INSEGNAMENTO DI
DIRITTO PRIVATO COMPARATO
LEZIONE V
“IL CONTRATTO IN DIRITTO COMPARATO”
PROF. CATERINA SIANO
Diritto Privato Comparato
Lezione V
Indice
1 Il contratto: profili introduttivi sulle differenze tra Common law e Civil law.---------------- 3 2 I requisiti del contratto: proposta ed accettazione. ------------------------------------------------ 6 2.1 Accettazione e conclusione dell’accordo contrattuale.--------------------------------------------- 9 3 La serietà dell’intento contrattuale. ---------------------------------------------------------------- 13 4 I vizi del volere (errore, violenza e dolo). ---------------------------------------------------------- 18 5 Causa e consideration. --------------------------------------------------------------------------------- 23 6 La forma. ------------------------------------------------------------------------------------------------- 25 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 Il contratto: profili introduttivi sulle differenze tra
Common law e Civil law.
I termini contratto, contrat, contract, Vertrag, utilizzati nei diversi ordinamenti, non possono
essere ritenuti propriamente interscambiabili, nel senso che sussistono tra essi delle sfumature di
significato che impediscono di considerarli sovrapponibili a tutti gli effetti.
La prima grande differenza che bisogna mettere in rilievo è direttamente collegata alla nota
contrapposizione tra Civil law e Common law, in quanto la nozione di contract, propria degli
ordinamenti anglo-americani, corrisponde solo marginalmente a quella di contratto o contrat o
Vertrag, rispettivamente utilizzate in Italia, Francia e Germania.
In effetti, il contract di Common law ha un ambito più ristretto rispetto al corrispondente
concetto utilizzato nell’area di Civil law, dove la nozione di contratto identifica – in linea di
massima – tutti gli accordi (di natura patrimoniale) da cui scaturiscano diritti ed obblighi per i
soggetti contraenti, i quali possono risultare obbligati reciprocamente (contratti bilaterali o a
prestazioni corrispettive) oppure unilateralmente (contratti unilaterali).
Per essere più chiari, sembra opportuno riportare la definizione di contratto contenuta nel
nostro ordinamento: l’art. 1321 c.c. stabilisce che “il contratto è l’accordo di due o più parti per
costituire, regolare, o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”.
Da tale definizione, si ricava che il contratto è sempre l’accordo tra due o più parti, dal
quale possono derivare obbligazioni a carico di una parte soltanto (nel qual caso si parla di contratto
unilaterale), oppure a carico di entrambe le parti (cosiddetti “contratti sinallagmatici”) che, in
questo caso, risulteranno titolari di debiti e crediti reciproci 1 .
In Common law, invece, il termine contract riguarda soltanto i contratti bilaterali o a
prestazioni corrispettive: infatti, tra gli elementi essenziali del contract anglo-americano – come
meglio si vedrà di seguito – vi è la cosiddetta consideretion che, in via di massima
esemplificazione, consiste nel reciproco scambio di prestazioni tra i contraenti2 .
1
Si mette ben in chiaro che nel nostro ordinamento e, in generale, negli ordinamenti di
Civil law, l’unilateralità del contratto si riferisce alla prestazione, nel senso che i cosiddetti
“contratti unilaterali” si differenziano da quelli “sinallagmatici” per il fatto che da essi
scaturiscono obblighi a carico di una parte soltanto.
2
La consideration, quale elemento essenziale del contratto nel diritto anglo-americano, sarà
analizzata ampiamente in prosieguo. In questa parte introduttiva sembra opportuno
precisare soltanto che essa svolge una funzione analoga a quella della causa a cui fa
riferimento l’art. 1325 del nostro codice civile.
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Soltanto per i contratti formali (detti “under seal”) è possibile prescindere dalla verifica del
predetto requisito fondamentale. Il motivo di tale eccezione risiede, evidentemente, nel fatto che in
questi casi l’elemento formale testimoni la verità e la serietà dell’impegno contrattuale che le parti
abbiano vicendevolmente assunto.
Ciò non toglie che lo scambio tra prestazioni – racchiuso nel concetto di consideration –
debba esservi ugualmente; infatti, l’atto che non implichi un rapporto di scambio è collocato al di
fuori della categoria del contract e prende il nome di deed.
Il deed è, dunque, un atto formale nel cui ambito vengono ricondotti tutti gli atti che non
implicano un rapporto di scambio: esso riguarda perciò una vasta area di “operazioni giuridiche”
che comprende – ad esempio – la donazione (deed of gift), le promesse unilaterali (deed of
convenant), gli atti costitutivi di diritti reali (deed of grant), la remissione del debito (deed of
release) e così via 3 .
È importante mettere in evidenza che può accadere che ad un vero e proprio contract si
attribuisca la forma del deed; in tal caso si ritiene che la forza vincolante derivi dal requisito
formale che, in un certo senso, assorbe il requisito della consideration. In questo modo si spiega
l’uso dell’espressione “contract under deed” con la quale, nel diritto inglese, vengono spesso
indicate le promesse a titolo gratuito. È evidente, però che in tali casi, mancando la consideration,
cioè lo scambio tra prestazioni, il termine contract è adoperato impropriamente.
Nell’area di Common law, inoltre, si esclude che nel concetto di contract possano essere
racchiusi gli atti di trasferimento della proprietà che, al contrario, in Civil law vengono indicati
come “contratti con efficacia reale”.
Nel diritto anglo-americano, l’atto mediante il quale si trasferisce la proprietà immobiliare è
detto “conveyance”, mentre quello relativo al trasferimento della proprietà mobiliare è detto
“delivery” 4 .
Va detto che anche all’interno dell’area di Civil law esistono alcune differenze tra le varie
nozioni di contratto.
3
Cfr. F. Galgano, Atlante di diritto comparato, Bologna, 1998, p. 67, il quale precisa che
“il deed o act under seal è un atto formale che rende giuridicamente vincolante un impegno
privo di consideration. I suoi requisiti di forma sono l’atto scritto, la firma del disponente,
la presenza di un testimone, l’apposizione del sigillo del disponente (sostituita oggi dalla
dicitura, prima della firma, «as a deed»), infine la consegna del documento al beneficiario
(il deed è oggi regolato in Inghilterra dal Law of Property Act del 1989)”.
4
Cfr. P.G. Monateri – R. Sacco, Il contratto in diritto comparato, in Dig. IV – disc. priv.
Sez. civ., vol. IV, Torino, 1989, p. 138.
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La definizione di contratto esposta nell’art. 1321 del nostro codice civile pone in evidenza il
requisito della patrimonialità; parimenti, anche nell’ordinamento francese il concetto di contratto
viene utilizzato di rigore per indicare la fonte di rapporti giuridici di natura patrimoniale 5 .
Diversamente la nozione di contratto (Vertrag) normalmente utilizzata nell’ordinamento tedesco
risulta essere più ampia, dal momento che non vi è alcun esplicito riferimento alla patrimonialità del
rapporto.
In altri termini, in Germania può considerarsi contratto ogni negozio giuridico costituito
dalle dichiarazioni di volontà di due parti contraenti.
Più in chiaro, se per negozio giuridico si intende qualsiasi dichiarazione o manifestazione di
volontà diretta a produrre effetti giuridici, con il concetto di contratto, invece, si indicano quei
negozi per i quali è richiesta la presenza di almeno due soggetti.
