RISPARMIO, INVESTIMENTI A LUNGO TERMINE E CRESCITA SOSTENIBILE Rainer Masera e Antonella Pisano* 1. Risparmio e investimento in infrastrutture per la crescita sostenibile La ripresa dello sviluppo è necessaria per riassorbire la disoccupazione, per evitare un declino altrimenti inarrestabile dell’economia italiana, per consentire il rientro del debito pubblico. Il risparmio è fondamentale: senza il suo contributo non ci possono essere investimenti e sviluppo sostenibile di medio-lungo termine, né lo Stato è in grado di realizzare i suoi obiettivi. Occorre ritrovare le condizioni che avevano consentito il miracolo dell’economia italiana: elevati tassi di risparmio, investimenti privati e pubblici, competitività internazionale nell’ambito di un sistema di cambi fissi. Gli investimenti in infrastrutture tradizionali, innovazione e conoscenza, ricerca e sviluppo, energia, ambiente, acqua, protezione del territorio, educazione costituiscono un volano fondamentale per la crescita sostenibile: il contributo dell’investimento (pubblico e privato) in capitale fisico, umano e intangibile non è solo quello di sostenere la domanda, ma soprattutto di aumentare la produttività e, quindi, l’offerta del sistema economico e la competitività. Sia per favorire la concorrenzialità del sistema manifatturiero avanzato, sia per accompagnare il necessario passaggio alla economia dei servizi innovativi (che comprendono anche sanità, istruzione, burocrazia efficiente, giustizia, trasporti) occorrono rilevanti flussi di investimenti in infrastrutture, con cofinanziamento pubblico-privato. In senso lato, si possono definire “infrastrutture” anche i sistemi per la fornitura di servizi/beni pubblici fondamentali, che ricomprendono: la definizione e il rispetto dei diritti dei cittadini attraverso l’attività legislativa, giudiziaria, esecutiva e di ordine pubblico; il sistema educativo e universitario; il sistema sanitario e assistenziale; il sistema e le reti di difesa nazionale; i sistemi di conservazione e gestione dell’ambiente, e le reti di protezione civile; le infrastrutture del sistema finanziario; le infrastrutture sociali, ovvero il capitale privato non profit e il patrimonio artistico e culturale. Queste infrastrutture sono connesse prevalentemente a capitale umano, ma richiedono anche capitale fisico – privato e pubblico. * Le opinioni degli autori non rispecchiano necessariamente il punto di vista della Federazione. 1 In particolare, il buon funzionamento (in termini di efficacia e di efficienza) dei sistemi legislativo, esecutivo, giudiziario e di rispetto dell’ordine (the rule of law) è critico per la crescita e lo sviluppo di qualsiasi economia di mercato. Vi è, al riguardo, ampia e consolidata esperienza empirica che dimostra e quantifica la rilevanza di questi fattori. Si manifesta, segnatamente, una forte e significativa relazione inversa tra corruzione, criminalità e crescita sostenibile. 2. Infrastrutture, produttività e crescita Le infrastrutture, secondo la definizione più ampia qui prospettata, costituiscono dunque le fondamenta di un sistema socio-economico vitale, efficiente e competitivo1. Esse rappresentano la struttura fisica (ovvero il complesso di attività materiali e immateriali) e logica (ovvero il network di relazioni e connessioni tra le diverse attività) di un sistema. Le componenti infrastrutturali si caratterizzano per la capacità di collegarsi fra loro e attivare interazioni, e per la tensione a una finalità comune, ovvero a un complesso di obiettivi da perseguire congiuntamente. La relazione tra dotazione infrastrutturale di un Paese - con particolare riferimento all’accumulazione di conoscenza, tecnologia e capitale umano (il cosiddetto triangolo della conoscenza) - e competitività nel mercato globale è stata ampiamente discussa in letteratura e confermata da numerosi studi empirici: le infrastrutture contribuiscono, da un lato, a incrementare la produttività totale dei fattori; dall’altro, generano esternalità positive fondamentali per la competitività del sistema al quale appartengono. Il problema centrale nell’analisi del contributo del capitale (pubblico e privato) al prodotto e alla crescita della produttività consiste nel nesso tra investimento e creazione di capitale produttivo. La spesa in conto capitale, se opportunamente selezionata, ha un effetto durevole sul sistema economico; in particolare, se genera capitale umano e di conoscenza, può contribuire a migliorare la produttività dei fattori e il relativo tasso di crescita, con impatti permanenti e dinamici sulla frontiera efficiente della produzione. Il capitale pubblico, fisico e intangibile, si affianca pertanto a quello privato nella funzione di produzione aggregata. Le nuove teorie superano, quindi, l’approccio tradizionale “alla Solow” (1956) e sottolineano il ruolo che il capitale umano2 (privato e pubblico) svolge per spiegare non solo il livello del prodotto, ma anche – segnatamente attraverso il capitale tecnologico – il tasso di crescita della 1 Per una tassonomia delle infrastrutture, cfr. Appendice 1. 