1802_99 copertina+retro 3ªBozza 29-05-2002 I I T TEMI 14:46 Pagina 1 E M S DELLA NUTRIZIONE Anoressia nervosa Dalle origini alla terapia A cura di Michele O. Carruba Professore Ordinario di Farmacologia – Dipartimento di Scienze Precliniche LITA Vialba, Ospedale “L. Sacco” – Università degli Studi di Milano Presidente Associazione Nazionale Specialisti in Scienza dell’Alimentazione Con la collaborazione di Arianna Banderali, Giovanni Caputo, Francesco Cavagnini, Hellas Cena, Massimo Cuzzolaro, Angela Favaro, Enzo Nisoli, Gabriella Redaelli, Gabriella Ripa di Meana, Paolo Santonastaso ISTITUTO DANONE 1802_99 Lettera 29-05-2002 14:47 Pagina 1 ISTITUTO DANONE P ER LA R ICERCA E LA C ULTURA M O T I VA Z I O N I DELLA E N UTRIZIONE OBIETTIVI anone è una società multinazionale operante nel settore alimentare. La sua “mission” istituzionale è quella di migliorare l’alimentazione umana, sia con prodotti di alta qualità ed elevato valore nutrizionale, sia con iniziative di ricerca e di divulgazione scientifica. In quest’ottica ha deciso di destinare risorse alla ricerca e alla cultura della nutrizione, dando vita all’Istituto Danone. D L’Istituto Danone si prefigge di: Incoraggiare la ricerca scientifica sul rapporto tra alimentazione e salute Promuovere una corretta educazione alimentare Diffondere i risultati della ricerca nutrizionale presso gli operatori della salute e dell’educazione alimentare Costituire un anello di giunzione tra il mondo scientifico e gli operatori della salute e dell’educazione alimentare Gli obiettivi dell’Istituto Danone sono quindi due: Conoscere – attraverso la promozione di ricerche, proprie o di terzi, nel settore nutrizionale Far conoscere – attraverso attività editoriali e congressuali mirate a diffondere la cultura della nutrizione Per adempiere a questa missione, l’Istituto Danone si avvale di un Comitato Scientifico che rappresenta l’elemento propositivo, la fonte delle conoscenze ed il garante della scientificità di tutte le attività dell’Istituto stesso. A far parte di questo Comitato sono stati chiamati, tra i massimi esperti nazionali dei vari settori della nutrizione umana, i professori Marcello Giovannini (Presidente), Ermanno Lanzola e Carlo Vergani (Vicepresidenti), Vittorio Bottazzi, Michele O. Carruba, Alberto Notarbartolo, Gianfranco Piva, Pierpaolo Resmini e Enrica Riva. Sede Istituto Danone: Via F. Filzi, 25 – 20124 Milano 1802_99 frontespizio 3ªBozza 29-05-2002 I I T TEMI 14:49 Pagina 1 E M S DELLA NUTRIZIONE Anoressia nervosa Dalle origini alla terapia A cura di Michele O. Carruba Professore Ordinario di Farmacologia – Dipartimento di Scienze Precliniche LITA Vialba, Ospedale “L. Sacco” – Università degli Studi di Milano Presidente Associazione Nazionale Specialisti in Scienza dell’Alimentazione Con la collaborazione di Arianna Banderali Specialista in Scienza dell’Alimentazione, Psicoterapeuta Segretario Associazione Nazionale Specialisti in Scienza dell’Alimentazione Presidente Associazione Italiana Disturbi dell’Alimentazione e del Peso Giovanni Caputo Segretario Scientifico della Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare, Responsabile del Centro Ambulatoriale per la Diagnosi e la Cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare della ASL Roma B – Ospedale “S. Pertini” di Roma Francesco Cavagnini Professore Ordinario di Endocrinologia – Università degli Studi di Milano Hellas Cena Ricercatore presso il Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica Università degli Studi di Pavia Massimo Cuzzolaro Presidente della Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare Responsabile del Centro Ambulatoriale per i Disturbi del Comportamento Alimentare del Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche dell’Età Evolutiva Università “La Sapienza” di Roma Angela Favaro Ricercatore in Scienze Psichiatriche – Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche – Università degli Studi di Padova Dirigente di I Livello – Azienda Ospedaliera di Padova Enzo Nisoli Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Precliniche LITA, Ospedale “L. Sacco” – Università degli Studi di Milano Gabriella Redaelli Dirigente I Livello Divisione di Endocrinologia e Malattie Metaboliche Ospedale “San Luca” IRCCS, Milano – Istituto Auxologico Italiano Gabriella Ripa di Meana Membro del Consiglio Scientifico della “Fondation Européenne pour la Psychanalyse” Psicanalista – Roma Paolo Santonastaso Professore Associato di Psichiatria – Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche – Università degli Studi di Padova 1802_99 indice 3ªBozza I 29-05-2002 14:48 Pagina 3 ndice Introduzione 5 M.O. Carruba Inquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici 7 M. Cuzzolaro Il ruolo della famiglia nella genesi e nella terapia 29 A. Favaro, P. Santonastaso La malnutrizione nell’anoressia nervosa 51 H. Cena Le complicanze cliniche con particolare riferimento al sistema endocrino 63 F. Cavagnini, G. Redaelli Psicobiologia dell’anoressia nervosa: un razionale per l’intervento farmacologico? 87 E. Nisoli Anoressia: la cura psicanalitica 103 G. Ripa di Meana La terapia cognitivo-comportamentale 129 A. Banderali Le strutture di ricovero e cura 153 G. Caputo 3 1802_99 Introduzione 29-05-2002 I 14:48 Pagina 5 ntroduzione M. O. Carruba L’anoressia nervosa, come molte altre patologie diffuse essenzialmente nelle cosiddette “società del benessere”, è purtroppo una malattia complessa, subdola e difficile da trattare. Complessa in quanto origina dall’interazione di diversi fattori: genetici, biologici, psicologici e micro- e macro-sociali che concorrono con ruoli diversi nella genesi e nella perpetuazione della patologia. Instaurandosi con lentezza e prevalentemente nella popolazione femminile in età adolescenziale, l’anoressia può davvero essere considerata una patologia “subdola” in quanto colpisce, all’esordio in modo non evidente, soggetti in una già complessa fase di strutturazione della propria identità fisica, psicologica, sessuale e sociale, dove in molti casi l’identificazione del proprio io e la stima di sé coincidono in modo eclatante con l’immagine corporea. Oltre a questo la patologia risulta difficile da trattare perché, nonostante gli sforzi della ricerca di base, non esiste ancora un trattamento univoco e risolutivo. L’anoressia nasce come disturbo che affonda le sue radici nella psiche, ma che genera una sequela di problemi organici gravi e pericolosi che, a loro volta, si ripercuotono nuovamente sulla psiche. L’approccio terapeutico, pertanto, non può che essere di tipo interdisciplinare e integrato e tendere necessariamente ad una riabilitazione sia psichiatrica sia nutrizionale, utilizzando, opportunamente bilanciati a seconda delle caratteristiche del paziente, tutti gli strumenti di cui si dispone. Purtroppo l’incidenza di questa malattia è in rapida crescita e la classe medica si trova spesso impreparata non solo a gestirla ma spesso anche a riconoscerla nella sua fase di insorgenza. Pertanto, fedeli allo spirito che vuole contraddistinguere questa collana di volumi “ITEMS”, lo scopo di quest’opera è di riportare, in modo sintetico ma puntuale, tutte quelle informazioni indi- 5 1802_99 Introduzione 29-05-2002 14:48 Pagina 6 Introduzione spensabili a comprendere la complessità di questa patologia emergente, in modo da fornire alla classe medica quegli strumenti necessari non tanto o non solo per impostare una tempestiva terapia, ma soprattutto per poterla individuare in fase precoce in modo da migliorarne la prognosi. Oltre alle indispensabili informazioni sui criteri diagnostici, epidemiologici, eziopatogenetici e sulle complicanze e sui diversi approcci terapeutici, un capitolo è stato dedicato alle strutture di ricovero e cura in modo da fornire delle precise linee guida per un corretto approccio terapeutico che non può prescindere dalla disponibilità di idonei ambienti e strumenti di cura. Infatti, purtroppo, nonostante gli sforzi degli specialisti in questo campo, il nostro Paese è ancora lontano dagli standard assistenziali considerati ottimali per questa patologia. Per sensibilizzare non solo la classe medica, da parte della quale si riscontra comunque già una concreta rispondenza, ma soprattutto l’ambito Istituzionale, opera anche in modo attivo la SIS.DCA (Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare), che si batte per diffondere una più adeguata consapevolezza e una maggiore cultura per la gestione di questa patologia. Siamo infatti consapevoli che si potranno ottenere grandi risultati e benefici per la collettività solo a condizione che le Istituzioni Sanitarie regionali e nazionali siano informate e istruite rispetto a questo grave problema sociale. Noi medici da parte nostra abbiamo il dovere non solo di incrementare la ricerca scientifica, ma anche di far sì che il trasferimento di questi risultati si trasformi concretamente in benefici per i pazienti, avviandoli verso il trattamento per loro più adeguato. Prof. Michele O. Carruba 6 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz I 29-05-2002 14:53 Pagina 7 nquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici M. Cuzzolaro Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche dell’Età Evolutiva Università “La Sapienza” di Roma è una caratteristica del secolo che si sta chiudendo. Dalla prima descrizione medica dell’anoressia nervosa come malattia specifica sono trascorsi ormai più di tre secoli. Richard Morton pubblicò, nel 1689 in latino e nel 1694 in inglese, due osservazioni cliniche, il caso di una ragazza di 18 anni e quello di un ragazzo di 16, segnalando che i caratteri di questi due quadri erano in parte simili ma in parte profondamente diversi rispetto a quelli osservati in altre forme di consunzione (phthisis): chiamò la sindrome osservata nei due giovani “tisi nervosa”. Nei tre secoli che ci separano dalle osservazioni di Morton si sono succedute molte opinioni diverse sul tema dei disturbi dell’alimentazione, della loro classificazione nosografica e della loro terapia. D’accordo con vari studiosi, si può dividere in cinque “ere” la storia del pensiero medico sull’anoressia nervosa: 1) descrittiva, 2) pituitaria (quando si Uno sguardo indietro Nella mitologia, nell’arte e nelle pratiche sociali, l’eccesso, l’orgia alimentare e il digiuno, non quello obbligato dalla carestia ma quello autoimposto, hanno sempre occupato spazi importanti. La medicina, attenta fin dalle origini alla dieta e agli effetti buoni e cattivi dei regimi alimentari, si è interessata alla psicopatologia dell’alimentazione anche in epoche remote. L’anoressia nervosa, presente forse nel Medioevo nella forma di digiuni ascetici perseguiti talora fino alla morte (sono esemplari le vicende di sante come Margherita d’Ungheria o Caterina da Siena), è stata descritta in testi di medicina almeno a partire dalla fine del Seicento. In quelle antiche cronache è possibile rintracciare molti dei sintomi propri dei casi attuali salvo la paura morbosa d’ingrassare e i disturbi dell’immagine del corpo: la cerniera fra disagio del corpo e anomalie delle condotte alimentari 7 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 8 Inquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici confuse l’anoressia nervosa con l’insufficienza ipofisaria), 3) di riscoperta della malattia, 4) psicoanalitica e 5) bio-psicosociale. L’ultima fase è iniziata nei primi anni Sessanta ed è stata caratterizzata dal tentativo di studiare il concorso e le interazioni tra fattori biologici, psicologici personali, familiari, culturali e macrosociali nella eziopatogenesi della malattia. Sono state formulate varie ipotesi su singoli fattori; non è stata ancora costruita, invece, una teoria sintetica che spieghi i meccanismi eziopatogenetici dell’anoressia nervosa e, in particolare, che indichi quale specifica interazione di forze sia necessaria e sufficiente per determinare la sindrome. Il modello generale di malattia che sembra più convincente e utile applicare all’anoressia nervosa, allo stato attuale delle conoscenze, è quello che vede nella malattia la “via finale comune” di vari possibili processi patogenetici che nascono da interazioni diverse tra forze molteplici. Il modello della via finale comune è stato applicato a molte patologie, dall’ulcera peptica alla depressione, e può essere riassunto in tre punti: 1. la malattia risulta dall’interazione di vari fattori predisponenti che agiscono su un individuo; 2. degli individui a rischio solo alcuni si ammalano effettivamente; 3. in quelli che sviluppano la malattia la presenza, il peso e le modalità di interazione dei vari fattori predisponenti variano da caso a caso. Secondo Lucas, nella terza e nella quarta fase della storia dell’anoressia nervosa, fra gli anni Trenta e i Sessanta, i maggiori progressi hanno riguardato lo studio psicologico e il trattamento psicoterapeutico della malattia. Nella fase attuale, “bio-psico-sociale”, gli aspetti biologici della sindrome sono intensamente studiati accanto a quelli psicologici, micro- e macro-sociali. Sul piano terapeutico, si tende a un “approccio terapeutico multidimensionale”. L’anoressia nervosa nella sistematica clinica attuale dei disturbi del comportamento alimentare Nelle classificazioni psichiatriche (World Health Organization, ICD-10, 1993; American Psychiatric Association, DSM-IV, 1994) la rubrica disturbi dell’alimentazione o del comportamento alimentare (in inglese, eating disorders) 8 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 9 M. Cuzzolaro comprende l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e i disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (anoressie e bulimie parziali, incomplete, quadri clinici in cui sono presenti quasi tutti ma non tutti i sintomi che la comunità scientifica ha convenuto di ritenere necessari per la diagnosi medica di anoressia o di bulimia). Fra questi ultimi, il “Disturbo da alimentazione incontrollata” (in inglese, “Binge Eating Disorder” ) ha suscitato nell’ultimo decennio un interesse crescente per i suoi legami, importanti, con l’obesità. Anoressia nervosa e bulimia nervosa sono due sindromi che la nosografia psichiatrica più recente, a partire dal 1980, tiene distinte: i criteri diagnostici sono tali che la diagnosi di stato può essere solo l’una o l’altra. Anoressia e bulimia condividono però molti caratteri ed è frequente che la stessa persona passi, in momenti diversi della vita, dall’uno all’altro disturbo. A dispetto delle radici etimologiche del termine (ob-edere: mangiare troppo) l’obesità non figura, finora, tra i disturbi del comportamento alimentare né figura altrove nelle classificazioni psichiatriche. È una condizione somatica definita su base morfologica (eccesso di massa grassa) e non è dimostrato che sia associata abitualmente a particolari di- sturbi psichiatrici o a specifici profili patologici di personalità. Un certo numero di persone obese (dal 5 al 30% secondo il tipo di selezione del campione), soprattutto quelle che si sono sottoposte a diete drastiche ripetute, presenta, però, un “Disturbo da alimentazione incontrollata”. Sul piano epidemiologico, inoltre, obesità e disturbi del comportamento alimentare sono aumentati in modo parallelo e con forti analogie di distribuzione (Paesi industrializzati) nella seconda metà del Novecento. Il trattamento dell’obesità, infine, si basa tuttora sulla ricerca di modificazioni stabili dello stile di vita, in particolare del comportamento alimentare e dell’attività fisica: in altre parole, su cambiamenti psicologici. È per queste ragioni che negli ultimi anni è diventata sempre più forte la tendenza a collegare gli studi sull’obesità a quelli sulla psicologia e la psicopatologia dell’alimentazione creando gruppi multidisciplinari di lavoro, teorico e clinico, nel campo. Le principali novità introdotte dal DSM-IV (1994) rispetto alle classificazioni precedenti (1980 e 1987) sono state quattro: 1. i Disturbi del Comportamento Alimentare (Eating Disorders), DCA, non sono più inscritti fra quelli di so- 9 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 10 Inquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici lito diagnosticati per la prima volta durante l’adolescenza ma sono stati spostati nel corpo generale della classificazione; 2. le diagnosi di anoressia nervosa e di bulimia nervosa non possono coesistere ma si escludono reciprocamente; 3. sono stati definiti due sottotipi per ciascuna sindrome; 4. è stata proposta una nuova categoria diagnostica, Binge Eating Disorder, che figura due volte: sia fra i Disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (cod. 307.50), sia nell’Appendice B, come categoria da sottoporre a ulteriori studi. La Tabella 1 riassume i criteri correnti per la diagnosi di anoressia nervosa nei due sottotipi. In sintesi, tre caratteristiche sono indispensabili per porre la diagnosi psichiatrica di anoressia nervosa: paura morbosa di aumentare di peso, perdita intenzionale di peso e amenorrea. Tabella 1 Criteri diagnostici dell’anoressia nervosa. Anoressia nervosa – Criteri diagnostici DSM-IV (cod. 307.1) A. Rifiuto di mantenere il peso corporeo al livello minimo normale per l’età e la statura o al di sopra di esso (ad es., perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell’85% di quello atteso; o, in età evolutiva, mancanza dell’aumento di peso previsto che porta a un peso corporeo inferiore all’85% di quello atteso) B. Intensa paura di aumentare di peso o di ingrassare, pur essendo sottopeso C. Disturbi nel modo di sentire il peso e le forme del proprio corpo, influenza indebita del peso e delle forme del corpo sulla valutazione di sé, o diniego della gravità della perdita di peso in atto D. Nelle donne che hanno già avuto il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi. (Si considera una donna amenorroica se i suoi cicli avvengono solo dopo somministrazione di ormoni, ad es., di estrogeni) Specificare il sottotipo • Sottotipo con restrizioni: durante l’episodio di anoressia nervosa la persona non presenta frequenti episodi di abbuffate o di comportamenti purgativi (ad es., vomito autoindotto o abuso/uso improprio di lassativi, diuretici o clisteri) • Sottotipo con abbuffate/condotte di eliminazione: durante l’episodio di anoressia nervosa la persona presenta frequenti episodi di abbuffate compulsive o di comportamenti purgativi (ad es., vomito autoindotto o abuso/uso improprio di lassativi, diuretici o clisteri) [la soglia di frequenza non è fissata: ≥ 1 episodio/settimana?] 10 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 11 M. Cuzzolaro Nell’anoressia nervosa il peso viene mantenuto a livelli più bassi che nella bulimia nervosa con un Indice di Massa Corporea di solito ≤ 17,5 kg/m2. L’Indice di Massa Corporea (inglese: Body Mass Index, BMI) si calcola dividendo il peso in chilogrammi per l’altezza in metri elevata al quadrato (BMI = kg/m2). Si considerano valori normali quelli compresi tra 19 e 24. La diagnosi differenziale fra anoressia nervosa di tipo bulimico e bulimia nervosa è fondata sui criteri amenorrea e peso: nell’anoressia le mestruazioni mancano da almeno tre mesi o non sono mai comparse (anoressia nervosa prepuberale o premenarcale) e il peso è gravemente inferiore a quello atteso. L’anoressia nervosa maschile, che presenta anch’essa una variante bulimica, è molto più rara di quella femminile (1:10). Le caratteristiche cliniche sono simili e i criteri diagnostici sono gli stessi: l’amenorrea è sostituita dalla perdita della libido e dell’attività eiaculatoria. Secondo alcuni studiosi il bisogno coatto ed eccessivo di esercizio muscolare (palestra, corsa, ecc.) in adolescenti e giovani deve essere interpretato come un equivalente dell’anoressia nervosa. In effetti, questo sintomo fa parte spesso di un quadro anoressico ma da solo non giustifica l’equivalenza. Lo spettro del comportamento alimentare I comportamenti alimentari umani e quelli di un singolo individuo in epoche diverse della vita si distribuiscono lungo un continuum. È frequente che uno stesso paziente entri ed esca tra varie categorie diagnostiche: molte anoressie evolvono in senso bulimico (più della metà); molti soggetti affetti da bulimia hanno sofferto in precedenza di un disturbo anoressico conclamato o, più spesso, parziale, breve, passato magari inosservato; in altri casi ancora si alternano nel tempo fasi anoressiche e fasi bulimiche. Comportamenti anoressici e bulimici si combinano fra loro e si succedono gli uni agli altri sia perché in entrambi la costruzione del sintomo passa attraverso il codice alimentare sia perché si instaura un circolo vizioso: restrizione prolungata dell’introito calorico → perdita di controllo sull’alimentazione → senso di colpa e allarme → restrizione dell’introito calorico. Le diete drastiche, soprattutto se protratte e ripetute, producono due conseguenze: alterano il metabolismo con diminuzione del dispendio energetico di base e maggiore tendenza a in- 11 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 12 Inquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici grassare e inducono disturbi del comportamento alimentare, in particolare in senso bulimico: la restrizione favorisce la disinibizione e la perdita di controllo. Per queste ragioni nell’obesità è così difficile mantenere nel tempo le perdite di peso conseguite e, fra gli obesi, sono soprattutto quelli che hanno fatto molte diete a sviluppare un disturbo da alimentazione incontrollata. L’abuso di diete restrittive è tra i fattori responsabili dell’insorgenza di comportamenti alimentari abnormi e la diffusione delle diete estetiche è una delle cause del grande aumento dei disturbi dell’alimentazione. La Figura 1 rappresenta graficamente le aree di sovrapposizione di sintomi fra i vari disturbi del comportamento alimentare e la distribuzione del sintomo binge eating (abbuffate compulsive) (Cuzzolaro, 1997). Dati epidemiologici La specie umana ha sviluppato attraverso migliaia di secoli meccanismi biologici e schemi di comportamento Figura 1 ANr = ANb = BNp = BNnp = BED = Aree di sovrapposizione dei sintomi e distribuzione trasversale del comportamento binge eating. Anoressia Nervosa tipo restrittivo Anoressia Nervosa tipo bulimico Bulimia Nervosa tipo purgativo Bulimia Nervosa tipo non purgativo Binge Eating Disorder (Disturbo da Abbuffate Compulsive) Presenza del sintomo “abbuffate compulsive” (binge eating) BED BNp ANr ANb ANORESSIA NERVOSA BNnp BULIMIA NERVOSA BINGE EATING DISORDER 12 OBESITÀ 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 13 M. Cuzzolaro adatti a fronteggiare la penuria di risorse alimentari. Solo da pochi decenni e solo in alcune regioni della Terra si confronta, impreparata, con la sovrabbondanza di cibo. Questo è lo sfondo su cui si inscrive il grande aumento di anoressia, bulimia e obesità nella seconda metà del Novecento. Nel loro insieme i disturbi del comportamento alimentare rappresentano un problema grave e diffuso soprattutto tra le adolescenti e le giovani donne. Studi sulla fascia d’età 8-14 anni indicano una elevata presenza di comportamenti alimentari abnormi già in epoche molto precoci. Nei Paesi occidentali industrializzati, compresa l’Italia, ogni 100 ragazze in età di rischio (12-25 anni) 8-10 soffrono di qualche disturbo del comportamento alimentare: 1-2 nelle forme più gravi (anoressia e bulimia), le altre nelle forme più lievi, spesso transitorie, di disturbi parziali, subliminali. Tra le giovani donne la prevalenza della bulimia (1%) è maggiore di quella dell’anoressia (0,3-0,5%). Anoressia e bulimia colpiscono soprattutto le donne (90-95% dei casi). L’anoressia nervosa prediligeva, in passato, le classi sociali medio-alte. Negli ultimi due decenni tutti i disturbi del comportamento alimentare si sono equamente diffusi nei vari strati sociali. L’età d’esordio cade, per lo più, fra i 10 e i 30 anni: l’età media d’insorgenza è 17 anni. Sono descritte forme, non rare, prepuberali, che insorgono prima dei primi cambiamenti somatici della pubertà, e premenarcali, prima del menarca, mai comunque prima degli 8 anni. Sono descritte anche forme tardive, perfino successive alla menopausa. In questi ultimi casi, la diagnosi differenziale deve prestare attenzione a disturbi depressivi mascherati e ricercare precedenti episodi anoressici rispetto ai quali quello attuale può essere una lontana recidiva. L’anoressia maschile (Andersen, 1990) non presenta differenze sostanziali, sul piano epidemiologico, rispetto a quella femminile. Anche tra i maschi l’incidenza e la prevalenza dell’anoressia sembrano in aumento negli ultimi decenni, ma forse non nella stessa proporzione del sesso femminile. È stata segnalata una rapida sequenza di cambiamenti nella frequenza relativa delle varie forme di psicopatologia del comportamento alimentare: negli anni Sessanta i quadri clinici più comuni erano le anoressie restrittive, nei decenni successivi sono diventate sempre più frequenti le forme bulimiche. Anoressia e bulimia sono sindromi legate alla cultura (culture bound), spe- 13 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 14 Inquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici cifiche cioè di alcuni Paesi e di certe culture e assenti in altri. È un dato importante per la comprensione del peso dei fattori sociali e culturali nella loro patogenesi (Nasser, 1997; Vandereycken e Noordenbos, 1998). Anoressia e bulimia sono disturbi frequenti nei Paesi occidentali industrializzati, in Australia e Nuova Zelanda, in Sudafrica, in Giappone. Sono assenti o molto rare nei Paesi poveri dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Anoressia e bulimia appaiono legate a valori e conflitti specifici della cultura occidentale, connessi, in particolare, alla costruzione dell’identità femminile e al ruolo familiare e sociale della donna (Nasser, 1997; Blechman e Brownell, 1998). La loro diffusione in Paesi dell’Est europeo, del Terzo Mondo e fra gli immigrati da nazioni povere verso nazioni ricche appare correlata al miglioramento delle condizioni economiche e, ancora di più, ai processi di acquisizione di modelli culturali occidentali. to alimentare. Non è ancora possibile costruire una teoria sintetica che spieghi i meccanismi eziopatogenetici e che, in particolare, indichi quale specifica interazione di forze sia necessaria e sufficiente. È utile distinguere tra fattori predisponenti a lungo termine, fattori precipitanti e fattori che tendono a perpetuare la sindrome. Un cenno particolare meritano alcuni fattori di natura iatrogena. Fattori predisponenti a lungo termine Un rapido elenco di possibili fattori di rischio comprende: una predisposizione genetica, il genere femminile, la giovane età, una storia di sovrappeso e di diete, alcune malattie croniche (ad es., diabete mellito, sindrome di Turner), certi tratti di personalità e problemi psicologici (ad es., tratti ossessivi, ambizioni esasperate, perfezionismo, scarso controllo degli impulsi, intolleranza delle frustrazioni, particolari difficoltà nel processo di separazione-individuazione, rifiuto del corpo adulto e della sessualità, fissazione all’infanzia e a forme infantili di dipendenza e di controllo). Una parte importante, studiata da tempo (Selvini-Palazzoli, 1981), è gio- Fattori eziopatogenetici Fattori individuali, familiari e socioculturali concorrono a determinare l’insorgenza dei disturbi del comportamen- 14 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 15 M. Cuzzolaro cata dalle caratteristiche di vischiosità e scarsa definizione dei ruoli del gruppo familiare, dall’incapacità di riconoscere e incoraggiare la distinzione, la separazione, l’autonomia. Sono frequenti la soggezione al mito del successo, il bisogno di rispondere sempre alle attese sociali e di eseguire al meglio i compiti richiesti, la dipendenza dal consenso e dall’ammirazione degli altri. Su queste stesse linee interviene il peso dei fattori micro- e macro-sociali e dei valori culturali: la competitività esasperata di certi ambienti (scolastici, artistici, sportivi), la richiesta di prestazioni straordinarie, l’esaltazione della magrezza, il mito della bellezza, le sollecitazioni molteplici e contraddittorie alle quali è esposta una giovane donna nell’era postmoderna, variegato collage di nuovo e di antico. un trauma e una minaccia al controllo di sé e della propria vita. La pubertà femminile è una vicenda più complessa di quella maschile dal punto di vista della elaborazione psichica: rapido aumento del peso corporeo, trasformazioni morfologiche evidenti, menarca, rischio di gravidanza, cambiamento profondo nel modo di essere guardata. Un nucleo psicologico importante è la paura di perdere il controllo e la stima di sé: la reazione difensiva può essere una estrema concentrazione sul corpo, sul peso e sulla dieta come campo privilegiato nel quale recuperare un sentimento di dominio e di valore. La perdita di peso e la repressione degli impulsi golosi acquista il significato di un’impresa straordinaria e di un segno, eroico e irrinunciabile, di autodisciplina; al contrario, un aumento anche minimo di peso diventa il segnale di una perdita catastrofica di controllo e di prestigio. L’ipotesi che lega dieta, immagine mentale del corpo e stima di sé è un vertice utile per l’interpretazione di alcuni sintomi anoressici e bulimici: al controllo e alla manipolazione dell’immagine del proprio corpo attraverso la dieta viene affidato il compito di riparare debolezze e conflitti della stima di sé. Fattori precipitanti Vari eventi della vita possono precipitare l’inizio di un’anoressia o di una bulimia: separazioni e perdite, malattie, alterazioni dell’omeostasi familiare, esperienze sessuali, situazioni minacciose per la stima di sé. Un evento importante è l’esperienza dei cambiamenti puberali, vissuta come 15 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 16 Inquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici Fattori di autoperpetuazione Rialimentazioni forzate non contrattate con la paziente, non accompagnate da un efficace supporto psicoterapeutico e tali da provocare un aumento rapido di peso scatenano gravissime ansie, sono seguite da ricadute e, talora, provocano tentativi di suicidio o scompensi psicotici. Gli effetti del digiuno e della perdita di peso tendono a mantenere i sintomi perché accentuano la concentrazione sul cibo, il corpo e il mangiare, aggravano le distorsioni dell’immagine del corpo e dei segnali enterocettivi, scatenano crisi bulimiche. Le crisi bulimiche aumentano l’ansia e la paura di perdere il controllo e impongono contromisure difensive come il vomito autoindotto, l’abuso di lassativi, restrizioni ulteriori della dieta. Altri fattori di autoperpetuazione sono i guadagni secondari legati alla malattia: posizione di potere in famiglia, attenzioni particolari, esonero da situazioni sessuali e sociali temute. Immagini del corpo e stili alimentari Le sindromi psichiatriche non sono entità naturali stabili ma quadri mutevoli che risentono dello spirito del tempo. I moderni disturbi del comportamento alimentare (World Health Organization, 1993; American Psychiatric Association, 1994) differiscono da quelli antichi (Morton, 1689; Bell, 1985) non solo per gli aspetti “quantitativi” appena segnalati (quell’aumento epidemico della loro incidenza che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento) ma anche sul piano “qualitativo”, fenomenologico: la pratica del digiuno volontario e la tendenza all’eccesso alimentare incontrollato accompagnano l’uomo fin dalle origini della sua storia ma solo nella nostra epoca si sono associate a preoccupazioni, particolari ed esasperate, per il peso e l’aspetto del corpo (Guillemot e Laxe- Fattori iatrogeni Alcuni interventi medici possono favorire lo scatenamento, il mantenimento o l’aggravamento dei disturbi del comportamento alimentare. La prescrizione di diete senza una adeguata valutazione dei fattori di rischio può avviare l’inizio della malattia. Una gravidanza consentita da trattamenti dell’infertilità può riaccendere una sindrome anoressica in remissione, anche da anni. 16 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 17 M. Cuzzolaro naire, 1993; Ripa di Meana, 1995; Thompson, 1996; Ripa di Meana e Cuzzolaro, in corso di stampa). È stata già segnalata l’ipotesi di un circuito disistima di sé ↔ disagio del corpo ↔ dieta. Ed è stata sostenuta da più parti l’idea che l’insoddisfazione del corpo possa essere un fattore di rischio per lo sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare. Inoltre, un disagio del corpo fino a una grave dismorfofobia (in termini attuali: disturbo di dismorfismo corporeo) può rappresentare una sequela psicopatologica non rarissima di un disturbo anoressico o bulimico guarito. D’altra parte, la frequenza delle anoressie e delle bulimie è molto più bassa della frequenza con la quale le persone, soprattutto giovani, soprattutto donne, segnalano sentimenti di insoddisfazione del peso e del corpo ai quali reagiscono con diete, esercizio fisico e altri comportamenti, più o meno inadeguati. Dobbiamo supporre, dunque, che il ruolo giocato dall’insoddisfazione del corpo nella patogenesi di un’anoressia o di una bulimia sia importante, sia una condizione probabilmente necessaria ma di certo non sufficiente. I modelli eziopatogenetici sono esercizi speculativi preziosi, fondamentali ipotesi di lavoro e di ricerca. Modelli interessanti per le questioni in esame sono quelli della psicopatologia evolutiva, che studia la costruzione e le peripezie dei sintomi nei vari passaggi esistenziali. Il “modello a due componenti”, sviluppato da Mary Connors qualche anno fa (1996), sostiene in sintesi la seguente tesi: è possibile individuare una serie di fattori di rischio per lo sviluppo della insoddisfazione del corpo. Tali fattori possono essere distinti in ambientali (ad es., pressioni socio-culturali alla magrezza), fisici (ad es., tendenza genetica al sovrappeso) ed evolutivi (ad es., pubertà, prime relazioni sessuali). Bastano, forse, a provocare insoddisfazione del corpo e tendenza a far diete; ma non bastano, di certo, a determinare una patologia del comportamento alimentare. Dobbiamo immaginare, allora, l’intervento di altre variabili. Il modello a due componenti suggerisce una seconda serie di fattori che contribuirebbero a provocare difficoltà di autoregolazione, difetti nella stima di sé e attaccamento insicuro. Possono essere raccolti in tre gruppi: fattori temperamentali e di personalità (ad es., dipendenza dall’approvazione degli altri); fattori traumatici (ad es., abusi fisici e sessuali, negligenze gravi subìte nel corso dell’infanzia); fattori familiari (ad es., invischiamento). 