% P/E 1 7,8 4 5,6 5 5,1 27 0.480 201 .672 23 4.237 Dati in miliardi di dollari CAPITALIZZAZIONE A
CONFRONTO VENDITE A CONFRONTO Dati in unità e var. % nel mese di agosto
I grandi soci di Gm e Fca Altri Altri 1,13% 2,59% Fnp Llc 2,72% 1,26% 3,40% 3,41% 1,65% 1,95% 4,29%
3,86% 9,67% 4,93% 4,60% Exor 29,2% 5,05% 8,85% 55,14% 56,30% Credit Suisse Norges Bank
Bailliegifford Blackrock GLI A ZI ONI STI DI GM GLI A ZI ONI STI DI FCA
Quote percentuali Sergio Marchionne State Street Corp. JP Morgan Chase Capital Group Franklin Resources
Harris Associated Vanguard Group Van Retiree Medical Berkshire Hathaway People's Bank of China
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Bankitalia: arrivano sanzioni europee, multe fino a 5 milioni
Arrivano anche in Italia le nuove pesanti sanzioni europee per le banchee per tutti gli altri soggetti sottoposti
alla vigilanza della Banca d'Italia in linea con quanto stabilito dalla direttiva 2013/36/UE (la cosiddetta Crd
IV)e per tener conto dell'avvio del meccanismo di vigilanza unico. In base al quale, dal4 novembre scorso,
gran parte dei compiti in materia di vigilanza prudenziale sulle banche, inclusa l'applicazione di alcuni tipi di
sanzioni amministrative, sono esercitati dalla Bce. Le multe arriveranno o finoa un massimo di5 milioni per le
persone fisichee si estendono, prima novità, anche agli intermediari con un massimo pari al 10% del fatturato.
Via Nazionale, in un documento posto in consultazione fino al 16 novembre, come rivelato ieri da Radiocor-Il
Sole 24 Ore, ha poi introdotto alcune novità sulla procedura per le sanzioni dopo il recepimento della Crd IV.
Tra queste, figura una nuova fase di contraddittorio davanti al direttorio prima che la sanzione venga decisa,
anche in considerazione del significativo aumento degli importi delle sanzioni pecuniarie. Il documento
prevede anche le sanzioni alternative, in caso di violazioni di scarso rilievo, quali l'interdizione temporanea
delle funzioni presso la banca.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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VIGILANZA FOCUS Banche
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Abi: banche italiane serene sui risultati Srep
Rossella Bocciarelli
Servizio u pagina 36 pLe banche italiane sono «serene»riguardo all'esito dello Srep, il Supervisory Review
and Evaluation Process condotto dalla Bce. E' quanto ha assicurato ieri il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli,
al termine del comitato esecutivo dell'associazione,riunitosi ieria Milano.«Nelle ultime ore - ha affermato
Patuelli - sono stato in una camera chiusa, dove nessuno dei banchieri italiani ha sollevato problemi. Io ho
letto su un giornale quella che ho considero una nota ufficiosa,perché so ancora distinguere la differenza tra
una nota ufficiale e una nota ufficiosa». Il riferimento del presidente dell'Abi è alle indiscrezioni, raccolte in
ambienti bancari e pubblicate da Il Sole 24Ore (si veda il giornale del 9 settembre scorso, ndr) in relazione ai
primi risultati intermedi messi a punto dal Supervisory board del SSM di Francoforte. ROMA OLYCOM pLe
banche italiane sono «serene»riguardo all'esito dello Srep, il Supervisory Review and Evaluation Process
condotto dalla Bce. E' quanto ha assicurato ieri il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, al termine del comitato
esecutivo dell'associazione,riunitosi ieri a Milano.«Nelle ultime ore - ha affermato Patuelli - sono stato in una
camera chiusa, dove nessuno dei banchieri italiani ha sollevato problemi. Io ho letto su un giornale quella che
ho considero una nota ufficiosa,perché so ancora distinguere la differenza tra una nota ufficiale e una nota
ufficiosa». Il riferimento del presidente dell'Abi è alle indiscrezioni, raccolte in ambienti bancari e pubblicate da
Il Sole 24Ore( si veda il giornale del 9 settembre scorso, ndr) in relazione ai primi risultati intermedi messi a
punto dal Supervisory board del SSM di Francoforte. Un organismo che, peraltro, dovrebbe riunirsi anche
oggi, per portare avanti l'esame europeo sulle 123 aziende, tredici delle quali italiane, destinato a concludersi
definitivamente non prima della fine di novembre prossimo, dopo che tutte le aziende di credito avranno fatto
pervenire alla vigilanza europea le proprie controdeduzioni. Patuelli ha sottolineato che per le banche italiane
si profila « un quadro di ulteriore serenità per gli esami di quest'anno, rispetto anche agli esami dell'anno
scorso». La comunicazione dei risultati intermedi, ha voluto in ogni caso ricordare il presidente
dell'associazione di Palazzo Altieri «attiene al rapporto diretto tra le banchee le autorità di vigilanza» ed è
coperta da «una certa riservatezza». La stessa Consob, del resto, nei giorni scorsi ha posto la sua attenzione
sui risultati preliminari dello Srep per le banche italiane : ai 13 istituti di credito interessati dal processo di
controllo e valutazione prudenziale sarebbe giunta una comunicazione da parte dell'Authority per la
trasparenza dei mercati dove si richiede l'invio «senza indugio» in via riservata dei risultati provvisori giunti da
Francoforte. Consob avrebbe chiesto anche di venire in possesso delle eventuali osservazioni degli organi
dirigenziali delle banche che potrebbero essere inoltrate alla Bce per confutare le valutazioni in merito ai
campi esaminati (modello di business, governance, rischi di capitale, rischi di liquidità). Ieri, in effetti, tutti i
banchieri interpellati a margine della riunione dell'esecutivo hanno dichiarato di non aver ricevuto alcuna
comunicazione dalla Bce sui requisiti minimi di capitale determinati dall'esito degli Srep. Ma il numero uno
dell'Abi non si è sottratto ieri nemmeno al grande interrogativo del momento e cioè quale sarà la scelta del
presidente del Federal reserve americano Janet Yellen in materia di tassi d'interesse. Patuelli ha sostenuto
che, quale che sia, oggi, la decisione Fed, «il mercato l'avrà almeno parzialmente già scontata», dato che,a
differenza di quanto accadeva un tempo, le misure di politica monetaria vengono precedute da indiscrezioni
che in qualche misura "preparano"i mercati finanziari, in modo che le ripercussioni degli annunci non siano
troppo violente. Le banche centrali, ha ricordato Patuelli, «sono organismi indipendenti» e il Federal Reserve
ha «inondato l'economia Usa di liquidità con largo anticipo rispetto alla Bce», dato che in Europa «i processi
decisionali sono meno collaudati e quindi più lenti» di quanto non siano al di là dell'Atlantico. Oggi, secondo il
presidente dei banchieri, «è possibile qualsiasi scelta» da parte della banca centrale americana: tassi
invariatio anche un lieve rialzo ma tutto quel che sarà deciso avverrà, in ogni caso «in termini moderati».
Foto: Antonio Patuelli
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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Credito. Il presidente Patuelli sulle valutazioni Bce
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Padoan: "Interverremo sugli esodati con urgenza Niente Tasi per gli
affittuari"
Il governo sta valutando una nuova salvaguardia per gli esodati. Non si tolgono risorse ad altri "Non
intendiamo fare modifiche strutturali alla legge Fornero: metterebbero a rischio la stabilità
LUISA GRION
ROMA. Apre agli esodati, riconoscendo il loro «disagio sociale» e la necessità di fornire a tale condizione una
risposta «urgente», ma chiude alla possibilità di introdurre meccanismi di flessibilità previdenziale fin dalla
prossima legge di Stabilità. Annuncia che il governo ha intenzione di eliminare la Tasi non solo per tutti i
proprietari di prima casa, ma anche per gli affittuari. Conferma che Palazzo Chigi sta lavorando per ottenere
dall'Europa il via libera su una maggiore flessibilità di bilancio, ma precisa che non ci sarà alcun sforamento
del deficit fino al 3 per cento.
Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia, approfitta del Question time alla Camera per fare il punto sulle
questioni che il governo deve affrontare nei prossimi giorni. Fra le prime, l'emergenza esodati: ci sono ancora
49.500 ex lavoratori rimasti imprigionati nelle maglie della riforma Fornero e quindi senza stipendio e senza
previdenza per via dell'innalzamento dell'età pensionabile. Due giorni fa hanno protestato davanti al ministero
perché, proprio la Ragioneria, ha deciso di utilizzare i risparmi di un Fondo di sostegno ad hoc per potenziare
la riduzione del debito. Ieri Padoan ha promesso che - al di là di quei contestati 500 milioni di euro - il governo
«sta valutando la possibilità di estensione e l'incidenza di un nuovo provvedimento di salvaguardia».
Si tratterebbe del settimo intervento sul caso (delle prime sei hanno beneficiato 120 mila persone). Una
soluzione da trovare «con la dovuta urgenza», ha detto Padoan, perché il governo «riconosce l'esistenza di
situazioni di disagio». Ma sui risparmi contestati, ha precisato il ministro, «non ci sono certezze» , «non si
sottraggono risorse nè si svuota alcun Fondo ad altro fini». Per dare il via libera alla settima salvaguardia ci
sarà bisogno di una autorizzazione di spesa pluriennale, ha detto, ma sembra più lontana la possibilità che la
partita entri nella prossima legge di Stabilità assieme al più generale tema della flessibilità previdenziale in
uscita. L'ipotesi ventilata nelle scorse settimane, , comporterebbe «ulteriori rilevanti oneri sulla finanza
pubblica». Introdurre maggiori flessibilità nella riforma Fornero «andrebbe contro i principi di sostenibilità del
sistema pensionistico, valutato come fra i più solidi in Europa». Risposte, sia quelle sulla salvagurdia che
quelle sulle modifiche alla riforma, che non hanno convinto i sindacati (il 22 settembre organizzeranno con i
comitati degli esodati un nuovo presidio davanti al Tesoro). E anche Francesco Boccia, presidente della
Commissione Bilancio alla Camera, ha annunciato che chiederà un'audizione a Padoan per specificare le
coperture della prossima operazione di «salvataggio».
La legge di Stabilità, ha invece detto il ministro, sarà costruita per facilitare «una nuova e definitiva uscita
dalla fase prolungata di recessione». Il governo lavorerà per valutare «il modo più efficace per ottenere
ulteriori margini di flessibilità previsti dalle regole europee, sia per lo sforzo per le riforme strutturali sia come
contributo agli investimenti». Ma detto questo, non ci saranno sforamenti di deficit.