Non essendovi alcuna specificazione sulla natura del rapporto che deve scaturire da tali
accordi tra due o più parti, è possibile far rientrare nella categoria del Vertrag anche gli accordi che
sorgono, ad esempio, nel quadro delle relazioni familiari. Ne consegue, quindi, che
nell’ordinamento tedesco le norme dedicate ai contratti hanno un ambito di applicazione più vasto
che altrove 6 .
In Germania, inoltre, la categoria del Vertrag è dichiaratamente divisa in due sottocategorie.
Da un lato, vi sono i contratti cosiddetti “con effetti obbligatori” a cui è attribuita la duplice natura
di accordi consensuali (che si perfezionano tramite lo scambio del consenso tra le parti) e causali
(cioè diretti a realizzare una data funzione giuridico-economica); tali contratti hanno una struttura
omologa al contrat di diritto francese.
Dall’altro, vi sono i contratti “ad effetto reale”, cioè diretti al trasferimento della proprietà o
di altri diritti reali. Rispetto a questi ultimi, si dice che “non hanno causa” per sottolineare che essi
operano secondo il principio dell’astrattezza a cui si ricollega, però, la sussistenza di un elemento
che in qualche modo “esteriorizzi” l’accordo, rendendolo palese all’esterno. Tale elemento esterno
consiste nella consegna della cosa mobile o nella cosiddetta “intavolazione” dell’accordo traslativo
immobiliare nei libri fondiari.
5
6
Cfr. P.G. Monateri – R. Sacco, Il contratto in diritto comparato, op. ult. cit.
Cfr. F. Galgano, Atlante di diritto comparato, cit.
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2 I requisiti del contratto: proposta ed accettazione.
In tutti gli ordinamenti vale il principio generale secondo cui il contratto è un atto a
formazione bilaterale che si realizza grazie all’incontro tra due volontà o tra due dichiarazioni di
volontà tra di loro conformi, rispettivamente indicate come proposta e accettazione.
È molto importante sottolineare che il contratto non nasce per il semplice fatto che esistono
due distinte manifestazioni di volontà, ma grazie all’accordo che si crea attraverso il loro
collegamento. Ciò implica che affinché il contratto possa ritenersi concluso occorre che si realizzi la
piena coincidenza tra le dichiarazioni di volontà provenienti dalle diverse parti contraenti.
In tale conformità è racchiusa la nozione di accordo che rappresenta – in tutti gli
ordinamenti occidentali – il primo requisito fondamentale per l’esistenza e/o validità del contratto.
In altre parole, nelle trattazioni relative all’istituto del contratto, l’elencazione degli elementi
costitutivi dello stesso vede al primo posto l’accordo tra le parti contraenti, cioè la corrispondenza
tra proposta dell’una e l’accettazione dell’altra 7 .
La prima problematica connessa al predetto elemento è quella del momento in cui si realizza
l’incontro delle due volontà, da cui derivano due questioni particolarmente controverse.
Gli ordinamenti di tutti i Paesi, infatti, sono chiamati a dare una soluzione concreta sia al
problema della possibilità di revoca della proposta contrattuale precedentemente inoltrata, sia a
quello del momento dell’efficacia dell’accettazione.
Riguardo al primo dei suddetti problemi, si può dire schematicamente che all’estrema
debolezza del vincolo del proponente rispetto alla sua proposta contrattuale, propria degli
ordinamenti di common law, si contrappone il principio generale dell’irrevocabilità della proposta,
propria dell’ordinamento tedesco. I Paesi dell’area romanistica propongono, invece, una soluzione
maggiormente articolata alla problematica in esame e si collocano, perciò, in una posizione
intermedia rispetto ai due estremi dapprima evidenziati.
Procedendo secondo il predetto ordine, diciamo innanzitutto che nel diritto angloamericano, la proposta è finalizzata a consentire al destinatario di perfezionare il contratto
mediante l’accettazione. Ne consegue, allora, che essa, una volta pervenuta a destinazione, deve
7
A seguire vi sono: l’intenzione di creare un vincolo giuridicamente rilevante, la causa, a
cui corrisponde la consideration negli ordinamenti di common law, e la forma. Ad ognuno
dei seguenti requisiti verrà dedicata autonoma trattazione nel corso della presente lezione
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essere considerata “accettabile” fino alla scadenza del termine eventualmente fissato dallo stesso
proponente oppure derivante dalle circostanze materiali.
Il proponente, tuttavia, è sempre ritenuto libero di revocare la propria proposta fino al
momento in cui la controparte destinataria dichiari la propria volontà di accettare.
Più in chiaro, nell’area giuridica di common law, anche nel caso in cui il proponente abbia
dichiarato di mantenere ferma la proposta per un certo tempo, non esiste alcun rimedio alla revoca
della proposta liberamente espressa prima dell’accettazione del destinatario.
Il motivo per cui il Common law è restio a dotare la proposta contrattuale di efficacia
vincolante deriva dalla dottrina della consideration, che rappresenta il principio-cardine del diritto
contrattuale anglo-americano. Secondo tale principio, un’obbligazione può essere ritenuta
vincolante solo quando l’avente diritto alla prestazione abbia, da parte sua, effettuato o promesso
una controprestazione, a meno che la dichiarazione con cui si obbliga non sia contenuta in un atto
formale, o under seal.
Nell’ordinamento tedesco, invece, vale il principio opposto per cui la proposta contrattuale
deve essere ritenuta irrevocabile, se non sia stabilito altrimenti dallo stesso proponente.
Tale principio, espressamente fissato dal legislatore al § 145 BGB, è comune a tutti i Paesi
che hanno seguito il modello tedesco; esso, infatti, è applicato anche in Austria, Svizzera e
Portogallo e risulta adottato nel codice civile greco e in quello brasiliano.
In base al principio dell’irrevocabilità della proposta, il proponente resta vincolato alla sua
offerta fino alla decorrenza di un termine da lui fissato – o nel caso in cui non sia previsto alcun
termine espresso – per un periodo di tempo ritenuto congruo in base alle circostanze concrete.
Rispetto a tale principio non è ammessa in concreto alcuna deroga.
Il proponente, infatti, per evitare di rimanere vincolato alla propria proposta, dovrebbe
escludere espressamente l’irrevocabilità inserendovi – ad esempio – la dicitura “senza impegno” o
“senz’obbligo”. Si ritiene, tuttavia, che le indicate locuzioni impediscano di configurare la
sussistenza di una proposta contrattuale giuridicamente rilevante, dando vita al contrario ad un mero
invito ad offrire.
La categoricità del principio in commento è ulteriormente confermata dalla regola che
stabilisce che la revoca di una proposta irrevocabile non determina soltanto il risarcimento del
danno, ma resta anche priva di effetti 8 .
8
Cfr. K. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, vol. II – Istituti, Milano,
1998, p. 53.
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La soluzione del risarcimento del danno è stata adottata, invece, dall’ordinamento
francese.
In quest’ultimo, vale in senso generale il principio della libertà della revoca, secondo cui
ogni proposta contrattuale può essere liberamente revocata fintantoché non sia stata accettata dalla
controparte.
Nel caso in cui il proponente abbia fissato espressamente un termine, si ritiene che questi
prima della scadenza possa comunque decidere di revocare l’offerta, ma in tal caso avrò l’obbligo di
risarcire il danno alla controparte.
Lo stesso vale anche nel caso in cui non sia stato apposto un termine preciso ma esso si
possa inequivocabilmente evincere dalle circostanze concrete del caso o dagli usi. Ad ogni modo, in
base ad una regola non scritta ma ampiamente condivisa una proposta contrattuale è seria quando
sia tenuta ferma per un tempo ragionevole.
