Direzione Nazionale della rosa nel Pugno
Roma, Hotel Palatino 22-23 Settembre 2006
Relazione del presidente Enrico Boselli
Questa nostra direzione è molto importante per tutti noi: deve avviare una discussione aperta sul rilancio
della Rosa nel Pugno, come una vera e propria forza politica.
Per svolgere questo compito abbiamo tempi stretti. Entro la fine del prossimo ottobre dobbiamo essere in
grado di convocare la Fiuggi 2, attorno alla quale si sono accumulate molte attese e molte speranze.
La Rosa nel Pugno ha raccolto, nello scorso aprile alle elezioni politiche, circa un milione di voti.
Non si è trattato di una pura somma dei voti socialisti e di quelli radicali. Probabilmente abbiamo conquistato
nuovi elettori mentre ne abbiamo persi di antichi. Da questa circostanza che non tutti avevamo previsto è
scaturito un risultato nettamente inferiore alle attese che non solo noi avevamo immaginato.
La sofferenza maggiore che abbiamo avuto è consistita nella mancata elezione di nostri rappresentanti al
Senato.
Per i socialisti è, infatti, la prima volta nella storia della nostra Repubblica che non siamo presenti a Palazzo
Madama. E’ quindi, comprensibile che tra le nostre fila vi sia stata una profonda amarezza da parte di
numerosi nostri compagni e nostre compagne, prima delle elezioni davvero entusiasti del progetto della
Rosa nel Pugno
Sappiamo, però, che per quanto riguarda il Senato ciò è avvenuto solo perché si è violata la legge
elettorale, applicandola attraverso il ricorso al criterio dell’analogia, inammissibile quando si tratta di diritti
fondamentali.
Noi continuiamo a pensare che questa grave situazione di illegalità - e non a caso pronuncio questa parola
forte – debba essere sanata al più presto. Spetta alla Giunta per le elezioni del Senato istruire il
procedimento che dovrà portare ad una decisione dell’Aula di Palazzo Madama. Sarebbe davvero grave, e
mi rivolgo ai componenti di questo organismo, che la Giunta per le elezioni si pronunciasse negativamente
chiudendo così definitivamente la porta ad un voto in Aula.
Mi rivolgo innanzitutto ma non solo ai gruppi parlamentari dell’Unione, che della legalità giustamente fanno
una bandiera, perché facciano sentire assieme a noi la loro voce e facciano contare il proprio peso politico.
Resta, comunque, il fatto che il risultato elettorale, vissuto come deludente, non abbia prodotto quel forte
impulso al nostro progetto che da parte di molti ci si aspettava. Da qui nasce la difficoltà a risolvere i
problemi che si sono aperti. Sappiamo, infatti, quanto contino nelle scelte della politica gli orientamenti
dell’elettorato.
Non è stata, quindi, di poco significato la conferma della decisione di andare comunque avanti nella
posizione del nostro progetto, come tutti ci eravamo ripromessi prima del voto, a cominciare da Marco
Pannella e da me stesso.
Rispetto alle polemiche che ci sono state, si è parlato di una crisi di crescita. Mi rendo conto che di fronte a
questa generosa definizione si possano avanzare riserve e persino fare ironie. Epurare nell’affermare che si
tratta di una crisi di crescita vogliamo esprimere soprattutto un messaggio positivo.
Io, almeno per quanto mi riguarda, non ho alcuna intenzione all’inizio di questo nostro dibattito di
nascondere le difficoltà che dobbiamo affrontare e lo stallo nel quale si trova il nostro progetto.
La Rosa nel Pugno ha esercitato con i suoi principali temi una positiva influenza nei confronti del Governo.
Su quelli della laicità e dei diritti a cominciare dall’istruzione pubblica, su quelli dell’economia di mercato, del
contrasto alle chiusure corporative e oligopolistiche e del valore della concorrenza, come pure su quello
della nostra politica estera, spesso si è visto riecheggiare obiettivi che avevamo portato avanti, senza le
omissioni e le incertezze di altre forze politiche, nella campagna elettorale. Dobbiamo quindi chiederci
perché, a fronte di fascino e attrattiva politica di questi risultati, la Rosa nel Pugno abbia perso smalto
nell’opinione pubblica e all’interno del Governo non abbia esercitato neppure il peso corrispondente al nostro
risultato elettorale.
Faccio questa osservazione, innanzitutto, riferendomi allo stato attuale del Governo e della maggioranza di
centro sinistra. Noi siamo tutti consapevoli che il risultato elettorale ha visto la nostra coalizione vincere per
un soffio. Ci siamo trovati di fronte a una spaccatura nel Paese di cui dobbiamo tenere in debito conto
nell’azione del Governo. A causa di una legge elettorale, che tutti unanimemente orami consideriamo
pessima, pur avendo tra di noi diverse opinioni su che cosa sostituirvi ci siamo trovati di fronte ad una
maggioranza assai risicata al Senato, mentre alla Camera ha funzionato il pur ridotto premio di
maggioranza. Alle difficoltà numeriche al Senato si aggiungono quelle di carattere politico. Infatti la
coalizione di centro sinistra ha al suo interno una profondo eterogeneità che era nota in partenza.
Di contro, però, neppure lo schieramento avversario può contare su una sostanziale compattezza politica e
programmatica, come si vede del resto dalle divisioni e dalle lacerazioni che emergono dopo la sconfitta
elettorale subita dal centro destra. Il centro sinistra è percorso da correnti politiche di segno assai diverse,
comprendendo persino ben due partiti apertamente comunisti, con il rischio che la mediazione necessaria ci
costringa a spostare l’asse politico sempre più a sinistra o, e non è certo un esito migliore, alla paralisi.
Noi siamo stati sempre consapevoli che all’interno della maggioranza vi sono componenti estreme che, non
riuscendo ad affermare i propri obiettivi sino in fondo, si barricano spesso nella difesa pura e semplice dello
status quo. E da qui che nasce il carattere conservatore della sinistra estrema. Vi sono, infatti, temi chiave,
come la riforma dello stato sociale, lo snellimento della pubblica amministrazione, il rapporto tra Stato e
mercato o la flessibilità nel mondo del lavoro sui quali le componenti più estreme, in mancanza di una
capacità di affermazione costruttiva, cercano di bloccare qualsiasi progetto innovativo.