17 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 18 Inquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici Qualche riflessione ancora sui fattori familiari. Decolpevolizzare le famiglie è un’idea basilare sia sul piano terapeutico sia su quello scientifico. Questa posizione ha aperto vicoli ciechi e ha eliminato eziologie pseudoscientifiche e semplificazioni moralistiche. Non dobbiamo cadere, però, in un pregiudizio opposto e pensare che i comportamenti familiari, il modo di essere genitori, siano irrilevanti rispetto allo sviluppo delle patologie dell’alimentazione e al loro mantenimento. Basta pensare alle non rare esperienze traumatiche di abusi fisici e sessuali o di negligenze gravi. Ma anche, e soprattutto, agli abusi emotivi e a quelle non tangibili atmosfere che gli anglosassoni chiamano insensitive parenting (essere genitori in modi che non entrano in sensibile sintonia con i bisogni e le emozioni dei figli). I fattori di rischio temperamentali, traumatici e familiari, quando sono presenti in modo importante, possono costituire da soli la premessa di psicopatologie di vario genere (disturbi depressivi, disturbi d’ansia, disturbi dissociativi, questi ultimi, ad es., soprattutto in seguito a pesanti esperienze traumatiche). Quando si combinano con i fattori di rischio per l’insoddisfazione e il disagio del corpo possono determinare l’insorgenza di un disturbo del comportamento alimentare. Psicometria La psicometria è un ramo della psicologia. Persegue, come indica il nome, l’obiettivo di misurare i fatti psichici descrivendoli sotto forma di numeri. Nelle scienze esatte il numero misura il rapporto fra una grandezza e un’altra della stessa specie, assunta come unità. In psicologia, il numero non esprime esattamente una quantità ma funziona come un indice che segnala la presenza, più o meno marcata, di una caratteristica. Gli strumenti utilizzati dalla psicometria sono i test o reattivi mentali. Un test mira a cogliere e a misurare le differenze fra le reazioni psichiche di diversi individui o dello stesso individuo in tempi e condizioni diverse. Gli strumenti psicometrici per lo studio della psicopatologia dell’alimentazione sono diventati sempre più numerosi nel corso degli ultimi trent’anni. Quantità e varietà sono aumentate in misura parallela all’aumento di frequenza dei casi e all’esplosione dell’interesse, scientifico e popolare, in tutti i Paesi occidentali industrializzati, compresa l’Italia, per l’anoressia, la bulimia e l’obesità. Gli strumenti psicometrici trovano applicazioni nello screening diagnostico (clinico ed epidemiologico), nella valutazione di indi- 18 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 19 M. Cuzzolaro ci di gravità e negli studi di follow-up sulla storia naturale dei disturbi e sulla loro risposta a vari tipi di trattamento. Gli strumenti in uso possono essere raggruppati in quattro categorie principali: – scale di autovalutazione; – scale di valutazione da parte di un osservatore; – tecniche di misurazione della capacità di valutare il proprio corpo; – interviste strutturate. Il più noto e il più usato fra i test per l’anoressia nervosa è un questionario autosomministrato: Eating Attitudes Test (EAT, 1979). L’EAT (Garner e Garfinkel, 1979) è uno strumento che misura i comportamenti alimentari patologici e l’atteggiamento psicologico verso il cibo e il peso, caratteristici dell’anoressia nervosa. La versione originale (EAT 40) è formata da 40 items. Esiste una versione ridotta (EAT 26) formata da 26 items. Ad ogni item è possibile rispondere su una scala Likert a 6 punti: sempre, molto spesso, spesso, talvolta, raramente, mai. Al momento della valutazione, per ogni item, alla risposta più sintomatica si assegna un punteggio 3, a quella immediatamente adiacente 2, alla successiva 1 e alle restanti tre 0. I punteggi di tutti gli items vengono sommati per raggiungere un indice globale della sintomatologia alimentare che può, quindi, variare da 0 a 120. Il cut off è fissato dagli autori ai livelli 29/30 e 19/20, rispettivamente per la versione a 40 e 26 items. Punteggi superiori al cut off (≥ 30 o ≥ 20) indicano la presenza molto probabile di sintomi di DCA ma non implicano, necessariamente, una diagnosi di anoressia nervosa o di bulimia nervosa. Come tutti gli altri test di questo tipo l’EAT non ha, dunque, capacità diagnostiche. È prezioso come strumento di screening in ricerche epidemiologiche in due fasi (test e intervista dei soggetti high-scorers, che hanno riportato punteggi superiori al cut off) ed è utile come strumento clinico di valutazione della gravità dei sintomi e del loro andamento nel tempo. L’EAT è stato tradotto e validato in molte lingue e applicato a culture diverse. È stato utilizzato in Paesi dell’Europa Orientale, dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina e in popolazioni immigrate di prima e seconda generazione. È lo strumento psicometrico per lo studio dei DCA più usato in assoluto e più sperimentato in culture diverse. In Italia è stato tradotto e validato (Cuzzola- 19 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 20 Inquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici Punteggi medi EAT nell’anoressia nervosa e negli altri gruppi diagnostici. 60 50 40 30 20 10 0 Il punteggio medio è inferiore alla linea di cut off (29/30) solo nell’obesità non complicata da BED. Terapia Anoressie e bulimie possono essere malattie molto gravi, pericolose, difficili da curare. Nella costruzione di una strategia efficace vanno tenuti presenti quattro aspetti importanti: a) La funzione economica del sintomo È necessario tener conto dei rischi biologici e delle emergenze somatiche create dai sintomi così come della funzione di quei sintomi stessi, costosa di- ...................................... Figura 2 Punteggi medi EAT ro et al., 1988) e applicato in numerosi studi epidemiologici e clinici. Il grafico seguente (Fig. 2), tratto da un campione di 479 utenti dell’ambulatorio per i Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Università di Roma “La Sapienza” (DSNPEE, Cuzzolaro), mostra i punteggi medi EAT nei diversi gruppi diagnostici: ANr (Anoressia Nervosa restrittiva), ANb (Anoressia Nervosa bulimica), BNp (Bulimia Nervosa con pratiche di svuotamento), BNnp (Bulimia Nervosa senza pratiche di svuotamento), STED (subthreshold eating disorders, sindromi parziali), BED (Binge Eating Disorder), O + BED (Obesità con Binge Eating Disorder), O no BED (Obesità senza Binge Eating Disorder). ANr ANb BNnp 20 BNp STED BED O + BED O no BED 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 21 M. Cuzzolaro fesa di una certa integrità di funzionamento mentale. b) Le interazioni familiari Una terapia che non coinvolga in qualche forma e in qualche fase i genitori ha poche probabilità di successo, soprattutto se la paziente è giovanissima; una terapia che manchi di riconoscere profondamente l’identità individuale del soggetto e il suo bisogno di separazione e distinzione non ne ha nessuna. c) Il transfert L’investimento emotivo sul terapeuta è sospeso fra un eccesso divorante, insaziabile e il rifiuto. L’uso mirato della frustrazione, la ricostruzione sistematica delle regole terapeutiche, la gestione calda e ferma della distanza sono presupposti indispensabili in ogni approccio e in ogni contesto di cura. d) La collaborazione di specialisti diversi I disturbi del comportamento alimentare sono le malattie mentali che coinvolgono e sconvolgono più profondamente il corpo e la sua biologia. Nel corso del tempo, processi psichici e somatici interagiscono fra loro e contribuiscono a determinare, mantenere e complicare i quadri clinici. Il disturbo di base è psicopatologico. Quindi, la cura a lungo termine compete a psichiatri, psicanalisti e psicoterapeuti. Ma in varie circostanze, a volte d’emergenza, è necessario l’intervento breve di altri specialisti: nutrizionisti, internisti, ginecologi, endocrinologi, odontoiatri. È necessario imparare a collaborare riconoscendo e rispettando le diverse aree di competenza. Ricovero In condizioni di emaciazione molto gravi, gli effetti di qualunque psicoterapia possono essere annullati dai fenomeni di autoperpetuazione della sindrome legati alla denutrizione. È opinione largamente condivisa che, mentre i casi meno gravi possono essere trattati subito ambulatoriamente, quelli più gravi devono essere inizialmente ricoverati. L’ambiente ideale per il ricovero è un piccolo reparto specializzato. Può essere sufficiente un ricovero parziale, diurno (day hospital). Le condizioni che, da sole o combinate, possono rendere indispensabile un ricovero sono le seguenti: perdita di peso ≥ 40% (più temibile se si è verificata in poco tempo) e rifiuto assoluto di alimentarsi; squilibri elettrolitici (ipopotassiemia); disturbi psichici gravi e alto rischio di suicidio; necessità di una separazione dalla famiglia per interazioni patologiche non controllabili. 21 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 22 Inquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici Senza un certo recupero del peso il trattamento psicoterapeutico di un’anoressica grave è spesso destinato al fallimento, ma è altrettanto vero che ricovero e rialimentazione possono essere accettati solo all’interno di una relazione psicologica di fiducia. Impresa difficile perché la maggior parte delle anoressiche nega la malattia o riconosce come patologici solo alcuni sintomi (ad es., le crisi bulimiche ma non la ricerca di magrezza). È importante stabilire un rapporto di collaborazione con la famiglia. Un ricovero coatto è molto raro e non auspicabile. Durante la degenza, la rialimentazione deve essere effettuata evitando metodi coercitivi e umilianti e pericolose reintegrazioni massive. L’informazione e semplici tecniche comportamentali, affidate a dietisti e infermieri specializzati, sono di grande aiuto. Già durante il ricovero, è bene avviare o almeno prevedere un trattamento psicanalitico o psicoterapeutico sistematico a lungo termine, da proseguire dopo la dimissione. Sono utilizzate tecniche individuali, familiari e di gruppo, da sole o associate. ste patologie né un’efficacia a lungo termine dimostrata sperimentalmente. Nel corso del tempo, a partire dalla scoperta dei primi psicofarmaci (cloropromazina, 1952), vari trattamenti farmacologici sono stati tentati in forma sia di segnalazioni aneddotiche e di studi aperti senza gruppo di controllo, sia di ricerche controllate con placebo in doppio cieco. Un neurolettico, la cloropromazina, è stata impiegata per la prima volta nel trattamento dell’anoressia nervosa alla fine degli anni Cinquanta. Altri neurolettici tipici e atipici (aloperidolo, pimozide, sulpiride, ecc.) sono stati impiegati con benefici solo sintomatici e incostanti e nessun cambiamento sostanziale del nucleo psicopatologico. Se i neurolettici (in particolare la cloropromazina) hanno marcato il trattamento farmacologico dell’anoressia nervosa negli anni Sessanta, l’impiego di antidepressivi nell’anoressia e, soprattutto, nella bulimia, ha dominato le ricerche negli ultimi decenni. Per quanto riguarda i risultati dei trial farmacologici con antidepressivi nell’anoressia nervosa, a dispetto di alcune osservazioni aneddotiche promettenti, vari studi controllati sull’amitriptilina e sulla clomipramina non hanno evidenziato differenze significative rispetto al pla- Psicofarmaci Non esistono finora farmaci che abbiano un’indicazione specifica per que- 22 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 23 M. Cuzzolaro cebo né per l’aumento di peso né per la depressione. Il carbonato di litio ha prodotto effetti positivi sull’aumento di peso significativi rispetto al placebo ma nessun cambiamento apprezzabile sull’atteggiamento anoressico né sull’umore. Attualmente, come indicazione clinica generale, si può dire che l’impiego di antidepressivi nell’anoressia deve essere limitato ai casi in cui coesistono gravi sintomi depressivi e ossessivi, soprattutto quando persistono, o addirittura si accentuano, dopo il recupero del peso. Tra gli altri farmaci, la metoclopramide si è rivelata più efficace del placebo nell’alleviare la dispepsia postprandiale di un piccolo gruppo di anoressiche, ma la ricerca dovette essere interrotta perché il farmaco sembrava precipitare stati depressivi. Per questo motivo, sembra più consigliabile per i sintomi di ripienezza gastrica e di intollerabile gonfiore il domperidone, un altro farmaco che blocca la dopamina ma non supera la barriera ematoencefalica. La ciproeptadina, agente antistaminico e antiserotoninico che stimola l’appetito e favorisce l’aumento ponderale, è stata sperimentata negli anni Ottanta. A dosi elevate (fino a 32 mg al giorno), la ciproeptadina ha favorito un certo recupero ponderale in casi di anoressia nervosa restrittiva ma ha peggiorato i sintomi in casi del sottotipo bulimico. Il farmaco non ha trovato nessun impiego clinico utile. Il tetraidrocannabinolo è stato usato senza nessun vantaggio in uno studio controllato su undici pazienti alcuni dei quali hanno sviluppato, piuttosto, una grave disforia con sentimenti di perdita di controllo e ideazione paranoide: la sostanza è stata provata per la sua capacità di stimolare l’appetito. Negli ultimi anni non si sono verificate novità di rilievo salvo qualche segnalazione di una possibile utilità della fluoxetina nella prevenzione di ricadute in pazienti in remissione e qualche ipotesi, del tutto preliminare, sull’impiego di nuovi neurolettici (risperidone e olanzapina). Psicanalisi e psicoterapie Il trattamento di scelta dei disturbi del comportamento alimentare è psicologico. I trattamenti psicanalitici o psicoterapeutici, spesso protratti per anni, anche dieci e più, costituiscono, tuttora, lo strumento più utile di intervento. La psicanalisi si è occupata di anoressia fin dalle sue origini e per oltre vent’anni, dagli anni Cinquanta ai Settanta, ha rappresentato l’approccio egemone a questa sindrome. 23 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 24 Inquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici Modelli teorici diversi si sono succeduti e variamente integrati nel tempo: modello del conflitto pulsioni/difese, psicologia dell’Io, teoria delle relazioni oggettuali, teoria dell’inconscio come linguaggio, psicologia del Sé. L’indirizzo cognitivo-comportamentale e quello familiare-sistemico hanno dato altri contributi fondamentali alla comprensione e al trattamento dei disturbi del comportamento alimentare. Mancano ancora studi sufficientemente estesi e rigorosi che confrontino i risultati conseguiti con tecniche psicoterapeutiche diverse e con combinazioni di trattamenti. Una indicazione generale può essere la seguente: le terapie relazionali-sistemiche (della famiglia) sono forse il trattamento più efficace per le pazienti più giovani, fino ai 16 anni; in fasce di età successive sembrano preferibili trattamenti individuali. Anche quando si applica un trattamento individuale è in genere utile e spesso indispensabile una consulenza psicologica, se non una terapia formalizzata, dei genitori o del partner. risolve spontaneamente in pochi mesi, fino all’estremo opposto di una malattia cronica, persistente o ricorrente, con una elevata mortalità. Gli esiti riportati sono molto diversi da studio a studio per differenze nei campioni, nella durata e nel metodo dei controlli catamnestici, nei metri di giudizio. Nella valutazione devono essere prese in considerazione tre dimensioni: fisica, psichica, sociale. L’esperienza clinica suggerisce che il decorso della malattia non è lo stesso ai tre diversi livelli e che altri disturbi psicopatologici tendono a persistere a lungo o a presentarsi ex novo anche dopo la remissione dei sintomi specifici, il miglioramento delle condizioni fisiche e il conseguimento di buoni risultati negli studi e nel lavoro. Non sono poche le ragazze che, dopo aver superato una malattia anoressica o bulimica, sviluppano, a breve o lungo termine, altri sintomi psicopatologici, a volte nella forma di gravi quadri psichiatrici, a volte in quella di manifestazioni più lievi, tratti di personalità, stili di vita. Quanto più lungo è il controllo catamnestico tanto minori sono i risultati favorevoli: non sono attendibili studi di durata inferiore a quattro anni. L’età della morte è relativamente tardiva rispetto a quella di insorgenza. Il suicidio è una causa frequente di morte. Esiti Il decorso dell’anoressia va da un episodio singolo in adolescenza, che si 24 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 25 M. Cuzzolaro In un terzo dei casi, includendo anche i meno gravi, la malattia dura più di 6 anni. Il tasso di ricadute (ritorno dei sintomi dopo breve remissione) è elevato. Recidive (ritorno dei sintomi dopo lunga remissione e interruzione del trattamento) capitano anche a vari anni di distanza. Miglioramenti notevoli e guarigioni possono verificarsi anche dopo molti anni di malattia. somatici, unica strategia efficace di intervento nelle fasi più gravi, rappresenta l’eccezione occasionale piuttosto che la regola. I servizi specialistici di riferimento, unità operative, strutture residenziali e semiresidenziali dirette a progetti di riabilitazione a medio e lungo termine, sono assolutamente insufficienti rispetto al fabbisogno su tutto il territorio nazionale. La situazione è ancora più grave nelle regioni dell’Italia Centrale e Meridionale. Il trattamento esige nuovi modelli di integrazione di competenze professionali diverse. Per quanto riguarda i servizi, una buona organizzazione dovrebbe prevedere: – strutture ambulatoriali specializzate distribuite su tutto il territorio nazionale. Tali strutture dovrebbero essere in grado di attuare una valutazione clinica completa, di formulare un piano terapeutico e di attuarlo, con largo spazio per gli interventi psicoterapeutici; – un centro di ricovero e un servizio di ospedale diurno specializzati ai quali più strutture ambulatoriali dovrebbero far riferimento per il trattamento di quei casi che richiedono interventi d’urgenza a breve termine o interventi di riabilitazione a medio-lungo termine. Luoghi di cura: qualche ipotesi per il futuro I costi sociali e sanitari sono esaltati dal fatto che la gestione è, per lo più, in Italia, non specializzata con ricoveri e trattamenti ripetuti in servizi inadeguati. La domanda di cura per anoressie e bulimie si distribuisce oggi, nel nostro Paese, in modo largamente casuale: reparti e ambulatori di psichiatria, medicina interna, ginecologia, endocrinologia, nutrizione clinica possono esserne ugualmente investiti. La risposta riflette, di conseguenza, le caratteristiche strutturali, funzionali e culturali dei servizi in gioco molto più che la natura e le esigenze della patologia. In particolare, la possibilità di trattamenti integrati dei disturbi mentali e dei guasti 25 1802_99 Cap. 1 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 26 Inquadramento: aspetti diagnostici, epidemiologici ed eziopatogenetici In base al principio del trattamento multidisciplinare dei disturbi del comportamento alimentare le strutture (ambulatori, reparti di degenza, ospedali diurni) rivolte a queste patologie dovrebbero possedere i seguenti requisiti: – presenza nella stessa struttura di specialisti in area psicologico-psichiatrica e internistico-nutrizionale; – collegamento formalizzato fra i tre livelli: ambulatori, ospedale diurno, reparto di degenza per garantire globalità e continuità delle cure. Le strutture ambulatoriali dovrebbero essere anche collegate ad altri servizi e istituzioni sociosanitarie (consultori per l’adolescenza, servizi di medicina scolastica, medicina di base, pediatria di base, ecc.) per interventi di prevenzione primaria e secondaria. Naturalmente, le strutture dovrebbero essere riconoscibili e pubblicizzate nell’ambito del territorio. Sarebbe utile l’istituzione di registri epidemiologici nazionali nei quali far confluire i dati di osservatori epidemiologici regionali (è opportuno un aggiornamento dei codici nosografici ISTAT). Dovrebbero essere previsti, infine, corsi di formazione di base e di aggiornamento permanente per gli operatori, pubblici e privati, impegnati nel trattamento di queste patologie nuove e mutevoli. Riferimenti bibliografici Allison DB (ed) Handbook of Assessment Methods for Eating Behaviors and Weight-Related Problems. Measures, Theory and Research. Sage, Thousand Oaks CA, 1995. American Psychiatric Association Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4th Edition DSM-IV. American Psychiatric Association, Washington DC, 1994 (Ed it: Masson, Milano, 1995). American Psychiatric Association Practice guideline for eating disorders. American Journal of Psychiatry, 150: 209-228, 1993. 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La valutazione dei pazienti e delle loro famiglie nel momento della loro richiesta di aiuto è fortemente influenzato dalla situazione di “crisi”, secondaria alla malattia, che ha portato la paziente e la sua famiglia a chiedere un trattamento. Un altro elemento importante nella valutazione delle interazioni familiari è che essa può essere influenzata dal livello di attaccamento della paziente alla sua famiglia. Poiché i problemi di dipendenza, le spinte verso l’autonomia, il conseguimento di un’identità stabile e sicura, tutti elementi che ruotano intorno al processo di individuazione-separazione, sono tra i problemi fondamentali, la va- I dati della letteratura La letteratura scientifica si è interessata a diversi aspetti delle famiglie dei pazienti con anoressia nervosa, dal possibile ruolo della famiglia nella eziopatogenesi del disturbo, alle caratteristiche demografiche, agli aspetti genetici e di familiarità psichiatrica, e infine alle variabili familiari che possono influenzare la prognosi e la risposta al trattamento. Fattori familiari nella eziopatogenesi dell’anoressia nervosa Fin dalle prime descrizioni dell’anoressia nervosa è stato sottolineato il ruolo della famiglia nello sviluppo di questa patologia (Gull, 1873). Autori di diverse impostazioni teoriche hanno descritto quale sia il possibile ruolo dei familiari (Bruch, 1973; Dare & Eisler, 29 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 30 Il ruolo della famiglia nella genesi e nella terapia lutazione della famiglia o del modo in cui la paziente percepisce la sua famiglia non può prescindere da questi aspetti. Proprio per questi motivi, l’atteggiamento della paziente e della sua famiglia verso la valutazione dei problemi può variare a seconda della fase del trattamento. In genere, nella fase acuta, le pazienti anoressiche tendono a negare qualsiasi problema. La ricerca di simpatia e approvazione all’interno della famiglia si manifesta, nel corso del trattamento, con un atteggiamento di ipercompiacenza nei confronti dei terapeuti che rende più difficile una comprensione autentica dei problemi familiari. Famiglie più conflittuali o atmosfere familiari particolarmente negative vengono invece più spesso descritte in pazienti anoressiche-bulimiche e bulimiche (Vandereycken et al., 1989). Nel descrivere le caratteristiche delle relazioni familiari è importante tuttavia ricordare che tali conflitti possono essere sia la causa sia la conseguenza delle difficoltà di interazione familiare che accompagnano le famiglie in cui si manifesta una malattia grave come questa. Tutte queste considerazioni sottolineano il concetto che, anche se osserviamo un particolare problema di interazione familiare in una determinata famiglia, la sua specificità e il suo significato come “causa” del problema alimentare sono tutt’altro che dimostrati. Resta tuttavia fondamentale conoscere questi problemi perché, anche se non possiamo dimostrare il loro ruolo come “causa”, è verosimile che svolgano un ruolo di rilievo nell’andamento della malattia e nella riuscita del trattamento proposto. Uno dei più importanti progressi nel campo della terapia familiare dell’anoressia nervosa è la formulazione dell’approccio strutturale di Minuchin et al. (1978). Essi infatti hanno identificato alcune caratteristiche dell’interazione familiare che sembrano specifiche delle famiglie in cui ci sono persone affette da anoressia nervosa, come l’iperprotettività, la labilità dei confini individuali, la rigidità e la scarsa capacità di risolvere i conflitti. In Italia, ad opera di Mara Palazzoli-Selvini (1978) si è molto diffuso il modello sistemico, che presenta alcune somiglianze e molte differenze con il modello strutturale. L’approccio sistemico fondamentalmente sostiene che la paziente anoressica costituisca il fattore di “omeostasi” e di stabilità familiare e, tra le tecniche adottate, prevede anche l’uso di interventi “paradossali”. La terapia familiare è stata in seguito applicata anche alla bulimia nervosa. 30 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 31 A. Favaro, P. Santonastaso Al di là delle teorie e delle terapie familiari, per la maggior parte dei terapeuti è evidente come spesso l’anoressia nervosa rappresenti le difficoltà della persona di raggiungere una propria autonomia, indipendenza ed individualità. Questi temi sono molto comuni nell’adolescenza, che costituisce infatti il momento di maggior vulnerabilità individuale e familiare. Gli studi controllati che hanno valutato l’efficacia della terapia familiare sono molto pochi. Russell et al. (1987) hanno riscontrato una efficacia della terapia familiare superiore alla terapia individuale nei pazienti di età molto giovane. A partire da questo studio, molti ritengono che una vera e propria terapia familiare sia più indicata nelle pazienti anoressiche più giovani. La terapia familiare sistemica risulta inoltre controindicata nei casi in cui i genitori siano separati, quando è presente un’alta conflittualità, una storia di abusi fisici o sessuali all’interno della famiglia o nei casi di una grave malattia fisica o psichica nei genitori (Vandereycken et al., 1989). Questo tipo di trattamento inoltre risulta più difficile e meno efficace quando vi sia una lunga durata di malattia (Liebman et al., 1983). In presenza di elevata conflittualità alcuni autori hanno riscontrato una maggior efficacia dell’approccio psicoeducazionale rispetto all’approccio sistemico (Eisler e Dare, 1995). Caratteristiche demografiche Le caratteristiche demografiche comprendono diversi aspetti come la classe sociale, l’ordine di genitura, l’età dei genitori alla nascita del paziente, l’integrità della coppia parentale. Molti disturbi psichiatrici mostrano una maggior prevalenza nelle classi socioeconomiche più basse, ma è difficile capire quanto questo sia solo secondario ad un processo di selezione “sociale” o se sia invece causato da fattori di ordine sociale. Nei primi studi sull’anoressia nervosa, questa patologia sembrava rappresentare una eccezione, poiché tra i pazienti con anoressia nervosa era stata riscontrata più frequentemente l’appartenenza alla classe sociale medio-alta (Hoek, 1993; Gard e Freeman, 1996). Questa osservazione sembrava in parte confermata dai primi studi di prevalenza svolti da Crisp in alcune scuole londinesi (Crisp et al., 1976). Egli aveva indagato retrospettivamente nove scuole superiori, la maggior parte delle quali private, intervistando gli inse- 31 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 32 Il ruolo della famiglia nella genesi e nella terapia gnanti. Le diagnosi venivano poi confermate contattando il medico che aveva in cura le ragazze indicate come possibili casi. Nelle scuole private è stata riscontrata una prevalenza dell’1% tra le ragazze sopra i 16 anni, mentre nelle scuole pubbliche (erano indagate solo 2 scuole) la prevalenza era molto inferiore (1 caso ogni 550 ragazze). Questo studio è stato considerato poco attendibile per aver indagato soprattutto soggetti di una particolare classe sociale (Hoek, 1993). Studi controllati hanno portato a risultati contrastanti che in alcuni casi confermavano una maggior appartenenza a classi sociali agiate (Askevold, 1982), mentre in altri questa teoria veniva confutata (Vandereycken et al., 1989). Dati contrastanti sono anche emersi da quegli studi che hanno cercato differenze di classe sociale nei diversi sottogruppi di pazienti con disturbi del comportamento alimentare (Vandereycken et al., 1989; Gard e Freeman, 1996). Un fattore che invece sembra significativamente associato ad una maggior prevalenza di disturbi del comportamento alimentare è il grado di urbanizzazione del luogo di residenza. Sembra infatti che in aree ad alta urbanizzazione vi sia una prevalenza maggiore di disturbi del comportamento alimentare ed in particolare di bulimia nervosa (Hoek, 1993; Santonastaso et al., 1999). Gli studi controllati che riguardino l’ordine di genitura, l’età dei genitori e l’integrità del nucleo familiare nei pazienti con anoressia nervosa sono molto pochi e spesso contraddittori. A partire da Hilde Bruch (1973), alcuni autori avevano osservato una età più avanzata nei genitori di pazienti con anoressia nervosa, ma studi controllati hanno smentito questa osservazione. La stessa Bruch (1973) aveva riportato che le pazienti con anoressia nervosa erano più spesso primogenite o ultimogenite, ma anche questo dato è stato poi smentito da osservazioni su campioni più numerosi (Gowers et al., 1985). Infine, per quanto riguarda l’integrità del nucleo familiare, i pochi studi presenti nella letteratura sembrano rilevare percentuali simili o addirittura più basse, rispetto ai dati sulla popolazione generale, di famiglie non integre a causa di separazione o morte dei genitori. Familiarità psichiatrica e studi sulla genetica Gli studi sulla familiarità psichiatrica si basano essenzialmente su due tecniche: la tecnica di indagine della storia 32 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 33 A. Favaro, P. Santonastaso familiare (family history method) e quella di studio diretto della famiglia (family study method). Entrambi gli approcci hanno vantaggi e svantaggi. La prima tecnica è la più semplice e si basa sulla raccolta di informazioni sui familiari attraverso l’intervista del paziente o eventualmente di un altro familiare. La seconda prevede l’intervista diretta dei familiari di primo grado allo scopo di valutare la presenza di qualsiasi altra forma di patologia psichiatrica. Ovviamente la seconda tecnica risulta più affidabile e precisa, anche se molto più “costosa” (Andreasen et al., 1977). Negli ultimi anni gli studi sulla familiarità nei disturbi del comportamento alimentare hanno cercato di meglio comprendere il ruolo dei fattori genetici e dei fattori familiari non-genetici nella patogenesi dell’anoressia e della bulimia nervosa (Santonastaso et al., 1997). È stato dimostrato, infatti, come entrambi questi tipi di fattori legati alla famiglia siano di notevole importanza (Kendler et al., 1995). Un’alta frequenza di disturbi affettivi, di disturbi da abuso di sostanze e di disturbi del comportamento alimentare sono stati osservati nelle famiglie di pazienti con disturbi del comportamento alimentare. È interessante l’osservazione che, nei pazienti con disturbi del comporta- mento alimentare, vi sia più spesso una comorbilità per disturbi affettivi in presenza di un membro della famiglia con un’anamnesi positiva per disturbi affettivi (Kassett et al., 1989; Walters e Kendler, 1995). In seguito a queste osservazioni, la letteratura scientifica ha esplorato la possibilità che l’anoressia nervosa rappresentasse una “forma” di disturbo depressivo e che quindi anoressia e disturbi affettivi condividessero una comune eziologia (Biederman et al., 1985). Altri studi hanno analizzato le differenze all’interno dei diversi sottogruppi di disturbi del comportamento alimentare. Strober (1982) e Santonastaso et al. (1997) hanno osservato, per esempio, una maggior frequenza di obesità, disturbi affettivi e disturbi da abuso di sostanze nei familiari di pazienti con anoressia nervosa di tipo bulimico-purgativo rispetto ai familiari di pazienti anoressiche restrittive. Risultati simili sono stati riscontrati nel confronto di pazienti con bulimia nervosa e pazienti con anoressia restrittiva (Piran et al., 1985), mentre Laessle et al. (1987) hanno rilevato che le pazienti che riportano le più alte percentuali di familiarità psichiatrica sono quelle con anoressia bulimico-purgativa sia a confronto con soggetti di controllo sia con 33 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 34 Il ruolo della famiglia nella genesi e nella terapia pazienti affette da anoressia nervosa di tipo restrittivo o da bulimia nervosa. Tra le pazienti con bulimia nervosa, un nostro studio ha evidenziato una più frequente familiarità psichiatrica tra le pazienti senza una storia di pregressa anoressia (Santonastaso et al., 1997). Altri studi tuttavia non hanno riscontrato alcuna differenza tra diversi sottogruppi (Gershon et al., 1984; Schmidt et al., 1993). Nonostante queste premesse, gli studi di genetica non sembrano indicare la presenza di una diatesi comune tra disturbi del comportamento alimentare e disturbi affettivi (Strober et al., 1990; Kendler et al., 1995), né tra disturbi del comportamento alimentare e disturbi da abuso di sostanze (Kendler et al., 1995; Kaye et al., 1996). Lilenfeld et al. (1998) in un recente lavoro svolto utilizzando il family study method hanno valutato l’aggregazione di disturbi psichiatrici nelle famiglie con pazienti anoressici e bulimici e in famiglie di controlli sani. Nei familiari di pazienti con disturbi del comportamento alimentare è stato riscontrato un aumentato rischio per disturbi alimentari sottosoglia, disturbo depressivo maggiore e disturbo ossessivo-compulsivo rispetto ai familiari dei controlli. Il rischio di disturbi da dipendenza da sostanze era più elevato nei familiari di pazienti con bulimia nervosa, ma l’aggregazione familiare sembrava indicare una patogenesi indipendente tra i due disturbi. Al contrario il disturbo di personalità di tipo ossessivo, che era più frequente tra i familiari delle pazienti anoressiche, sembra essere legato a fattori di rischio di tipo familiare comuni a quelli cui è legata l’insorgenza di anoressia nervosa. Gli autori concludono affermando che è possibile una vulnerabilità comune per anoressia nervosa e bulimia nervosa. I disturbi dell’umore, il disturbo ossessivo-compulsivo e i disturbi da dipendenza da sostanze probabilmente non condividono una diatesi comune con i disturbi del comportamento alimentare, mentre i tratti di personalità ossessiva possono costituire un fattore di rischio familiare specifico per l’anoressia nervosa. Questi studi sembrano indicare una importante componente familiare nell’insorgenza dell’anoressia nervosa. Pochi studi tuttavia hanno cercato poi di capire quanto questa componente familiare fosse di ordine genetico o ambientale. Holland et al. (1984), in uno dei primi studi svolti su gemelli, aveva riscontrato un numero significativamente maggiore di monozigoti concordanti come diagnosi rispetto ai dizigoti, con una stima dell’ereditabilità di circa l’80%. 