Come si diceva poc’anzi, nel caso di revoca “ingiustificata”, il proponente è obbligato a
corrispondere il risarcimento del danno al destinatario che vi abbia fatto affidamento. La dottrina
francese ha però manifestato opinioni discordanti riguardo al fondamento giuridico di tale obbligo
risarcitorio.
Secondo alcuni autori, in questi casi ricorre una responsabilità per atto illecito, ex art. 1382
code civil 9 ; secondo altri, invece, il proponente che revochi la sua offerta prima del tempo debito,
sottraendo così al destinatario la possibilità di accettare, incorre in responsabilità precontrattuale per
violazione di un contratto preliminare implicito10 .
Quest’ultima impostazione si presenta senza dubbio un po’ forzata. Essa poggia, infatti, su
una finzione e cioè sull’idea che il proponente con la sua proposta contrattuale offra al destinatario,
oltre al negozio principale, anche la pattuizione di un accordo preliminare, in forza del quale egli si
obbliga a tener ferma la proposta principale per un determinato periodo di tempo.
Per questo motivo, la giurisprudenza ha prevalentemente seguito il primo orientamento, con
la conseguenza di accordare al contraente il risarcimento soltanto delle spese effettuate confidando
nella permanenza della proposta contrattuale. seguendo, invece, la dottrina del “contratto
9
Una parte della dottrina francese (Mazeaud e Tunc) ha sottolineato che la revoca della
proposta contrattuale è di per sé sempre consentita; soltanto in presenza di particolari
circostanze essa può considerarsi “abusiva”, determinando così una responsabilità del
proponente per “abuso di diritto”.
10
Più in dettaglio secondo questi autori (Planiol e Ripert), l’accordo sull’irrevocabilità della
proposta si realizzerebbe a mezzo di un tacito consenso, da cui derivi un contratto
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preliminare implicito”, si dovrebbe concludere che il proponente sia obbligato a risarcire l’intero
danno subito dalla controparte, come se il contratto fosse stato concluso.
In conclusione, sembra opportuno ricordare che nel nostro ordinamento la soluzione al
problema della revocabilità della proposta contrattuale è risolta dagli artt. 1328 e 1329 del codice
civile. In particolare, in base a tali disposizioni, “la proposta può essere revocata finché il contratto
non sia concluso. Tuttavia, se l’accettante ne ha intrapreso in buona fede l’esecuzione prima di
avere notizia della revoca, egli ha diritto ad essere indennizzato delle spese e delle perdite subite per
l’iniziata esecuzione del contratto (art. 1328 c.c.)” 11 .
La proposta contrattuale è invece irrevocabile, ex art. 1329 c.c., se il proponente si sia
espressamente obbligato a mantener ferma la proposta per un certo tempo; in questi casi, così come
avviene anche nell’ordinamento tedesco, si dovrà considerare l’eventuale revoca priva di effetto.
2.1 Accettazione e conclusione dell’accordo contrattuale.
Per quanto riguarda la dichiarazione di accettazione, diciamo innanzitutto in tutti gli
ordinamenti vale il principio basilare secondo cui essa realizza la conclusione del contratto soltanto
quando sia in tutto e per tutto conforme al contenuto della proposta.
Una difformità anche minima tra le due opposte dichiarazioni di volontà esclude, infatti, il
consenso contrattuale e perciò anche la formazione dell’accordo.
La maggior parte degli ordinamenti condivide, dunque, la seguente soluzione:
un’accettazione contenete elementi aggiuntivi o mancanti rispetto alla proposta deve essere
considerata come una nuova proposta.
È noto che, nel nostro ordinamento, tale principio risulta codificato nell’art. 1326, ult.
comma, c.c., il cui contenuto è sostanzialmente conforme a quello del 2° comma del § 150 BGB.
Le due predette norme presentano, tuttavia, una differenza relativamente al caso di
“accettazione tardiva”: la norma tedesca, infatti, stabilisce semplicemente che “l’accettazione
preliminare implicito. Cfr. K. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, cit., p.
50.
11
Si fa notare che il legislatore italiano fa riferimento al diritto del destinatario ad essere
indennizzato e non al risarcimento del danno. A tal proposito si ricorda che mentre il
risarcimento del danno presuppone un illecito, l’indennità presuppone la sussistenza di un
danno derivante da un fatto di per sé lecito. Ciò significa che la proposta, quando non sia
stato previsto un termine, deve essere considerata legittimamente revocabile fino al
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tardiva di un’offerta contrattuale è considerata come nuova offerta (§ 150, 1° comma, BGB);
diversamente l’art. 1326, 3° comma, dispone che “il proponente può ritenere efficace l’accettazione
tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all’altra parte”.
A ben guardare, le precedenti disposizioni sono, in sostanza, dei corollari al principio
generale comune a tutti gli ordinamenti, e cioè al principio che il contratto si perfeziona mediante
un’accettazione conforme alla proposta contrattuale precedentemente inoltrata da una delle parti
all’altra.
Esistono, tuttavia, soluzioni diverse in merito al momento di conclusione del contratto.
La soluzione del problema del momento di perfezionamento dell’accordo contrattuale
necessita di una preliminare distinzione a seconda che l’accordo venga concluso “inter praesentes”,
cioè attraverso la contestuale manifestazione/dichiarazione di volontà dei soggetti contraenti,
oppure per fasi successive, ossia mediante una proposta ed un’accettazione differite nel tempo.
Mentre nel primo caso non sorge dubbio alcuno che il momento di perfezionamento sia
quello in cui avvenga lo scambio del consenso – soluzione condivisa in tutti gli ordinamenti 12 – nel
secondo, invece, si riscontrano nei vari ordinamenti soluzioni differenti.
Si individuano a tal proposito tre diversi principi: il principio della cognizione; il principio
della ricezione e il principio della spedizione.
In base al principio della cognizione, il contratto “inter absentes” – cioè tra persone che
non siano in comunicazione diretta tra loro – si conclude nel momento in cui il proponente abbia
l’effettiva conoscenza dell’avvenuta accettazione da parte del destinatario della proposta
contrattuale. Tale principio muove dalla duplice considerazione che, da un lato, non si può
ammettere l’esistenza di un vincolo contrattuale senza che i soggetti contraenti ne abbiano la piena
consapevolezza e, dall’altro, che tale consapevolezza si acquista soltanto con la notizia della
completa adesione alla proposta dell’altra parte.
Diversamente, in base al principio della ricezione, il contratto si perfeziona quando la
dichiarazione dell’accettante giunga all’indirizzo del proponente in modo che questi ne possa venire
a conoscenza. Non assume importanza, quindi, se il proponente abbia avuto conoscenza effettiva
momento dell’accettazione. Cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2003, p.
631.
12
È interessante mettere in evidenza che la contestuale manifestazione di volontà tra i
contraenti può avvenire non solo nel caso in cui questi si trovino uno di fronte all’altro, ma
anche quando essi siano in comunicazione diretta grazie ad uno strumento di
comunicazione come il telefono. I tutti gli ordinamenti presi in considerazione – sia di Civil
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dell’accettazione della controparte, né il proponente è ammesso a provare di essersi trovato senza
sua colpa nell’impossibilità di conoscere la comunicazione pervenuta al suo indirizzo.
Infine, vi è il principio della spedizione – talvolta anche indicato come principio della
dichiarazione – secondo cui il contratto deve considerarsi concluso nel momento in cui l’accettante
emette la sua dichiarazione affermativa e la invia all’indirizzo del proponente13 .
Orbene, procedendo a ritroso, vediamo che quest’ultima soluzione è adottata dagli
ordinamenti di Common law.