E’ da queste condizioni che si evince con chiarezza il ruolo della Rosa nel Pugno che dovrebbe con tenacia
sollecitare le forze riformiste, presenti nella Margherita e nei DS, ad assumere atteggiamenti più aperti e
coraggiosi, per poter fare fronte comune contro le resistenze che si manifestano.
Per svolgere questo ruolo non basta una pura e semplice alleanza elettorale tra i socialisti e i radicali, ma
occorre mettere in campo una forza politica, come deve essere la RnP, che sappia concentrare tutte le sue
energie nel perseguire gli obiettivi riformisti.
Se al contrario diamo l’impressione di vivere all’interno della RnP come separati in casa, di avere un gruppo
parlamentare che assomiglia a quello misto dove convivono diverse componenti politiche, di sentire sempre
una doppia appartenenza con quella d’origine che conta più di quella nuova della RnP e di farci la
concorrenza ovunque e dovunque arriveremo a contare persino di meno di quanto conterebbero due partiti
completamente distinti.
E’ per questo motivo che è un urgente costruire un partito con regole di vita interna capaci di assicurare
l’unità della nostra azione politica almeno in alcuni campi.
Se per raggiungere questo obiettivo dovremmo discutere e confrontarci giorno e notte sino a quando non
avremo trovato un terreno d’intesa, ebbene io dico che ne vale la pena.
La RnP non è infatti un progetto da archiviare ma una grande occasione da non perdere. C’è pero una
condizione: entrambi dobbiamo essere capaci di essere qualche cosa di diverso da quello che eravamo ed
ancora siamo. Del resto, se guardiamo al panorama politico italiano, noi siamo come RnP ancora quella
novità che serve per rinnovare il centro sinistra e la sinistra italiana.
Certo, abbiamo avuto un buon inizio dell’azione politica e programmatica del Governo. Il pacchetto Bersani,
il Documento di Programmazione Economica e Finanziaria e la stessa impostazione della nostra politica
estera hanno dato un segno positivo al cambio di Governo. Non è stato di poco conto che autorevoli ministri
abbiamo espresso posizioni sui temi della laicità che si avvicinano a quelle da noi sostenute.
E’ soprattutto dai DS che è venuta una sorta di risveglio laico, dopo la messa in sonno di questi argomenti
avvenuta durante la campagna elettorale.
Questo buon inizio tuttavia è stato successivamente contraddetto da una certa improvvisazione che si è
registrata nelle file del Governo.
Mi riferisco innanzitutto all’annuncio, fatto dal ministro Padoa Schioppa, di una riduzione dell’entità della
Finanziaria da 35 miliardi a 30 miliardi, che ha aperto una vera e propria gara a ribasso sul futuro della
manovra economica del Governo. Sarebbe stato, invece, opportuno che il ministro dell’Economia aspettasse
la presentazione del necessario aggiornamento del DPEF in concomitanza della presentazione della
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Finanziaria al Consiglio dei ministri di fine settembre per aggiornare, se era proprio necessario, l’entità della
manovra. Si è trattato di una leggerezza politica che è comprensibile in un tecnico di altissimo valore come è
Padoa Schioppa.
Successivamente, però, ci siamo trovati di nuovo di fronte ad una brusca e poco meditata dichiarazione,
come è stata quella fatta in uno dei primi incontri con i sindacati, per annunciare immediatamente che le
pensioni potevano essere escluse dalla Finanziaria. Noi consideriamo questo atteggiamento in modo
negativo. Non siamo certo tra coloro i quali vogliono fare la guerra ai sindacati. Ci mancherebbe altro! Non ci
viene neanche in mente di pensare che le grandi organizzazioni del mondo del lavoro costituiscano in se
stesse un ostacolo, invece di essere una risorsa, come sono, per il Paese. Aggiungo che riteniamo che la
concertazione tra Governo, sindacati e imprese non sia un ferro vecchio da gettare via.
Detto questo nel mondo più chiaro, il governo però non si può far dettare, passo dopo passo, le sue iniziative
dai sindacati. Non cade il mondo se si registrano differenti vedute o se su determinati punti si hanno veri e
propri dissensi.
Dobbiamo, infatti, proporci nell’azione del governo sempre il punto di vista dell’interesse generale. Esiste
infatti una nuova esigenza che è di primaria grandezza: oggi come oggi non è sufficiente, come lo era in
passato, una intesa tra Governo, sindacati e imprese, ma è necessario anche un patto tra generazioni. E in
questo quadro, se non si affronta il problema delle pensioni di giovinezza, non riusciremo mai a trovare le
risorse per creare un nuovo sistema di sicurezza sociale, come voleva Marco Biagi, che eviti di trasformare
la flessibilità in precarietà.
Ed infatti la precarietà nel mondo del lavoro flessibile è costituita soprattutto dall’intermittenza del reddito,
che crea ansie ed incertezze nelle nuove generazioni e che nel migliore dei casi pone i giovani alle
dipendenze delle rispettive famiglie.
La nostra proposta non può essere fraintesa come se fosse di destra, mentre è ancora una volta innovativa
e riformista. Ho ripetutamente detto che dalle misure necessarie ed urgenti di innalzamento di età
pensionabile, riguardanti come è ovvio i pensionanti e non i pensionati, dovrebbero essere esclusi tutti i
lavoratori manuali e che dalle risorse ricavate si dovrebbero trovare i mezzi per aumentare le pensioni ai
livelli più bassi, intollerabili in un Paese civile.
Nella Finanziaria devono essere compiute scelte di fondo che servano a contrastare il declino della nostra
economia e a rendere la nostra società più colta e più innovativa. Consideriamo un vero e proprio banco di
prova per verificare la volontà del governo che la spesa pubblica per l’istruzione e la ricerca aumenti nel
2007 e negli anni successivi non solo in termini nominali, ma anche in termini reali in sintonia con la tanto
osannata e poco o nulla praticata Agenda di Lisbona.