34 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 35 A. Favaro, P. Santonastaso Tuttavia questo studio ha il limite di essere stato svolto su soggetti che avevano chiesto un trattamento. Poiché una anamnesi familiare positiva per anoressia nervosa rende verosimilmente più probabile la richiesta di aiuto, i dati di questo studio potrebbero sovrastimare l’aggregazione familiare di questa patologia. Più adatti a questo scopo sono gli studi che valutano l’aggregazione di anoressia nervosa in coppie di gemelle presenti nella popolazione generale (Walters & Kendler, 1995), ma in questo caso il principale limite è rappresentato dalla rarità del disturbo anoressico che può impedire di stimare in modo esatto il grado di ereditabilità. cui si manifesta e, quando ci arrivano, la durata di malattia è già piuttosto lunga (Santonastaso et al., 1996; Santonastaso et al., 1999). Questo fatto può dipendere anche dalle grandi difficoltà che i genitori incontrano nel convincere la figlia della necessità di un controllo medico e di una cura. In questa prospettiva, i fattori familiari possono essere determinanti nell’anticipare o nel tardare il momento in cui inizia il trattamento e influire, quindi, anche in questo modo, sull’esito a lungo termine. È stato rilevato infatti che un inizio precoce del trattamento riduce i rischi di cronicizzazione e facilita l’approccio terapeutico. Le possibili influenze negative della famiglia sull’evoluzione del disturbo sono alla base di una pratica molto diffusa già nelle prime descrizioni cliniche dell’anoressia: quella di separare a scopo terapeutico la paziente dai suoi familiari, soprattutto attraverso l’ospedalizzazione. Vandereycken e Pierloot (1983), valutando la risposta al trattamento di un gruppo di pazienti anoressiche, osservarono che l’uso rigido della regola della “parentectomia”, cioè dell’allontanamento totale della paziente dalla famiglia fino al recupero completo del peso, poteva avere alcuni vantaggi nella risposta a breve termine, ma aveva an- Fattori familiari che influiscono sulla prognosi e sulla risposta al trattamento Un comune dato di osservazione che si ricava dagli studi epidemiologici su popolazione generale e da quelli su popolazioni cliniche è che le anoressiche arrivano all’osservazione medica in una percentuale molto più bassa di quanto ci si aspetterebbe pensando alla gravità del disturbo e all’evidenza con 35 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 36 Il ruolo della famiglia nella genesi e nella terapia che numerosi e gravi effetti collaterali. Uno dei più importanti effetti collaterali era il drop-out, cioè l’abbandono del trattamento da parte della paziente. Questo è uno dei motivi principali per cui il trattamento proposto da Vandereycken si è poi trasformato in una terapia che coinvolge la famiglia e che tiene conto dei bisogni della famiglia stessa (Vandereycken et al., 1989). L’indicazione ad un coinvolgimento della famiglia nel trattamento viene anche da alcuni studi che hanno osservato un peggioramento dei sintomi familiari in parallelo al miglioramento dello stato fisico della paziente anoressica. Crisp et al. (1974), per esempio, avevano osservato un significativo aumento della sintomatologia psiconevrotica, sia nei padri sia nelle madri, durante il recupero di peso delle figlie. Questo aumento riguardava in particolare i sintomi ansiosi e fobici. È interessante notare che i cambiamenti erano tanto più netti quanto più povera era la qualità della relazione tra coniugi, a sottolineare quale ruolo possa rivestire la malattia della figlia nell’equilibrio familiare. Lo stesso studio aveva poi osservato una relazione significativa tra l’esito del trattamento e la sintomatologia iniziale dei genitori. Morgan e Russell (1975), in un loro studio di follow-up, riportano che l’unico fattore familiare che sembra influenzare la prognosi è la presenza di relazioni problematiche tra il paziente e altri membri della famiglia prima dell’esordio del disturbo alimentare. Altri fattori, come la rivalità tra sorelle, la presenza di disturbi psichiatrici nei familiari, la classe sociale o anomalie della struttura familiare non sembravano avere alcun impatto. Dopo questo primo lavoro, sono molto pochi gli studi di follow-up che prendono in considerazione il ruolo dei fattori familiari nella prognosi dell’anoressia nervosa. Il dato più significativo e costante che sembra emergere (Steinhausen et al., 1991; Santonastaso e Pavan, 1993) è che una relazione disturbata tra paziente e genitori costituisce un fattore prognostico negativo. Di fronte a queste evidenze, la letteratura scientifica si è trovata di fronte alla necessità di definire con più precisione quale disturbo della relazione tra paziente e famiglia abbia un significato prognostico. A questo proposito sono state utilizzate diverse tecniche di valutazione delle interazioni familiari già usate per altri disturbi psichiatrici. Queste tecniche comprendono questionari autosomministrati, come la Family Environment Scale (FES), la Family Adap- 36 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 37 A. Favaro, P. Santonastaso tation and Cohesion Scale (FACES) o la Family Assessment Device (FAD; Epstein e Bishop, 1983), e interviste cliniche, come la McMaster Structural Interview of Family Functioning (MCSIFF; Epstein e Bishop, 1983). Queste scale e interviste misurano aspetti come la capacità di problem solving familiare, la cooperazione, la comunicazione, il coinvolgimento affettivo, i ruoli familiari, la coesività. In uno studio recente di North et al. (1997), è stato riscontrato che un buon esito a due anni dall’inizio del trattamento in un campione di pazienti adolescenti con anoressia nervosa è associato ad un buon funzionamento familiare iniziale. Inoltre la percezione del funzionamento familiare fornita dalle pazienti corrispondeva sostanzialmente a quella della valutazione data dalle interviste svolte con i familiari stessi. In un lavoro di follow-up a più lungo termine svolto su pazienti adolescenti con anoressia nervosa, Strober et al. (1997), indagando diversi aspetti della famiglia come la presenza di familiarità psichiatrica, il tipo di relazioni familiari, l’adattamento sociale, l’incoraggiamento all’autonomia, le aree di conflitto, ha riscontrato che le variabili familiari potevano essere considerate predittive dell’esito a lungo termine. In particolare, la presenza di atteggiamenti ostili verso la famiglia sembrava aumentare la lentezza della remissione e il rischio di insorgenza di bulimia. Il passaggio da anoressia a bulimia, fattore che impedisce o rallenta molto il processo di piena guarigione, era anche significativamente associato ad una mancanza di empatia o affetto dei genitori verso i figli. Altri metodi già sperimentati con altre patologie psichiatriche ed in seguito utilizzati anche per la valutazione delle problematiche familiari nell’anoressia nervosa sono la valutazione dell’emotività espressa e la valutazione del carico familiare. Il concetto di emotività espressa deriva da alcune ricerche svolte sulla schizofrenia (Vaughn e Leff, 1976) che avevano osservato come gli atteggiamenti e i comportamenti dei familiari potessero significativamente influenzare il tasso di ricadute (intese come necessità di riospedalizzazione) dei pazienti schizofrenici. La misurazione dell’emotività espressa, effettuata in genere attraverso una intervista specifica, la Camberwell Family Interview (CFI), comprende cinque scale principali: il criticismo (cioè la presenza di commenti critici verso il paziente), l’ostilità, l’ipercoinvolgimento emotivo, il calore affettivo e i commenti positivi. 37 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 38 Il ruolo della famiglia nella genesi e nella terapia Gli studi svolti su pazienti con disturbi del comportamento alimentare, utilizzando il concetto di emotività espressa, riportano tassi di criticismo inferiori rispetto ai familiari di pazienti schizofrenici (Szmukler et al., 1985; Le Grange et al., 1992). Entrambi questi studi osservano tassi di criticismo significativamente più alti nelle famiglie di pazienti bulimiche rispetto a quelle di pazienti con anoressia nervosa. Questo è probabilmente legato al fatto che l’incapacità di controllare l’alimentazione e l’impulsività, tipiche della bulimia nervosa, sono più difficilmente comprensibili e accettabili da parte di genitori. La bulimia viene, infatti, spesso interpretata come mancanza di volontà e non come uno stato patologico, suscitando così ostilità e commenti critici da parte dei genitori. L’emotività espressa nelle famiglie con pazienti affette da anoressia nervosa è comunque significativamente maggiore rispetto a famiglie di pazienti con fibrosi cistica e a famiglie di controllo (Blair et al., 1995). In uno studio svolto a Padova, utilizzando una scala autosomministrata (Questionario per i Problemi Familiari: QPF; Morosini et al., 1991) che comprende, oltre a due scale di carico familiare, anche due scale che misurano le emozioni espresse, criticismo e iper- coinvolgimento (Santonastaso et al., 1997b), non hanno riscontrato differenze significative tra genitori di pazienti schizofrenici e genitori di pazienti con disturbi del comportamento alimentare, né tra genitori di pazienti con anoressia nervosa e genitori di pazienti con bulimia. Questo potrebbe dipendere in parte dal diverso strumento utilizzato rispetto agli studi precedenti ed in parte anche dalle caratteristiche del campione di soggetti che è costituito, nello studio svolto a Padova, per lo più da pazienti in età adulta. Gli studi precedenti invece erano stati svolti entrambi su pazienti adolescenti. È possibile, infatti, che la patologia alimentare in età adolescenziale susciti minor criticismo e ostilità rispetto ad una patologia che insorge o si prolunga fino all’età adulta quando ci si aspetta che il figlio diventi più responsabile ed in grado di prendersi cura di sé. Nello studio svolto a Padova, inoltre, è emersa, nell’anoressia nervosa, una significativa correlazione tra criticismo da un lato e durata di malattia, depressione, ostilità, insoddisfazione corporea, desiderio di magrezza e senso di inefficacia dall’altro (Santonastaso et al., 1997b). Come per la schizofrenia, alcuni studi hanno cercato di valutare quale ruolo ricoprisse l’emotività espressa nel- 38 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 39 A. Favaro, P. Santonastaso la risposta al trattamento dell’anoressia nervosa e nell’andamento della malattia. Szmukler et al. (1985) hanno riscontrato che in pazienti adolescenti che intraprendevano una terapia familiare, il livello di drop-out era significativamente associato al livello familiare di criticismo. Il criticismo familiare, al contrario, sembrava non influire sul drop-out dei pazienti che, a random, venivano seguiti con un trattamento individuale. Le Grange et al. (1992) hanno svolto uno studio interessante che, oltre a valutare l’efficacia predittiva delle variabili di emotività espressa nella risposta al trattamento di un gruppo di pazienti adolescenti (età <18 anni) con anoressia nervosa, valutava anche l’effetto sull’emotività espressa dei genitori di due tipi diversi di trattamento, la terapia familiare o l’approccio psicoeducazionale (coinvolgimento dei genitori nel trattamento, ma i genitori vengono visti separatamente dalla paziente). Anche se i risultati vanno interpretati con qualche cautela per la numerosità piuttosto bassa del campione, lo studio di Le Grange et al. (1992) sembra indicare una maggior efficacia dell’approccio psicoeducazionale nel diminuire il criticismo dei familiari. Al contrario, la terapia familiare sembra provocare un aumento del criticismo dopo 32 settimane di trattamento, nono- stante che il peso e lo stato clinico delle pazienti migliori allo stesso modo nei due gruppi. Il miglioramento della paziente inoltre sembra significativamente correlato al livello iniziale di criticismo dei familiari e, nel gruppo di pazienti con scarsa risposta al trattamento, il criticismo sembra ulteriormente aumentare. Questo dato sottolinea il possibile ruolo dei fattori familiari nel mantenimento dell’anoressia nervosa. I commenti critici, infatti, possono indurre un maggior senso di inutilità e incapacità a pazienti che hanno già una stima di sé molto bassa e che ricorrono alla restrizione calorica come unici metodi di autoaffermazione e rassicurazione. Queste affermazioni sono confermate dai dati riscontrati nello studio svolto da Santonastaso et al. (1997b) che ha osservato una significativa correlazione del criticismo dei genitori non solo con l’insoddisfazione corporea e il desiderio di magrezza, ma anche con la depressione e il senso di inefficacia delle pazienti con anoressia nervosa. La difficoltà alla guarigione e la mancanza di risultati concreti della terapia possono a loro volta aumentare i livelli di criticismo con l’instaurarsi di un pericoloso circolo vizioso che solo un trattamento che coinvolga i genitori può fermare (Hodes e Le Grange, 1993). 39 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 40 Il ruolo della famiglia nella genesi e nella terapia Un altro studio dell’influenza dell’emotività espressa sulla risposta al trattamento e sull’esito ad un anno di distanza è stato svolto da Van Furth et al. (1996). Anche questo studio ha considerato solo pazienti affette da anoressia nervosa in età adolescenziale. Il criticismo iniziale nei genitori delle pazienti era piuttosto basso e tendeva a migliorare ulteriormente dopo il trattamento che comprendeva anche, in tutti i casi, una qualche forma di terapia familiare. Ciononostante gli autori hanno riscontrato che la variabile che meglio di ogni altra era in grado di predire sia la risposta al trattamento sia l’esito della malattia a distanza di un anno, era la presenza di commenti critici materni. L’insieme dei problemi e delle difficoltà che ricadono sui familiari dei pazienti affetti da una grave patologia costituisce invece quello che viene definito come “carico” familiare (Fadden et al., 1987). In ambito psichiatrico esso è stato definito come la presenza di problemi, difficoltà o eventi negativi che affliggono la vita di una o più persone significative per un paziente psichiatrico (Platt et al., 1985). L’inizio di una malattia fisica e/o mentale all’interno di una famiglia è un trauma che crea ai familiari considerevoli difficoltà e problemi e per il quale non sempre viene for- nito aiuto e sostegno sufficiente. Inizialmente lo studio del carico familiare è stato rivolto prevalentemente alla malattia schizofrenica, ma poi l’interesse si è allargato ad altre patologie psichiatriche e somatiche come la depressione, i disturbi d’ansia, la demenza, i danni cerebrali, il diabete e l’insufficienza renale. Se gli studi sull’emotività espressa cercano di identificare negli atteggiamenti e nelle risposte emotive della famiglia i fattori che possono influenzare il decorso della malattia del paziente, le valutazioni del carico familiare cercano di identificare e misurare i fattori, dipendenti dalla patologia del paziente, che costituiscono un carico per i familiari. Tra i concetti di emotività espressa e carico familiare vi è quindi una stretta interrelazione: se l’emotività espressa influenza il decorso della malattia del paziente, il decorso può, a sua volta, determinare una variazione del carico familiare. Hoenig e Hamilton (1966) hanno introdotto una distinzione fondamentale tra carico familiare oggettivo, che concerne i problemi oggettivi conseguenti alla patologia del paziente, come i problemi economici, le limitazioni nelle capacità lavorative e nel tempo libero, le limitazioni sociali e gli effetti secondari sulla salute dei familiari, e il carico soggettivo, che riguarda invece la percezione soggettiva 40 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 41 A. Favaro, P. Santonastaso dei familiari del carico stesso. Nella schizofrenia, il carico soggettivo è risultato inferiore al carico oggettivo, ma le due componenti possono manifestarsi e variare in modo indipendente. Nei disturbi del comportamento alimentare gli unici studi che hanno valutato il carico familiare sono gli studi svolti a Padova (Santonastaso et al., 1997a; 1997b). Questi studi hanno utilizzato una scala autosomministrata, il Questionario per i Problemi Familiari, che comprende due sottoscale relative al carico oggettivo e a quello soggettivo. Gli studi hanno evidenziato che il carico familiare è maggiore nell’anoressia nervosa rispetto alla bulimia nervosa, ed è particolarmente alto nelle famiglie di pazienti anoressiche del sottogruppo bulimico-purgativo (Santonastaso et al., 1997a). Il carico soggettivo sembra maggiore di quello oggettivo sia nell’anoressia nervosa sia nella bulimia. Il secondo studio (Santonastaso et al., 1997b) ha confrontato il carico riportato dalle famiglie con disturbi del comportamento alimentare con quello riportato da famiglie di pazienti schizofrenici gravi (durata media di malattia 10 anni). Il carico oggettivo e quello soggettivo sono risultati significativamente più alti nella schizofrenia rispetto ai disturbi del comportamento alimentare. Tuttavia il carico soggettivo riportato dalle famiglie di pazienti con anoressia bulimico-purgativa non si differenziava statisticamente da quello riportato dalle famiglie di pazienti schizofrenici. Altro dato di rilievo di questi studi è la correlazione riscontrata nell’anoressia, ma non nella bulimia, tra gravità degli atteggiamenti e dei sintomi alimentari e il carico familiare. Infine, valutando in alcune pazienti la risposta al trattamento ambulatoriale, è emerso che i genitori delle pazienti non migliorate si differenziavano dai genitori delle pazienti migliorate per alcune variabili. In particolare le madri delle pazienti non migliorate riportavano, nella fase iniziale di valutazione, un carico soggettivo significativamente maggiore rispetto alle madri delle pazienti che avevano risposto positivamente al trattamento. I padri delle pazienti non migliorate invece non si differenziavano per quanto riguarda il carico percepito, ma per la presenza, alla valutazione iniziale, di maggiori sintomi depressivi e di somatizzazione. Pazienti sposate Tipicamente quando si pensa all’anoressia nervosa si pensa ad adolescenti, ma non è infrequente ormai 41 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 42 Il ruolo della famiglia nella genesi e nella terapia avere a che fare con pazienti adulte, sia perché il disturbo ha una certa percentuale di cronicizzazione e quindi continua nella vita adulta, sia perché alcuni casi possono avere una insorgenza tardiva. Poiché alcune di queste pazienti sono sposate o convivono con il loro partner, è logico chiedersi quale sia il ruolo del disturbo nella relazione di coppia e come la relazione di coppia possa influire sul decorso e sulla risposta al trattamento dell’anoressia nervosa. Se esiste una connessione significativa tra questi due aspetti, sarà importante quindi coinvolgere il partner nel trattamento. Questo tema ha ricevuto una scarsa attenzione da parte della letteratura scientifica (Van den Broucke et al., 1995). Uno dei dati su cui la letteratura concorda è che le coppie in cui sia presente un soggetto affetto da anoressia nervosa manifestino un rilevante livello di insoddisfazione riguardo alla loro relazione di coppia. Ma mentre i pazienti stessi considerano il disturbo alimentare come la causa dei loro problemi di coppia, i terapeuti spesso pensano che il problema sia l’opposto: sono state infatti spesso osservate presenza di collusione, mancanza di intimità, carenze comunicative ed evitamento di conflitti tra i due partner. Queste osservazioni cliniche sono state in parte confermate da uno studio controllato (Van den Broucke et al., 1995) che ha rilevato una carenza nella capacità di aprirsi l’uno con l’altro, una significativa mancanza di intimità e una carenza di capacità comunicative nelle coppie di soggetti con disturbi dell’alimentazione. Aspetti clinici La valutazione iniziale Al di là dei dati della ricerca scientifica, quel che è certo è che il problema alimentare provoca nella famiglia un grande capovolgimento nelle abitudini, crea conflitti o peggiora quelli già esistenti, causa un aumento della tensione interpersonale e dell’aggressività. Indipendentemente dalle molteplici cause del disturbo, la famiglia, insieme al paziente, è la vittima principale della malattia e delle sue conseguenze, ma costituisce al tempo stesso una risorsa indispensabile in qualsiasi programma terapeutico (Favaro & Santonastaso, 1996). L’approccio alla famiglia utilizzato nel nostro gruppo di lavoro è parte integrante di un lavoro di équipe in cui il te- 42 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 43 A. Favaro, P. Santonastaso rapeuta familiare collabora e mantiene i contatti con il terapeuta della paziente e con gli altri operatori coinvolti nel trattamento (Santonastaso et al., 1999). Nella fase iniziale di valutazione del caso, ai genitori delle pazienti che convivono con la famiglia d’origine dovrebbe essere dedicato separatamente almeno un incontro da parte di uno psichiatra o uno psicologo che si occupa specificamente dei problemi dei familiari. Lo scopo è quello di dare ai genitori un’occasione per parlare delle proprie difficoltà nei confronti della malattia della figlia e per fornire alcune informazioni sui suoi sintomi e sul suo comportamento. L’approfondimento della storia della paziente con i familiari è reso necessario dalla tendenza alla negazione dei sintomi e alla sottovalutazione del problema da parte di molte pazienti anoressiche. A loro volta i terapeuti forniscono informazioni sui problemi dell’adolescenza, sulle conoscenze attuali nel campo dei disturbi alimentari e del loro possibile trattamento. Il fatto che i genitori vengano invitati ad un incontro con un professionista diverso da quello che si occupa della paziente può indurre una certa opposizione, se non un rifiuto, in alcuni genitori che si sentono “esclusi”; per questo motivo è opportuno non rifiutare qualche contatto anche con il terapeuta che segue la figlia, in accordo e in presenza della paziente. Uno studio che ha preso in esame gli articoli sull’anoressia comparsi nel corso di un anno su alcuni quotidiani e settimanali ha potuto osservare, tra le altre cose, che nella maggioranza dei casi l’eziologia dell’anoressia viene attribuita a conflitti familiari o a caratteristiche dei genitori come “madre iperprotettiva” e “padre assente”. Nella cultura dei mezzi di comunicazione di massa la famiglia è quindi considerata come “origine” o “responsabile” del disturbo (Mondini et al., 1996). Questo può essere uno dei motivi per cui i genitori incontrano grande difficoltà nel portare la figlia ad una consultazione medica o a convincerla a intraprendere una cura e contribuiscono a ritardare l’inizio della cura. Nell’incontro con i familiari non è infrequente osservare che i genitori arrivano alla consultazione non soltanto in uno stato di comprensibile apprensione per la salute della figlia, ma anche tesi e colpevolizzati. Poiché l’obiettivo principale di un approccio psicoeducativo è la ricerca della collaborazione della famiglia, nei primi colloqui è meglio evitare la discussione su problemi conflittuali più ango- 43 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 44 Il ruolo della famiglia nella genesi e nella terapia scianti, cercando di stabilire un’atmosfera di comprensione e cooperazione, in cui i genitori si sentano partecipi del programma terapeutico, rassicurati dalla possibilità di chiedere indicazioni, alleviati dai sentimenti di colpa. Se si crea un rapporto di fiducia, l’équipe terapeutica può diventare per la famiglia un punto di riferimento anche nel caso in cui la paziente dovesse rifiutare o abbandonare la terapia. Al contrario, escludere i genitori dal trattamento può determinare, di per sé, sfiducia ed aggressività nei confronti dei terapeuti e aumentare il rischio di un drop-out. I primi incontri servono soprattutto a completare il quadro diagnostico e a cogliere il punto di vista dei familiari: come è insorto il disturbo, quali conseguenze ha avuto sulla paziente e quali sono state le ripercussioni sulla famiglia e sulle sue relazioni sociali. Può capitare che qualche comportamento non riportato dalla paziente sia invece stato osservato dai genitori (per esempio l’uso di lassativi o altri farmaci). Si tratta spesso di notizie ed osservazioni utili per capire i meccanismi attraverso i quali il disturbo si alimenta. Nella prospettiva del trattamento è utile capire l’atteggiamento della madre nei confronti della malattia della figlia, quali siano le modalità e la qualità del rapporto: una madre comprensiva, non troppo angosciata, con un atteggiamento “elastico” può essere coinvolta nell’aiutare una figlia a riprendere ad alimentarsi di più e meglio; una madre rigida, angosciata e ipercritica dovrebbe essere aiutata a mantenere un maggior equilibrio e una maggiore “distanza”. Può accadere che alcune pazienti, soprattutto quelle meno giovani, chiedano di non coinvolgere i familiari: questa richiesta deve essere valutata con attenzione tenendo conto sia del diritto alla riservatezza di una paziente adulta e responsabile, sia della possibilità che il silenzio impedisca di chiarire conflitti che contribuiscono al mantenimento del disturbo. La gravità del disturbo e i possibili rischi di complicazioni di cui la paziente può non percepire la gravità è talvolta un motivo per non aderire alle richieste (evidentemente patologiche) della figlia, parlando comunque con i genitori. Il contatto con i genitori può esaurirsi in uno o due incontri se non vengono individuati particolari bisogni o rilevanti problemi di rapporto; eventuali altri contatti potranno essere ripresi in seguito, in relazione all’evoluzione del trattamento della figlia. Per le famiglie poco conflittuali, in cui la coppia genitoriale è integra, può 44 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 45 A. Favaro, P. Santonastaso La fase del trattamento essere indicato partecipare ad incontri psicoeducazionali individuali o di gruppo, dove discutere le strategie ed i comportamenti da adottare nelle situazioni particolari che si vengono a creare in una famiglia con una ragazza anoressica o bulimica (Favaro e Santonastaso, 1996). Nelle coppie separate o in aperto conflitto, il gruppo di genitori è sconsigliabile, mentre possono essere utili alcuni incontri con il singolo nucleo familiare per evitare, nella misura possibile, il coinvolgimento della paziente nel conflitto parentale e per aiutare i genitori a facilitare l’autonomizzazione della figlia. Esistono altri casi in cui l’approccio ai genitori risulta notevolmente difficile nonostante un’apparente mancanza di conflittualità: sono quelli in cui il disturbo anoressico, nonostante il raggiungimento di una rilevante gravità, viene negato dai genitori allo stesso modo in cui viene negato dalla paziente. Si tratta in genere di situazioni ad alto rischio, che possono arrivare all’osservazione del medico dopo una lunga durata di malattia (Vanderycken et al., 1989). La presenza di simili meccanismi all’interno della famiglia può essere considerata una delle indicazioni all’ospedalizzazione. Come in molte altre patologie psichiatriche, anche nei disturbi dell’alimentazione, si sono affermati programmi psicoeducativi per i genitori (family counselling) che prevedono incontri con il nucleo familiare e incontri di gruppo con coppie di genitori (Perednia et al., 1989). L’approccio psicoeducativo presuppone che la famiglia non sia la causa del disturbo, ma che possa essere una risorsa nel trattamento o che possa ostacolarlo. Abitualmente gli incontri sono tenuti da professionisti diversi da quelli che curano la paziente; quest’ultima di solito non partecipa, ma fin dall’inizio deve sapere che le notizie riportate dai genitori verranno utilizzate e discusse per migliorare i risultati della terapia, mentre non verrà riferito ai genitori il contenuto dei colloqui. Un aspetto fondamentale degli incontri con i familiari è di fornire tutte le informazioni necessarie sui disturbi dell’alimentazione e sulle tecniche terapeutiche (Favaro e Santonastaso, 1996). Nonostante l’aumento dell’interesse da parte dei mass-media, i disturbi dell’alimentazione restano per larga parte incompresi anche nelle famiglie in cui si verificano. 