LA CITTÀ DEL SECONDO RINASCIMENTO BATTAGLIA DI CIVILTÀ BAT YE’OR CONTI DALLA VAL GALLI Giannelli MALENA MARCHETTI MASI MONTORSI MOROSATI MOSCATTI PIACENTINI RAIMONDI REGAZZI SAGUATTI SPADAFORA TONIOLO VENARA VERONESI ZENNARO TRIMESTRALE - N. 66 - Dicembre 2015 - Spedizione in abb. post. 45% - Legge 27/02/2004 n. 46, art. 1, comma 1. Filiale di Modena - Tassa pagata - Euro 5,00 66 BATTAGLIA DI CIVILTÀ 8 Sergio Dalla Val 34 La battaglia intellettuale 11 Industrializzazione e qualità artigianale per le macchine R.C.M. Bat Ye’or Le complicità europee 37 Caterina Giannelli 39 con lo jihadismo islamista 17 TRIMESTRALE, SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE Art. 2 - comma 20/B - Legge 23/12/96 n. 662 Pubblicità inferiore al 45%, a cura dell’Associazione Il secondo rinascimento Iscrizione al Registro Nazionale della Stampa n. 11021 e al ROC n. 6173 Numero 66. Stampato nel mese di novembre 2015, Officine Grafiche Litosei Srl, via Gioacchino Rossini 10, 40067 Pianoro (BO). EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna DIRETTORE RESPONSABILE: Sergio Dalla Val REDAZIONE E ABBONAMENTI: Bologna, via Galliera 62, 40121, tel. 051 248787 fax 051 247243 Modena, via Mascherella 23, 41100, tel. e fax: 059 237697 Sito internet: www.lacittaoline.com www.ilsecondorinascimento .it [email protected] EQUIPE DI REDAZIONE: Rossella Baiano, Roberto F. da Celano, Ornella Cucumazzi, Caterina Giannelli, Carlo Marchetti, Valentina Mattioli, Marco Moscatti, 19 Anna Spadafora 41 si annuncia la tempesta 42 La civiltà delle costruzioni per la città Bruno Conti diagnosi del tumore al seno 43 L’apporto del manifatturiero alla Paolo Moscatti non con la burocrazia 45 La responsabilità dell’impresa per Dante Marchetti sugli esami, non sulla salute 47 A scuola nell’azienda 31 dell’Ospedale Madonna della Salute 49 dove si festeggia la vittoria di tante partite 33 Investiamo nonostante la burocrazia Pier Luigi Montorsi No all’allarmismo contro la carne 53 Maurizio Venara Roberto Zennaro Tradizione e novità nell’area medica Marcello Masi Nuovo ristorante Exé 1985: Michele Malena Ecco un privato che fa sconti l’educazione dei giovani 29 Bruno Toniolo L’impresa vince con l’arte e la scienza, civiltà 27 Gianni Saguatti La tecnologia Giotto Class per la dell’avvenire 25 Andrea Roberto Morosati L’intervento del capitano quando o secondo rinascimento? Dino Piacentini Marco Regazzi A ogni epoca la sua 911 Quale Europa: minaccia islamica 20 Paolo e Marco Veronesi Dieci anni di Chantecler a Bologna La battaglia secondo la dissidenza Registrazione del Tribunale di Bologna n. 7056 dell’8 novembre 2000 Raimondo Raimondi Davide Galli La Carta di Bologna e la tutela del danneggiato Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo. Anna Maria Palazzolo, Fabio Pellizotti, Vincenzo Pisani, Daniela Prevedelli, Simone Serra, Panthea Shafiei, Anna Spadafora, Veronica Trasarti, Carlo Zucchi. EQUIPE ORGANIZZATIVA: Agnese Agrizzi, Pierluigi Degliesposti, Luca Monterumici, Silvia Pellegrino, Pasquale Petrocelli, Mirella Sturaro. In copertina: Opera di Mary Palchetti, Scardinare il tempo (ovvero: la clessidra impazzita), 2000, acrilico su tavola, cm 65x90 opera pubblicata per gentile concessione del Museum of the Second Renaissance (MilanoSenago) Oltre che nelle librerie, i numeri arretrati e gli abbonamenti si possono richiedere alla redazione di Bologna, via Galliera 62, tel. 051 248787 o tramite e-mail: [email protected]. Per la consultazione on line: www.ilsecondorinascimento.it www.lacittaonline.com 7 N el libro Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini (1754) Jean-Jacques Rousseau considera la civiltà, e in particolare la figura giuridica della proprietà, come la causa di tutti i mali e dell’infelicità della vita dell’uomo, che prima viveva libero nello stato di natura. Questa mitologia naturalistica, che risponde a un’idea di origine, offre le basi alla critica della civiltà degli Annali francotedeschi di Karl Marx (1844). Secondo Marx, la civiltà è fondata, sempre a causa della proprietà, sulla scissione tra lo stato e l’individuo e sull’alienazione di quest’ultimo. Più di cento anni dopo, nel libro Eros e civiltà (1955), Herbert Marcuse accuserà la civiltà di impedire il soddisfacimento delle pulsioni, a causa della sua organizzazione irrazionale e del dominio del principio di prestazione, e le opporrà una società basata sull’immaginazione. Il naturalismo utopico (anche l’idea di utopia dipende dall’idea di origine) di Marcuse manca la questione posta da Sigmund Freud già nel 1930, con il libro Il disagio nella civiltà, in cui obietta al comunismo che “la proprietà è un aspetto incancellabile della natura umana” e constata che ogni civiltà, non solo quella capitalistica, si fonda sul “compito assegnato a Eros di riunire uomini in una comunità”. Freud nota che questa esigenza di riunione propria della civilizzazione esige una gestione dell’amore, da finalizzare al contenimento dell’aggressività, che Freud ritiene causata proprio dalle limitazioni necessarie alla civiltà per canalizzare l’amore. “Ogni nuova rinuncia pulsionale”, scrive, “accresce la severità e l’intolleranza”, e non viceversa. Con queste annotazioni, Freud apre la via alla constatazione cifrematica che la civiltà fondata sul naturalismo poggia sull’idea di bene che deve economizzare il male. Per questa via, cerca il suo limite o la sua definizione negativa nella barbarie, da essa stessa ipotizzata e attribuita all’Altro, rappresentato nel nemico, che può essere anche un altro popolo o un’altra razza. Così ogni civiltà edificata sulla rinuncia pulsionale è intollerante, poggia sul discorso della guerra, sull’idea di un nemico da combattere, dunque è polemologica, come nota nel suo libro L’atto antitotalitario (1983) André Gluksmann. Ma è anche civiltà tanatologica: imponendo ai sudditi il sacrificio, dunque le colpe e le pene, trova, negli altri o nelle altre società, chi debba assumerlo, chi debba essere sacrificato, 8 S ergio D alla V al psicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna LA BATTAGLIA INTELLETTUALE chi debba espiare, anche con la morte. La civiltà tanatologica esige la vittima, parte dalla morte come pena, come espiazione; morte da assumere vivendo nella mortificazione (nell’islam la condizione di dhimmitudine – di cui parla Bat Y’e Or nel suo articolo – richiede all’infedele il pagamento della tassa (jizya) per vivere) o morendo nell’immolazione (come gli shahid, i cosiddetti martiri di Allah), due modi della vittimologia per negare l’attuale, il tempo, il fare, in nome della promessa dell’avvenire. Con la jizya si inaugura il fiscalismo come segno di sottomissione e come tangente per vivere: “Combattete quelli che non credono in Dio... finché non versino la tassa con le proprie mani dopo essersi umiliati”, scrive il Corano (IX, 29), che è servito di lezione anche per le burocrazie fiscali europee. La civiltà che si appella all’avvenire poggia sulla religione, che, come nota Freud, giustifica (ovvero, sia accetta sia limita) l’attuale in nome dell’avvenire. Non a caso Samuel Huntington, che nel libro Lo scontro di civiltà (1996) crede che “lo scontro di civiltà dominerà l’economia mondiale”, delinea le nove civiltà presunte protagoniste di questi scontri soprattutto a partire dalle loro religioni, affermando: “Quasi tutte le maggiori civiltà della storia sono state identifica- te con le grandi religioni del mondo”. Il presunto scontro di civiltà è scontro tra religioni, tra dottrine religiose come alibi delle dottrine politiche. Il fondamentalismo religioso deve affermare il primato del libro già scritto, della parola già detta, del dio antropomorfico, misericordioso e vendicativo, che ama gli amici e odia i nemici. La stessa formulazione “Ama il tuo nemico”, nota Freud, aumentando le rinunce pulsionali, incrementa l’intolleranza. E come mostra l’islamismo politico, il dio misericordioso e vendicativo è un dio che agisce e trae all’azione i suoi fedeli. Lo scontro delle civiltà di Huntington è scontro contro la civiltà e viene chiamato guerra mondiale, dunque resta nel discorso della guerra. Con il terrorismo islamista, questa guerra è globale, è contro la civiltà. La civiltà non è le civiltà, non si pluralizza come il dio delle religioni, il dio delle origini. Civilitas, la civiltà, da civis, cittadino romano. La civiltà non c’era a Babilonia o a Atene, è invenzione romana. Civitas era la cittadinanza, il diritto di cittadinanza che acquisivano gli abitanti dell’impero, a prescindere dalla nazione, dalla religione, dal censo. Civitas, poi civilitas. Non tante civilitas, ma la civilitas per ciascuno. E civitas era la città, la città dei cittadini, del fare, la città del tempo, non l’urbs, città dei muri, degli edifici, città spaziale. Se ciascuno è cittadino, non c’è più nemico. Civilitas è assenza di nemico, di conflitto, di scontro. Quando le cose si fanno secondo l’occorrenza, quindi secondo la tolleranza, in particolare l’accoglienza e l’ospitalità dell’Altro, s’insatura l’incontro, non lo scontro. L’incontro è nella parola, l’incontro è per via del racconto: nessun incontro senza il racconto. Lo scontro nega la parola, espunge l’Altro fondandosi sulla logica del terzo escluso di Aristotele. Espunto l’Altro, dio, nel luogo dell’Altro, agisce. Allora entra nella dicotomia misericordiosovendicativo. La filosofia aristotelica offre le basi all’islamismo politico, il terrorismo partecipa alla tanatologia. La civiltà è romana, nasce a Roma, si diffonde nel Mediterraneo, poi nell’Eu- Mary Palchetti, Case dello spirito. La casa di uno spirito arrivista, 2000, acrilico su tela, cm 70x110 ropa, con l’apporto di Gerusalemme e di Atene, come scrive in questo numero Bat Y’e Or, ma anche di Alessandria. E rinasce a Firenze, con la combinazione tra arte e cultura, scienza e finanza, con il Rinascimento e i viaggi di Colombo e Marco Polo. Senza più l’idea di alternativa e di esclusione, la civiltà è cattolica, nel senso che procede dall’apertura per integrazione (katà olòn, secondo l’intero) dei vari elementi, senza bisogno di rinuncia. Non integrazione territoriale o terroristica, ma integrazione nella parola, da cui nulla può essere espunto. È la civiltà come proprietà della parola, civiltà intellettuale. Questa civiltà non è la civiltà occidentale, bensì la civiltà planetaria, civiltà che investe il pianeta nella misura in cui prescinde dall’idea di nemico e ignora il discorso della guerra illuministico-romantico. Il discorso della guerra si basa sulla giustificazione della morte in nome dell’idea di bene, e lo dimostra il terrorismo, che tanto ha imparato dell’ideologia franco-tedesca, imbevuta di Aristotele. Non con l’illuminismo, ma con il rinascimento – in particolare con Niccolò Machiavelli – nasce la modernità. È propria della modernità la distinzione tra politica e religione che ogni fondamentalismo, soprattutto quello islamico con il suo terrorismo, non tollera. Come non tollera l’arte, la scienza, l’industria, la finanza; intolleranza condivisa da molti naturalisti, puristi, burocrati in Italia e in Europa. Con il secondo rinascimento delle arti e delle invenzioni, della ricerca e dell’impresa, della finanza e della comunicazione planetaria, ciascun paese si trova coinvolto verso la civiltà, si trova a acquisire la civiltà che non è già data, che non è mai data. Questa civiltà della parola è esente dal presupposto delle civiltà tanatologiche, cioè dall’ideologia della vendetta, che fonda l’ideologia della colpa e della pena, dunque la logica sacrificale. La battaglia di civiltà, allora, non è battaglia tra civiltà, è battaglia che instaura la civiltà. Essendo di civiltà, è battaglia senza nemico, non è contro qualcuno, è battaglia intellettuale, non ideologica o religiosa. Qui la vittoria è con l’Altro, non sull’Altro, perché la battaglia è senza l’idea di morte, quindi senza l’idea di vittima, quando il fare segue l’occorrenza. La battaglia, la battuta, il dibattito, il battito della vita. In questa battaglia nessuno può togliere il tempo, nessuno può togliere la città, nessuno può togliere nulla all’Altro. Nemmeno può togliere la proprietà, se la civiltà è proprietà della parola e non sulla parola, e non è il diritto di padronanza sulle cose. Come la parola, la proprietà della parola è inconfiscabile, inalienabile, incancellabile. Anche gli strumenti della produzione sono nella parola: per questo l’imprenditore non ha da espiare la proprietà dei mezzi di produzione inventandosi una funzione sociale che si risolva in filantropia ma, come indicano le interviste in questo numero, con mezzi e strumenti sempre da acquisire, offre un apporto indispensabile a questa battaglia senza nemico, perché produce valore e profitto con l’invenzione e l’arte, senza potere farsi vittima, dunque ignorando l’ideologia della vendetta che nega la civiltà della parola e nella parola. L’imprenditore non può procedere dall’idea di origine, foriera di distruzione, bensì opera con spirito costruttivo. La prova dell’inesistenza del sacrificio, dell’assurdità della rinuncia, dell’esigenza della riuscita: questo l’apporto essenziale che ciascun imprenditore oggi fornisce alla battaglia di civiltà, quando combatte per vincere, anziché contro il nemico, l’Altro espunto e poi rappresentato. E senza mai abbattersi, nonostante il naturalismo, il terrorismo, il fiscalismo. 9 B at Y e ’ or archeologa e studiosa dello statuto delle comunità etnico-religiose nei paesi islamici Le complicità europee con lo jihadismo islamista Q uando parliamo di Gerusalemme e di Roma, è importante capire il valore simbolico che queste due città hanno assunto nei secoli. Per il cristianesimo e per la storia europea, Gerusalemme rimanda alla Bibbia, alla storia del popolo di Israele, una storia in cui il cristianesimo riconosce le proprie radici e che, ancora oggi, commenta ciascuna domenica, da duemila anni, in ciascuna chiesa d’Europa. Roma è il simbolo dell’integrazione tra ellenismo e cristianesimo. La civiltà ellenistica si è legata alla spiritualità di Gerusalemme e la fusione di queste culture ha formato la civiltà giudaico-cristiana. Eppure, oggi questa nostra civiltà viene negata, soprattutto dalle nuove generazioni, che non ne riconoscono il significato. In particolare, il radicamento del cristianesimo nell’ebraismo è stato spesso eluso, se non combattuto: conosciamo bene la storia del nazismo, la sua volontà di liberare la Chiesa dall’ebraismo e lo sterminio degli ebrei. Ma spesso ignoriamo che l’antisemitismo, anche nazista, condannato alla fine della seconda guerra mondiale, ha continuato a esistere e a manifestarsi in Europa, in certi ambienti politici e intellettuali, anche successivamente. Negli anni sessanta, alcuni movimenti antisemiti europei sono stati supportati dalle ambasciate dei paesi arabi e della Lega Araba Musulmana Internazionale e hanno formato importanti gruppi di propaganda anti-israeliana e antisemitica. Questi gruppi hanno anche collaborato con i criminali nazisti che si sono rifugiati in Egitto e in Siria e che si erano convertiti all’islam. Essi, con il Mufti di Gerusaleme, Amin al-Husseini, alleato con Hitler e nel 1945 protetto dalla Francia per evitargli il Tribunale di Norimberga, prevedevano un’alleanza fra la Comunità Europea e i paesi arabi, in modo da creare un nuovo continente contro Israele e l’America. In questo contesto, nacquero in Europa associazioni di solidarietà con i popoli arabi, contro Israele, che formarono numerose reti legate ai nazisti islamizzati. Bat Ye’or In questa direzione, dopo la perdita delle colonie arabe, De Gaulle prese in considerazione l’idea del Mufti al-Husseini, che prevedeva l’unificazione degli stati attorno al Mediterraneo. Sognava di creare un’unione euro-araba, progetto peraltro non nuovo: lo aveva ipotizzato anche Hitler. Dopo la guerra dei Sei Giorni (1967), il presidente francese chiese all’ex-ministro dell’informazione Louis Terrenoire di creare una rete di solidarietà con i popoli arabi, politica che conferì alle associazioni euro-arabe antisioniste una legittimazione ufficiale. La Comunità Europea rifiutò il progetto di De Gaulle, ma dopo gli attentati terroristici palestinesi e il boicottaggio del petrolio in Europa, nel 1973, la Francia riuscì a convincere i nove paesi europei a stabilire un’alleanza euro-araba contro Israele, riconoscendo come legittimo interlocutore politico Arafat, il nipote del Mufti, e la creazione di un nuovo stato arabo-musulmano in Giudea e Samaria, proprio nel cuore dello stato di Israele. Questo piano, una condanna a morte per gli israeliani, prevedeva la sostituzione del popolo di Israele con un nuovo popolo, i palestinesi, di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima. Fu chiamato “via per la pace”! Questa era la condizione posta dalla Lega Araba per far cessare il boicottaggio del petrolio e per istituire con i paesi della Comunità Europea una struttura, non ufficiale, di collaborazione a tutti i livelli, mirata a costituire un blocco unificato dei paesi mediterranei. La Comunità Europea, seguendo questa linea, ha condotto due politiche collegate, una di supporto a Arafat e alla sua politica jihadista, l’altra mirata alla creazione di un nuovo continente euro-arabo che unisse le due sponde del Mediterraneo. Dal 1973, fu stabilita la cooperazione tra la Comunità Europea e i paesi arabi mediante un’istituzione politica, economica e culturale denominata DEA (Dialogo Euro-Arabo), organizzata ad alto livello europeo e arabo, sotto la supervisione del Consiglio, della Commissione europea e della Lega Araba. Questa struttura era composta da varie sezioni miste che lavoravano per implementare, coordinare e sviluppare una comune politica nei campi dell’economia, della cultura, dell’immigrazione musulmana, dei media in Europa e in particolare della politica verso Israele. Alla base di questa politica c’erano due obiettivi strettamente legati tra loro: creare un continente mediterraneo euro-arabo, e sostituire Israele con la Palestina. Le I testi di Bat Ye’or, Caterina Giannelli e Anna Spadafora sono tratti dai dibattiti dal titolo Dall’attacco a Gerusalemme alla conquista di Roma: come l’islamismo sottomette l’Europa (Modena, 5 novembre 2015; Bologna, 7 novembre 2015). 