Nel prossimo Def (la nota di aggiramento sarà discussa dal governo domani) non ci saranno sorprese in
proposito: «Non c'è nessuna intenzione del governo di far crescere indebitamento e farlo veleggiare verso il 3
per cento, l'indebitamento per quest'anno sarà al 2,6 e continuerà a scendere negli anni successivi» ha
ribadito Padoan.
Fra le operazioni che il governo intende mettere sul tavolo a sostegno dell'economia c'è invece una novità
fiscale: la Tasi, tassa sui cosiddetti «servizi indivisibili», sarà cancellata per tutte le abitazioni principali .
Padoan ha annunciato che il balzello scomparirà sia per i proprietari che per gli affittuari .
Con le norme attuali gli inquilini versano una quota che va dal 10 al 30 per cento di quanto dovuto
complessivamente dal proprietario (di seconda casa). Tale quota sparirà, «anche per evitare disparità di
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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La manovra. Il ministro: si lavora al provvedimento ma sulle pensioni una maggiore flessibilità sarebbe troppo
costosa. Escluso un aumento del deficit verso il 3 per cento
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trattamento tra i contribuenti» ha detto il ministro. E qualcosa potrebbe arrivare anche sul fronte della
questione meridionale, visto che il titolare dell'Economia ha avvertito che il governo sta lavorando ad un
«eventuale pacchetto di incentivi fiscali per sostenere lo sviluppo delle imprese e gli investimenti nel
Mezzogiorno».
I NUMERI
27 mld LA MANOVRA L'intera manovra 2016, come ha detto Renzi, ammonterà a 27 miliardi
8-10 mld LA SPENDING REVIEW Da 8 a 10 miliardi verranno dalla revisione della spesa pubblica
6-7 mld LA FLESSIBILITÀ UE Il governo punta ad uno "sconto" europeo di 6-7 miliardi sul deficit
www.consip.it www.mef.gov.it PER SAPERNE DI PIÙ
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"Caro Draghi la politica espansiva sta indebolendo la spinta riformista"
La Bce non dovrebbe farsi influenzare dal saliscendi dei singoli indicatori congiunturali "La Bundesbank non
ha accusato all'interno della banca centrale una perdita di influenza negli ultimi anni
MARKUS ZYDRA
Centinaia di migliaia di profughi arrivano in Germania: è anche perché il Paese è davvero in ottima salute.
Rimarrà così? «Questo è vero: la Germania, nell'area dell'euro, si trova attualmente in una buona situazione
economica - risponde Jens Weidmann, presidente della Bundesbank - Questo stato di cose, però, non è
innato e non costituisce un buon motivo per adagiarsi sugli allori. Anche la congiuntura favorevole attuale
avrà fine un giorno. A lungo termine la Germania si troverà in ogni caso a dover affrontare sfide notevoli; basti
pensare alla società che invecchia, alla concorrenza in aumento dei paesi emergenti o alla svolta
energetica». Tuttavia, ciò non va a scalfire l'ottimismo, non è vero? Anche il mercato finanziario è molto
stabile.
«In linea di massima sì, ma anche nel nostro sistema finanziario non funziona sempre tutto alla perfezione:
le banche tedesche nel 2007 furono tra le prime vittime della crisi finanziaria. Al momento non sono solo le
assicurazioni sulla vita tedesche a risentire degli effetti negativi dovuti ai bassi tassi di interesse e il mercato
immobiliare è oggetto di particolare attenzione». Mario Draghi, presidente della Bce, ha annunciato di voler
estendere illimitatamente, in caso di necessità, il programma attuale per l'acquisto di titoli. Sorge la minaccia
di un nuovo dissidio all'interno del Consiglio direttivo della Bce? «A mio avviso Mario Draghi, con le sue
affermazioni, intendeva soprattutto inviare un segnale indicante che la nostra politica monetaria si orienta a
prospettive inflazionistiche e che il Consiglio direttivo è pronto a reagire a un cambiamento dei dati. La ripresa
della congiuntura nell'area dell'euro però si è consolidata, le già allora eccessive preoccupazioni
deflazionistiche si sono affievolite sempre di più e abbiamo avviato un programma di acquisto mai esistito
prima, il quale si trova ancora in fase di attuazione. La politica monetaria non dovrebbe farsi influenzare dal
saliscendi dei singoli indicatori fintantoché la valutazione politico-monetaria continua a rimanere
intrinsecamente valida».
La Bundesbank ha sempre perso delle battaglie importanti all'interno della Bce dall'inizio della crisi
finanziaria. Sarà di nuovo il caso ora? «La vedo diversamente: negli ultimi anni anche su temi essenziali
all'interno del Consiglio direttivo regnava il consenso...». Ma non in merito all'acquisto dei titoli di Stato.
«È vero che il mio predecessore Axel Weber e io avevamo un'opinione diversa da quella della maggioranza
dei colleghi del Consiglio direttivo della Bce. Tuttavia, gli argomenti addotti da me e da altri hanno fatto sì che
il programma attuale preveda che ogni banca centrale acquisti i titoli di stato per conto proprio e in tal senso
si è evitata la comunitarizzazione dei debiti dei singoli paesi. La mia posizione, dunque, viene pienamente
rispettata e tenuta in considerazione a livello decisionale». La perdita di potere all'interno della Bce mette in
difficoltà la Bundesbank? «Non condivido la valutazione secondo cui la Bundesbank avrebbe accusato una
perdita di influenza negli ultimi anni.
Sin dall'avvio dell'Unione monetaria nel 1999 il Consiglio direttivo della Bce prende decisioni comunitarie
sulla politica monetaria dell'area dell'euro. Ogni membro ha diritto a un voto.
Per la Bundesbank, che prima dell'unione monetaria ha coniato la politica monetaria in Europa, si è trattato
senza dubbio di un cambiamento più significativo che non per altre banche centrali. La Bundesbank dispone
di ottime armi per vincere la disputa argomentativa. Inoltre la Bundesbank è la banca centrale della maggiore
economia nazionale in Europa, con un'opinione pubblica che appoggia chiaramente la tendenza alla stabilità.
Questo rafforza la mia posizione nella discussione politico-monetaria». Come giudica il suo ruolo nel
Consiglio direttivo della Bce alla luce delle esperienze avute negli ultimi quattro anni? «Anche se all'interno
del Consiglio direttivo l'obiettivo della stabilità dell'euro ci unisce, ci divide la scelta della via giusta da
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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L'intervista. Jens Weidmann, presidente della Bundesbank: "Anche la Germania si troverà ad affrontare sfide
notevoli"
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
prendere per raggiungerlo. Sono convinto che la Banca centrale, in caso di dubbi, debba interpretare il suo
mandato, che consiste nel garantire la stabilità dei prezzi, in modo piuttosto letterale. Alla popolazione fu
promesso che l'euro sarebbe stato stabile come il marco tedesco. Finora con buoni risultati - e io mi impegno
nel Consiglio direttivo e sul piano della discussione pubblica affinché tali risultati rimangano». La Bce afferma
sempre di voler solo prendere tempo per consentire alla classe politica di mettere in atto le riforme
necessarie. Non sarebbe arrivato il momento per la Bce di porre ai politici un ultimatum dichiarando: "Cari
politici, riformate l'area dell'euro, altrimenti blocchiamo gli aiuti "? «Abbiamo un chiaro obiettivo: quello di
mantenere la stabilità dei prezzi con un tasso di inflazione a medio termine inferiore, ma prossimo, al due per
cento. È vero che sono una politica finanziaria e una politica economica orientata alla crescita a facilitarci il
compito o, per la verità, a renderlo addirittura possibile. Tuttavia, non possiamo usare la politica monetaria
per estorcere le misure politiche consone alle nostre convinzioni.
Si tratta di misure che devono essere deliberate dai governi e dai parlamenti e di cui essi stessi devono
assumersi la responsabilità. Solo questi ultimi dispongono della legittimazione democratica per attuarle. E
non è neanche nostro compito quello di prendere tempo per agevolare la classe politica».
Ma è proprio quello che sta facendo la Bce.
«Anche se si può non essere d'accordo sui singoli strumenti usati, il bassissimo livello dei prezzi attuale
richiede comunque una politica monetaria espansiva. Che però essa provochi un indebolirsi della spinta
riformista è un effetto collaterale che dovremmo prendere sul serio. La percezione che le banche centrali
stiano prendendo tempo può provocare un continuo differimento delle riforme. Il flusso di denaro a buon
mercato emesso dalle banche centrali non genera una crescita sostenibile e cela rischi sempre maggiori, per
esempio per la stabilità finanziaria». I Paesi emergenti temono che la Fed avvii il primo aumento del tasso di
riferimento dal 2016.
«Un possibile aumento dei tassi negli Usa sarebbe presumibilmente una reazione a una ripresa
congiunturale consolidata che in sé e per sé avrebbe un effetto positivo sull'economia mondiale. Inoltre si
discute già da tempo di un possibile giro di vite nella politica monetaria degli Usa, per cui è ormai arrivato il
momento di prepararsi a tale evenienza. D'altra parte è vero che l'insicurezza relativa al momento in cui
avverrà la svolta sui tassi innervosisce i mercati finanziari». copyright Süddeutsche Zeitung
Foto: AL TIMONE Jens Weidmann, presidente della Banca centrale tedesca dal 2011.
Ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, pubblicata ieri
17/09/2015
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Ridurre la spesa si può: chiedete a Maroni
Negli ultimi anni le uscite dello Stato, al netto del pagamento per gli interessi, sono sempre cresciute. Nel
2012 ammontavano a 671 miliardi, ora hanno superato i 692 miliardi, nonostante un taglio degli investimenti.
Eppure spendere meno è possibile: basta guardare alla Lombardia che in tre anni ha diminuito gli esborsi
dell'11,6 per cento...
