LA DURBAN REVIEW CONFERENCE (GINEVRA, 20-24 APRILE 2009)* di Francesca Piazza (Consigliere parlamentare della Camera dei deputati) 29 aprile 2008 Organizzata dalle Nazioni Unite, la Conferenza per il riesame di Durban, la cosiddetta “Durban II”, si è svolta a Ginevra dal 20 al 24 aprile 2009 sotto lo slogan “United Against Racism: Dignity And Justice For All”, con l’obiettivo di valutare lo stato di attuazione della Dichiarazione e del Programma di Azione (Durban Declaration and Programme of Action DDPA) adottati per consenso a Durban, in Sudafrica, nel 2001, in occasione della prima Conferenza Mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le relative forme di intolleranza (World Conference against Racism, Racial Discrimination, Xenophobia and Related Intolerance -WCAR). Alla Conferenza hanno preso parte oltre 2.500 delegati provenienti da 170 Paesi, 4.000 rappresentanti delle organizzazioni non governative, 1.300 giornalisti e circa 7.000 persone espressione della società civile mondiale. Non vi hanno preso parte, tra gli altri, Israele, Canada, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Australia. L’Unione europea vi è stata rappresentata da 22 dei ventisette Stati membri. L’Italia, come la Germania, la Repubblica Ceca, la Polonia e l’Olanda, non ha preso parte ai lavori. Si deve ricordare che gli esiti della Conferenza del 2001 - il cui meritevole obiettivo fu definire una piattaforma condivisa per la predisposizione di norme e misure di contrasto del razzismo a livello mondiale - furono del tutto compromessi dall’inclusione nei documenti * Le notizie raccolte sono frutto di una ricerca su fonti pubbliche. Le opinioni espresse sono personali e non vincolano in alcun modo l’Istituzione di appartenenza. federalismi.it n. 8/2009 della Conferenza di una critica nei confronti di Israele e del sionismo, definito come “pratica razzista”. L’aspra polemica politica, che ne è derivata, culminata con l’abbandono dei lavori da parte di Israele e degli Stati Uniti, e il biasimo espresso da molta parte della comunità internazionale, e in particolare dalle cancellerie dei Paesi “occidentali”, hanno offuscato i risultati conseguiti sui diversi temi, creato un perdurante clima di diffidenza ed elevato il grado di politicizzazione del percorso di revisione della Conferenza. Tale percorso si è avviato nel 2006 quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha deciso1 di indire una Review Conference di Durban I e ha chiesto al neoistituito Consiglio delle Nazioni Unite2 per i diritti umani di lavorare al progetto. Il Consiglio ha dato seguito a tale mandato provvedendo all’istituzione di una Commissione preparatoria (Preparatory Committee of the Conference), aperta alla partecipazione di tutti i membri delle Nazioni Unite, delle Agenzie specializzate, nonché di osservatori. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, la signora Navanethem Pillay3, è stato nominato segretario generale della Conferenza. A partire dal luglio 2007 la Commissione preparatoria ha quindi lavorato ad una bozza di documento da offrire ai delegati come base di lavoro per la Review Conference, avvalendosi di contributi da parte di un bureau composto da rappresentanti dei cinque continenti, incaricato di redigere l'agenda, i documenti preparatori e le rules of procedures della Conferenza4. La Commissione ha peraltro coinvolto agenzie specializzate, organizzazioni regionali, il Comitato sull'eliminazione della discriminazione razziale, lo Special Rapporteur sulle odierne forme di razzismo e discriminazione, oltre ad esperti indipendenti che hanno tutti lavorato alla valutazione dell’implementazione di Durban I. Le sessioni sono state di volta in volta aperte anche alla partecipazione, in qualità di osservatori, di rappresentanti dei popoli indigeni, accreditati ai sensi della risoluzione 1995/32 dell’ECOSOC, di istituzioni nazionali sui diritti umani, di organizzazioni non governative interessate. Nell’ulteriore intento di promuovere il completamento del processo di ratifica della Convenzione Internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, 1 Risoluzione A/RES/61/149. Il Consiglio è stato istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 15 marzo 2006, con l’adozione della Risoluzione 60/251. 3 Magistrato sudafricano, giudice della Corte Penale Internazionale per il Rwanda. 