11 due politiche erano inseparabili. Dai documenti relativi a questa struttura emerge che essa era sotto la supervisione della Commissione europea e includeva deputati di tutti i partiti degli stati dell’Unione. Questo spiega l’uniformità della politica europea contro Israele e pro-immigrazione in Europa. Il palestinismo, ovvero la sostituzione di Israele con il popolo definito palestinese, fu il pilastro principale che univa le due politiche, in quanto si basava sulla simultaneità del riconoscimento del jihadismo di Arafat, della Palestina e l’attuazione della strategia euroaraba in Europa. L’unione euro-araba o Eurabia non era una strategia limitata a un’entità nazionale ma, come volevano il Mufti e i nazisti islamizzati, abbracciava un intero continente, che avrebbe adattato i principi della democrazia e della cultura europea a quelli dell’islamismo. Il termine palestinismo indica l’alleanza fra i nazisti islamizzati nei paesi arabi e gli jihadisti palestinesi per sradicare lo stato di Israele, negando la sua legittimità. Prima di essere chiamate palestinesi, le tribù arabe che vivevano nei territori di Giudea e Samaria, occupati dalla Giordania nella guerra del 1949 contro Israele, si definivano semplicemente arabe, anche se fra loro c’erano immigrati musulmani dalla Bosnia e dalla Crimea. Sotto l’occupazione della Giordania, tutti gli ebrei che vivevano in quelle terre da secoli vennero cacciati e la regione fu completamente islamizzata. In seguito alla guerra dei Sei giorni (1967), Israele riprese questi territori liberando Gerusalemme. Ma, nel 1973, dopo la guerra del Kippur, la Francia decise che il popolo palestinese doveva avere il suo stato proprio nelle province precedentemente occupate dalla Giordania, da dove tutti gli ebrei erano stati cacciati. Eppure, il palestinismo e la legittimazione di Arafat hanno avuto pesanti conseguenze per l’Europa. Poiché la guerra di Arafat contro Israele era l’essenza del jihad, il palestinismo divenne la legittimazione europea e cristiana dell’ideologia e delle tattiche del jihad. L’ideologia jihadista mira a distruggere non solo il popolo ebreo, ma anche tutti i popoli non musulmani, e il fatto che l’Europa l’abbia legittimata contro Israele ha innescato un pro- cesso suicidario, implicando la legittimazione della guerra ai cristiani e in generale ai popoli europei. Il jihad afferma che, poiché la terra appartiene ai seguaci di Allah, i musulmani hanno il dovere sacro di strapparla agli infedeli. Secondo questa logica, gli aggressori sono in realtà vittime e le vittime aggressori, poiché i jihadisti hanno il diritto e il dovere sacro di combattere i non musulmani e quando questi si difendono divengono aggressori. Il jihad viene ritenuto una guerra difensiva contro i non musulmani. Anche l’Europa ha adottato questa visione, per esempio, quando afferma che le azioni di difesa di Israele contro il terrorismo palestinese sono aggressioni contro i palestinesi, e così accetta il principio islamico della dhimmitudine, secondo cui gli ebrei e i cristiani non possono difendersi quando sono attaccati dai musulmani. Questo fa il gioco del terrorismo. Quando in Europa parliamo del jihad spesso veniamo accusati di isla- mofobia e addirittura di provocare i musulmani. Non siamo più legittimati a usare la nostra libera opinione, ma dobbiamo sottometterci alle leggi della shari’a. La nostra cultura è già, in qualche modo, islamizzata, e questo a causa della legittimazione del jihadismo palestinese. Nel periodo in cui il terrorismo arabo e palestinese in Europa era più attivo, parlare di jihadismo era tabù, nel presupposto – come ancor oggi accade – che il supporto del palestinismo fosse uno strumento essenziale per promuovere il dialogo e la riconciliazione fra cristiani e musulmani, Europei e Arabi – una riconciliazione contro Israele che faciliterebbe l’emergenza dell’Eurabia. Uomini di chiesa, politici, ministri promuovevano una santa alleanza nella lotta per la giustizia verso i palestinesi. La resistenza di Israele al piano euroarabo di smantellamento del suo paese venne vista come un ostacolo ai pacifici rapporti tra Europa e Islam. Israele venne 13 accusato, particolarmente quando Romano Prodi presiedeva la Commissione europea, di provocare la guerra e di essere un ostacolo alla pace, come documento nel mio libro Eurabia (Lindau). I movimenti europei per l’unione euro-araba sostengono, tra l’altro, che la shari’a aveva da sempre istituito un paradiso multiculturale e multireligioso negli stati dominati dai musulmani. Questa visione è contraria alla verità storica e ai principi della conoscenza europea, basati sull’analisi obiettiva dei documenti e dei fatti. La realtà della dhimmitudine, cioè dell’oppressione, della schiavitù e del genocidio di interi popoli conquistati e sottomessi dal jihad, viene negata da una semplice affermazione, cioè che ebrei e cristiani hanno sempre vissuto in accordo e in pace menzionati nella Bibbia sono profeti dell’Islam, che hanno portato avanti il pensiero islamico prima dell’arrivo di Maometto, Gesù compreso. La storia del popolo ebraico e dei cristiani è negata. Quando l’Unione europea nega il diritto di Israele di vivere nella sua patria accetta la visione islamica che Israele è un popolo che non ha mai vissuto in questo paese e dunque non ha diritti. Sopprime i nomi di due paesi, la Giudea e la Samaria, come se non fossero mai esistiti, e li cambia con il nome Cisgiordania. L’Unione europea chiama il Monte del Tempio di Gerusalemme “Spianata delle Moschee”, come se Gesù, anziché essere entrato in un tempio, fosse entrato in una moschea per predicare. Si tenta di legare il cristianesimo all’Islam, affermando anche che Gesù era palestinese, anche se questo non sta esercitare la sua influenza sul mondo arabo: intervenendo a favore della Palestina, l’Unione europea guadagna un rinvio sul jihad che la prende di mira. L’Europa strumentalizza questo conflitto, oltre a comprare una sicurezza temporanea, pagando miliardi di euro per la guerra contro Israele. Questo contesto spiega la decisione di marchiare i prodotti israeliani che provengono da Giudea e Samaria, di islamizzare i luoghi sacri ebrei e cristiani a Hebron e di non menzionare mai il terrorismo palestinese in Israele perché l’Unione europea lo paga e lo incoraggia. Il sottotitolo del mio libro Comprendere Eurabia recita L’inarrestabile islamizzazione dell’Europa. Non è un sottotitolo che ho scelto personalmente, ma è stato deciso dall’editore. Io ritengo infatti che questo processo sotto la legge della shari’a. In questo modo, la cultura europea viene sovvertita dai valori del jihad: pensiamo nei termini e secondo le categorie musulmane, senza nemmeno saperlo, siamo già islamizzati. Per rispettare la verità storica dobbiamo lottare contro l’islamizzazione della cultura, poiché la cultura è l’essenza della libertà e senza la libertà di ricerca, di comunicazione, di opinione, non c’è cultura. La negazione da parte di Arafat e dei paesi arabi del diritto di Israele di vivere nella sua patria ancestrale si basa sul fatto che i musulmani negano la storia biblica: considerano bugie le parole contenute nei due testamenti, affermano che Adamo e Eva erano musulmani, che di conseguenza tutta l’umanità è musulmana e che noi abbiamo rinnegato la nostra religione, che è l’Islam. Secondo i musulmani, tutti i personaggi Terre d’Israele non sia irreversibile, perché credo nella forza che insieme possono avere ebrei e cristiani e credo nella forza della gioventù. Quando Mosè si presentò al faraone per chiedergli di lasciare partire il suo popolo, lo fece in nome della libertà, e la libertà è proprio ciò che contraddistingue la nostra cultura, è la nostra forza. Noi crediamo nella libertà, nella dignità e nell’uguaglianza di tutti gli uomini e, grazie a questo, potremo vincere questa importante battaglia. Io ho molti amici in Italia e mi trovo sempre molto bene qui, proprio perché questo paese ha mantenuto forte il sentimento di libertà che ha sviluppato con il Rinascimento prima e con il Risorgimento poi. D’altronde, Verdi, nel Nabucco, ha accostato l’amore per la libertà del popolo italiano con quello del popolo ebraico, nel meraviglioso Canto degli Ebrei. scritto da nessuna parte nel Corano, dove si afferma semplicemente che è nato sotto le palme. La volontà di legare il cristianesimo all’Islam serve a islamizzare la teologia cristiana, una politica nazista per rompere tutti i legami fra ebrei e cristiani. Si vede così come il riconoscimento del palestinismo abbia avuto un’enorme importanza, costituendo anche il nerbo della dhimmitudine cristiana in Europa, poiché l’Europa si è messa al servizio della politica dei paesi arabi per distruggere Israele, rinnegando le sue proprie radici giudaico-cristiane. L’Unione europea destina miliardi di euro ai palestinesi, sia per aiutarli sia per diffondere una campagna di odio e di demonizzazione contro Israele, perché la situazione di conflitto tra israeliani e palestinesi le permette di 15 C ATERINA G IANNELLI brainworker, scienziato della parola, presidente dell’Istituto culturale “Centro Industria” LA BATTAGLIA SECONDO LA DISSIDENZA D issidente, dis-sedeo, “avere sede altrove”, oppure “non ho sede”. Per un non dell’avere, Bat Ye’or, letteralmente “figlia del Nilo”, ha incominciato il suo viaggio. Figlia di padre ebreo italiano fuggito in Egitto a seguito delle leggi razziali, l’Egitto di Nasser le nega la cittadinanza e poi le confisca i beni di famiglia. A Londra trova una principessa polacca, a sua volta fuggita dall’occupazione comunista della Polonia, che, grazie a un brillante nascosto nell’orecchio, ha trovato il modo di incominciare a vivere in Inghilterra. Questa donna incontra una giovanissima Bat Ye’or che bussa alla sua porta e riconosce negli occhi di cielo di questa minuta quanto determinata fanciulla, che chiede un alloggio per sé e la famiglia, un’inquietudine antica, una non accettazione della morte. Anche Bat Ye’or incomincia una vita in Inghilterra. Il viaggio incomincia per ciascuno lungo una dissidenza, un’assenza di localizzazione, un’assenza di sede nella parola. “Non ho più niente a cui aggrapparmi”, “non so più a quale santo votarmi”. Viaggiando si incontrano gli amici. Chi sono gli amici? Gli interlocutori autentici del nostro viaggio. Oggi Bat Ye’or ha sede in ciascun paese che l’ha ospitata per trasmettere la sua testimonianza a chi non vuole dimenticare, a chi non si accontenta del luogo comune, a chi non smette di cercare interlocutori per il suo viaggio. La testimonianza è essenziale per non smettere di viaggiare. Dissidenza è l’assenza di conformità, di standardizzazione, di sostenibilità. Nella parola e nella scrittura, nella ricerca e nell’impresa ciascuna cosa si struttura secondo la logica particolare a ciascuno, secondo la dissidenza, secondo l’idioma. L’idioma è la particolarità, è la logica della parola. La questione è come divenire cifra, caso di qualità, non come allinearsi allo standard. La dissidenza – “inaccettabile per ogni provincialismo e per ogni regime”, scrive Sergio Dalla Val nel libro In direzione della cifra – non ha nulla a che fare con il dissenso o con l’altra sua faccia, il consenso al conformismo. Dissidenza senza soggezione, senza soggetto. Non c’è soggetto se c’è la battaglia, ovvero se ciascuno si costituisce come statuto intellettuale, se ciascuno si trova nella non accettazione del ruolo di vittima, che presuppone sempre un padrone a cui sottostare. Bat Ye’or coglie la questione quando scrive nel libro Comprendere Eurabia che “le guerre dell’Occidente e delle società libere saranno combattute contro la dhimmitudine”, ovvero contro la sottomissione di chi è costretto o accetta di vivere grazie alla protezione di qualcun altro che gliela concede. Protezione che i popoli sottomessi alla dominazione islamica devono pagare con una specifica tassa e che ognuno paga conformandosi al luogo comune o al pensiero imposto, dunque accettando il regime della paura su cui si fonda ogni terrorismo. Tutti i regimi presuppongono la creazione della vittima. Nell’Islam politico e militare l’infedele è accusato di blasfemia, punita con la morte. In Occidente, chi difende le ragioni dell’Occidente, per esempio degli ebrei, viene a sua volta bollato come colpevole o boicottato, com’è accaduto a Bat Ye’or. Da una parte è guerra santa e dall’altra è espiazione della colpa. In entrambi i casi è negata la battaglia di civiltà. Questa battaglia non è in termini antagonistici, che sono sempre distruttivi. Come si fa a costruire qualcosa se dinanzi c’è il nemico? Chi combatte contro un nemico combatte per paura e non a caso ha bisogno di sostanze, ovvero di droghe o di psicofarmaci. Qual è la battaglia che avviene secondo la dissidenza e che si conduce senza paura? “Chi combatte in direzione della qualità è senza paura”, scrive Armando Verdiglione. Chi combatte in direzione della qualità assoluta avvia dispositivi del fare, imprese e strutture, consentendo a ciascuno di trovarsi in un ritmo anziché di darsi alla pazzia. Machiavelli scrive: “Il principe che fa ciò ch’ei vuole è pazzo”. La battaglia presuppone forse di poter scegliere? Il principe di Machiavelli può scegliere, fare ciò che vuole? Sarebbe pazzo. La battaglia è ineludibile per ciascuno se è battaglia per la riuscita e per la salute, per il valore assoluto, la cifra, e non per i valori relativi. La battaglia per i valori è ideologica, perché presuppone anche in questo caso l’antagonismo fra quelli buoni e quelli cattivi. Al nemico come causa della battaglia si sostituirebbe il valore come causa, che diventa addirittura difesa dell’identità. Cioè, ancora una volta, all’attacco si contrappone la difesa, entrambe della logica del mercenario. Chi è il mercenario nella battaglia, nell’impresa, nella città? Chi crede di poter scegliere fra il bene e il male, fra l’amico e il nemico, è fedele all’alternativa, ha sempre un’alternativa e talvolta addirittura fa l’alternativo. E chi gioca in difesa è sempre sotto attacco. La testimonianza dei dissidenti e degli imprenditori che in questi anni abbiamo accolto nella città del secondo rinascimento è per la battaglia senza nemico, la battaglia senza alternative, la battaglia per dare un apporto alla civiltà e al suo testo ben oltre le ideologie e la logica della guerra, fredda o calda, che ne consegue. Questa battaglia non è per sottomissione a nessun padrone e all’altra sua faccia: la vittima. Questa battaglia è battaglia per la libertà intellettuale, un altro lusso: il lusso della parola, il lusso delle cose che si fanno secondo l’occorrenza, non secondo la volontà soggettiva, non secondo il mio o il tuo nemico, come fine ultimo per la soluzione finale. La battaglia intellettuale è senza fine perché è battaglia che esige un’altra verità, non la verità come causa, ma la verità come effetto della qualità. 17 3(4(;,90( +,33(),33,AA( 05*(:(0+,(.96<7 :WLJPHSL*LYZHPL 1 HOO·DQWLFD *UHFLD OD SDUROD ´K\OHµ GHVLJQDYD WDQWR OD PDWHULD TXDQWR LO OHJQR 3HU JOL ROWUH YLVLWDWRUL GHO &HUVDLH TXHOOD FKH q DQGDWD LQ VFHQD DOOR VWDQG GL ,GHD*URXSJUXSSRLQWHUQD]LRQDOHFRQIRUWLUDGLFLQHOODODYR UD]LRQH DUWLJLDQDOH GHO OHJQR LQ SURYLQFLD GL 7UHYLVR HUD OD PDWHULDGHOODEHOOH]]DLQRVWULOHWWRULDUFKLWHWWLSRWHYDQRYLYHUH XQ·HVSHULHQ]DXQLFDSHUODYLVWDHLOWDWWRJUD]LHDOODQXRYDFRO OH]LRQH6HQVHIRWRDVLQLVWUDGHOOD'LYLVLRQH$TXDQDWDGDOOD FRPELQD]LRQHYLQFHQWHIUDODPDWHULDSHUHFFHOOHQ]DLOOHJQRHO·LQQRYDWLYRPDWHULDOH)HQL[1WP6uSURSULRLOODPLQDWRYHOOXWDWRDOWDWWR HRSDFRDOODYLVWDSURSRVWRQHOOHYDULDQWLFRORUH%LDQFR0DOq%HLJH/X[RU&DVWRUR2WWDZD*ULJLR/RQGUD1HUR,QJR%OX'HOIWGLFXL ,GHD*URXSKDRWWHQXWRO·HVHFOXVLYDPRQGLDOHSHULWRSFRQODYDELLQWHJUDWLFRPHSURYDGHOVXRVIRU]RFRVWDQWHYHUVRO·XQLFLWj)UXWWRGHOOD ULFHUFDQHOO·DSSOLFD]LRQHGHOOHQDQRWHFQRORJLHDQWLLPSURQWDHFDSDFHGLULJHQHUDUVLFRPHOD)HQLFH)HQL[1WPSHUPHWWHGLHOLPLQDUH HYHQWXDOLSLFFROHOHVLRQLGHOVXRVWUDWRHVWHUQRFRQLOVHPSOLFHDLXWRGHOFDORUHGLXQIHUURGDVWLUR/HHVVHQ]HUREXVWHGDOFDUDWWHUHUXYLGR GHOOHJQR7HDNPDVVHOORLQÀQLWXUDVDEELDWDPDWHULFDLQYHFHYHQJRQRSURSRVWHQHOOHYDULDQWLFRORUHVDEELDWRELDQFRVDEELDWRDYRULR VDEELDWRFDQDSDVDEELDWRFHQHUHVDEELDWRQHURHVDEELDWRQDWXUDOH &RQWLQXDQGRDSDVVHJJLDUHQHOORVWDQG,GHD*URXSIUDPRELOLVHQ]DWHPSRHOHJDQWLPDGLVFUHWLULFRQRVFLELOLSHUO·HVVHQ]LDOLWjGHLGHWWDJOL SHUODEHOOH]]DLQWULQVHFDGHLPDWHULDOLHSHUO·DELOLWjDUWLJLDQDOHFRQFXLVRQRVWDWLUHDOL]]DWLFLVLDPRLQFDQWDWLDGDPPLUDUHODFROOH]LRQH 1\IRWRLQEDVVR1DWDVHPSUHGDOO·HVSHULHQ]DGLSURJHWWRHGDOODWUDGL]LRQHSURGXWWLYDGL$TXDTXHVWDFROOH]LRQHFRQVHQWHGLGLVHJQDUH QXRYLVSD]LSHUVRQDOL&RQ1\LOPRQGREDJQRVLFRPSOHWDLQWHJUDQGRVLFRQORVSD]LRFDELQDDUPDGLRLQXQSURJUDPPDQDWRSHUGDUH FRQWLQXLWjVWLOLVWLFDDTXHVWLGXHDPELHQWLFRQHOHPHQWLFRRUGLQDWL8QDFRPSRVL]LRQHLGHDOHSHURUJDQL]]DUHIXQ]LRQDOPHQWHORVSD]LRFRQ XQRVWLOHSHUVRQDOL]]DWRHLQFRQIRQGLELOHSURSRVWDDOWHUQDQGRLOODPLQDWR8QLFRORU5RYHUH$YDQDDOODFFDWRELDQFRRSDFRPHQWUHLOSLDQR FRQODYDELLQWHJUDWLqLQFULVWDOORH[WUDVDEELDWRELDQFR (UDQRWDQWHOHPHUDYLJOLHHVSRVWHDO&HUVDLHDQFKHGHOOHDOWUH'LYLVLRQL,GHD%OREH'LVHQLDGLTXHVWR*UXSSRFKHKDVDSXWRFRQVHUYDUH HVYLOXSSDUHLSURSULYDORULHOHSURSULHWUDGL]LRQLFRQXQDIRUWHSURSHQVLRQHDOOHODYRUD]LRQLKDQGPDGHGHFOLQDWHQHOO·LQGXVWULDOL]]D]LRQH DWWUDYHUVROHLQQRYD]LRQLWHFQRORJLFKHGLYHQHQGRSDUWQHUGLSURJHWWRQHOOHSLEHOOHFDVHGLWXWWRLOPRQGRQHJOLKRWHOSLSUHVWLJLRVLH QHOVHWWRUHGHOOHLPEDUFD]LRQLGLOXVVR 0DSHUSURVHJXLUHLOQRVWURYLDJJLRQHOODPDWHULDGHOODEHOOH]]DDGHVVRQRQFLUHVWDFKHFROOHJDUFLDOVLWRZZZLGHDJURXSLW 18 A NNA S PADAFORA psicanalista, cifrematico, direttore dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna QUALE EUROPA: MINACCIA ISLAMICA O SECONDO RINASCIMENTO? C i ha avvertito Bat Ye’Or, nelle sue recenti conferenze a Modena e Bologna (5 e 7 novembre 2015): non uno spettro si aggira per l’Europa, ma una minaccia incombe sul nostro continente, che rischia di sgretolarsi sotto gli occhi increduli dei suoi cittadini, ignari dei patti scellerati che molti dei suoi alti rappresentanti istituzionali strinsero con il mondo arabo, avidi di potere e ricattati dalla crisi petrolifera del 1973, quando videro nel sostegno alle guerre arabe contro Israele una fortunata occasione per costituire una sorta di terzo blocco, che avrebbe unito le due sponde del Mediterraneo, con la Francia in testa. Ma, come scrive l’Autrice nel suo libro Eurabia: “Avviandosi lungo questa strada, l’Europa entrò in un mostruoso processo di negazione dei valori che pretendeva di difendere e in un processo interno di auto-disintegrazione con conseguenze imprevedibili”. Insiste Bat Ye’Or sugli effetti ormai lampanti di questo autogol segnato da Bruxelles all’insaputa dei cittadini, apparentemente per proteggerli dal terrorismo, ma che in realtà rischia di trasformarsi nella consegna delle chiavi delle nostre nazioni all’OCI (Organizzazione