Massimo Blasoni *
Nei primi anni Settanta il peso di tasse e imposte sul Pil italiano non arrivava al 25 per cento. Oggi supera il
50 in termini reali. È necessaria una significativa riduzione di questo carico che grava sui consumi degli
italiani e frena la possibilità di fare impresa e di attirare investimenti esteri. Ciò è possibile solo a patto di
comprimere il perimetro di attività dello Stato: Regioni, Province e Comuni hanno speso moltissimo,
incrementando costantemente costi e attività svolte anche quando, con vantaggio, potevano essere lasciate
al mercato. Oggi si ipotizza di abolire la Tasi, ma ogni annuncio di minori tasse che non parta da una precisa
elencazione delle spese che si vogliono tagliare, rischia di risultare poi disatteso. Ovvero di produrre nuove
imposte in luogo di quelle abolite: è già successo. Nelle intenzioni del governo il minor gettito derivante
dall'abolizione della tassa sulla prima casa e altro dovrebbe essere compensato da tagli per almeno 10
miliardi di euro. Operazione non facile se pensiamo che negli ultimi anni la spesa è sempre cresciuta
malgrado tutti i propositi di razionalizzarla. I dati del Documento di economia e finanza (def) sono impietosi:
nel 2012 la spesa corrente, al netto degli interessi sul debito, era pari a più di 671 miliardi, cresciuti nel 2013
a 684 e poi a 692,3 miliardi nel 2014. Non è ovunque così: il governo di David Cameron in Inghilterra è
riuscito a ridurre tra il 2010 e il 2013 la spesa di quasi 50 miliardi e oggi l'economia britannica, nonostante sia
stata colpita da una crisi finanziaria più grave di quella che investito l'Italia, cresce tra il 2 e il 3 per cento
annui. In Italia invece, diversamente dagli altri partner europei, si riduce la spesa per investimenti anziché
quella corrente. Lo Stato ha tagliato tra il 2009 e il 2013 ben 15,9 miliardi di euro di investimenti (dato
Eurostat) ma malgrado ciò, la spesa complessiva è salita. Quanto a incremento di spesa corrente negli ultimi
anni, meritano un richiamo le Regioni. Dai dati resi noti dalla Corte dei conti sui flussi di cassa necessari a
sostenere la loro spesa, si rileva che dal 2011 al 2014, in pieno periodo di spending review, questa è
cresciuta da 141,7 a 145,6 miliardi. Non tutte le Regioni si comportano ugualmente, però. Nello stesso arco
temporale, la virtuosa Lombardia ha ridotto dell'11,6 per cento le proprie spese, mentre il Lazio le ha
accresciute del 33 per cento. In termini assoluti per ogni cittadino la Lombardia spende 1.739 euro, poco più
della metà del Lazio, la Regione che, con i suoi 3.129 euro di spesa corrente procapite, fa segnare l'esborso
più alto tra tutte quelle a statuto ordinario. Questa rilevante differenza, a parità di competenze, fa riflettere e,
se proiettata a livello nazionale, ci convince ancor di più che ridurre la spesa pubblica è possibile. In questo
caso la Lombardia insegna. *presidente Centro studi ImpresaLavoro, Franco Cavassi/ agf
Foto: Il presidente della Lombardia Roberto Maroni: per ogni suo cittadino la Lombardia spende 1.739 euro,
poco meno della metà del Lazio.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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CONTROANALISI SCENARI ECONOMIA
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L'ASCESA DI MR EXPO
L'endorsement di Renzi, una fitta rete di relazioni e la capacità di essere al posto giusto. Giuseppe Sala è
l'uomo del momento. Pronto a raccogliere i frutti di un successo inaspettato.
Antonio Rossitto
Come un latifondista che veglia sulle sue terre, ogni mattina alle 8,30 Giuseppe Sala monta in sella alla sua
automobilina elettrica per il consueto giro di ricognizione. Il commissario unico di Expo imbocca il decumano,
il vialone principale dell'esposizione, e comincia a guardarsi intorno: «Per prima cosa mi accerto che tutto sia
pulito» informa. «Non voglio vedere nemmeno una carta per terra. Adesso intervengo di rado, ma ho passato
i primi giorni gridando come un ossesso: pensavano fossi impazzito». Alto, asciutto, capelli corvini.E foggia
iperenziana: camicia bianca, cravatta sottile, abito slim.I giornali lo immortalano sorridente accantoa capi di
Stato, rockstar e campioni dello sport. Sala, manager bocconiano, 57 anni,è l'«homo novus». Soprattutto da
quando Matteo Renzi lo ha lanciato nell'agone politico come possibile sindaco di Milano: «A me Beppe piace
moltissimo» ha spiegato sibillino il premier ai microfoni di una radio. Alla guida della sua automobilina, Sala
vaga tra i padiglioni di Rho. «Guarda quella a piedi nudi...» ride indicando una valchiria bionda che, senza
scarpe, vaga attorno a Piazza Italia. Saluta i volontari fermi di fronte al padiglione dell'Olanda. Alcuni visitatori
lo riconoscono: «Complimenti!» urla una capofamiglia che accompagna i pargoli in visita a Expo. Lui gongola.
È indubbio che l'inatteso trionfo abbia cambiato gli orizzonti dell'algido uomo di conti e organizzazione. Ha
fatto da padrone di casa a tutte le star che hanno calcato il decumano negli ultimi mesi. «La vanitàè il peccato
che preferisco» diceva Al Pacino nell' Avvocato del diavolo. E lui, seppur con il basso profilo della borgesia
meneghina, pare esemplificare la battuta. Michelle Obama? «È una donna di un metro e ottanta piena di
femminilità: un'americana davvero alla mano. Straordinaria...». Angela Merkel? «Mi ha sorpreso: dietro alla
corazza da cancelliera c'è una donna semplice, con un amore per l'Italia sconsiderato. Abbiamo scoperto
anche di passare le vacanze nello stesso posto:a Pontresina, vicino Sankt Moritz». Renzi? «Ha capito che
questa poteva essere una vetrina eccezionale. All'Expo non ti fischiano. La genteè pacificata. Il presidente
del Consiglio è già venuto spesso. Qui è un eroe: incontra gli altri premier, infonde ottimismo, respira
positività». C'è dell'altro: Sala è la spalla perfetta. Parla benissimo l'inglese, a differenza di Renzi. E non gli
toglie mai il proscenio. Per questo è l'uomo su cui ha scommesso per conquistare Milano: la città più
moderna e meno renziana d'Italia. La macchinina torna indietroe svolta verso l'anfiteatro: «Più tardi vado in
Prefettura per il concerto dei The Kolors. Mi occupo pure di gestire la sicurezza attorno agli eventi» dice,
esemplificando plasticamente il detto «faso tuto mì».È il momento giusto per entrare sul terreno politico:
«Insomma, lei in definitiva è il sindaco di Expo.E dunque...». Pronta la risposta: «Non c'è dubbio, ma sappia
che su quel tema non mi tira. Piuttosto, vuole il caffè?». «Certo». «Allora la porto nel padiglione della
Colombia». Davanti a un «suave» fumante, il commissario comincia però ad abbozzare il suo futuro.
Riprende il tema, alla lontana: «L'Expo ha funzionato perché è un concentrato di stile italiano. Ma è anche un
posto organizzato, pulito, efficiente, dove la gente sorride: tutto quello che spesso manca in Italia» Dunque?
«Dovrebbe diventare un modello. Ecco, io vorrei dare una mano a fare questo: cambiare la comunicazione e
il marketing del turismo e del made in Italy. Se riuscissi a fare qualcosa per il mio Paese, ne sarei felice». La
mente però corre subito ai carrozzoni pubblici, roboanti e inutili. Sala oggi è uno dei potenti d'Italia: ha
pranzato con i grandi della terra, ha stretto accordi commerciali per miliardi di euro, ha conquistato grande
popolarità. Un capitale che un ambizioso manager come lui non può disperdere: «Non voglio fare il sindaco di
Milano. Sono un uomo solido, ma da cinque anni non mi fermo un attimo. A fine ottobre finisce Expo, resterò
un paio di mesi per gestire il lavori.E poi cercerò di rifiatare. So che se mi candidassi avrei buone possibilità.
Ma per ora non me la sento: giuro». E confessa pure l'avversità della moglie Dorothy, sposata in terze nozze:
«Non abbiamo figli. Mi vede pochissimo: zero vacanze, sempre al lavoro. Lei è contrarissima». Sala,
insomma, nicchia. Oltretutto la strada potrebbe essere piena di trappole. Le primarie, intanto: mai si
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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CANDIDATO IN PECTORE
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sottoporrebbe alla roulette democratica, sempre foriera di possibili inciampi. Anche perché tra i democratici
meneghini, in maggioranza già contrari all'Expo, pochi apprezzerebbero la sua candidatura. In più c'è l'ostilità
del sindaco, Giuliano Pisapia, e di quel che resta della rivoluzione arancione. Renzi però a Milano vuole
vincere. E il commissario è il nome perfetto per frantumare la sinistra cittadina, la meno allineata d'Italia. Sala
ha fama di manager duro e risoluto. L'uomo è garbato, sicuro di sé, abile nelle relazioni. Appassionato velista,
da anni bordeggia tra politica e impresa. La sua carriera comincia in Pirelli e prosegue in Telecom, dove è
braccio destro di Marco Tronchetti Provera, che nel 2001 diventa azionista di maggioranza: «Mi aveva
nominato direttore generale per bilanciare il potere dell'amministratore delegato Riccardo Ruggiero» ricorda
Sala mentre sorpassa il coreografico Albero della vita. «Tronchetti, però, non ebbe il coraggio di dare la
spallata. E io venni sacrificato all'inizio del 2006, dopo 23 anni passati tra Pirelli e Telecom. Fu un brutto
colpo: amareggiato, presi un periodo sabbatico». Nell'autunno del 2008 Sala viene avvicinato da Bruno
Ermolli, vicino a Silvio Berlusconi e abile tessitore della politica milanese. «Mi propone di fare il direttore
generale» rivela Sala. Berlusconi pensava che bisognasse dare una mano a Letizia Moratti, eletta sindacoa
maggio 2006. «Gli dissi: "Perché no?". Io mi sono sempre sentito di sinistra, una sinistra progressista certo,
ma mi sembrò comunque un'occasione interessante». Ottobre 2008. Salaè in barca con un amico dall'altra
parte del mondo. Sul telefono satellitare riceve la telefonata della Moratti: «L'aspetto domani mattina: devo
parlarle» gli intima. «Mi ci vorrà una settimana, vento permettendo» risponde Sala. Comincia così la sua
seconda vita da manager pubblico. Viene nominato a gennaio 2009, ma un anno più tardi il rapporto con il
sindaco è già logoro. Sala scalpita. Non è uomo abituato all'obbedienza. Fiuta l'occasione. La società che
dovrebbe organizzare l'Esposizione universale è allo sbando. E lui, che ha già seguito il dossier, trova ancora
le sponda giusta. A giugno del 2010 viene nominato amministratore delegato di Expo 2015.Seguono anni
difficili. In pochi credono al successo dell'evento milanese. Con Pisapia e Roberto Formigoni, ex goveratore
della Lombardia, i rapporti mutano dal freddo all'ostile. Sala tiene dritto il timone. Enrico Letta lo nomina
commissario unico del governo a maggio del 2013 per l'organizzazione dell'evento. Poi arriva Renzi. E un
mese dopo Expo viene travolto dalle inchieste per corruzione: una serie di arresti decapitanoi vertici della
società. Spalleggiato dal premier, il manager milanese resiste all'ennesima buriana. E adesso? Il
commissario temporeggia. Dopo l'«endorsement» di Renzi, sperava che attorno al suo nome si potesse fare il
primo esperimento di un immaginifico Partito della nazione. Una candidatura comune. Ne avrebbe parlato
invano anche con Giovanni Toti, governatore della Liguria e consigliere di Berlusconi, e Roberto Maroni,
presidente della Lombardia. Nonostante la stima reciproca, i due avrebbero declinato: un'eventuale vittoria di
Sala a Milano rimarrebbe un trionfo di Renzi.E il centro destra, dopo il quinquennio di Pisapia, vuole
riprendersi la città. Sono quasi le dieci del mattino. Il decumanoè già affollato. Oggi si prevedono almeno 150
mila visitatori. Sala imbocca una via laterale per evitare la folla. Si guarda intorno un'altra volta, stringe le
mani sul volante, dice: «Le mie idee su Milano, comunque vada, le dirò. Per esempio, trovo assurdo che il
Comune possegga l'85 per cento della Sea: è una follia. La gestione aeroportuale non è il suo mestiere. Che
senso ha? Le partecipate, a parte l'Atm, bisogna venderle tutte. Poi prendiamoi soldie li usiamo per lo
sviluppo della cittàe per dare aiuti alle famiglie». Ma allora si candida o no? Sala, apparentemente, svicola
ancora: «Anche Berlusconi è venuto a trovarci. Era sorpreso. Girava per i padiglioni entusiasta. Non smetteva
di dire: "Che bello!". Siamo stati a pranzo insieme». E che cosa vi siete detti? «Giura di non scriverlo?».