4 Il Bureau è stato presieduto dalla Libia, in qualità di presidente di turno dell’Unione africana, e vi hanno fatto parte, con la carica di vice presidenti, rappresentanti di Camerun, Sudafrica, Senegal, India, Indonesia, Iran, Pakistan, Argentina, Brasile, Cile, Armenia, Croazia, Estonia, Russia, Belgio, Grecia, Norvegia, Turchia. Il rappresentante di Cuba ha svolto le funzioni di vice presidente relatore. 2 www.federalismi.it 2 adottata e aperta alla firma il 21 dicembre 19655, tra l’aprile e il maggio 2008 il Preparatory Committee ha lavorato alla bozza di documento finale della Conferenza di Riesame e ha creato un intersessional open-ended intergovernmental working group. In ottobre si sono avviati i negoziati per la scrittura di un testo, sulla base di sei documenti elaborati presso il gruppo di lavoro intergovernativo con i contributi emersi in incontri con i Paesi latinoamericani, caraibici e africani, nonché derivanti da Gruppo di Lavoro Asiatico, dall'Unione Europa e dalla Conferenza Islamica. Durante questo complesso iter, gli osservatori dell’Unione europea e del Consiglio d’Europa hanno fatto pervenire i propri contributi alla Commissione. In particolare nel suo Report of preparatory meetings and activities at the international, regional and national levels - Contribution by the European Union to the Durban Review Conference6, del 13 ottobre 2008, al punto (b) paragrafi 35-43, l’UE condanna qualunque tipo di discriminazione e intolleranza contro i membri di qualunque credo religioso, richiama esplicitamente le tre grandi religioni monoteiste e gli eventi di cronaca di violenza contro specifici gruppi religiosi. Senza menzionare Israele, si richiamano le risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nn. 60/7 e 61/255 sull'importanza della commemorazione dell'Olocausto in quanto monito per l'intera umanità. L'UE ha espresso anche condanna per la forte intolleranza manifestatasi nei confronti dell’islam e le violenze contro i cristiani verificatesi in diverse parti del mondo. Nell'intervento del Rappresentante permanente della Francia presso l’Unione Europea al Consiglio dei diritti umani di settembre 2008, si è auspicato in particolare che la questione del razzismo venga affrontata “senza politicizzazioni, senza polarizzazioni, senza accanimento su una regione del mondo in particolare e senza tentativi di stabilire una gerarchia tra le vittime”. Quanto al Consiglio d’Europa, nel documento Contribution of the Council of Europe to the Implementation of the Durban Declaration and Programme Action - Council of Europe Action to Combat Racism and Intolerance 2001-2008, si è sottolineata la mutevolezza del concetto stesso di razzismo e si sono individuati i gruppi più esposti al rischio del razzismo con riferimento alla discriminazione su basi etniche, religiose e di genere: persone di origine africana e discendenti africani, rom e gitani, musulmani, ebrei, rifugiati e migranti, vittime di traffico di esseri umani, persone appartenenti a gruppi più deboli, come donne, giovani e persone affette da inabilità. 5 Manca ancora la ratifica di sette dei 169 Paesi firmatari. Resa esecutiva in Italia con legge n. 654 del 13 ottobre 1975, è entrata in vigore per l’Italia il 4 febbraio 1976. Peraltro al momento della firma della Convenzione, Libia, Iraq, Kuwait, Siria, Emirati Arabi Uniti e Yemen hanno reso dichiarazione che essa non equivaleva a riconoscimento dello Stato di Israele. 6 http://www.un.org/durbanreview2009/pdf/A.CONF.211.PC.3.6.pdf. www.federalismi.it 3 Il clima dei lavori della Commissione preparatoria, segnato fin dall’inizio dalle contestazioni post-Durban e dalle accuse di toni antioccidentali mosse al Consiglio per i diritti umani, ha risentito in modo grave della crisi di Gaza che, il 12 gennaio 2009, ha determinato l’approvazione da parte del Consiglio per i diritti umani di una dichiarazione di condanna di Israele per le "gravi violazioni dei diritti umani dei palestinesi" (con il voto favorevole dei 33 Paesi africani, asiatici, in via di sviluppo e non allineati, i 13 voti di astensione dell'Europa e il no del Canada, primo Paese ad avere formalizzato, già nel gennaio 2008 la non partecipazione al seguito di Durban). A fine gennaio 2009, la Commissione preparatoria ha ulteriormente definito la bozza di documento finale7, in cui, ai paragrafi da 30 a 34, si esprimeva profonda preoccupazione per le pratiche di discriminazione razziale contro il popolo palestinese nei territori