Riconfermiamo tutta intera la nostra contrarietà ai finanziamenti alla scuola privata, paritaria o no che sia. In
caso che siano contenuti nella Finanziaria, come abbiamo ripetutamente detto al tavolo del programma
dell’Unione e durante campagna elettorale, noi presenteremo e voteremo nostri emendamenti per eliminarli.
Non ci limitiamo però a difendere la scuola pubblica, di cui conosciamo i limiti e le carenze, come risulta
anche da un ormai nota inchiesta dell’OCSE, ma ci muoveremo per riformarne le strutture, partendo dalla
convinzione che i primi dieci anni d’istruzione devono avere contenuti di formazione generale, umanistica e
scientifica, mentre solo negli anni successivi vanno introdotti insegnamenti di carattere professionale. Per noi
la scuola non è solo una fabbrica di futuri lavoratori ma soprattutto una fucina di cittadini consapevoli, non
indottrinati e colti. Ci rivolgiamo, quindi, nuovamente agli insegnanti, le cui condizioni economiche vanno
migliorate, perché sostengano e partecipino alle iniziative della RnP.
Non ci è sembrato finora che il Governo, nonostante le messe in guardia dei ministri Mussi e Fioroni, abbia
detto una parola chiara sul futuro della spesa dell’istruzione e della ricerca nella Finanziaria. Consideriamo
istruzione e ricerca persino più rilevante per il futuro strategico del nostro Paese rispetto alla riduzione pur
necessaria del cuneo fiscale e contributivo, rivolta a contribuire ad accrescere la competitività delle nostre
imprese e a far recuperare almeno in parte la perdita del potere d’acquisto di stipendi e salari.
Istruzione e ricerca sono indispensabili per il Sud, assieme all’enorme problema della sicurezza rispetto alla
macro criminalità mafiosa e a quella micro che ne rappresenta spesso il corollario. So che nel centro sinistra
c’è chi spera ancora che la Commissione europea accetti la fiscalità di vantaggio. Tutti guardano all’Irlanda,
ma il Sud d’Italia presenta problemi assai diversi e più complessi. Istruzione, ricerca, infrastrutture e
sicurezza valgono assai di più di politiche d’incentivi che assai poco o nulla hanno funzionato, per non
parlare dei patti territoriali e dei contratti d’area. Come si può predicare lo sviluppo del Sud se ancora la
Salerno-Reggio Calabria, (altro che ponte sullo stretto!) non è stata ancora completata e sembra un cantiere
che non finirà mai, per non parlare della rete ferroviaria, dello stato delle scuole, e mi riferisco agli edifici
prima che all’efficienza dell’istruzione.
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Sul Sud, e raccolgo l’osservazione del direttore di Radio Radicale Massimo Bordin fatta sulla rivista diretta
da Emanuele Macaluso, dobbiamo cimentarci con idee davvero innovative piuttosto che con la retorica
meridionalistica.
Sul Sud dovremmo riprendere la lezione dei grandi meridionalisti a cominciare da Gaetano Salvemini.
Esiste da tempo una questione che riguarda le classi dirigenti che da tempo immemorabile sono innovative a
Roma, ma spesso conservatrici in casa propria. Noi dobbiamo fare in modo che la Rosa nel Pugno abbia
nelle prossime consultazioni elettorali al Sud idee e proposte capaci di mutare vecchi equilibri di potere ed
introdurre un reale cambiamento. Dal centro può venire un’energica sollecitazione, ma occorre che nel
territorio si animi un vero confronto democratico e la mobilitazione di energie nuove.
Il radicamento socialista al Sud non è una zavorra di cui disfarsi per far procedere più speditamente la RnP,
ma una grande risorsa da utilizzare senza la quale non avremmo neppure superato la barriera elettorale del
2% ed avremmo dovuto gareggiare con l’udeur per il posto di migliore perdente.
C’è bisogno della Rosa nel Pugno perché il riformismo nel centro sinistra è ancora timido e incerto, sotto
l’ipoteca com’è dell’estrema sinistra e in una geografia politica italiana nella quale tra monopolisti, colbertisti
e destra sociale pochi amano la vera concorrenza e preferiscono un capitalismo famigliare e assistito dallo
Stato. Eppure, dovrebbe pur dire qualche cosa che la Fiat, senza aiuti pubblici e grazie al nuovo
management, si sta riprendendo da sola da una situazione di grave crisi.
Nel centro sinistra il tasso di riformismo varia secondo il variare dei giorni della settimana e della forza delle
spinte e delle controspinte del mercato politico.
Neppure sui temi che coinvolgono i diritti civili e di libertà, quelli dell’informazione, come nel caso RAI, la
giustizia, la tutela della privacy emergono linee chiare.
Basterebbe osservare l’ultimo scandalo sulle intercettazioni telefoniche per temere l’esistenza in Italia di un
Grande Fratello che è sempre in ascolto delle tue conversazioni. E pensare che la nostra proposta per una
commissione parlamentare d’inchiesta sulle intercettazioni è ancora lettera morta.
Il fronte dei diritti civili neppure si è aperto. Sui PACS mi sembra che si sia adottata la politica del rinvio alle
calende greche e un po’ tutti alle nostre continue richieste di metterli all’ordine del giorno fanno orecchie da
mercanti e in molti ci invitano garbatamente a non introdurre un argomento che sarebbe scomodo per tutti.
Sulla RAI, nonostante si sia scelto un ottimo professionista, com’è Gianni Riotta, alla direzione del Tg1
prevale l’opacità, il metodo delle trattative sotto banco, il Festival delle ipocrisie.