Nel diritto anglo-americano, infatti, vige la cosiddetta “Mailbox rule” – o “teoria della
buca delle lettere” – in base alla quale il contratto è concluso non già nel momento in cui
l’accettazione giunge al proponente bensì sin dal momento in cui tale accettazione venga inviata a
destinazione, ossia consegnata all’ufficio postale, nel caso in cui si tratti di comunicazione scritta. A
ben guardare, tale principio bilancia la regola della libera revocabilità della proposta. Più in chiaro,
la ratio che sottende la “Mailbox rule” è quella di privare al più presto il proponente della facoltà di
revoca, o rispettivamente di liberare il destinatario dal rischio della revoca fin dal momento in cui
egli imbuchi la lettera contenente l’accettazione, senza dover quindi attendere che essa giunga al
destinatario 14 .
L’ordinamento tedesco, invece, segue il principio della ricezione dell’accettazione da parte
del proponente.
In verità, la questione del momento di perfezionamento del contratto viene risolta dal BGB
attraverso il rinvio alla regola generale per cui ogni dichiarazione di volontà – e quindi anche la
dichiarazione di accettazione che segue la proposta contrattuale – acquista efficacia nel momento in
cui “raggiunge” il destinatario, cioè nel momento in cui entra nella sua sfera di influenza.
Secondo la dottrina tedesca tale soluzione ha il merito di ripartire equamente i rischi
connessi al percorso che l’accettazione deve compiere per giungere al destinatario. Infatti, colui che
invia la dichiarazione e definisce il mezzo ed il percorso della comunicazione, assume anche i rischi
che da ciò scaturiscono; il destinatario, invece, sopporta i rischi relativi alla propria sfera di
influenza per cui prevale la conoscibilità della comunicazione e non la sua effettiva conoscenza
anche nel caso in cui il destinatario fosse senza sua colpa impossibilitato ad apprenderla.
law che di Common law – i contraenti che comunichino per telefono sono considerati
“praesentes”.
13
Cfr. F. Galgano, Atlante di diritto comparato, cit., p. 78 e ss.
14
Cfr. K. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, cit.
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Per quanto riguarda il nostro ordinamento, va detto innanzitutto che l’art. 1326, 1° comma,
c.c., stabilisce che “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha
conoscenza dell’accettazione dell’altra parte”.
La completa adesione al principio della cognizione, che appare dall’enunciato della
disposizione appena citata, è tuttavia mitigata dalla presunzione di conoscenza prevista dall’art.
1335 c.c. Tale norma prevede in senso generale che “la proposta, l’accettazione, la loro revoca e
ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui
giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato senza sua colpa,
nell’impossibilità di averne notizia”.
Molto più elastica è, infine, la soluzione adottata nell’ordinamento francese.
In Francia, in assenza di disposizioni ad hoc, la giurisprudenza ha sempre ritenuto che la
dichiarazione di accettazione produca i suoi effetti in un momento da determinarsi in base alle
circostanze concrete della fattispecie e, in particolare, tenendo conto dell’interpretazione della
volontà delle parti contraenti. In base a tale assunto, vi sono state decisioni ispirate ad ognuno dei
principi dapprima analizzati 15 .
15
Cfr. P.G. Monateri – R. Sacco, Il contratto in diritto comparato, in Dig, IV, disc. priv.,
sez. civ., vol. IV, Torino, 1989, p. 142.
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3 La serietà dell’intento contrattuale.
Tra le problematiche comuni a tutti gli ordinamenti giuridici relativamente alla disciplina del
contratto vi è quella della verifica della serietà dell’impegno contrattuale vicendevolmente assunto
dalle parti.
È sempre necessario, infatti, stabilire dei parametri oggettivi in base ai quali poter operare
una distinzione tra negozi tutelabili davanti alla legge e negozi che non possono essere considerati
giuridicamente rilevanti.
In primis, occorre sottolineare che la discussione sulla serietà della relazione intersoggettiva
riguarda sia la volontà delle parti di ammettere o di escludere la vincolatività della loro promessa (o,
più genericamente, delle loro affermazioni), sia l’oggettiva idoneità dell’accordo concluso a
produrre effetti giuridici; tale idoneità è direttamente collegata al fatto che l’accordo si presenti
completo di tutti i requisiti richiesti dall’ordinamento e meritevole di tutela secondo i principi
generali di quest’ultimo.
Bisogna premettere che il primo dei suddetti aspetti assume particolare rilevanza negli
ordinamenti di Common law, dove è molto diffusa la pratica dei cosiddetti “gentleman’s
agreementes”, cioè di accordi la cui vincolatività giuridica è espressamente esclusa dalle parti.
In termini più generali, si può dire che nei sistemi di Common law il problema della serietà
dell’accordo contrattuale è risolto attraverso il ricorso a due elementi fondamentali, quali l’intention
to create legal relation e la consideration.
Per quanto riguarda la prima, mentre nei Paesi dell’Europa continentale il contratto è
generalmente identificato nell’incontro di due opposte volontà che presenti determinati requisiti di
forma e di sostanza, nel diritto anglo-americano l’esistenza di un accordo di questo tipo può non
dare vita ad un vero e proprio vincolo giuridico tutte le volte in cui le parti abbiano espressamente
relegato il loro accordo al piano della mera cortesia e correttezza 16 .
Inizialmente, la pratica dei cosiddetti gentleman’s agreements, cioè degli accordi di cortesia
privi di effetti giuridici vincolanti, riguardava soltanto i rapporti patrimoniali tra coniugi o
comunque tra soggetti legati da particolari vincoli. Con l’andar del tempo essa si è notevolmente
ampliata ed ha coinvolto anche l’ambito dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali. Si può
dire, anzi che proprio dalla grande diffusione di tali pattuizioni sono derivati dei modelli tipici di
16
Cfr. G. Alpa, Contratto nei sistemi di common law, in Dig, disc. priv. – sez. civ., vol. IV,
Torino, 1989, p. 166.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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“patti tra gentiluomini”, tra cui si annoverano soprattutto le “lettere d’intenti” e le “lettere di
patronage”, entrambe molto utilizzate nella pratica delle trattative commerciali.
In questa sede, sembra opportuno indagare maggiormente sul primo dei due modelli appena
citati.
Si è già detto che l’espressione “letter of intent” riguarda, in buona sostanza, i documenti
che le parti si scambiano durante la fase delle trattative contrattuali; bisogna precisare, però, che di
là dal comune denominatore dell’attitudine preparatoria del contratto definitivo, con la predetta
espressione si designano accordi di diverso contenuto.
In termini più semplici, esistono lettere d’intenti che perseguono il solo scopo di registrare
l’esistenza di un contatto tra le parti e che indicano perciò soltanto i punti affrontati o da affrontare
prima di addivenire ad un accordo vero e proprio; lettere in cui si stabiliscono precisamente i tempi
e le modalità delle successive trattative; lettere in cui le parti si impegnano reciprocamente a trattare
e a concludere un futuro contratto e così via.
Di fronte a questa variegata tipologia, il primo problema che sorge riguarda la difficoltà di
stabilire con certezza se si tratti di un vero e proprio accordo contrattuale oppure di una mera lettera
di intenti, qualora non appaia nessuna espressa volontà delle parti né in un senso né nell’altro.