Promesso. «Continuava a ripetermi: "Ma lei non è mica di sinistra"». Lo pensano in tanti, in effetti. «Prima di
salutarci, ha pure aggiunto, ironicamente: "Se ci ripensa, mi chiami che la candidiamo noi"». Sicuro
scherzasse? «Certo. E poi mica voglio fare il sindaco di Milano, io». LaPresse/Marco Alpozzi
FOTORICORDO SUL DECUMANO CON SERGIO MATTARELLA CON MICHELLE OBAMA CON SILVIO
BERLUSCONI CON LETIZIA ORTIZ, REGINA DI SPAGNA CON DAVIDE OLDANIE JAVIER ZANETTI CON
FRANCOIS HOLLANDEE MATTEO CON DILMA ROUSSEFF CON YAYA TOURÉ CON BENJAMIN
NETANYAHU CON STEVAN JOVETIC CON VITTORIO SGARBI CON JOHNE LAVINIA ELKANN CON
ROBERTO MANCINI CON LAURA BOLDRINI CON IVAN BASSO CON DAVID CAMERON CON FABIO
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CANNAVARO CON SATURNINO CELANI CON DANILO GALLINARI CON MALIKA AYANE CON ANGELA
MERKEL CON REINHOLD MESSNER CON AMBRA ANGIOLINI
CON MAURIZIA CACCIATORI CON MATTEO RENZI CON ELISA DI FRANCISCA CON MARIA GRAZIA
CUCINOTTA CON MATERAZZIE BELINELLI CON EROS RAMAZZOTTI CON VLADIMIR PUTIN CON
BONO VOX CON GIANLUCA VIALLI CON IL PRINCIPE ALBERTO II DI MONACO CON CRISTINA
KIRCHNER CON LANG LANG
Foto: Giuseppe Sala, 57 anni, è stato nominato commisario unico di Expo nel 2013 da Enrico Letta. RENZI
HA CAPITO CHE EXPO POTEVA ESSERE PER LUI UNA VETRINA INTERNAZIONALE UNICA
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SONO PIENO D'ENERGIA
Il gas come fonte energetica del futuro. L'Italia come primo Paese per investimenti. La Russia con cui
conviene fare pace. E la crisi dei profughi. All'indomani della scoperta del maxi-giacimento in Egitto, faccia a
faccia con Claudio Descalzi, numero uno dell'Eni.
Guido Fontanelli
Alla fine, un lungo applauso accoglie le ultime parole di Claudio Descalzi: «Non viene ricordato spesso»
scandisce l'amministratore delegato dell'Eni, «ma in nessun altro Paese investiamo quanto in Italia: quasi 8
miliardi di euro nel piano quadriennale 20152018. Operiamo in 83 nazioni, però il nostro successo nasce qui,
dove diamo lavoro a 24 mila persone: qui ci sono le nostre origini, qui continueremo a stare». La sala, piena
di dirigenti e quadri con il cane a sei zampe stampato sulla camicia, è in un basso edificio ai limiti di un
grande complesso industriale che dalla pineta si stende fino al mare. Siamo a Ravenna, in un'area che ospita
molte attività storiche dell'Eni del settore chimico, elettrico, del gas e che non veniva visitata da un
amministratore delegato dell'Eni fin dai tempi di Enrico Mattei, il «papà» del gruppo petrolifero. Questa è la
tappa principale del tour che Descalzi sta conducendo in tutti i siti italiani: il tema è la sicurezza, attualissimo
dopo la tragedia che ha colpito la raffineria di Priolo mercoledì 9 settembre con due morti: «Per noi l'obiettivo
è arrivare a incidenti-zero» dice il top manager. Panorama ha seguito l'amministratore delegato dell'Eni nel
suo giro tra gli impianti, salendo e scendendo dal pull man che ci ha condotto nello stabilimento dove
nascono i polimeri destinati a finire negli pneumatici e nelle piste di atletica, nella centrale elettrica di
Enipower, lungo il canale dove si ormeggiano le navi e dove si lavora il gas dell'Adriatico. «Potremmo
produrre più metano nel nord dell'Adriatico» ammette Descalzi al termine del tour «ma non ce lo lasciano
fare. E io francamente non me la sento di fare una battaglia su questo argomento in Italia: ci chiamano in
tutto il mondo per cercare e sfruttare nuovi giacimenti, compresa la Norvegia che all'ambiente è
attentissima». Di quanto potrebbe aumentare la produzione di gas e petrolio in Italia? Potrebbe raddoppiare
nel giro di un decennio, evitando circa 50 miliardi di euro di importazioni e garantendo 25 miliardi di maggiori
introiti per le casse dello Stato. Con una crescita occupazionale per diverse decine di migliaia di persone.
Negli ultimi 10 anni, invece, la produzione italiana è scesa da 400 mila a 200 mila barili equivalenti al giorno e
copre circa il 10 per cento della domanda nazionale. L'Italia, diversamente da quel che si ritiene, non è un
Paese povero di risorse petrolifere e gassifere. Il patrimonio di idrocarburi italiano va riletto all'interno del
contesto europeo dove l'Italia occupa una posizione tutt'altro che marginale: esclusi i grandi produttori del
Mare del Nord (Norvegia e Regno Unito), occupa il primo posto per riserve di petrolio ed è il secondo
produttore dopo la Danimarca. Nel gas, invece, si attesta in quarta posizione per riserve e in sesta per
produzione. Lo Sblocca Italia ha reso più facile l'esplorazione petrolifera? Sì, ma il fenomeno Nimby è ancora
forte: soprattutto dove non siamo già presenti, dove c'è minore conoscenza dell'industria petrolifera. Le
royalty italiane non sono più basse rispetto agli altri Paesi? In Italia, il prelievo fiscale totale sulle attività di
estrazione e produzione di idrocarburi è tra i più elevati in Europa: le royalty rappresentano solo una delle
componenti della fiscalità che lo Stato italiano applica alle società. Ai suoi manager ha ribadito che l'Italia
resta centrale per l'Eni. Ma la chimica e la raffinazione sono in difficoltà: non sarebbe meglio concentrarvi sul
vostro core-business petrolifero? Intanto la raffinazione fa parte del core-business: il problema è che in
Europa c'è un eccesso di capacità e questo mette in difficoltà gli impianti meno efficienti. Noi abbiamo
migliorato l'efficienza e i cinque impianti di raffinazione che abbiamo in Italia ora vanno bene così. Per quanto
riguarda la chimica, potrebbe essere utile trovare dei partner, ma senza che l'Eni esca completamente da
queste attività. Comunque non ci sono novità a breve. Quindi non lasciate l'Italia? Assolutamente no! Il nostro
comportamento e i risultati raggiunti ne sono la dimostrazione. Secondo lei occuperei il mio tempo visitando
siti in un Paese dal quale vogliamo uscire? Come ho già detto, crediamo nell'Italia e non solo per quanto
riguarda lo sfruttamento delle sue risorse di idrocarburi. Abbiamo lanciato progetti ambiziosi con grande
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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intervista PROTAGONISTI
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successo, come la riconversione di Venezia e di Gela, che ci consentiranno, entro quest'anno, di portare in
attivo tutti i nostri business anche quelli che erano stati in perdita per anni e tutto questo senza perdere
neanche un posto di lavoro. Venderete Saipem? Si parla di un ingresso del Fondo strategico... Non la stiamo
vendendo, la nostra priorità è deconsolidare il debito. Non escludo che Eni rimanga nell'azionariato ma è
meglio per tutti che la Saipem acquisti la sua indipendenza finanziaria. Come vede il futuro del gas come
fonte energetica? È il futuro. Per ridurre le emissioni, in Europa come nel resto del mondo, non possiamo fare
affidamento solo sulle rinnovabili. Il gas, di cui c'è ampia disponibilità nel mondo, rappresenta l'alternativa più
valida oggi disponibile. Sia per produrre elettricità, sia nei trasporti. Avete appena scoperto un maxigiacimento di gas davanti all'Egitto: sbaglio o state trovando più gas che petrolio in questi ultimi anni? È vero,
quella del giacimento egiziano è la quinta grande scoperta dell'Eni nel giro di tre anni: non a caso siamo stati
premiati a Londra da Petroleum Economist come migliore società al mondo di ricerca di gas e petrolio, cosa
rara per una grande major. Ci aspettano decenni in cui la domanda di energia nel mondo continuerà a
crescere e per questo la scoperta egiziana è particolarmente importante in quanto per l'Egitto significa
autosufficienza energetica per decine di anni. Dobbiamo tener presente che il Paese aveva cominciato ad
importare gas per fare fronte alla forte crescita dei consumi. Quindi questa scoperta ribalta le prospettive di
medio-lungo termine. Continuerà la sua battaglia contro il carbone? Non stiamo facendo una guerra contro il
carbone, ma sembra paradossale che il suo consumo in Europa cresca a discapito del gas. Con la caduta dei
prezzi, provocata dall'arrivo dello shale gas americano, il meccanismo europeo delle quote non funziona più:
il carbone costa poco e viene usato in abbondanza nonostante produca tanta Co 2 . L'Europa dovrebbe
trovare un altro sistema per rendere meno competitivo il carbone. Ma se l'obiettivo mondiale è di non
superare i due gradi di aumento delle temperature, l'Europa non può fare tutto da sola: tra incentivi alle
rinnovabili e trading delle quote di Co 2 , alla fine tanti costi ricadono sulle imprese europee, minando la loro
competitività rispetto ai concorrenti americani e asiatici. Quindi sì alla lotta contro la Co 2 , ma da parte di
tutti, non solo dell'Europa. Come giudica la dura posizione dell'Europa contro il colosso russo Gazprom? È un
argomento che lascerei alla politica. Mi limito a dire che noi abbiamo un ottimo rapporto con Gazprom e che
per molto tempo ancora non potremo fare a meno del gas russo. Per questo auspico che prevalga il
buonsenso, che la crisi ucraina si riveli un episodio passeggero e che i rapporti tra Europa e Russia tornino
sereni. L'Eni è molto presente in Africa, che fornisce oltre la metà della sua produzione di gas e greggio:
come si esce dall'emergenza profughi, secondo lei? Portando sviluppo, come ha fatto l'Eni in questi 60 anni.