della Conferenza Islamica). Ma l’allarme più forte che lancia Bat Ye’Or agli europei riguarda la loro ignoranza di vivere nella dhimmitudine, termine da lei coniato sulla base della classifica degli “infedeli” insita nel concetto di jihad: i dhimmi sono quegli infedeli che ottengono protezione grazie a un trattato di resa (dhimma) al dominio islamico. Una delle tante prove fornite dall’Autrice è la continua ingerenza dell’OCI nelle istituzioni occidentali, con la pretesa di dover proteggere i musulmani che vivono in Europa, in quanto esposti alle idee e alle usanze immorali dei non musulmani. Come scrive l’Autrice nel suo ultimo libro Comprendere Eurabia: “L’OCI accusa di ‘islamofobia’ alcuni movimenti culturali e fa di tutto affinché siano sanzionati nei tribunali internazionali e da parte dei governi europei. Nelle società occidentali innumerevoli reti internazionali pro-multiculturalismo, pro-immigrazione e antisionismo, finanziate dai governi europei e dalla UE, sono impegnate a tempo pieno in questa politica”. Impossibile rimanere indifferenti dinanzi a queste informazioni documentate con rigore estremo da Bat Ye’Or. E tante domande alimentano la nostra inquietudine per il destino dell’Europa: davvero, la civiltà che ha le sue radici nella cultura giudaico-cristiana sta volgendo al declino? Davvero, come diceva Niccolò Machiavelli: “Molte volte, per la paura solamente, sanza altra esperienza di forze, le città si perdono”? O sta proprio qui la nostra speranza, nel fatto che anche Eurabia, come tutti i sistemi, si “perde”, perché si fonda sulla paura? Lo diceva Armando Verdiglione in una conferenza alla Confindustria di Modena: “La Mecca è una contrada di Atene” (2 aprile 2004, testo pubblicato nel n. 10 della “Città del secondo rinascimento”). Lo stesso sistema di pensiero che sta alla base del discorso occidentale — quella volgarizzazione di Platone e Aristotele che nutre l’idea di impero — possiamo riscontrarlo nel fondamentalismo islamico: sono entrambi frutto della paura della morte eretta a tabù, la morte come altra faccia della sostanza, senza la parola e senza l’intellettualità. I concetti platonici di possessione e padronanza li ritroviamo in pieno negli scritti dell’islam. Come notava Armando Verdiglione nella citata conferenza: “La scuola di Atene viene chiusa da Giustiniano nel cinquecento e i libri della scuola di Atene — Platone e Aristotele — se ne vanno, viaggiano, arrivano a Bagdad. Da Bagdad, arriveranno poi in Spagna, in Sicilia, in Europa. Erano spariti, ma il Corano e gli altri testi sacri dell’Islam sono impregnati del discorso occidentale. È la correzione del cristianesimo, a opera del discorso occidentale. Con altre aggiunte, con costruzioni fantasiose, con altri principi, ma i principi fondamentali sono questi”. Di questo sembra avvertirci Bat Ye’Or: il rinascimento della parola e la sua industria non possono accettare i fantasmi di padronanza e possessione che fondano il discorso della morte, con i suoi principi fondamentalisti: principio di identità, principio di non contraddizione e principio del terzo escluso. Il rinascimento e, prima ancora, l’atto di Cristo, come atto della parola originaria, sconfiggono questo discorso della morte. Così possono sorgere le arti e le invenzioni, la scienza, la politica dell’ospite e la sessualità, senza la paura delle donne e della differenza. Allora, la nostra battaglia di civiltà non è contro il nemico che avanza, ma esige innanzitutto che venga dissipata la paura. L’Europa non tramonta, se i suoi cittadini, anziché fare le cose per paura — avendo il negativo, il male, la morte dinanzi —, danno un contributo all’arte, all’invenzione, all’impresa e alla civiltà del secondo rinascimento, al dibattito e al pensiero, come fanno gli autori di questo giornale. Perché la civiltà si basa sulla parola, non sulla morte e sulla paura della morte. Con l’atto di Cristo, non è più possibile vivere nella pena, nella mortificazione, perché anche il corpo, nella parola, è immortale. Con l’atto di Cristo, lo spauracchio della fine del tempo si dissolve: il tempo non finisce, a vantaggio della spazialità pura, a vantaggio del regno di utopia agognato da tutti gli ismi della storia. Nella battaglia di civiltà che occorre combattere ciascun giorno, anziché la paura della fine, importa il modo in cui ciascun imprenditore, ciascun artista, ciascun poeta, ciascuno diviene dispositivo e giunge al valore, parlando, facendo e scrivendo quel Vangelo che è ancora da scrivere. Così, anche il testo dell’islam potrà trovare la sua restituzione nella lettura e essere tratto nel rinascimento, anziché rimanere nelle pastoie omologanti del relativismo culturale tanto caro al discorso occidentale e ai suoi officianti. Così, capiremo che la civiltà o è planetaria o non è. E la parola non ha padroni. 19 D INO P IACENTINI presidente del Gruppo Piacentini Costruzioni Spa, Modena, presidente dell’ANIEM (Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere) LA CIVILTÀ DELLE COSTRUZIONI PER LA CITTÀ DELL’AVVENIRE Il titolo di questo numero della rivista, Battaglia di civiltà, non si riferisce allo scontro fra civiltà, ma verte intorno alla testimonianza delle imprese come baluardi della civiltà nella tecnologia, nella scienza e nella cultura d’impresa, che portano avanti in vari paesi, come il Gruppo Piacentini Costruzioni Spa, che dal 1949 si dedica alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali in Italia e, dal 1981, anche nel mondo... Fin dal suo sorgere, la civiltà si è avvalsa degli scambi commerciali, che nascevano per soddisfare desideri e bisogni della gente. Il commercio ha sempre messo in comunicazione tribù, popoli e culture diverse. È anche vero che nei momenti storici in cui è prevalsa la volontà di prevaricazione da parte di un popolo o dell’altro, dall’incontro si è passati allo scontro. Ma le nostre piccole e medie imprese non hanno certamente mire egemoniche quando esportano in altri paesi, per noi globalizzazione non significa imperialismo industriale o politico. Come ci ricorda l’editoriale di Sergio Dalla Val in questo numero, i nostri antenati dell’antica Roma hanno inventato la civilitas, la civiltà, da civis, cittadino romano. E “civitas era la cittadinanza, il diritto di cittadinanza che acquisivano gli abitanti dell’impero, a prescindere dalla nazione, dalla religione, dal censo”. Quindi, nelle nostre radici storiche e culturali, nemmeno l’impero si poneva come obiettivo la prevaricazione... In un certo senso, quello che fa il nostro Gruppo per soddisfare un bisogno insito nella missione di qualsiasi impresa – la crescita dell’azienda e delle famiglie di chi ci lavora – è entrare in comunicazione con le culture più disparate nei paesi in cui lavoriamo: Costa Rica, Libia e Svizzera, dove abbiamo le nostre filiali, ma anche Papua Nuova Guinea, Bra20 sile, Marocco, Serbia, Polonia, Medio Oriente, Indonesia, Kazakhstan, Caraibi e persino il Polo Sud. È impossibile mantenere una mentalità chiusa e rigida quando si incontrano genti con culture tanto differenti dalla nostra e la scommessa, ciascuna volta, è quella di riuscire a capire le esigenze di ciascuno e trovare un’idea che possa soddisfare entrambe le parti. Dino Piacentini In questo, le imprese italiane sono non solo un baluardo forte, ma anche un’avanguardia: reinventando la tradizione di tolleranza da cui provengono, riescono a sottolineare le differenze e a farne buon uso. Se parliamo di avanguardia nella tecnologia costruttiva, la Piacentini si è distinta già negli anni ottanta per l’utilizzo delle palancole (paratie metalliche), quando in Italia erano pressoché sconosciute... All’epoca, l’utilizzo delle palancole era in auge nel Nord Europa, ma in Italia era noto solo in ambito accademico. Si tratta di profilati speciali che permettono di sostituire le classiche paratie in cemento con grandi vantaggi, anche economici, e che permettono di creare opere sia defi- nitive che provvisionali. In pratica, possiamo dire che abbiamo contribuito a fare diventare tale tecnologia un brand sul mercato italiano. E questo ci ha permesso di entrare in altri mercati, non appena ci siamo specializzati e siamo riusciti a fare innovazione di processo, quindi di costruzione. Considerando che le palancole sono in acciaio, quindi, biodegradabili al cento per cento, questa innovazione è una prova che la vostra attenzione all’ambiente risale già agli anni ottanta. Non a caso, avete realizzato le opere specialistiche relative a questa tecnologia nel MO.S.E. di Venezia, il progetto finanziato dal Governo italiano e dall’Unesco con l’obiettivo di salvare Venezia dall’erosione delle acque alte. Come presidente dell’Aniem (Associazione Nazionale Imprese Edili Manifatturiere), invece, che cosa può dirci delle prospettive di un settore così importante per la nostra economia come l’edilizia? Rispetto al muro nero che avevamo davanti fino a un anno fa, adesso s’intravvede una piccola luce in fondo al tunnel. A questo punto però le imprese devono trovare il modo per introdurre un’innovazione di processo straordinaria, perché le innovazioni di prodotto (edifici in classe A, non energivori, dotati delle più moderne le tecnologie) non bastano più. Allora, proprio per dare una risposta a questa esigenza di trasformazione, come Aniem nazionale e, soprattutto, come Aniem Modena, abbiamo compiuto una riflessione che già tre anni fa ci ha portati a presentare con il Politecnico di Torino un progetto per la riqualificazione di intere aree urbane a ridosso dei centri storici. Siamo partiti da due considerazioni importanti: prima di tutto, il fatto che i centri storici della maggior parte delle città italiane di medie dimen- sioni sono musei a cielo aperto, un patrimonio inestimabile che va mantenuto nella sua bellezza; se però le città hanno l’esigenza di espandersi, dobbiamo interrogarci sia sulle modalità per reperire le risorse indispensabili perché ciò possa avvenire, sia sulle aree che potranno essere destinate a soddisfare tale esigenza. È evidente che non possiamo farlo sottraendo terreno all’agricoltura, soprattutto in regioni come quelle della Pianura Padana, per esempio, che hanno nel settore alimentare la loro principale fonte economica, ma anche perché la scarsità di cibo è un grande problema e in prospettiva lo sarà sempre di più. Allora, dobbiamo concentrarci sulla prima periferia, dove, fatti salvi i primi cento, duecento metri dal centro, ci sono edifici degli anni sessanta e novanta, che non hanno più alcun valore, perché sono costruiti con ragionamenti e tecnologie superati e non hanno più mercato. Quindi, bisogna incominciare a ragionare anche in edilizia a favore del rinnovamento del nostro patrimo- Vista ingresso del progetto pilota per Modena Ovest nio immobiliare, perché a nessuno potrebbe interessare un parco macchine che vale zero. E, tuttavia, se gli edifici non hanno valore, l’area in cui sono situati vale ancora e varrà sempre di più. Ecco perché è sorto questo progetto di riqualificazione delle città, che si propone di ricostruire interi isolati con edifici moderni, a consumo di energia pari quasi a zero, antisismici, con grandi spazi verdi nelle aree comuni e giardini verticali. E dove troviamo le risorse per realizzare questo bel progetto? Come destinatario di un progetto pilota, abbiamo considerato un isolato, in zona Modena Ovest, in cui vivono 120 famiglie, ciascuna proprietaria di un appartamento, di un capannone o di altri beni che non hanno più mercato. Una volta raggiunto l’accordo con almeno il 90 per cento dei proprietari, ciascuna famiglia proprietaria cede all’impresa di costruzioni che realizza il progetto la proprietà del solo terreno e riceve in cambio un appartamento della stessa metratura di quello di cui è proprietaria, ma moderno e dotato di tutte le più avanzate tecnologie; il proprietario non ha costi aggiuntivi, ma l’unico vincolo di affidare la gestione del calore all’impresa costruttrice per i primi sei, sette anni. In pratica, dovrà continuare a spendere la stessa cifra che ha speso nel vecchio edificio, finché, dopo sei, sette anni, l’impresa non avrà ripagato il suo investimento. Poi, la famiglia avrà per sempre un risparmio inestimabile perché, se prima spendeva 2500 euro all’anno, poi ne spenderà solo 250. Inoltre, fin dal primo giorno, sarà proprietaria di una “macchina” del modello appena uscito, mantenendo la stessa metratura e rimanendo nello stesso isolato. Qual è la condizione perché il progetto si realizzi? Che il costruttore abbia un premio in volumetria per andare in alto. Nel caso dell’isolato di Modena Ovest, per esempio, dove abitano 120 famiglie, l’impresa ne aggiunge altre 130 e, al posto di un quartiere con strade strette e edifici attaccati l’uno all’altro, res21 22 tituisce 9000 metri quadrati di area verde ai 120 proprietari, costruendo sei torri da nove piani, in acciaio, vetro, con i giardini verticali, oltre a un consumo di energia pari quasi a zero. Grazie a questo accordo, l’impresa ha la possibilità di mettere sul mercato altri 130 alloggi, a prezzo di costo industriale (1300 euro al metro quadrato), non del terreno. Ma c’è di più: da solo, questo comparto che abbiamo preso come progetto pilota, ci farà risparmiare 380 tonnellate di CO2 all’anno. È geniale e straordinario. Quando partirà? È la stessa cosa che ci hanno chiesto le famiglie di questa area, quando abbiamo presentato loro il progetto, ormai già tre anni fa. Ma, come sempre, in Italia, si devono fare i conti con gli interessi particolari di bottega, soprattutto quando si va a toccare la sfera del pubblico, che tende a frenare, se non addirittura a far svanire, i sogni. I comuni dovrebbero fare loro questa idea e sfidare le imprese a mettersi in gioco. Se vogliamo far ripartire veramente questo paese, dobbiamo fare ripartire anche i consumi interni e, com’è risaputo, l’edilizia è Progetto pilota per Modena Ovest un volano insostituibile per il mercato interno. Ma bisogna smetterla di pensare, come fanno gli addetti ai lavori dell’immobiliare e alcuni funzionari, che l’edilizia possa ripartire con le speculazioni fondiarie, facendo passare le aree da agricole a edificabili. La speculazione sul terreno non è produzione, non serve a creare occupazione. Le imprese che finora hanno pensato di guadagnare così hanno vita breve e devono organizzarsi per ricavare il loro margine dalle costruzioni. Tornando al progetto, avete pensato alla gente che deve spostarsi durante la costruzione delle torri? Naturalmente, abbiamo pensato che non si può spostare per diciotto mesi una famiglia in attesa che sia terminato il suo nuovo alloggio, mentre il vecchio è stato demolito. Per evitare questo disagio, allora, lasciamo le persone nelle loro case, finché non sarà pronto il nuovo alloggio. Per questo, la prima torre deve essere costruita al posto di un capannone o di una piazza, di un’area non abitata, così si spostano gli abitanti di una parte dell’isolato nella prima torre appena conclusa e poi si procede con le altre, man mano che si svuotano i vecchi edifici. Inoltre, le famiglie non devono pensare nemmeno al trasloco, che è a cura dell’impresa di costruzione. Questo non è un progetto, è un concerto... Se a Modena partiamo con questo progetto, in cinque anni avremo costruito un’altra città. Oltre a riqualificare il patrimonio immobiliare – dando alle famiglie un vero capitale, a costo zero, senza spese per il pubblico, per il quale abbiamo addirittura previsto di pagare il 50 per cento degli oneri –, la buffonata delle targhe alterne non avrà più senso, perché, risparmiando 380 tonnellate di CO2 all’anno per ciascun isolato, dopo sette, otto anni, il problema dell’inquinamento in città si risolverà. Ma occorre trovare nel pubblico chi è ancora disposto a sognare. Allora, con la sua arte di costruttore di grandi opere, che mettono in collegamento la terra, il mare e il cielo, proviamo a mettere in collegamento le persone... In questo senso, non ho ancora perso la speranza che ci sia uno scatto di orgoglio di questa città, perché lo meriterebbe. 23 B RUNO C ONTI presidente di Sefa Holding Group Spa, Sala Bolognese (BO) L’APPORTO DEL MANIFATTURIERO ALLA CIVILTÀ La battaglia di civiltà oggi in Italia esige una politica industriale che favorisca l’apertura di nuove imprese e il rilancio di quelle che hanno tenuto durante la crisi economica degli anni scorsi. Da dove occorre incominciare? È necessaria una programmazione industriale che indirizzi gli investimenti allo sviluppo del manifatturiero per la produzione di ricchezza da distribuire nel paese. La nostra attività è strategica nella fornitura di materia prima, come acciaio e leghe. Occorre incentivare l’impresa anche con accordi fra industriali seri, che cioè non scelgano la via facile di esportare le strutture produttive all’estero. Inoltre, le istituzioni devono impegnarsi ad abbassare la tassazione per non rendersi complici dell’espatrio delle nostre migliori imprese, che, a pochi chilometri dai nostri confini, in Slovenia o in Austria per esempio, trovano condizioni fiscali e amministrative più efficienti, che consentono in appena quattro mesi di costruire lo stabilimento e avviare la produzione. In Italia, invece, solo per costruire una cabina elettrica per aumentare il voltaggio di energia dei macchinari, occorre attendere almeno un anno a causa della burocrazia che rallenta i tempi di produzione e richiede costi esosi per essere mantenuta. Oggi la battaglia si svolge anche in ciascuna azienda, per esempio, riducendo i tempi di lavorazione dei prodotti che occorrono alle imprese, quindi offrendo maggiore flessibilità al settore manifatturiero. Noi stiamo facendo la nostra parte con l’avvio dell’innovativo servizio di Sefa Machining Center, che poche imprese offrono in Italia e a breve implementeremo il magazzino automatico di un ulteriore nuovo macchinario a taglio ad acqua per la preparazione di semilavorati in acciaio e leghe applicati nei diversi settori produttivi, dall’aeronautico al biomedicale a quello meccanico. Abbiamo investito in nuovi macchinari il 9 per cento del nostro fatturato, che si aggira attorno ai venticinque milioni di euro annui, e abbiamo assunto a tempo indeterminato nuovi collaboratori. Quale può essere l’apporto degli industriali in questo momento? Bruno Conti L’attività del manifatturiero è strettamente connessa a quella della grande industria. È necessario individuare i filoni d’interesse comune nel manifatturiero. In Emilia Romagna ci sono officine in cui gli operai svolgono un mestiere che si tramanda da generazioni, come quello della meccanica. Occorre non far finire tutto questo, abbassando il prezzo delle commesse o aprendo un settore interno che svolge il lavoro fino al giorno prima affidato a imprese di subfornitura esterne. Se la subfornitura viene impoverita, come farà a investire nei macchinari di ultima generazione per prodotti sofisticati e la fornitura di commesse in tempi più ragionevoli per la grande industria? Ancora prima delle istituzioni, spetta ai grandi gruppi industriali avere rispetto della manifattura e mantenerla attiva. Come avrebbero fatto le multinazionali di Mirandola a produrre, se non ci fossero state le tante piccole e medie imprese della zona? A Bologna, salvo poche eccezioni, non esiste quasi più il settore degli stampi, così è accaduto per l’industria motoristica, che aveva reso questo territorio la Motor Valley dell’Italia. In questo paese il manifatturiero non ha interlocutori e, nella maggioranza dei casi, i grandi gruppi industriali continuano a trarre vantaggi da una manifattura sempre più disgregata. Questo è accaduto durante la crisi siderurgica che si è aperta con il caso Ilva. Oggi, l’acciaio è svalutato del trentacinque per cento rispetto alla quotazione del 2012, quando sono incominciate le vicende giudiziarie dell’Ilva. Un acciaio comune si vende a 65 centesimi, mentre fino a pochi anni fa quello povero era valutato attorno agli 85. A questo si aggiunge la svalutazione del costo orario del lavoro di operai che non hanno prospettive per il futuro del settore. In Emilia ci sono imprenditori che sono costretti a invitare i propri operai a rientrare a casa prima del solito perché non hanno commesse da evadere. Il manifatturiero ha perso milioni di lavoratori in Italia, dal 2007 a oggi. Nell’indifferenza generale, padri di famiglia dell’età di cinquant’anni sono stati espulsi dall’apparato produttivo. Questa è la sconfitta peggiore per un settore come quello manifatturiero, che ha contribuito alla prosperità delle nostre città. La battaglia di civiltà in Italia è quella di rilanciare la cultura del manifatturiero perché civiltà vuol dire anche privilegiare gli interessi delle città in cui viviamo. 