Appare infatti ovvio che nel caso in cui le parti stesse abbiano precisato nello scritto che
l’accordo preso non debba essere considerato giuridicamente vincolate, tale volontà venga rispettata
dalle Corti. Soprattutto i tribunali inglesi si allineano all’intento dichiarato dalle parti e collocano
questi accordi al di fuori dell’area del contratto, giudicandoli privi di coattività. In verità anche le
Corti nordamericane sono riluttanti a riconoscere forza vincolante a lettere che le parti stesse
abbiano espressamente qualificato come non vincolanti; esse, tuttavia, giudicano del tutto
irrilevante la mera denominazione dei documenti, per cui qualora nulla venga specificato nel corpo
dell’accordo, attribuiscono maggiore rilevanza alle circostanze materiali rispetto all’intestazione del
documento stesso.
In tutti i casi in cui invece manchi l’espressa volontà della parti, sorge sostanzialmente un
problema di “costruction”, cioè di ricostruzione della volontà delle stesse, al fine di accertare se una
lettera di intenti esprima l’intenzione di concludere un accordo o se il suo contenuto possa essere
considerato di per sé già sufficiente a formarlo.
Il problema è aperto e si inserisce nel quadro del complesso dibattito relativo alla possibilità
di riconoscere l’ammissibilità del contratto preliminare in Common law.
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Da quanto affermato, sembra però evidente alla figura unitaria del contratto preliminare dei
sistemi dell’area di civil law, che è un contratto completo e perfetto, e dunque, produttivo di effetti
vincolanti, si contrappongono nell’esperienza anglo-americana diverse figure di accordi considerati
solo parzialmente completi o in attesa di completamento.
3.1 Gli elementi del consenso: volontà e dichiarazione.
Affinché possa assumere rilevanza esterna, è necessario che ciascuna volontà negoziale
venga manifestata o dichiarata.
L’interno volere di un soggetto non ha, infatti, alcun valore finché non trovi un’espressione
grazie alla quale, acquistando importanza sociale, diventi un fenomeno giuridico 17 .
È con la dichiarazione (o manifestazione) rivolta all’esterno e quindi diretta a fondare
l’altrui affidamento che la volontà negoziale viene presa in considerazione dall’ordinamento
giuridico, rendendo possibile la formazione dell’accordo.
La manifestazione esterna della volontà negoziale, tuttavia, non deve necessariamente
coincidere con una dichiarazione: occorre sottolineare, infatti, che l’accordo contrattuale può essere
sia espresso che tacito.
Nei vari ordinamenti, non è rinvenibile una norma specifica che stabilisca una precisa
definizione dei due tipi di accordo; è evidente, però, che la distinzione risiede nel modo in cui viene
esteriorizzata la volontà.
Ne consegue che l’accordo è espresso quando – come accade nella larga maggioranza delle
ipotesi – risulti composto da due dichiarazioni di volontà espresse a parole o per iscritto; è, invece,
tacito – secondo la concorde opinione della dottrina di tutti i Paesi – quando i contraenti manifestino
la propria volontà mediante comportamenti concludenti, che non costituiscono mezzi di linguaggio,
dai quali si possa desumere con certezza l’esistenza dell’intento contrattuale (Bianca).
In altre parole, vi è accordo tacito in tutti i casi in cui l’accettante piuttosto che comunicare
l’accettazione, dia spontaneamente esecuzione alla prestazione prevista a proprio carico.
Nel nostro ordinamento, quest’ipotesi è regolata dall’art. 1327 c.c. il quale al 1° comma
dispone che: «Qualora su richiesta del proponente o per la natura dell’affare o secondo gli usi, la
prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel
luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione».
17
Cfr. F. Santoro Passatelli, Dottrine generali di diritto civile, Napoli, ed. 1997, p. 145.
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In senso più generale, invece, il § 151 BGB ammette che il contratto possa perfezionarsi
“senza che l’accettazione debba essere dichiarata nei confronti del proponente ove una siffatta
dichiarazione non era da attendersi secondo gli usi del traffico giuridico”.
La distinzione in esame è conosciuta anche dagli ordinamenti di Common law dove alla
cosiddetta “acceptance by declaration” – accettazione mediante dichiarazione – si affianca la
cosiddetta “acceptance by conduct”; quest’ultima, a sua volta, può essere “by performance” oppure
“by other conducts”.
È interessante mettere in evidenza che in Common law le ipotesi appena citate vengono
integrate nella categoria del cosiddetto unilateral contract.
Ne consegue, dunque, che in quest’area giuridica il concetto di contratto unilaterale non
designa come in Civil law il contratto con obbligazioni a carico di una sola delle parti (si ricorda che
in questo caso mancando lo scambio e quindi la consideration non si parla neppure propriamente di
contract) ma attiene ai modi di formazione del consenso contrattuale che, in questi casi, risulta da
una sola dichiarazione espressa, essendo l’altra implicita nell’esecuzione del contratto.
Al tema dell’accordo tacito appartiene anche il problema del valore giuridico da attribuire al
silenzio.
Secondo una regola generale, seguita dalla maggior parte degli ordinamenti, il silenzio non
può valere come accettazione tacita di una proposta contrattuale, ad eccezione dei casi in cui, per il
concorso di varie circostanze o sulla base di accordi precedentemente presi dalle parti stesse, esso
assuma una significazione sicura della volontà del soggetto.
Soltanto nell’ordinamento svizzero è codificata una soluzione diversa, allorché viene
stabilito che “quando la natura particolare del negozio o le circostanze non importino una
dichiarazione espressa, il contratto si considera concluso se entro un congruo termine la proposta
non è respinta. È evidente che qui è lo stesso legislatore ad attribuire un valore giuridico specifico al
silenzio del destinatario di un’offerta contrattuale.
In tutti gli altri, ordinamenti, invece, la volontà deve essere in linea generale, esternata per il
tramite di una dichiarazione.
Uno dei problemi più dibattuti dalla dottrina riguarda l’ipotesi in cui si verifichi un contrasto
tra la volontà “interna” del soggetto contraente e la dichiarazione “esterna” che questi ne abbia
fatto.
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Una prima impostazione assegna priorità alla volontà del dichiarante, giacché in base al
principio dell’autonomia privata gli effetti giuridici sono principalmente originati dalla volontà
liberamente formata dal soggetto.
L’altra impostazione, al contrario, considera fondamentale l’elemento esteriore della
dichiarazione, dal momento che l’ordinamento giuridico – per ragioni di sicurezza nei traffici – può
prendere in considerazione la volontà interiore del dichiarante solo nella misura in cui essa sia
conforme al significato che viene comunemente attribuito alla dichiarazione da parte di un soggetto
ragionevole 18 .
Il problema operazionale sottostante consiste nel sapere se, superato ogni problema di prova,
la volontà prevalga su una dichiarazione difforme, o se la dichiarazione sia produttiva di effetti
anche se non supportata da una volontà conforme .
In merito, si può dire che non si deve presupporre che necessariamente gli ordinamenti
debbano propendere sempre per l’una o per l’altra impostazione. La dottrina comparatistica ha,
infatti, giustamente osservato che il peso specifico di ciascun elemento deve ricavarsi in relazione
agli effetti del contratto, ovvero in relazione alla capacità che hanno i vizi che affliggono tali
elementi di travolgere o impedire gli effetti del contratto 19 .
18
Cfr. K. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 105.
Cfr. P.G. Monateri – R. Sacco, Il contratto in diritto comparato, in Dig, IV, disc. priv.,
sez. civ., cit., p. 143.
19
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4 I vizi del volere (errore, violenza e dolo).
Al tema degli elementi del consenso si affianca generalmente quello dei vizi del volere,
ossia dei fatti anomali che turbano il processo di formazione della volontà, come l’errore, la
violenza (morale) e il dolo.