Gli africani, come i siriani, non vogliono lasciare le loro case: sono costretti a farlo. Dobbiamo creare le
condizioni affinché trovino pace e benessere. Perché l'Africa è il futuro dell'Europa. Luigi Mistrulli Claudio
Descalzi, classe 1955, è amministratore delegato dell'Eni dal maggio 2014.
ENI IN CIFRE 109,8 MILIARDI fatturato in euro 1,29 MILIARDI utile netto registrato nel 2014 84 MILA
dipendenti del gruppo, presente in 83 Paesi PRODUCE 1,6 MILIONI DI BARILI DI IDROCARBURI AL
GIORNO
BIO GRA FIA
Milanese, 60 anni, laureato in fisica, Claudio Descalzi è amministratore delegato dell'Eni dal maggio del 2014.
Ha iniziato a lavorare nel gruppo nel 1981 come ingegnere di giacimento. Per molti anni ha svolto la sua
attività in Africa (la moglie proviene dal Congo). Dal 2008 al 2014 ha guidato la divisione Exploration &
production che si occupa di trovare e sfruttare nuovi giacimenti, considerata il cuore dell'azienda. Ha quattro
figli, è appassionato di rugby e golf.
Foto: Claudio Descalzi durante la visita negli impianti del gruppo Eni a Ravenna.
17/09/2015
Pag. 3
diffusione:104189
tiratura:173386
A Shanghai crollano gli scambi
Le borse cinesi rimbalzano sul finale delle contrattazioni per le voci di un allentamento delle misure contro il
margin trading. Sotto inchiesta alto funzionario della Consob locale
Andrea Pira
Ancora una volta tutto si è consumato nell'ultima ora di contrattazioni. Il rimbalzo delle borse cinesi ieri c'è
stato, ponendo fine a un inizio settimana segnato da pesanti perdite. A fine giornata l'indice Composite di
Shanghai ha registrato un rialzo del 4,9% a 3.153 punti, circa 200 dei quali guadagnati negli ultimi 60 minuti
di negoziazioni, e con appena 12 titoli su oltre 1.100 in perdita. In recupero anche Shenzhen, che ha
riscattato due giornate in rosso profondo (-6 e -6%), concludendo la seduta a +6,5%. A evidenziare la volata
finale è anche il volume degli scambi. A un certo punto della seduta, contraddistinta da un andamento piatto,
sul listino di Shanghai risultavano in calo del 46% rispetto alla media giornaliera dell'ultimo mese, e al livello
più basso da sette mesi. Alla fine, complice l'accelerata finale, il ribasso dei volumi si è ridotto al 28% rispetto
alla media degli ultimi 30 giorni. Le ragioni della ripresa sono da ricercare nelle indiscrezioni sull'ipotesi che le
autorità di vigilanza possano allentare la stretta sui conti legati ai margin loan. individuati da Pechino tra i
principali responsabili delle turbolenze e delle ondate di vendite che da metà giugno scuotono il mercato
azionario locale. Le autorità stimano oggi in più di 2 mila le posizioni illecite, per un totale di circa 29,5 miliardi
di dollari. Allentare la pressione equivarrebbe a dare respiro ai listini e iniettare liquidità. Ma se questa misura
può essere considerata la classica carota, Pechino non rinuncia a usare il bastone nel tentativo di arginare la
volatilità che da mesi caratterizza le borse. È di ieri la notizia dell'inchiesta contro uno dei più alti funzionari
della China Securities Regulatory Commission. Zhang Yujun, uno degli assistenti del presidente della Consob
cinese, Xiao Gang, con un passato al vertice delle borse di Shanghai e Shenzhen, è accusato di «gravi
violazioni disciplinari», eufemismo che nel linguaggio della burocrazia cinese equivale a dire corruzione. Si
tratta di un funzionario rispettato nell'industria per le posizioni riformiste, che tuttavia ha rapporti difficili con gli
altri componenti il vertice della Csrc, scrive il South China Morning Post. L'inchiesta contro Zhang segue
quelle contro alcuni alti funzionari di Citic Securities, una delle principali società di brokeraggio della Cina,
accusati il mese scorso di corruzione. Ma soprattutto lambisce lo stesso numero uno della vigilanza, Xiao
Gang, sul quale si rincorrono le indiscrezioni riguardo un possibile allontanamento anticipato dalla carica,
tanto che già girerebbe una lista ristretta di possibili sostituti. Intanto, allo scopo di ridare slancio all'economia
in frenata, il Consiglio di Stato, l'esecutivo cinese, ha fatto sapere che permetterà a un maggior numero di
società di accelerare il deprezzamento degli asset pluriennali. La misura permetterà quest'anno alle imprese
cinesi risparmi fiscali per 5 miliardi di yuan, pari a 694 milioni di euro. Spazio inoltre a un maggiore
indebitamento all'estero per le società dell'ex Celeste Impero. La Commissione per lo sviluppo e le riforme ha
annunciato una semplificazione delle regole e una riduzione delle quote destinate all'approvazione di prestiti
o emissioni di bond in yuan o in valuta straniera destinati a investitori esteri, con una scadenza di un anno.
(riproduzione riservata)
I VOLUMI SULLA BORSA DI SHANGHAI A M G L A S G F M Volumi in miliardi 0 40 20 80 60 100 2015
GRAFICA MF-MILANO FINANZA
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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L'INDICE CHIUDE CON UN +4,9% MA I VOLUMI CALANO DEL 28% RISPETTO ALLA MEDIA MENSILE
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Il bail in? Non siamo come Cipro
Il presidente Abi: le crisi recenti gestite senza che i risparmiatori corressero rischi. La bad bank? Penso a
forme innovative per velocizzare il recupero crediti. Politica monetaria e vigilanza devono coordinarsi
Jole Saggese
«Cipro sarà anche bella ma non è l'Italia». Il paragone tra i due Paesi non piace al presidente dell'Abi,
Antonio Patuelli, quando si parla di bail in, il possibile coinvolgimento di azionisti, obbligazionisti e correntisti
con depositi superiori ai 100 mila euro, in caso di crisi bancaria. La normativa europea», chiarisce il numero
uno dell'associazione bancaria, «è soltanto una soluzione estrema». Nessun consiglio infine in vista della
riunione di oggi della Fed per Janet Yellen. «Ci avrà già pensato Barack Obama», sorride Patuelli. Domanda:
Presidente, un pil rivisto al rialzo dal governo allo 0,9% e una maggiore flessibilità dall'Europa. Crede che sia
vera ripresa? Risposta. Io non ci credo, la vedo. E le banche sono tra gli artefici di questa ripresa. Negli anni
passati hanno fatto sforzi colossali, con risorse proprie, per far fronte al costo della crisi e poi per rafforzarsi
con grandi aumenti di capitale, riorganizzazioni e ristrutturazioni. Ora sosteniamo tutti gli elementi di ripresa
sani. Lo vediamo con il boom dei mutui e i cospicui prestiti al consumo e alle imprese. D. Dopo oltre tre anni
l'offerta di denaro delle banche è tornata positiva e continua il boom dei mutui. Ma le sofferenze restano
ancora a livelli record, oltre 197 miliardi. R. Queste sofferenze sono il costo della crisi. In Italia le banche non
hanno avuto i regali che altri Stati hanno fatto ai loro istituti, prima della nascita dell'Unione bancaria lo scorso
anno. Penso a Germania, Francia e anche Inghilterra. Noi abbiamo superato la crisi con le nostre risorse.
Ecco perché è così importante l'azione che il ministro Padoan sta sviluppando in collaborazione con la
Commissione europea e la Banca d'Italia. Un'azione che non mira a una bad bank, ormai superata
dall'Unione Bancaria, ma a forme innovative per velocizzare il mercato dei crediti deteriorati. D. Presidente,
cosa cambia per le banche con il bail in? R. Non cambia quasi nulla. L'Italia non è Cipro. Il bail in è stato
applicato solo a Cipro, nemmeno in Grecia. Questa normativa che abbiamo recepito in Italia è solo una
ipotesi estrema. Deve essere contemplata dai regolamenti, ma il risparmio è tutelato dalla Costituzione con
l'art. 47. In Italia vi è un'attenzione particolare al risparmio, lo dimostrano decenni senza fallimenti bancari.
Tutte le crisi degli ultimi anni sono state gestite dall'autorità di vigilanza senza che i risparmiatori corressero
rischi. D. Su conti correnti e obbligazioni bancarie ci saranno conseguenze? R. Lo dico con chiarezza, io
spero, e opero perché il bail in non venga mai applicato in Italia. Deve rimanere una norma di estrema
riserva, per crisi bancarie molto gravi che auspico non si verifichino mai. D. Impatterà in qualche modo sulla
concorrenza bancaria? R. Deve aumentare la consapevolezza di tutti. È un punto fermo come il
rafforzamento patrimoniale portato avanti dalle banche per impedire nuove crisi. L'educazione e
l'informazione dei risparmiatori deve cominciare dalle scuole. Inoltre, basandosi sulle direttive della Banca
d'Italia, gli istituti stanno sviluppando nuove informative per i risparmiatori. D. Visco ha definito la bad bank
come il calcio d'inizio per scongelare il mercato delle sofferenze. Lei lo definisce un veicolo per alleggerire le
banche dei loro npl. Cosa serve alle banche? R. Prima di tutto non una bad bank tradizionale, tanto che io
non la chiamo nemmeno bad bank. Il governatore Visco ha dato l'indirizzo più equilibrato per offrire chance
responsabili alle banche per trattare i loro crediti deteriorati. Non si tratta di costringere nessuno a fare nulla.