25 Collaborazione con altre Reti di imprese Diffusione di buone pratiche di CSR Eventi di formazione interna Seminari pubblici itineranti programma e tutte le iniziative Il nostro sono disponibili su www.aziendemodenesiperlarsi.it Aziende Modenesi per la Responsabilità Sociale d’Impresa Competitività e sviluppo per creare valore sostenibile Aziende Modenesi per la Responsabilità Sociale d’Impresa è un’Associazione nata a fine 2014 dalla volontà e impegno di alcune imprese del territorio, che si pone l’obiettivo di promuovere principi e pratiche di Corporate Social Responsibility (CSR). Welfare aziendale, green economy, mobilità sostenibile, stakeholder engagement, smart city e formazione sono alcuni dei temi condivisi. 26 Via Divisione Acqui 129 - 41122 Modena P.Iva 03596270367 - C.F. 94177980367 www.aziendemodenesiperlarsi.it info@ aziendemodenesiperlarsi.it Seguici su P AOLO M OSCATTI presidente di TEC Eurolab Srl, Campogalliano (MO) LA RESPONSABILITÀ DELL’IMPRESA PER L’EDUCAZIONE DEI GIOVANI A proposito del titolo di questo numero del giornale Battaglia di civiltà, stiamo indagando in che modo l’imprenditore dia un contributo a questa battaglia, anche per il semplice gesto di instaurare dispositivi con i collaboratori, i clienti, i fornitori e altri, che magari non avrebbero occasioni di parola in altri ambiti della società o non avrebbero modo di valorizzare i propri talenti... La conduzione di un’impresa esige sempre più la formazione intellettuale dell’imprenditore, perché è sempre meno limitata e circoscritta agli aspetti economici e finanziari, quindi alla produzione e alla vendita di beni e servizi. Nessun imprenditore oggi dovrebbe ritenere superfluo occuparsi della Responsabilità sociale d’impresa. Il nostro impegno in questa direzione ci ha portati a partecipare, il 30 settembre 2014, alla costituzione dell’associazione Aziende Modenesi per la Responsabilità Sociale d’Impresa. Mi sarebbe piaciuto però togliere l’aggettivo “sociale”, che evoca immediatamente un’idea di assistenza ai bisognosi, mentre la responsabilità d’impresa a cui dobbiamo puntare riguarda soprattutto il ruolo dell’impresa nel territorio in cui opera e, viceversa, il modo in cui il territorio la considera sua parte integrante. Considerando che la responsabilità d’impresa oggi contribuisce anche alla produzione di valore, la nostra azienda ha posto alla base del proprio sviluppo due principi essenziali. Prima di tutto, il principio che la creazione e la distribuzione di valore realizzati dall’impresa non possano prescindere dal capitale intellettuale delle persone che la costituiscono, così come dal territorio in cui è situata. In secondo luogo, il principio che il cervello dell’impresa debba essere diffuso: l’imprenditore che pensa di potere fare tutto da sé, avvalendosi dei collaboratori per le loro mere competenze tecniche, perde gran parte del valore intellettuale che sorge dal contributo e dal confronto con i collaboratori. E, anche in questo, la connessione con il territorio è fondamentale, soprattutto se consideriamo che il cervello dell’impresa non è solo diffuso all’interno dell’azienda, perché le sinapsi, per dir così, delle persone che ci lavorano sono attive anche all’esterno, nella famiglia, negli ambienti che ciascuno frequenta nel tempo libero o nei suoi rapporti con le istituzioni. Per questo nessuna azienda, anche quelle che vendono i loro prodotti principalmente all’estero, può lasciare al caso il legame con il territorio, perché il valore di ciascun brand oggi non è indipendente dal modo in cui l’impresa viene percepita nel territorio in cui opera. Non si può parlare di un’impresa indipendentemente dal suo territorio, così come è ridicolo parlare di territorio, senza considerare le imprese ivi insediate. Penso sia chiara a tutti l’influenza che un’impresa esercita sulla qualità della vita nel territorio dove opera. L’imprenditore deve essere consapevole di questa influenza e delle ricadute che le sue decisioni possono avere sul territorio. Può fare qualche esempio? Proseguendo il tema della responsabilità sociale, penso, per esempio, a quelle aggregazioni sportive o di volontariato che i giovani frequentano durante l’adolescenza. Definisco queste realtà “terzi attori” dell’educazione, dopo la famiglia e la scuola, con la differenza che queste hanno un carattere obbligatorio, mentre quelle sono scelte dai giovani in base alle loro preferenze e alle opportunità di socializzazione e realizzazione che v’intravedono. Se, in tali ambiti educativi – la palestra, il campo di calcio, l’oratorio o altro –, i giovani incontrano figure di riferimento in grado di concorrere alla loro formazione, proprio in quell’età nella quale iniziano a prendere le distanze dalla famiglia e spesso percepiscono la scuola più come obbligo che come opportunità, ecco che allora la valenza sociale di quella che appare essere semplicemente la squadra dell’oratorio o della polisportiva, assume un’importanza rilevante, per il giovane, per la famiglia e per la società in generale, non ultime per le aziende che, senza averne consapevolezza, usufruiscono dei risultati di questa educazione. Cito un esempio di una realtà, che ho avuto la fortuna di conoscere: la Scuola di Pallavolo Anderlini, centinaia di ragazzi e ragazze, decine di istruttori che insegnano sì la pallavolo, ma prima ancora l’educazione civica, portano i ragazzi a riconoscere, a vivere, i valori del rispetto, della collaborazione, dell’appartenenza, della responsabilità verso se stessi e gli altri. Si sono dati una Carta Etica dove leggiamo principi e valori, in linea con quelli che caratterizzano le imprese responsabili. Aiutare queste realtà significa aiutare a educare i collaboratori e gli imprenditori di domani. Naturalmente, ragionamenti analoghi valgono per il sostegno a ogni altra iniziativa volta a creare benessere sociale e opportunità di incremento del capitale intellettuale, come ad esempio l’associazione culturale che pubblica questo giornale. Sono solo piccoli esempi per dire che l’azienda responsabile cura il territorio, i propri stakeholder, in ragione delle possibilità e delle necessità, avendo la consapevolezza che dal territorio attinge il capitale umano, le risorse intellettuali indispensabili al compimento della propria missione. Quella della responsabilità sociale d’impresa è una battaglia in cui si vince sempre e vince ciascuno, non ci sono sconfitti; sconfitto è chi non combatte. 27 28 D ANTE M ARCHETTI presidente di Officina Meccanica Marchetti Srl, Sala Bolognese (BO) A SCUOLA NELL’AZIENDA La vostra azienda, attiva da quarant’anni nella produzione di stampi, è sempre stata attenta alla formazione professionale meccanica dei giovani e più volte ha accolto scolaresche in visita per testimoniare le opportunità della pratica tecnica e le sue implicazioni nella quotidianità… Attualmente, siamo impegnati in un progetto per la formazione professionale nel settore degli stampi. Questa iniziativa ha preso spunto da quella che ha avviato a livello nazionale Meusburger, un’azienda austriaca attiva nella produzione di stampi, fra le più importanti del settore in Europa. Al suo interno gestisce una scuola in cui ragazzi fra i quattordici e i diciotto anni seguono lezioni teoriche per metà giornata e per la restante parte lavorano negli stabilimenti produttivi. Concluso il percorso di studi, possono iscriversi all’università oppure incominciare subito a lavorare all’interno dell’azienda o in altre fabbriche, grazie alla promozione di Meusburger. Secondo un’indagine di mercato condotta dall’azienda austriaca, nei prossimi dieci anni l’Italia potrebbe registrare una crescita nella produzione industriale degli stampi. Il mercato italiano sarebbe dunque appetibile per potenziare le esportazioni di Meusburger, che ha però constatato anche l’arretratezza dei programmi scolastici improntati a parametri di quarant’anni fa in diversi istituti tecnici italiani, peraltro dotati di laboratori con attrezzature obsolete. L’azienda ha sottoscritto, quindi, un accordo a livello nazionale per insegnare a gruppi di docenti e studenti di alcuni istituti tecnici privati le tecniche di costruzione che saranno utilizzate tra 5 o al massimo 10 anni. Attualmente, per esempio, dobbiamo adoperare 50 chili di acciaio di alta qualità, quindi molto costoso, per realizzare il pezzo di uno stampo da 5 chili. Lo smaltimento dei 45 chili rimanenti richiede l’utilizzo di oli inquinanti e energia elettrica in quantità elevate. Per il futuro di questo settore è necessario avvalersi di tecnologie che riducano gli sprechi e l’inquinamento: per costruire lo stesso pezzo da 5 chili, ne vengono impiegati solamente 5 di polvere d’acciaio, con la fusione mediante laser. In questo caso, non si producono rifiuti, non si utilizzano oli di lavorazione e viene consumato circa un centesimo dell’energia elettrica necessaria per lavorazioni svolte con le tecniche precedenti. Queste Dante Marchetti tecnologie verranno utilizzate dagli studenti quando incominceranno a lavorare. Noi siamo fra le aziende che partecipano a un nuovo progetto di formazione tecnica con l’Istituto Salesiani di Bologna. Per i tempi ridotti a nostra disposizione, però, non potremo formare stampisti, ma per noi è già sufficiente interessare gli studenti alla nostra attività. Se riusciremo a suscitare questa curiosità, credo che sarà compiuta una buona parte del lavoro, perché avremo stimolato i giovani a intendere il lavoro non come qualcosa di pesante per l’individuo, ma come fonte di soddisfazione e miglioramento personale. Per questo abbiamo cercato di coinvolgere gli istituti tecnici privati, come l’Istituto Salesiano di Bologna, poiché da quelli statali non abbiamo ricevuto alcuna risposta. In questo numero apriamo un dibattito sulla battaglia di civiltà che gli imprenditori più lungimiranti stanno conducendo sul territorio… Questa battaglia non ha nemici. Noi vogliamo far sentire ai giovani studenti l’orgoglio che si prova nel vedere il prodotto di un lavoro costruito con le proprie mani e far capire loro di cosa c’è bisogno nella città. Attorno agli anni ottanta, insieme a un gruppo di stampisti con cui ci riunivamo abitualmente per discutere dei problemi del settore, abbiamo intuito che in futuro avremmo avuto difficoltà nell’assumere personale preparato. Già allora abbiamo pensato di coinvolgere le scuole, in particolare l’Istituto Aldini Valeriani, in cui si svolse un primo incontro. La nostra proposta di accogliere studenti che svolgessero un’esperienza di lavoro nelle nostre aziende è stata esposta ai docenti della scuola e ad alcuni esponenti del sindacato. Tuttavia, da questi ultimi è stata interpretata subito in modo ideologico, come un tentativo per strumentalizzare i giovani. La proposta non ha avuto seguito, anche perché, particolarmente in quel periodo, non si potevano avviare iniziative senza il beneplacito del sindacato. Cosa prevede il vostro progetto di formazione? Prevediamo di insegnare le procedure che occorrono per produrre gli stampi, cominciando dalla fase del montaggio della macchina – poiché lo stampo, anche per denominazione formale, è una quasi-macchina. Così, se non stampisti, possiamo formare addetti alle macchine, progettisti e montatori meccanici. Questo tipo di formazione dovrebbe durare 6 mesi nelle aule scolastiche per concludersi con la pratica in azienda qualche mese dopo, in modo che gli studenti possano constatare nella pratica quello che hanno imparato durante le lezioni teoriche a scuola. 29 L’EXÉ Restaurant di Fiorano, completamente rinnovato, ha festeggiato il proprio trentennale iniziando la nuova attività sotto il nome di Exé1985 L’ambiente ideale per vivere e festeggiare il veglione di Capodanno e ogni vostra ricorrenza Via Circondariale San Francesco 2 41042 - Fiorano Modenese [email protected] 0536 030013 www.exe1985.it M ARCELLO M ASI presidente di Finmasi Group, Modena NUOVO RISTORANTE EXÉ 1985: DOVE SI FESTEGGIA LA VITTORIA DI TANTE PARTITE Con oltre 500 dipendenti, le sue aziende, che fanno capo a Finmasi Group, hanno reso Modena e l’Emilia Romagna celebri nel mondo, in settori che vanno dalla siderurgia (Metalsider e Sidermed), ai trasporti (Sanvitale Trasporti e Spedizioni), all’elettronica di eccellenza (MD Microdetectors, che produce sensori industriali, e Cistelaier e Techci RhôneAlpes che producono circuiti stampati) e, per finire, al turismo e servizi (Executive Hotel e Ristorante Exé 1985). Ma le opere esposte nel vostro headquarter ci ricordano anche il suo amore per l’arte, che non si limita al bel canto, con cui a volte intrattiene i suoi amici, ma sfocia nello sport, considerando che lei è stato fino a ieri, per ben quarant’anni, presidente dell’Associazione Calcio Formigine. In breve, nella battaglia di civiltà, che trova nell’impresa terreno fertile, lei ha sempre giocato tante partite, con risultati più che soddisfacenti … La mia prima partita è incominciata il 27 giugno 1961, quando, lasciando la mia città di origine, Bologna, mi sono trasferito a Modena, dove ho costituito quella che oggi è la Metalsider, decisione frutto della fame e della follia, per dirla con Steve Jobs. Avevo ventidue anni, sposato con una figlia e genitori a carico. All’epoca ero uno dei venditori considerato fra i più performanti della Divisione Centri di Servizio del Gruppo siderurgico Falck. Quindi avevo già un’ottima posizione, ma come tanti imprenditori che hanno incominciato nel momento del boom economico ho seguito il mio istinto e ho avviato quella che è diventata una realtà di riferimento importante a livello nazionale, la Metalsider, oggi con sede nel porto di Ravenna. A partire dalla sua esperienza, quali sono le armi vincenti per un imprenditore? Premetto che non si possono fare paragoni con il pregresso né tantomeno con l’epoca definita “boom economico”, dove il mercato aveva fame di tutto. Tuttavia, ora come allora, la riuscita di un’impresa richiede la ne- cessaria ambizione e tanto coraggio, ingredienti che producono gli effetti indispensabili se sostenuti da impegno, conoscenza e da una predisposizione, che, senza ricorrere a sinonimi, si chiama “talento”. Lei non sta parlando solo del marketing e della pubblicità, vero? Certo, non solo. Sto parlando del modo di porsi dell’individuo, sia egli dirigente o imprenditore, verso il mondo con il quale deve rapportarsi. L’imprenditore può essere un uomo di studi, oppure, come nel mio caso, un uomo che proviene dal mondo del lavoro – marketing e vendita prima e poi dell’impresa nella sua globalità, una volta divenuto imprenditore –, ma deve tenere conto dei diversi fattori che entrano in gioco nell’incontro e deve avere il gusto della parola e della comunicazione. Allora, non è casuale se un imprenditore con il suo talento e le sue doti comunicative ha avviato nel 1985 anche un’avventura nel settore turistico, realizzando l’Hotel Executive di Fiorano e l’annesso Exé Restaurant, allora prima e unica realtà a quattro stelle nel cuore del distretto ceramico più importante al mondo, struttura di cui, da poco più di due anni, lei si occupa direttamente, a capo di una squadra di ottimi collaboratori, con la direzione di Lorena Merli, che faceva parte dello staff fin dagli inizi. Le rispondo volentieri, anche se devo sfatare in questo caso le doti che lei mi accredita, nelle quali tuttavia mi riconosco, senza timore di apparire immodesto. L’impresa dalla quale è nato il complesso dell’Hotel Executive, oggi proprietà di Finmasi Group, è stata un’operazione atipica rispetto alle modalità da me usate abitualmente. Nacque come un’operazione con intento speculativo in campo immobiliare, la quale, per diverse ragioni, mi mise di fronte alla necessità di fare una scelta di tutt’altra natura, cioè quella di creare un’impresa nel settore dei servizi. Oggi devo dire che sono contento di aver gestito quella scelta con coerenza imprenditoriale. Il 29 ottobre scorso, abbiamo festeggiato il trentennale di questa struttura e, in particolare, abbiamo inaugurato il ristorante Exé, dandogli appunto il nome di EXÉ 1985, locale completamente rinnovato e moderno, che sarà gestito dalla società omonima di recente costituzione fra l’Hotel Executive Srl e l’economista Stefano Gualdi, che ha assunto il ruolo di amministratore delegato e direttore di questo ristorante, che si offre al mercato e, in particolare, a tutti coloro che nel comprensorio vivono o si trovano a operare. L’intento è stato quello di far rivivere una storia e una realtà che fin dall’inizio della sua attività – 18 maggio 1985 – annoverò fra i suoi clienti tanti imprenditori del comprensorio e con essi tutto il mondo che gravitava intorno alle loro aziende, fra cui la società Ferrari e i suoi famosi piloti. Abbiamo inteso riprendere l’attività del nostro ristorante con rinnovata lena e fiducia, proponendo al mercato del nostro importante comprensorio – e non solo – una cucina che, pur nel rispetto della territorialità, offre anche soluzioni innovative, compresa la scelta che abbiamo fatto di servire una pizza gourmet che possa veramente competere e farsi apprezzare, oltre che per il gusto, per una particolare leggerezza. Tutto quanto assistito da condizioni e servizio degni di tale clientela. 