In tutti gli ordinamenti si afferma concordemente che non ogni errore in cui sia incorso uno
dei contraenti, consente a questi di sottrarsi agli effetti derivanti dalla propria dichiarazione
negoziale. È altrettanto pacifico ritenere, tuttavia, che in presenza di determinate circostanze,
l’errante possa far valere la sussistenza di un errore nella propria volontà/dichiarazione negoziale,
frustrando così anche la posizione della controparte.
La questione della linea di demarcazione tra l’errore giuridicamente rilevante e quello che
non possa essere considerato tale, è tanto antica quanto controversa.
Nell’area giuridica tedesca, il BGB, al § 119 fissa una distinzione fondamentale,
qualificando come giuridicamente rilevante l’errore sul negozio ed irrilevante quello sui motivi. Il
discrimen tra questi due tipi di errore consiste nel fatto che mentre il primo è sostanzialmente un
errore di dichiarazione, nel senso che il dichiarante abbia formato la sua volontà libera da errore,
manifestandola però in modo errato, nel secondo è la volontà stessa ad essere viziata, nel senso che
se non vi fosse stato l’errore il dichiarante non avrebbe espresso quella determinata volontà
negoziale.
La predetta distinzione teorica ha assunto contorni molto più sfumati sul piano
dell’applicazione pratica: nella giurisprudenza tedesca, infatti, l’errore sia sul negozio che sui
motivi consente l’impugnazione del negozio qualora riguardi qualità essenziali del soggetto o
dell’oggetto del contratto.
Passando all’analisi del diritto francese si rileva innanzitutto che la disciplina dell’errore
del code civil, fornisce al giudice d’Oltralpe parametri meno saldi rispetto a quelli del § 119 del
BGB.
L’unico riferimento normativo, infatti, si rinviene nella generica affermazione secondo cui
“è rilevante solo l’errore che riguardi l’essenza dell’oggetto del contratto”.
Esigenze di tutela del destinatario hanno condotto gli interpreti ad elaborare il principio della
scusabilità dell’errore, benché di tale requisito dell’errore non vi sia precisa traccia nel codice
francese.
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Dalle pronunce della giurisprudenza si deduce, dunque, che l’errore è ritenuto inescusabile
e, dunque, irrilevante quando dalle circostanze si possa evincere che il soggetto errante avrebbe
potuto evitare l’errore se avesse raccolto adeguate informazioni prima della conclusione del
contratto.
L’errore inescusabile esclude totalmente la possibilità di invocare l’invalidità dell’accordo
contrattuale, anche quando si tratti di un errore assolutamente ostativo della presenza di una volontà
da parte del promettente.
L’idea di una scusabilità dell’errore fu recepita dal nostro ordinamento che in materia di
errore ha previsto, ex artt. 1429-1433 del codice civile, una disciplina molto più dettagliata rispetto
a quella francese.
In base alle predette norme, nell’ordinamento giuridico italiano, l’errore per essere rilevate
ai fini dell’annullamento del contratto deve essere essenziale e riconoscibile dall’altro contraente
(art. 1428 c.c.). Relativamente al primo requisito, è lo stesso legislatore a stabilire, attraverso una
puntuale elencazione contenuta nell’art. 1429 c.c., i casi in cui l’errore debba essere ritenuto
essenziale 20 .
L’errore si considera, invece, riconoscibile “quando, in relazione al contenuto, alle
circostanze del contratto, ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza
avrebbe potuto rilevarlo” (art. 1431 c.c.).
Abbastanza complessa è, poi, la dottrina dell’errore nell’area giuridica di common law.
Innanzitutto, si rileva che il diritto anglo-americano presenta una sistematica diversa dai
Paesi dell’Europa continentale, laddove al posto della distinzione tra errore e dolo, differenzia due
diversi tipi di errore sulla base della provenienza dello stesso, ossia a seconda che esso sia stato o
meno causato da un’inesatta dichiarazione proveniente dalla controparte.
Più precisamente si parla di misrepresentation tutte le volte in cui uno dei contraenti abbia
violato un duty to declare, omettendo di fornire alla controparte informazioni importanti ai fini del
contratto ed inducendola quindi in errore 21 . Tale comportamento può essere posto in atto sia
20
L’art. 1429 c.c. stabilisce che: «L’errore è essenziale: 1) quando cade sulla natura o
sull’oggetto del contratto; 2) quando cade sull’identità dell’oggetto della prestazione,
ovvero sopra una qualità dello stesso che, secondo il comune apprezzamento o in relazione
alle circostanze deve ritenersi determinante per il consenso; 3) quando cade sull’identità o
sulle qualità della persona dell’altro contraente, sempre che l’una o le altre siano state
determinanti per il consenso; 4) quando, trattandosi di errore di diritto, è stata la ragione
unica o principale del contratto».
21
Si precisa che la misrepresentation è descritta, in generale, come una dichiarazione
emessa prima o durante la conclusione del contratto, dichiarazione che – da sola o insieme
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volontariamente, cioè con intento fraudolento o ingannatorio, che involontariamente. Nel primo
caso si ha la cosiddetta fraudolent misrepresentation, a cui si collega lo scioglimento del contratto e
il risarcimento del danno; nel secondo caso, invece, la cosiddetta innocent misrepresentation, grazie
alla quale il soggetto in errore poteva in passato richiedere soltanto l’annullamento del contratto, in
breve tempo.
In Inghilterra, la disciplina della misrepresentation 22 è disciplinata dal Misrepresentation
Act del 1967, ai sensi del quale l’errante, fermo il contratto, può agire per il risarcimento del danno,
anche laddove la controparte lo abbia indotto in errore senza avere l’intenzione di ingannarlo. Più
precisamente, in base al predetto documento normativo permane per il soggetto che abbia subito
una innocent misrepresentation la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto; tuttavia, il
tribunale può decidere che la parte in errore rimanga vincolata al contratto e riconoscerle, invece, il
diritto al risarcimento del danno 23 .
In Common law, l’errore che non dipenda da una dichiarazione inesatta della controparte,
viene denominato “mistake”.
La dottrina del mistake ha risentito fortemente della contrapposizione tra norme di common
law (in senso stretto, cioè derivanti dalla giurisprudenza delle corti ordinarie) e norme di equity,
poiché nella giurisprudenza di common law e nei tribunali dell’equity i casi di errore sono stati
risolti in modo differente.
Secondo la prima, infatti, il mistake ha rilevanza soltanto in casi particolarmente gravi e,
pertanto, esso produce la voidness (cioè la nullità) del contratto. Di fronte a tali restrizioni, le Corti
di equity decisero di estendere la rilevanza dell’errore anche ad altri casi meno gravi, collegandovi
però la voidableness (cioè l’annullabilità) del contratto.
In sintesi, in common law, il contract è void: quando il mistake dell’accettante cade
sull’identità della controparte, cui tale circostanza sia nota; quando nonostante le apparenze, le due
con altre circostanze – ha indotto il destinatario a concludere il contratto. Cfr. Zweigert e H.
Kötz, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 127.
22
Nel Common law inglese, il dolo (fraud) è trattato insieme alla misrepresentation.
Nell’esperienza nordamericana, invece, esso è oggetto di statutes dei singoli Stati e quindi
non appartiene al common law propriamente detto, ma allo statute law. Cfr. G. Alpa,
Contratto nei sistemi di common law, in Dig, disc. priv. – sez. civ., vol IV, Torino, 1989, p.
173.