2 Sulla rilevanza del capitale umano come fattore di crescita e sui ritardi che caratterizzano l’Italia, cfr. Visco (2009, 2011). 2 produttività totale dei fattori, che diventa fondamentalmente endogeno3. Si combinano, pertanto, gli elementi di analisi della distinzione fra capitale pubblico e capitale privato con quelli degli investimenti sia in educazione e università, sia in ricerca e sviluppo e innovazione, e quindi nel capitale umano e in quello di conoscenza e tecnologia. Il modello neoclassico della funzione di produzione aggregata, secondo la formulazione proposta da Solow, fa dipendere l’output aggregato dallo stock di capitale fisico, dalla quantità di forza lavoro e dal progresso tecnico incorporato nel lavoro (ovvero l’efficienza di una unità di lavoro). Adottando questa prospettiva, lo sviluppo di un dato Paese dipende fondamentalmente dai tassi di crescita dello sviluppo tecnologico, dello stock di capitale e della forza lavoro. La principale fonte di sviluppo è, quindi, da rinvenire nell’introduzione di innovazione di prodotto e di processo, che consente continui aumenti della produzione e del prodotto per addetto. Non sono prese in considerazione le caratteristiche del sistema che scaturiscono dall’ambiente culturale, sociale, economico e istituzionale, e che pure incidono sulla produttività dei fattori; né si tiene conto delle modifiche nella struttura economica e sociale richieste dal progresso tecnico e dall’innovazione. Il progresso è esogenamente determinato e considerato sostanzialmente equivalente rispetto ai diversi sistemi economici: coerentemente con quest’approccio, quindi, tutti i Paesi dovrebbero incorporare nella propria funzione di produzione lo stesso fattore A. Il modello neoclassico non è in grado di fornire uno schema di riferimento analitico soddisfacente per spiegare il processo di crescita economica. In primo luogo, non consente di distinguere tra il capitale privato e quello pubblico nella funzione di produzione; la stessa introduzione del capitale umano postula, peraltro, investimento pubblico in educazione e università. Il ruolo delle infrastrutture fisiche “tradizionali” non viene preso in esame, mentre importanti lavori empirici4 ne hanno indicato la rilevanza. Soprattutto, il modello neoclassico è ancorato a un tasso di crescita della produttività dei fattori determinato esogenamente. Appare, viceversa, necessario modellare i fattori e i processi di crescita della produttività per renderli endogeni e meglio spiegare la complessa e diversificata esperienza empirica. Al riguardo, è fondamentale l’analisi del “triangolo della tecnologia”, ovvero del processo di accumulazione in capitale di conoscenza e di tecnologia, che si affianca, con caratteristiche distintive, al capitale umano. Gli investimenti - pubblici e privati - in innovazione, ricerca e sviluppo, produttività sono generalmente caratterizzati da economie esterne: la componente di tecnologia incorporata sia nello stock prevalentemente pubblico di capitale accumulato in ricerca di base, sia in quello 3 Cfr. Lucas (1988), Romer (1990), Mankiw et al. (1992) 4 Cfr., ad es., Aschauer (1989a) e United Nations (2009). 3 prevalentemente privato derivante da attività di R&D, ha effetti di spillover sull’intera economia e sul sistema economico globale. Nei modelli di crescita endogena sviluppati, in particolare, da Romer5 non si fa una distinzione tra investimenti pubblici e privati in innovazione, ma si ipotizza che le innovazioni siano fondamentalmente non-rivali, cosicché tutti ne possono beneficiare. Secondo l’approccio di Romer, la forza lavoro si divide tra produzione e innovazione; si ipotizza, inoltre, che la produttività dell’economia cresca non solo in funzione del numero di innovatori, ma anche dello stock di conoscenza accumulato6. Conclusioni analoghe possono essere raggiunte affrontando il problema nella prospettiva dell’attività di innovazione e di aumento della produttività e della competitività del settore privato. Se, come si è argomentato, i processi di ricerca di base e R&D, di trasferimento di tecnologie e di sbocco sul mercato sono intrinsecamente caratterizzati da esternalità, l’esclusivo affidamento al mercato implica situazioni di sottoinvestimento rispetto ai valori ottimali per l’economia. Questi fenomeni sono accentuati dal fatto che la ricerca di base e le attività più complesse di R&D sono contraddistinte da incertezza molto elevata sui ritorni economici, con connessi vincoli di finanziamento: i processi in questione possono essere meglio descritti da modelli di tipo opzione (e da distribuzioni di Pareto7 e leggi di potenza), piuttosto che da schemi tradizionali di tasso atteso di ritorno. Tutto ciò implica che i modelli di finanziamento di tipo creditizio non sono idonei a catturare il potenziale upside molto elevato di pochi progetti vincenti, rispetto all’elevatissimo tasso di mortalità. 