45 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 46 Il ruolo della famiglia nella genesi e nella terapia L’approccio psicoeducativo si basa su studi dell’Emotività Espressa, citati in precedenza, che hanno osservato come programmi di informazione ai familiari sulla malattia, la sua diffusione, le possibili cause e i trattamenti efficaci, sono in grado di diminuire l’emotività espressa e il criticismo da parte dei genitori. Ad esempio una migliore conoscenza dei meccanismi della malattia consente di capire meglio il significato di alcuni comportamenti che prima apparivano soltanto irrazionali e provocatori. Indipendentemente dal setting (con il singolo nucleo familiare o con il gruppo) la prima parte degli incontri è dedicata appunto agli aspetti informativi: gli argomenti vengono affrontati con un linguaggio semplice, ma vengono fornite le conoscenze più recenti sulla diffusione dei disturbi alimentari nella popolazione femminile, sui fattori di rischio, comuni a molte adolescenti, come la danza o gli sport molto competitivi. Sono chiaramente descritti i criteri diagnostici e le complicanze a breve e lungo termine; un’attenzione particolare viene dedicata alla descrizione dei meccanismi di automantenimento della malattia, le conseguenze psicologiche della restrizione alimentare, come l’irritabilità, la depressione, l’isolamento sociale. Viene spiegato come la paura di ingrassare sia incontrollabile e quanto grande sia lo sforzo necessario per riuscire a contrastarla, come alcuni rituali anoressici, che ormai condizionano la vita familiare, siano incoercibili e non si possano evitare con la “buona volontà”. Le informazioni più richieste dai familiari riguardano in genere le “cause” dell’insorgenza del disturbo; a volte può essere utile spostare l’attenzione dalle cause di insorgenza, che suscitano nei genitori forti sensi di colpa, alle cause di mantenimento del disturbo e all’utilità di ridurre i rischi di cronicizzazione, argomenti più concreti e facili da affrontare. Il terapeuta esamina con i familiari le dinamiche di rapporto che si sono modificate nel corso della malattia e li aiuta a capire le strategie ed il modo migliore di reagire in determinate situazioni. Per esempio, può essere opportuno consigliare ai genitori di evitare contrattazioni sul cibo o di chiedere alla figlia di mangiare “per amor loro”. Si tratta di evitare che si sviluppino all’interno della famiglia vantaggi secondari legati alla malattia, che possono riguardare anche altri membri della famiglia. A questo scopo si possono esemplificare alcuni cambiamenti verificatisi nella famiglia in seguito all’insorgenza del disturbo che hanno contribuito a mantenere o ad aggravare il problema. 46 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 47 A. Favaro, P. Santonastaso Quando si lavora con il singolo nucleo familiare, con il procedere degli incontri diminuisce progressivamente la quantità di informazioni di carattere generale e si approfondisce il problema specifico di quella famiglia. A volte è necessario contenere gli atteggiamenti più critici e l’ipercoinvolgimento dei genitori, ponendo un limite ai comportamenti più “patogeni” e cercando, se possibile, di aiutarli a sperimentare atteggiamenti alternativi. Poiché si è visto che la depressione e il carico soggettivo dei genitori sono correlati ad una evoluzione più sfavorevole, altre volte diventa necessario farsi carico dei bisogni e delle necessità dei genitori, che possono anche essere relativamente indipendenti dall’andamento della malattia della figlia. In ogni caso il mantenimento di una buona alleanza terapeutica con i familiari permette in molti casi di superare momenti di difficoltà nel percorso terapeutico, soprattutto attraverso una comunicazione continua tra i membri dell’équipe. Nelle pazienti molto giovani, se il rapporto con la madre non è apertamente conflittuale e se la ragazza accetta il suo aiuto, la modificazione di certi atteggiamenti materni (come la paura di interferire troppo o, all’opposto, un’intromissione continua) può dare risultati talora sorprendenti e risolutivi. Il gruppo di genitori, oltre a fornire un supporto psicologico legato al fatto di condividere esperienze simili, apporta un notevole rinforzo alle proposte di cambiamento all’interno delle famiglie: l’attuazione con successo di una strategia in uno dei nuclei familiari fornisce infatti l’esempio pratico di come alcuni cambiamenti possano realmente verificarsi. Gli incontri, che hanno in genere una frequenza mensile, non hanno quindi lo scopo di indagare le cause del disturbo, né di porre in discussione le dinamiche familiari o di analizzare i conflitti latenti, con il rischio di acutizzarli. L’oggetto della terapia non è la famiglia o la coppia genitoriale, ma la malattia della figlia e tutto ciò che può rendere difficile la sua guarigione. 47 1802_99 Cap. 2 - 3ªBz 29-05-2002 14:53 Pagina 48 Il ruolo della famiglia nella genesi e nella terapia Epstein NB, Bishop DS The McMaster Family Assessment Device. J Marital Fam Ther, 9: 171-180, 1983. 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Tuttavia, in maniera del tutto peculiare, si instaura una serie di meccanismi d’adattamento metabolico e di modificazione della composizione corporea tali da consentire la protratta sopravvivenza di questi pazienti. Nonostante ci si trovi di fronte ad un disordine alimentare grave, i parametri comunemente presi in considerazione per la valutazione dello stato nutrizionale risultano solo lievemente alterati. Introduzione L’anoressia nervosa è un disordine nutrizionale severo che colpisce prevalentemente giovani di sesso femminile, caratterizzato da una notevole restrizione alimentare che comporta inevitabilmente un importante calo ponderale. Le diete seguite dai soggetti con anoressia nervosa non sono uniformi sia per la scelta degli alimenti sia per la composizione in macro e micronutrienti e per l’apporto energetico, hanno però in comune il fatto di essere per lo più inadeguate da un punto di vista nutrizionale. La maggior parte degli autori che ha studiato questo aspetto è concorde nel ritenere che la malnutrizione causata dall’anoressia nervosa sia una forma cronica di malnutrizione proteico-energetica (MPE) simil-marasmatica, caratterizzata da alterazioni dello stato di nutrizione che si instaurano progressivamente in conseguenza a deficit alimentari croni- Stato vitaminico I vari studi riportati in letteratura sullo stato vitaminico-minerale sono per lo più frammentari e controversi, tuttavia Fisher et al. suggeriscono che sarebbe opportuno prendere in considerazione anche le carenze vitaminico-minerali subcliniche. 51 1802_99 Cap. 3 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 52 La malnutrizione nell’anoressia nervosa A partire da questo concetto risulta importante individuare nuovi indici diagnostici per scoprire le potenziali carenze conseguenti all’alimentazione restrittiva e quindi poter prevenire con un adeguato trattamento le sequele neurologiche coinvolte nelle carenze vitaminiche. Per quanto riguarda i fattori emopoietici come la vitamina B12, i folati e il ferro, la maggior parte degli autori è concorde nel rilevare, nelle pazienti anoressiche, livelli di TIBC (Total Iron Binding Capacity) più bassi e livelli di B12 e ferritina più elevati rispetto ai valori di riferimento. Il riscontro di concentrazioni più elevate di vitamina B12 può essere spiegato dal fatto che questa, immagazzinata principalmente a livello epatico, non vi sia sufficientemente trattenuta a seguito di un’alterazione di quest’organo. Molti autori hanno rilevato concentrazioni di cobalamina e di folati nei valori di normalità con assenza di anormalità ematologiche (anemia megaloblastica) e/o disfunzioni neurologiche tipiche di uno stato carenziale. D’altra parte Moyano et al. partendo dal presupposto che, data l’alimentazione fortemente ipocalorica delle anoressiche, una carenza vitaminica fosse inevitabile specialmente a carico dei folati, hanno dosato la concentrazione plasmatica totale di omocisteina (THcy) come marker dello stato dei folati e della cobalamina, ipotizzando che concentrazioni più elevate di THcy nelle pazienti anoressiche siano determinate da una carenza subclinica di folati (in parte dovuta a una riduzione dei folati intracellulari e in parte ad una loro minor disponibilità). Nonostante le riserve della maggior parte delle vitamine del gruppo B si esauriscano velocemente, sindromi carenziali come il beri-beri e la pellagra sono state riscontrate raramente in pazienti con anoressia nervosa. Nella maggioranza dei casi non si riscontrano deficit di tiamina, vitamina B6 e riboflavina. Capo-Chichi et al., in uno studio recente, riportano che la malnutrizione e la riduzione delle concentrazioni di ormoni tiroidei (triiodotironina) osservate nelle pazienti con anoressia modificano il metabolismo della riboflavina eritrocitaria e plasmatica, alterando la conversione in cofattori della riboflavina con conseguente aumento dei livelli eritrocitari di riboflavina, diminuzione della concentrazione di FAD (flavin-adenin-dinucleotide) plasmatico e aumento dell’escrezione di acido etilmalonico e isovalerilglicina. 52 1802_99 Cap. 3 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 53 H. Cena Dallo studio riportato sembrerebbe pertanto che disfunzioni tiroidee indotte dalla malnutrizione possano ripercuotersi sul metabolismo della riboflavina e dell’Acil-CoA. Tuttavia nella maggior parte dei casi non si arriva al riscontro clinico di carenze riboflaviniche con sintomi quali stomatite angolare, glossite o dermatite seborroica. Carenze di vitamina C sono molto rare, dato che questi soggetti assumono nella loro alimentazione parecchia frutta e verdura. Ritroviamo comunque descritto in letteratura qualche caso di scorbuto con complicanze neuromiopatiche in pazienti con anoressia nervosa. Anche i dati relativi ai livelli di vitamine liposolubili sono frammentari e contraddittori: alcuni autori riportano una riduzione dei livelli circolanti di vitamina A mentre in altri studi si riscontrano livelli normali di vitamina A e concentrazioni più elevate di carotene. Per quanto riguarda la vitamina E, raramente sono state riscontrate carenze clinicamente manifeste. I livelli significativamente ridotti nelle pazienti anoressiche delle frazioni β e γ-tocoferolo suggeriscono una ridotta assunzione di alimenti contenenti vitamina E, mentre l’ampio range dei livelli di α-tocoferolo potrebbe dipendere dall’utilizzo di supplementi vitaminici. Vaisman et al. hanno riscontrato livelli più bassi di α-tocoferolo giustificati dal fatto che, non essendo immagazzinato in grandi quantità a livello epatico, viene depleto più velocemente. Tuttavia sembra chiaro che queste concentrazioni sono influenzate dal grado, dall’entità e dalla durata nel tempo della malnutrizione oltre che dal tipo di dieta cui le anoressiche si sottopongono. La ridotta concentrazione plasmatica di vitamine potrebbe suggerire un’eventuale carenza di altri fattori dietetici essenziali. C’è accordo generale nel considerare che la carenza di vitamina D implicata nell’eziopatogenesi dell’osteoporosi, generalmente presente nelle pazienti anoressiche, è determinata anche da una serie di fattori ormonali, da alterazione della composizione corporea, da ridotta assunzione dietetica di calcio, ecc. Acidi grassi La forte restrizione alimentare, cui generalmente le anoressiche si sottopongono, è tipicamente carente in grassi ed energia e può provocare nel tempo carenze in EFA (acidi grassi essenziali). Interessanti studi sono stati svolti su pazienti anoressiche per quan- 53 1802_99 Cap. 3 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 54 La malnutrizione nell’anoressia nervosa to concerne lo stato degli acidi grassi essenziali, importanti precursori delle prostaglandine e componenti delle membrane cellulari. Sintomi clinici della carenza di EFA comprendono secchezza della cute, ritardo nella cicatrizzazione e trombocitopenia. Lo stato degli EFA può essere correlato alla severità dell’anoressia nervosa e può essere moderato dall’assunzione proteica. Studi su animali da esperimento hanno dimostrato che un aumento dell’apporto proteico in diete povere in EFA potrebbe alleviare alcuni sintomi clinici della carenza. È stato dimostrato come i soggetti anoressici abbiano valori circolanti di EFA inferiori rispetto a quelli di riferimento, con variazioni compensative di acidi grassi non essenziali e una diminuzione della fluidità delle membrane plasmatiche. Alcuni autori di conseguenza suggeriscono un’integrazione giornaliera di linoleato necessaria per ricostituire le riserve organiche di EFA e stabilire valori normali degli acidi grassi nei fosfolipidi plasmatici. oltre a seguire una dieta sbilanciata, presentano danni epatici che condizionano la sintesi di carnitina con conseguente progressiva debolezza e atrofia muscolare. Questa può essere diagnosticata precocemente con una biopsia muscolare o con la valutazione dei livelli di carnitina muscolare e di conseguenza trattata con somministrazione orale di L-carnitina. Elettroliti e minerali Per quanto riguarda gli elettroliti, questi subiscono alterazioni significative solo nei casi di anoressia nervosa di tipo “purgativo” caratterizzata da frequenti episodi di vomito autoindotto, dall’abuso di lassativi e/o diuretici; mentre nei casi di anoressia nervosa di tipo restrittivo, senza cioè condotte eliminatorie, nonostante la condizione di grave sottopeso ad essi associata, non si evidenziano generalmente alcune delle maggiori anormalità elettrolitiche che discuteremo oltre. Queste anormalità sono state ampiamente descritte in letteratura e includono in particolare condizioni di ipokaliemia e ipocloremia accompagnate da alcalosi metabolica, ipovolemia e iperaldosteronismo secondario e modificazio- Carnitina Un’altra evidenza importante è la possibile carenza di carnitina in particolare in quelle pazienti anoressiche che, 54 1802_99 Cap. 3 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 55 H. Cena ni delle concentrazioni plasmatiche di sodio. Il significato di queste alterazioni non è tuttavia ancora ben chiaro e i lavori prodotti dalla letteratura sono frammentari e controversi. Lucas, analizzando i dati di una casistica molto ampia, commenta che anormalità laboratoristiche possono non essere così evidenti se non nelle fasi più avanzate del disordine alimentare, data la precoce instaurazione di meccanismi compensatori. Le concentrazioni sieriche di elettroliti che spesso rientrano nei valori di normalità possono essere alterate per via della disidratazione e nei casi con condotte di eliminazione. L’ipokaliemia può essere considerata l’alterazione elettrolitica più frequente nei pazienti con anoressia nervosa non restrittiva o con “bulimaressia”. È spesso accompagnata da debolezza muscolare, compromissione cardiovascolare e difetti di conduzione evidenziati da alterazioni elettrocardiografiche, riduzione della motilità gastroenterica, modificazioni della funzionalità renale e da un certo grado di confusione mentale. Tuttavia numerosi autori riferiscono che livelli anche estremamente bassi di potassio in soggetti con DCA (Disordini del Comportamento Alimentare) possono talora coesistere con la quasi totale assenza di disfunzioni organiche o manifestazioni sintomatologiche ad essi correlate, ipotizzando che l’organismo di questi soggetti riesca a tollerare livelli di ipokaliemia severi che ordinariamente richiederebbero un intervento terapeutico urgente ed immediato. David Greenfeld et al. in uno studio su 945 pazienti ambulatoriali con DCA hanno riferito una prevalenza tutto sommato bassa di ipokaliemia (circa il 4,6%). La determinazione routinaria degli elettroliti viene così ad essere da una parte un indice diagnostico poco sensibile per rivelare una forma di anoressia o di bulimaressia occulta e dall’altra un indice molto specifico: nei pazienti reclutati in questo studio, l’ipokaliemia fornisce, secondo gli autori, un’evidenza virtualmente certa della messa in atto di una qualche condotta eliminatoria con una frequenza prossima ad una volta al giorno. Inoltre nell’anoressia nervosa di tipo non restrittivo (tipo purging) oltre ad anormalità biochimiche come quelle sopra descritte per quanto riguarda il potassio, possono coesistere anche altre alterazioni dei minerali fra cui modificazioni a carico delle concentrazioni di calcio, fosforo e magnesio. 55 1802_99 Cap. 3 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 56 La malnutrizione nell’anoressia nervosa La condizione di ipofosfatemia è un importante fattore di rischio di aritmia cardiaca, complicanza dell’anoressia nervosa potenzialmente fatale. Allo stesso modo appaiono rilevanti le modificazioni della concentrazione di Magnesio, associate a ipocalcemia e ipokaliemia refrattarie al trattamento abituale ma rapidamente rispondenti a infusioni di Magnesio, suggerendo che il trattamento delle carenze di Magnesio, seppur minori, possono aiutare a prevenire complicazioni come tetania prolungata, aritmie e insufficienza cardiaca. Livelli plasmatici di zinco ridotti rispetto a quelli di riferimento, o alterazioni del metabolismo di questo, sono stati studiati in misura approfondita come possibili fattori concorrenti all’eziologia dell’anoressia nervosa e alla base di alcuni sintomi quali lesioni cutanee, alopecia, nausea, ipogeusia, modificazioni dell’appetito, depressione, irritabilità. La carenza acquisita di zinco potrebbe essere un fattore autoperpetuante del disordine alimentare di questi soggetti. La supplementazione orale di solfato di zinco è stata riportata come una valida integrazione terapeutica nel trattamento dell’anoressia. Aminoacidi e proteine Una tendenza all’iperaminoacidemia è un’altra delle caratteristiche di frequente riscontro nell’anoressia nervosa. Benché i livelli assoluti degli aminoacidi non giochino un ruolo significativo nella valutazione dello stato nutrizionale, il calcolo di alcuni rapporti (Fenilalanina/Tirosina, Metionina/Cisteina e Glicina/Valina) e i livelli relativi possono essere di qualche utilità. Il profilo aminoacidico nell’anoressia nervosa è diverso da quello della malnutrizione severa, mostrando un andamento di tipo marasmatico nel quadro di una malnutrizione proteico-energetica bilanciata. Cisteina e arginina possono essere considerati aminoacidi limitanti in questa patologia e le conseguenze sul danno ossidativo delle loro ridotte concentrazioni dovrebbero essere ulteriormente indagate. Anche le ricerche finalizzate allo studio delle modificazioni relative alla distribuzione e al metabolismo dell’albumina difficilmente giungono all’osservazione di differenze nelle concentrazioni o nel catabolismo di questa nei soggetti anoressici rispetto ai controlli. È stata inoltre osservata una grande espansione del pool extra-vascolare dell’albumina nei soggetti con anoressia 56 1802_99 Cap. 3 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 57 H. Cena nervosa (36% circa se espresso in relazione al peso corporeo). Ciò contrasta con i risultati precedenti che suggerivano in condizioni di deplezione proteica il mantenimento del pool plasmatico dell’albumina a scapito del pool extravascolare. L’espansione del pool extravascolare dell’albumina potrebbe essere correlato all’eccesso relativo del fluido interstiziale tipico del digiuno e alla fase iniziale della rialimentazione. I livelli di prealbumina, RBP (Retinal Binding Protein), ceruloplasmina e transferrina non differiscono significativamente dai controlli, anche se tendono ad aumentare con il recupero del peso; mentre le concentrazioni seriche di SHBG (Sex Hormone Binding Globulin), significativamente più elevate nei soggetti con anoressia nervosa, sembrerebbero essere un buon indice dello stato nutrizionale in questo tipo di disordine alimentare per il fatto che questi valori rientrano nella norma solo dopo aumento ponderale. del sistema immunitario è un fattore causale importante nell’aumentata suscettibilità alle infezioni negli individui malnutriti. Numerosi studi interessanti ma controversi sono stati condotti per valutare i meccanismi, non ancora completamente definiti, e per chiarire le ripercussioni causate da questa condizione sull’organismo. A differenza di altri tipi di inanizione, caratterizzati da una riduzione dei CD4+ e da un’aumentata suscettibilità alle infezioni, l’anoressia nervosa non è associata ad alcun aumento delle complicanze infettive. Fink et al. hanno studiato i linfociti T, inclusi i fenotipi CD4 e CD8, in pazienti con anoressia nervosa vs pazienti obesi a dieta per poter determinare il motivo per cui il rischio di infezione degli anoressici differisce da quello delle altre “popolazioni” malnutrite. I risultati hanno evidenziato che la perdita di peso in ambedue i gruppi era associata a una conta di CD4+ normale, mentre i CD8+ erano a livelli più bassi nel gruppo dei soggetti affetti da anoressia nervosa sia prima sia dopo l’aumento di peso; nei soggetti obesi gli stessi erano più bassi solo dopo ma non prima della dieta. La persistenza di concentrazioni basse di CD8+ nell’anoressia nervosa anche dopo l’aumento ponderale suggerisce che, oltre alla Sistema immunitario L’alimentazione gioca un ruolo importante nello sviluppo e nella funzionalità del sistema immunitario. È stato dimostrato che l’alterazione 57 1802_99 Cap. 3 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 58 La malnutrizione nell’anoressia nervosa perdita di peso, siano coinvolti altri fattori, probabilmente legati agli effetti dello stress, alle condizioni di comorbidità psichiatrica, o a non ben identificati aspetti di alterata regolazione della fisiopatologia secondaria al Disturbo del Comportamento Alimentare. Numerosi autori hanno studiato gli effetti della malnutrizione sulla funzione immunitaria cercando di investigare le variazioni dei sottotipi di linfociti, induzione delle citochine o dell’attività linfocitaria. Nei pazienti con anoressia nervosa severamente malnutriti ci sono risultati contraddittori sull’immunodeficienza, compresa la sua assegnazione come parte del disordine nervoso primario. Nello studio di Allende et al. la sregolazione del sistema della citochina dovuta all’interazione fra il SNC e quello immunitario, sembrerebbe essere l’iniziale alterazione dell’immunodeficienza nell’anoressia nervosa; d’altro canto non è stata confutata l’ipotesi che l’immunodeficienza sia una conseguenza diretta dell’originale perturbazione psichiatrica. Elevati livelli circolanti di IL (interleukina)-1-beta e di TNF-alfa (Tumor Necrosis Factor) sono stati osservati; ciò probabilmente è una delle cause di anomalie riscontrate nelle sottopopolazioni di T-cells e del loro stato di attivazione. Questo porterebbe ad un deterioramento non solo della funzione delle cellule T ma anche della cooperazione fra le cellule T e le B. Questi risultati sono stati confermati dal fatto che tali alterazioni immunitarie migliorano in seguito alla rialimentazione, ottimizzando lo stato nutrizionale, a conferma che l’immunodeficienza nell’anoressia nervosa è secondaria alla malnutrizione. Conclusioni Da quanto esposto, appare chiara l’importanza da dedicare alle complicanze internistiche potenzialmente riscontrabili nell’anoressia nervosa. Quali che siano le cause scatenanti di tali disturbi non va dimenticato che i soggetti affetti da anoressia nervosa sono dei veri e propri “malnutriti”. La loro malnutrizione può essere causa di gravi complicazioni mediche e soprattutto può presentarsi di volta in volta in forme differenti. Molti fattori condizionano il tipo ed il grado di questa malnutrizione (età all’insorgenza della malattia, durata della malattia, tipo di dieta seguita, ecc.) rendendo ancor più difficile un corretto inquadramento diagnostico nutrizionale e richiedendo un intervento terapeutico mirato, personalizzato e multidisciplinare. 58 1802_99 Cap. 3 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 59 H. Cena Carmel R Subtle vitamine B12 deficiency. Biol Clin Hematol, 11: 3-11, 1989. Riferimenti bibliografici Abraham SF, Beaumont PJV How patients describe bulimia or binge eating. Psychol Med, 12: 625-635, 1982. Casper RC et al An evaluation of trace metals, vitamins and taste function in anorexia nervosa. Am J Clin Nutr, 33: 1801-1808, 1980. Allende LM et al Immunodeficiency associated with anorexia nervosa is secondary and improves after refeeding. Immunology, 94: 543-551, 1998. Comerci GD Medical complications of anorexia nervosa and bulimia nervosa. Med Clin North Am, 74: 1293-1310, 1990. 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Cavagnini, G. Redaelli Cattedra di Endocrinologia Ospedale “San Luca” IRCCS, Milano – Istituto Auxologico Italiano Università degli Studi di Milano aritmie o crisi convulsive, che rappresentano reali emergenze mediche. Il quadro clinico dell’anoressia nervosa si caratterizza per la magrezza, che può raggiungere gradi estremi, fino alla cachessia (Fig. 1). Alla riduzione del tessuto adiposo si associa ipotrofia muscolare, peculiare dal punto di vista istologico. Si tratta, infatti, di una miopatia primitiva con prevalente atrofia delle fibre di tipo II, mentre nelle malnutrizioni di diversa origine la miopatia coinvolge entrambi i tipi di fibre muscolari ed è secondaria a neuropatia. Si ritiene che nella genesi di quest’alterazione sia in gioco l’iperattività fisica di queste pazienti in presenza di deficit calorico e riduzione del contenuto corporeo totale di potassio. Caratteristico in questi casi è un aumento della creatin fosfokinasi nel siero. Nei pazienti più gravemente compromessi, specie dopo prolungata stazione eretta, possono comparire edemi declivi cau- Alterazioni extraendocrine Nei pazienti affetti da anoressia nervosa la restrizione alimentare e le anomalie comportamentali associate (autoinduzione del vomito, abuso di diuretici/lassativi, iperattività fisica) possono compromettere la funzionalità di ogni organo ed apparato dell’organismo. Ne derivano uno spettro sintomatologico e un quadro clinico complessi e variabili individualmente a seconda della gravità raggiunta dalla patologia. Nella maggior parte dei casi le complicanze cliniche dei disordini del comportamento alimentare sono pienamente reversibili con il miglioramento dell’apporto calorico e la conseguente normalizzazione del peso corporeo. Tuttavia non va dimenticato che alle manifestazioni cliniche determinate dalla malnutrizione cronica si possono sovrapporre complicanze acute, quali squilibri idro-elettrolitici, 63 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 64 Le complicanze cliniche con particolare riferimento al sistema endocrino Figura 1 Cachessia in anoressia nervosa. sati da aumentata permeabilità capillare, ipoproteinemia e aumento dell’azione sodioritentiva dell’aldosterone. Sono infatti aumentate la secrezione di questo ormone in risposta agli stimoli specifici e la sensibilità dei tubuli renali alla sua azione. Paradossalmente, gli edemi possono peggiorare nella prima fase della rialimentazione per effetto di una transitoria iperinsulinemia e della sua azione sodioritentiva e talora di un eccessivo apporto idrico. Le alterazioni della cute rivestono interesse anche perché possono essere 64 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 65 F. Cavagnini, G. Redaelli tra i primi indizi della malattia. La cute si presenta secca, finemente desquamante, apparentemente sporca, di colorito pallido-giallognolo; unghie e capelli sono fragili. La sofferenza della cute e dei suoi annessi è conseguenza della malnutrizione cronica, dell’ipotiroidismo compensatorio comune agli stati di digiuno protratto e dell’aumento del carotene plasmatico. Quest’ultima alterazione dismetabolica, tipica dell’anoressia nervosa, deriva da una ridotta conversione del carotene in vitamina A e da un’aumentata mobilizzazione del colesterolo dal tessuto adiposo a fini energetici (si osserva in particolare un aumento della frazione LDL veicolante il carotene), cui si aggiunge il già citato ipotiroidismo. Talvolta ad essa contribuisce un aumentato consumo di vegetali. A deteriorare l’aspetto della cute spesso concorre la disidratazione, presente anche quando i pazienti riferiscono polidipsia perché a questa si associa poliuria. Quest’ultima è sostenuta da una diminuzione della secrezione di vasopressina e della sensibilità dei tubuli renali ad essa, nel quadro di un diabete insipido di moderata entità. È pressoché costante la comparsa di “lanugo”, ossia di fine peluria, sul viso e sul dorso: essa non è correlata ad iperandrogenismo dal momento che in questi pazienti ri- sulta ridotta l’attività dell’enzima 5α reduttasi, attivatore periferico degli androgeni. Quando la pratica del vomito è abituale è possibile riconoscere tipiche callosità al dorso delle mani, in particolare in corrispondenza dell’articolazione metacarpo-falangea dell’indice, per l’attrito delle dita contro l’arcata dentale superiore durante l’autoinduzione del vomito. Più rare sono le dermatosi secondarie all’abuso di farmaci: eritema fisso da lassativi, reazioni di fotosensibilità da diuretici tiazidici. La cute può apparire cianotica alle estremità per la vasocostrizione indotta da un’abnorme sensibilità vascolare alle basse temperature. Anche la temperatura corporea è abitualmente inferiore ai 36 °C e si modifica in modo anomalo in risposta alle variazioni esterne. L’incapacità di mantenere l’omeostasi termica dipende da un’alterazione primitiva ipotalamica della termoregolazione. Se l’anoressia nervosa insorge prima dell’epoca puberale vengono irrimediabilmente compromessi l’accrescimento e la maturazione scheletrici, cosicché la statura definitiva del paziente risulta inferiore a quella attesa e il rischio di fratture patologiche permane anche in età adulta. Il ridotto carico scheletrico, il deficit calorico-proteico, i bassi livelli di ormoni gonadici e di insu- 65 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 66 Le complicanze cliniche con particolare riferimento al sistema endocrino lin-like growth factor 1 (IGF-1), l’eccesso di cortisolo e di interleuchina 6 (IL-6) favoriscono l’insorgenza di osteoporosi, dovuta principalmente ad aumento del riassorbimento osseo (Fig. 2). Nella donna, la riduzione della densità minerale ossea è direttamente correlata con la durata dell’amenorrea e con l’indice di massa corporea (Body Mass Index – BMI) minimo raggiunto. Figura 2 Osteoporosi e frattura patologica del radio in paziente di 31 anni con anoressia nervosa cronica. 