D. In attesa dei dati ufficiali del Srep, il processo di valutazione prudenziale della Bce, teme una nuova
stretta? R. No, nell'anno trascorso dagli scorsi esami le banche italiane hanno fatto un grande lavoro anche di
consolidamento patrimoniale e di ulteriore incremento delle riserve. Per questo credo che gli esami siano
andati bene, meglio del 2014. D. La sensazione è che la Bce agisca con due passi diversi, da un lato il Qe e
dall'altro la rigidità sui regolamenti. Come si supera questa dicotomia? R. In una recente assemblea l'ho
definita un'aquila bicipite. Bisogna che le due teste, che simboleggiano la politica monetaria e quella di
vigilanza sugli istituti bancari siano culturalmente strategicamente coordinate fra loro. D. Un eventuale rialzo
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Intervista PARLA PATUELLI LA NORMATIVA DISCIPLINA UNA SOLUZIONE ESTREMA. E L'ITALIA È AL
SICURO
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 17/09/2015
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dei tassi creerebbe una differenza tra la politica della Fed e quella della Bce. Ci saranno conseguenze per
l'Europa? R. Per anni Fed e Bce hanno seguito strade diverse. La Fed ha dato liquidità con il Qe molti anni
prima della Bce, muovendosi nella sua indipendenza. Ora è Francoforte a immettere liquidità sul mercato, ma
i tempi di maturazione in Europa sono stati più complessi. Entrambe agiscono in piena autonomia, secondo
tempi ed esigenze diverse. Non credo ci saranno grandi impatti sull'Europa da un rialzo dei tassi americani.
D. Rimane preoccupazione per i tassi dei prestiti alle aziende. Rimangono sui livelli europei, ma le nostre
imprese sono più piccole della media europea. R. Essere riusciti a ridurre i tassi italiani sui prestiti al livello di
quelli europei è un grande successo. Lo spread che subiamo sui titoli di Stato si ripercuote sui costi della
raccolta e sul costo complessivo del denaro. In Italia, quindi, le banche sono più risparmiose degli altri Paesi
dell'Unione. A dirlo sono le tabelle della Bce, dove si evidenzia come la forbice tra il costo del denaro sui
depositi e quello sui prestiti è la più stretta in Europa. D. Riguardo la forbice tra i bassi tassi di interesse sui
depositi e quelli alti sui prestiti, cosa risponde a MF-Milano Finanza, che chiede «quanto è sicura e quanto è
cara la vostra banca»? R. In seguito al Qe i tassi di interesse sui prestiti in Italia sono scesi più che nella
media europea. Io sono un lettore da tanti anni, appassionato e interessato, di Milano Finanza così come di
MF, e quindi ne apprezzo l'autorevolezza e lo stimolo. In questo caso lo stimolo ha la risposta non nell'Abi ma
nelle statistiche della Bce. Queste dimostrano come la forbice tra raccolta e impieghi in Italia è più stretta che
in Francia, Germania e altri Paesi della Ue. (riproduzione riservata)
Foto: Antonio Patuelli
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Angelo De Mattia
Su Le Monde 140 economisti hanno contestato la decisione con cui il presidente francese François Hollande
ha designato François Villeroy de Galhau a governatore della Banca di Francia in vista della scadenza del
mandato, il 31 ottobre, di Christian Noyer, che è stato in carica per 12 anni. La ragione principale della
contestazione è che il designato è stato fino a poco tempo fa ai vertici di Bnp Paribas come direttore
generale, per cui viene giudicato inopportuno il passaggio da una banca commerciale alla banca centrale, la
quale per di più ha anche funzioni di Vigilanza sugli istituti. Insomma, vi sarebbe un conflitto di interessi per la
metamorfosi da vigilato a vigilante, con tutte le storture facilmente intellegibili. È vero che Villeroy de Galhau è
stato anche capo di gabinetto dell'allora ministro dell'Economia Dominique StraussKahn, ma poi è passato a
ricoprire l'incarico in Bnp. In astratto è difficile parlare di un conflitto di interesse in senso strettamente
tecnico-giuridico; ma nella sostanza sussistono i presupposti per un potenziale conflitto: non si dovrebbe
attendere che si materializzi per poi contestarlo. Meglio parlare di incompatibilità, che duri almeno per un
determinato periodo, certamente superiore ai sei mesi che nel caso di specie sono intercorsi dall'abbandono
della carica bancaria da parte del designato. Insomma, sul piano dell'opportunità e del precedente che si
viene a creare la critica a un trasferimento di questo tipo è fondata. Dovrebbe poi considerarsi che, poiché la
Banca di Francia è parte del sistema europeo di banche centrali con al centro la Bce, decisioni che
riguardano la governance di un singolo istituto del genere possono avere effetti imitativi in altre situazioni
similari. La tradizione della Banca d'Italia invece è al riguardo illuminante. Una costante è stata quella di
escludere immissioni dirette dalle banche vigilate ai vertici di Via Nazionale. La regola non scritta è stata la
nomina alla carica di governatore attingendo alle eccezionali professionalità interne. Così è stato per Baffi,
Ciampi, Fazio, ma anche per Menichella e Carli, che, pur provenendo dall'esterno (non però dal sistema
bancario), furono chiamati rispettivamente prima al grado di direttore generale, da cui poi passarono a quello
di governatore. Quando si manifestò la possibilità che a quest'ultima carica arrivasse, verso la fine del
governatorato Carli, un personaggio molto noto, ma fino allora amministratore delegato del Banco di Roma
(Ferdinando Ventriglia), vi fu una rivolta che stroncò ogni possibilità di dare seguito a questo intento.
L'alimentazione per via interna ha subito un'interruzione in una situazione eccezionale con la nomina, a fine
2005, di Mario Draghi, proveniente da Goldman Sachs. Draghi era stato però in precedenza direttore
generale del Tesoro e Goldman Sachs non era sottoposta alla Vigilanza di Bankitalia. Fu tuttavia
un'interruzione per certi aspetti discutibile e che determinò la necessità di deliberare alcune forme di
prevenzione di conflitti di interesse potenziali, quale l'astensione del governatore dalle decisioni sul seguito
della vicenda della presunta scalata alla Bnl, considerato che Goldman era stata consulente del Bbva, titolare
di una partecipazione in Bnl. Dopo Draghi si è ritornati opportunamente all'alimentazione interna con Ignazio
Visco, ma anche in questa circostanza, nella pluralità di candidature e autocandidature prospettate ve ne era
anche una di provenienza dal mondo bancario, che finì giustamente per essere esclusa. La linea interna
riposa su alte professionalità, dedizione, correttezza. In teoria non sarebbero da escludere immissioni
dall'esterno, ma non dovrebbero provenire dal sistema bancario e se ne dovrebbe dimostrare la superiorità
per capacità rispetto alla linea interna, cosa non facile. La tematica è così delicata anche a livello di
Eurosistema che sarebbe opportuno un indirizzo della Bce approvato poi da Commissione, Consiglio e
Parlamento Ue. Non autoreferenzialità, ma neppure commistioni inopportune o indebite o veri e propri conflitti
di interesse. (riproduzione riservata)
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La Banca di Francia e i conflitti dei governatori
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La ripresa c'è, Renzi la rafforzi nella Padania
Edoardo Narduzzi
Più del petrolio a prezzi da saldo ha potuto il Quantitative easing della Bce di Mario Draghi. L'epitaffio sulla
tomba della più lunga recessione italiana del secondo dopoguerra è semplice da scrivere e da commentare.
Resta il fatto che Super Mario ha regalato su un piatto d'argento un refolo di ripresa economica all'economia
italiana del premier Matteo Renzi. Ripresa che adesso non può essere sprecata. Quindi cosa c'è da fare?
Una vera spending review (basta chiacchiere), una riduzione delle imposte, soprattutto di quelle sul fattore
lavoro (richiesta di sempre anche della Bce) e disboscamento della palude di aziende municipalizzate
(richiesta contenuta nella famosa lettera sempre della Bce dell'estate del 2011). Le carte, adesso, le ha in
mano Renzi che può giocare una partita sui fattori strutturali, quelli che fanno sì che la ripresa non sia un
semplice galleggiare su ciambelle lanciate dall'esterno, come il denaro garantito a tassi irrisori dalla Banca
Centrale Europea, il barile a prezzi da saldo, l'euro debole, la ripresa del pil Usa, la garanzia gratuita offerta
dall'attivo commerciale tedesco al Qe della Bce. Perché la vera domanda alla quale il premier deve
rispondere, per capire se la ripresa sia un vero ciclo espansivo capace di creare tanta nuova occupazione
giovanile, è la più semplice del mondo: nell'Italia by Renzi gli imprenditori hanno propensione e interesse a
fare nuovi investimenti? A oggi la risposta è no, perché la maggior parte delle imprese di successo
preferiscono indebitarsi a tassi storicamente bassi in Italia per investire o comprare imprese in Germania,
Spagna, Usa, Brasile, Regno Unito, Olanda e così via. Investire in Italia non è ancora conveniente per una
concatenazione negativa di fattori prodottasi negli ultimi tre lustri: bassa produttività; elevata pressione
fiscale; qualità molto modesta dei servizi pubblici; declino demografico; effetto di spiazzamento del debito
pubblico sugli investimenti privati. Ma senza nuovi investimenti Renzi rischia di essere l'unico premier
socialista in Europa con una disoccupazione giovanile record, superiore al 40%. Un dato che gli costerebbe
le elezioni sicuramente, perché nessun Paese avanzato è governabile con una strutturale disoccupazione
giovanile di massa, e lo è ancora meno per il segretario di un partito di centrosinistra. Allora Renzi deve
cambiare marcia e iniziare una vendita porta a porta della ripresa soprattutto nella Padania, perché è lì che
viene fatta o meno la gran parte degli investimenti italiani. Pianti le tende in Veneto, Lombardia, Emilia,
Piemonte, Friuli. Tutte zone dove la ripresa c'è già, e contribuisca a far volgere al sereno la meteorologia
delle imprese della regione. Solo così la ripresa appena partita potrà diventare un ciclo economico
significativo. (riproduzione riservata)
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COMMENTI & ANALISI
SCENARIO PMI
4 articoli
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Patto Regione-Assolombarda. Appello al governo: sia una battaglia nazionale Il documento L'iniziativa s'ispira
al sistema britannico: più rigore per il rispetto di contratti e scadenze Rocca Si tratta di un atto di coraggio e di
auto-disciplina Serve un cambio di costumi: il tema deve essere reputa-zionale Maroni La Regione è
eccellenza nazionale nel rispetto delle scadenze Abbiamo elaborato un sistema di premi e sanzioni alle
società
Giacomo Valtolina
Del codice etico delle imprese contro i ritardi cronici dei pagamenti nella filiera economica italiana, il
presidente di Assolombarda Gianfelice Rocca ne ha fatto una bandiera. «Il governo inglese ha preso le prime
50 società britanniche quotate in Borsa e ha fatto pubblicamente i nomi di quelle che non aderivano al
Codice» ha detto ieri dalle sale di via Pantano, seduto al fianco del governatore Roberto Maroni e dei vertici
di Confindustria. Perché il tema del rispetto delle scadenze nei pagamenti, di un testo di
autoregolamentazione, di autodisciplina, di un'assunzione di responsabilità è, innanzitutto, un «tema
reputazionale». Per cui serve l'unione tra pubblico e privato e per cui - come ha spiegato l'artefice del testo,
Carlo Bonomi - si necessita, soprattutto, dell'impegno del governo: «Mi aspetto un intervento forte del ministro
dello Sviluppo economico Federica Guidi perché il protocollo diventi di rilevanza nazionale come accaduto in
Inghilterra» ha detto Bonomi, vicepresidente di Assolombarda per Credito, finanza e fiscalità.