3. Interdipendenza e interconnettività delle reti infrastrutturali L’efficienza e la funzionalità statica e dinamica delle reti infrastrutturali dipendono sempre più dalla loro interdipendenza e interconnettività, fisica, tecnologica e informatica. Oggi è, quindi, necessario assicurare interoperabilità, intermodalità e interconnessione delle infrastrutture per garantirne il carattere di reti integrate. La crescente interconnessione e complessità rendono le reti più potenti, ma anche più vulnerabili. I problemi di analisi del rischio e di stabilità sistemica diventano fondamentali per Cfr. Romer (1990, 1994). Romer correttamente identifica anche il rischio di parcellizzazione e di moltiplicazione degli addetti in centri dove i ricercatori sprecano risorse riscoprendo conoscenza già nota, senza mai raggiungere la frontiera di efficienza. Queste considerazioni appaiono particolarmente rilevanti in Europa, avendo riguardo alla situazione degli investitori in innovazione, che soffrono non solo della quota bassa di investimenti – pubblici e privati - rispetto al PIL, ma anche della frammentazione in centri di ricerca collegati al numero dei Paesi e non all’eccellenza dei laboratori e delle Università. 5 6 Per un approfondimento sul ruolo del capitale umano, della conoscenza e dell’energia sui modelli di crescita endogena, cfr. Appendice 2. 7 Cfr. Pareto (1897). 4 le moderne economie, come si è visto ad esempio con la crisi delle infrastrutture del sistema finanziario nel 2008-2009. La controparte necessaria ai sistemi infrastrutturali, definiti come sopra in modo ampio, sono le reti sociali che, non solo, li utilizzano, ma – come si è visto – ne rappresentano una componente fondamentale in termini di capitale umano e di conoscenza. I sistemi di trasporto urbano, internet, i sistemi della ricerca (università e laboratori), della sanità, della difesa, dei pagamenti e dei regolamenti monetari sono tutti insiemi complessi, che devono essere collegati in un network integrato. Ogni componente/agente/operatore/cittadino interagisce con gli altri insiemi di agenti, attiva e viene condizionato dalle infrastrutture sopra descritte e dai loro legami. L’efficienza, l’efficacia e la qualità delle reti infrastrutturali sono fondamentali per il benessere privato e sociale, sia sotto il profilo statico, sia in termini dinamici. I sistemi diventano, pertanto, sociali/tecnici/economici: le reti fisiche e virtuali interagiscono con quelle sociali, secondo modalità sempre più complesse. Le reti sociali sono caratterizzate da livelli molto elevati di clustering locale; le reti di infrastrutture, invece, hanno coefficienti di clustering relativamente bassi. L’informatica tende a superare questa dicotomia. Nell’ottica qui proposta, le infrastrutture devono essere viste come insieme di elementi strutturali che concorrono a formare un’unità organica, ancorché debbano naturalmente essere considerate anche in maniera specifica. La distinzione tra reti-hard e reti-soft non può rappresentare un paradigma. Il modello di internet è emblematico di come lo sviluppo tecnologico e l’interconnessione delle infrastrutture fisiche di rete esistenti e dei sistemi di telecomunicazione abbiano consentito la creazione di una rete informatica mondiale che permette agli utenti di differenti computer, ovvero di terminali di connessione portatili, di interagire nel www. D’altra parte, qualsiasi rete-hard è anche, in realtà, una rete fondamentale di trasmissione di dati e di servizi che si collegano alla più ampia rete informatica. La rilevanza e la pregnanza del nesso infrastruttura-hard e info-struttura sono, ad esempio, evidenti nel settore ferroviario. Gli avanzamenti informatici consentono oggi di utilizzare in maniera molto più intensiva che nel passato le reti fisiche esistenti e il materiale rotabile, che rappresentano anche infostrutture complesse: infrastrutture e reti si compenetrano, nodi e terminali ne rappresentano elementi essenziali. La funzionalità delle infrastrutture e la loro efficienza economica e sociale dipendono in maniera cruciale dalla capacità di mettere in rete i nodi e di fare networking degli insiemi di reti infrastrutturali. In questa accezione, risulta evidente il superamento della tradizionale logica monomodale, che induce a favorire la ricerca di capacità addizionale delle singole reti, piuttosto che assicurare la capacità di fornire servizi in un contesto integrato plurimodale. È questo, ad esempio, il 5 nuovo approccio al sistema di infrastrutture europeo: da un patchwork a un network per realizzare un vero mercato unico8. 