66 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 67 F. Cavagnini, G. Redaelli La somministrazione di steroidi gonadici contrasta la demineralizzazione nei pazienti che mantengono a lungo un peso corporeo abnormemente basso, anche se non garantisce il recupero completo del trofismo osseo. Gli indici del metabolismo fosfocalcico si mantengono nella norma; è stata tuttavia segnalata una riduzione della frazione libera della vitamina D. Nei pazienti affetti da anoressia nervosa è pressoché costante il rilievo di ipotensione e bradicardia, dovute a disidratazione; allo stesso modo sono frequenti la riduzione dello spessore e della contrattilità del miocardio e l’ipertono vagale. All’ecocardiogramma si può accertare la presenza di prolasso mitralico, secondario alla sproporzione valvulo-ventricolare, e di versamento pericardico, entrambi non rilevanti emodinamicamente e senza corrispettivi auscultatori. Il tracciato elettrocardiografico registra frequentemente bassi voltaggi, depressione del tratto S-T, inversione dell’onda T e comparsa di onda U. L’allungamento dell’intervallo QT, quando presente, aumenta il rischio di aritmie – in particolare tachiaritmie ventricolari – favorite dal prolasso mitralico e dagli squilibri elettrolitici, presenti a livello intracellulare anche in assenza delle più transitorie modificazioni dei li- velli plasmatici. Negli stati di malnutrizione prolungati da un lato è stata riconosciuta la presenza di aree degenerative parcellari miocardiche, possibili foci aritmogeni, dall’altro è stato ipotizzato l’intervento di un ipertono simpatico ipotalamico nella genesi delle aritmie. Le alterazioni della funzione cardiovascolare e la disregolazione autonomica, che pure regrediscono dopo aumento ponderale, meritano un’attenta valutazione in quanto possibili cause di episodi sincopali e di morte improvvisa. Il decesso per cause cardiovascolari è stato descritto anche durante la fase di rialimentazione, per scompenso cardiaco congestizio dovuto al sovraccarico di un ventricolo sinistro ancora ipotrofico. Nei pazienti gravemente defedati è frequente osservare un rallentamento motorio e dell’eloquio, che spesso migliora dopo correzione dello stato di disidratazione. A livello neurologico si registra una diminuzione dei riflessi osteotendinei e talvolta si assiste alla comparsa di neuropatie periferiche su base carenziale. Il deficit vitaminico, in particolare di tiamina, può rendersi manifesto proprio nella fase di renutrizione in seguito all’aumentato fabbisogno vitaminico indotto da un maggior consumo di carboidrati. Anche il sistema nervoso centrale è frequentemente inte- 67 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 68 Le complicanze cliniche con particolare riferimento al sistema endocrino ressato: la TAC documenta un quadro di “pseudoatrofia cerebrale” con riduzione dello spessore della corteccia e ampliamento degli spazi liquorali. Il grado di deterioramento mentale non sembra correlarsi con l’entità della pseudoatrofia, nella cui genesi è stato ipotizzato il coinvolgimento della perdita di acqua intracellulare da squilibrio osmotico o idrico, dell’ipotiroidismo e infine dell’ipercortisolismo ben documentato nei pazienti anoressici. L’uso di tecniche di visualizzazione funzionale del cervello ha condotto a risultati contrastanti. Mentre la SPECT non ha documentato certe alterazioni del flusso ematico cerebrale, con la PET è stata rilevata una riduzione del metabolismo del glucosio nella corteccia cerebrale nell’anoressia in fase conclamata, con ipermetabolismo relativo dei nuclei caudati e delle aree frontali inferiori. La prima alterazione si normalizza insieme al peso corporeo, la seconda può persistere anche dopo guarigione, forse in relazione al permanere di atteggiamenti ossessivo-compulsivi, dal momento che analoghe alterazioni tomografiche si trovano nei pazienti affetti da sindromi ossessivo-compulsive. In circa la metà dei pazienti il tracciato elettroencefalografico registra anomalie aspecifiche probabilmente legate agli squilibri meta- bolici. L’accorciamento delle fasi del sonno profondo e REM corrisponde al sintomo insonnia spesso lamentato dai pazienti, ma è una modificazione aspecifica, comune per esempio alla depressione. L’incidenza di crisi epilettiche è aumentata ed è favorita dagli episodi di vomito, dall’abuso di lassativi o alcool e dall’assunzione di clorpromazina. L’apparato gastroenterico, interessato in tutta la sua estensione dalle conseguenze dell’anoressia nervosa, è la sede della maggior parte dei sintomi lamentati: dispepsia, epigastralgie, precoce senso di ripienezza gastrica, rigurgiti, dolori addominali, stipsi ostinata. Le alterazioni morfologiche e funzionali riconoscibili in quest’apparato si uniscono alle alterazioni psicopatologiche nel motivare l’incongrua riduzione dell’apporto alimentare di questi pazienti. La muscolatura liscia delle pareti dei visceri addominali è ipotonica ed ipotrofica e lo svuotamento gastrico risulta rallentato per i cibi solidi e i liquidi ipertonici. L’eziopatogenesi di tale fenomeno sembra riconducibile alla perdita del riflesso duodeno-gastrico che regola la fase tardiva dello svuotamento gastrico, compromesso per la riduzione cronica del bolo alimentare nel lume intestinale. È comunque conservata la sensibilità del tubo gastroenterico agli stimoli colinergici 68 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 69 F. Cavagnini, G. Redaelli ed antidopaminergici, utilizzabili quindi a fini terapeutici. Nei pazienti bulimici si può verificare distensione acuta dello stomaco, favorita dalla possibile concomitanza di neuropatie viscerali da avitaminosi. Questo evento rappresenta anche una temibile complicanza della nutrizione enterale forzata, spesso attuata con il paziente in posizione supina. Se misconosciuta, la dilatazione evolve verso la necrosi parietale gastrica e la perforazione, costituendo un’emergenza chirurgica. Quando la pratica del vomito è abituale si osserva un ingrandimento bilaterale ed indolente delle ghiandole salivari, in particolare delle parotidi, dovuto alla cronica stimolazione causata dal rigurgito di materiale acido e di enzimi proteolitici pancreatici nonché alla malnutrizione. Istologicamente sono documentabili ipertrofia degli acini ghiandolari, infiltrazione grassa e fibrosi senza segni infiammatori; l’isoenzima salivare delle amilasi può essere aumentato nel sangue. Le lesioni dello smalto e della dentina, tipicamente localizzate sulla faccia linguale dei denti, sono infrequenti perché l’attenta igiene orale generalmente mantenuta dai pazienti li preserva dalla perimolisi prodotta dall’ambiente acido. Più frequenti sono le lesioni esofagee legate al vomito: esofagiti, erosioni ed ulce- re della mucosa con ematemesi, fino alla rottura dell’organo (sindrome di Boerhaave). È invece l’abuso di lassativi a produrre danni a carico dell’intestino: atonia e dilatazione con perdita delle haustrature e, istologicamente, lesioni infiammatorie aspecifiche e tipiche alterazioni ultrastrutturali; di queste ultime la più frequente è la “melanosis coli”, ossia una colorazione scura della mucosa e della sottomucosa. È il quadro del colon catartico (Fig. 3). A livello dell’intestino tenue possono verificarsi, particolarmente in fase di rialimentazione, dilatazioni transitorie del duodeno prossimale e del digiuno, mentre l’atrofia e la dismotilità enteriche spesso alterano il test di assorbimento dello xilosio. Infine sono relativamente rari i segni di sofferenza epatica e pancreatica, che possono paradossalmente peggiorare nella fase iniziale della rialimentazione. L’aumento degli enzimi epatici (transaminasi, LDH, CPK, γGT) e la riduzione degli indici di sintesi (pseudocolinesterasi, colesterolo, proteine) si accompagnano talora ad epatomegalia steatosica. All’aumento delle amilasi e alla riduzione della secrezione stimolata degli enzimi pancreatici, sul piano istologico corrispondono atrofia del tessuto ghiandolare, aumento del tessuto fibroso interstiziale e comparsa 69 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 70 Le complicanze cliniche con particolare riferimento al sistema endocrino Figura 3 Megacolon tossico da abuso cronico di lassativi. di calcificazioni diffuse. L’insorgenza di pancreatiti è comunque un evento raro. Nell’anoressia nervosa sono presenti numerose alterazioni ematologiche. Il midollo osseo va incontro ad ipoplasia cellulare con trasformazione ge- latinosa (accumulo di materiale amorfo extracellulare), nei casi più gravi associata a necrosi cellulare. Ne conseguono vari gradi di leucopenia, anemia e, più raramente, trombocitopenia. Il quadro può peggiorare durante la fase di 70 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 71 F. Cavagnini, G. Redaelli renutrizione per insufficiente apporto di ferro, vitamina B12 e fosfati in relazione all’aumento delle richieste metaboliche. Le risposte immunitarie cellulo-mediate sono generalmente diminuite, mentre l’immunità umorale è aumentata; rimane controversa la presenza o meno di un aumentato rischio di infezioni in questi pazienti. Appaiono ridotti i livelli sierici dei fattori del complemento, mentre sono aumentati quelli di IL-6 e tumor necrosis factor, citochine ad effetto anoressante che potrebbero contribuire a perpetuare la malattia. Frequenti e numerose sono anche le alterazioni metaboliche. Nel digiuno prolungato il catabolismo dei lipidi produce chetosi, chetonuria ed iperuricemia, quest’ultima per competizione dei chetoni con l’acido urico nell’escrezione renale. I livelli plasmatici di colesterolo sono aumentati per aumentata mobilizzazione dal tessuto adiposo a fini energetici, ridotta eliminazione e ipoestrogenemia. Si può osservare iperazotemia prerenale da aumentato catabolismo proteico e riduzione del flusso plasmatico renale, mentre la creatininemia è normale. L’ipoproteinemia si differenzia dagli altri stati di malnutrizione perché caratterizzata da prevalente riduzione delle globuline. I livelli glicemici sono ai limiti inferiori della norma o nettamente ridotti, mentre generalmente appaiono normali insulina e glucagone plasmatici. Pur essendo stata descritta una ridotta tolleranza glucidica dopo carico, la sensibilità all’insulina sembra conservata perché il numero dei recettori insulinici aumenta a causa della dieta povera di carboidrati e dell’attività fisica praticata spesso intensamente. Durante la rialimentazione si passa attraverso una prima fase di iperincrezione insulinica per arrivare poi alla normalizzazione della secrezione ormonale e del numero dei recettori. L’abuso di diuretici e/o lassativi e l’abitudine al vomito inducono un’alcalosi ipocloremiaipokaliemica spesso associata a ipomagnesiemia, che a sua volta peggiora il quadro ipopotassiemico. L’iponatriemia è frequente nei pazienti che assumono notevoli quantità di liquidi. Tra i minerali è rilevante la carenza di zinco, il cui deficit può contribuire alla genesi di alcuni sintomi e segni propri dell’anoressia nervosa (Tab. 1). La molteplicità delle alterazioni fin qui descritte e il loro mutare in relazione alle fasi della malattia impongono un frequente e attento monitoraggio dei principali parametri clinici e biochimici dei pazienti affetti da anoressia nervosa. 71 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 72 Le complicanze cliniche con particolare riferimento al sistema endocrino Tabella 1 Sintomi da deficienza di zinco. • Diminuzione di peso • Diminuzione dell’appetito • Ritardo di crescita • Alterazioni cutanee • Ritardato sviluppo sessuale • Perdita di capelli • Alterazioni dell’umore • Ipogeusia (per amaro e salato) Alterazioni endocrine Funzione gonadica L’anoressia nervosa si associa a complesse alterazioni del sistema endocrino che contribuiscono ad alcuni aspetti del quadro clinico dei pazienti. La maggior parte di queste anomalie risulta secondaria al calo ponderale, dal momento che è riconoscibile negli stati di malnutrizione di altra origine e risulta reversibile correggendo le carenze nutrizionali. Tuttavia alcune di queste disendocrinie, ad esempio l’ipogonadismo che sostiene l’amenorrea, possono precedere la comparsa delle alterazioni comportamentali e/o persistere anche dopo normalizzazione del peso corporeo, suggerendo così l’esistenza di disfunzioni primarie della neuroregolazione ipotalamica. Anche se non è documentato il ruolo causale delle alterazioni endocrine nella patogenesi dell’anoressia nervosa, è verosimile che alcune di esse rappresentino fattori perpetuanti la malattia. A tutt’oggi l’amenorrea rimane uno dei criteri diagnostici dell’anoressia nervosa essendo pressoché costante nei casi conclamati. Nonostante rappresenti un’appropriata reazione di adattamento al dimagramento, la scomparsa dei flussi mestruali precede il calo ponderale in circa il 20% delle pazienti anoressiche e in circa il 50% dei casi persiste anche dopo il recupero del peso corporeo. Nell’anoressia nervosa, quindi, la normalizzazione del peso sembra essere condizione necessaria ma non sufficiente per la completa correzione dei disordini sessuali e sembra che questa si ottenga solo quando anche le condizioni psichiche sono migliorate. L’amenorrea nelle donne, l’impotenza e la riduzione della libido negli uomini sono sostenute da un ipogonadismo ipogonadotropo con bassi livelli plasmatici di ormone luteinizzante (LH) 72 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 73 F. Cavagnini, G. Redaelli e follicolostimolante (FSH), i cui picchi secretori spontanei sono ridotti o limitati alle ore notturne, come nei soggetti prepuberi. Nelle donne anche la risposta delle gonadotropine al releasing hormone specifico (GnRH) risulta sovrapponibile a quella della fase prepuberale, in cui l’aumento dell’FSH è maggiore e anticipato rispetto a quello dell’LH, contrariamente a quanto si rileva nell’adulto. La regressione ad un profilo secretorio di gonadotropine proprio della fase prepubere ha fatto ipotizzare che l’amenorrea sia sostenuta da alterazioni di meccanismi neuroregolatori sovraipotalamici. Viceversa, la possibilità di ripristinare normali livelli basali e stimolati di gonadotropine con somministrazioni ripetute di basse dosi di GnRH e la scarsa risposta dell’LH al clomifene suggeriscono l’origine ipotalamica della disfunzione. Al deficit di gonadotropine consegue in ogni caso la diminuzione dei livelli plasmatici di estradiolo e progesterone. Il recupero ponderale si accompagna in genere a spontanea normalizzazione della secrezione gonadotropinica, seguita a distanza variabile di tempo dalla ripresa dei flussi mestruali; quest’ultima sembra correlata più con i livelli di estradiolo raggiunti che con quelli di gonadotropine. Nel maschio affetto da anoressia nervosa risultano ridotte la concentrazione ematica di testosterone e la risposta delle gonadotropine al GnRH. In entrambi i sessi sono aumentati i livelli della proteina di trasporto degli ormoni sessuali (SHBG), la cui secrezione, stimolata dagli estrogeni ed inibita dagli androgeni, è anche alterata da fattori nutrizionali, al punto che il suo aumento è considerato un attendibile indice di malnutrizione. Funzione tiroidea In tutte le condizioni di digiuno protratto la tiroxina (T4) viene preferibilmente convertita nei tessuti periferici in reverse triiodotironina (rT3), metabolita biologicamente inattivo della T3, anziché in T3. Questo meccanismo, finalizzato al risparmio energetico, dà luogo alla cosiddetta “low T3 syndrome”, in cui si osservano bassi livelli circolanti di T3, livelli normali o solo lievemente ridotti di T4 e normali valori dell’ormone tireostimolante (TSH). Quest’ultimo nel 50% dei casi presenta una risposta ridotta o ritardata allo stimolo con lo specifico releasing hormone ipotalamico (TRH), cui risponde in modo analogo anche la prolattina, generalmente normale in 73 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 74 Le complicanze cliniche con particolare riferimento al sistema endocrino condizioni basali. L’ipotiroidismo compensatorio, pur essendo ritenuto concausa di alcuni sintomi e segni della malattia, non necessita di terapia sostitutiva e va incontro a correzione spontanea dopo recupero ponderale. ACTH e cortisolo allo stimolo con lo stesso CRH. A sostegno di questa interpretazione, nell’animale da esperimento la somministrazione intracerebroventricolare di CRH induce aumento dell’attività motoria, riduzione del consumo di alimenti, rallentamento dello svuotamento gastrico e inibizione della secrezione di GnRH, di fatto frequentemente riscontrabili nell’anoressia nervosa. In questi pazienti l’assenza dei segni clinici propri dell’ipercortisolismo ha indotto allo studio dei recettori per i glucocorticoidi, nell’ipotesi di una resistenza periferica all’azione di questi ormoni nell’anoressia nervosa. Le evidenze sperimentali circa numero e affinità dei recettori non sono concordi. Un recente studio condotto dal nostro gruppo per la prima volta ha valutato in vitro la funzionalità recettoriale, dimostrandone l’integrità almeno per quanto riguarda la capacità dei glucocorticoidi di inibire la sintesi del DNA, valutata misurando l’effetto inibitorio del desametasone sull’incorporazione di timidina triziata nei leucociti mononucleati circolanti (Fig. 4). Questo risultato avvalora l’ipotesi che l’assenza delle tipiche manifestazioni cliniche dell’ipercortisolismo nei pazienti anoressici non derivi da una ridotta sensibilità ai glucocorticoidi ma piuttosto dalla carenza dei Asse ipotalamo-ipofisisurrene Nell’anoressia nervosa è ben documentato uno stato di attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene: i livelli plasmatici ed urinari di cortisolo sono ai limiti superiori della norma o francamente elevati; il cortisolo inoltre non mantiene il fisiologico ritmo circadiano e non si inibisce come di norma dopo basse dosi di desametasone in circa la metà dei pazienti. L’ipercortisolismo, in presenza di normali concentrazioni di ormone adrenocorticotropo (ACTH), può essere in parte attribuito al ridotto catabolismo tipico di tutte le condizioni di malnutrizione, ma anche ad un aumento della secrezione dello specifico releasing hormone ipotalamico (CRH). Questo secondo meccanismo è testimoniato direttamente dal riscontro di elevati livelli di CRH nel liquor di pazienti anoressici e indirettamente dalla ridotta risposta di 74 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 75 F. Cavagnini, G. Redaelli 100 80 60 40 20 ................................................. Effetto inibitorio dose-dipendente del desametasone sull’incorporazione di timidina triziata nei leucociti mononucleati di pazienti con anoressia nervosa e di volontari sani. % incorporazione (3H)timidina Figura 4 Pazienti anoressici Volontari sani 10 9 8 – Log (desametasone) (M) substrati metabolici necessari per sviluppare l’azione ormonale. Peraltro non si può escludere che nei pazienti con anoressia nervosa l’ipercortisolismo giochi un ruolo nella patogenesi dell’osteoporosi, dell’atrofia cerebrale e dell’ipotrofia muscolare di frequente riscontro in questi pazienti. 7 crescita (GH), mentre è complesso il comportamento della sua secrezione stimolata. È generalmente esagerata la risposta allo specifico releasing hormone ipotalamico (GHRH), normale quella a clonidina e arginina, ridotta o assente quella a ipoglicemia insulinica, levodopa e desametasone. Anche la manipolazione farmacologica della risposta del GH al GHRH appare alterata: in ambito colinergico la pirenzepina non la inibisce né la piridostigmina la potenzia, mentre i dati sperimentali riguardanti l’effetto del CRH non sono univoci. Ormone della crescita In questa patologia è frequente rilevare elevati livelli basali di ormone della 75 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 76 Le complicanze cliniche con particolare riferimento al sistema endocrino È inoltre possibile osservare incrementi paradossi del GH dopo iperglicemia e somministrazione di TRH o GnRH, analogamente a quanto si verifica in altre condizioni di ipersecrezione somatotropinica, quali l’acromegalia, l’insufficienza renale e il diabete mellito. Anche lo studio della secrezione spontanea notturna del GH tramite l’algoritmo Cluster testimonia un aumento della secrezione ormonale non pulsatile e del numero dei picchi secretori, mentre l’am- piezza di ciascun picco è paragonabile a quella dei soggetti normali (Fig. 5). Questi dati, forniti per la prima volta dal nostro gruppo e più recentemente confermati da altri, sono sovrapponibili a quanto rilevato nel diabete mellito scompensato, altra condizione di “digiuno cellulare”, e nell’acromegalia. Invece, nei soggetti defedati per cause diverse dall’anoressia nervosa l’aumento del GH non si accompagna ad un aumento della sua pulsatilità. GH (µg/l) 20 16 ........................... ........................... 20 16 12 12 8 8 4 0 4 0 20.30 21.30 22.30 23.30 0.30 1.30 2.30 3.30 4.30 5.30 6.30 7.30 8.30 20.30 21.30 22.30 23.30 0.30 1.30 2.30 3.30 4.30 5.30 6.30 7.30 8.30 Tempo (ore) 20 16 ........................... ........................... GH (µg/l) Tempo (ore) GH (µg/l) Profili secretori notturni del GH in due pazienti anoressiche (sopra) e in due soggetti normopeso (sotto). GH (µg/l) Figura 5 20 16 12 12 8 8 4 0 4 0 20.30 21.30 22.30 23.30 0.30 1.30 2.30 3.30 4.30 5.30 6.30 7.30 8.30 Tempo (ore) 20.30 21.30 22.30 23.30 0.30 1.30 2.30 3.30 4.30 5.30 6.30 7.30 8.30 Tempo (ore) 76 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 77 F. Cavagnini, G. Redaelli Questa differenza è stata attribuita a diversità nella fisiopatologia delle due condizioni di malnutrizione, dal momento che in modo peculiare nell’anoressia nervosa il catabolismo proteico non è marcatamente aumentato e i tessuti nobili vengono relativamente risparmiati a scapito del tessuto adiposo. A fronte di elevati livelli di GH appaiono sempre ridotti quelli di IGF-1, mediatore dell’attività biologica del GH sintetizzato a livello epatico in presenza di un adeguato apporto nutrizionale. Questo riscontro e l’assenza dei segni clinici di acromegalia indicano l’esistenza di uno stato di resistenza acquisita all’azione dell’ormone somatotropo, che, infatti, non appare in grado di far aumentare l’IGF-1 nelle anoressiche nemmeno dopo ripetute somministrazioni sottocutanee. Inoltre, la presenza di basse concentrazioni ematiche della proteina legante il GH, corrispondente al dominio extracellulare del recettore per l’ormone, rende possibile assimilare l’anoressia nervosa al nanismo di Laron, sindrome caratterizzata da insensibilità all’azione dell’ormone della crescita. Sotto il profilo clinico, la ridotta sensibilità al GH nell’anoressia si traduce in un rallentamento della crescita staturale quando la patologia si manifesta, come accade frequentemente, in età adolescenziale. Circa la patogenesi dell’ipersecrezione di GH nell’anoressia nervosa sono state formulate varie ipotesi. È stata considerata la possibilità che a causa della malnutrizione venga meno il feedback negativo fisiologicamente esercitato dall’IGF-1 sul GH tramite la somatostatina. Tuttavia non esiste correlazione tra i livelli di IGF-1 e quelli di GH basali e stimolati dal GHRH né tra grado di dimagramento e secrezione spontanea di GH. La possibilità di una riduzione del tono somatostatinergico nell’anoressia nervosa è stata confermata direttamente dal riscontro di ridotte concentrazioni liquorali di somatostatina e indirettamente da osservazioni sperimentali. Nell’uomo appaiono in accordo con questa ipotesi anche l’alterata risposta del GH alle variazioni del glucosio ematico e alla somministrazione di glucocorticoidi, nonché l’impossibilità di manipolare farmacologicamente la risposta al GHRH, tutti effetti che si eserciterebbero attraverso un aumento del tono somatostatinergico. Tuttavia la secrezione di somatostatina rimane evocabile con adeguati stimoli, come dimostra il mancato aumento del GH dopo ripetute somministrazioni di GHRH. Infine, per quanto riguarda la secrezione spontanea dell’ormone, se l’aumento di quella basale è compatibile 77 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 78 Le complicanze cliniche con particolare riferimento al sistema endocrino 3.000 2.500 2.000 1.500 1.000 500 0 GH ∆ AUC (µg/l/min) 3.500 * p < 0,05 * p < 0,05 HEX 3.500 3.000 2.500 2.000 1.500 1.000 500 0 GHRH GHRH + HEX con una riduzione del tono somatostatinergico, l’incremento della componente pulsatile è da mettere in relazione con un aumento del GHRH. Nei pazienti anoressici, oltre a somatostatina e GHRH, anche il terzo sistema di controllo del GH, quello dei postulati secretagoghi endogeni diversi dal GHRH, appare alterato: l’esarelina, GH secretagogo esogeno, induce un aumento del GH inferiore a quello atteso e non è in grado di potenziare la risposta al GHRH (Fig. 6). Si ipotizza quindi un’aumentata secrezione dei GH secretagoghi endogeni, ancora non identificati, ai cui recet- ...................................... 4.000 ...................................... Risposta incrementale del GH (∆ AUC, area sotto la curva) dopo esarelina (HEX), GHRH e i due stimoli combinati in soggetti sani normopeso (a sinistra) e in pazienti anoressiche (a destra). GH ∆ AUC (µg/l/min) Figura 6 NS * p < 0,05 HEX GHRH GHRH + HEX tori ipotalamici ed ipofisari l’esarelina si lega per esprimere la propria azione. In conclusione le complesse anomalie dell’asse GH-IGF-1 descritte nell’anoressia nervosa sembrano derivare dalla combinazione di difetti dell’azione periferica dell’ormone, dirette conseguenze dello stato di malnutrizione e anomalie della neuroregolazione del GH. Leptina Dopo l’identificazione della leptina, proteina codificata dal gene dell’obesità nel tessuto adiposo bianco, una cre- 78 1802_99 Cap. 4 - 3ªBz 29-05-2002 14:47 Pagina 79 F. Cavagnini, G. Redaelli scente attenzione è stata rivolta al ruolo di questo ormone nei disturbi del comportamento alimentare. La leptina esercita un effetto “antiobesità” riducendo l’assunzione di cibo e aumentando il consumo energetico attraverso un’azione centrale mediata a livello ipotalamico dall’inibizione del neuropeptide Y e dalla stimolazione della melanocortina. Nelle pazienti anoressiche i livelli sierici di leptina sono ridotti e appaiono direttamente correlati con il BMI, la percentuale di grasso corporeo e i livelli di IGF-1. In queste pazienti è stata recentemente segnalata anche un’alterazione del ritmo circadiano della leptina in rapporto con le alterazioni della secrezione del ritmo del cortisolo. In ogni caso il recupero del peso corporeo si accompagna a normalizzazione dei livelli di leptina, le cui variazioni quindi appaiono secondarie alla riduzione del tessuto adiposo. Merita tuttavia ricordare che nei pazienti anoressici durante la fase iniziale di rialimentazione i livelli di leptina risultano tendenzialmente più elevati rispetto a soggetti normali con BMI paragonabile. Questo fenomeno suggerisce che la leptina possa contribuire alla difficoltà del recupero ponderale talora os- servabile in corso di rialimentazione. Infine, per il ruolo inibitorio svolto dalla leptina sulla funzione gonadica, questo ormone è stato chiamato in causa anche nella genesi dei disordini mestruali dell’anoressia nervosa. Anche in questo ambito la prosecuzione degli studi consentirà di acquisire ulteriori elementi utili per una maggior comprensione della complessa fisiopatologia dell’anoressia nervosa. Riferimenti bibliografici Aarskog D, Aksnes L, Markestad T, Trygstad O Plasma concentration of vitamin D metabolites in pubertal girls with anorexia nervosa. Acta Endocrinol, 113(Suppl 279): 458-467, 1986. 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Nisoli Centro di Studio e Ricerca sull’Obesità, Dipartimento di Scienze Precliniche, LITA, Ospedale “L. Sacco” – Università degli Studi di Milano chico legato all’atto alimentare, sia per l’instaurarsi di un circolo vizioso di restrizione-disinibizione – colpa/allarmerestrizione. Vale la pena di ricordare a questo proposito che le diete drastiche, soprattutto se ripetute più volte, costituiscono uno dei fattori responsabili del passaggio verso comportamenti alimentari abnormi. La diffusione, dunque, delle diete attuate solo per ragioni estetiche e non per reali necessità mediche è certamente una delle cause principali del grande aumento dei disturbi del comportamento alimentare nella seconda metà del nostro secolo. Nelle brevi note che seguiranno vogliamo soffermarci in particolare sugli aspetti psicobiologici dell’anoressia nervosa e verificare se possibile quali di questi possono suggerire indicazioni per lo sviluppo di farmaci attivi in tale patologia. Introduzione I disturbi del comportamento alimentare comprendono tre sindromi di interesse psichiatrico: anoressia nervosa, bulimia nervosa e disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati o atipici. L’interesse per queste patologie è cresciuto negli ultimi trent’anni di pari passo con l’aumento dell’incidenza di queste forme, rare fino agli anni ’50. Più della metà delle anoressie evolvono in senso bulimico e la maggior parte dei casi di bulimia nervosa ha sofferto in precedenza di un disturbo anoressico conclamato o, più spesso, parziale, breve e passato inosservato. Comportamenti anoressici e bulimici si combinano e si succedono gli uni agli altri sia per la scelta, comune, di un codice di espressione del malessere psi- 87 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 88 Psicobiologia dell’anoressia nervosa: un razionale per l’intervento farmacologico? canismi eziopatogenetici coinvolti nell’insorgenza di questa patologia mentale. È utile distinguere tra fattori predisponenti a lungo termine (tra cui fattori individuali, familiari e culturali), fattori precipitanti (l’esperienza dei cambiamenti puberali vissuta come un trauma e una minaccia al controllo di sé e della propria vita) e fattori che tendono a perpetuare la sindrome (gli effetti del digiuno e della perdita di peso); un cenno particolare meritano alcuni fattori di natura iatrogena (la prescrizione di diete più o meno drastiche, in età adolescenziale, senza adeguata valutazione dei fattori di rischio può dar luogo all’inizio della malattia). È noto che l’anoressia nervosa è più frequente fra le sorelle e le madri di anoressiche che nella popolazione generale. Questo dato può essere legato sia a fattori genetici sia ambientali. Ma diversi lavori indicano che i fattori genetici giocano un ruolo significativo. Studi di epidemiologia genetica segnalano che il rischio di sviluppare la malattia in parenti di primo grado di una paziente anoressica è del 6% rispetto all’1% riscontrato tra i parenti dei soggetti di controllo, e uno studio condotto su 34 paia di gemelli ha dimostrato un tasso di concordanza maggiore per le anoressiche gemelle monozigoti (55%) rispet- Note di epidemiologia Nei Paesi occidentali industrializzati, compresa l’Italia, ogni 100 ragazze in età a rischio (12-25 anni) 8-10 soffrono di qualche disturbo del comportamento alimentare: 1-2 nelle forme più serie e pericolose (anoressia e bulimia nervosa), le altre nelle forme più lievi, spesso transitorie, dei disturbi parziali. L’anoressia nervosa è una malattia soprattutto femminile (90-95% dei casi). Quasi esclusiva, in passato, delle classi medio-alte si è diffusa, in anni più recenti, in tutti gli strati sociali. L’età di esordio cade, per lo più, fra i 10 e i 30 anni: l’età media di insorgenza è 17 anni. Le anoressie prepuberali (che insorgono prima dei primi cambiamenti somatici della pubertà) e premenarcali (prima del menarca) sono associate a indici di psicopatologia più elevati e a una prognosi psichiatrica generalmente più grave. Sembra in aumento il numero dei casi di anoressia nervosa che esordiscono dopo i 20 anni, talora dopo il matrimonio. Modelli eziopatogenetici Non è ancora possibile delineare una teoria sintetica che spieghi i mec- 88 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 89 E. Nisoli to a quello calcolato per le gemelle dizigoti (7%) (Gorwood et al., 1998). Questi dati suggeriscono, dunque, l’esistenza di un tratto geneticamente determinato che sembra essere coinvolto nell’insorgenza della malattia. È ovvio ipotizzare che il/i fattore/i geneticamente trasmissibili da soli non possono spiegare la patologia, ma costituiscono, questo sì, il substrato su cui l’ambiente può giocare un ruolo essenziale nello sviluppo della stessa. Dal momento che il dato più rilevante del comportamento anoressico è una strenua restrizione dietetica, è sembrato di qualche rilievo indagare i sistemi neurotrasmettitoriali e neuro-ormonali coinvolti nella regolazione dell’assunzione di cibo. In particolare, negli ultimi anni i ricercatori si sono concentrati su un nuovo ormone, la leptina, scoperto e caratterizzato recentemente. I dati che sono emersi finora in questa direzione possono essere schematicamente riassunti nei punti che seguono. Zhang e coll. alla fine del 1994 riportarono i risultati di un lungo periodo di ricerca annunciando l’isolamento del gene obese e la caratterizzazione molecolare di una sua mutazione e della sua delezione in due diversi ceppi di topi geneticamente obesi. Il prodotto di questo gene, denominato leptina (dal greco leptos, magro), è un ormone secreto dal tessuto adiposo nel torrente circolatorio in concentrazioni proporzionali ai depositi grassi totali. La dimostrazione che una mutazione che causa perdita di funzione del gene ob è causa di obesità grave nei topi ob/ob e che la somministrazione di leptina incide in maniera significativa sulla sindrome obesità è evidenza diretta che questo ormone regola l’accumulo di grasso nell’organismo. Diabetes (db/db) è un altro ceppo di topi, noto da molti anni e caratterizzato da obesità e da diabete mellito non insulino-dipendente (NIDDM), il cui difetto molecolare consiste in una difettosa ricezione del segnale della leptina nel cervello e quindi in una marcata leptino-resistenza. In effetti la leptino-resistenza, più che il difetto nella produzione della leptina, sembra possa rappresentare una causa fondamentale nell’insorgenza dell’obesità nei soggetti umani. Negli individui obesi i livelli plasmatici di leptina corre- a) Leptina e meccanismi cerebrali di controllo dell’assunzione di cibo La leptina è un segnale periferico che informa il cervello delle riserve energetiche dell’organismo. 