Nella maggioranza tutte le componenti sono chiamate a contribuire alle decisioni politico-parlamentari,
mentre spetta ad una cabina di regia formata da DS e Margherita occuparsi del potere nelle sue svariate
forme, talvolta attraverso trattative segrete con l’opposizione o solo con alcuni suoi settori. Noi, al contrario,
siamo per la trasparenza e per il pluralismo e contro la lottizzazione e le pratiche spartitorie, a favore della
competenza e della professionalità. In Rai abbiamo difeso Vespa perché non vogliamo altri casi come quello
di Biagi o quello di Santoro.
Così deve accadere nella Pubblica Amministrazione, come nelle società ed Enti nei quali le designazioni
spettano direttamente o indirettamente al Governo.
Abbiamo considerato assai positivo che si sia arrivati ad un provvedimento di indulto come estrema ratio per
alleggerire la condizione disumana della vita nelle carceri e riteniamo un errore che non si voglia far seguire
a questa misura un provvedimento di amnistia. Nessuno, però, può pensare che attraverso questi strumenti
si possano risolvere i gravissimi problemi della nostra giustizia che è uno dei comparti malati del nostro
sistema.
Da tempo sosteniamo la separazione delle carriere tra giudice terzo e pubblico ministero, come accade in
quasi tutte le grandi democrazie. Siamo nettamente contrari ad andare in una direzione inversa a quella da
noi indicata, come auspicano coloro che vorrebbe cancellare tutte le modifiche fatte dal centro destra, senza
distinguere il grano dal loglio.
Abbiamo apprezzato il metodo del dialogo tra maggioranza e opposizione, portato avanti dal ministro
Mastella ma vorremmo vederci più chiaro negli orientamenti di fondo.
Non si può, del resto, concepire il bipolarismo come l’occasione, ad ogni cambio di maggioranza
parlamentare e di governo, per rivoluzionare interi comporti fondamentali del nostro ordinamento, cosa che
con la democrazia dell’alternanza potrebbe avvenire ad ogni legislatura.
Sicurezza e giustizia sono facce della stessa medaglia. Non siamo tra coloro che puntano ad abbassare i
diritti per accrescere la sicurezza né in Italia né in altre democrazie. Siamo stati sempre contro il modello
Guantanamo. Ogni volta che è stato messo in discussione il diritto in nome della sicurezza abbiamo
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intravisto un colpo dato alla nostra civiltà liberale. Non meno preoccupati di altri siamo stati per quanto è
accaduto in occasione del G8 a Genova. La contrarietà all’istituzione di una Commissione d’Inchiesta su
questi avvenimenti è stata espressa da alcuni di noi perché abbiamo visto nel testo presentato l’affiorare di
fatto di un quarto grado di giudizio che si sovrapporrebbe a quello della magistratura.
Su questo argomento nella RnP vi sono state posizioni differenti. Comunque, la nostra non è una posizione
avversa nel merito ma discende dall’affermazione di un principio garantista.
Su tutti questi temi del programma ho, comunque, presentato all’attenzione della RnP una mia proposta di
integrazione dei 31 punti di Fiuggi che in ogni caso continuo a considerare tutti, senza alcuna eccezione,
validi ed attuali, assieme ad una bozza per un nuovo manifesto liberalsocialista. Mi rendo ben conto quale
deve essere la portata della nostra iniziativa politica e programmatiche se vogliamo rilanciare la RnP.
La nostra capacità di contare sull’agenda del Governo non è affidata solo al nostro ministro Emma Bonino,
ma deve essere portata avanti da tutta la RnP con convinzione e determinazione in una situazione nella
quale si registra un certo sbandamento del centro sinistra, proprio alla vigilia dell’importante appuntamento
della Finanziaria.
Prodi, D’Alema e Parisi, con il contributo del nostro vice ministro degli Esteri Ugo Intini, si sono mossi bene.
Anche nel campo della politica estera, dove pure vi sono state differenze tra di noi, siamo riusciti a non avere
posizioni contrapposte. Noi abbiamo sempre sostenuto che in quella martoriata regione del mondo vi siano
due popoli che hanno ragione e che vi debbano essere due Stati e due democrazie. Non ci è sfuggito, nel
riconfermare la nostra posizione, che la continuità territoriale creatasi tra Iran, Iraq, Siria, Libano e Palestina
offre al fondamentalismo islamico la possibilità di sviluppare una catena di comando che attraverso azioni
terroristiche e interventi militari in campo aperto può realmente rimettere in discussione l’esistenza dello
Stato di Israele.
Non è, però, per noi una novità coltivare questo tipo di sensibilità, dimostrata anche con la nostra presenza
alla veglia organizzata dalla Comunità ebraica a Roma
Il Governo, dopo aver recuperato in credibilità nel campo della nostra politica estera rispetto ai fallimenti di
Berlusconi - e la missione in Libano che è una prova delle nostre capacità d’iniziativa in Europa, verso gli
Stati Uniti e nei confronti degli stessi più importanti interlocutori in Medio Oriente, a cominciare da Israele l’azione del governo si è appannata ed siamo entrati in una fase di affanno nella quale siamo costretti a
giocare in difesa.
L’esplosione della questione della Telecom è stata, a questo proposito, sintomatica. Mi è persino apparso
comprensibile l’atteggiamento di irritazione, e non saprei interpretarlo in altro modo, che il Presidente del
Consiglio ha manifestato nei confronti delle martellanti e ripetute accuse da parte dell’opposizione, mentre
era impegnato in una missione assai importante come quella in Cina. Non mi è mai venuto in mente che il
presidente Prodi potesse sottovalutare il ruolo del Parlamento.
Viviamo nel centro sinistra uno stato di nervosismo e di incertezza che si riflette nelle reazioni a caldo del
presidente del Consiglio e che nasce dalle stesse divisioni esistenti nella maggioranza e dai sospetti che si
possa ripetere il ribaltone del 1998.
Noi vogliamo dire con chiarezza che non vediamo alternative alla coalizione diretta da Prodi se non un
nuovo ricorso alle urne.
Comunque, sgombrato il campo da equivoci, leggerezze e da qualche vero e proprio errore, si rivela in tutta
la sua portata la strumentalità dell’attacco di settore dell’opposizione che vogliono mettere sotto accusa
Prodi e tentare di dare una spallata al Governo.