4. Efficienza della spesa in infrastrutture Diversamente da quanto spesso è avvenuto nel passato, è fondamentale assicurare l’efficienza degli investimenti (redditività sociale e privata), che si declina in termini di selezione (ritorno economico e ritorno finanziario, tenuto conto del rischio9), di costruzione e gestione degli investimenti, di adeguamento delle infrastrutture esistenti come alternativa a nuova accumulazione (emblematico è il caso di adeguamento del patrimonio abitativo agli attuali standard di efficienza energetica). Occorre riconoscere e misurare la qualità, l’efficienza e l’efficacia dell’investimento per determinare la produttività marginale del processo di accumulazione. Si pone, pertanto, la questione del mapping tra accumulazione e capitale produttivo, ovvero della stima dello stock di capitale “aggiustato per l’efficienza”. 5. Il finanziamento delle infrastrutture La qualità degli investimenti è strettamente correlata alla qualità del processo di selezione, realizzazione e gestione delle infrastrutture e di erogazione dei servizi. Occorre ripensare la politica infrastrutturale in Europa e in Italia, intervenendo sulle tecniche di programmazione, di finanziamento, di gestione degli appalti e sulla regolazione dei servizi erogati tramite le stesse, affidando la gestione operativa ad autorità indipendenti, con elevate competenze tecniche e sottratte all’influenza politica, che garantiscano un controllo di qualità sui progetti, sul modello della BEI in Europa, della Infrastructure Bank americana e dell’Infrastructure Australia. In tal senso, si è espressa in Italia la Confindustria in relazione all’istituzione di un’authority nei trasporti, che limiterebbe sensibilmente l’instabilità e l’incertezza delle regole su piani di investimento e assetti gestionali degli operatori di mercato, riducendo il rischio regolatorio e quello amministrativo. Si devono evitare le non positive esperienze delle politiche della Germania post-unificazione a favore dei länder dell’est o delle politiche italiane per il Mezzogiorno, che – a fronte di considerevoli spese in infrastrutture – hanno prodotto benefici inferiori alle attese10, privilegiando gli investimenti capaci di rilanciare la produttività. Cfr. European Commission Proposal establishing the Connecting Europe Facility (CEF) (European Commission, 19 October 2011). 8 9 Per un approfondimento sul tasso di ritorno economico e finanziario dell’investimento, cfr. Appendice 3. 10 Cfr. Hummel, W. (2009). 6 La qualità degli investimenti ne determina l’efficienza e l’efficacia e ne favorisce l’attrattività da parte dei capitali privati, indispensabili alla realizzazione dell’investimento, tenuto conto anche del complesso quadro di vincoli sulle finanze pubbliche (riferimento è fatto ai vincoli di bilancio dell’amministrazione centrale, ma anche a quelli gravanti sugli enti locali). Cruciale, al riguardo, è la qualificazione della domanda (la stazione appaltante) e dell’offerta (le imprese)11. Per tradurre il risparmio in investimento è fondamentale il ruolo dell’analisi degli strumenti e degli intermediari finanziari. In chiave europea, si pone la duplice esigenza di riorientare e ampliare le risorse del bilancio europeo e di rivisitare il Fiscal Compact per consentire, entro limiti opportuni, la separazione delle spese di investimento produttivo da quelle correnti. Ciò almeno nell’arco di un triennio/quinquennio, per riportare il prodotto europeo e italiano rapidamente ai livelli precedenti la crisi e inserire la crescita in una traiettoria di sviluppo sostenibile. Il costo della non azione, al di là del brevissimo termine, supera quello di un’azione intelligente lungo le linee sopraindicate, anche per contribuire alla soluzione dei problemi ambientali. I problemi sopra menzionati sono evidentemente di particolare rilievo per l’Italia, dove è palese il rischio di perpetuare una situazione di più debito pubblico e meno accumulazione pubblica e privata, minor capitale fisico e umano, aumento della disoccupazione che erode il potenziale del capitale umano e, in particolare, dei giovani. D’altra parte, è fondamentale nel nostro Paese la questione della produttività dei nuovi investimenti infrastrutturali, con valutazione sistematica del rendimento finanziario e del rendimento economico (analisi costi-benefici attenta ai profili di rischio). Si pone, inoltre, l’esigenza di efficacia ed efficienza del processo di realizzazione, che implicano altresì la necessità di tempi certi di realizzazione: i ritardi di esecuzione e gli aggravi di costo in Italia sono nettamente superiori alla media europea. La stessa sollecitazione ad ampliare il bilancio europeo e utilizzare appieno le risorse che deriveranno dall’aumento di capitale della BEI finirebbe per favorire i Paesi concorrenti in Europa, se non si modificassero le condizioni di efficacia ed efficienza degli investimenti stessi. Particolare attenzione dovrà essere anche data all’ammodernamento intelligente delle infrastrutture esistenti, utilizzando al meglio le innovazioni tecnologiche, ovvero investimenti soft che moltiplicano l’efficienza di quelli hard. Gli intermediari finanziari italiani, che hanno sempre mantenuto un attento collegamento all’economia reale e allo sviluppo segnatamente delle PMI, dovranno peraltro essere sostenuti da idonei adattamenti nelle regole contabili, fiscali e di capitale, secondo linee già individuate, segnatamente dal Club degli Investitori a Lungo Termine in Europa. Strumenti innovativi come i bond di progetto e altre forme di securitizzazione appaiono indispensabili. 