89 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 90 Psicobiologia dell’anoressia nervosa: un razionale per l’intervento farmacologico? lano fortemente con il BMI. Questa relazione ha portato al concetto di leptinoresistenza come causa di obesità, anche se tale resistenza resta da dimostrare in maniera definitiva nell’uomo. fertili, molte delle quali riacquistano la fertilità in seguito a diminuzione del peso, la perdita di peso ottenuta con la restrizione calorica non ristabilisce la fertilità nelle femmine ob/ob, suggerendo che la leptina in quanto tale giochi un ruolo importante nella riproduzione di questi mammiferi. Tanto è vero che la sua somministrazione in topi femmina normali anticipa la comparsa della funzione riproduttiva (Chehab e coll., 1997). È interessante sottolineare a questo punto che in una popolazione di origine turca sono stati individuati alcuni rari individui con una mutazione puntiforme nel gene che codifica la leptina. Ebbene, questi soggetti, facenti parte di un’unica famiglia, avevano livelli estremamente bassi di leptina circolante e presentavano, oltre a un’obesità di grado elevato, immaturità gonadica e conseguente infertilità. I soggetti di sesso femminile erano amenorroici e i soggetti di sesso maschile non erano ancora entrati nella pubertà ed erano caratterizzati da marcato ipogonadismo (assenza di barba, rari peli pubici e ascellari, ginecomastia bilaterale, pene e testicoli ridotti) (Strobel e coll., 1998). Altri autori hanno riportato che la sintesi e la secrezione di leptina non sono limitate solo al tessuto adiposo. Intorno all’ottava settimana di gestazione b) Leptina e fertilità Sebbene la maggior parte dei ricercatori abbia focalizzato l’attenzione sul ruolo svolto nel controllo dell’omeostasi energetica, la leptina ha dimostrato più recentemente di giocare un ruolo inaspettato nella fisiologia della riproduzione. A supporto dell’“ipotesi del peso critico”, la leptina è uno degli ormoni che inducono la pubertà, segnalando il raggiungimento di una massa adeguata di depositi energetici a lungo termine critici per la riproduzione. Chehab e coll. (1996) hanno dimostrato che la somministrazione di leptina esogena, oltre a ridurre la massa grassa, ristabilisce la fertilità in topi ob/ob femmine. Infatti, tale ceppo di topi, oltre a soffrire di un’obesità massiva e delle complicanze ad essa associate (per esempio, il diabete), è anche sterile. Anche in donne gravemente obese l’infertilità ha un’incidenza molto maggiore rispetto a donne normopeso. Comunque, al contrario delle donne obese non 90 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 91 E. Nisoli i villi coronici placentari umani producono leptina a livelli paragonabili a quelli che sono stati descritti nel tessuto adiposo stesso (Masuzaki e coll., 1997). Si è dimostrata la presenza di leptina anche nelle cellule amniotiche e nel liquido amniotico durante il secondo e terzo trimestre di gravidanza (Masuzaki e coll., 1997; Schubring e coll., 1997). Questi risultati hanno suggerito che l’ormone svolga qualche ruolo importante nel mantenimento e nello sviluppo del feto (Matsuda e coll., 1997). È interessante sottolineare che i livelli plasmatici di leptina della donna gravida non correlano con il suo BMI. Inoltre, in questa condizione di aumentato fabbisogno energetico si sviluppa una marcata leptino-resistenza che va risolvendosi dopo il parto (Masuzaki e coll., 1997). quanto ci si aspetterebbe considerando la quantità di grasso perso in tale situazione, suggerendo che il bilancio energetico negativo riduce la quantità di leptina secreta per unità di massa grassa. In tutti gli studi finora compiuti si è dimostrato che i livelli circolanti di leptina sono significativamente ridotti in soggetti con anoressia nervosa rispetto a soggetti normopeso della stessa età e sesso (Grinspoon e coll., 1996; Eckert e coll., 1998; Nakai e coll., 1999). La correlazione dei bassi livelli di leptina con gli esigui depositi di grasso in questi soggetti rendono conto di alcune delle caratteristiche cliniche dell’anoressia stessa (amenorrea e infertilità). d) Rialimentazione e livelli plasmatici della leptina È stato del resto chiaramente dimostrato che durante la rialimentazione delle pazienti anoressiche i livelli plasmatici di leptina aumentano più rapidamente e più marcatamente rispetto ai depositi di grasso dell’organismo. Questo fatto andrebbe tenuto in seria considerazione nel momento in cui si cerca di ripristinare una normale assunzione di cibo in tali pazienti. c) Leptina in pazienti anoressiche La perdita di peso induce una più marcata diminuzione dei livelli plasmatici di leptina rispetto alla diminuzione dell’adiposità. Infatti, anche durante la perdita acuta di peso che si accompagna al digiuno le concentrazioni dell’ormone diminuiscono molto di più di 91 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 92 Psicobiologia dell’anoressia nervosa: un razionale per l’intervento farmacologico? Infatti, gli aumentati livelli plasmatici di leptina in corso di rialimentazione si oppongono di per sé all’assunzione di cibo perché inducono sazietà. Dunque, dal punto di vista clinico va sottolineata l’importanza di tenere sotto controllo la produzione di leptina nei soggetti rialimentati, al fine di bilanciare tutti gli interventi terapeutici. Più recentemente, però, è stato ipotizzato che la leptina moduli la sintesi e il rilascio di altri neuropeptidi ipotalamici implicati nel controllo dell’assunzione di cibo. Tra questi l’ormone stimolante i melanociti o α-MSH (che deriva per processamento proteolitico dal POMC, o pro-opio-melanocortina), il peptide correlato alla proteina agouti o AGRP, l’ormone concentrante la melanina o MCH e le oressine A e B. La somministrazione intracerebrale di α-MSH negli animali di laboratorio si è dimostrata in grado di inibire in maniera estremamente significativa l’assunzione di cibo. La stimolazione da parte dell’α-MSH dei recettori per la melanocortina di tipo 4 o MC-4, selettivamente espressi in alcuni nuclei dell’ipotalamo ventromediale, rappresenta un meccanismo di controllo del peso corporeo, come dimostrano i topi knockout per questi stessi recettori (MC-4–/–) che accumulano grasso, aumentando di peso, e presentano una marcata insulino-resistenza. La leptina è in grado di stimolare la sintesi e il rilascio di tale neuropeptide. Al contrario essa inibisce la sintesi del peptide correlato alla proteina agouti o AGRP, che antagonizza in maniera selettiva l’azione dell’α-MSH sui recettori MC-4 e aumenta in tal modo il consumo di cibo. e) La leptina regola la sintesi di molti neuropeptidi coinvolti nel comportamento alimentare È stato recentemente dimostrato che la leptina è normalmente in grado di inibire la sintesi e il rilascio di NPY nell’ipotalamo ventromediale. Tale azione giustificherebbe l’effetto saziante dell’ormone, dal momento che l’NPY è un importante neuropeptide che stimola l’assunzione di cibo. Inoltre, dal momento che l’NPY è in grado di inibire l’attività simpatica coinvolta nella spesa energetica della periferia, l’azione inibente della leptina sull’NPY stesso determina, oltre alla riduzione dell’assunzione di cibo, anche la stimolazione del dispendio energetico, in particolare attraverso l’attivazione della funzione termogenetica del tessuto adiposo bruno. 92 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 93 E. Nisoli È importante ricordare a questo punto che, oltre alle sostanze appena citate e che vengono espresse come detto nell’ipotalamo ventromediale, fino a poco tempo fa nessun neurotrasmettitore era stato specificamente trovato nell’ipotalamo laterale, che viene considerato anche sede dei centri della fame. Recentemente, si è riusciti a caratterizzare cinque nuovi peptidi e, per alcuni di questi, i loro rispettivi recettori, che vengono espressi in questa regione cerebrale. In particolare, l’oressina A e B, che derivano da un neuropeptide precursore o pre-pro-oressina, vengono espresse entro un’area limitata dell’ipotalamo laterale. La loro somministrazione intracerebrale determina un incremento molto significativo del consumo di cibo. Costituirebbero quindi due nuovi peptidi oressizzanti, potenzialmente coinvolti nella fisiologia dell’assunzione di cibo e potrebbero essere potenzialmente coinvolti nella patogenesi delle malattie del comportamento alimentare. Presumibilmente nel prossimo futuro verranno caratterizzate nuove sostanze che entrano in questa complessa rete neurotrasmettitoriale che, integrando impulsi dalla periferia e dai centri cerebrali superiori, è in grado di elaborare risposte adeguate al controllo dell’omeostasi energetica degli organi- smi superiori. Bisogna, comunque, ricordare che la decisione di mangiare (o più precisamente che cosa mangiare e quando interrompersi) è, almeno nell’uomo, un fenomeno estremamente complesso, che risiede al confine tra volontà e fisiologia. Noi mangiamo per molte ragioni, che comprendono quelle edonistiche, quelle che emergono da conflitti psicologici e quelle correlate alla sopravvivenza di base. Quindi, la caratterizzazione delle vie neurochimiche potenzialmente coinvolte in questi processi è una sfida di non facile soluzione. Ma tale approccio potrà presto fornire nuove informazioni utili, non solo per la conoscenza di questi complessi meccanismi cerebrali, ma anche per la messa a punto di nuove strategie terapeutiche, più sicure ed efficaci delle presenti, nel campo delle malattie del comportamento alimentare. f) Coinvolgimento dei geni della leptina e della melanocortina nell’eziopatogenesi dell’anoressia nervosa Le mutazioni nel gene della leptina possono causare una marcata obesità sia nei roditori sia nell’uomo (Zhang et 93 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 94 Psicobiologia dell’anoressia nervosa: un razionale per l’intervento farmacologico? al., 1994; Montague et al., 1997). Dal momento che nelle pazienti con anoressia nervosa i livelli plasmatici di leptina sono più bassi rispetto ai controlli di pari BMI, ci si è chiesti se i geni coinvolti nella regolazione del peso corporeo potessero essere considerati geni candidati per l’anoressia nervosa. Hinney e coll. (1998a) hanno approfondito questa possibilità analizzando la regione codificante del gene della leptina e parte di tale gene legata alla regione upstream (LEGLUR) in 49 pazienti anoressiche, oltre che in 315 bambini e adolescenti con obesità estrema. Sono state così identificate due nuove mutazioni non ancora descritte nella regione codificante (Ser-91-Ser e Glu-12-Gln), ciascuna riscontrata in un unico probando, e un nuovo polimorfismo nel LEGLUR (posizione –1387 G/A; frequenza di entrambi gli alleli pari a circa lo 0,50). I test di associazione degli alleli di polimorfismo di LEGLUR sono risultati negativi comparando la frequenza allelica tra 115 anoressiche, 71 bulimiche, 315 bambini e adolescenti estremamente obesi, 141 soggetti sani in sottopeso e 50 controlli non selezionati per il peso corporeo. Quindi, questo studio non ha riscontrato un’influenza delle variazioni nel gene della leptina nei disor- dini del comportamento alimentare, compresa l’anoressia nervosa. Inoltre, Hinney e coll. (1998b) hanno screenato la regione codificante il gene POMC in 96 bambini e adolescenti estremamente obesi, 60 soggetti sani sottopeso e 46 pazienti con anoressia nervosa. Gli autori hanno identificato un totale di 10 varianti, nessuna delle quali era identica ad alcuna delle tre mutazioni descritte da Krude e coll. (1998) in questo gene. Hinney e coll. (1998b) hanno allora concluso che il gene POMC può contenere diversi polimorfismi e mutazioni, nessuna delle quali però può essere facilmente associata ai fenotipi studiati. Infine, mutazioni nel gene che codifica il recettore MC-4 sono state correlate all’insorgenza di obesità precoce in un numero non piccolo di soggetti, ma non sembrano correlare con l’anoressia nervosa (Hinney e coll., 1999). Nuovi modelli interpretativi Malgrado negli ultimi anni sia la ricerca di base sia quella clinica abbiano compiuto notevoli sforzi, l’eziopatogenesi delle malattie del comportamento alimentare resta sostanzialmente sco- 94 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 95 E. Nisoli nosciuta. Anche i criteri diagnostici, codificati nel manuale di diagnosi psichiatrica DSM-IV, non sono facilmente interpretabili alla luce di una complessa variabilità all’interno di singoli gruppi di pazienti. Inoltre, soprattutto per l’anoressia nervosa, non sembra esistere alcuna base psicopatologica di quelli che, in fondo, sono i suoi sintomi veramente più eclatanti e tipici: il digiuno autoimposto e l’aumentata attività fisica. Recentemente, Cecilia Bergh e Per Södersten (1996) hanno proposto una nuova ipotesi interpretativa del digiuno autoimposto dell’anoressia nervosa. Partendo dall’osservazione che l’ipercortisolismo è una tipica manifestazione del digiuno e dell’attività fisica (Hotta e coll., 1986; Liu e coll., 1994), che di per sé il Corticotropin-Releasing Factor (CRF) riduce il consumo di cibo quando iniettato nel cervello degli animali di laboratorio (Dunn e Berridge, 1990) e che i glucocorticoidi causano euforia e dipendenza, sia negli animali sia nell’uomo (Piazza e coll., 1993), questi autori sottolineano come lo stress che consegue all’aumentata attività fisica e alla riduzione dell’assunzione di cibo sia in grado di attivare i meccanismi cerebrali di rewarding o compenso. È noto che il sistema del rewarding è costituito dai neuroni dopami- nergici mesolimbici, e che gli ormoni surrenalici aumentano il rilascio di dopamina dai terminali nervosi di questi neuroni (Piazza e coll., 1993). Gli autori suggeriscono, pertanto, che in una fase iniziale di stress i meccanismi di rewarding sarebbero sensibilizzati e che in questa situazione l’organismo sarebbe particolarmente predisposto al condizionamento, anche da parte di stimoli normalmente neutri, come la richiesta di riduzione dell’assunzione di cibo e l’aumento dell’attività fisica. L’assunzione di cibo, d’altra parte, è un comportamento altamente rinforzante, dal momento che fornisce non solo le calorie e i nutrienti necessari per la sopravvivenza, ma anche sensazioni di gratificazione e di piacere. Numerose evidenze suggeriscono che il cibo manifesta i suoi effetti di rinforzo attraverso l’attivazione delle vie dopaminergiche mesolimbiche (Hoebel, 1985). Studiando un polimorfismo di lunghezza di frammento di restrizione (RFLP) con alleli (il meno frequente noto come A1, il più frequente come A2), individuati entro il gene del recettore dopaminergico D 2 (DRD2), Noble e coll. hanno suggerito qualche tempo fa la prevalenza dell’allele DRD2 A1 in associazione con le manifestazioni biologiche e comportamentali tipiche di certi 95 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 96 Psicobiologia dell’anoressia nervosa: un razionale per l’intervento farmacologico? tipi di obesità (Noble e coll., 1994). È stato suggerito che la spiegazione più probabile dell’apparente relazione tra obesità e prevalenza dell’allele A1 potrebbe risiedere nel fatto che tale polimorfismo è associato a una diminuzione della funzionalità e del numero dei recettori D2 nel cervello (Comings e coll., 1991). Sarebbe, dunque, necessaria una maggiore introduzione di nutrienti, come i carboidrati per esempio, per far fronte a un sistema di rewarding, associato al cibo, deficitario. Evidenze altrettanto interessanti si sono recentemente ottenute di una associazione tra alcolismo e prevalenza dell’allele DRD2 A1. Tali studi hanno consentito di dimostrare significativi miglioramenti comportamentali in un sottogruppo di alcolisti, soprattutto se omozigoti A1/A1, trattati con un agonista D2 come la bromocriptina (Lawford e coll., 1995). Da tutte queste osservazioni è sembrato di estremo interesse studiare l’eventuale presenza di una correlazione tra l’allele DRD2 A1 e l’anoressia o la bulimia nervosa. A tale fine abbiamo isolato il DNA, su cui condurre gli studi di polimorfismo, dai leucociti del sangue periferico di 32 pazienti anoressiche (16-33 anni, BMI = 15,7 ± 0,7 kg/m2). Tali pazienti sono state sottoposte al test di Garner (Eating Disorders Inventory, EDI) per la caratterizzazione dei tratti psicologici e comportamentali. L’eventuale associazione tra gli alleli A1 o A2 e i punteggi del test comportamentale è stata valutata con un’analisi di regressione multipla (manoscritto in preparazione). Nelle pazienti anoressiche che esprimono l’allele A1 la spinta alla magrezza è correlata positivamente al sentimento di insoddisfazione per il proprio corpo (BD) (p < 0,05) e alla consapevolezza interocettiva (IA) (p < 0,05). Nei soggetti che esprimono l’allele A2 esisterebbe una correlazione non solo con BD (p < 0,05) e IA (p < 0,005), ma anche con sentimenti di inefficacia (IN) (p < 0,05) e di diffidenza nei rapporti interpersonali (ID) (p < 0,05). Questo suggerisce che la prevalenza di un allele rispetto all’altro può caratterizzare diversi atteggiamenti psicologici all’interno della popolazione delle anoressiche. Approcci terapeutici Da quanto ricordato emerge dunque che i meccanismi potenzialmente coinvolti nell’insorgenza dell’anoressia nervosa sono molteplici e complessi, e che nessuno di quelli finora approfonditi 96 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 97 E. Nisoli ha fornito evidenze significative di un coinvolgimento patogenetico. È allora chiaro che l’anoressia nervosa è una malattia grave, pericolosa e difficile da curare. I disturbi del comportamento alimentare sono le malattie mentali che coinvolgono e sconvolgono più profondamente il corpo e la sua biologia. Nel corso del tempo, processi psichici e somatici interagiscono fra loro e contribuiscono a determinare, mantenere e complicare i quadri clinici. Il disturbo di base è psicopatologico, quindi la cura a lungo termine compete a psichiatri e psicoterapeuti. Ma in varie circostanze, a volte d’emergenza, è necessario l’intervento di altri specialisti: nutrizionisti, internisti, ginecologi, endocrinologi, odontoiatri, chirurghi. È necessario, dunque, imparare a collaborare, riconoscendo e rispettando le diverse aree di competenza. Le condizioni che, da sole o combinate, possono rendere indispensabile un ricovero d’urgenza sono le seguenti: perdita di peso uguale o superiore al 40% (più temibile se si è verificata in poco tempo) e rifiuto di alimentarsi; squilibri elettrolitici (in particolare ipopotassiemia); disturbi psichici gravi e rischio di suicidio; necessità di una separazione dalla famiglia per interazioni patologiche non controllabili. Se è vero che senza un certo recupero del peso il trattamento psicoterapeutico di un’anoressica grave è spesso (ma non sempre) destinato al fallimento, è altrettanto vero che un ricovero e una rialimentazione adeguata possono essere accettati o almeno tollerati solo all’interno di una relazione psicologica di chiarezza e di fiducia. Il trattamento di scelta dei disturbi del comportamento alimentare in generale e dell’anoressia in particolare è la psicoterapia con trattamenti che spesso vengono protratti per anni, anche dieci e più. Mancano ancora studi sufficientemente estesi e rigorosi che permettano di confrontare i risultati conseguiti con tecniche psicoterapeutiche diverse e con combinazioni di trattamenti. Un’indicazione generale può essere la seguente: le terapie relazionali-sistemiche (della famiglia) sono forse il trattamento di scelta per le pazienti più giovani, fino ai 16 anni; in fasce di età successive sono preferibili trattamenti individuali e di gruppo. Una forma particolare di intervento che si è diffusa negli ultimi venti anni è rappresentata dai Self-Help Groups, gruppi di auto-aiuto (nati sul modello degli Alcolisti Anonimi) tra persone sofferenti per disturbi del comportamento alimentare. Mancano però studi controllati che ne dimostrino l’efficacia. 97 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 98 Psicobiologia dell’anoressia nervosa: un razionale per l’intervento farmacologico? Terapia farmacologica L’osservazione che un aumento del tono serotoninergico induce sazietà negli animali, così come una sua diminuzione può stimolare l’appetito, ha suggerito l’uso clinico della ciproeptadina, un potente antagonista dei recettori serotoninergici e istaminergici. Goldberg e coll. (1979) eseguirono uno studio che prevedeva quattro combinazioni di trattamento: ciproeptadina (12-32 mg/die) associata a terapia comportamentale, la stessa sostanza somministrata in assenza di terapia comportamentale, placebo in concomitanza a terapia comportamentale e placebo soltanto. In questo studio non si ottennero differenze significative per quanto concerne l’aumento del peso corporeo tra pazienti anoressiche trattate con ciproeptadina e quelle che ricevevano placebo, indipendentemente dall’associazione con la terapia comportamentale. Nel 1986 Halmi e coll., nel corso di uno studio in doppio cieco con ciproeptadina, amitriptilina e placebo, evidenziarono un effetto farmacologico inatteso della ciproeptadina in sottogruppi di pazienti anoressiche con note di bulimia, un’osservazione questa che suggerisce l’esistenza di una differenza nei meccanismi regolatori della fame e della sazietà tra pazienti anoressiche, bulimiche e non bulimiche. Se tale ipotesi fosse corretta Non si dispone ancora di farmaci che abbiano un’indicazione specifica e un’efficacia provata nel trattamento dell’anoressia nervosa. L’ipotesi di un’aumentata attività recettoriale dei sistemi dopaminergici, con conseguente e precoce senso di sazietà, nell’anoressia nervosa ha rappresentato il substrato teorico per l’uso dei neurolettici in questo disturbo. Il primo studio condotto in tale direzione risale al 1958 (Dally, 1958) e riporta l’impiego di clorpromazina, fino ad un dosaggio massimo di 1000 mg/die associata all’insulina (60-80 U.I./die) come stimolante dell’appetito. L’evoluzione di questa linea di ricerca ha condotto nel 1982 ad utilizzare la pimozide che, ad un dosaggio di 4 o 6 mg/die, ha dimostrato un effetto significativamente maggiore rispetto al placebo. È stato inoltre ipotizzato l’impiego della sulpiride, una benzamide sostituita, antagonista selettivo dei recettori della dopamina. Somministrata a 18 pazienti (da 300 a 400 mg/die) per un periodo di tre settimane in uno studio crociato a doppio cieco verso placebo, non diede però risultati positivi rispetto a parametri quali il peso corporeo o variabili attitudinali e comportamentali. 98 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 99 E. Nisoli essa potrebbe costituire un criterio di valutazione per differenziare sottogruppi nell’anoressia nervosa. L’esistenza di una possibile relazione tra disturbi dell’umore e disordini del comportamento alimentare ha motivato l’utilizzazione terapeutica di farmaci antidepressivi nell’anoressia nervosa. Studi controllati con placebo sono stati condotti con cloripramina (50 mg/die) e con amitriptilina (115 e 160 mg/die), due bloccanti della captazione di serotonina senza che gli autori rilevassero significativi effetti terapeutici. I criteri che potrebbero guidare la scelta di un trattamento antidepressivo sembrano essere la presenza di un concomitante disturbo dell’umore nel paziente o nei familiari, il tipo di meccanismo alimentare (assenza di fame o precoce senso di sazietà) e la qualità dei cibi assunti (carboidrati o proteine). Analoghe premesse teoriche hanno suggerito l’impiego dei sali di litio. Gross e coll. (1981), che hanno confrontato l’effetto del farmaco rispetto al placebo in uno studio in doppio cieco controllato durato quattro settimane, hanno evidenziato un aumento di peso statisticamente significativo nei pazienti trattati con litio ed hanno ipotizzato che tale ione possa influenzare, direttamente o indirettamente, la funzione dei recettori insulinici, e, quindi, che questi pazienti abbiano una maggiore sensibilità all’insulina. Non manca però chi avanza il dubbio che il guadagno di peso corporeo possa in realtà dipendere da fenomeni di ritenzione idrica, noto effetto collaterale dei sali di litio. Occorre sottolineare, inoltre, i rischi di tossicità del litio in pazienti che tendono al vomito autoindotto e ad abusare di lassativi e diuretici e sono quindi facilmente predisposti a squilibri idroelettrolitici con conseguente aumento dei livelli litiemici in relazione agli stati di iponatremia. Nessuno dei trattamenti ricordati fin qui ha però dimostrato sicura efficacia in tutti i pazienti, per cui a tutt’oggi l’anoressia nervosa costituisce una patologia assolutamente orfana di una terapia farmacologica. Prospettive della terapia farmacologica Dalle considerazioni sulla complessità dei circuiti neurali e periferici coinvolti nella modulazione del comportamento alimentare, che abbiamo cercato di tratteggiare in maniera molto sommaria nei paragrafi precedenti, emerge la consapevolezza che molto resta da fare in questa direzione. È del resto vero che la speranza che muove tali ricer- 99 1802_99 Cap. 5 - 3ªBz 29-05-2002 14:52 Pagina 100 Psicobiologia dell’anoressia nervosa: un razionale per l’intervento farmacologico? Dunn AJ, Berridge CW Physiological and behavioral responses to corticotropin-releasing factor administration: is CRF a mediator of anxiety or stress responses? Bran Res Rev, 15: 71-100, 1990. che è quella di riuscire, alla fine, ad individuare i meccanismi cellulari e molecolari coinvolti nella patogenesi di malattie mentali gravi come l’anoressia nervosa. L’atteggiamento più responsabile a questo punto è quello dettato da una grande umiltà nell’affrontare una sfida così impegnativa. La posta in gioco, cioè la salute di tante centinaia di migliaia di pazienti, è talmente importante da giustificare e stimolare gli sforzi in questa direzione. Eckert ED et al Leptin in anorexia nervosa. J Clin Endocrinol Met, 83: 791-795, 1998. Goldberg SC et al Cyproheptadine in anorexia nervosa. Br J Psych, 134: 67-74, 1979. Gorwood P, Bouvard M, Mouren-Simeoni MC, Kipman A, Ades J Genetics and anorexia nervosa: a review of candidate genes. Psych Genet, 8: 1-12, 1998. Grinspoon S et al Serum leptin levels in women with anorexia nervosa. J Clin Endocrinol Met, 81: 3861-3863, 1996. Riferimenti bibliografici Gross HA et al A double-blind controlled trial of lithium carbonate in primary anorexia nervosa. J Clin Psychopharmacol, 1: 376-381, 1981. Bergh C, Sodersten P Anorexia nervosa, self-starvation and the reward of stress. Nature Med, 2: 21-22, 1996. 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Tale effetto di senso – altrettanto che di non senso, di controsenso e di equivoco – è in grado di far saltare gli sconosciuti e inconsapevoli vantaggi del sintomo, i quali agiscono occultati dalle tragiche insegne del dolore e della malattia. E proprio in questi vantaggi risiede – secondo la teoria e la pratica analitiche – larga parte dell’attaccamento che il paziente ha nei confronti della propria malattia. Attaccamento paradossale, certo, se riflettiamo a quanto questa lo condanni all’impotenza, all’ossessione e alla paura. Tuttavia il vincolo tenace che lo lega alla sua condizione morbosa dimostra come proprio in essa si trovi imprigionato e incompreso un pezzo consistente dell’identità del soggetto e dei suoi più irrinunciabili desideri. L’analista, quindi, lavora contro corrente: contro la corrente conformista del sintomo e contro ogni smania di guarigione che sia pretesa comunque, a prescindere dai prezzi soggettivi che comporta. Lo stile compiacente con cui il soggetto anoressico sembra adeguarsi ai miti e agli ideali in voga nel suo tempo (le diete, le palestre, la moda, ecc.) rischia di trarre in inganno la cura fino a convincerla di risanamenti illusori. Rispetto a ciò la cura analitica si pone in un assetto alternativo sia sul piano clinico sia su quello etico. Per cercare di comprendere come un analista lavora con i soggetti anoressici è necessario preliminarmente ricapitolare alcuni concetti fondamentali della 103 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 104 Anoressia: la cura psicanalitica psicanalisi. Infatti, senza un chiarimento previo di tali concetti, sarebbe impossibile intendere ciò di cui stiamo parlando. Ci riferiamo, nella fattispecie, ai concetti d’inconscio, di diagnosi, d’interpretazione e di transfert. Ciò che, grazie a tali cognizioni, è consentito capire e giustificare teoricamente è innanzi tutto il postulato secondo cui – a parità di sintomo – il soggetto che soffre è un soggetto unico nella sua singolarità e differenza. Del resto, persino i sintomi, pur nella loro apparente uniformità, si rivelano dissimili tra loro sia per finalità sia per logica e funzionamento. Così, quando una donna, una ragazza, un ragazzo arrivano in analisi ammettendo subito di essere un’anoressica o un anoressico, accade che mentre lei o lui credono di sapere quel che dicono, è l’analista che preventivamente non sa quel che lei o lui stanno dicendo con l’esibizione di quella diagnosi. L’analista, infatti, deve abituarsi a pensare che nella descrizione e nella codificazione di un sintomo non c’è nulla che aiuti a comprendere il paziente, ma solo un ausilio a disposizione delle difese razionali del paziente stesso e della cura. La diagnosi psicanalitica – diversamente da quella psichiatrica – individua, nella struttura del discorso formulato dal soggetto e nel particolare modo in cui il soggetto stes- so articola la propria domanda di cura, lo stile originale con cui è stata organizzata la patologia in questione. L’inconscio Cominciamo con il concetto d’inconscio, nel quale sono contenuti e germinano quelli di transfert, di sintomo e di domanda. È generico ma non impreciso sostenere che, prima di Sigmund Freud, l’inconscio era il concetto filosofico con cui veniva segnalato tutto ciò che non è cosciente. Il padre della psicanalisi, pur non essendo il primo a nominare l’inconscio, è stato certamente l’unico a darne la peculiare definizione di memoria in atto: una memoria, imprevista dal soggetto, che irrompe nel suo discorso o nel suo comportamento sotto forma di lapsus, di amnesia, di sogno o di sintomo. Si tratta di un vero e proprio sapere che il soggetto ha, sebbene ignori di averlo. Secondo la psicanalisi, quindi, l’inconscio è immanente all’atto di dire, perciò non c’è inconscio né prima né dopo l’atto di dire, di dire quel sapere che non si sa di avere: «Emergeranno parole che sanno di noi ciò che noi ignoriamo di loro». Nel 1933 Freud scrive: «... chiamiamo inconscio un processo psichico di 104 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 105 G. Ripa di Meana samente affiora nel discorso di un soggetto e altrettanto improvvisamente scompare. cui dobbiamo supporre l’esistenza – per esempio perché la deduciamo dai suoi effetti – ma del quale non sappiamo nulla. La nostra relazione con questo processo è la stessa che abbiamo con un processo psichico che ha luogo in un altro uomo, salvo che è, appunto, nostro. ... chiameremo inconscio un processo quando dobbiamo supporre che al momento sia in atto, benché, al momento, non ne sappiamo nulla». Ricordiamo queste parole di Freud perché sembrano contenere la migliore sintesi della peculiarità del concetto analitico d’inconscio da non confondere con i diversi inconsci cognitivi o psicodinamici. Dunque: a voler prendere in considerazione anche soltanto le ultime righe di questo brano possiamo cogliere sia il senso di alienazione, sia la scoperta che l’inconscio produce nel soggetto (che si sente, appunto, alle prese con una presenza altra da sé), sia la sua comparsa imprevista e momentanea in un contesto soggettivo di spaesamento e di ignoranza «chiameremo inconscio un processo quando dobbiamo supporre che al momento sia in atto, benché, al momento, non ne sappiamo nulla». In conclusione: l’inconscio non è un’istanza occulta in attesa di una rivelazione, ma è un sapere che improvvi- Il transfert Possiamo, allora, comprendere come sia impensabile il trattamento dell’inconscio al di fuori della cura e del transfert, vale a dire a prescindere dalla presenza di qualcuno che lo ascolti e lo riconosca. Ma l’analista, per poter riconoscere un atto o un discorso inconscio del suo analizzante, deve sapere ascoltare e intendere simultaneamente gli atti e i segni del proprio inconscio. È perciò necessario che abbia fatto, a sua volta, un cammino analitico in qualità di paziente. L’interpretazione analitica, infatti, non va intesa come un’operazione ermeneutica, ossia come un mero atto di decodificazione della presunta verità del soggetto. L’interpretazione, secondo la psicanalisi, non offre spiegazioni e rivelazioni di senso – magari più evidenti all’analista che al suo analizzante. Essa lavora piuttosto per restituire al testo del discorso il suo enigma e il suo nonsenso. Per esempio, quanto i sintomi del soggetto contengono d’impensabile o d’impensato fino a quel momento. 105 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 106 Anoressia: la cura psicanalitica Ciò che patisce e segnala, quindi, il soggetto dell’inconscio non coincide con quanto dichiara e sente il soggetto cosiddetto normale ovvero il soggetto della coscienza e del comportamento. Laddove la coerenza di un discorso, la risposta a un test psicologico o a un parametro di “normalità” vacillano, là si fa strada la nostra più intima anomalia, quella che disegna sulla nostra immagine la frantumazione pulsionale, le paure, la malinconia, l’ossessione, i nudi sogni, l’euforia. Il soggetto dell’inconscio è in presa diretta con le tempeste libidiche, con le tracce di alterità che ci abitano e ci formano così come non siamo, o meglio ci deformano così come siamo. Ma perché l’analista sia in grado di ascoltare il discorso manifesto del suo paziente – rinunciando a capirlo e a possederlo, per poterlo, invece, intendere e liberare – è necessario che lui stesso abbia conosciuto, nel corso della propria analisi personale, l’esperienza d’apertura dell’inconscio. Un’apertura imprevedibile e uno spaesamento che, poco alla volta, smontano e infiacchiscono le potenti architetture del sintomo, della patologia. L’analista deve aver sperimentato, e soprattutto deve continuare a sperimentare nella sua pratica, come nell’inconscio non tutto sia significabile perché il senso ultimo delle cose, quanto quello della verità soggettiva, rappresentano una meta ideale, irrimediabilmente perduta. Del resto l’anoressica non manca di parole che le spieghino il comportamento che ha o che dovrebbe avere. Non c’è da ingozzare d’altro l’anoressica... che d’altro o dell’altro ne ha abbastanza. La paziente va accompagnata nel recupero di un ascolto di ciò che dice, ma anche di ciò che non dice, e va aiutata a riconoscere pieni e vuoti del discorso che fa, sia parlando sia somatizzando. L’anoressica moderna – che li abbia letti o no, che li abbia sentiti o no – è comunque infarcita di luoghi comuni sulla sua “malattia”. E quelli che le suggerisce il terapeuta non sono migliori. Allora, l’analista come fa con questo tipo di pazienti con i quali è impossibile sia utilizzare il mero silenzio per ascoltare, sia interpretare, rischiando di farli sentire satolli, troppo pieni, come prima, più di prima? Deve intervenire, ma lasciando in silenzio il Sapere: deve stare saldo nel suo posto di riferimento, per lasciarsi sorprendere da ciò che accade. Tuttavia questa sorpresa è l’esercizio di un particolare stile di conoscenza e di ascolto, che si apprende nel corso della propria analisi personale e nel tempo etico intellettuale di una formazione permanente, tesa a temprare l’agnosticismo e lo spirito scettico, quali requisiti preziosi di apprendimento e competenza. 