Il tema da discutere non era Prodi e non è Prodi, ma il futuro delle telecomunicazioni in Italia e in particolare
in Telecom. Il confronto nella maggioranza è soprattutto sulla questione del ruolo dello Stato nella
complessa questione delle reti e sull’interesse nazionale a conservare almeno una grande azienda di
telefonia mobile in mani italiane.
Certo non si può non vedere che un Paese, come l’Italia, con una diffusione record della telefonia mobile
non ci sia neppure un grande produttore nazionale in questo campo e, anzi, si rischi di avere in generale
solo aziende straniere. Tuttavia, senza volere con questo dare un giudizio negativo su tutta la storia delle
partecipazioni statali in Italia nel quale non mi ritroverei, di fronte alla sfida della globalizzazione e nel quadro
europeo il linguaggio del Governo deve essere concentrato sulle regole e sui controlli che assicurino una
reale concorrenza.
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Questo è l’aspetto fondamentale che ci fa fare un riesame molto critico nel modo in cui sono state fatte in
Italia le privatizzazioni, senza che fossero accompagnate dalle necessarie liberalizzazioni, spinti su questa
strada dall’incombere dell’enorme debito pubblico accumulato.
Questo è sicuramente un campo sul quale la Rosa nel Pugno può giocare meglio le sue carte politiche come
forza innovativa e riformista che si contrappone a tutti gli statalismi di ritorno, a tutti gli aiuti più o meno
mascherati alle imprese e che concepisce il mercato non come il far west, ma come una istituzione fondata
su trasparenza, regole e controlli scrupolosi fatti da autorità realmente indipendenti, avendo come interesse
primario da tutelare quello dei consumatori.
Spesso all’interno della Rosa nel Pugno ci siamo trovati d’accordo su questi temi senza che neppure ci sia
stata una preventiva consultazione. Ciò dimostra che l’incontro tra liberali riformatori, come sono i radicali, e
socialdemocratici, come noi siamo, nasce da affinità di fondo. Forse questo può rappresentare persino un
esempio per il cantiere, spesso fermo, del nuovo partito democratico.
Noi come RnP siamo interessati ad un processo di ristrutturazione delle forze del centro sinistra che dia
maggiore peso e maggiore autorevolezza ai riformisti e, quindi, vogliamo partecipare al confronto per la
costruzione di un nuovo partito democratico. Tuttavia, ci sembra che in questa direzione si stia facendo
dell’Ulivo una sorta di camera di compensazione degli interessi dei DS e di quelli della Margherita e nella
sua costruzione vi sia una pesante sottovalutazione del tema della laicità.
Se non vi sarà un colpo d’ala, tutta il partito democratico si risolverà in un patto di potere tra nomenclature di
partito, configurando quello che Ugo Intini ha definito un compromesso storico bonsai.
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Bisogna chiedersi perché di fronte a tante convergenze politiche e programmatiche che sono avvenute, la
Rosa nel Pugno non sia decollata. come avremmo voluto. Io non voglio aggirare questo problema che
considero assai importante e che dovremo affrontare e risolvere positivamente.
Il nostro ruolo politico, come Rosa nel Pugno, non è stato quello che speravamo non solo perché abbiamo
avuto polemiche da spogliatoio, ma anche perché, una volta in campo, non abbiamo rispettato i ruoli di
ciascuno e abbiamo puntato a segnare i goal come se fossimo due squadre diverse che giocano contro un
comune avversario.
Ciò che manca, come è evidente, è un partito.
Noi abbiamo avanzato la proposta di costruire un partito federale, come premessa per arrivare a un partito
unico. Abbiamo affrontato questa questione con la necessaria gradualità, perché ci siamo resi ben conto che
diversa è l’organizzazione dei socialisti da quella dei radicali. Noi siamo un partito, come SDI, radicato in tutti
il territorio nazionale con circa 70 mila iscritti. I radicali generalmente hanno presenze attive e creative, ma
non permanentemente organizzate, ed hanno un numero di aderenti poco superiore al migliaio. E’ del tutto
evidente che in un partito di tipo tradizionale si verificherebbe una netta prevalenza numerica dei socialisti
che vanificherebbe tutto il processo di costruzione della RnP.
Noi abbiamo avanzato, invece, una proposta fortemente innovativa che fa delle elettrici e degli elettori della
Rosa nel Pugno, attraverso referendum e primarie, i veri arbitri del nuovo partito federale. Ci siamo
preoccupati, come era giusto, di introdurre clausole tali da impedire ad ogni livello che una decisione
potesse essere assunta solo da una o dall’altra componente. La nostra idea non è solo quella di mettere
insieme socialisti e radicali, ma anche di suscitare il contributo di nuove energie, come nel caso di coloro che
hanno animato le iniziative promosse da Lanfranco Turci.
Questa nostra proposta non solo non è intangibile, una sorta di “prendere o lasciare”, ma è aperta a
profonde modifiche, Si presenta in ogni caso come un’ipotesi da vagliare e come un contributo alla
discussione.
Ciò che ci pare impossibile è andare avanti senza regole, necessarie a qualsiasi comunità o associazione,
concependo il nuovo partito federato come una struttura piramidale nella quale dal vertice vengano calate
tutte le decisioni alla base. Noi sposiamo il principio della sussidiarietà secondo cui è sempre meglio, se è
possibile, che le decisioni siano assunte da coloro che sono i più vicini, i più coinvolti e i più interessati ai
problemi da risolvere.
Non è, quindi, possibile che noi dal vertice stabiliamo che cosa si deve fare da Roma fino nell’ultimo
comune d’Italia.
Si scelga qualsiasi modello, ma a condizione che sia democratico. Si può arrivare ad uno statuto della nuova
forza federale per vie e modi diversi e con un’ampia partecipazione, ma alla fine è necessario che siano tutti
a decidere.
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Noi dovremo affrontare nel prossimo anno la consultazione elettorale che coinvolgerà 12 milioni di cittadini.