31 32 M AURIZIO V ENARA presidente di TracMec Srl, Mordano (BO) INVESTIAMO NONOSTANTE LA BUROCRAZIA La vostra azienda, da dieci anni protagonista nel settore dei cingolati, sta investendo nel rinnovo della sede e in nuovi macchinari. Eppure, in questo periodo, sembra difficile fare previsioni, soprattutto in Italia, sull’avvenire delle imprese… Proprio perché non conosciamo le richieste del mercato nei prossimi anni dobbiamo pensare ora a qualificare ulteriormente l’azienda. Per questo stiamo investendo in un’organizzazione interna più efficiente e in macchinari all’avanguardia, come la nuova alesatrice, per la quale abbiamo investito un milione e mezzo di euro, per produrre ancora di più in termini di qualità. Inoltre, oggi, il prezzo competitivo del prodotto finale si ottiene non con un risparmio nella qualità, ma con un’organizzazione mirata. Gli scenari futuri, infatti, restano ignoti, ma la qualità è sempre un ottimo investimento. È come il caso di una bella donna che compra il vestito migliore per uscire la sera. Se sapesse a priori di non incontrare nessuno, non lo comprerebbe. Investire in tecnologia all’avanguardia è un’occasione in più per entrare in una nicchia di mercato in cui è premiata la qualità e non il basso prezzo. Inoltre, è anche un modo per ottenere maggiore efficienza energetica, considerando che oggi la tecnologia consente anche questo. Qual è la nuova scommessa di TracMec? Stiamo studiando l’intervento dei nostri cingolati in due settori diversi, quello dei sottocarri classici, da impiegare in ambito forestale, e quello dei carri anfibi, utili in ambienti paludosi, fluviali o lacustri. Si tratta di nicchie di mercato e per noi sarebbe già un record costruire cinque o dieci pezzi all’anno. Inoltre, stiamo organizzando l’inserimento di collaboratori specializzati per soddisfare le particolari richieste tecniche dei clienti. Scommettere sui carri anfibi indica che il futuro del paese sarà quello d’investire sempre più nella manutenzione Maurizio Venara dei terreni che hanno ceduto a causa di piogge e nubifragi spesso proprio per la mancata manutenzione... Il cingolato anfibio permette all’escavatore di operare in zone paludose, oppure anche in zone con una certa profondità di fondali, per questo è necessario che galleggi. Per costruire un carro anfibio dobbiamo tenere conto di specifiche normative, diverse per ciascun paese europeo e estero. Nei paesi francofoni, per esempio, includendo anche il Nord America, sono richieste carat- teristiche tecniche peculiari, mentre alcuni paesi del Nord Europa ne richiedono altre. È chiaro che, quando cambiano certi parametri progettuali, anche le prestazioni della macchina sono diverse. Il costruttore deve essere sicuro di quali sono i criteri tecnici che ciascun paese richiede. Ma avere questo tipo di informazioni è difficile, e in Italia è quasi impossibile. Non è chiaro, anche all’estero, quali siano i parametri tecnici che occorrono per ottenere la certificazione. Pertanto, o la certificazione è data dal cliente, che assume la responsabilità di eventuali problematiche, oppure l’imprenditore costruttore rischia che sia bloccata la vendita da un ente omologatore solamente perché manca un dettaglio che invece l’ente richiede. La questione è che si tratta di macchine il cui costo è intorno ai 400 mila euro ciascuna. La vostra scommessa è quella di inventare un carro anfibio che rispetti le omologazioni di ciascun paese? La difficoltà è anche quella di acquisire le informazioni tecniche specifiche, dal momento che la confusione in materia dipende proprio dagli enti fluviali o marittimi deputati a dare queste indicazioni. Per noi è importante definire un progetto che consenta di produrre un certo numero di macchine all’anno. Ma, in Italia, le normative non definiscono molti aspetti, lasciando la disciplina dei criteri tecnici alla regolamentazione delle singole province o delle regioni. Pertanto, lo stesso procedimento di costruzione, presentato in due regioni, è valutato in modi diversi e questo accade anche fra province distanti cinquanta chilometri l’una dall’altra. La burocrazia pensa di essere utile al paese in questo modo, ma dimentica che quello che serve è lasciare lavorare le imprese. Intanto, assistiamo al paradosso di aziende che vogliono lavorare e che, invece, sono bloccate a causa dell’interpretazione di postille, i veri cavilli burocratici che intasano l’apparato produttivo. 33 R AIMONDO R AIMONDI Marketing Manager di R.C.M. Spa, Casinalbo (MO) INDUSTRIALIZZAZIONE E QUALITÀ ARTIGIANALE PER LE MACCHINE R.C.M. Lei gestisce la filiale spagnola della R.C.M. dal 2005, da quando i tre fratelli fondatori — Renzo, Roberto, suo padre, e Romolo — hanno deciso di passare il testimone ai successori. Qual è stata la sua esperienza precedente in azienda? Nel 1985, appena diplomato, ho incominciato a lavorare in azienda, occupandomi di aspetti amministrativi. È stata un’esperienza importante, che mi ha permesso di acquisire strumenti che in seguito si sarebbero rivelati indispensabili nella gestione dell’impresa. Dopo una sosta obbligata per prestare il servizio militare, al mio rientro, nel 1987, sono passato dal reparto amministrativo all’ufficio commerciale, che si occupava della gestione delle commesse e degli ordini, ma anche della formazione offerta ai clienti sull’utilizzo corretto dei prodotti venduti, organizzata presso i nostri concessionari in tutt’Italia. È stata un’esperienza entusiasmante, che ricorda quella vissuta da mio padre quando doveva lanciare per la prima volta le motoscope sul mercato e si recava direttamente dai potenziali clienti per fare dimostrazioni del prodotto (come possiamo leggere nel n. 64 di questo giornale). Dall’area commerciale sono poi passato al reparto produttivo, di cui sono diventato successivamente responsabile. Nei molti anni in cui ho lavorato in questo settore, ho potuto seguire e gestire direttamente l’evoluzione di R.C.M. verso l’informatizzazione di tutti i processi, fino all’applicazione dei principi della lean production. Ho visto crescere l’azienda, che è passata rapidamente a un’offerta di modelli numericamente molto superiore rispetto al periodo precedente. Poi, nel 2005, come ricordava lei, la nostra famiglia si è riunita e abbiamo deciso che era arrivato il momento di 34 compiere il passaggio generazionale all’interno dell’azienda. Ci siamo avvalsi della collaborazione di un consulente, che poi è diventato un amico, e ci siamo ridistribuiti le responsabilità: oltre al marketing, io ho preso in gestione la nostra filiale spagnola. Quali sono state le difficoltà che ha dovuto affrontare nei primi anni della sua esperienza in Spagna? Raimondo Raimondi con la lavapavimenti Tera R.C.M. La società spagnola, che nel corso degli anni abbiamo acquisito al 100 per cento — mentre all’epoca avevamo solo una quota di minoranza —, era stata fondata nel 1993 a Sant Celoni, nei pressi di Barcellona. Finché R.C.M. deteneva solo il 40 per cento, i contatti con la filiale spagnola avvenivano una volta ogni tre, quattro mesi. Il nostro socio spagnolo parlava perfettamente italiano e aveva una speciale comunione d’intenti con mio padre. Quando abbiamo acquisito la maggioranza della società, chiaramente, i contatti con la filiale sono diventati più stretti e ho incominciato a recarmi in Spagna sempre più spesso, circa tre giorni ogni due settimane, come amministratore della società, mentre il nostro ex socio ha mantenuto soltanto la responsabilità di organizzare la rete commerciale. La produzione è sempre rimasta a Modena, mentre la filiale si dedica alla commercializzazione, garantendo la disponibilità delle macchine, dei ricambi e del servizio tecnico. Per qualche anno la filiale è andata benissimo, con piani di crescita del 20 per cento annuo, fino al fatidico 2007, quando la Spagna fu colpita dalla crisi. Proprio poco prima che scoppiasse la bolla immobiliare negli Stati Uniti e in Spagna, forti degli ottimi risultati commerciali, avevamo deciso di investire per dare ulteriore slancio alla nostra filiale, acquistando un immobile di maggiori dimensioni per servire meglio i nostri nuovi clienti. Non solo, avevamo aperto una sede della filiale a Madrid, dove si trovano le più importanti imprese di pulizia della penisola, alle quali volevamo rivolgerci con uno specifico piano di marketing. A differenza delle imprese di pulizia presenti in Italia, le imprese spagnole sono costituite da un gruppo numeroso di società di servizi nate da grandi gruppi di costruzioni edili, impegnati nella realizzazione di grandi infrastrutture pubbliche e private sul territorio nazionale ed estero, oltre che da una grande quantità di imprese medio piccole. Purtroppo, anche le grandi imprese di pulizia, come tutto il comparto produttivo, hanno profondamente risentito della crisi. Di conseguenza, da quel momento, anche per R.C.M. sono incominciati anni difficili, anche se questo non ci ha impedito di rimanere sul mercato, grazie all’intuizione di trovare, in nuovi canali di distribuzione, nuove possibilità di fatturato. Ed è in questo periodo che è nata Alkiberica, un’innovativa piattaforma per il noleggio a livello nazionale delle nostre motoscope e lavapavimenti. E l’avvenire come si sta prospettando? Crediamo che la nostra capacità di aumentare le attuali quote di mercato debba passare soprattutto dallo sviluppo di prodotti innovativi. Di re- Grande spazzatrice Macroclean M60 R.C.M. cente abbiamo posto le basi della nostra visione per il futuro della pulizia avviando il progetto RCM Cleaning Solutions con l’obiettivo di realizzare prodotti che, oltre a pulire bene, riducano al minino l’impatto ambientale. Ne sono un esempio la lavapavimenti ECO3 Sanitizing, che sfrutta la capacità ossidante dell’ozono per la sanificazione dei pavimenti senza l’uso di detergenti chimici, oppure Reaqua, il primo sistema di chiarifloculazione mobile che permette di riutilizzare fino a 8 volte la stessa acqua delle lavapavimenti, riducendo il consumo e lo spreco di acqua. Ma oggi puntiamo molto anche a coprire nuovi settori di mercato. Ed è in quest’ottica la nascita nel 2014 di Macroclean, una joint-venture per la produzione di una grande spazzatrice a completamento sia della nostra ampia gamma di macchine industriali, sia per affiancare le nostre più piccole spazzatrici Ronda e Patrol per la pulizia urbana. In verità, non abbiamo mai scommesso molto sul settore della pulizia urbana in Italia, perché è risaputo da quante pastoie burocratiche deve districarsi chi decide di lavorare con il pubblico, ma fuori dall’Italia queste macchine sono molto richieste anche in ambito indu- striale e da qui è scaturita la nostra decisione. La Macroclean M60 è una macchina meccanica aspirante adatta per lavori molto gravosi in ambito industriale (miniere, fonderie, acciaierie ecc.), ma è anche particolarmente funzionale nella pulizia delle città di aree del mondo con caratteristiche differenti da quelle europee. In Medio Oriente, per esempio, dove le strade sono invase dalla sabbia, le tradizionali macchine aspiranti, senza filtri, non riuscirebbero a dare gli stessi risultati. M60 spazza e raccoglie la polvere contemporaneamente in un contenitore e, grazie a un sistema di filtri, la cattura impedendo la diffusione in atmosfera, diversamente dalle altre spazzatrici aspiranti, che utilizzano ingenti quantità di acqua, un bene considerato sempre più prezioso, per abbattere la polvere fissandola a terra senza rimuoverla. Ronda, che utilizza lo stesso sistema meccanico aspirante di M60, è stata sottoposta a un test da una società di Modena, lo studio Alfa, dal quale è emerso che, grazie al suo sistema di filtri, riesce a raccogliere la quasi totalità della polvere dal suolo e che, una volta catturata, lascia passare nell’ambiente solo pochi milligrammi. Come responsabile marketing, lei ha inventato lo slogan: “C’è sempre una rossa fatta apposta per te”, con un forte richiamo alle Ferrari di Maranello, a due passi da Casinalbo, dalla vostra sede, eccellenze italiane che riescono a coniugare la meccanica all’estetica. In questo senso, nel vostro settore, anche le macchine R.C.M. non scherzano: è raro infatti trovare macchine per la pulizia così funzionali ed eleganti... È vero. Tuttavia, anche i nostri competitor più aggressivi producono ottime macchine. Il mercato oggi è più affollato di un tempo ed è in parte occupato da grandi gruppi multinazionali, con fatturati importanti e con grande capacità di investire in ricerca e sviluppo. Noi stiamo lavorando per raggiungere quegli stessi livelli, industrializzandoci, per contenere i costi e offrire macchine con finiture migliori. Lei dice che l’industrializzazione dà un valore aggiunto alle finiture, rispetto all’artigianalità? La macchina artigianale non è peggiore di quella industriale, ma per ridurre i costi, per rimanere competitivi sul mercato e per realizzare un prodotto finito che unisca in sé la cura dei particolari e la produzione su larga scala, l’industrializzazione è un passaggio necessario, anche perché permette di limitare molto gli sprechi. Tuttavia, abbiamo deciso di lasciare le caratteristiche artigianali in alcuni componenti delle nostre macchine, per il loro valore aggiunto e per l’impatto visivo che offrono. È vero che abbiamo sempre dato importanza all’estetica, tant’è che le ultime macchine hanno raggiunto un ottimo livello in questa direzione. La Tera, per esempio, l’ultimo modello di lavapavimenti per grandi superfici, è particolarmente ben riuscita. Rispetto alla Metro, la versione precedente, nella progettazione della Tera abbiamo curato attentamente ogni dettaglio, dall’aspetto estetico a quello tecnico, sempre con l’obbiettivo di ricavarne un valore aggiunto. Per esempio, abbiamo reso più semplice una particolare attività di manutenzione grazie a un’idea che ho avuto un giorno, mentre preparavo una presentazione nel nostro showroom. In effetti, l’imprenditore trova i modi per migliorare i prodotti, strada facendo... Certo. L’evoluzione dei prodotti è costante, in corso d’opera, e non ha mai fine. 35 36 P AOLO E M ARCO V ERONESI titolari della Gioielleria Ferdinando Veronesi e Figli S.r.l., Bologna DIECI ANNI DI CHANTECLER A BOLOGNA Il marchio di gioielleria Chantecler rilancia il mito dell’isola di Capri negli anni cinquanta, quando divenne la meta turistica internazionale più ambìta da attrici, cantanti, playboy, eredi di grandi dinastie industriali e scrittori di tendenza ispirati da una sciarada di profumi, colori e bellezze naturali. Da dieci anni, la vostra storica gioielleria diffonde a Bologna le creazioni artigianali della fortunata casa gioielliera caprese… Contrariamente a quanto farebbe pensare il nome in francese arcaico, Chantecler è un marchio che nasce proprio a Capri. Il gioiello simbolo di Chantecler è il portafortuna che ha fatto innamorare le donne più raffinate del mondo: la campanella Chantecler. La storia di questa campanella, infatti, nasce dall’antica leggenda caprese di san Michele. Si narra che fu il dono del santo a un giovane pastore che aveva smarrito la sua unica pecorella. Il tintinnio della campanella avrebbe fatto avverare ogni desiderio a chi l’avesse tenuta fra le mani, attirando la fortuna ovunque e in ogni momento. Al suono soave della campanella il pastorello trovò la gioia perduta e la sua pecorella. Anche noi siamo stati rapiti dal suono della campanella Chantecler, che avevamo notato nella boutique della casa gioielliera a Cortina per la fantasia e l’eleganza delle sue proposte. L’intuizione di Chantecler è stata quella di aver trasformato la campanella, il souvenir più desiderato di Capri, in un gioiello porte-bonheur di diamanti, oro, zaffiri, rubini, pietre dure e semipreziose, un arcobaleno di gemme dai mille colori che indicano un equilibrio prezioso di semplicità e fantasia. Come nasce il mito Chantecler? Nel 1947, Pietro Capuano, membro di un’antica famiglia di gioiellieri napoletani, è un uomo eccentrico – non Orecchini in oro rosa e smalto “Collezione paillettes” a caso è soprannominato “Chantecler”, come il gallo cantachiaro della favola – con una vera passione per l’alta gioielleria, ma quando incontra Salvatore Aprea, giovane caprese Collana di diamanti e corallo bianco “Chiave di violino”. Campanella con pavé di diamanti dotato di grande creatività e tecnica, avvia un sodalizio indissolubile. Il mito Chantecler è nato da quell’incontro. Chantecler e Salvatore Aprea diventano i gioiellieri di fiducia dello spensierato universo dei frequentatori dell’isola. Il mito del gallo Chantecler, come indica il marchio, ha conquistato personaggi come Grace Kelly, Ingrid Bergman, Jaqueline Kennedy, che furono letteralmente ammaliate dall’arte gioielliera dell’azienda caprese. Ancora oggi Chantecler esprime nei suoi gioielli unici il puro spirito della sfavillante Capri di quegli anni, non a caso raccontata in diversi film ispirati dall’atmosfera elegante e gioiosa dell’isola, di cui Chantecler e Aprea sono stati nobili testimoni. Oggi, le fortune dell’azienda made in Capri continuano con i figli del fondatore Salvatore Aprea, Maria Elena, Costanza, Gabriele e sua moglie Teresa. “In questo splendido futuro non dimenticare mai la tua storia”, recita il motto sul prezioso libro che racconta la storia di questa nobile avventura di alta gioielleria italiana, che, nel 1986, ha reso omaggio all’Italia e alla terra natia nella collezione Logo, che ritrae nelle sue creazioni la fortunata piazzetta di Capri con incastonato un piccolo brillante