106 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 107 G. Ripa di Meana I lavori del transfert, condotti da un ascolto analitico improntato a liberare il paziente dal peso di una parola superficialmente assente, se si svolgono in regime di costante autoanalisi da parte dell’analista nonché di attenta speculazione teorica, assumono quasi subito una funzione di contenimento anche quando la crisi si scatena e il paziente sembra stare peggio. Che il sintomo anoressico si esasperi durante la cura è un fenomeno altamente probabile. Il transfert, invero, funziona proprio nella sua qualità di provocatore del sintomo. Ma che cosa s’intende con questa definizione? Che le aspettative di affidamento e di aiuto, implicite in ogni domanda di cura, comportano inevitabilmente la proiezione sull’analista di un complesso intarsio di amore, di odio, d’idealizzazione, di delusione, d’identificazione e disconoscimento caratteristici di quei legami primordiali che hanno intessuto la trama stessa della formazione soggettiva nonché i penosi arrangiamenti adottati dalla patologia. Il transfert, in altri termini, si configura come quell’artificio simbolico capace di sollecitare la riproduzione e la riattualizzazione delle prime domande, dei desideri originari e del danno costitutivo. Nel transfert si manifesta, dunque, quell’intreccio dimenticato e rimosso di ambizioni e dife- se con cui il soggetto ha tentato di fronteggiare l’incontro con le figure essenziali e con i turbamenti principali della sua vita: dalla nascita al tempo infelice della malattia. Da un simile primordiale intreccio o scenario inconscio – definito, in termini analitici, fantasma – il soggetto riceve sia la propria identità sia la propria invalidità. Accade, allora, che una cura analitica possa coincidere con il rischio di uno scatenamento sintomatico, perché solo attraverso la ripetizione dei sintomi – riproposti nella situazione vigilata del transfert – diventa plausibile aiutare il paziente ad esplorare e a comprendere il senso e il nonsenso della sua patologia. Quindi, la malattia di transfert ha, rispetto alla malattia vissuta fuori della situazione di transfert, il vantaggio di trovarsi ad essere indagata, smascherata e dipanata a partire dai modi, dai mezzi e dalle condotte con cui il paziente tratta, maltratta e celebra l’oggetto del proprio fantasma inconscio trasferito sull’analista. Tutelato dalla responsabilità soggettiva e dall’impegno etico di chi lo cura, il soggetto in analisi si allena a fruire di un senso e di un valore dei suoi sintomi che, fino a quel momento, gli erano completamente sconosciuti. Sono questi alcuni dei prerequisiti essenziali per riuscire a comprendere come la sofferenza psichica, nel corso del trattamento analitico, non sia più simbo- 107 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 108 Anoressia: la cura psicanalitica licamente la stessa con cui il paziente si era presentato alla cura. Una malattia, nell’ambito di un transfert adeguatamente ascoltato e analizzato, si trasforma in uno strumento di lavoro e di aiuto ai fini della guarigione soggettiva. Se ne deduce che la formazione di un analista non solo non è affidata esclusivamente alla teoria e ai libri, ma non va accreditata nemmeno alla semplice empiria ovvero alla mera pratica clinica. La formazione di chi si espone a curare questi soggetti così gravemente e pericolosamente sofferenti va temprata nel corso della propria analisi personale. Non si possono curare gli altri – questo è quanto si apprende dalla pratica e dall’etica psicanalitica – senza riconoscere nei propri punti ciechi, nei propri sintomi e nella vertigine del proprio fantasma inconscio degli alleati instabili e rischiosi, ma anche imprescindibili per il funzionamento del lavoro terapeutico. Terapia significa, infatti, – secondo la psicanalisi – perseguimento della guarigione originale e diversa per ciascuno, cui ogni soggetto inconsciamente aspira. La formazione dell’analista, inoltre, deve configurarsi come una formazione permanente, esercitata nel fuoco di ogni singola cura, nella ricerca e nell’individuazione dei punti di teoria della clinica, inventati volta per volta da ogni particolare soggetto, che si trovi alle prese con quel suo unico, inconfondibile incontro di transfert. Prerogative della cura psicanalitica Una cura psicanalitica mette a disposizione di un soggetto anoressico: • un luogo di ascolto in cui possa fare un’esperienza inconsueta nella sua vita: l’esperienza di essere riconosciuto per qualcosa che non ha mai pensato né di essere né di sapere; • un luogo di parola improntato alla leggerezza e al rilancio in forma di enigma di tutte le questioni chiuse e irrisolte che lo assillano; • un’attenzione quanto più possibile libera e fluida, rivolta ad evitare e a sciogliere gli appesantimenti proiettivi caratteristici di ogni relazione terapeutica. Infatti, se ignorate, tali proiezioni rischiano di indurre ulteriori e gravi effetti patogeni; • una situazione in cui il paziente si sente ascoltato e inteso in quanto portatore di un messaggio, di un discorso, di un desiderio e non tanto, o non soltanto, di una richiesta e di un bisogno; • una speciale accortezza posta sulla lingua e sul linguaggio soprattutto nel- 108 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 109 G. Ripa di Meana la loro qualità d’indicatori di una dimensione altra, imprevedibile, ignorata: la dimensione dell’inconscio. gestione transferale. Un simile abuso, infatti, consolida posizioni di dipendenza, nonché fenomeni di “guarigione” prodigiosa; • la riluttanza del paziente alle disillusioni indispensabili al mantenimento di una corretta etica della cura. Quest’ultima non può che essere priva di miraggi e quindi si trova a vanificare non solo le richieste magiche o seduttive dei pazienti, ma anche il ricorso a soluzioni terapeutiche confortanti e massificate; • il forte attaccamento ai sintomi da parte dell’anoressica (come dell’anoressico). Un simile vincolo rende, inevitabilmente, il lavoro del transfert molto accidentato, impervio e fragile. Tra idealizzazione e svalutazione, l’analista di un soggetto anoressico viene sballottato in una vera e propria tempesta di proiezioni contraddittorie di cui il paziente tende a misconoscere sia il senso sia la direzione; • il peculiare tipo di voracità negata e l’accanito ricorso a strategie di onnipotente godimento narcisistico che fanno di questi pazienti soggetti non solo intolleranti della frustrazione, ma piuttosto ostili, per non dire fobici, nei riguardi di essa. D’altronde, l’aspetto spesso gracile e infantile del soggetto anoressico può sollecitare nell’analista Ostacoli alla cura e nella cura Una cura psicanalitica s’inoltra nella vischiosa palude degli ostacoli al cambiamento posti clamorosamente da questo tipo di patologie, ma eretti anche dagli intralci più segreti e inconsapevoli che insidiano o fuorviano anche le migliori intenzioni di chi sia preposto alla direzione della cura. Un’analisi esamina quindi: • le tenaci resistenze adottate dal paziente di fronte al complesso movimento interiore, in virtù del quale passa dal percepirsi come un oggetto malato al riconoscersi come un soggetto sofferente. Un simile passaggio, del resto, ha dei costi anche per gli inconsci desideri di potere o di controllo dell’analista stesso; • la dura opposizione dei pazienti all’emergere involontario, accidentale, inconscio della propria verità sconosciuta; • il possibile sfruttamento, inconsapevolmente perpetrato da parte dello stesso analista, dei fenomeni di sug- 109 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 110 Anoressia: la cura psicanalitica la ridondanza involontaria e nociva di tutele maternalistiche che rischiano di rendere la cura tanto confortevole quanto illimitata. resa dei conti della modernità, impugnando argomenti di taglio fideistico, come quelli che individuano nell’analisi un’esperienza in diritto di esentarsi, per principio, dagli appuntamenti della scienza e della terapia d’oggi; • l’abuso della suggestione a scopo terapeutico. L’anelito a non far soffrire il proprio paziente può spingere l’analista a perdere di vista la consegna etica di impedire che il transfert si cronicizzi nell’idealizzazione e nella soggezione. Può accadergli, per esempio, di non accorgersi che il paziente ha ripreso peso fondamentalmente per compiacere le aspettative del suo nuovo padrone e signore; • l’uso più rigido che rigoroso di alcuni presupposti analitici fondamentali, come quello dell’astinenza dalle prescrizioni e dalle gratificazioni. Si tratta di evitare, infatti, che il setting analitico si ammali a sua volta di una forma di anoressia e di avarizia emozionale, tale da colludere con l’anoressia della o del paziente; • il ricatto del tempo e della fretta, da non sottovalutare nel trattamento di soggetti come questi spesso braccati: a) dalla precarietà delle condizioni fisiche, al limite della sopravvivenza; b) dall’esasperazione dell’ambiente che li circonda, nel quale si tende ad Nodi critici Fecondi sono i nodi critici su cui l’analista è bene che non finisca mai di interrogarsi. Per esempio: • i rischi nel far uso tanto di una posizione direttiva quanto di una posizione attendista: entrambe destinate a prevaricare i tempi e i modi caratteristici del paziente in causa. D’altro canto, i soggetti anoressici – attraverso le urgenze somatiche e la morte reale – mirano a radicalizzare la posizione dell’analista in una direzione o nell’altra; • la tentazione di rinnegare l’etica analitica della disillusione e del disincanto. Tradimento etico favorito anche dalla pressione culturale e scientifica a dimostrare il valore del trattamento con gli argomenti dei numeri e dei successi terapeutici. Una simile sollecitazione a fornire delle prove può indurre a prendere per buone le svariate forme di “fuga nella salute” di cui è inesorabilmente costellato un percorso di cura; • la tentazione opposta di sottrarsi alla 110 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 111 G. Ripa di Meana eccedere tanto nella dilazione quanto nell’urgenza; c) dalla congerie di proposte miracolistiche di cui sono fatti segno da ogni parte; d) dalla struttura orale della loro patologia, avida di risoluzioni subitanee ai problemi; e) dalle profonde difese sintomatiche, messe a repentaglio dagli approfondimenti di una cura lunga e, viceversa, appena sfiorate – se non addirittura protette – da trattamenti brevi, di più corto respiro. chico enigmatico e mascherato. Grazie a questo linguaggio e in mancanza di altre risorse espressive, denuncia un conflitto lacerante sia con se stesso sia con il proprio ambiente al quale si trova saldamente vincolato. L’anoressia si configura quasi sempre come una patologia esplicitamente resistente alla cura, perché – a dispetto delle molteplici dichiarazioni del contrario – la rinuncia ad essa si rivela, per la soggettività inconscia sia del paziente sia della sua famiglia, una perdita secca: ovvero la scomparsa dell’unica lingua in grado di significare ciò che la storia, la cultura, il linguaggio psichico a disposizione fino a quel momento mancano di risorse per articolare. Nonostante l’apparente omogeneità di questi pazienti, l’analista si trova di fronte a persone distinte, sebbene in divisa. Nella divisa dei digiuni, dei rituali di vomito, delle fobie e delle ossessioni relative al corpo e alle deformazioni dell’immagine. In verità l’uniforme sintomatica rischia di attirare chi cura nella trappola della specializzazione e della competenza. “Io so di che si tratta quando qualcuno fa così o si comporta colì”. E, specularmente, da parte del paziente: “Tu sai di che si tratta quando io mi comporto così”. Niente di più illusorio, per un analista. La maschera sintomatica protegge la verità dei desideri prima di tutto dal sog- La scelta del sintomo e il tempo della cura Quando si parla della necessità di un lungo tempo di trattamento, partiamo dal presupposto che, per lo più e con alcune eccezioni, l’anoressia costituisca l’unica invenzione soggettiva che il paziente ha trovato per testimoniare la propria fondamentale impossibilità di sopravvivenza psicosomatica. Il soggetto sembra aver ridotto la sua sola forma di comunicazione con il mondo esterno e con se stesso all’oscura metafora di una soluzione patologica. Si tratta, in altri termini, dell’inconsapevole adozione, da parte di chi soffre, di un linguaggio psi- 111 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 112 Anoressia: la cura psicanalitica getto stesso. Egli li teme e li ambisce, i suoi desideri, con la violenza fanatica con cui tenta di estinguersi. Il messaggio principale che sembrano indirizzare queste ragazze e questi ragazzi – dilaniati dall’ossessione dei pieni e dei vuoti del loro corpo, dal febbrile controllo dei grammi assunti o perduti – il loro messaggio principale, appunto, è di essere aiutati a destreggiarsi con l’ignoranza e con i misteri che li abitano, con le ombre e con gli enigmi del sapere, con i loro desideri di morte, così come con i desideri di vita e di eros, che in loro sono schiacciati da fantasmi di onnipotenza e dalla coazione a evitare qualsiasi perdita, qualsiasi mancanza. Ma tutto questo, ci potremmo chiedere, è applicabile ai grandi numeri della patologia, alle intenzioni inconsce della domanda media dei pazienti, di quelle fanciulle rozze e senza discorso che pullulano soprattutto negli ambulatori dei disturbi del comportamento alimentare? In realtà è tutt’altro che scontato che le pazienti più intellettuali e ricercate siano favorite in una simile impresa; o che, per esempio, sia questa una qualità indispensabile per un lungo lavoro, possibile solo a pochi privilegiati. In realtà le speciali inclinazioni alla cura di ciascuno sono tutte da svelare. Rischiamo di essere fondamentalmente noi a consolida- re un sistema classista di distinzione sintomatica o peggio ancora terapeutica. Non è la classe d’appartenenza a differenziare l’assetto patologico di partenza. Ricchi o poveri, questi soggetti sono tiranneggiati dalle illusioni del controllo. Anoressica, colta più o meno, non chiede altro che di diventare leggera quanto basta per tollerare la propria immagine allo specchio e il sentimento devastante del proprio corpo. Dunque, la sua domanda è tutta là, in quella implacabile rinuncia a nutrirsi. La sua domanda è sotto gli occhi di tutti... eppure, nessuno la intende. Ha scelto questa strada sintomatica e l’ha scelta, in verità, per farsi fraintendere (cioè intendere fra le righe, laddove coerenze e armonie vacillano). Rimpinzata di significati, di luoghi comuni, di buon senso, le arriva da tutte le parti la domanda di essere normale. E lei dice di “no” al cibo in quanto simbolo per eccellenza della domanda dell’altro e dice di “sì” alla propria domanda abnorme, deviante, a una domanda di vuoto e di leggerezza estrema. Niente perdite, niente regole: non resta che l’amenorrea. Ecco che l’anoressia diventa il tragico espediente con cui fanciulli e fanciulle – senza rendersene conto o addirittura convinte del contrario – esigono di avere fame e di patire i morsi della mancanza. 112 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 113 G. Ripa di Meana Con la loro magrezza perturbante, con la loro apparente ottusità, con il gioco spietato che ingaggiano con la morte chiedono di poter aspirare all’oggetto, purché non sia lì a disposizione per farsi divorare. Lo vorrebbero inafferrabile ed evanescente per poterlo desiderare. Chiuso nel sintomo c’è l’anelito a uno spazio di ascolto che non dia cibo o alimento, ma stimoli l’appetito, la fame. Si tratta di uno spazio in cui venga nutrita la dimensione enigmatica del soggetto, in cui venga riconosciuto al desiderio di vuoto lo statuto di una domanda di cura. Di che cosa è allarmato il soggetto anoressico quando si accosta alla cura? Ne teme l’aspetto “alimentare”. Teme, in sostanza, ogni terapia che tenda a nutrire, sia che offra una dieta adeguata sia che offra più subdolamente un cibo per l’anima. Sebbene i soggetti anoressici chiedano (quando sono disposti a chiedere qualcosa) consigli e orientamenti, in verità restano asserragliati nel loro mondo difeso, vivendo l’incontro con chi li cura come una minaccia analoga a quella da cui hanno tentato di salvarsi attraverso la strategia sintomatica. Il discorso più conveniente all’anoressia pare essere quello che rispetta i vuoti, le ombre e gli enigmi cui questi soggetti sembrano fare appello attraver- so la loro particolare costruzione sintomatica. Ma per sostenere una dimensione di enigma e di ombra – nel clima di un transfert solo apparentemente frigido, ma inconsciamente tempestoso e funesto – bisogna che l’analista abbia acquisito una discreta dimestichezza con i propri fantasmi e con le proprie intolleranze alla frustrazione. La scelta di una vera e grave anoressia è di per sé una scelta “culturale”, se con questo termine intendiamo l’adozione di un registro di segni complesso, fuorviante per significare cose semplici, uniche e irrinunciabili per la persona in questione. Alla cura psichica spetta quindi la sollecitazione di una certa dose di inappetenza riguardo al sapere, inteso come controllo e potere sul corpo e sull’anima propria e altrui. Dunque, chi intraprende la cura analitica di un’anoressica o di un anoressico bisogna che sia quanto più possibile allenato a sostenere non il sapere, ma le ombre del sapere; è bene che non si cimenti in una dieta d’interpretazioni miranti a condizionarne, in un modo o nell’altro, il comportamento, ma piuttosto cerchi di aiutare il paziente ad alleggerirsi di tutto quanto, a livello immaginario e simbolico, lo opprime. Si impara così che una magrezza (talvolta anche estrema) può rivelarsi – insieme al sistema di rituali che la sostie- 113 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 114 Anoressia: la cura psicanalitica ne – una condizione imprescindibile perché il corpo pulsionale, facendosi scudo della metafora deviante dell’estinzione e dell’astinenza, riprenda a sentire e magari a patire del linguaggio del desiderio. L’anoressica, con i suoi sintomi, segnala e chiede a chi la cura di venir meno interpretata e più intesa ovvero presa alla lettera del suo ostinato rifiuto che la spinge a digiunare di fronte a una tavola imbandita. Ciò che è lì per lei disponibile e in grande quantità, se e quando le va giù, le ritorna su in forma di espulsione. Dunque, sembra che lei non voglia trangugiare né le parole né il desiderio dell’altro, perché di parole benefiche e di auspici altrui si sente già grevemente nutrita. Tuttavia, l’analista non può ignorare che nel corso della cura di un’anoressia si troverà alle prese quasi fatalmente con una famiglia ostile e con una paziente pronta a palesare obiettivi convenzionali e conservatori («Voglio tornare come prima», ecc.) a fronte di una sintomatologia sovversiva e completamente arcana. È quindi su una simile contraddizione che s’innesta il problema della durata della cura e della malattia. La struttura anoressica con le sue peculiarità fondamentali, in un certo senso, è tutta la vita del soggetto. I sintomi più acuti e drammatici, però, hanno urgenza di ricevere una diversa inscrizione nell’ambito di ciascu- na differente soggettività di ogni singolo paziente. L’aspetto pericoloso dei sintomi, ciò che li fa coincidere con una vera e propria deriva di morte e di dannazione, può attenuarsi relativamente presto una volta che il soggetto avverte che esiste uno spazio in cui c’è qualcuno disposto ad intendere l’unicità e l’inconfondibilità della sua domanda. E che questo qualcuno ha lasciato stare i manierismi delle sue competenze e si è fatto sorprendere dagli aspetti inattesi che il soggetto malato copre, nasconde, sebbene simultaneamente riveli. La clinica analitica dell’anoressia La pancia di Elsa Attraverso la storia di Elsa cominciamo ad entrare nella clinica e nella tecnica analitiche: in questa tecnica che non è una tecnica, pur essendo il risultato di una costante messa a punto di una pratica e di una teoria elaborate e vissute sul campo. «Se potessi tagliarmi la pancia!» – sospira Elsa. Una pancia gonfia, a suo dire “biafrana”, piena d’aria e di spasmi che la fa soffrire costantemente, senza rimedio. Lei non la vuole ascoltare, in- 114 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 115 G. Ripa di Meana tendere: e allora le resta addosso un ventre angusto, deformato dalle scorrerie di parole inascoltate, di significanti stipati lì a fargli perdere ogni funzione, a quel ventre, ogni mistero. B i a - f r a n a : frana, caduta, fallimento di vita (bios) per una donna trentenne, sposata da qualche anno, senza desideri di vita sessuale né di vita feconda. B i a - f r a n a : per scolpire la frana, la rovina del materno sul proprio corpo sterile, e sulla propria vita; su di lei che ha assistito al progressivo smottamento della maternità di sua madre il cui figlio – fratello minore di Elsa – è morto in malo modo dopo anni interminabili di degradazione e di violenza. B i a f r a n a : per quel turgore incongruo poggiato sul suo scheletro, immagine di un terzo mondo, ovvero di un terzo sesso, che gode dell’anfibia onnipotenza di amore e di morte. E B i a - f r a n a : per significare quella razza arcana la cui patetica icona è un implacabile atto d’accusa contro il benessere e la vita. Ecco che della pancia dolorosa di Elsa, della sua spettrale magrezza, della sua esangue e sperduta femminilità può farsi carico una parola convenzionale, la cui struttura significante – immersa nel contesto di quella storia unica e in- confondibile – è in grado di svilupparsi ed estendersi oltre le consuetudini linguistiche e il senso comune. Ma che cos’è il significante, di cui l’analista ascolta il timbro e i fonemi, non meno del senso? È l’aspetto aereo della parola, il soffio del senso, è ciò che insiste nella lingua come il marchio di fabbrica del nostro inconscio, dei suoni primi e degli ultimi che hanno circoscritto e significato il nostro desiderio. Liberi, i significanti del dire di ognuno sfiorano il corpo e lo indicano con la leggerezza della loro immaterialità. Se però – come nel caso di Elsa – restano prigionieri della negazione o dell’oblio possono trasformarsi in aria pura, aria impazzita, incontenibile, insignificabile. All’analista, dunque, non resta che mettersi in ascolto di questi suoni, lasciando al suo stesso inconscio la risonanza di echi imprevedibili attraverso i quali riuscire a proporre i suoi interventi e le sue interpretazioni. Il grasso di Dick E ora un esempio, dalla clinica di Freud. D’improvviso – nel corso di una bella vacanza passata in compagnia di alcuni amici, tra cui una ragazza di cui era in- 115 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 116 Anoressia: la cura psicanalitica namorato – un paziente di Freud, il tenente H. (passato alla storia come il celebre “Uomo dei topi”) si sente spinto, in modo inesorabile e coatto, a dimagrire. Interrompe i pasti e comincia a correre freneticamente sotto il sole per eliminare il grasso: grasso che, di punto in bianco, gli appare insopportabile. Agli stessi occhi del tenente H., questo è davvero uno strano sintomo, incomprensibile. L’analisi freudiana procede come segue. La parola grasso in tedesco si dice dick, ma Dick è anche il nome di un suo rivale in amore che, in quel periodo, gli stava tra i piedi insidiando la sua innamorata. Il tenente H. certamente avrebbe desiderato eliminare quel giovanotto dalla scena della vacanza, ma solo idealmente e platonicamente… almeno per quanto gli era dato saperne in coscienza. Tuttavia per il suo inconscio le cose non stavano proprio così. Le inclinazioni coscienti del grave paziente ossessivo di Freud anche questa volta si rivelavano troppo lontane, remote dalla più complessa trama delle sue voglie e dei suoi desideri inconsci! Una simile distanza faceva sì che, da un lato, il tenente H. si percepisse abbastanza a suo agio in quella indesiderata compagnia, facendo “buon viso a cattivo gioco” (operazione, del resto, tipica del sogget- to anoressico); dall’altro lato che si trovasse, invece, monopolizzato dalle pretese di un sintomo anoressico compulsivo, senza poter far altro che patirne passivamente gli effetti. Come prosegue, allora, l’analisi freudiana di fronte all’ossessione di dimagrire dell’“Uomo dei topi”? Se dimagrire è l’atto cui si aspira per eliminare il grasso e se grasso in tedesco si dice dick, ne consegue che, cercando di eliminare il grasso (ovvero di eliminare dick) il paziente ossessivo di Freud tenti – grazie all’imporsi di una censura inconscia – di fare fuori l’antagonista temuto, di nome Dick. In altri termini, eliminando il suo dick (il suo grasso) il tenente H. tenta, senza rendersene conto, di eliminare il suo Dick (il suo rivale). Si tratta, ancora una volta, di un gioco di significanti che giovano alle difese inconsce del soggetto nella loro opera di distorsione, di spostamento, di mascheramento del desiderio e delle sue leggi. Così, grazie a queste inattese contiguità di suono, di senso e di nonsenso il paziente di Freud soddisfa, sia pure in modo indiretto, la propria brama omicida: per un verso, risparmiandosene la conoscenza cosciente (quindi il rimorso, la colpa e l’impotenza) per un altro, però, pagando proprio questo risparmio di consapevolezza con il 116 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 117 G. Ripa di Meana prezzo altissimo ed alienante di un angoscioso rituale anoressico. Ecco che un simile sintomo (la coazione ad eliminare il grasso) si presenta come un significante che insiste, negli atti del paziente, sganciato dal significato (la voglia di eliminare il rivale) in quel momento inaccessibile. Dunque D i c k , una sequenza acustica che s’impone, che può avere più di un senso, che esiste per differenza e rappresenta il soggetto determinandolo. Il soggetto – contrassegnato e diviso dall’ordine significante delle parole che enuncia – mentre parla e mentre soffre, nomina costantemente qualcosa del proprio desiderio. Così il sogno di Francesca, in una fase della sua giovinezza in cui il desiderio di diventare magra aveva assunto i tratti della fissazione e della manìa, snocciola uno dopo l’altro i significanti-chiave dell’anoressia, sebbene di un’anoressia mancata e, per il momento, di un’anoressia essenzialmente sognata. «Mi peso e mi rendo conto con orrore di pesare 60 kg. Sono terrorizzata soprattutto all’idea che se ne accorgano i miei. Ma, a un certo punto, provo di nuovo… però, questa volta, il mio peso è di 13 kg. Sono felice, entusiasta, di essere così leggera. Tutto si svolge in una scenografia surreale.» Le associazioni al sogno svelano che 60 kg è il peso della madre, mentre il suo peso attuale (ancora gravoso, a suo dire, nonostante tutto) è di 47 kg. Francesca aspira ad essere leggera nel sogno come nella vita, però di una leggerezza surreale per una ragazza di vent’anni: la leggerezza di una bambina, ma, ancor di più, la leggerezza esaltante di una differenza – la differenza tra se stessa e la madre. Fatta questa premessa, che cosa si può presumere che sia accaduto nel sogno? Che il rapido calcolatore dell’inconscio abbia eseguito una sottrazione tale da produrre la differenza tra due misure di realtà (60 e 47 kg) evidentemente impraticabili entram- La leggerezza di Francesca E adesso continuiamo con un breve sogno di una ragazza a dieta, attratta pericolosamente dall’ossessione della leggerezza. Il linguaggio dei sogni è un sistema di segni capace di trasformare in figure e rappresentazioni quanto il linguaggio dei sintomi tende, invece, a realizzare in termini somatici, ritualistici e coatti. Sognare è un privilegio della psiche quando riesce a narrare il proprio conflitto, o addirittura la propria follia, invece di spezzarsi nell’agire cieco del reale e nei cedimenti sintomatici della malattia. 117 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 118 Anoressia: la cura psicanalitica be per questa ragazza. Né come la madre (= 60), né come se stessa (= 47): nessuna delle due soluzioni le è sopportabile! L’oasi felice sembra stare soltanto nella differenza. Del resto, la necessità di distinguersi dalla madre è tanto più urgente e drastica, quanto più viene misconosciuta dalla sua coscienza. Francesca, infatti, non è in grado di riconoscere – né tanto meno di realizzare – questa vitale distinzione, i cui effetti, d’altro canto – quando poi le sarà diventata possibile – si riveleranno molto ardui per entrambe, sebbene fecondi. Al momento del sogno e della dieta, l’identificazione con la madre tende ad assumere i connotati di una vera e propria immedesimazione confusiva. Per Francesca, quindi, avere un peso soltanto diverso dalla madre, non potrebbe bastare (è una misura realistica e una diversità relativa). Nulla di simile sarebbe in grado di fronteggiare e contrastare l’assolutismo e la radicalità della sua pretesa impotente: di essere completamente altra, anche a costo di avere una mole surreale (= 13). Ci vuole, dunque, non una qualsiasi differenza, ma “la” differenza: ossia la quintessenza della diversità dalla madre, la distinzione pura da lei. Allora diventa quello l’obiettivo più ambito, lo scopo da perseguire con autentico fanatismo: «Io sono quel resto senza peso che è la differenza di me da mia madre (60–47 = 13)» suggerisce il linguaggio cifrato del sogno. Questo sembra essere il comandamento inconscio di questa ragazza, la quale sente di portare addosso il peso di un’identità che non le compete, ma di cui non può fare ancora a meno. Anna digiuna l’identità Forse l’aveva partorita una donna zingara, o forse una qualsiasi altra donna esule, illegittima. Comunque il suo viso bruno, non bello ma piuttosto accattivante e astuto, veniva da troppo lontano per quella madre bionda e grassa che le stava seduta di fronte dominata dalla sola ossessione di assimilarla a sé per somiglianza o immedesimazione. La magrezza, in verità, rendeva Anna (17 anni) simile a un insetto. Dalla sua immagine adolescente, infatti, emergeva una sorta di vecchina rattrappita e inafferrabile. «Io so tutto di lei, lei mi dice tutto, non ha segreti per me» asserisce la madre, puntando occhi di sfida sull’analista. E, di seguito, parla incessantemente delle restrizioni alimentari che, quelle sì, non le capisce, le sfuggono. La ragazza, intanto, tace, soddisfatta di essere parlata dalla madre. 