Non mi sembra possibile che si possa andare a questo importante appuntamento in ordine sparso, con una
Rosa nel Pugno che si presenti in una parte dei Comuni chiamati a votare, mentre in un’altra ci sia una lista
dello SDI o dei Radicali.
In questo modo non renderemmo flessibile il nostro progetto, ma ne anticiperemo attraverso le urne prima la
disgregazione e poi il fallimento.
Non dobbiamo vivere la questione delle assemblee elettive e dei governi locali come una sorta di peso,
qualche cosa di cui non curarsi o peggio un ostacolo nello sviluppo del nostro progetto. Non si può guardare
alle istituzione nel territorio come un qualche cosa che sarebbe completamente avvolto da ristretti interessi
di nomenclature di partito, dal fiorire del clientelismo e del familismo amorale, se non peggio come
concentrati di corruzione e di malgoverno. Senza il pieno dispiegarsi della vita democratica a livello locale
noi ci troveremmo di fronte ad uno Stato fortemente centralizzato, lontano dalle esigenze dei cittadini e
venato da un forte paternalismo autoritario. Sono le dittature a temere la diffusione del potere nel territorio,
mentre le democrazie ne favoriscono la distribuzione.
L’Italia è del resto il paese dei mille campanili e il comune è l’istituzione sentita spesso come la più amica
verso i cittadini, al contrario di quanto succede frequentemente con lo Stato avvertito invece come lontano
ed estraneo. Del resto, non potremo spiegarci come siano soprattutto i sindaci a godere di maggiore
popolarità rispetto ai governanti nazionali.
Dobbiamo trovare un punto di convergenza su questa questione cruciale, pur avendo la consapevolezza che
non sarà facile.
Non è piaciuto neanche a me, e l’ho detto più volte, che nella nostra periferia non si sia valorizzato, almeno
dove e quando era possibile, la presenza radicale.
E’ stato un errore ipotizzare che noi dal centro riuscissimo ad imporre soluzioni equilibrate. Non esiste ed è
giusto che non esista una stanza dei bottoni nelle quale si possano decidere dal centro tutte le scelte locali,
le nostre rappresentanze nelle assemblee elettive e nelle giunte e la ripartizione di qualsiasi incarico. Non
credo che a questa situazione di squilibrio tra radicali e socialisti a livello locale possa essere trovato rimedio
dall’alto. Solo se affidiamo le scelte a organismi locali della Rosa nel Pugno, nei quali non possano essere
assunte decisioni dai socialisti senza i radicali, o dai radicali senza i socialisti, potremo avere una situazione
di rappresentanza equilibrata. Non vedo altra via per risolvere un problema che è reale, che ho
assolutamente chiaro e che dobbiamo risolvere assieme.
Come avete visto, ho cercato di parlare con assoluta chiarezza, senza evitare i punti di dissenso che ci sono
e che sono notevoli, come si evince dall’ipotesi che hanno offerta al dibattito i socialisti e da quella che
hanno presentato i radicali.
Su un punto voglio essere, però, ancora più chiaro. Qualunque sia il modello, qualunque sia lo statuto e
quali che siano le regole è assolutamente evidente che non è possibile neppure concepire, come ha detto il
capogruppo della RnP alla Camera Roberto Villetti, un nuovo partito che abbia un simbolo in affitto.
Lo può avere eccezionalmente un cartello elettorale ma non un partito. Il simbolo della Rosa nel Pugno
deve essere di proprietà della Rosa nel Pugno.
Appare una tautologia, ma oggi per noi invece è un problema da affrontare e da risolvere.
Io non penso che nella direzione di oggi potremmo dare una risposta definitiva a tutti i nostri problemi.
Tuttavia sia sul piano politico, sia su quello programmatico sia su quello della costruzione di una nuova forza
politica ho espresso la mia opinione. Sono assolutamente disponibile a modificare le mie idee e a trovare
una soluzione valida per tutti. La Rosa nel Pugno è un progetto nel quale credo e nel quale mi sono
personalmente impegnato assieme al mio partito. Considererei un fatto profondamente negativo che
disperdessimo in tanti rivoli la nostra unità che invece può al meglio valorizzare la tradizione socialista e
quella radicale. E’ un compito difficile quello che ci attende, ma non è impossibile. Raccogliendo le tante
attese e le tante speranze che abbiamo suscitato, riusciremo a svolgere un ruolo politico di grandissima
rilevanza. Tutto è nelle nostre mani.
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Sintesi dall’ intervento di R. Biscardini
1. Rimango convinto che si siano ancora tutte le condizioni politiche per rilancio dell’iniziativa del progetto
della Rosa nel Pugno e per superare le difficoltà che abbiamo affrontato in questi mesi.
Partiamo dalla situazione politica generale. L’esigenza di una forte ristrutturazione di una sinistra italiana è
resa ancora più evidente dall’incertezza dell’attività di governo. Le contraddizioni tra cultura di governo e
sinistra massimalista e conservatrice sono la causa di questa incertezza. La crisi e le difficoltà che
incontrano Margherita e Ds nel dar vita al partito Democratico, i rapporti sempre più difficili tra Prodi e i partiti
che con lui avrebbero dovuto realizzare il partito democratico. Il bisogno di una sinistra laica, liberale e
socialista che non è rappresentata se non dalla Rosa nel Pugno e persino l’assenza di una politica socialista
nel Paese dimostrano come il progetto la RnP non è per nulla esaurito. E dimostrano come con buona
volontà, senso di responsabilità e capacità politica potremmo esercitare, come RnP ed in particolar modo in
questo momento, un’influenza nella politica italiana molto maggiore di quanto non lo stiamo facendo oggi.
Possiamo farlo a condizione di aprire una fase di nuove battaglie riformatrici, qualificandoci su questo
terreno sull’iniziativa politica, partendo da i 31 punti di Fiuggi, ma anche integrandoli e correggendoli.