Il primo passo per varcare i confini lombardi, in verità, è stato fatto proprio ieri, primo giorno di adesione di
Confindustria al Codice italiano Pagamenti Responsabili, simbolo della presidenza Rocca già dal discorso
d'insediamento in Assolombarda, nel 2013, in situazione di crisi con attenzione al credito. «Oggi ci
assumiamo un impegno - ha detto Vincenzo Boccia presidente del comitato tecnico Credito e finanza di
Confindustria -. C'è bisogno di corresponsabilità tra imprese. Solo l'adozione da parte di tutti darà valore
all'iniziativa». Un'onda «virale», come la chiama Rocca, in grado di travolgere il malcostume, far decollare
numeri e risultati «cambiando i costumi e i comportamenti delle grandi imprese ed evitando le tensioni
finanziarie che colpiscono soprattutto le piccole imprese».
A oggi l'intesa è stata siglata da 228 società (tra cui Eni, Ibm, Techint, Mapei, Vodafone, Hp, Mediaset) i cui
pagamenti complessivi riguardano 220 mila fornitori per la cifra monstre di 81 miliardi di euro. Le basi del
documento poggiano sul modello etico britannico, sposato al 100 per cento dal governo inglese. Ci sono poi
due università (Luiss e Bocconi), cinque banche e l'ordine dei commercialisti che insieme con gli atenei avrà il
compito di eliminare i marchi dalla lista in caso di acclarate violazioni.
In attesa di segnali da Palazzo Chigi però, al momento in Italia l'unico endorsement politico all'iniziativa è
arrivato dal Pirellone, con il governatore Roberto Maroni che ha subito supportato l'iniziativa, bollando come
«parole sante» quelle con cui Rocca elogiava una partnership sempre più stretta tra pubblico e privato. In
particolare, la Regione ha promosso un meccanismo di premi e sanzioni per le imprese. Divieto di
assunzione per un anno nei confronti degli enti dipendenti della Regione che sforano i 60 giorni (nel 2015) e i
90 giorni (nel 2014); premi nelle assegnazioni dei fondi europei per le imprese virtuose. «Abbiamo raccolto
l'iniziativa di Assolombarda già dai primi giorni con la delibera del 23 maggio 2014 che riduce i tempi di
pagamento della Regione e del sistema sanitario» ha detto il governatore ricordando il tetto a 60 giorni
imposto per i pagamenti nei nuovi contratti (e di 90 o 120 quelli già in essere) e le medie di pagamento dei
fornitori di Regione Lombardia: 24 giorni dal ricevimento della fattura.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
d'Arco I RITARDI IL CONFRONTO IL PROTOCOLLO Tempi di pagamento (giorni 2015) Tra imprese e
imprese Tra imprese e PA* Contratto Le aziende che hanno sottoscritto il documento I fornitori della filiera
interessati dall'iniziativa Il totale dei pagamenti ai fornitori delle imprese firmatarie 228 200 81 mila miliardi
Ritardo FONTE: elaborazioni Osservatorio Assolombarda-Bocconi su dati Intrum Justitia Germania Francia
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/09/2015
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Codice di garanzia per le imprese «Stop ai ritardi nei pagamenti»
17/09/2015
Pag. 2 Ed. Milano
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SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/09/2015
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ITALIA Germania Francia ITALIA Lombardia Italia Quota dei pagamenti puntuali tra imprese sul totale
FONTE: Cribis 2015 46,1% 36,2% *Pubblica Amministrazione 38 51 80 63 144 55 25 43 20 79 65 17 20 13
17/09/2015
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Stefania Peveraro
Il fondo Finanza e Sviluppo Impresa gestito da Futurimpresa sgr ha acquisito il controllo di Fvf srl, società
specializzata nella vendita e distribuzione di prodotti alimentari per la cucina etnica ai ristoranti e alle catene
di ristorazione. Fondata nel 1995 da Fabrizio Fasulo e Stefano Sgarella, Fvf è leader di mercato in Italia nel
segmento ristorativo Tex Mex, Steak House e Burgers e ha chiuso il 2014 con un fatturato di circa 20 milioni
(+20% dal 2013), con il primo semestre 2015 che indica una crescita di fatturato di oltre 20% dai primi sei
mesi dell'anno scorso. L'ingresso nel capitale di Fvf da parte di Futurimpresa, curato dall'ad della sgr Luigi
Glarey, da Vittorio Pracca (investment manager) e da Giorgia Seitun (investment area), ha l'obiettivo di
sostenere la crescita di Fvf, anche tramite aggregazioni. Inoltre Futurimpresa ha coinvolto due esperti in
qualità di partner operativi. Con l'ingresso di Futurimpresa nell'azionariato (al 66,5%), i soci fondatori si sono
diluiti al 32%, mentre ai soci operativi fa capo l'1,5%. Per Futurimpresa è la seconda operazione in pochi mesi
sgr, dopo l'investimento in Lisapharma con il 44,3%, al fianco di Arcadia sgr (53,7%) e dei manager (al 2%) a
inizio agosto. Con le due recenti operazioni il fondo, che ha una dotazione totale di 70 milioni di euro, ha
raggiunto circa il 70% di capitale investito ed è ritornato a lavorare dopo un periodo di inattività. Il controllo del
55% di Futurimpresa sgr era passato ad Azimut Holding a inizio agosto 2014, con le Camere di Commercio di
Milano, Bergamo, Brescia e Como che continuano a partecipare al capitale per il restante 45%. Marco
Malcontenti, presidente di Futurimpresa sgr e co-amministratore delegato di Azimut Holding: «Queste due
operazioni rappresentano il primo passo concreto dell'importante progetto di partnership a sostegno del
tessuto imprenditoriale italiano siglato tra un soggetto privato quale Azimut e le Camere di Commercio
lombarde». E a proposito della partnership Elena Vasco, segretario generale della Camera di Commercio di
Milano, ha aggiunto: «L'obiettivo è quello di offrire un sostegno al sistema delle piccole e medie imprese
attraverso uno strumento finanziario di particolare efficacia e utile al loro sviluppo». (riproduzione riservata)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/09/2015
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Futurimpresa investe in Fvf Secondo deal in due mesi
16/09/2015
Pag. 7 N.27 - settembre 2015
DUAL CYBER E UNA COPERTURA COMPLETA PER LA PROTEZIONE DEL BUSINESS: DALLA
PERDITA DEI DATI DI TERZI ALL'INTERRUZIONE DELLE ATTIVITÀ
Qualsiasi impresa o attività professionale è oggi strettamente dipendente dall'utilizzo di computer e dispositivi
mobili, nei quali vengono raccolti, trattati e gestiti dati personali di proprietà di terzi. In questo scenario,
caratterizzato dall'altissima interazione fra tali dispositivi, il fenomeno dei crimini informatici ha trovato le
condizioni ideali per crescere in modo esponenziale attaccando le attività imprenditoriali e professionali
indipendentemente dal settore e dalla dimensione. Ciò espone le imprese e i professionisti al rischio di
subire, e provocare, danni di natura informatica sia a se stessi sia a terzi. Molta eco hanno avuto gli
hackeraggi di colossi come JP Morgan, Sony e Dropbox, ma questo rischio non riguarda solo i big, bensì
sempre più spesso le aziende di piccole dimensioni e gli studi professionali. Secondo una recente ricerca di
Unicri, negli ultimi 12 mesi, l'80% delle Pmi italiane ha registrato un blocco nei sistemi informatici che ha
provocato per il 38% una perdita della produttività, per il 22% un decremento del fatturato e per il 36% ritardi
nello sviluppo di un prodotto. Il tutto ha causato una perdita totale di ben nove miliardi di dollari. COME
FUNZIONA DUAL Cyber è un'assicurazione che protegge le imprese e i professionisti dalle responsabilità
derivanti da violazione dei dispositivi di sicurezza e da violazione della privacy relativa alla perdita o diffusione
non autorizzata di dati di terzi. La copertura include, inoltre, tutti i costi di notifica, pubbliche relazioni,
investigazione e recupero dei dati, ma soprattutto protegge l'impresa rispetto alla perdita di profitti
conseguenti all'interruzione di attività, compresi i casi in cui il sistema informatico sia gestito da un fornitore. I
VANTAGGI DUAL Cyber protegge, con una copertura completa, i rischi informatici che più comunemente
interessano le aziende e gli studi professionali, indipendentemente dalla loro dimensione e complessità.
Inoltre, in caso di sinistro, l'assicurato ha a disposizione un servizio di assistenza clienti formato da un team di
esperti tecnici e legali, attivo 24 ore su 24, sette giorni su sette, 365 giorni all'anno. CHI PUÒ ACQUISTARLA
DUAL Cyber può essere acquistata da aziende, studi e associazioni professionali e anche da singoli
professionisti. COME CALCOLATO IL PREMIO II costo della polizza varia in funzione del fatturato e del limite
di indennizzo scelto dal cliente, compreso fra 50 mila euro e cinque milioni di euro. Ad esempio, con un limite
di indennizzo di 50 mila euro e un fatturato fino a un milione di euro, il premio sarà di soli 290 euro. Con un
limite di indennizzo di 500.000 euro e un fatturato fino a due milioni di euro, il premio richiesto è di 1.050 euro.