occupati e si ribadiva il diritto inalienabile all'autodeterminazione del popolo palestinese, che è soggetto all’illegittima punizione collettiva, torture e blocco economico da parte di Israele. In particolare, il paragrafo 32 si leggeva: "a foreign occupation founded on settlements, laws based on racial discrimination with the aim of continuing domination of the occupied territories, as well as the practice of reinforcing a total military blockade, isolating towns, villages and cities from one another, totally contradicts the purposes and principles of the Charter of the United Nations and constitutes a serious violation of international human rights and humanitarian law, a crime against humanity, a contemporary form of apartheid and serious threat to international peace and security and violates the basic principles of international human rights law”. A questo punto, malgrado la collaborazione offerta dagli Stati Uniti nel corso dei lavori preparatori, a fine febbraio 2009 il presidente Obama dichiara di rinviare la decisione sulla propria partecipazione alla Conferenza a causa della preoccupazione che essa – anche in previsione della presenza del presidente della Repubblica Islamica iraniana, Mahmud Ahmadinejad – possa essere strumentalizzata per intentare un processo politico nei confronti di Israele. Gli Stati Uniti dichiarano di garantire comunque la propria partecipazione a livello diplomatico ai lavori preparatori. Il preannunciato ritiro degli Stati Uniti determina il plauso unanime del governo e di tutte le forze politiche di Israele, che già nel novembre 2008 aveva formalizzato la sua non partecipazione alla Conferenza. Un ulteriore motivo di polemica internazionale deriverà anche dalla non inclusione nella bozza della “condanna di tutte le forme di discriminazione e tutte le 7 Revised version of the technically reviewed text (A/CONF.211/PC/WG.2/CRP.2) submitted by the Chairperson-Rapporteur of the intersessional open-ended working group mandated to continue and finalize the process of negotiations on and drafting of the outcome document. www.federalismi.it 4 altre forme di violazione fondate sull'orientamento sessuale”, per la contrarietà espressa dalla Santa Sede unitamente ai rappresentanti dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, presenti ai lavori in qualità di osservatore. Gli Stati Uniti prospettano un ritorno al tavolo della Conferenza in presenza di una revisione dei testi approvati nel 2001, dell’eliminazione di specifici riferimenti ad uno o più paesi e del richiamo alla "diffamazione della religione" come nuova forma di apartheid e razzismo. Gli Stati Uniti sono inoltre contrari ad un inserimento nel testo della questione del risarcimento per la schiavitù, invocata da numerosi Stati africani. Il 5 marzo il Ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, preannuncia il ritiro dell’Italia dalla Conferenza di Ginevra e, contestualmente, rinvia il proprio viaggio in Iran, finalizzato tra l’altro alla discussione del dossier afghano in linea con le decisioni assunte dal Consiglio della Nato a Bruxelles. Peraltro, il ministro Frattini prospetta il rientro dell’Italia se saranno modificate almeno due passaggi fondamentali della bozza di documento finale, quelli sull’antisemitismo e sulla diffamazione religiosa. L’Italia è così il primo Paese dell’Unione europea ad assumere una simile decisione. Peraltro, l’iniziativa italiana determina una critica da parte del Commissario europeo per le relazione esterne, Benita Ferrero Waldner, che segnala come non vi sia stato un preavviso o un confronto con gli interlocutori europei e come tale passo aggravi la possibilità che si formi una posizione comune europea sulla questione. Ufficialmente la Francia, come il Vaticano, pur con qualche divergenza tra primo ministro e ministro degli esteri, opta invece per restare alla Conferenza al fine di lavorare ad una modifica dei testi. La decisione italiana è da porre in relazione all’impegno assunto dal Governo in Parlamento a seguito dell’approvazione il 4 dicembre 2008 delle mozioni nn. 1-00055, 1-00072 e 1-00074, presentate alla Camera rispettivamente dagli onorevoli Nirenstein, Evangelisti e Casini, sulle “Iniziative in vista della preparazione della Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l’intolleranza, che si svolgerà a Ginevra nel mese di aprile 2009”. Allora il Governo assunse l’impegno, tra l’altro, di “esercitare la massima vigilanza e ad agire concretamente affinché la Conferenza sia effettivamente volta a promuovere la lotta contro il razzismo e contro le discriminazioni di ogni genere, piuttosto che un pretestuoso palcoscenico per l'incitamento all'odio nei confronti di alcuni popoli, Stati o minoranze etniche e religiose”, di “intervenire in sede europea affinché venga scongiurato il rischio che la Conferenza si svolga su una piattaforma ispirata all'intolleranza e alla discriminazione etnica, culturale e religiosa, affinché i partecipanti non utilizzino tale incontro per avanzare rivendicazioni strumentali”; www.federalismi.it di “impegnare la 5 partecipazione italiana a tale Conferenza all'effettivo indirizzo dei lavori preparatori verso la buona riuscita della stessa e a far sì che la medesima Conferenza sia finalizzata alla promozione della convivenza pacifica tra i popoli e, in particolare nell'area mediorientale, al rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi”. Successivamente, l’11 marzo, il Ministro Frattini viene audito dalle Commissioni esteri congiunte di Camera e Senato sulla decisione relativa al ritiro dai lavori8. Non mancano critiche al Ministro per il mancato raggiungimento di una posizione concordata a livello europeo. Frattini, a sostegno della decisione italiana, segnala “due linee rosse”, su cui dichiara la sostanziale condivisione da parte di Francia, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Belgio (che è membro del Bureau): 1) premesso che, come nel 2001, tra i 250 paragrafi del documento preparatorio, ben cinque sono dedicati alla situazione israelo-palestinese e, in particolare, ad Israele, e non vi sono altre questioni regionali citate, la definizione di Israele come “attore di una politica di discriminazione razziale nei confronti della popolazione palestinese”, nonché “Paese responsabile di praticare l'apartheid, la tortura e numerosi atti criminali che costituiscono minaccia per la pace e la sicurezza internazionale” faciliterebbe il passaggio dalla critica all'azione di un governo alla delegittimazione internazionale di uno Stato sovrano e, certamente, in quanto Israele è lo Stato ebraico, all’incitamento all'odio razziale contro gli ebrei; 2) il documento preparatorio è inoltre apparso assolutamente impermeabile alle proposte di modifica con riferimento all’inserimento della cosiddetta «diffamazione religiosa» quale standard complementare utile ad introdurre limiti formali alla libertà di espressione quando si tratti di una critica a una qualsiasi espressione religiosa. A metà marzo l’Unione europea presenta, per il tramite dei rappresentanti dell’Olanda, una proposta di bozza di documento finale composta di soli 25 paragrafi, non contenente alcun riferimento al Medio Oriente o riferimenti a limiti alla libertà di espressione. Seguono a breve distanza le prese di posizione del Ministro degli esteri ceco, Karel Schwarzenberg, presidente di turno dell’Unione europea, che auspica un accoglimento del testo, prospettando in caso contrario il ritiro dei Paesi UE, e del Ministro tedesco, Frank-Walter Steinmeier che preannuncia il ritiro della Germania. Il 18 marzo la Commissione preparatoria, su stimolo del componente russo del Bureau, elabora una nuova bozza, di soli 143 paragrafi, finalizzata ad ottenere il rientro dei 8 Cfr. Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari, Resoconto stenografico delle Commissioni riunite III (Affari esteri e comunitari) della Camera dei deputati e 3a (Affari esteri, emigrazione) del Senato della Repubblica di mercoledì 11 marzo 2009. www.federalismi.it 6 Paesi occidentali e dell’Unione europea, in cui non vi è menzione di Israele né riferimenti al concetto della diffamazione religiosa. Il nuovo testo è inoltre emendato di ogni riferimento a richieste di risarcimento da parte di Stati africani per la questione della schiavitù e a condanne per le discriminazioni perpetrate nei confronti degli omosessuali. A questo punto si temono reazioni contrarie da parte dei sostenitori della bozza iniziale e gli Stati Uniti prospettano il proprio ritorno alla Conferenza a condizione che sia rivisto il proposito di mantenere inalterati i testi approvati a Durban nel 2001 (il nuovo testo riafferma la Dichiarazione e il Piano di Azione). Nel testo permane il riferimento alla presenza militare di Israele nei territori occupati ma anche quello all’unicità storica della