Individuando le questioni oggi più dirompenti e che furono alla base della nostra iniziativa elettorale. Insieme
alle battaglie per una società più laica e più liberale ci compete il tema delle riforme sulle politiche del lavoro,
la battaglia per una scuola che oltre ad essere pubblica deve essere di qualità, dalle scuole dell’obbligo alle
università come precondizioni per garantire all’Italia di stare in un sistema di competitività internazionale
rivalutando il tema dell’istruzione e della valutazione tecnica.
Infine i temi della democrazia, che è particolarmente in crisi a partire di quella rappresentativa e nelle
istituzioni, negli enti locali, nella pubblica amministrazione, che conosce distorsioni tutte figlie della
degenerazione introdotta con l’elezione diretta dei sindaci che alla faccia della sussidiarietà si candidano a
fare tutto, compresa la politica estera invocata dal sindaco Moratti. Ma anche degenerazioni figlie delle leggi
Bassanini, che hanno esasperato lo strapotere e la dispersione di denaro dei grandi comuni a fronte delle
difficoltà politiche e finanziarie dei più piccoli.
2. Dobbiamo superare questa fase di stallo in tempi brevi per evitare che si allontanino chi è venuto anche di
recente e si blocchino sulla porta molti di coloro che nonostante i risultati elettorali stavano aderendo al
progetto politico che avevamo avviato. Si supera la fase di stallo affrontando le difficoltà, non
accontentandoci di come siamo. Ben consapevoli che avanti di questo passo rischiamo l’isolamento,
rischiamo di essere marginali nei confronti della politica e dell’opinione pubblica sia a livello nazionale che
locale. E non riusciamo neppure a capitalizzare nei confronti delle altre forze politiche della coalizione il fatto
di essere stati assolutamente determinanti per il successo elettorale del centrosinistra.
3. Oggi stiamo affrontando, e dico finalmente, due questioni politiche che ben sapevamo, fin dalla nascita
della RnP, essere quelle più difficili da affrontare.
Primo. Come far nascere il partito della Rosa nel Pugno, come mettere insieme due forze tra loro molto
diverse e come passare dalla novità politica della RnP ad un partito nuovo. Un partito retto da regole
democratiche interne forti, che riconosca il valore della partecipazione dal basso, un partito entro cui
incanalare nuove energie (non solo lo Sdi e il partito radicale), un partito in grado di coinvolgere nuovi
cittadini e, come direbbe Zapatero, un partito che fonda la sua forza sui cittadini partecipanti. Quindi non solo
un nuovo partito, ma un partito nuovo e per certi versi proprio diverso da quella raffigurato da Marco
Pannella nell’immagine di un partito da un forte centro irradiante e una bassa partecipazione a livello locale.
La Rosa nel Pugno non può essere né un partito radicale un po’ più grande né uno Sdi con i Radicali dentro.
Ma soprattutto se prevale la logica del centro irradiante, cioè se tutto arriva dal centro, nessuno, e
soprattutto i nuovi aderenti, potranno vivere come proprio questo nuovo progetto. Anzi, è proprio da queste
considerazioni che abbiamo di fronte il nuovo problema.
Secondo. Come radicare e come far crescere, non solo irradiando, la Rosa nel Pugno a livello locale. E
come costruire una presenza generalizzata della Rosa nel Pugno in tutte le realtà locali, nelle
amministrazioni locali, attraverso la presentazione delle liste alle elezioni comunali e provinciali. Oggi la
Rosa nel Pugno è ancora un soggetto politico sostanzialmente nazionale e non esiste alcun partito che non
senta il dovere di esprimersi anche a livello locale.
Per una ragione semplice: il governo delle istituzioni locali è una grande questione politica nazionale che non
può essere derubricata dall’impegno politico di qualunque partito. Interessarsi di sanità, di servizi, di qualità
urbana, di infrastrutture non è meno nobile e meno interessante delle cosiddette questioni nazionali. Anche
perché sono per definizioni e questioni nazionali in sé, anche se affrontate a livello locale.
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In questa ottica i nostri amministratori locali (quelli della Rosa nel Pugno e non solo quelli dello Sdi) non
sono e non devono essere i nostri replicanti. Devono vivere di autonomia propria, naturalmente dentro un
progetto politico generale, ma noi dobbiamo sapere che il loro specifico approccio non è meno significativo
di altri. Anzi da loro potremmo persino imparare.
Questa è la tradizione del riformismo municipale, del riformismo socialista, che pur minoritaria, ha vissuto
momenti straordinari, conducendo battaglie di assoluta rilevanza nazionale. A partire dalle battaglie per la
legalità centro il centralismo dello Stato centrale. Questo è il salto di qualità che dobbiamo fare e che i
compagni dello Sdi hanno proposto all’attenzione di questa direzione per aprire tra noi una discussione
franca e costruttiva.
4. Diamo seguito ad esperienze della Rosa nel Pugno, che ha bisogno di una direzione strategica unitaria.
Avviamo il processo per costruire più in fretta possibile un partito nuovo in cui tutti i nostri iscritti o
simpatizzanti o elettori possano identificarsi o dire la loro. Non ci sono soluzioni preconfezionate, discutiamo
con senso di responsabilità.
Radichiamo la Rosa nel Pugno a livello locale, cercando di evitare che alle elezioni nazionali ci si presenti
con il simbolo della Rosa nel Pugno e a livello locale con un altro simbolo o quello dello Sdi.
E ancora, non si può far nascere un partito che non disponga a pieno titolo e democraticamente del proprio
simbolo, cerchiamo le forme perché sia preservato da tutti.
Ma soprattutto evitiamo nella nostra discussione quelle rigidità che alimentano una rottura latente piuttosto
che il coraggio di proseguire. Spetta nei prossimi giorni alla Segreteria o a gruppi di lavoro della Direzione
approfondire tutti i nodi irrisolti, tutto è politicamente affrontabile, con l’obiettivo di andare avanti. Nessuno,
nonostante punti di vista diversi, vuole rompere. Anche dal dibattito, duro ma civile e corretto, emerge che il
problema non è se andare avanti ma come andare avanti.