11 Cfr. Confindustria (2011). 7 6. Stime dei fabbisogni infrastrutturali: le prospettive globali, europee e italiane. La dotazione infrastrutturale deve essere quantitativamente e qualitativamente adeguata alle finalità da perseguire. A tal fine, due fattori appaiono determinanti: (i) la capacità di investimento nell’adeguamento infrastrutturale di un sistema produttivo, intendendo con esso la costruzione di nuove infrastrutture e l’ammodernamento/mantenimento delle infrastrutture esistenti; e (ii) la capacità di gestione delle infrastrutture e dei servizi erogati per il loro tramite. Gli investimenti infrastrutturali devono essere congruenti rispetto ai fabbisogni che scaturiscono dalle trasformazioni politiche, demografiche, economiche e sociali di un sistema e che evolvono tipicamente in un orizzonte di lungo periodo. Alcuni fenomeni, quali ad esempio l’incremento demografico, l’invecchiamento della popolazione, l’urbanizzazione, il cambiamento climatico e la dipendenza energetica possono esercitare rilevanti pressioni sui sistemi, imponendo urgenti e consistenti necessità di investimento (pubblico e privato) finalizzato all’accumulazione di capitale fisico, allo sviluppo di capitale umano, al progresso tecnologico e alla tutela dell’ambiente. La quantificazione del fabbisogno di investimento e del gap infrastrutturale è particolarmente complessa in relazione ai seguenti elementi di valutazione: (i) la definizione stessa di infrastrutture, che rimanda a configurazioni articolate e complesse di elementi fisici e intangibili; (ii) la difficoltà di raccolta ed elaborazione di dati omogenei e comparabili relativi alle differenti tipologie di infrastrutture; (iii) le diverse prospettive e aspirazioni di sviluppo dei sistemi socio-economici, sulle quali influiscono evidentemente gli attuali assetti politici e sociali; (iv) la necessità di considerare al contempo lo stock di capitale pubblico e privato, contraddistinti da differenti metodi di contabilizzazione. La disponibilità di dati è frammentaria e generalmente circoscritta a specifiche categorie e aggregati di infrastrutture, sia con riferimento alle statistiche internazionali, sia con riferimento a quelle nazionali: la ricomposizione dei fabbisogni si presenta, dunque, assai complessa e, comunque, sfavorita dai limiti impliciti della misurazione. I cambiamenti in atto e quelli attesi per i prossimi anni 20-30 anni prefigurano un fabbisogno di investimento pubblico e privato in infrastrutture, a livello globale, di enorme entità (complessivamente tra 57 e 67 trilioni di dollari nell’arco di tempo intercorrente tra il 2013 e il 2030, nelle sole infrastrutture di trasporto, quali strade, autostrade, aeroporti, reti energetiche, acquedotti e telecomunicazioni12). 12 Cfr. Appendice 4. 8 In Europa, la Commissione europea ha stimato un fabbisogno complessivo in infrastrutture di energia, trasporti e telecomunicazioni, tra il 2010 e il 2020, pari a 1,5-2 trilioni di euro, che si rendono necessarie per raggiungere gli obiettivi di crescita della strategia Europa 202013. La maggior parte dell’investimento richiesto sarà assorbito dal settore energetico, per il quale si stima un fabbisogno pari a 1 trilione di euro. Un’altra importante fetta, circa 500 miliardi di euro, servirà a soddisfare la domanda di trasporto in relazione al completamento della rete trans-europea. Le infrastrutture digitali richiederebbero, invece, un investimento di circa 270 miliardi di euro. Adottando la definizione più ampia di infrastrutture, è dunque ragionevole ritenere che, tra il 2010 e il 2020, si renderanno necessari, in Europa, investimenti complessivi (pubblici e privati) pari ad almeno 4 trilioni di euro. Per quanto concerne l’Italia, appaiono necessari tassi di crescita del PIL reale pari ad almeno il 2% (4% in termini nominali, considerato un tasso di inflazione del 2%). Il target, individuato da Confindustria14, è decisamente ambizioso e ben al di sopra delle stime sul PIL italiano elaborate dagli organismi internazionali, che prevedono una crescita reale media del prodotto italiano intorno all’11,5% l’anno. Un tasso di crescita del 2% consentirebbe di ottenere un PIL nominale al 2020 pari a circa 2.400 miliardi di euro. Per raggiungere i target fissati dall’Unione europea per il 2020, occorrerebbe investire almeno il 6% del PIL – 120 miliardi in media l’anno - in infrastrutture (intese nella loro accezione più ampia), che verrebbero cofinanziate dal settore pubblico e privato, ciascuno al 50%. Secondo il Rapporto annuale Agisci-Bocconi (2012), i “costi del non fare” le infrastrutture prioritarie che la collettività si troverebbe ad affrontare tra il 2012 e il 2017 ammonterebbero a circa 500 miliardi di euro, ovvero circa 100 miliardi di euro l’anno, che equivalgono pressappoco agli investimenti infrastrutturali sopra stimati. EC Communication COM(2011) 676 of October 19, 2011 and EC Staff Working Paper SEC(2011) 1239 final of October 19, 2011. 