Testi letti e commentati durante le lezioni dell’anno accademico 2006-2007 “E’ rappresentata l’Europa da un’originale fusione della tradizione culturale romana con la tradizione culturale dei popoli germanici avvenuta nel crogiolo del cristianesimo”. Cavanna Calasso con riferimento all’alto Medioevo tutto (secc. V-XI) lo chiama età delle origini per alludere appunto al crogiuolo nel quale forze contrastanti s’incontrarono e arsero alla stessa fiamma. “La legge in generale è la ragione umana in quanto essa governa tutti i popoli della terra; le leggi politiche e civili di ciascuna nazione non devono essere che i casi particolari ai quali si applica questa ragione umana. Esse devono essere talmente proprie al popolo per il quale sono fatte, che è un puro caso che quelle di una nazione possano convenire ad un’altra. Occorre che esse si rapportino alla natura ed al principio del governo che è stabilito, o che si vuole istituire. Esse devono essere relative al phisique del paese, al clima ghiacciato, torrido o temperato, alla qualità del terreno, alla sua collocazione e grandezza; al genere di vita del popolo, lavoratori, cacciatori o pastori; esse devono rapportarsi al grado di libertà che la costituzione può tollerare, alla religione dei suoi abitanti, alle loro inclinazioni, alla loro ricchezza, al loro numero, al loro commercio, ai loro costumi, alle loro maniere. Inoltre esse sono in rapporto tra di loro, ne hanno con la loro origine, con lo scopo del legislatore, con l’ ordine delle cose sulle quali esse sono costituite. E’ sotto tutti questi riguardi che occorre considerarle”. Montesquieu, Esprit, Libro I, capitolo III Delle leggi positive. “Interpellati quindi li detti futuri sposi a quale regime essi volevano attenersi, spontaneamente e come meglio hanno dichiarato e dichiarano di volersi unire in matrimonio sotto la previsione del regime dotale, esclusa ogni comunione di dote” (contratto di matrimonio, 1807) “ ‘Te imperatorem pater fecit, Deus confirmavit’ (Ambrogio, De obitu Theodosii, sull’origine divina del potere pubblico) […] Egli [il principe] non è depositario delle leggi divine, ma soltanto esecutore; tanto meno ne è l’interprete privilegiato. L’imperatore è nella Chiesa, soggetto anch’egli all’autorità spirituale dei vescovi. […] Di fronte all’impero del suo tempo Ambrogio continua la tradizione cristiana, che intende non abbattere lo stato, ma farlo diventare cristiano. Egli cerca la collaborazione con l’impero, opponendosi però alle ricorrenti tentazioni cesaropapiste degli imperatori, pronti a cogliere ogni occasione di intervento in questioni e momenti della vita ecclesiale. […] Ma in realtà l’imperatore non è più il sovrano unico, titolare di tutti i poteri compreso quello religioso; accanto all’impero sta la Chiesa, alla quale il principe stesso appartiene, che rivendica ed esercita un potere esclusivo in materia di religione e di disciplina, pronta a difendere una dottrina e una legge che le sono state affidate da Dio. […] La penitenza imposta a Teodosio è un fatto fondamentale nella storia della civiltà occidentale; esso conferma l’indipendenza della Chiesa e la competenza del potere spirituale a giudicare qualsiasi atto del potere temporale che tocchi la fede o la disciplina. Si afferma allora anche il principio, che la competenza di giudicare il sovrano spetta al vescovo della città che è residenza imperiale. Tali regole verranno più tardi applicate ai sovrani dell’Europa medievale. […] Se Ambrogio è il primo esempio di un vescovo, che richiama un imperatore al pentimento e alla riparazione pubblica delle colpe commesse nel governo dei popoli, Teodosio il Grande è il primo sovrano che riconosca di essere soggetto a leggi superiori, che egli non può non rispettare. […] D’ora innanzi ogni governante sa che, in quanto cristiano, è soggetto alla legge morale come