FRANCESCO PAOLO MICHETTI
e la fotografia
Apparecchio per dagherrotipi
La produzione artistica di Michetti si svolge fra ricerca pittorica e ricerca fotografica, secondo
un modus operandi molto diffuso fra gli artisti del tempo: la frequentazione degli ambienti
parigini e il sussulto creato a quel tempo dall’affermarsi della fotografia, lo vedono tra i
testimoni di un’intera rivoluzione della pittura.
A provare direttamente il rapporto tra l’artista e il mezzo fotografico è il ritrovamento nel
1966 da parte dello storico dell’arte Raffaele Delogu, del suo archivio fotografico personale,
miracolosamente conservato all’interno del “conventino” di Francavilla a Mare. Il materiale
risulta suddiviso e ordinato in trenta sezioni differenti, a seconda dei soggetti immortalati (in
tutto 2.921 pezzi).
Il primo approccio di Michetti alla fotografia è databile al 1871, anno del suo primo viaggio a
Parigi (dove tutti i pittori ormai da tempo, se ne servivano) e al suo primo autoritratto in foto
nel formato 9 x 12. Un’attività continua e ininterrotta si registra a partire dal 1881 fino alla
sua morte e permette di individuare nel rapporto con il mezzo fotografico tre fasi ben distinte.
1871-1883 | Fotografia come modello iconico
Il pittore procede con vere e proprie campagne fotografiche nei paesi d’Abruzzo per conoscere
e classificare le varie tipologie dei ritratti: fra cui contadini, madri, suonatori, bimbi, malati,
oranti, grazie ai quali interpreta la vita contadina del suo paese. Studia con attenzione le figure
dei suoi dipinti e le foto sono il primo passaggio di un lungo processo creativo, utilizzate come
sussidio iconico, sostitutive del modello reale, molto più pratiche e affidabili poiché in grado di
rendere la stessa posa, atteggiamento ed espressione già precedentemente scelti e fissati, senza
fatica. Staticità e immobilità sono le caratteristiche per le quali si distinguono le fotografie
di questa prima fase, (quelle datate tra il 1881-1883, di formato 13 x 18 e realizzate con la
tecnica al collodio secco) che corrispondono in archivio a quelle accuratamente classificate
come Ritratti e corrispondenti alla sezione numero 30.
1884-1896 | Fotografia come momento conoscitivo per indagare il vero
Sono gli anni cruciali in cui Michetti, affiancato dai due fidati amici Gabriele D’Annunzio e
Costantino Barabella, inizia la sua attività reportagistica in Abruzzo, soprattutto durante
le festività religiose. La fotografia, grazie all’introduzione della tecnica della gelatina che
accorcia sensibilmente i tempi di esposizione, permette di immortalare il movimento, con il
superamento della resa statica dei ritratti del primo periodo. Ogni foto viene catalogata, ha
un numero di inventario e ad esse l’artista fa riferimento per gli studi compositivi realizzati
durante la progettazione delle grandi tele.
Dal 1900 in poi | Fotografia come sperimentazione
L’autore recupera l’attenzione al movimento degli anni precedenti, approfondendone l’analisi:
per ogni soggetto realizza diversi scatti, utili a carpire le variazioni dell’atmosfera, le ombre e i
riflessi dell’acqua, le masse in movimento, gli animali in fuga. Michetti mutua dalla fotografia
l’utilizzo del taglio orizzontale per potenziare il senso dello spazio in cui si colloca l’andamento
della scena.
Attraverso la documentazione diretta e immediata garantita dalla fotografia e grazie alla sua
possibilità di esaltare gli effetti di movimento – come si vede nella serie dedicata alla mattanza
dei tonni ad Acireale del 1907 – il Michetti approda, nel secondo decennio del Novecento,
alle esperienze cinematografiche: Volti d’Abruzzo (1923-1925) è il titolo di un film purtroppo
perduto. Restano solo alcuni frammenti di altri documentari: ad esempio quello in cui compare
il figlio Giorgio, ripreso all’altezza del Palazzo di Giustizia di Roma - ancora in costruzione di cui si possono apprezzare il piano americano, il primo piano e il movimento in avanti, con
modalità di ripresa e messa a fuoco.
LA SCOPERTA DELLA FOTOGRAFIA
Parigi, gennaio 1839: il fisico, astronomo e uomo politico François Jean Dominique Arago
presenta all’Accademia delle Scienze di Parigi la scoperta di Louis Jacques Mandé Daguerre,
che consiste nel riprodurre immagini positive in bianco, nero e grigio.
È la nascita della fotografia, o meglio del dagherrotipo, antenato per eccellenza della macchina
fotografica, che fa pronunciare al pittore Paul Delaroche: Da oggi la pittura è morta!
La fotografia, che con il suo avvento cambia il modo di percepire la realtà, allarga il campo
visivo e dà più rilievo all’atto creativo dell’artista, prodotto di una scelta tra alternative già
date, comporta una crisi nel mondo degli artisti figurativi, tanto da portarli a negare il suo
utilizzo.
I pittori dell’epoca sono tacitamente d’accordo, in nome delle estetiche tradizionali, a non
ammettere in alcun modo il ricorso al sussidio fotografico, poiché ciò avrebbe comportato il
superamento e lo screditamento del loro ruolo di interpreti per eccellenza della realtà. Jean
Auguste Dominique Ingres, che della fotografia si era servito soprattutto per la produzione
pittorica dell’ultimo periodo, aveva dichiarato: è splendida, ma non bisogna ammetterlo. (1)
Lo scrittore francese Théopile Gautier, visitando il Salon di Parigi nel 1861 poteva affermare
con certezza che, nonostante alla fotografia non si riconoscesse un’autonomia di espressione
artistica, tuttavia le opere prodotte dagli artisti dell’epoca evidenziavano il ricorso ad essa per
la resa dei tagli, dei particolari e delle pose.
(1) H. Gernsheim, Creative Photography: tendenze estetiche 1839-1960, Faber & Faber Limited, London, 1962,
p. 101
Bibliografia
H. Gernsheim, Creative Photography: tendenze estetiche 1839-1960, Faber & Faber Limited, London, 1962;
Malerei nach Fotografie. Von der Camera Obscura bis zur Pop Art, Münchner Stadtmuseum, Monaco, Germania,
1970;
M. Miraglia, Francesco Paolo Michetti. Fotografo, Einaudi, Torino, 1975.
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