13 14 Confindustria, 2010. Italia 2015. Le imprese per la modernizzazione del Paese. 9 Bibliografia Abdih Y. and Joutz, F., 2004. Relating the Knowledge Production Function to Total Factor Productivity: An Endogenous Growth Puzzle. IMF Working Paper, WP/05/74, April. Afonso, A., and Aubyn, M.St., 2008. Macroeconomic rates of return of public and private investment crowding-in and crowding-out effects. ECB Working Paper Series, 864, February. Agénor, P.R. and Neanidis, K.C., 2010. Innovation, Public Capital, and Growth. 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Tradizionalmente, esse sono definite, in senso stretto, come l’insieme di elementi che concorrono a formare una rete integrata di attività fisse e che costituiscono una parte essenziale del capitale fisico di un Paese, tipicamente: le reti e le infrastrutture di trasporto di persone/merci/informazioni/beni, ovvero strade, ferrovie, aeroporti, porti (reti fluviali interne e reti marittime), le reti energetiche, gli acquedotti; le reti per la gestione integrata dei rifiuti; le reti di trasmissione di informazioni/dati/entertainment, fra le quali rientra, evidentemente, la rete delle reti informatiche: Internet. Questi network concorrono a formare il cosiddetto ICT capital. Ad essi si aggiungono le infrastrutture che fanno riferimento alle attività di ricerca e sviluppo, con le esternalità alle stesse intrinsecamente connesse, che ne giustificano il sostegno pubblico (knowledge spillovers e impatto del capitale di conoscenza e di tecnologia sul livello e sulla crescita del prodotto nazionale). Lo stock di investimenti effettuati nel tempo in queste aree si manifesta, in parte, in dotazione di capitale fisico, ma prevalentemente in capitale di conoscenza, di fondamentale importanza nelle moderne economie, dove la componente di produzione e di import/export immateriale assume sempre maggior peso. In senso lato, si possono definire “infrastrutture” i sistemi per la fornitura di servizi/beni pubblici fondamentali, che ricomprendono: la definizione e il rispetto dei diritti dei cittadini attraverso l’attività legislativa, giudiziaria, esecutiva e di ordine pubblico; il sistema educativo e universitario; il sistema sanitario e assistenziale; il sistema e le reti di difesa nazionale; i sistemi di conservazione e gestione dell’ambiente, e le reti di protezione civile; le infrastrutture del sistema finanziario; le infrastrutture sociali, ovvero il capitale privato non profit e il patrimonio artistico e culturale. Queste infrastrutture sono connesse prevalentemente a capitale umano, ma richiedono anche capitale fisico – privato e pubblico. In particolare, il buon funzionamento (in termini di efficacia e di efficienza) dei sistemi legislativo, esecutivo, giudiziario e di rispetto dell’ordine (the rule of law) è critico per la crescita e lo sviluppo di qualsiasi economia di mercato. Vi è, al riguardo, ampia e consolidata esperienza empirica che dimostra e quantifica la rilevanza di questi fattori. Si manifesta, segnatamente, una forte e significativa relazione inversa tra corruzione, criminalità e crescita sostenibile. 17 Appendice 2 Modelli di crescita endogena: il ruolo del capitale umano, della conoscenza e dell’energia L’approccio tradizionale della funzione di produzione Solow/Cobb-Douglas viene modificato lungo diverse direttrici. Si separa, in primo luogo, il capitale pubblico da quello privato. Il fattore lavoro è distinto in numero di addetti e indice del capitale umano per addetto, che incorpora gli investimenti in conoscenza ed educazione: [10] Yt At F ( Kt , Gt , Lt H t ) dove Yt = output aggregato reale; At = produttività globale dei fattori; Kt = stock aggregato di capitale privato; Gt = stock di capitale aggregato pubblico; Lt = offerta di lavoro; Ht = indice di capitale umano per lavoratore. La endogeneità del progresso tecnico può essere modellata con funzioni di produzione che descrivono la relazione della conoscenza con variabili collegate, in senso lato, ai processi di ricerca e sviluppo 15. Si è già sottolineato che i processi in questione sono collegati a una combinazione di investimenti privati e pubblici: la ricerca fondamentale è principalmente responsabilità del settore pubblico; la conoscenza e lo sviluppo all’interno delle imprese sono, naturalmente, di principale responsabilità del settore privato. Il mercato da solo non è, peraltro, in grado di fornire completamente la ricerca necessaria, in quanto la determinazione dei costi e dei prezzi marginale