qualsiasi altro uomo e che la Chiesa, alla quale appartiene, ha il potere e i mezzi per giudicarlo”. Vismara, Ambrogio e Teodosio: i limiti del potere (1990) “Duo quippe sunt, imperator Auguste, quibus principaliter mundus hic regitur: auctoritas sacra (sacrata) pontificum , et regalis potestas. In quibus tanto gravius est pondus sacerdotum, quanto etiam pro ipsis regibus Domino in divino reddituri sunt examine rationem”. Gelasio. Epistola ad Anastasium Imperatorem, 494 gennaio (?). “Quamvis enim membra ipsius, id est, veri regis atque pontificis, secundum partecipationem naturae magnifice utrumque in sacra generositate sumpsisse dicantur, ut simul regale genus et sacerdotale subsistant: attamen Christus memor fragilitatis humanae, quod quorum saluti congrueret dispensatione magnifica temperans, sic actionibus propriis dignitatibusque distinctis officia potestais utriusque discrevit, suos volens medicinali humilitate salvari, non humana superbia rursus intercipi; ut et Christiani imperatores pro aeterna vita pontificibus indigerent, et pontifices pro temporalium cursu rerum imperialibus dispositionibus uterentur, quatenus spiritualis actio a carnalibus distaret incursibus; et ideo militans Deo, minime se negotiis saecularibus implicaret; ac vicissim non ille rebus divinis praesidere videretur, qui esset negotiis seacularibus implicatus, ut et modestia utriusque ordinis curaretur, ne extoleretur utroque suffultus, et competens qualitatibus actionum specialiter professio aptaretur”. Gelasio, De anathematis vinculo. Liberio ha arricchito “le orde innumerevoli dei Goti con una concessione generosa di terre e i Romani non se ne sono quasi accorti” (Ennodio). Cassiodoro assicura che “attraverso la divisione delle terre i cuori dei proprietari si sono uniti, l’amicizia del popolo si è accresciuta con quello che ha perduto, e a prezzo di parte delle terre si è acquistato un difensore” (Cassiodoro, Variae). 1 “Sic quoque Hesperium regnum Romanique populi principatus […] cum hoc Augustolo periit”. Giordane, post 551 “Così quel venerabile impero che da Roma si estendeva su tutto il mondo, quella augustale dignità che aveva avuto il suo inizio con Ottaviano finisce con questo Augustolo, a 1209 anni dalla fondazione di Roma, a 517 dal primo principato di Cesare, a 475 dalla nascita di Cristo”. P. Diacono, Historia Romana, trad. Bartolini, p. 217. “Cum Deo iuvante sciamus Gothos vobiscum habitare permixtos, ne qua inter consortes, ut assolet, indisciplinatio nasceretur, necessarium duximus illum sublimem virum […] ad vos comitem destinare, qui secundum edicta nostra inter duos Gothos litem debeat amputare, si quod etiam inter Gothum et Romanum natum fuerit fortasse negotium, adhibito sibi prudente Romano certamen possit aequabili ratione discingere. Inter duos Romanos Romani audiant quos per provincias dirigimus cognitores, ut unicuique sua iura serventur et sub diversitate iudicum una iustitia complectatur universos”. Cassiodoro, Variae, VII, 3. “[…] Sufficiunt ergo vobis iura, si non desit voluntas eximia. […] Studete cuncti actibus bonis et formidanda nescitis. Nolite inardescere ad praesumptiones illicitas: amate vivere quieti: transigite sempre innoxii. Quid litibus onesta confunditis? Cur facitis quas mox timere possitis? Si quaeritis lucra, vitate potius damnosa litigia. Si quod tamen emerserit civile certamen, legibus patriis estote contenti: nullus ad seditiosa consurgat, nullus ad violenta confugiat”. Cassiodoro, Variae, XI, 8 “Vivat noster exercitus civiliter cum Romanis: prosit eis destinata defensio nec aliquid illos a nostris sinatis pati, quos ab hostili nitimur oppressione liberari”. Cassiodoro, Variae, III. 38 “Vos enim estis regnorum omnium pulcherrimum decus, vos totius orbis salutare praesidium quos ceteri dominantes iure suspiciunt, quia in vobis singulare aliquid inesse