nel campanile (www.chantecler.it). Proporre le collezioni Chantecler ai nostri clienti significa farli entrare in questa atmosfera di gioia e fortuna, per farli sognare con noi. 37 38 M ARCO R EGAZZI Responsabile marketing di Soveco Spa, Centri Porsche Bologna, Modena e Mantova A OGNI EPOCA LA SUA 911 Gli ottantacinque anni che Porsche compie fra pochi mesi non hanno appesantito la giumenta alata simbolo della casa automobilistica di Stoccarda, che conferma il suo inconfondibile stile sportivo con la nuova edizione della storica 911, icona delle auto sportive di tutto il mondo. Quali sono i punti di forza di Porsche? Negli ultimi anni la casa automobilistica tedesca ha attuato molte innovazioni non solo negli aspetti tecnici delle vetture, ma anche nella relazione con il cliente e nella gestione delle concessionarie, compresa la formazione dei collaboratori. Il programma “Trenta e lode” è stato pensato da Porsche per sottolineare l’importanza della cura del cliente da parte di chi lo accoglie in concessionaria e da parte di meccanici, magazzinieri e personale amministrativo. Sono cresciuto in Emilia-Romagna a “pane e meccanica”, per dir così, considerando che mio padre ha fondato un’azienda nel settore delle cremagliere di precisione. Dopo la laurea in economia e un master in statistica, sono andato a lavorare a Milano, all’Istituto Europeo di Design (IED), dove ho avuto l’occasione di seguire i clienti di diverse multinazionali, fra cui Tiscali, Coca Cola e Pirelli, finché un collega del master mi ha proposto di fare un colloquio con Porsche. Dopo quasi dieci anni di collaborazione, posso dire che i punti di forza dell’azienda sono l’innovazione e la tradizione che si fondono nella meccanica e nello stile delle autovetture. Modelli come la 911, che è sul mercato da ben cinquantatre anni, confermano come questo connubio sia perfettamente riuscito. È una macchina sportiva, ma che si può usare tutti i giorni. Non esiste un’altra auto sportiva così versatile. D’altronde, Porsche è la casa automobilistica che in assoluto ha vinto più corse automobilistiche al mondo e in tutte le categorie, salvo la Formula Uno in cui non si è mai cimentata. La nuova edizione della 911 indica che il mondo sta cambiando, ma ogni epoca ha la sua 911. Ancora una volta le caratteristiche principali sono l’innovazione nel motore turbo, che migliora le prestazioni dell’edizione precedente, ma vanta consumi ridotti, e i tradizionali sei cilindri contrapposti, in perfetto stile Porsche. Marco Regazzi Le nuove automobili tengono conto della grande rivoluzione nella comunicazione, per questo avranno all’interno stazioni di connessione paragonabili a grandi smartphone. Il cliente acquista anche diversi servizi che può utilizzare guidando, come avvalersi della mappa del traffico in tempo reale o prenotare il ristorante, l’albergo o il volo aereo. Tutto questo avviene mentre è accomodato nel suo speciale salotto mobile, in cui dovrà solo preoccuparsi di guidare e di parlare, dal momento che l’auto è dotata di comandi vocali. Inoltre, Apple ha predisposto alcune funzioni che consentono di trasferire nel computer di bordo la memoria dello smartphone semplicemente appoggiandolo nell’auto. Stiamo anche studiando tecnologie per cui, se l’automobilista nota qualcosa che non sta andando come dovrebbe, potrà collegarsi in remoto con i nostri tecnici, che, attraverso appositi sistemi di controllo, faranno una diagnosi immediata direttamente dall’officina. Ciascuna modifica tecnica sarà annunciata tramite un semplice messaggio, inviato dall’officina al computer dell’autovettura. Sono tanti gli appassionati del marchio Porsche che amano collezionare i modelli della casa automobilisica… Porsche li chiama clienti esperti perché hanno una vera e propria passione per la meccanica del marchio al punto da acquistare più di un’auto. Solitamente, comprano vetture a benzina perché per loro il cuore della meccanica resta il motore a benzina, non a caso seguono le corse automobilistiche e i raduni Porsche. In ogni parte del pianeta i nostri più fedeli estimatori hanno fondato diversi Porsche Club. In Italia è molto attiva la Federazione Italiana Porsche Club, che raccoglie i Club riconosciuti ufficialmente dalla casa automobilistica di Stoccarda. La nostra concessionaria ha un suo Porsche Club e i nostri clienti usufruiscono di convenzioni speciali con l’officina, oltre a essere convocati per primi in occasione delle presentazioni di nuovi prodotti. Inoltre, ogni Club organizza un weekend dedicato, almeno una volta al mese. Solitamente sono occasioni per cene conviviali, per eventi sportivi o per visitare cantine vitivinicole, mostre d’arte e altro ancora. Quest’anno, l’Associazione Green Porsche Club Italia ha presentato la 24° edizione del circuito di golf “Porsche Green Cup 2015”, affinché i suoi porschisti possano misurarsi in avvincenti gare sui campi più belli d’Italia. Ma non mancano anche i Porsche Sci Club per gli appassionati dello sci e dei motori Porsche, che seguono il calendario di appuntamenti nelle più suggestive località sciistiche. 39 40 A NDREA R OBERTO M OROSATI direttore commerciale, Volkswagen Financial Services L’INTERVENTO DEL CAPITANO QUANDO SI ANNUNCIA LA TEMPESTA Nelle interviste precedenti del nostro giornale a lei e ai suoi più stretti collaboratori, abbiamo illustrato differenti dispositivi in cui il capitano interviene in direzione della qualità in vari settori di un’azienda di servizi come Volkswagen Financial Services. Ma in che modo il capitano mantiene la rotta, quando il mare è in tempesta e gli stessi marinai potrebbero soccombere per paura? In più di sessant’anni di vita del Gruppo, possiamo dire che l’immagine percepita dai nostri clienti, l’appeal delle marche e dei prodotti che rappresentiamo ha fatto spingere il veliero con un vento molto favorevole. In questo momento il vento soffia un po’ meno forte, e allora si tratta di intervenire per dare maggiore spinta alle persone che lavorano con noi – dai venditori ai concessionari a tutti i nostri collaboratori – per fare di più e meglio, puntando su valori che avevamo dato per scontato venissero percepiti naturalmente dai clienti. Questo vale su tutta la catena della distribuzione: i venditori che ricevono il cliente nello showroom, i titolari delle Concessionarie e, a monte, i reparti che decidono la strategia interna per sviluppare questo tipo di approccio. Non è un approccio in difensiva per aspettare che i tempi cambino, ma è un approccio attivo, che prende in considerazione le eventuali piccole imperfezioni da gestire e da governare. Pertanto, abbiamo messo in moto azioni per aiutare la nave a tenere la rotta e a riprendere la velocità di crociera voluta. Sono abbastanza abituato a lavorare con una squadra che vince le partite e i campionati, però, in tanti anni di attività come manager o come responsabile dei vari marchi del Gruppo, qualche goal l’ho preso anch’io e so che si possono prendere i goal, senza però perdere le partite. In questo momento stiamo per reimpostare la partita e rilanciare tutti i valo- ri del Gruppo, ben noti alla clientela, che per molti aspetti considera i nostri prodotti addirittura inavvicinabili dai concorrenti. Forse, quella di compiere uno sforzo straordinario per tenere clienti e volumi è più una preoccupazione da parte nostra, perché siamo abituati “ad andare veloci” e a gestire situazioni commerciali sempre positive. Sentiamo tuttavia il dovere di applicarci di più e di concentrarci con le risorse disponibili, per accorciare le maglie, stare più vicini ai clienti e Andrea Roberto Morosati rientrare nell’ambito di tranquillità come riteniamo che debba essere. Lei mi chiedeva come si gestisce e quali sono le reazioni a un momento in cui, quando tutto andava esageratamente bene, si vede un nuvolone e ci si accorge che fra qualche minuto può arrivare un temporale forte... Sì, quali misure si mettono in pratica? Si rivedono le strategie di gioco, con le risorse e le persone disponibili, si ragiona su ciò che può accadere, peggiorando lo scenario in termini di potenziali effetti, si rimane prudenti e si lavora sui valori e sulle aree di attività che sono le più specifiche verso il cliente finale, sugli anelli più deboli della nostra catena, che sono i venditori, affinché possano dare risposte ai clienti ed evitare che questi percepis- cano qualche imbarazzo, quando entrano in concessionaria. Come suggerisce il Vangelo, il vero peccato non è tanto ciò che si è commesso, quanto abbattersi, abbandonarsi e assumerlo come segno della fine della propria vita... Invece il proseguimento, aumentando lo sforzo per valorizzare il patrimonio di tecnologia, arte e cultura di tanti anni, consente non solo di non abbandonarsi, ma di non abbandonare né la rotta né la nave e di condurla in porto con tutto l’equipaggio... Nel business si può sintetizzare in poche parole: bisogna riconoscere gli errori, capirli e immediatamente reagire in termini costruttivi. Non è facile, per un’azienda con migliaia di persone, reagire per riportare la nave sulla rotta quando ci si accorge dell’errore, ma questa è la prova che un’azienda riesce a gestire una situazione imprevista e a cambiare velocemente lo schema di gioco con gli stessi giocatori, reimpostando la partita in maniera positiva. Questa è la forza di un gruppo, questa è la forza di un’azienda che funziona. In Italia abbiamo oltre trecento concessionarie, con tantissimi lavoratori, più tutti i collaboratori che lavorano nelle nostre filiali, e muovere tutta la nave in modo coordinato non è facile, ma è proprio questa la sfida. Soprattutto per lei, che deve gestire tra l’altro la formazione di circa 1300 venditori sul territorio. Ma dalle nostre interviste precedenti è emersa l’importanza che lei dà alla parola e ai suoi dispositivi... Purtroppo, spesso si pensa che i problemi debbano essere risolti da chi sta in alto, invece, credo che ciascuno di noi debba intervenire di volta in volta con le persone che ci sono più vicine. Occorre assumere la responsabilità di parlare dei problemi, di interessarsi, perché parlare vuol dire anche comprendere. Troppo facile protestare. 41 G IANNI S AGUATTI radiologo, direttore dell’Unità Operativa di Senologia-Dipartimento Oncologico dell’AUSL di Bologna e presidente di GISMa, Gruppo Italiano Screening Mammografico LA TECNOLOGIA GIOTTO CLASS PER LA DIAGNOSI DEL TUMORE AL SENO La Regione Emilia Romagna è l’unica ad avere avviato un ampio e dettagliato programma di diagnosi e sorveglianza per il rischio eredo-familiare di carcinoma mammario… Dal 2012, ciascuna donna residente in Emilia Romagna e in età compresa fra i 45 e i 74 anni riceve una lettera di convocazione per lo screening mammografico insieme alla scheda in cui segnalare i casi di carcinoma mammario e di carcinoma ovarico che si sono verificati in famiglia. In seguito, può incominciare un programma di sorveglianza molto accurato, che comprende una serie di appuntamenti per l’esecuzione di esami come la mammografia, l’ecografia e la risonanza magnetica, combinati in modo differente in relazione all’età e al livello di rischio. Questo percorso si svolge in regime di esenzione dal pagamento del ticket e costituisce una delle eccellenze della regione. Ho incominciato l’attività nel 1982 e ricordo bene quando, alla fine degli anni ottanta, Angelino Sgarzi, che considero il mio maestro, mi disse di essere stato invitato a vedere un innovativo apparecchio mammografico, contraddistinto dal cerchio in omaggio al celebre disegno di Giotto. Inoltre, negli anni novanta, la Regione è stata la prima in Italia ad avviare un dettagliato programma di screening mammografico sull’intero territorio, grazie alla donazione della Fondazione del Monte di due mammografi “Giotto”, nome che è profondamente legato all’avvento dello screening mammografico in Italia. In particolare, a Bologna e a Ravenna è incominciata con IMS (l’azienda produttrice di Giotto) la campagna di sensibilizzazione per l’esame mammografico verso tutte le donne nella fascia di età più esposta al rischio di carcinoma. Questo è stato possibile grazie all’integrazione di competenze differenti fra 42 la Fondazione bancaria, l’Ospedale, la AUSL di Bologna e l’azienda produttrice di Giotto. In che modo la nuova tecnologia Giotto Class, di cui si avvale nel reparto di senologia dell’Ospedale Bellaria di Bologna, offre un contributo alla sua pratica clinica? Il rapporto con IMS è di tipo istituzionale, quindi è necessariamente legato alle modalità di acquisizione secondo norme di legge che hanno consentito in questi anni di avvalerci delle loro apparecchiature. Nei primi anni duemila, la tecnologia mammografica ha sostituito al mammografo cosiddetto analogico quello digitale. IMS ha lanciato la sfida di produrre il primo mammografo a selenio amorfo, aprendo una nuova strada nella tecnologia per mammografia digitale, che da quel momento hanno seguito le più importanti multinazionali del settore. Questa tecnologia consente l’assunzione simultanea di immagini consecutive su uno stesso spessore, permettendo al radiologo di analizzare in stretta successione uno per uno i diversi strati mammari. È una tecnologia molto utile soprattutto per l’analisi delle mammelle più dense. Nel nostro reparto di senologia convergono tutte le immagini diagnostiche che sono rilevate nei dodici punti di screening mammografico della nostra AUSL, l’Azienda sanitaria fra le più grandi in Italia, che comprende un territorio molto vasto di 46 comuni, fra Castiglione dei Pepoli e Bentivoglio e fra San Giovanni in Persiceto e Pianoro. La logica dello screening è quella di portare la mammografia alle donne, offrendo l’opportunità di fare l’esame sotto casa o comunque nel proprio paese, se compreso nell’area dei comuni bolognesi dell’AUSL. Attualmente, siamo impegnati nella lettura di circa settantamila mammografie all’anno. Ampio e importante è l’uso che stiamo già facendo di Giotto Class, che ancora una volta rappresenta un’innovazione assoluta, non solo perché effettua mammografie digitali, come altre tipologie di mammografi ormai fanno, o perché fa biopsie, come pure avviene altrove, ma perché è anche l’unica apparecchiatura che può fare biopsie in modalità tomosintesi con paziente in posizione prona. La possibilità di applicare la biopsia stereotassica alla tomosintesi ci permette di fare biopsie molto accurate. Le biopsie stereotassiche vacuum assisted (VABB) infatti individuano aree o formazioni per le quali esiste un significativo sospetto di patologia, mentre la tomosintesi digitale mammaria (DBT) evidenzia lesioni molto piccole. Tutto questo acquista ancora più efficacia se la paziente è disposta su un apposito lettino, in posizione prona, perché ci consente di avere maggiori possibilità di centratura della biopsia. Chi conosce la modalità operativa della VABB sa bene quanto, in alcune occasioni, la differenza di posizionamento della mammella tra mammografia di base e scout-view bioptica, e soprattutto la diversa modalità di compressione mammaria tra queste, possa rappresentare una difficoltà nell’identificazione delle lesioni focali piccole non microcalcifiche e di quelle di tipo distorsivo. Attualmente, Giotto Class è l’unica apparecchiatura nel mondo che coniuga queste caratteristiche. Quali sono le prospettive per la prevenzione e la cura del tumore al seno? Grazie a queste tecnologie, oggi abbiamo la possibilità di individuare lesioni sempre più piccole e di fare prelievi con bersagli millimetrici. Un buon programma di screening mammografico, infatti, riesce quando incide in termini di riduzione della mortalità. Per ottenere questo risultato, occorre individuare le lesioni prima che diventino cancerose o quando sono ancora di dimensioni inferiori al centimetro, in caso di patologia conclamata. In altre parole, con Giotto Class siamo in grado non solo di diagnosticare le lesioni prima che diventino cancerose, rendendo necessaria l’asportazione chirurgica perché si estenderebbero, ma anche lesioni che non evolverebbero mai verso un cancro conclamato e che quindi non necessitano di intervento chirurgico. B RUNO T ONIOLO presidente di IMS Srl, Sasso Marconi (BO) L’IMPRESA VINCE CON L’ARTE E LA SCIENZA, NON CON LA BUROCRAZIA Nel 1988, l’economista Emilio Fontela considerava indispensabile per il brainworker e per la formazione dell’imprenditore del XXI secolo la propensione all’innovazione, che non dipende dall’applicazione di un sapere tecnologico alla produzione, ma dalle qualità dell’imprenditore, per questo indicato come l’artista del nuovo millennio… L’imprenditore italiano è un artista perché fa cose di grande ingegno e all’estero è molto apprezzato proprio per questa specifica vocazione. In Italia, invece, si sente dire che il difetto delle piccole e medie imprese sarebbe quello di essere individualiste e di non fare gruppo. L’imprenditore, come l’artista, è e resta individualista e, come l’artista, inventa in solitudine. L’invenzione esige la solitudine, non si può inventare in gruppo. Anche per questo l’Italia è piena di tanti piccoli imprenditori e inventori. Non lontano dalla nostra sede, Guglielmo Marconi ha cambiato la vita di tutti noi grazie a questa sua vocazione. Non a caso il mio motto recita: “Se si vuole pensare in grande bisogna essere da soli, ma se si vuole andare lontano bisogna camminare insieme”. Come spiega il paradosso per cui in Italia riscontriamo un’elevata densità di artisti ma anche di burocrati? L’artista non può essere un burocrate, odia la burocrazia perché frena il suo ingegno complicando ogni cosa. L’imprenditore italiano è unico al mondo per ingegno e arte. Nella mia pratica ho notato che anche il semplice operaio ha l’esigenza di lavorare in modo non convenzionale, per questo è importante accogliere le sue proposte. Non è casuale che i nostri musei siano apprezzati in tutto il pianeta, per non parlare della nostra musica. In ciascun caso è questione di arte e allora l’artista non può comporre in gruppo. Sarebbe come convocare due attori in un film per la stessa parte da protagonista. Quando ho incominciato a pensare all’idea del cerchio per l’applicazione rivoluzionaria del dispositivo mammografico Giotto, in molti hanno manifestato perplessità. Per parecchie notti non ho quasi dormito. Avevo bisogno di pensare a nuove Bruno Toniolo combinazioni e se fossi stato in compagnia, in una riunione con cinque o sei persone, Giotto non sarebbe mai stato progettato. Consideriamo un altro esempio. Per Giotto Class noi utilizziamo un detector, un dispositivo che consente di vedere direttamente l’immagine radiologica del seno. Quando abbiamo acquistato da un’azienda canadese il nuovo detector per la mammografia digitale, i nostri tecnici hanno valutato che, con una piccola modifica, quel detector poteva consentire l’esame mammografico anche in modalità tomosintesi. Abbiamo discusso molto di questa possibilità con i produttori canadesi perché non erano convinti che potesse essere utilizzato per la tomografia. Hanno perfino inviato dal Canada i loro migliori ingegneri, ma hanno dovuto constatare che la nostra intuizione era innovativa. IMS è l’unica azienda al mondo che produce solamente dispositivi dedicati alla mammografia. È un’eccezione nel settore, costituito in prevalenza da multinazionali… La senologia è una branca della medicina molto delicata e Giotto Class è l’unico dispositivo a eseguire la mammografia in modalità tomosintesi con biopsia prona. La nostra forza è stata quella di avere una valida catena di vendita all’estero che ho creato passo dopo passo, anche lungo le amicizie acquisite negli anni. Le multinazionali, invece, hanno interesse a diversificare il loro intervento, per questo sono molto attente alle innovazioni delle piccole e medie imprese italiane. Non sono mancate quelle che mi hanno proposto l’acquisto, ma mi sono subito chiesto cosa ne sarebbe stato dei collaboratori che hanno contribuito a far divenire leader nel settore IMS, che finora ha venduto nel mondo 3.800 mammografi Giotto. La logica della multinazionale è che, mentre pensa di produrre una tecnologia superiore a quella dell’avversario, è focalizzata a fare business, quindi il suo interesse per l’innovazione è finalizzato. Del resto la multinazionale deve rendere conto dei singoli programmi giornalieri a una schiera di soci, mentre l’azienda di piccole e medie dimensioni è molto più flessibile e ha interesse a far crescere i propri collaboratori perché deve essere certa dell’utilità dell’apparecchiatura per la paziente: se l’azienda non offre qualcosa in più della multinazionale non può vendere, dunque non può proseguire il suo itinerario di arte e invenzione. 