non conduce a risultati di ottimalità per l’impresa: il governo svolge utilmente la funzione di offrire idonei sussidi per produrre l’ammontare ottimale di ricerca per un sistema economico, sia per la esternalità positiva o spillover della ricerca intrapresa anche all’interno del settore privato, sia perché il mercato può non riconoscere come la ricerca corrente aumenti la produttività nel futuro. Adottando questi modelli allargati, la funzione di produzione può essere scritta come segue: [11] Yt At ( KCt , Lkt H t ) F ( K 't , G't , L't H 't ) dove Yt = output aggregato reale; KCt = capitale fisico tecnologico (pubblico e privato) del sistema economico; Lkt = forza lavoro operante nel settore di conoscenza e tecnologia; Ht = indice di capitale umano per lavoratore impiegato nel settore di conoscenza e tecnologia; K’t = capitale privato, con l’esclusione di quello tecnologico; G’t = capitale pubblico, con l’esclusione di quello tecnologico; L’t = 15 Cfr., in particolare, i lavori di Romer sopra ricordati e gli schemi delle Figg. 1 e 2. 18 forza lavoro, con l’esclusione di quella addetta al settore tecnologico; H’t = indice del capitale umano per lavoratore, con l’esclusione della componente tecnologica “non rivale”16. Secondo questo approccio, il capitale fisico e umano e la forza lavoro del “triangolo della conoscenza” influiscono direttamente sul progresso tecnico, che diventa pertanto endogeno17. Il progresso tecnico risulta, come si è indicato, strettamente collegato con il capitale di conoscenza e di tecnologia, accumulato tramite l’investimento derivante da attivi di ricerca di base e di R&D, con gli spillover ad esse connessi. A livello dell’economia mondiale, il cambiamento tecnologico è fondamentalmente endogeno e origina da scelte pubbliche e private di investimento in tecnologia. Sulla base di questi modelli allargati alla funzione di produzione, si evince la rilevanza, nelle moderne economie, dell’intreccio tra capitale pubblico e capitale privato, e tra capitale fisico, capitale umano e capitale di conoscenza e di tecnologia. Gli investimenti e lo stock accumulato di infrastrutture – definite in senso lato – rivestono, pertanto, un ruolo fondamentale per spiegare il livello e la crescita del prodotto aggregato18. Nella funzione classica di produzione, l’energia è considerata alla stregua di un prodotto intermedio e, pertanto, valutata in termini di valore aggiunto. Tuttavia, essa rappresenta un elemento cruciale del processo di produzione nella misura in cui attiva tutti gli input della produzione, che senza l’energia non sarebbero dunque in grado di lavorare (si pensi all’energia elettrica, all’energia termica, ma anche a quella meccanica). I sistemi economici dipendono tutti, in misura variabile rispetto al grado di avanzamento tecnologico, dalla disponibilità di energia, che andrebbe quindi opportunamente rivalutata nella teoria della crescita. In particolare, l’analisi della dinamica tra crescita ed energia andrebbe posta in termini di efficienza termodinamica dei processi di produzione. Occorrerebbe, cioè, valutare la capacità di sfruttamento del potenziale energetico da parte di un sistema economico, prendendo in esame il massimo livello di energia disponibile per produrre lavoro utile (l’exergia), dato uno stock di risorse, con il lavoro effettivamente ottenuto nei processi di produzione. Intuitivamente, più è efficiente il processo di conversione energetica, maggiore è il potenziale di crescita di un’economia19. L’equazione della funzione allargata di produzione può essere interpretata come forma ridotta di modelli microfondati, collegati a processi di ottimizzazione. Cfr., ad es., Bethmann (2004) e Agénor e Neanidis (2010). 16 La letteratura su questi modelli allargati, con capitale pubblico e progresso tecnico endogeno, è molto ampia. Al di là degli studi già citati, cfr. ad esempio: Griliches (1998), Abdih and Joutz (2004), Perotti (2005), Aghion and Howitt (2007), United Nations (2009), EIB (2009, 2011), Agénor e Neanidis (2010) e Arslanalp et al. (2011). 17 I modelli indicati contribuiscono a offrire una spiegazione del forte tasso di crescita conseguito dai Paesi emergenti che destinano rilevanti risorse ad accumulazione in educazione, università, ricerca e sviluppo, nonché in infrastrutture “tradizionali”, adeguatamente selezionate. 18 19 Cfr. Ayres and Warr (2005). 19 Appendice 3 Financial and economic rates of return and endogenous growth 1. FRR = financial rate of return (market prices). ERR = economic rate of return (shadow prices). We write, assuming for simplicity additivity: [1] ERR FRR EXR , where EXR is the “external” rate of return. For projects (co)financed by the government the following restriction is imposed: [2] ERR FRR since EXR must be positive. Privately financed projects may have: [3] FRR ERR if EXR 0 and no disincentives are in place. We also assume that public investments are undertaken only if: ERR > international/national rate of interest. Additionally, it is posited that the threshold interest rate (TR) is higher than the growth rate of GDP: [4] TR GY 2. We suppose that GDP (Y) is produced using four factor inputs: physical private (K) and public capital (P), labour adjusted for human capital (H), (the stock) of exergy (E): [5] Y Af K , P, H , E where A = TFP (total factor productivity). 