cognoscunt, non maxìme, qui divino aequalibiliter imperare possìmus. Regnum nostrum imitatio vestra est, forma boni propositi, unici exemplar imperii: qui quantum vos sequimur, tantum gentes alias antéimus”. Cassiodoro, Variae, 1, 1 “Hanc districtiones nostre cartulam […] scrivendo dictavimus et manibus nostris subscripsimus, ut perpetuis temporibus stavilutum persistere debeat”. Charta lucchese, 685 "Si quis homini libero violentiam iniuste fecerit, id est walapaus, 80 solidos ei componat: walapaus est qui furtivum vestimentum aliud induerit, aut sibi caput latrocinandi animo aut faciem tranfiguraverit". Rotari, 31 “Si quis super feram ab alio plagatam, aut in tagliola tentam aut a canibus circumdatam, iter suum postponens, volens eam lucrari, super ipsam se miserit, et ab ipsa plagatus aut occisus fuerit, non requiratur ab eo qui plagavit aut incitavit, sed suae culpae et audaciae reputet, qui cum auctoritate sua lucrandi animo se super eam misit”. Rotari, 32. “Si quis alium plagaverit in capite, ut ossa rumpantur, pro uno osso componat solidos 12; si duo fuerint, componat solidos 24; si tria fuerint, componat solidos 36; si super fuerint, non numerentur; sic tamen, ut unum os inveniatur, quod ad pedes duodecim super viam sonum in scuto facere possit, et ipsa mensura de certo pede hominis mediocris mensuretur, nam non ad manum”. Rotari, 47. “Si quis casam alienam asto animo, quod est volontarie, incenderit, in triplum eam, quod est sibi terciam, sub estimatione precii cum omni quicquid intus crematum fuerit, quod vicini bone fidei homines appreciaverint, restauret. Et si aliqua de intrinsecus domus orta fuerit intentio, tunc ille qui dampnum pertulit iuratus dicat, quantum in eadem casa perdidit: omnia, ut dictum est, in triplum ei restituantur ab illo, qui volontarie hoc malum perpetravit”. Rotari, 146. “Si quis focum foras super novem pedes a focolari portaverit, et damnum ex ipso foco sibi aut alteri factum fuerit, ipse qui portavit dampnum componat ferquidem id est simile, ideo quia nolens fecit; et intra ipsos novem pedes, quod est de focolari, damnum facere sibi aut alteri contigerit, non ei requiratur”. Rotari, 147. “Si quis focum foris in itineri fecerit, antequam egrediatur, extinguat eum et non neglegenter dimittat. Nam si contigerit, post egressum ipsius alicui ex ipso foco damnum aut lesionem fieri, ipse qui focum fecit et neglegenter dimisit damnum sicut arbitratum fuerit, caput tantum, componat; sic tamen, ut post relictum focum, qua hora eum reliquerit, usque ad talem aliam horam diei aut noctis computentur, quod sunt horae 24. Nam si contigerit, transire ipsum focum super publicam viam aut rivum, si dampnum fecerit, non ei requiratur, qui focum dimisit”. Rotari, 148. “Nulli mulieri liberae sub regni nostri ditione lege Longobardorum viventi liceat in suae potestatis arbitrio, id est silpmundia, vivere, nisi semper sub potestate virorum aut curte regis debeat permanere […]”. Rotari, 204. “Si quis res suas thingare voluerit, non absconse sed ante liberos homines ipsum garethinx faciat, quatinus qui thingat et qui gisel fuerint liberi sint, ut nulla in posterum oriatur intentio”. Rotari, 172. 2 “In hoc quod dicit: “non absconse sed ante liberos homines”, queritur, si postea servus apparuerit, quid inde debeat esse? Unde lex Longobarda nichil diffinit; eundum igitur per legem Romanam generalem, ut legitur in secundo libro Institutionum que est: “Testamentum ex eo appellatur quod sit testatio mentis”, in hoc quod inferius dicit: si testis liber existimabatur, quando testamentum traderetur, et postea servus apparuerit, sic valet testamentum, velut si liber esset”. Expositio ad librum papiensem, ad Roth. 172. “Si quislibet Longobardus, ut habet casus humanae fragilitatis, egrotaverit, quamquam in lectulo reiaceat, potestatem habeat dum vivit et recte loqui potest pro anima sua