U. Intini: “Non si vive senza simbolo e senza amministratori locali”
"Ogni partito per vivere ha bisogno di tre elementi: un simbolo, un'organo centrale che amministri il simbolo a
livello centrale, e organi locali che lo amministrino a livello locale". Alla Rosa nel Pugno secondo il socialista,
Ugo Intini, intervenuto durante i lavori della direzione nazionale, "mancano due elementi su tre, troppi". La
situazione, secondo Intini, fa venire alla mente quanto accaduto nel 1919: "Lenin allora accusava i socialisti
italiani di rinunciare alla rivoluzione per difendere sindaci e amministratori locali; oggi all'amico Pannella dico
che siamo pronti a rinunciare anche a lui se ci chiedesse di rinunciare ai nostri sindaci e ai nostri
amministratori locali"
R. Villetti: ”Senza fiducia reciproca si va a fondo!”
"Temo davvero che il nostro progetto stia andando a fondo". Si rivolge così il capogruppo della Rosa nel
Pugno Roberto Villetti, alla platea della direzione nazionale della Rosa per spiegare i toni 'duri, franchi' del
suo intervento. Elenca quello che manca attualmente al soggetto radical-socialista: una struttura
democratica, un leader unico, una maggioranza, una platea "qualunque essa sia, che voti e decida".
Ma secondo Villetti manca anche fiducia reciproca tra la componente radicale e quella socialista: "Ieri Marco
Pannella - ricorda Villetti - ha detto che non cederà sul simbolo perché vuole che resti in mani sicure. E
perché le nostre non lo sarebbero? Se noi dicessimo ai radicali che sono volubili perché si sono infatuati
anche di Berlusconi, loro cosa risponderebbero? Se facciamo questi discorsi chiudiamo fra un'ora, non fra
tre mesi".
G. Mancini: “Regole chiare a Roma e in periferia”
"E' urgente dotare la Rosa nel Pugno di regole chiare che valgano a Roma e in periferia, iniziando dal
simbolo che deve diventare patrimonio comune di entrambe le componenti e non piu' proprietà soltanto di
una". Lo ha detto Giacomo Mancini, deputato della Rosa nel Pugno, durante la direzione della RnP. "Su
questo punto Enrico Boselli - ha aggiunto - ha presentato una proposta seria ed equilibrata che consente ai
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socialisti e ai radicali di partecipare insieme e in modo paritario alla costruzione del nuovo soggetto liberalsocialista"
L. Turci: “O passo avanti o crisi definitiva”
"O nel giro di 2-3 mesi facciamo un passo avanti oppure andiamo verso una crisi definitiva, l'estinzione del
progetto". La situazione 'critica' a cui è giunta la Rosa nel Pugno secondo Lanfranco Turci, intervenuto
durante i lavori della Direzione nazionale del soggetto radical-socialista, "non puo' durare a lungo". La prima
stoccata polemica Turci la riserva al segretario dei Radicali Daniele Capezzone: "Non condivido la divisione
che faceva ieri fra volare alto e volare basso. Abbiamo dei problemi interni che non possono essere nascosti
né con l'afflato politico né con le sue dieci dichiarazioni al giorno".
Poi è la volta di Marco Pannella: "Le sue proposte non sono la risposta giusta. Bisogna invece - dice Turci andare subito ad un nuovo vero partito, con tessere, regole precise, democrazia interna". "In questa
situazione - conclude Turci - che ereditiamo da Fiuggi, quando si è proceduto ad un'accelerazione senza
risolvere prima i nodi politici, l'Associazione per la Rosa nel Pugno è uno dei pochi fattori di novità che sta
dando un po' di fiducia ai nostri elettori".
Nulla di fatto alla Direzione. Replica di E. Borselli
"Usciamo nelle stesse condizioni come eravamo entrati". Con queste parole e l'augurio che la Rosa nel
Pugno trovi il modo per andare avanti, dopo due giorni di dibattito, Boselli ha chiuso l'intervento di replica alla
direzione nazionale all'Hotel Palatino di Roma.
Prima di Boselli, Pannella aveva replicato con una serie di No alle proposte avanzate dai socialisti. Su
simbolo, regole e partecipazione alle amministrative, non sono stati compiuti passi avanti.
Nel suo intervento conclusivo, il segretario dello Sdi aveva rapidamente ripercorso le tappe che avevano
portato a scartare l'idea che si potesse dare vita in tempi brevi ad un partito unico e alla proposta di un patto
federativo. In questo quadro era stata inserita la richiesta di un impegno a cedere al futuro partito il simbolo
della Rosa nel Pugno come di scrivere le regole per far funzionare la federazione, per determinare strutture
e poteri, e infine per ampliare e precisare i 31 punti programmatici di Fiuggi. Il segretario dello Sdi ha anche
speso qualche parola per ribadire l'insufficienza della proposta radicale di istituire, come forma di
democrazia interna, i "club" al posto delle sezioni tradizionali. "Questi club - ha sottolineato, come già prima
di lui avevano fatto anche Andrea Parini e Roberto Villetti - non avrebbero nessun potere. Avrebbero
insomma solo la possibilità di 'tifare' in occasione dei congressi".
Un passaggio dell'intervento del segretario dello Sdi, è stato dedicato poi al 'caso' di Napoli, esempio citato
in alcuni interventi radicali per segnalare i problemi nati in occasione della amministrative. Boselli ha
spiegato che la scelta dei compagni di Napoli, “una grande città e non un comune come Afragola”, altro caso
citato negli interventi, è stata dovuta al fatto che la candidatura alternativa a Sindaco di Rossi Doria, preferita
dai radicali, era esterna alla coalizione di centrosinistra. Infine Boselli è tornato sulla possibilità di andare in
tempi brevi a una soluzione definitiva. “Non credo che ci siano le condizioni perché nel giro di un mese o due
lo Sdi possa sciogliersi in un nuovo partito, né che possano farlo i radicali” ha sottolineato, auspicando
nuovamente dunque la scelta del percorso intermedio della federazione e la ripresa dell’iniziativa politica
della Rosa nel Pugno.
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Direzione Nazionale della Rosa nel Pugno.