20 We make two additional assumptions on the production function: - investments in physical and human capital by the private and the public sector depend upon growth of total factor productivity (input/output endogeneity); - A is a positive function of investment in R&D, broadly defined, and notably in: (i) the efficiency (technological and environmental) of conversion of exergy into useful work (thermodynamic/environmental efficiency of the economy), (ii) information technology, and (iii) human knowledge in general, (public/private co-investments): A 0. R & D [6] We therefore have: g A gY wK GK wP GP wH GH wE GE , [7] where wi Y i i Y 3. If ERR GY at the micro level, we can infer that, at macro level, public capital investment has a positive impact on the government debt/income ratio because Y K . This is a one-period perspective. If, additionally, we assume that public investment is undertaken in R&D and we note that A is permanently raised by an increase in KR&D, we have that, by increasing public investment in R&D, GA is higher and GY is raised because of the point impact of GA and GP. In other words, it is even more true that public investment has a positive income on the sustainability of public debt (D). In this framework we can identify a virtuous (vicious) growth loop: 21 Appendice 4 I cambiamenti socio-demografici e ambientali in atto A livello globale, l’aumento della popolazione atteso al 2050 passerebbe dagli attuali 7 miliardi di persone a più di 9 miliardi. L’Europa, e più in generale i Paesi OECD, sperimenteranno modesti tassi di crescita rispetto alla rapida demografica che interesserà i Paesi BRIIC [OECD, 2012]. Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, già in atto, è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni, in particolare nei Paesi OECD e segnatamente in Europa, con conseguente riduzione della quota di popolazione attiva e peggioramento del tasso di dipendenza dagli anziani. Inevitabilmente tali cambiamenti avranno ripercussioni sugli stili di vita e sui modelli di consumo e di risparmio delle economie europee, sui servizi alla salute e sull’assistenza pubblica. Il contributo dell’immigrazione potrebbe, in parte, mitigare il fenomeno dell’invecchiamento, influendo positivamente sul numero di abitanti in età lavorativa e sul tasso di fertilità della popolazione autoctona. L’evoluzione demografica sarà accompagnata anche da rilevanti cambiamenti nella distribuzione geografica della popolazione: attualmente circa il 50% della popolazione mondiale vive in aree urbane. Nel 2050 tale percentuale raggiungerà una quota parti al 70% della popolazione (circa 6,4 miliardi di persone) [McKinsey Global Institute, 2012]. L’incremento sarà per lo più assorbito dai Paesi non OECD, e in particolare dalla Cina, e implicherà la necessità di fornire, a un numero crescente di abitanti, adeguate infrastrutture, moderne ed efficienti, per garantire l’erogazione dei servizi urbani essenziali (abitazioni, locali commerciali, acqua, energia, gestione dei rifiuti, trasporti, istruzione, assistenza sociale ecc.). Le trasformazioni economiche e sociali attese per i prossimi 20-30 anni eserciteranno notevoli pressioni sull’ambiente naturale, con particolare riferimento alle emissioni atmosferiche di gas serra, principali responsabili del global warming. Secondo l’OECD, la mancata adozione di adeguate politiche di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico favorirà un incremento della temperatura media globale nell’ordine di 3°-6°C rispetto al livello preindustriale, con conseguenti danni, su larga scala, potenzialmente catastrofici e di natura irreversibile oltre la soglia di un incremento di 2°C. Particolarmente rilevante appare la tempestività degli interventi, affinché gli stessi si rivelino efficaci. 22 Appendice 5 Tavole dei dati Figura 1 – Stima dei fabbisogni di investimenti, 2013-2030 Fonte: McKinsey (2013), sulla base di dati OECD, IEA, ITF, GWI. Tabella 1 Fabbisogno di investimenti in infrastrutture nell’Unione Europea tra il 2010 e il 2020 Investimenti complessivi in infrastrutture per le reti energetiche, di 1,5 - 2 trilioni di euro trasporto e TLC, di cui: Reti energetiche 1 trilione di euro Reti di trasporto 500 miliardi Reti di telecomunicazioni 270 miliardi Fonte: Elaborazione su dati Commissione Europea 23 Tabella 2 Investimenti infrastrutturali nella Germania post-unificazione Investimenti finanziati dalla Germania dell’Ovest in favore della Germania dell’Est, negli ultimi 20 anni 24 1,5 – 2 trilioni di euro 25