iudicandi vel dispensandi de rebus suis, quomodo aut qualiter voluerit: et quod iudicaverit, stabile debeat permanere”. Liutprando, 6. “De his feminis quae velamen sanctae religionis in se suscipiunt aut quae a parentibus suis Deo voventur aut ipsae eligunt religionis habitum aut vestem monachicam induere videntur, quamquam a sacerdote consecratae non sint, sic nobis iustum paruit esse pro Dei amore, ut in ipso habitu in omnibus perseverant, nec sit excusatio malis hominibus dicendo, quod consecratae non sint, ideo, si copulantur, culpam non habeant: sed, ut supra premisimus, quae tale signum super se habent, id est velamen sanctae Dei genitricis Mariae quocumque ingenio in se suscipiunt, ut postea ad secularem vitam vel habitum transire nullatenus presumant. Quia considerare debet omnis christianus, quod, si quiscumque secularis parentem nostram secularem disponsat, cum solo anulo eam subarrat et suam facit, et si postea alteram uxorem ducit, culpabilis invenitur solidos quingentos; quanto magis debet causa Dei et sanctae Mariae amplior esse, ut, quae ipsum velamen vel habitum in se suscipiunt, in eodem perseverare!”. Liutprando, 29 (30). “Quia incerti sumus de iudicio Dei et multos audivimus per pugnam sine iustitia causam suam perdere, sed propter consuetudinem gentis nostrae Longobardorum legem ipsam vetare non possumus”. Liutprando, 118. “De scribis hoc prospeximus, ut qui cartolas scribent –sive ad legem Longobardorum, quoniam apertissima et paene omnibus manifesta est–, sive ad Romanorum, non aliter faciant, nisi quomodo ipsis legibus continetur: nam contra legem Langobardorum aut Romanorum non scribant. Quod si non sciunt, interrogent alteros ; et si non potuerint ipsas leges pleniter scire, non scribant ipsas cartulas. Et qui aliter facere presumpserit, componat widrigild suum, excepto si aliquid inter conlibertûs convenerit. Et si quiscumque de lege sua subdescendere voluerit et pacciones aut conventiones inter se fecerint, et ambae partes consenserint, istud non imputetur contra legem, quia ambae partes voluntarie faciunt ; et illi qui tales cartulas scribent, culpabiles non inveniantur esse. Nam quod ad hereditandum pertinet, per legem scribant. Et quod de cartula falsa in anteriore aedicto adfixum est, sic permaneat”. Liutprando, 91 Traduzione del testo liutprandeo “Riguardo agli scrivani stabiliamo questo, che coloro che scrivono documenti lo facciano o secondo la legge dei Longobardi, che è chiarissima e nota pressoché a tutti, o secondo [quella] dei Romani e non facciano altrimenti, ma solo come è contenuto in queste leggi; e non scrivano contro la legge dei Longobardi o dei romani. Se non sanno, chiedano ad altri e se non possono conoscere pienamente tali leggi, non scrivano i documenti. Chi osa fare diversamente, paghi come composizione il proprio guidrigildo, a meno che non ci si accordi su qualcosa tra colliberti; perché se alcuni vogliono allontanarsi dalla loro legge e fanno degli accordi o delle convenzioni tra di loro ed entrambe le parti sono d’accordo, ciò non sia considerato contro la legge, poiché entrambe le parti lo fanno volontariamente. E coloro che scrivono questi documenti non siano riconosciuti colpevoli. Invece, scrivano secondo la legge per quanto riguarda le eredità. Quanto è inserito nel precedente editto circa i documenti falsi, rimanga così”. Liutprando, 91 “Si Romanus homo mulierem Longobardam tulerit et mundium ex ea fecerit, et post eius decessum ad alium ambulaverit maritum sine voluntate heredum mariti prioris, faida et anagrip non requiratur, quia, postquam Romano marito se copulavit, et ipse ex ea mundium fecit, Romana effecta est, et filii qui de eo matrimonio nascuntur secundum legem patris Romani sint et lege patris vivant. Idem faidam et anagrip minime componere debet qui eam postea tulit, sicut nec de alia Romana ". Liutprando, 