43 /$12675$6$/87(" 3HUIHWWDSDURODGL 'DOLO/DERUDWRULR([DFWDRIIUHD0RGHQDLQYLD0HGDJOLHG·2URWHOH VHUYL]LGLDQDOLVLFKLPLFRFOLQLFKHHYLVLWHVSHFLDOLVWLFKHDGHUHQGRDSURJUDPPL GLYDOXWD]LRQHLQWHUQDHDOSURJUDPPDGLYDOXWD]LRQHHVWHUQDGLTXDOLWjGHOOD5HJLRQH(PL OLD5RPDJQDFKHJDUDQWLVFRQRO·DIÀGDELOLWjJOREDOHGHLGDWLDQDOLWLFL 3HUDQGDUHLQFRQWURDOOHQHFHVVLWjGHOOHIDPLJOLHFRQEDPELQLHDQ]LDQLGDDFFRPSDJQD UHLOVHUYL]LRqDWWLYRSHUWXWWLDQFKHDOODGRPHQLFDHQHOOHJLRUQDWHIHVWLYH 7UDLYDQWDJJLFRPSHWLWLYLGHOOHSUHVWD]LRQLGL([DFWDWURYLDPR WDULIIHPLQLPHQD]LRQDOLQHVVXQ7LFNHWVXOODSUHVFUL]LRQHFKHSXzHVVHUHHIIHWWXDWDVXULFHW WDULRSHUVRQDOHGHOPHGLFRHQRQQHFHVVDULDPHQWHVXULFHWWDULR86/JOLHVDPLSRVVRQRHV VHUHULFKLHVWLDQFKHGDOSD]LHQWHVHQ]DDOFXQDSUHVFUL]LRQHVHHVVRqDFRQRVFHQ]DGHOOH GHWHUPLQD]LRQLGDHVHJXLUHHVDPLHVHJXLWLLQVHGHVHQ]DWUDVIHULPHQWRGHOFDPSLRQHSHU HYLWDUHLOULVFKLRGLHYHQWXDOLPRGLÀFKHFKHSRWUHEEHVXELUHLOFDPSLRQHQHOWUDVSRUWRSDU WLFRODUHDWWHQ]LRQHDOODPHGLFLQDGLJHQHUHHDOOHIDVFHGLHWjQHOO·HVHFX]LRQHGHJOLHVDPL 44 8OWHULRULLQIRUPD]LRQLVXOVLWRZZZSROLDPEXODWRULRH[DFWDLW M ICHELE M ALENA presidente del Laboratorio poliambulatorio Exacta, Modena ECCO CCO UN PRIV PRIVATO CHE FA SCONTI SUGLI ESAMI, NON SULLA SALUTE Il 22 settembre scorso è stato presenta presentato dal Ministero della Salute ai sindacati medici l’ultima versione del decreto sulle prestazioni sanitarie inappropriate. Sono 208 le misure che saranno soggette a condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva e riguardano tra l’altro odontoiatria, radiologia e prestazioni di laboratorio. Cosa pensa di tali misure annunciate come necessarie per ridurre gli sprechi della spesa pubblica? Vivere di contraddizioni può avere il suo fascino per un artista, ma coloro che governano un paese dovrebbero attenersi a uno stile improntato alla coerenza. Nel nostro paese, invece, accade che la recente stretta attivata sull’assistenza sanitaria (in Italia si chiama ancora “assistenza”) contrasta palesemente con lo slogan “È meglio prevenire che curare”, da sempre strombazzato dai politici in ambito sanitario. Ebbene, come si può fare prevenzione se gli esami sono considerati inappropriati nei casi in cui non ne è ancora emersa la necessità per sospetto diagnostico? Il cittadino paga molto in Italia, non solo tasse sulla salute, ma anche attraverso i tickets, che si pagano sempre e soprattutto per gli esami e per la prescrizione dei farmaci, arrivando al caso assurdo – che potrebbe essere derubricato come indebito o illecito arricchimento del SSN – di quei farmaci i quali, se comprati con ricetta medica del SSN, costano di più che se comprati direttamente senza l’utilizzo della prescrizione. Intanto si fanno campagne per il contenimento dei costi, paventando il privato come estremo male, anziché come rimedio alle tante deviazioni del servizio pubblico gestito dai politici. A partire dall’esperienza del vostro Laboratorio poliambulatorio Exacta, che opera a Modena da quasi mezzo secolo, può dirci quali sono i vantaggi che offrono i servizi privati ai cittadini? I cittadini che si rivolgono a laboratori privati per i loro esami dovrebbero avere l’accortezza di ricorrere a centri che facciano gli esami in sede e che li offrano a costi competitivi con i costi finali del SSN (ticket su esami e ticket su prescrizione), centri che eseguano gli esami e non funzionino come “centri di raccolta” per poi trasferire i campioni in altre città, se non addirittura in altre regioni. Detto questo, dobbiamo riconoscere che c’è un privato competitivo, che esegue tutti gli esami, anche quelli speciali richiesti con poca frequenza, di cui a volte sostiene i costi di esecuzione senza recuperarli per intero, ma li esegue per la completezza dell’of dell’offerta insita nella propria missione e filosofia portante. Questa è la realtà proposta a Modena dal Laboratorio poliambulatorio Exacta che, nato quasi mezzo secolo fa, da sempre ha scelto di offrire un servizio per i cittadini utenti con gli esami di chimica clinica, batteriologia e microbiologia a costi parametrati sulla spesa sostenuta per l’esecuzione degli esami. Nel nostro Laboratorio, non è richiesto nessun ticket sulla prescrizione: succede spesso che proprio il valore del ticket sulla prescrizione copra o superi addirittura il costo degli esami, a maggior ragione se si aggiunge al ticket per la prescrizione il ticket per gli esami. La struttura Exacta dà un contributo importante all’attività di medici e specialisti che non vogliono essere condizionati dalla limitazione sul numero e sulla tipologia degli esami da prescrivere. È, pertanto, un sostegno insostituibile alla medicina preventiva, nel dare risposta a sospetti diagnostici, consentire di pervenire a una diagnosi certa, affrontare le eventuali patologie con le armi più avanzate, seguire l’andamento della patologia in rapporto alla terapia e seguire i pazienti affetti da patologie croniche, monitorando i parametri ritenuti significativi dallo specialista. Ci sono particolari servizi che Exacta offre in questo periodo per andare in- contro alle esigenze dei cittadini? Nell’ambito della prevenzione, Exacta offre pacchetti di esami per check-up che vanno dal checkup base a quello di “genere” (“uomo”, “donna” “bambino”), diversificati per fasce di età, per attività professionali e per stili di vita, pacchetti checkup di prevenzione per le malattie sessualmente trasmissibili e altri, tutti a prezzi scontati. Exacta va incontro alle necessità dei suoi clienti non solo con la riduzione dei costi degli esami e delle visite, ma anche con la comodità di accesso e gli orari di apertura al pubblico: si eseguono prelievi tutti i giorni dalle 7.00 alle 11.00, anche sabato, domenica e festivi. Soprattutto in periodi di crisi, l’apertura nei giorni festivi è particolarmente importante perché consente a chi lavora di non dover chiedere permessi per effettuare esami, per sé o per familiari anziani o ammalati da accompagnare, e agli studenti di non assentarsi dalle lezioni. Il servizio prelievo viene eseguito anche a domicilio, presso aziende e case protette. Inoltre, non c’è bisogno di prenotare il giorno e l’ora del prelievo e i risultati vengono consegnati nella medesima giornata, a meno che non si tratti di colture, antibiogrammi e alcuni pochi altri esami speciali che richiedono tempi di esecuzioni più lunghi. Infine, vorrei sottolineare che nel nostro laboratorio viene usato sistematicamente il microscopio per gli esami morfologici e batteriologici del sangue, anziché affidare la risposta solo al risultato delle macchine, le quali, specialmente nel riconoscimento delle forme, presentano limiti non ancora superati. 45 46 L’Ospedale Madonna della Salute di Porto Viro, in provincia di Rovigo, nel 2015 ha celebrato 60 anni di attività. Nato nell’estate del 1955, nel corpo centrale della villa dell’ammiraglio Arcangeli, utilizzava i mezzi di un ospedale da campo regalato dai militari americani all’amministrazione di Contarina, attuale Porto Viro. Oggi è uno tra gli ospedali di riferimento per i pazienti veneti e ferraresi, ma non solo. Responsabile dell’area medica è il dottor Roberto Zennaro, specialista in medicina interna, endocrinologia, diabetologia e malattie del ricambio. Da quando si occupa dell’area medica? Sono responsabile dell’area medica dal giugno 2008. Prima di iniziare a lavorare qui, ho lavorato all’Ospedale Civile di Rovigo, nel reparto di medicina, per venticinque anni. Il reparto di cui sono responsabile ora ha 56 posti letto, inclusi i letti di cardiologia, di geriatria, di medicina generale, di neurologia e la lungodegenza. I nostri pazienti provengono soprattutto dal pronto soccorso. Altri, soprattutto dell’area cardiologica, sono pazienti cosiddetti “programmati” per interventi di tipo elettrofisiologico, come gli impianti di pace-maker, o per eseguire coronariografie. Il nostro reparto si occupa, in modo particolare, di cardiologia e di medicina cardiovascolare, con utilizzo di doppler e di altre forme d’indagine. Quali sono gli ambulatori specialistici dell’area medica? I nostri ambulatori specialistici più noti sono la diabetologia, la medicina interna, l’endocrinologia e la cardiologia. Nell’ambulatorio cardiologico, oltre alle visite con ECG, eseguiamo ecocardiogrammi, test da sforzo, test provocativi, tilt test e test per la funzionalità cardiopolmonare. Per quanto concerne problemi endocrinologici, in particolare quelli di natura tiroidea, la struttura segue ciascuna fase della patologia. Vengono eseguiti esami di funzionalità tiroidea, riscontri ecografici e valutazione endocrinologica successiva. Per patologie neoplastiche della tiroide ci appoggiamo al nostro reparto di chirurgia, in cui il dottor Sartori e il dottor Neri si occupano di interventi chirurgici delle forme neoplastiche e, in questo caso, anche di gozzi voluminosi con necessità di ablazione. In caso di neoplasie tiroidee, l’eventuale terapia con radioiodio viene general- R OBERTO Z ENNARO responsabile dell’area medica dell’Ospedale Madonna della Salute, Porto Viro (RO) TRADIZIONE E NOVITÀ NELL’AREA MEDICA DELL’OSPEDALE MADONNA DELLA SALUTE mente organizzata da noi e i pazienti vengono mandati al reparto di medicina nucleare dell’Ospedale Civile di Rovigo. Rientra nell’area medica anche l’ambulatorio di neurologia: tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, sono aperti gli ambulatori in cui vengono eseguiti esami elettrofisiologici e elettroencefalogrammi. Vi operano valenti neurologi, che fanno sia consulenze per i ricoverati, sia attività specialistica ambulatoriale, sia consulenze in pronto soccorso, quando è necessario. I casi più frequenti in questo ambito sono pazienti anziani con disturbi come vasculopatie cerebrali degenerative. Abbiamo anche pazienti più giovani con patologie quali la sclerosi multipla e altre patologie molto diffuse. Anch’essi fanno da noi il primo screening e successivamente, per esami più complessi, come quello del liquor, vengono inviati in altri centri specialistici come l’Ospedale di Rovigo. Per il settore pneumologico interviene una volta alla settimana nella nostra struttura il dottor Dallara, che esegue anche esami di funzionalità respiratoria e l’emogasanalisi arteriosa. Le patologie pneumologiche, purtroppo, sono in continua espansione anche in pazienti giovani, soprattutto se fumatori. Ricordo che in questo momento le patologie neoplastiche, come quelle cardiovascolari, sono in stallo, mentre quelle pneumologiche aumentano. È da sottolineare che la presenza del reparto di terapia in- tensiva permette alla nostra struttura di accogliere pazienti con patologie pneumologiche croniche riacutizzate o acute. Quando le condizioni cliniche di tali pazienti migliorano, vengono trasferiti al centro di pneumologia di Rovigo. Ci sono nuovi progetti per il vostro reparto? A ottobre è stato avviato il progetto del piede diabetico, per evitare gravi interventi di amputazione, attraverso trattamenti periodici e costanti in ambulatorio. Il progetto è partito in collaborazione con la Casa di Cura Pederzoli di Peschiera del Garda, dove opera un centro di riferimento a livello nazionale per il piede diabetico. Per il trattamento di questa patologia saranno indispensabili sia l’attività ambulatoriale sia quella della sala operatoria. I pazienti candidati all’intervento chirurgico verranno operati sempre qui. Questa parte del progetto sarà coordinata inizialmente dal dottor Nicoletti, responsabile del centro di Peschiera, in collaborazione con il chirurgo vascolare. Abbiamo inaugurato da poco anche l’ambulatorio di epatologia, con il fibroscanner, una metodica nuova che consente di rilevare patologie diffuse del fegato, con una precisione addirittura maggiore di quella dell’esame istologico. Il dottor Anastassopulos si occupa in particolare di questa metodica e delle visite epatologiche avanzate. Per quanto riguarda le patologie epatiche, i pazienti di solito vengono inviati dai medici di famiglia. 47 UNA COMBATTENTE Il 5 novembre scorso, l’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna ha organizzato a Modena un dibattito con una delle più grandi intellettuali del nostro tempo: basti dire che quando Oriana Fallaci lesse i suoi libri, nell’ultimo periodo della sua vita, trascorso a New York, le telefonava spesso per confrontarsi con lei intorno agli argomenti che coinvolgevano entrambe nella battaglia di civiltà. Nonostante il dibattito fosse alle 21, all’Hotel Canalgrande, la Figlia del Nilo, come recita la traduzione del suo nome d’arte, è arrivata di buon mattino per visitare la nostra città. Così, ha potuto ammirare il nostro “libro di pietra”, il Duomo, con la Ghirlandina che si libra verso il cielo, il Palazzo Ducale, la galleria dell’Accademia Militare, con l’accurata guida di Anna Maria Vastarella, e le meravigliose opere della Galleria Estense, dove la guida di Annunziata Lanzetta ha completato il viaggio con un entusiasmo travolgente. Ma il regno dell’ospitalità, si sa, in Italia è la tavola e, se volevamo coronare la giornata culturale e artistica con un’esperienza della tradizione enogastronomica modenese, non 48 A PRANZO DA DANILO potevamo sbagliarci: il ristorante da Danilo è una garanzia assoluta. Accolta con il sorriso di Paola e Giorgia e con la gentile discrezione di Danilo, la Figlia del Nilo ha gustato deliziata alcuni dei più rinomati piatti della tradizione e, quando ha ricevuto in omaggio una bottiglietta del famoso Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, offerto dall’Acetaia La Bonissima, è stato per lei il dono più prezioso, grazie al quale porterà con sé la memoria della nostra città. Se non avete ancora capito di chi stiamo parlando, andate a pagina 11 di questo giornale e leggete il suo importante articolo: acquisirete informazioni incredibili intorno alle vicende che hanno portato l’Europa e l’Occidente a ciò che purtroppo sta accadendo proprio in questi giorni. Quando Danilo ha letto il libro della sua ospite, Comprendere Eurabia, è rimasto sconvolto dalla disinformazione alla quale i poteri forti tentano di costringerci: “La terza guerra mondiale – dice –, è già in atto, è quella che si sta facendo grazie ai mezzi di comunicazione, pilotati da chi cerca di mantenere le persone, soprattutto i giovani, in uno stato di assuefazione perenne. È vero che il terrorismo è frutto del fondamentalismo, ma, per quanto un giovane abbia abbracciato una fede così radicale, mi chiedo come possa indossare una cintura di esplosivo e farsi saltare per aria, provocando una strage in mezzo alla gente comune, se non perché il suo cervello è completamente spappolato. Io credo davvero che solo una persona drogata possa fare una cosa simile. E chi manda questi giovani al macello ha di mira gente comune, altri giovani, proprio come la mafia, che uccide i bambini, per eliminare chiunque possa crescere con possibili idee di ribellione all’onorata società. Il problema è che i poteri forti governano la comunicazione, che passa anche attraverso internet, e oggi anche gli abitanti dei paesi emergenti hanno in mano uno o due telefoni cellulari collegati a internet. Questa è la nuova droga, questa è la vera terza guerra mondiale”. Allora, forse occorre promuovere e valorizzare il nostro patrimonio culturale, artistico, scientifico e enogastronomico, come fa questo ristorante da cinquant’anni, perché la memoria non si cancelli. “Per fortuna – conclude Danilo – ci sono giovani disposti a portare avanti la traccia, che è impossibile da eliminare”. P IER L UIGI M ONTORSI presidente di Sami Srl, Vignola (MO) NO ALL’ALLARMISMO CONTRO LA CARNE Il riscontro che Sami ha avuto all’Expo è andato oltre ogni aspettativa, come abbiamo illustrato nel numero precedente del nostro giornale. È stata anche una prova delle vostre antiche radici nelle tradizioni agroalimentari del territorio e nella storia di una famiglia che ha fatto della lavorazione della carne un’arte. Non dimentichiamo che suo padre aveva aperto già nel 1943, a Pozza di Maranello, uno dei più grandi macelli della penisola, seguito poi da quelli di Viadana (Mantova), e che molti dei salumieri diventati poi famosi avevano lavorato per lui... È vero, la nostra famiglia è rinomata, ha trovato fortuna e nutrimento sano grazie alla carne suina e bovina. Io sono l’ultimo di ventuno figli, tutti sanissimi, mia madre è morta a 98 anni ed è stata