23
Si precisa che generalmente il soggetto in errore viene ritenuto vincolato al contratto
quando, nonostante una misrepresentation giuridicamente rilevante, abbia richiesto la
risoluzione del contratto dopo un periodo di tempo irragionevolmente lungo; lo stesso
accade, a maggior ragione, qualora egli abbia in altro modo confermato il contratto per
facta concludentia. Cfr. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 127.
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dichiarazioni siano difformi; quando, sebbene la condotta di una della parti sia tale da essere
ragionevolmente scambiata per un’accettazione dell’offerta, la controparte fosse a conoscenza della
mancanza di volontà dell’accettante. La giurisprudenza dell’equity è andata oltre i predetti limiti,
ammettendo lo scioglimento del contratto con effetto ex nunc (rescission), oppure la rettifica dei
contratti viziati a causa di una disattenzione al momento della redazione scritta (rectification o
reformation), in tutti i casi in cui non era ammesso alcun rimedio, secondo i principi di Common
law.
Anche nel diritto nordamericano è radicata la tendenza a limitare i casi di impugnazione a
causa di errore. Da un’analisi sommaria delle decisioni dei tribunali americani si ricava che i
parametri a cui si fa riferimento nelle fattispecie relative alla tematica in questione sono: la
scusabilità dell’errore per il soggetto che vi incorre; la riconoscibilità dello stesso da parte dell’altro
contraente; la rilevanza degli atti di disposizione patrimoniale che sono stati o potevano essere
effettuati da parte di chi invece confidava nella veridicità della dichiarazione e, infine, la possibilità
di ristabilire lo status quo ante. Tutte queste circostanze sono oggetto di analisi da parte del giudice
americano e svolgono un ruolo più o meno importante ai fini della decisione a seconda del caso
concreto 24 .
In tutti gli ordinamenti giuridici presi in considerazione, contestualmente all’errore viene
disciplinato anche il dolo. Ovunque si riconosce il principio che quando l’inganno doloso di una
delle parti abbia indotto l’altra a contrarre, questi può richiedere l’annullamento del contratto
indipendentemente dalla natura dell’errore provocato.
Avendo già trattato l’area di common law, dove – come abbiamo appena sottolineato – il
dolo coincide sostanzialmente con la fraudolent misrepresentation analizziamo brevemente l’area
dei Paesi di Civil law.
Questi ultimi sono accomunati da una disciplina che risente dell’antica distinzione tra dolus
causam dans contractui – vale a dire l’inganno che abbia determinato il soggetto raggirato a
concludere il contratto – e dolus incidens in contractum che, invece, incide soltanto sul contenuto
del contratto, nel senso che senza l’inganno della controparte il soggetto avrebbe comunque
concluso il contratto ma a condizioni diverse. Nel primo caso, il soggetto ingannato è legittimato a
richiedere lo scioglimento del vincolo contrattuale; nel secondo, invece, il soggetto potrà richiedere
solo il risarcimento del danno. 25
24
25
Cfr. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 129.
Cfr. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 134.
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Gli ordinamenti di Civil law disciplinano tra i cosiddetti vizi della volontà, accanto all’errore
e al dolo, anche la violenza morale.
Il concetto di violenza morale si identifica con quello di minaccia e si differenzia dalla
violenza fisica, in quanto si ritiene che in tal caso nel soggetto costretto fisicamente non si sia
formata alcuna volontà negoziale, per cui il contratto non può che ritenersi completamente nullo.
Diversamente quando non vi sia stata coazione fisica, ma soltanto una costrizione morale, nel senso
che il soggetto abbia dichiarato la propria volontà negoziale sotto minaccia di un danno grave a sé,
alla sua famiglia o al suo patrimonio, il contratto è generalmente considerato viziato e quindi
soggetto ad annullamento.
Anche nell’area di Common law il contratto concluso per effetto di una “pressione”
(duress) 26 che una parte abbia esercitato sull’altra è in genere annullabile (voidable), tranne nei casi
più gravi dove è ritenuto del tutto nullo (void).
È importante precisare che in common law, il concetto di duress è inteso più nel senso di
minaccia di subire una violenza fisica. Di conseguenza, per ottenere ugualmente il rimedio dello
scioglimento del vincolo contrattuale in tutti gli altri casi in cui vi fosse la minaccia di un danno, ma
non direttamente la minaccia di una violenza fisica, si è sviluppata all’interno della giurisprudenza
dell’equity il concetto di undue influence.
26
La dottrina ha evidenziato che la violenza può essere anche espressione di una
preponderante forza economica. In questi casi, si parla specificamente di economic duress.
Cfr. G. Alpa, op. cit., p. 174.
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5 Causa e consideration.
In tutti gli ordinamenti appartenenti alla cosiddetta civiltà giuridica occidentale si ritiene che
l’accordo, anche laddove si sia legittimamente formato, non è sufficiente a vincolare le parti; esso
deve, infatti, essere sorretto anche dalla causa – negli ordinamenti di civil law – e dalla
consideration – negli ordinamenti di common law –.
Tra gli elementi fondamentali del contratto, quindi, accanto all’accordo si annoverano
rispettivamente anche la causa e la consideration.
Da questa affermazione sembrerebbe che causa e consideration svolgano il medesimo ruolo
e la medesima funzione nelle due diverse aree.
In verità però, sebbene si tratti di elementi affini, tra di loro esistono importanti differenze.
Partendo dal concetti di causa, diciamo innanzitutto che essa è normalmente definita come la
funzione economico-sociale del contratto, ossia la ragione che lo sottende e il fine che esso intende
realizzare.
Tale nozione è comune all’ordinamento italiano e a quello francese. Sia in Italia che in
Francia, in materia di contratti vale il principio di causalità, secondo cui l’accordo senza causa, o
poggiato su una causa illecita, non può avere alcun effetto.
Diversamente, l’ordinamento tedesco, pur conoscendo il concetto di causa appare
maggiormente orientato verso l’opposto principio dell’astrattezza. Più precisamente, in
Germania il problema della causa non si pone in senso generale per tutti i contratti, ma soltanto per
i “contratti con efficacia obbligatoria”, dai quali sorgono cioè obbligazioni a carico delle parti.
Questi ultimi sono considerati consensuali e “causali” e la causa si identifica nello scambio
reciproco delle prestazioni. Al contrario, i contratti “con effetti reali” sono “astratti”, nel senso che
l’effetto del trasferimento (ad esempio) della proprietà di una cosa mobile o di un bene immobile si
ha anche se l’accordo non esisteva o era nullo purché però vi siano state rispettivamente la consegna
o l’iscrizione dell’alienazione nei libri fondiari.
Da ciò si evince una certa affinità con il common law, dove, in via generale, quando il
contratto sia stato concluso under seal, si può superare la necessità della presenza di una
consideration. Ciò deriva dal fatto che grazie al requisito della forma si può– in un certo senso –
“rinunciare” a verificare la serietà dell’impegno, che normalmente è collegata alla sussistenza di
una consideration.
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Per quanto riguarda quest’ultima, v’è da dire che sia il common law inglese che quello degli
USA considerano “seria” una promessa contrattuale (di prestazione) solo qualora essa venga
effettuata in vista di un sacrificio da parte del destinatario. Vi deve essere, cioè, un rapporto di
scambio un “do ut des” che testimoni la vera volontà dei soggetti di creare un vincolo contrattuale.
Dal momento che una promessa priva di corrispettivo da parte del destinatario è considerata
giuridicamente inefficace, la presenza della consideration viene ad essere, nel diritto angloamericano, un requisito di efficacia per tutti i contratti, ad eccezione soltanto di quelli conclusi
“under seal” e cioè in forma solenne.