126 (127) “De inlicita coniunctione, qui nec unde canones aut edictus habet, esse non possunt copulatûs, placuit idem principi, ut a presente separentur; et quis intra presentem indictionem causam istam de nostris iudices neglexerit ad iudicandum aut distringendum, conponat widrigild suum; quia de causa ista apparet nobis et omnibus: qui talia consentiunt, contra Deum et animam suam faciunt, et malitia amplius crescit”. Astolfo, 8. “Ecce corpus dominicum quod sumpturus ero in experimentum mihi hodie fiat innocentiae meae, ut me hodie absolvat si innocens, vel condemnet subitanea mors si reus”. Gregorio VII a Canossa. Un capitolare del 786 incarica i missi dominici affinché nei singoli luoghi “per singulos inquirant qualem legem habeant ex nomine”. 3 “Nam plerunque contingit ut simul eant aut sedeant quinque homines et nullus eorum communem legem cum altero habeat exterius in rebus transitoriis, cum interius in rebus perhennibus una Christi lege teneantur”. Rivolgendosi all’ imperatore lo sollecita ad instaurare un sistema in cui “sub uno piissimo rege una omnes regerentur lege”. Agobardo a Ludovico il Pio, 817. La lex romana è intesa come “omnium humanarum legum mater” (Benedetto Levita, metà sec. IX). Le leggi romane sono configurate come “Venerandae leges romanae” (Nicolò I ai Bulgari, 866), valide “in orbe terrarum” (Cartolario di Cluny, 903). “Auctoritas valet ecclesiastica et lex praecepit romana ut […]”. (Gaeta, 1028). “Horum igitur alterum concedi necesse est: aut unum esse ius, cum unum sit imperium, aut si multa diversaque iura sunt, multa superesse regna”. Quaestiones de iuris subtilitatibus. Sub appellatione iuris communis non solum venit ius romanorum, sive leges existentes in corpore iuris civilis, sed omnes limitationes, ampliationes, declarationes quas recipit ius commune in eadem materia”. Giuseppe Maria Casaregis, IV decennio XVIII sec. “Regnum nostrum consuetudine moribusque praecipue, non iure scripto, regitur”. Filippo il Bello, 1312. “Nam sicut ius civile Romanorum dicitur ius commune omnibus civitatibus, eo quod omnes subiacebant Romano Imperio, ita etiam ius civile Florentinum, et sic earum statuta debent dici ius commune omnibus populis sibi subditis”. Mariano Socini, con riferimento allo statuto di Barga. Dictatus Papae di Gregorio VII. “-I. Quod romana Ecclesia a solo Domino sit fundata. -II. Quod solus Romanus pontifex iure dicatur universalis. -III. Quod ille solus possit deponere episcopos vel reconciliare. -IV. Quod legatus eius omnibus episcopis presit in concilio etiam inferioris gradus et adversus eos sententiam depositionis possit dare. -V. Quod absentes papa possit deponere. -VI. Quod cum excommunicatis ab illo inter cetera nec in eadem domo debemus manere. -VII. Quod illi soli licet pro temporis necessitate novas leges condere, novas plebes congregare, de canonica abbatiam facere et e contra, divitem episcopatum dividere et inopes congregare. -VIII. Quod solus possit uti imperialibus insigniis. -IX: Quod solius papae pedes omnes principes deosculentur. -X. Quod illius solius nomen in ecclesiis recitetur. -XI. Quod hoc unicum est nomen in mundo. -XII. Quod illi liceat imperatores deponere. -XIII. Quod illi liceat de sede ad sedem necessitate cogente episcopos trasmutare. -XIV. Quod de omni ecclesia quocunque voluerit clericum valeat ordinare. -XV. Quod ab illo ordinatus alii ecclesiae presse potest, sed non militare; et quod ab aliquo episcopo non debet superiorem gradum accipere. -XVI. Quod nulla synodus absque precepto eius debet generalis vocari. -XVII. Quod nullum capitulum nullusque liber canonicus habeatur absque illius auctoritate. -XVIII. Quod sententia illius a nullo debeat retractari et ipse omnium solus retractare possit. -XIX. Quod a nemine ipse iudicari debeat. XX. Quod nullus audeat condemnare apostolicam sedem appellantem. -XXI. Quod