soltanto due volte in ospedale, pur mangiando sempre carne della nostra macelleria. Mio padre è morto a 90 anni ed è stato in ospedale una volta sola. La nostra famiglia allargata, compresi zii e cugini, con collocazione territoriale e abitudini alimentari simili alla nostra, è stata sempre prevalentemente sana. È vero anche che l’Expo ci ha dato tante soddisfazioni, ma mi sembra ormai un secolo da quando ho sentito tante belle parole spese fra i padiglioni e sui media di tutto il mondo sul nostro cibo sano, sicuro, controllato, sostenibile, sui piatti che hanno una storia millenaria. Dopo poche settimane, si è scatenata una campagna terroristica sull’equazione semplicistica carne=tumore, basata peraltro su cose risapute e ovvie. Intere pagine di giornali e servizi televisivi e radiofonici sono serviti a creare allarmismo quando sono gli stessi esperti a collegare il rischio di sviluppare un tumore per chi consuma carne rossa a due condizioni: quantità e tipo di trattamento. Lo stesso coordinatore del Programma monografie dello Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro), professor Kurt Straif, ha spiegato che “il rischio di sviluppare il cancro del colon-retto a causa del consumo di carne trattata resta piccolo, ma aumenta a seconda della quan- tità di carne consumata”. E il direttore della Iarc, Christopher Wild, ricorda che, oltre a segnalare tali rischi per la tutela della salute pubblica, occorre sottolineare l’innegabile “valore nutrizionale” della carne. Chiunque sa che non può mangiare per lungo tempo tutti i giorni un etto di carne, oppure solo uova oppure solo frutta e verdura senza andare incontro a problemi di salute. Ma l’Oms, con l’aiuto di alcuni media, terrorizza i cittadini, e questo potrebbe incidere anche sulla nostra economia, mettendo in crisi aziende e lasciando a casa migliaia di lavoratori. Per fortuna, qualcuno, come Carmine Pinto, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica, AIOM, abbassa i toni, ricordando che i dati diffusi dall’Oms erano noti da tempo: “Per quanto riguarda le carni rosse è una questione di modalità e di quantità e non esiste una soglia di esposizione oltre la quale ci si ammala sicuramente. Il messaggio che dobbiamo dare è che la carne rossa va consumata una o due volte a settimana al massimo”. Infatti, la salute nell’alimentazione è sempre legata anche alla quantità. E, d’altronde, la stessa radice della parola “medicina” è “med”, che vuol dire “misura”... Quindi, chi ha sempre mangiato carne suina o bovina può continuare a farlo tranquillamente. Tanto più se consideriamo i nostri consorzi di tutela, i controlli che vengono effettuati, la competenza dei nostri operatori, compresi i veterinari, siamo tra i paesi all’avanguardia nel controllo della qualità della carne offerta ai consumatori. Qualcuno dice che siamo addirittura i primi e che i nostri veterinari siano tra i più preparati del mondo. Bisognerebbe ricordarsene e valorizzare questo patrimonio che fa parte del made in Italy, soprattutto quando arriva l’invito da Bruxelles a portare sulla nostra tavola cavallette, lombrichi, scarafaggi e altri insetti, guarda caso proprio mentre viene messa alla gogna la carne. Quanti insetti dovremmo mangiare per raggiungere la quantità di proteine presenti in una bistecca? E quanti italiani sarebbero disposti a rinunciare alla memoria di secoli di gusto e tradizioni alimentari, a vantaggio del cosiddetto “new food” che l’UE vorrebbe propinarci insieme alle cavallette e che, per giunta, è preparato in laboratorio con l’uso delle nanotecnologie? La nostra alimentazione è varia e deve continuare a esserlo, senza cedere alle pressioni di gruppi di interesse economico che hanno tutto il vantaggio a attaccare le nostre eccellenze per mettere in ginocchio le nostre imprese che, nel comparto agroalimentare, hanno vita sempre più dura, per il peso della burocrazia, ma soprattutto per le tante nuove regole e norme cogenti che interessano il settore. Basti pensare che nella nostra azienda dobbiamo dedicare quattro persone esclusivamente agli iter di certificazioni e rintracciabilità. Fare industria oggi è sempre più difficile, lo stato non aiuta e la concorrenza è particolarmente spietata. Per questo occorre inventare sempre qualcosa di nuovo, come facciamo alla Sami, per invogliare i clienti. Quali saranno le novità per il 2016? Ne parleremo nel numero di gennaio, ma per il momento posso dire che stiamo preparando un nuovo packaging per la scatola da 12 pezzi di Arrostichetto, che si porta come una borsetta. 49 Dalla cucina di Ildegarda a quella di Gilbert: QUANDO L’ALIMENTAZIONE COMBINA SCIENZA E TRADIZIONE PER GIUNGERE ALLA SALUTE D a anni, nel mondo occidentale, si parla di veganismo e di cucina vegana. Da ancora più tempo è invalso l’interesse per la cucina vegetariana. Da moltissimi anni, più di quanto siamo comunemente portati a credere, è aperto il dibattito se gli umani debbano avvalersi di un’alimentazione mista o comunque bilanciata, tra prodotti alimentari di derivazione animale e altri di derivazione vegetale o di un’alimentazione prevalentemente vegetale, fatta anche di sementi e di tuberi. Le scelte alimentari hanno interessato un po’ tutte le civiltà, mediterranee, orientali, americane, anche precolombiane, come testimonianze raccolte con strumenti sempre più probativi indicano. Queste scelte sono dipese dal tipo di terreni, dalla presenza di animali da cacciare, dalla ricchezza di scambi: quanto più si sono arricchiti gli scambi e i commerci, tanto più le popolazioni si sono trovate a potere “scegliere” di cosa alimentarsi. Il noto antropologo tedesco Franz Boas ha illustrato quanto le civiltà più antiche, come quelle precolombiane, abbiano conosciuto una costante trasformazione non solamente a causa di guerre ma per adiacenza, con scambi prima tra le popolazioni confinanti, poi tra queste e quelle via via più interne, e gli scambi alimentari hanno fatto da vettori a queste trasformazioni. Due fattori degli ultimi due secoli hanno tuttavia inciso in modo quasi planetario sulle abitudini alimentari. I grandi allevamenti di bovini del Nord e del Sud America e che hanno portato il consumo di carne, anche esagerato, alla portata di molti, divenendo indice di un raggiunto benessere. D’altronde è intervenuta una reazione, corroborata da moti- 50 vazioni storiche, culturali e medico biologiche, a favore di una dieta più bilanciata o addirittura di soli prodotti vegetali, fino alla riscoperta della “cucina vegetariana”. Negli anni quaranta del secolo scorso è sorta una sua forma estrema, affermatasi negli ultimi anni Gilbert Casaburi in combinazione con i “diritti degli animali” e con l’istanza di limitare o di abolire le sofferenze di quelli da allevamento: la “cucina vegana”. Oggi non è facile orientarsi tra cucina vegetariana, cucina vegana, cucina macrobiotica, cucina ayurvedica e loro declinazioni. La cucina vegana, per esempio, prevede la preparazione di piatti conformi alle regole della dieta vegana, escludendo totalmente l'uso di prodotti animali e loro derivati (carne, pesce, latticini, uova, miele e pappa reale). Il termine è un'italianizzazione di vegan, neologismo ideato nel 1944 dall’inglese Donald Watson utilizzando le prime tre e le ultime due lettere del significante vegetarian. Tale dieta può essere o meno inserita in un movimento filosofico che propugna uno stile di vita fondato sul rifiuto di ogni forma di sfruttamento degli animali per alimentazione, abbigliamento, spettacolo e altro: il “veganesimo”. Un grande impulso alla conoscenza del “veganesimo” è venuto dalla pubblicazione del libro di Colin Campbell The China Study. Queste e altre informazioni le abbiamo ricavate nel corso di un’interessante intervista a Gilbert Casaburi, cuoco italo-francese, chef di cucina naturale nato a Marsiglia da genitori italiani di Cava dei Tirreni, operante in Italia, promotore e divulgatore di una cucina apparentata con quella vegana. La sua cucina è frutto di un’approfondita ricerca, che lo ha portato a riscoprire preparazioni e principi dell’antica cucina medievale, in particolare quelli raccolti, nel campo dell’alimentazione vegetale, da Ildegarda di Bingen, benedettina fatta santa dalla chiesa cattolica e nel 2012 proclamata “dottore della Chiesa” da Benedetto XVI, vissuta tra il 1098 e il 1179, che ha lasciato numerose testimonianze scritte, in particolare nei due libri Physica e Causae et curae. Tali cibi e principi sono accostabili a quelli odierni dell’alimentazione vegetariana. Casaburi ha disposto l’effettuazione di test nutrizionali probativi, che gli hanno permesso di promuovere la sua cucina anche presso strutture sanitarie, a cui offre consulenza. Tra queste, l’unità oncologica dell’Ospedale di Macerata, diretta dal dottor Luciano Latini. Esiste inoltre una consulenza fissa con la Casa di Cura “dott. Marchetti” di Macerata, dove, d’accordo con una dietologa, prepara piatti della sua cucina per i degenti. Alcuni tra i suoi piatti più famosi: la crema di fave e cicorie, il risotto all’ortica, la polenta di farro che i gladiatori assumevano prima di combattere, le erbe selvatiche del territorio come verdure. Tale struttura ha ottenuto l’autorizzazione per preparare pasti anche per esterni. D’altronde le Marche, oggi, vengono considerate il maggior centro italiano per la produzione e il consumo di cibi biologici, la capitale di molte alimentazioni alternative, macrobiotica e vegana innanzi tutto, e, insieme alla Calabria, il maggior centro italiano per l’utilizzo della cosiddetta “dieta mediterranea”. Casaburi, laureato in commercio internazionale, “folgorato” prima dalla macrobiotica poi dalla cucina vegana, ha trovato una sua strada per una proposta di cucina originale, che tiene conto delle più importanti cucine vegetariane e dei principi nutrizionali e salutistici connessi, che propone non solamente come produzione, ma anche come consulenze individuali e come insegnamento, attraverso corsi, equipe, conferenze e dimostrazioni pubbliche, come abbiamo visto anche al “SANA 2015” di Bologna, e come consulenze individuali. Gli abbiamo posto una domanda fondamentale. È necessario seguire fino in fondo i principi propri a ciascuna di queste tipologie di cucine, oppure esiste un plafond di principi Giuseppe Arcimboldo, Rudolf II of Habsburg as Vertumnus. Credits: Google Art Project comuni a esse e ad alimentazioni che tengono comunque conto di finalità nutrizionali salutistiche? La risposta è molto indicativa del suo modo di intendere la cucina. “Nell'alimentazione vegana, come in qualsiasi regime alimentare, è importante pensare alla qualità e alla varietà dei cibi che si assumono. Innanzi tutto, è bene consumare prodotti coltivati da agricolture biologiche, per la maggior ricchezza di vitamine e minerali. Poi occorre puntare all'uso di prodotti non raffinati, non idrogenati, non pastorizzati e privi di glutammato. Una scelta di salute naturale nell'ambito dell'alimentazione ve- gana vede l'esclusione di alcuni tipi di alimenti in favore di altri più salutari: ad esempio, all'aceto di vino è preferibile l'aceto di mele per le verdure cotte e l'agro di umeboshi per quelle crude. L'alimentazione biologica prevede anche altri criteri, come l’uso di oli vegetali spremuti a freddo, dadi senza glutammato e prodotti integrali. Si prevede un consumo di caffè di cereali e d'orzo, zucchero di canna integrale o, ancor meglio, dolcificanti naturali con migliori qualità di entrambi gli zuccheri, quali lo sciroppo d'acero (tra l'altro ricchissimo di minerali e vitamine) dall'elevato potere dolcificante, il malto di riso, il malto d'orzo o malto di grano, il malto di mais, il succo d'agave e, nell'ambito di una preparazione dolciaria, è meglio prevedere l'uso di succhi di frutta e di frutta secca. Ancora più semplicemente, si consiglia di rispettare almeno i principi della dieta vegetariana mediterranea con prodotti locali a elevate territorialità e stagionalità. Rispettare le stagioni è fondamentale perché così si hanno più proprietà alimentari: quando congeliamo o usiamo altri metodi di conservazione le proprietà organolettiche non sono più garantite.” Insomma, per dimostrarci degni “seguaci della terra” non basta lasciarsi andare alle mode, anche se suggestive, ma occorre sempre avvalerci dell’intelligenza e dell’esperienza, senza mai abbandonare la memoria, anche quella alimentare. 51 52 D AVIDE G ALLI presidente della Federazione Italiana Carrozzieri Indipendenti - Federcarrozzieri e cofondatore della Carta di Bologna LA CARTA DI BOLOGNA E LA TUTELA DEL DANNEGGIATO L’indennizzo diretto è una procedura liquidativa per i danni subiti in caso di sinistri stradali fra due vetture assicurate in Italia, secondo cui il rimborso è richiesto dal danneggiato direttamente alla propria compagnia assicuratrice e non a quella del responsabile del sinistro. La compagnia provvede quindi ad anticipare il risarcimento del danno per conto dell’assicurazione di controparte, per ottenere poi da quest’ultima un conguaglio forfettario secondo la Convenzione fra Assicurazioni per il Risarcimento Diretto, a cui entrambe hanno aderito. Tuttavia, la Carta di Bologna, sottoscritta da diversi enti a tutela del consumatore e di cui lei è cofondatore, ha rilevato alcune incongruenze… Si tratta propriamente di un indennizzo e non di un risarcimento. Il risarcimento è quello che il danneggiato richiede integralmente, per tutti i danni subiti, mentre l’indennizzo è quello che la compagnia riconosce in base alle clausole contrattuali contenute nella polizza, clausole denominate “indennizzo in forma specifica”, che possono porre limitazioni al risarcimento integrale. Ne cito alcune come il divieto di cedere il credito alla carrozzeria non convenzionata con la compagnia, in caso di riparazioni occorrenti in seguito al sinistro. Peraltro, occorre notare che, invece, la cessione del credito consentirebbe al danneggiato di non anticipare l’importo della riparazione. Fra le altre limitazioni alla liquidazione integrale del danno ci sono quelle che prevedono franchigie o scoperti, per esempio, fino al 20 per cento dell’importo della fattura della riparazione. Su un danno che ammonta a 10 mila euro, la compagnia ne può decurtare 2 mila qualora la vettura non sia riparata presso le carrozzerie convenzionate. Tali limitazioni sono diverse in base alla polizza di ciascuna diversa compagnia assicurativa in cambio di sconti che non superano le poche decine di euro. Il consumatore, invo- gliato da questi sconti, rischia però di sottoscrivere un contratto che limita di fatto i propri diritti. Sul punto si è già espressa più volte la Corte Costituzionale (con le ordinanze 205/08, 154/2010, 192/2010 e con la sentenza 180/09), stabilendo inequivocabilmente che la procedura di indennizzo diretto, per essere legittima, deve essere facoltativa, ovvero non sono escluse le azioni già previste dall’ordinamento in favore del danneggiato, in quanto non è una procedura esclusiva. Attualmente, le compagnie assicurative tendono a rimborsare i danneggiati solamente in quanto assicurati e non in quanto danneggiati. Per intendere la questione, consideriamo cosa accade nell’ipotesi del pedone che è investito da un’automobile mentre attraversa la strada sulle apposite strisce. Il pedone non è assicurato e si rivale sull’assicurazione dell’automobilista che l’ha investito, pretendendo l’integrale risarcimento dei danni e il rimborso delle spese sostenute. Consideriamo il caso, invece, dello stesso automobilista che investe un’auto, anziché il pedone, causando danni al veicolo. La polizza del danneggiato, non quella del responsabile dell’incidente, prevede limitazioni nel risarcimento in caso d’incidente. L’automobilista paga un premio Rc Auto per i danni che potrebbe cagionare a un’altra persona, quindi, non è coperto dal risarcimento integrale dei danni. In altre parole, è risarcito in quanto assicurato e non in quanto danneggiato. Noi crediamo, invece, che il danneggiato debba essere risarcito come tale e non come assicurato perché è un’altra cosa. Se è considerato come danneggiato, potrà essere risarcito nei termini indicati dal codice civile. Questo tema è stato sollevato dalla Carta di Bologna (www.cartadibologna. org) in un’apposita audizione alla Camera dei Deputati… La Carta di Bologna ha raccolto le adesioni di diversi enti per informare il Parlamento del rischio della lesione di diritti che il Disegno di legge sulla concorrenza può avallare nei confronti di portatori di interessi diversi non appena sarà convertito in legge. Si prospetta, infatti, nell’ambito del settore Rc Auto, la riduzione del costo della polizza in cambio della limitazione dei diritti dei danneggiati. Anche per questo abbiamo proposto la portabilità delle polizze Rc Auto, come accade per un mutuo o per una compagnia telefonica, offrendo la possibilità all’utente di valutare nel corso dell’anno se mantenere il contratto con la compagnia o cambiare. La portabilità della polizza Rc Auto è una pratica che in Francia, per esempio, ha portato benefici alla concorrenza nel mercato e potrebbe essere operativa anche in Italia, soprattutto se consideriamo che quello italiano è gestito in prevalenza da tre compagnie assicurative, che detengono il 70 per cento delle polizze Rc Auto, mentre la restante parte è suddivisa fra le altre venticinque. Con il 70 per cento di premi pagati a tre compagnie è difficile pensare che ci sia una vera concorrenza. La portabilità della polizza garantirebbe un effettivo diritto di scelta dell’assicurato, che potrà confrontare i servizi effettivamente più convenienti. In che termini la Carta di Bologna sta conducendo una battaglia di civiltà? È civile chi non è indifferente a quello che gli accade intorno e non si limita a considerare il problema quando lo riguarda direttamente. Noi abbiamo semplicemente ascoltato diverse istanze come quelle dei medici legali, per esempio, che, con la prima stesura del Ddl concorrenza avrebbero avuto pesanti ripercussioni nella loro attività. Alcune polizze, infatti, prevedevano che fosse la compagnia a indicare il medico al quale rivolgersi e quali cure sarebbero state pagate. Anche in questo caso era limitata la libertà di scelta del medico curante nell’eventualità di un incidente. Gli emendamenti approvati dalla Camera dei Deputati hanno depurato il testo del Ddl concorrenza da tutte le limitazioni in ambito Rc Auto. La scelta di civiltà è stata quella di ascoltare cosa accadeva intorno a noi. 53 54 55 56