La copertura è realizzata da DUAL Italia - agenzia di sottoscrizione di assicurazione e riassicurazione del
gruppo Hyperion Insurance. Le garanzie assicurative sono al 100% dei seguenti sindacati dei Lloyd's di
Londra: Liberty 4473, con una quota del 50%, e ANV 1861 con una quota del 50%.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 17/09/2015
60
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UN RISCHIO EMERGENTE, UNA POLIZZA PER TUTTI
16/09/2015
Pag. 8 N.27 - settembre 2015
FERMA FORUM
COSI CAMBIA IL RISK MANAGEMENT ITALIANO
SISTEMI INTEGRATI DI GESTIONE DEI RISCHI SI ACCOMPAGNANO AVALUTAZIONI DI SCENARI
FINORA SCONOSCIUTI, UTILI AL CONTROLLO DI MINACCE EMERGENTI. PER ALESSANDRO DE
FELICE, PRESIDENTE DI ANRA, NEL NOSTRO PAESE È TEMPO DI VALORIZZARE LE COMPETENZE
SPECIFICHE DEI RISK MANAGER EDI DIFFONDERE LACULTURADELRISCHIO ANCHE PRESSO LE
AZIENDE DI PIÙ PICCOLE DIMENSIONI
MARIA ROSA ALAGGIO
Un Paese che vive gli stessi rischi a cui è sottoposto il resto del mondo, con le complessità portate dalla
globalizzazione, dalle filiere produttive sempre in evoluzione e dalla crescente pervasività della tecnologia
nelle nostre vite. Così come pervasive, e anzi devastanti, risultano la crisi economica e l'acuirsi degli scenari
climatici. Eppure l'Italia, con le sue grandi aziende multinazionali che viaggiano a grande distanza dalla realtà
delle piccole e medie imprese, pilastro operoso del nostro tessuto economico, ha le sue peculiarità e
caratteristiche distintive anche in fatto di risk management. Individuare i valori e le difficoltà quotidiane, con
obiettivi e risultati che non possono essere mai persi di vista da chi ogni giorno si occupa di gestione dei
rischi, significa avvicinarsi a un mondo che richiede competenze evolute, capacità manageriali e rigore
organizzativo. Per conoscere più da vicino il ruolo, le sfide e le prospettive del risk management nel nostro
Paese, in un costante confronto internazionale, abbiamo incontrato Alessandro De Felice, presidente di Anra
(Associazione nazionale di risk manager e responsabili di assicurazioni aziendali), segretario generale di
Ifrima (International federation of risk management associations) e, dal 2012 al 2014, vice presidente di
Ferma (Federation of european risk management associations). In ambito aziendale De Felice ricopre la
carica di chief risk officer di Prysmian e managing director della Prysmian Reinsurance Company. I ruoli
istituzionali, in Italia e all'estero, gli hanno consentito di acquisire un punto di osservazione globale sulle
dinamiche della gestione dei rischi nei vari Paesi e sulle specifiche problematiche che riguardano i risk
manager. "L'Italia dimostra un'elevata capacità di gestire i rischi e non ha nulla da invidiare al resto d'Europa
sottolinea De Felice -. Gli studi che abbiamo realizzato dimostrano che le aziende che dispongono di strutture
di risk management nel nostro Paese possono vantare elementi di qualità e ottimi livelli di gestione. Ma il
problema dell'Italia riguarda il gran numero di imprese che, per un problema dimensionale, non dispongono di
strutture dedicate, non svolgono attività di risk management adeguate o dedicano con difficoltà tempo e
risorse alle tematiche legate ai rischi aziendali". Da sempre Anra si pone come obiettivo la diffusione di una
maggiore cultura del rischio tra le aziende e, più recentemente, in particolare tra quelle medio-piccole: un
passaggio necessario che consentirebbe all'Italia di effettuare un significativo cambio di passo nel risk
management. II risultato degli sforzi profusi in questa direzione è dato dalla crescita del numero di associati,
passati dai 150 di due anni fa agli attuali 220, che rappresentano tutte le principali aziende italiane attive nei
vari settori dell'economia e che, considerando il fatturato aggregato, contribuiscono per 30% al Pii italiano.
"La nostra mission - spiega De Felice - è porci come principale stakeholder a livello italiano sulle tematiche
del risk management. Fondamentale è quindi lo sviluppo della base associati, a cui abbiamo puntato
coinvolgendo quelle funzioni aziendali non impegnate a tempo pieno nella gestione del rischio: responsabili
amministrazione, finanza e controllo, figure consulenziali, responsabili organizzazione, internai auditor,
soggetti attivi in società di outsourcing che forniscono servizi a più aziende, e in generale realtà di dimensioni
più piccole rispetto alle società che tradizionalmente figurano tra i soci Anra". RISCHI TUTTI ITALIANI Se in
Europa i rischi più percepiti sono quelli legati al terrorismo, al cyber crune e alla supply chain, in Italia, a livello
generale, la congiuntura economica sposta le priorità delle aziende su questioni più urgenti, generate dalla
necessità di salvaguardare innanzitutto il patrimonio dell'impresa. Tutte le problematiche legate al rischio di
credito, quindi la conoscenza dei territori in cui si opera, i rapporti con i fornitori e la valutazione delle possibili
insolvenze, ricoprono un ruolo centrale per garantire la sicurezza delle attività e degli investimenti.
Particolarmente sensibili al rischio di credito sono, comprensibilmente, le aziende che operano all'estero e
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L'INTERVISTA
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FERMA FORUM
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che ricavano la gran parte del proprio fatturato con l'export. Si tratta di realtà particolarmente interessate
anche ai rischi legali, a causa delle diversità dei sistemi giuridici tra i vari Paesi e delle conseguenze che un
sinistro potrebbe comportare. In crescita è quindi anche l'attenzione alla compliance (sia in materia
giuslavoristica sia ambientale), alle conseguenze di eventuali infrazioni e a tutte le iniziative di adeguamento
alla complessità legislativa. Un capitolo a parte, infine, va riservato al tema delle catastrofi naturali. L'Italia è
testimone e vittima di fenomeni come le pesanti alluvioni e soprattutto i terremoti, sempre più frequenti e dalle
conseguenze sempre più gravi, come il più recente, nel 2012, in Emilia Romagna. "Anra presidia tutte le
tematiche del rischio - aggiunge De Felice - promuovendo cultura, attività di networking e scambio di best
praclice. Il nostro lavoro si articola sulla creazione di contenuti, informazione, formazione e comunicazione
verso gli organi di stampa: questo insieme di valori ci consente di posizionarci come interlocutore nell'agenda
dei provvedimenti legislativi". IL FOCUS SUI MODELLI ORGANIZZATIVI I rischi sono oggi sempre più
complessi e interconnessi e, per affrontarli, i risk manager del nostro Paese richiedono un supporto per
confrontarsi sulle policy di risk management aziendale, sui modelli organizzativi, sui modelli di reportistica e
sulle modalità di valutazione e quantificazione. I sistemi di analisi rappresentano un elemento cruciale per
l'ottimizzazione del risk management e, nell'attuale congiuntura, le aziende sembrano particolarmente
sensibili alla ricerca di soluzioni più efficaci rispetto al passato. Per questo motivo, Anra sta collaborando con
alcuni sviluppatori per la realizzazione di soluzioni software dedicate, necessarie ai risk manager per
migliorare la loro reportistica. "Il punto di partenza per lo sviluppo di queste soluzioni - spiega De Felice resta naturalmente la necessità di stabilire le logiche su cui strutturare le analisi, ottimizzando i modelli
organizzativi in relazione alla disclosure verso gli azionisti e alle tematiche risk appetite/risk tolerance". Per
favorire la diffusione dell' enterprise risk management Anra sta lavorando a uno specifico position paper per
analizzare i modelli delle aziende italiane mettendoli in relazione a quanto avviene in Europa. Si tratta di
problematiche che hanno impatti diversi a seconda dei settori merceologici, e che pertanto richiedono un
approccio analitico che sarà elaborato e razionalizzato dagli esperti del Comitato scientifico di Anra per
rendere noti i risultati entro il primo semestre del 2016. VOLATILITÀ E MOLTIPLICAZIONE DEGLI SCENARI
DI RISCHIO Quando si parla di rischi emergenti si entra in un ambito fatto di situazioni non conosciute, in cui
anche le analisi di tipo quantitativo trovano una difficile applicabilità. Il terreno su cui muoversi è pertanto
quello qualitativo, con l'obiettivo di disegnare ipotetiche evoluzioni prevedendone gli impatti. Su questo tema
Anra ha organizzato un workshop nell'ambito del Ferma Forum 2015 e, grazie alla collaborazione con il
Politecnico di Milano e l'Università di Trento, offre la possibilità di analizzare tutti i rischi difficilmente
prevedibili cercando di circoscriverli in una serie di sottorischi. "Pensiamo - spiega De Felice - all'insieme di
elementi sociali legati al mutamento climatico, oppure alla disponibilità o meno di prodotti alimentari di base e
al variare dei relativi prezzi. Il mutare di solo uno di questi elementi può generare rischi che impattano sugli
altri, moltiplicando gli scenari di riferimento, le valutazioni delle conseguenze e la tipologia di danno". Cercare
di descrivere questi scenari significa, secondo De Felice, fornire soluzioni in particolare per quei settori che
più di altri sono condizionati dal mutamento di alcuni parametri. Il settore dell'agricoltura, per esempio, ha la
necessità di ridurre al massimo il rischio di volatilità dei fenomeni meteorologici, mentre il settore Energy è
sottoposto alla variazione del prezzo del petrolio, che incide direttamente sul costo dell'elettricità. Il termine
volatilità risulta così sempre più destinato a incidere sulle valutazioni dei risk manager e sulla gestione di
scenari di rischio complessi, interconnessi e, almeno per il momento, imprevedibili. ALESSANDRO DE
FELICE
INTERVENIRE NELLA CORPORATE GOVERNANCE Nel tempo il ruolo del risk manager è diventato
sempre più centrale nelle aziende, e ancor più lo sarà in ottica di enterprise risk management. Per una
gestione integrata del rischio gli interlocutori dei risk manager devono necessariamente essere le diverse
funzioni aziendali ed esterne, dal cda all'area amministrazione e controllo, dalla logistica alle operations, dalle
società di consulenza al mercato assicurativo. "Solo attraverso una fattiva collaborazione tra le diverse unit
aziendali, e con la partecipazione diretta del cda alle tematiche del rischio, dichiara Alessandro De Felice,
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presidente di Anra - sarà possibile effettuare un salto qualitativo nel risk management, come per altro previsto
dal Codice di autodisciplina delle società quotate. La sfida del risk manager sarà allora far percepire
all'interno dell'azienda la necessità di intervenire nella corporate governance implementando un sistema
integrato di gestione di rischi: per fare questo avranno bisogno di maggiori informazioni e di far evolvere
ulteriormente le proprie competenze, anche attraverso corsi di formazione mirati, interpretando con sempre
più puntualità le dinamiche dei processi aziendali".
LA CRESCITA PROFESSIONALE PASSA DALLA FORMAZIONE Per riuscire a gestire il moltiplicarsi dei
rischi e la loro complessità, l'evoluzione ( risk manger sembra passare attraverso la capacità di integrare il
proprio mestiere nelle logiche di corporate governance. Con questo obiettivo Anra propone ai propri associati
un ampio catalogo di corsi di formazione. Grazie alla collaborazione con il mondo accademico (Cineas, Ifaf,
Politecnico di Milano, Mib School of management e Università di Verona) Anra offre ai risk manager la
possibilità di migliorare le proprie competenze. Tra i corsi disponibili, solo per fare qualche esempio, quelli
relativi a enterprise risk management, engineering e loss prevention e alla gestione della business contmuity,
fino al project management e all'approfondimento di rischi specifici come quello marittimo. A quest'ultimo
ambito, in particolare, sarà dedicata Anra Marìtime Academy, una nuova realtà dedicata alla formazione che
l'associazione dei risk manager presenterà in autunno.
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