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6 La forma.
In tutti gli ordinamenti appartenenti alla cosiddetta civiltà giuridica occidentale, vale il
principio generale della libertà della forma del contratto, in base al quale il requisito della forma
non è di per sé essenziale alla validità/esistenza del contratto, ma lo diviene nei casi in cui sia la
stessa legge a prescrivere espressamente che l’accordo contrattuale venga concluso in una
determinata forma negoziale.
Le disposizioni sulla forma del contratto, di natura eccezionale, sono tuttavia presenti in tutti
gli ordinamenti moderni, nel senso che in ognuno di essi è possibile riscontrare norme che
stabiliscono, in relazione a specifici negozi, l’osservanza di particolari forme.
Relativamente alla funzione del requisito della forma, è altresì comune a tutti gli
ordinamenti la distinzione tra la forma ad substantiam e forma ad probationem.
In base ad un’indagine storica delle disposizioni vigenti nei vari ordinamenti, la dottrina
comparatistica ha messo in evidenza che inizialmente, la forma veniva prescritta per scopi
probatori, ossia al fine di facilitare la prova sia della conclusione del contratto che del suo
contenuto 27 . La mancata osservanza di tale requisito non aveva nessuna ripercussione sull’esistenza
e sulla validità dell’accordo; ad essa venivano collegati unicamente sanzioni di ordine processuale.
Successivamente ci si accorse che l’obbligo di rispettare il requisito formale evitava che le
parti assumessero impegni in modo affrettato, dando loro la possibilità di riflettere adeguatamente e
di assumere l’impegno con assoluta serietà. Da qui, è sorta l’altra funzione tipica del requisito
formale, ossia quella di determinare la validità di alcuni accordi di particolare importanza. In questi
casi, si dice che la forma è stabilita ad substantiam, per significare che senza di essa l’accordo non
può considerarsi validamente concluso.
Ciò premesso, entriamo nel vivo dell’analisi comparatistica analizzando le soluzioni adottate
nei vari ordinamenti.
Nel nostro ordinamento, ad esempio, all’art. 1350 c.c. prescrive la forma scritta ad
substantiam, sotto pena di nullità per una serie di contratti determinati. Si tratta, in particolare, dei
contratti volti al trasferimento di beni immobili ed alla costituzione, modificazione e trasferimento
di diritti reali sugli immobili, rispetto ai quali la mancata osservanza del suddetto requisito formale
comporta la nullità dell’accordo.
27
Cfr. K. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 58.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Privato Comparato
Lezione V
In altri casi, il nostro legislatore ha prescritto la forma scritta non già per la validità del
contratto ma a fini probatori; in questo senso si esprime, ad esempio, l’art. 1967 c.c., che stabilisce
che, fermo restando il disposto dell’art. 1350, n. 12, la transazione – cioè il contratto con cui le parti
cercano di comporre una controversia per mezzo di reciproche concessioni – “deve essere provata
per iscritto”.
La distinzione tra le ipotesi in cui l’osservanza della forma costituisce un presupposto di
validità del negozio e quelle in cui il negozio in assenza della forma prescritta è di per sé valido ma
non potrà essere provato davanti al giudice, oppure potrà essere provato solo con mezzi molto
limitati, accomuna tutti gli ordinamenti dell’area romanistica che, su questo punto, hanno seguito il
modello francese.
Nel diritto francese esistono pochi casi in cui l’osservanza della forma scritta configura un
requisito di validità. È importante precisare che in tutti i casi in cui la legge prescriva la forma
scritta – come nel caso delle donazioni (art. 931 code civil) o delle convenzioni matrimoniali (art.
1394 code civil) – è richiesta in sostanza la forma dell’atto notarile 28 .
Un’unica eccezione sembrerebbe contenuta nell’art. 2044 code civil, che stabilisce che il
contratto di transazione deve essere redatto per iscritto. Bisogna, tuttavia, evidenziare che tale
disposizione è normalmente interpretata dalla giurisprudenza nel senso che non viene esclusa la
validità del contratto di transazione concluso senza forma scritta, ma soltanto resa più difficile la
prova in giudizio.
Al di fuori dei predetti casi, in cui la forma scritta assume la funzione di requisito di validità
del negozio, l’art. 1341 code civil, prevede che tutti gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione –
più precisamente gli atti di valore superiore ad una data somma stabilita con decreto – possono
essere provati soltanto per mezzo di un atto pubblico (redatto dal notaio) o di una scrittura privata;
la mancata osservanza di tale requisito formale è sanzionata con l’esclusione della prova
testimoniale.
Nei sistemi giuridici dell’area tedesca – a cui appartengono principalmente Germania,
Austria e Svizzera – vale invece la regola opposta secondo cui il negozio giuridico privo della
forma prescritta dalla legge è, in linea di principio, nullo o invalido (cfr. § 125 BGB). Ne consegue,
28
È opportuno precisare che tali pubblici ufficiali sono conosciuti in tutti gli ordinamenti
dell’Europa continentale anche se la loro posizione giuridica è diversa da uno Stato
all’altro. Al contrario, la figura del notaio, come pubblico ufficiale investito del potere di
autenticazione dei negozi giuridici, è sconosciuta nell’ambito giuridico anglo-americano,
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Lezione V
quindi, che viene privilegiata la funzione di garanzia della serietà dell’intento negoziale, anche se
resta fuori di dubbio che attraverso la previsione di una forma scritta si perseguano contestualmente
anche finalità probatorie.
Le prescrizioni di forma sono sparse nelle varie norme dei codici civili dei suddetti Paesi ed
è lo stesso legislatore a disporre, a seconda dei casi, se sia sufficiente la forma della scrittura privata
o se invece occorra la certificazione notarile.
Infine, per quanto riguarda gli ordinamenti dell’area di Common law bisogna dire che le
regole vigenti in materia di forma sono fortemente condizionate dalla dottrina della consideration.
Il diritto anglo-americano considera vincolante una promessa di prestazione solo se esiste,
per converso, un “sacrificio” a carico del destinatario della stessa; in mancanza di tale reciproco
impegno, invece, le promessa sarà considerata efficace solo se effettuata nella forma di un
documento fornito di sigillo (under seal).
In verità, attualmente, la “sigillazione” dell’atto è scaduta ad una vuota formalità di poco
dissimile dalla semplice scritturazione dell’atto. In dettaglio, si ritiene sufficiente che venga
applicata sull’atto una marca da bollo o che sul foglio siano già prestampate le lettere “L.S.” (loco
sigilli) o la parola “seal”.
In sostanza, quindi, la dottrina della consideration comporta un vincolo di forma per tutti gli
accordi a titolo gratuito per i quali, cioè ad una prestazione non corrisponda alcuna
controprestazione dell’altra parte. In assenza di consideration, il promittente deve osservare la
formalità del “deed”.
Altri casi in cui l’osservanza di una forma specifica costituisce requisito di validità sono nel
diritto anglo-americano quanto mai rari. Piuttosto la mancata osservanza della forma prescritta fa sì
che il contratto sia considerato “unforceable”, che ossia non possa essere fatto valere davanti al
giudice 29 .
per cui gli ordinamenti di Common law non prevedono la forma dell’atto notarile. Cfr. K.
Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, cit, p. 60.
29
Cfr. K. Zweigert e H. Kötz, Introduzione al diritto comparato, cit., p. 68.
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INSEGNAMENTO DI DIRITTO PRIVATO COMPARATO