Shoah, che l’Iran chiede di emendare. A quella data il segretariato della Conferenza ha ricevuto solo 40 adesioni. L’Italia conferma la propria decisione sul ritiro dai lavori per i ripetuti richiami, ancora contenuti nella bozza, a Durban I e per la presenza di “inaccettabili” elementi relativi all’Olocausto e alla libertà di espressione. La Germania, per la prima volta dal suo ingresso nelle Nazioni Unite, decide di non prendere parte ad una Conferenza delle Nazioni Unite ed è in forse il sì del Regno Unito, dell’Olanda e della Danimarca. Giunge infine il 19 aprile il “no” definitivo da parte degli Stati Uniti, anche in considerazione della conferma circa la presenza del presidente iraniano all’apertura dei lavori della Conferenza e del fondato timore sul clima antioccidentale ed antisraeliano che potrà caratterizzare i lavori della Conferenza. L’intervento di Ahmadinejad all’apertura della Conferenza conferma le preoccupazioni dei Paesi occidentali, inducendo 23 Stati dell’Unione europea a lasciare la sala (ne rientreranno 22, considerato che la Repubblica ceca decide di allinearsi al boicottaggio degli Stati Uniti). Nello stesso giorno, il 20 aprile, il Majlis, il Parlamento di Teheran, approva con 210 voti favorevoli su 290 una dichiarazione di sostegno all’intervento del leader iraniano. Tutto questo avviene mentre Israele commemora le vittime della Shoah e il presidente della Knesset rilascia dichiarazioni sull’analogia tra il leader iraniano e Adolf Hilter. Il 22 aprile, con due giorni di anticipo sulla conclusione ufficiale dei lavori, la Conferenza approva il documento finale per acclamazione. L’evento si conclude alla presenza di 22 dei ventisette Paesi dell’Unione europea, che conferma così di non riuscire a pervenire ad una posizione comune. Quanto al documento finale, articolato in 143 paragrafi suddivisi in cinque sezioni, esso esordisce con la conferma della Dichiarazione e del Programma d’Azione (DDPA), adottati a Durban nel 2001 ed esprime preoccupazione per i mancati progressi nella lotta contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le relative forme di www.federalismi.it 7 intolleranza. Afferma che tutti i popoli e individui costituiscono un’unica famiglia umana, ricca nella diversità, e rifiuta ogni dottrina sulla superiorità razziale tra quelle che tendono ad affermare l’esistenza delle cosiddette razze umane. Tra i maggiori aspetti postivi vi è il riconoscimento del nesso tra povertà, sottosviluppo, marginalizzazione, esclusione sociale e disparità economiche e razzismo. Al paragrafo n. 12, in cui è assente ogni riferimento alla diffamazione religiosa, si deplora l’aumento a livello globale del numero di incidenti di intolleranza e violenza razziale o religiosa, inclusa l’islamofobia, l’antisemitismo, la cristianofobia e l’antiarabismo che si manifestano in particolare negli stereotipi peggiorativi e nella stigmazzazione di persone in base alla loro religione o credo. Il documento riconosce (paragrafo n. 14) che il razzismo è tra le cause dei conflitti armati e spesso una delle loro conseguenze. Al paragrafo n. 60 si sollecitano gli Stati a punire le attività violente, razziste e xenofobe di gruppi basati su ideologie di tipo neonazista, neofascista e nazionalista mentre al successivo paragrafo n. 66 si ribadisce che l’Olocausto non dovrà mai essere dimenticato e che gli Stati devono provvedere ad attuare le risoluzioni 60/7 e 61/255 dell’Assemblea Generale dell’Onu. Il documento dedica sei paragrafi (da 74 a 79) ai migranti, plaudendo l’entrata in vigore della Convenzione Internazionale sulla protezione dei diritti di tutti lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. Si auspicano interventi da parte degli Stati per prevenire e contrastare il razzismo nei confronti dei lavoratori migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo e di combattere il persistere di stereotipi xenofobi nei confronti dei noncittadini da parte di politici, forze dell’ordine, funzionari e media. Si parla inoltre di minoranze, menzionando espressamente i Rom e i Sinti, di donne, fanciulli, disabili, come pure i malati di Aids. Si sottolinea che le vittime della schiavitù, dell’usura, dello sfruttamento sessuale e di quello lavorativo sono particolarmente esposte al rischio del razzismo mentre non sono contenuti riferimenti a discriminazioni in ragione dell’orientamento sessuale degli individui. www.federalismi.it 8