maiores causae cuiuscunque ecclesiae ad eam referri debeant. -XXII. Quod Romana ecclesia nunquam erravit nec in perpetuum scriptura testante errabit. -XXIII. Quod Romanus pontifex, si canonice fuerit ordinatus, meritis beati Petri indubitanter efficitur sanctus testante sancto Ennodio Papiensi episcopo ei multis sanctis patribus faventibus, sicut in decretis beati Symachi pape continetur. -XXIV. Quod illius precepto et licentia subiectis liceat accusare. -XXV. Quod absque synodali conventu possit episcopos deponere et reconciliare. -XXVI. Quod catholicus non habeatur, qui non concordat Romanae ecclesiae. -XXVII. Quod a fidelitate iniquorum subiectos potest absolvere. Traduzione del, o dei Dictatus Papae di Gregorio VII - I. La Chiesa romana è stata fondata soltanto da Dio. -II. Solo il pontefice romano si dica di diritto universale. -III. Egli solo abbia il potere di deporre e reintegrare i vescovi. -IV. Durante un concilio il suo legato, anche se di grado inferiore, presieda a tutti i vescovi e possa pronunciare sentenza di deposizione contro di loro. -V. Il papa abbia il potere di deporre anche gli assenti. -VI. Con chi è stato scomunicato da lui tra l’altro non dobbiamo nemmeno rimanere nella stessa casa.. -VII. Solo a lui sia lecito, secondo le necessità del momento, istituire nuove leggi, fondare nuove pievi, trasformare in abbazia una chiesa canonicale e viceversa, smembrare un episcopato ricco ed aggregare quelli poveri. -VIII. Solo il papa possa far uso delle insegne imperiali. -IX. Al papa e solo a lui spetta che tutti i principi bacino i piedi. -X. Solo il suo nome venga proferito nelle Chiese. -XI. Il suo nome è unico in tutto il mondo. -XII. Gli sia lecito deporre gli imperatori. -XIII. Gli sia lecito, qualora la necessità lo imponga, trasferire i vescovi da una sede all’altra. -XIV. Egli abbia il potere di ordinare chierici in ogni Chiesa in qualsiasi momento lo voglia. -XV. Chi è stato ordinato dal papa può essere preposto ad altra Chiesa, ma non prestarvi servizio; costui non deve ricevere da un altro vescovo un grado superiore. -XVI. Nessuna sinodo senza indicazione del papa deve essere chiamata generale. -XVII. Nessun canone e nessun libro siano da considerarsi canonici senza la sua autorità. -XVIII A nessuno sia lecito ritrattare le sue sentenze; lui solo possa ritrattare quelle di tutti. -XIX. Nessuno lo possa sottoporre a giudizio. -XX. Nessuno osi condannare chi si appella alla sede apostolica. -XXI. Le cause di maggior importanza, di qualsiasi Chiesa, siano rimesse alla sede apostolica. -XXII La Chiesa 4 romana non ha mai errato né potrà mai errare, come testimonia la Sacra Scrittura. -XXIII. Il pontefice romano, se è stato ordinato secondo i canoni, è indubitabilmente reso santo per i meriti del beato Pietro, come testimonia il vescovo di Pavia Ennodio, seguito in ciò dal parere di molti santi Padri e come è scritto nei decreti del beato papa Simmaco. -XXIV. Per suo ordine o con il suo consenso sia lecito ai gradi inferiori presentare accuse [contro i superiori]. -XXV. Egli abbia il potere di deporre e reintegrare i vescovi anche senza riunire la sinodo. -XXVI. Non sia considerato cattolico chi non è d’accordo con la Chiesa romana. -XXVII. Il pontefice può sciogliere i sudditi dal vincolo di lealtà verso gli iniqui. 5 “La penitenza imposta a Teodosio è un fatto fondamentale nella storia della civiltà occidentale, esso conferma l’indipendenza della Chiesa e la competenza del potere spirituale a giudicare qualsiasi atto del potere temporale che tocchi la fede e la disciplina: se Ambrogio è il primo esempio di un vescovo, che richiama un imperatore al pentimento e alla riparazione pubblica delle colpe commesse nel governo dei popoli, Teodosio il Grande è il primo sovrano che riconosca di essere soggetto a leggi superiori, che egli non può non rispettare” (Vismara).