118 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 119 G. Ripa di Meana Da un anno Anna è anoressica. Da quando quello zingaro è scomparso per lasciarla in pace: lui, m a l f a t t o r e (lo definisce la madre), lei, ragazza per bene, fiore all’occhiello della mamma. L’ha incontrato in palestra e se ne è innamorata così, di colpo. Non sentiva ragioni, lo voleva a tutti i costi, Anna. Ma lui ha capito che doveva lasciarla stare, le ha confessato che viveva di espedienti e se n’è andato. Insomma «l’ha protetta da se stesso e per fortuna me l’ha restituita come l’ho fatta io» – parola di madre. Una volta rimasta sola con l’analista, la ragazza dice: «Nessun altro ha i suoi modi». L’ha detto subito alla mamma, ma lei non ha voluto sentirne neanche parlare di questo ragazzo, un nomade, un m a l f a t t o r e . Ha provato a dimenticarlo, ma non ce la fa. È un pensiero assillante. Così, lei non mangia più. Eppure, nonostante Anna esibisca un repertorio di sintomi anoressici classici, l’analista non può ignorare che tra lo zingaro scomparso e la ragazza che le siede davanti esiste una misteriosa affinità. Sembra che si tratti, però, di un’affinità che scava un vuoto: il vuoto che i digiuni di Anna non vogliono colmare. Nei pochi momenti in cui la ragazza resta sola con l’analista, la madre scalpita fuori dalla porta e pretende di raccogliere subito e personalmente l’esito dell’incontro, le prospettive e il progetto di guarigione: guarigione da questo rifiuto di mangiare le cose che le cucina con tanto amore lei, la mamma, cui da un po’, invece, la figlia risponde in modo violento, con scenate che non aveva mai fatto prima. Tuttavia, la madre apprende con diffidenza che la cura è cura d’anima che solo le parole che pronuncerà Anna contano... nient’altro. Per Anna, infatti, non c’è che parlare di sé, della sua storia e tessere una propria memoria. La ragazza, per parte sua, è animata da una certa curiosità. Fa appello alla madre. Vorrebbe cominciare. Il giorno dopo, invece, la madre telefona per dire che Anna abita troppo lontano dallo studio dell’analista e, quindi, non può raggiungerlo: troppa fatica per lei. Prima del congedo, però, sente la necessità di fare una confidenza all’analista. Anna è una figlia adottiva, ma non lo sa. Non era stato necessario dirglielo, perché lei, la madre, è stata una madre completa, una madre a tutti gli effetti, tanto che Anna le somiglia «come due gocce d’acqua. Ha il corpo proprio come il mio, è evidente a tutti». La fantasia che nel corpo obeso e deformato della madre sia immanente e palese la silhouette di quella macilenta ragazzina “straniera” è un’idea abbastanza eccentrica e paradossale da 119 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 120 Anoressia: la cura psicanalitica consentire, grazie anche alla rivelazione del “segreto”, la messa a fuoco di un quadro diagnostico più complesso ed elaborato. «Del resto» – prosegue la madre – «Anna, appena nata, sputava ed evacuava tutto quello che le veniva dato da mangiare. È sempre stata strana col cibo. Sarà per questo che oggi non vuole mangiare! ». Dunque la madre di Anna liquida, con queste parole, l’eventualità che quanto accade alla figlia sia un evento soggettivo e non piuttosto un meccanismo oggettivo che le è piombato addosso senza alcun senso, da sottoporre a qualche esperto capace di rimetterlo adeguatamente in funzione. Comunica, perciò, all’analista che soltanto lei, in quanto madre, è in possesso del mistero della figlia e, di conseguenza, quest’ultima non ha nulla da aggiungere. La ragazza deve restare fuori dalla propria storia: non la può e non la deve recuperare. Anna ha forse definitivamente perduto la propria soggettività nel momento stesso in cui, per caso, l’aveva incontrata. Da sempre questa fanciulla sputa ed espelle, attraverso il nutrimento reale, quella parola sulle proprie origini che le è stata negata. Chiusa fuori di se stessa Anna non può alimentare che il vuoto di un soggetto perduto. Il “no” di questa ragazza, quindi, è il “no” strutturale di una negazione non pronunciata da lei, ma da cui si trova, fin dalla nascita, in-nominata. Così Anna precipita nell’anoressia quando incontra sulla sua strada – tutta piena di evitamenti e di garanzie – l’ombra di se stessa, sotto le spoglie di un giovane zingaro. La soggettività di Anna affiora dall’agguato amoroso di quel nomade m a l f a t t o r e , il quale, in verità, sembra rappresentare l’unico b e n e f a t t o r e riconosciuto dalla ragazza. Il suo concepimento, infatti, si era rivelato inconcepibile per ben due volte: non riconosciuta da chi l’aveva messa al mondo, Anna successivamente si trova ad essere misconosciuta nella sua diversità proprio dallo smodato riconoscimento dei suoi genitori adottivi, tutti tesi a negare la loro sterilità. Lei, infatti, deve essere identica alla madre adottiva, deve sostenere il suo delirio di maternità naturale, lasciando che vengano misconosciute, una volta di più, le sue origini e la sua differenza. Il ritrovamento momentaneo di un frammento del suo “io” zingaro espulso e negato è destinato a scomparirle davanti come un riconoscimento impossibile. Espropriata, allora, dell’unica immagine b e n f a t t a della sua anima, Anna non trova altro riscatto che quello di annientare ogni traccia del cibo materno, riducendo il proprio corpo e la propria figu- 120 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 121 G. Ripa di Meana ra ai lineamenti inconfondibili di misteriose radici. Questo brano di analisi è l’esito di una sola seduta e di una telefonata: niente di più. Riportarlo in questa sede ha la duplice funzione: innanzitutto di mostrare come l’ascolto dell’inconscio e la sua diagnosi non richiedano di per sé tempi sterminati, nonché presunti illimitati approfondimenti, in quanto è verosimile cogliere, anche in poche battute, la questione attuale che colloca un soggetto dentro o fuori di una cura psichica; e in secondo luogo ha la funzione di segnalare come questo, che può apparire soltanto un insuccesso terapeutico, possa forse rivelarsi come una tappa feconda nel successivo cammino di cura della paziente. E questo grazie alla particolare maniera in cui si sono articolati questi due momenti di agnizione e di transfert: la segreta disponibilità della figlia ad elaborare la propria storia e la segreta confidenza telefonica della madre. Uno psicanalista, infatti, non lavora per mietere successi terapeutici, bensì per aiutare i propri pazienti in un lavoro di semina, tessitura e ripescaggio di quanto costituisce la causa ignota della sua disperata soluzione sintomatica. Tale lavoro, però, non sempre è destinato ad avere nozione dei propri esiti favorevoli, perché sono precisamente questi ultimi che – in virtù delle peculiari vicissitudini del transfert – tendono a prendere vie traverse e ad organizzarsi in rinvii e spostamenti rispetto al sistema lineare di aspettative e convinzioni. I fallimenti di Alberto Per concludere, il caso che segue ci mostra la nascita, il senso e la funzione di un sintomo di transfert. A un anno dall’inizio del suo lavoro analitico, Alberto – che aveva annoverato, prima della cura in corso, vari ricoveri senza che le sue ossessioni alimentari subissero alcun alleggerimento – aveva ripreso un buon numero di chili, adottando una dieta salutista e rigida, ma non affamante. L’analista – che lo aveva accolto in uno stato di estrema emaciazione, praticamente ai limiti della sopravvivenza sia fisica sia mentale – vive questo cambiamento non senza una certa soddisfazione, senza peraltro perdere di vista il fatto che il cammino appena cominciato prospettava rischi di percorso abbastanza insidiosi. È questo il punto in cui analista e paziente sono proprio in alto mare, perché non appena il sintomo si fa scalfire, il re è nudo. In altri termini: è esposto il paziente con tutta la sua problematica, non più protetta dal sintomo; 121 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 122 Anoressia: la cura psicanalitica ma non meno esposto è l’analista di fronte alla tentazione di sentirsi capace, competente e riuscito. Proprio in questa fase, il paziente fa il seguente sogno: «Sto davanti allo specchio. Vedo un altro me stesso che si scolla da me». Alberto ha lasciato il sintomo e si è diviso in due. Lì, nello specchio, ha incontrato il sosia. Entrando nel territorio della cura – dove ci arriva forzato dalla famiglia dopo un ennesimo ricovero – questo giovane uomo finalmente riesce ad abbozzare una domanda: riesce a vedere nella superficie speculare che gli offre l’analista, con la propria discreta presenza e con il proprio rispettoso ascolto, l’altro che lui stesso è. Ma per Alberto l’altro è l’invasore e perciò si è abituato ad espellerlo al prezzo di depauperarsi, di immiserire materialmente la propria consistenza corporea riducendola all’osso, per l’appunto all’osso di se stesso. È questo il decorso della strada anoressica: ridursi fisicamente, magari fino all’estinzione, col delirante e inconscio progetto di cancellare, attraverso se stessi, le tracce dell’altro. In verità, quand’anche sotto le spoglie del medesimo, la nuova presenza è intollerabile. Così, nel seguito del sogno, lo specchio va in pezzi, si frantuma... si sbriciola, ed è la sua stessa identità che va in pezzi: «Delle schegge mi finiscono tra le gambe e nei capelli». Tuttavia allorché nel sogno lo specchio si spezza, irrompe l’aspetto parassitario di un fallo paterno pericoloso. «Mi trovo in un boschetto con Maria. Ci sono dei funghi enormi. “Sono porcini – le dico – ma non toccarli! Della polverina potrebbe restarti sulle mani e, qualora fossero velenosi, potrebbe intossicarti”». Tentativo estremo, forse, per segnalare all’analista di non toccare quella pericolosa polvere di significanti in cui si trova la sua verità soggettiva, che potrebbe far male a lui come all’altro. Sembra che Alberto abbia inteso fino a che punto nel lavoro di analisi l’analista sia in gioco, o meglio, a rischio. Ma l’analista è lì per cogliere ogni occasione che consenta alle parole fondamentali di risuonare. È allenato al loro veleno e alla loro leggerezza. Ma, da quel momento, Alberto comincia a vivere abitato dal sosia: da un’ossessione con cui commenta e giudica i suoi atti quotidiani, in particolare ogni volta che incontra la propria immagine in uno specchio, in una vetrina o in una superficie riflettente qualsiasi. Non si tratta di un’allucinazione uditiva, ma di un torturante rovello che lo giudica e lo sanziona con una parola soltanto: Fallito!. Alberto è disperato perché, in qualsiasi momento si profili un’occasione di compiacimento, implacabile e pe- 122 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 123 G. Ripa di Meana rentorio il sosia commenta: Fallito!. Sogni come questi appartengono a pieno titolo a quel tipo di formazioni dell’inconscio che costituiscono un vero e proprio viraggio nell’ambito di una cura. Lasciano una traccia sintomatica insistente che funziona, però, come una dolorosa, ma necessaria, stella polare del lavoro di transfert. Una volta nel transfert, Alberto perde la corazza del sintomo e, come il sogno segnala, trova al di là di se stesso un doppio. Si tratta di un io appena nato, che lui sente come mediocre, le cui dimensioni annunciano, in tal modo, il tema di svalutazione, evocato in seguito dall’apostrofe: Fallito!. Inoltre lo specchio del sogno si spezza e, al posto del doppio, irrompe un oggetto orale osceno (i funghi porcini) e persecutorio che, da quel momento, avvelena, la sua vita e la sua analisi. Questo oggetto orale fallico (e il fungo ne è un discreto simbolo) – già persecutorio nella fase anoressica pura, sotto forma di cibo rifiutato – passa dal presentarsi come un frammento onirico, immaginale, fantastico, all’imporsi come un frammento linguistico, vocale, ossessivo in cui si concentra il carattere fallimentare (ovvero fallico-alimentare) del vincolo tiranno e violento esistente tra i suoi due genitori alle prese con lui stesso in qualità di oggetto mancato del loro desiderio. Allora, vediamo come il significante f a l l i t o , puro riflesso sonoro, abbia assunto il carattere assillante di un’ossessione: probabilmente proprio in virtù dell’imposizione al godimento orale (Fallo alimentare!) che nel suo inconscio si configurava come l’unica premessa simbolica che fosse stata in grado di accoglierlo alla nascita. Figlio primogenito, unico maschio, Alberto assume fin da piccolo un’alimentazione che potremmo definire traumatica, in quanto resa innaturale e coatta dal fondamentale disamore della madre. Donna fatua e superficiale, quest’ultima, era preoccupata essenzialmente della propria immagine e del proprio status sociale, facendosi agguerrita nel repertorio dei segni-simbolo della maternità, trasformando il proprio atto di nutrice in un rito di celebrazione alimentare e fallica. Attraverso questo rito la madre tentava di dar corpo e pienezza al vuoto di funzione del marito sia come uomo sia come padre. Quest’ultimo, a sua volta, poneva il proprio accento sulla potenza fallica alimentare della madre (con una prescrizione di fatto: fallo alimentare!), per garantire a se stesso l’esercizio clandestino della propria incontinenza pulsionale. Il padre, pronto a lavorare per mantenere i bisogni della famiglia, era – secondo la ricostruzione di Alberto – del 123 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 124 Anoressia: la cura psicanalitica tutto impreparato di fronte ai desideri della moglie, che tradiva regolarmente con altre donne. Contando così sull’incastro reciproco tra madre e figlio, avvitato intorno all’idealizzazione del fallo alimentare della nutrice, questo padre si sottraeva alla vendetta della sua donna come all’odio rivale di un figlio che avesse maturato le risorse per diventare un uomo. Così, immerso fin dalla nascita nella doppia prescrizione inconscia di un padre fedifrago – tu madre, fai di tuo figlio il fallo alimentare; e tu figlio alimenta il desiderio di tua madre e falla alimentare – Alberto si è trovato, nel tempo dell’emancipazione e dell’autonomia, a dover supplire a una profonda carenza di posizione simbolica all’interno del triangolo edipico, sottraendosi attraverso l’anoressia ad ogni forma di piacere orale. Insomma, possiamo concludere che questo paziente precipita nell’anoressia in virtù del suo peculiare scenario o fantasma inconscio: non confondibile e uniformabile con quello di altri soggetti con un’analoga patologia. Nel suo fantasma, appunto, c’è l’ingiunzione paterna al godimento orale, ovvero a non essere altro che il fallo alimentare della madre. Ed è così che dagli stessi imperativi paterni Falla alimentare! e Fallo alimentare! (certo mai pronunciati in questi termi- ni dal padre reale, tuttavia non per questo meno stampati in lui con significanti di fuoco!), possiamo cogliere la deriva di un’altra sequela significante. Questa, passando per i suoni caratteristici della lallazione infantile di copertura ( f a l l a limentare e fallolimentare) si è concentrata nel significante della caduta e dello scacco: F a l l i m e n t a r e . Possiamo supporre che l’anoressia difenda Alberto da profonde angosce di castrazione fallica, le quali – una volta ridimensionato il sintomo – emergono dalla latenza attraverso i significanti angosciosi del fallimento. Questi ultimi – annodandosi a quelli anoressici del difetto e della mancanza – concertano, in un vero e proprio intreccio sonoro, la voce di dentro che intima F a l l i t o . Si tratta di un frammento di parola impazzito che si materializza in un’eco mentale. Un significante molesto e umiliante che emerge, per differenza, in un contesto di altri significanti – derivanti da fallo e da falla – relativi al crollo, alla delusione e al vuoto. Si tratta di significanti anoressici in mezzo ai quali il piccolo io del primo sogno va alla deriva: mancato al desiderio della madre e deluso dalla parola del padre. F a l l i t o , dunque, è un significante ambivalente, per Alberto, precipitato da più punti della catena dei significanti analoghi. 124 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 125 G. Ripa di Meana Da una lato, infatti, tradisce il fatto che la questione alimentare-orale di Alberto è una questione fallica, mentre dall’altro fa affiorare un grappolo di parole legate all’insuccesso e alla rovina. Accade però che, con l’attenuarsi delle coazioni anoressiche nel corso del suo lavoro analitico, Alberto si sia messo a rischio di diventare il fallo alimentare del suo analista. I pazienti si sintonizzano, senza esserne consapevoli, con i desideri inconsci dei propri terapeuti e, quindi, sono tutt’altro che ignari di quanto il loro destino di malattia e guarigione costituisca un fallimento o un premio fallico narcisista per chi li cura. Perciò Alberto, nel momento stesso in cui porta in analisi un suo miglioramento sintomatico, si trova esposto ad occupare la sua più antica e pericolosa collocazione simbolica: questa volta non più rispetto ai suoi genitori ma all’analista, figura – per via di transfert – vicaria. Allora si alimentano le sue smanie primordiali di venire ingurgitato da lui come dalla madre divoratrice del suo fantasma. Di queste smanie, peraltro, Alberto è abituato a non sapere nulla, salvo tutelarsene attraverso automatismi inconsci di difesa a provato esito patologico. Dunque, per avere scampo, a questo giovane uomo non resta che sentirsi F a l l i t o : fallito nel suo compito di fare da fiore all’occhiello dell’altro – dell’analista nella fattispecie. Il suo fallimento, d’altronde, è l’unica carta che si è addestrato a giocare per annullare il dominio dell’altro su di lui. Insomma, per un verso, deve fallire il compito di nutrire – come fallo alimentare – le voglie cannibaliche della madre-analista. Ma, per un altro verso, se l’analista per caso – con la presunta guarigione del paziente – tentasse di appagare la propria bramosia terapeutica, questo significherebbe per Alberto essere utilizzato anche da lui come fallo alimentare. E allora, la voce di dentro insorge, intimando, una volta di più, F a l l i t o ! . Fallito sarebbe anche l’analista se, con questo eventuale successo, si fosse illuso di tenere in pugno la causa del desiderio e della sofferenza del suo paziente. Dunque, F a l l i t o è Alberto in quanto oggetto del godimento materno e in quanto oggetto del godimento terapeutico. E F a l l i t o è il compito del padre di negare, attraverso il figlio, il fallimento della propria virilità. Il che, in termini di transfert, va inteso così: l’analista, sul quale è stata proiettata la figura paterna, non può prendersi il lusso di usare la malattia del suo paziente come un’occasione per dimostrare prima di tutto a se stesso competenze e capacità. 125 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 126 Anoressia: la cura psicanalitica Il compito di Alberto, insomma, non è altro che un compito fallito. Perciò – da sempre tutt’uno con il proprio compito – lui non può che sentirsi un soggetto fallito. Ma F a l l i t o è inoltre il desiderio inconscio del paziente; il desiderio che nulla cambi del sistema patologico che lo ha sostenuto finora: il desiderio che il suo analista sia un analista fallito. E così Alberto cerca nelle vetrine e negli specchi il fallimento della propria cura, intimandosi F a l l i t o ! proprio quando vorrebbe rallegrarsi di se stesso: Alberto, quindi, mentre si perseguita, gode. Gode, per esempio, del fatto che nulla sia cambiato e che lui resterà, come sempre, il fallo dell’altro. Questa è, del resto, la doppia funzione del sintomo: far soffrire e far godere il soggetto simultaneamente e nascostamente. Ciò che fino a quel momento Alberto non aveva ancora sperimentato è che qualcuno sopportasse di non godere del suo atto alimentare: in altre parole che qualcuno rinunciasse a sacrificarlo sull’altare del proprio narcisismo. E sta esattamente in questo l’indispensabile funzione di un transfert ben sostenuto e bene analizzato. Infatti, perché Alberto possa lasciare l’anoressia senza compensarla con un sintomo persecutorio come l’intimazione F a l l i t o ! , è necessario che l’analista aggiunga, a un fon- damentale scetticismo sulle valenze miracolistiche del suo trattamento, una tensione rivolta esclusivamente alle verità che emergono dal discorso del suo paziente e non, viceversa, alla propria riuscita. Solo un lavoro di costante autoanalisi da parte dello psicanalista può favorire i continui smascheramenti ai quali deve sottoporre il proprio egotismo e la propria vanità. Leggendo questi rapidi scorci di clinica analitica, è verosimile contestare l’idea che la parola sia irrilevante per l’anoressica o l’anoressico, soggetti ritenuti spesso fondamentalmente privi di parola. Sembra, viceversa, che essa sia così vitale da rendere il paziente di frequente refrattario persino agli effetti benefici degli psicofarmaci. E così la psicanalisi, che di parole e del fatto di parlare si occupa, si configura come uno dei trattamenti d’elezione nelle anoressie più resistenti. Riferimenti bibliografici Balint E On Being Empty of Oneself. Int J Psycho-Anal, 44: 470-480, 1963. Bemporad JR, Herzog DB Psychoanalysis and Eating Disorders. The Guilford Press, New York, 1989. 126 1802_99 Cap. 6 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 127 G. Ripa di Meana Cuzzolaro M, Ripa di Meana G La resistenza nelle terapie psicoanalitiche. Osservazioni sull’anoressia nervosa. Psicobiettivo, 3: 15-28, 1990. Birksted-Breen D Working with an Anorexic Patient. Int J Psycho-Anal, 70: 29-40, 1989. Boris HN On the Treatment of Anorexia Nervosa. Int J Psycho-Anal, 65: 435-442, 1984. Freud S (1909) Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (Caso clinico dell’Uomo dei Topi) (In appendice gli appunti di lavoro del 1907-1908). In: Opere, vol 6, Boringhieri, Torino, 1974. Bruch H Eating Disorders, Obesity, Anorexia Nervosa and the Person Within. 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Risen R The Psychoanalytic Treatment of an Adolescent with 128 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 L 14:51 Pagina 129 A TERAPIA COGNITIVOCOMPORTAMENTALE A. Banderali Associazione Nazionale Specialisti in Scienza dell’Alimentazione Associazione Italiana Disturbi dell‘Alimentazione e del Peso In ogni caso esistono molti resoconti che riportano l’efficacia della CBT anche nel trattamento dell’anoressia nervosa. Per il momento però il razionale per l’applicazione di interventi CBT nell’anoressia nervosa si basa quasi esclusivamente sull’esperienza clinica, dato che, come è stato già detto, esistono ancora poche ricerche controllate. Introduzione L’efficacia della terapia cognitivocomportamentale (CBT) per il trattamento della bulimia nervosa è stata supportata nel passato decennio da dati di ricerca imponenti ed è ora considerata il trattamento elettivo per la cura di questo disturbo. Per l’anoressia nervosa, al contrario, ci sono meno dati empirici. Dal 1953 ad oggi sono stati effettuati più di sessanta studi di followup, ma poche sono tuttavia le ricerche controllate che mettono a confronto i diversi approcci terapeutici. Ciò in parte è dovuto alle difficoltà pratiche che si hanno quando si vuole fare ricerca sull’efficacia dei trattamenti. C’è poi da considerare che l’anoressia nervosa ha un’incidenza più bassa della bulimia nervosa, richiede una terapia più lunga e spesso il progetto terapeutico viene complicato dal fatto che alcune pazienti devono essere ospedalizzate. Fattori causali La teorie che sostenevano un singolo fattore causale nel corso degli ultimi decenni sono state rimpiazzate da una visione di tipo multidimensionale. I pattern sintomatologici rappresentano la via finale comune che risulta dall’interazione di tre ampie classi di fattori predisponenti: 1) culturali, 2) individuali (psicologici e biologici) e 3) familiari (Fig. 1). Si presume che questi fattori causali interagiscano l’uno con l’altro in 129 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 130 La terapia cognitivo-comportamentale Figura 1 Multifattorialità dei disturbi dell’alimentazione. FATTORI PREDISPONENTI FATTORI PRECIPITANTI Individuali Insoddisfazione per il proprio peso e forme del corpo Familiari FATTORI PERPETUANTI Fare la dieta per migliorare l’autostima e il controllo di sé Sintomi da digiuno e reazione degli altri Culturali modi diversi fino a portare allo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione. I fattori precipitanti sono compresi in modo meno chiaro ad eccezione del fattore dieta che è un elemento precoce di questi disturbi. I maggiori progressi sia nella comprensione sia nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione sono derivati dalla comprensione degli effetti perpetuanti del digiuno con le sue conseguenze psicologiche, emotive e fisiche (Garner, 1997). l’anoressia nervosa come la bulimia nervosa venga alimentata da idee disfunzionali nei confronti del peso e delle forme corporee, che in molti casi derivano dagli imperativi culturali che impongono di raggiungere un peso assolutamente non realistico. Data l’attuale pressione culturale verso la magrezza non è difficile capire come ragazze, donne, in particolare quelle con una scarsa autostima, possano arrivare a concludere che i propri fallimenti personali siano in qualche modo collegati al loro peso e che raggiungere la magrezza potrebbe migliorare notevolmente la valutazione che hanno di sé. Tutto ciò porta a seguire diete restrittive che sono in diretto conflitto con i sistemi biologici interni, responsabili della regolazione omeostatica del peso corporeo. Terapia cognitivocomportamentale I più importanti modelli cognitivocomportamentali per il trattamento dei disturbi dell’alimentazione si basano principalmente sul presupposto che 130 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 131 A. Banderali Quando il dimagramento viene raggiunto, il processo viene perpetuato da sintomi emotivi e psicologici secondari alla denutrizione che tendono a mantenere i pensieri disfunzionali e comportamenti idiosincrasici nei confronti del controllo del peso. I costanti tentativi attuati da una persona che segue una dieta per regolare il suo peso verso il basso producono una miriade di sintomi compensatori tra cui anche le abbuffate. Per alcune pazienti che sviluppano un disturbo dell’alimentazione, il fattore motivante, lo sviluppo della malattia, non sembra andare oltre una interpretazione letterale o estrema della dottrina culturale predominante che glorifica la magrezza. Per altre pazienti, invece, lo sviluppo del disturbo si complica a causa del ruolo giocato da una serie di fattori psicologici e interpersonali. Il trattamento cognitivo-comportamentale per i disturbi dell’alimentazione è derivato principalmente dall’approccio di Beck e coll. per la cura della depressione e dell’ansia. All’inizio lo scopo della ristrutturazione cognitiva è di mettere in dubbio errori specifici di ragionamento o attitudini autodistruttive nei confronti del peso e dell’aspetto fisico, per far sì che la paziente diminuisca l’intensità della dieta restrittiva. Molto utili si sono rivelate strategie comportamentali come l’automonitoraggio e la pianificazione dei pasti, che hanno come obiettivo principale quello di normalizzare l’assunzione di cibo. Grande enfasi viene posta sull’analisi della relazione funzionale fra le convinzioni distorte correnti e i comportamenti sintomatici in rapporto al mangiare, al peso e all’aspetto fisico. La letteratura clinica indica che le assunzioni problematiche nei confronti del cibo e del peso sono delle caratteristiche specifiche e persistenti dell’anoressia nervosa, in grado di interferire in modo significativo con la guarigione (Brunch, 1973) e tendono a perdurare o a riemergere nelle situazioni di crisi per molti anni (Dally e Gomez, 1979). Il modello cognitivo-comportamentale per il trattamento dell’anoressia nervosa è stato ampliato per affrontare temi storici, di sviluppo e familiari comunemente descritti dai teorici psicodinamici e familiari (Garner et al., 1997). Aspetti come la paura della separazione, l’abbandono, il fallimento nel processo di separazione-individuazione, l’adattamento del falso sé, il transfert, l’iperprotezione, l’invischiamento, l’evitamento del conflitto, il coinvolgimento inappropriato del bambino nei conflitti fra i genitori e i sintomi come mediatori 131 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 132 La terapia cognitivo-comportamentale della stabilità della famiglia, hanno tutti un significato distorto da parte dell’individuo, della famiglia o di entrambi. Sebbene il linguaggio, lo stile e le interpretazioni specifiche possano differire marcatamente fra il modello cognitivo-comportamentale e i modelli dinamici è evidente che entrambi gli orientamenti sono focalizzati ad affrontare nello specifico il significato e i sistemi di significato del paziente. Le rispettive terapie, inoltre, hanno lo scopo di identificare e correggere la cattive concezioni che si presume abbiano avuto uno sviluppo antecedente al disturbo (Garner & Benis, 1985; Guidano & Liotti, 1993). Il vantaggio dell’approccio cognitivo-comportamentale è che esso permette l’incorporazione di temi di sviluppo, quando si riferiscono ad una paziente in particolare, senza costringere tutti gli altri casi ad adattarsi ad un sistema esplicativo restrittivo. La più lunga durata di trattamento è necessaria in molto casi di anoressia nervosa per superare gli ostacoli motivazionali, per raggiungere un appropriato incremento ponderale e occasionalmente per implementare un ricovero o un day hospital. In questo capitolo presenterò il modello terapeutico per il trattamento dell’anoressia nervosa messo a punto da Garner e coll. La terapia si divide in tre fasi. Nella prima fase è importante costruire una buona relazione terapeutica e stabilire i parametri del setting terapeutico. Nella seconda fase vengono modificati i pensieri disfunzionali relativi al cibo e al peso e si allarga il focus dell’intervento sul deficit del concetto di sé e sulle relazioni familiari e interpersonali disturbate. Nella terza fase, si lavora per prevenire le ricadute e si prepara la conclusione della terapia. La Tabella 1 contiene un sommario delle principali aree di contenuto delle fasi del trattamento. Nella prima fase (che dura circa un mese) la frequenza delle sedute è di due volte la settimana, nella seconda fase (di circa un anno) è settimanale e nella terza fase (di circa sei mesi) è di due volte al mese. La struttura della seduta individuale è simile a quella descritta per la bulimia nervosa. Durata e struttura Il trattamento per l’anoressia nervosa richiede in genere da uno a due anni ed è perciò più lungo rispetto alle sole 19 sedute in 20 settimane proposte per trattare la bulimia nervosa (Fairburn et al., 1993). 132 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 133 A. Banderali Tabella 1 Le maggiori aree di contenuto della terapia cognitiva. Fase I Costruire un’alleanza terapeutica Valutare le caratteristiche principali del disturbo Fornire educazione sui sintomi da digiuno e altri componenti selezionati Valutare e trattare le complicanze mediche Spiegare le funzioni multiple della sintomatologia anoressica Presentare il razionale cognitivo del trattamento Fornire il razionale e i consigli per recuperare un’alimentazione e un peso normali Implementare l’automonitoraggio e pianificare i pasti Interrompere le abbuffate e il vomito L’intervento cognitivo iniziale Aumentare la motivazione per il cambiamento Sfidare i valori culturali riguardanti il peso e le forme corporee Determinare il coinvolgimento ottimale della famiglia Fase II Identificare i pensieri disfunzionali, gli schemi cognitivi e le modalità di pensiero Sviluppare abilità di ristrutturazione cognitiva Modificare il concetto di sé Focus interpersonale nella terapia Terapia familiare Fase III Prevenzione delle ricadute e preparazione per la conclusione Per Fairburn, Marcus & Wilson (1993) ogni seduta include la determinazione dell’agenda, la revisione dell’automonitoraggio, l’identificazione e la modificazione di schemi e comportamenti disfunzionali, il riepilogo della seduta e l’assegnazione dei compiti a casa. Nell’anoressia nervosa sono però aggiunti altri elementi come il controllo del peso della paziente, la discussione del peso all’interno del contesto degli obiettivi da raggiungere, la revisione delle complicanze fisiche e la pianificazione dei pasti (Garner et al., 1997) (Tab. 2). 133 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 134 La terapia cognitivo-comportamentale Tabella 2 Struttura delle sedute. 1. Controllare e discutere il peso della paziente nel contesto degli obiettivi del trattamento 2. Riesaminare le complicanze fisiche potenziali 3. Stabilire l’agenda della seduta nel contesto del peso e delle complicanze fisiche potenziali 4. Rivedere e modificare la pianificazione dei pasti e l’automonitoraggio 5. Identificare e modificare i comportamenti e gli schemi disfunzionali 6. Riassumere la seduta 7. Assegnare i compiti a casa Inoltre nell’anoressia nervosa è necessario attuare delle modificazioni al formato della terapia per prendere in considerazione i bisogni particolari della paziente. L’età della paziente, per esempio, e le circostanze cliniche determinano se la seduta debba essere individuale, familiare o un insieme di incontri individuali e familiari. come requisito fondamentale per un’efficace psicoterapia cognitivo-comportamentale. Questa è particolarmente importante nell’anoressia nervosa in quanto la paziente può iniziare il trattamento con una considerevole resistenza al cambiamento. Spesso infatti le pazienti con anoressia nervosa richiedono una terapia in seguito all’insistenza dei genitori o del coniuge; in questi casi il terapeuta deve ridefinire come scopo della terapia l’esplorazione e la risoluzione di problemi importanti per la paziente. Per attingere materiale cognitivo, affettivo e comportamentale dalla paziente è necessario sviluppare una buona alleanza terapeutica. Non è raro poi che le pazienti arrivino alla consultazione con alle spalle una storia di trattamenti terapeutici falliti. Fase I La relazione terapeutica Beck e i suoi colleghi (Beck, 1976; Beck et al., 1979) hanno enfatizzato l’importanza dell’alleanza terapeutica 134 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 135 A. Banderali È importante, oltre a fornire una valutazione realistica dei potenziali esiti, che il terapeuta instilli la speranza di guarigione. Sono numerose le esperienze cliniche che attestano che molte pazienti guariscono dopo parecchi fallimenti terapeutici. Le pazienti che non sono in grado di iniziare il trattamento possono essere aiutate a gestire i loro sintomi mantenendo una prospettiva fiduciosa nei confronti di un futuro cambiamento. Tali sintomi spesso sono considerati specifici dei disturbi dell’alimentazione ed è importante che il terapeuta li riattribuisca alla dieta o al digiuno. Il terapeuta deve rivedere insieme alle pazienti i sintomi da digiuno identificati da un noto studio eseguito su volontari sani (Keys et al., 1950) (Tab. 3). La dieta restrittiva fa aumentare il rischio di abbuffate Argomenti psicoeducazionali Le pazienti dovrebbero essere educate anche sul fatto che la dieta è il principale meccanismo che favorisce le abbuffate (Polivy & Herman, 1985; Garner et al., 1985; Garner, 1997). Il fatto che le abbuffate possono verificarsi in assenza di una psicopatologia primaria è sorprendente per molte pazienti e può fornire un trampolino per una nuova comprensione dei loro sintomi. Oggi c’è un accordo sull’utilità di incorporare la psicoeducazione nella maggior parte degli approcci al trattamento dei Disturbi dell’Alimentazione. Qui di seguito sono riportati alcuni temi fondamentali dell’intervento educativo. Sintomi da digiuno Le pazienti con disturbi dell’alimentazione di solito non interpretano le loro preoccupazioni per il cibo, gli impulsi ad abbuffarsi, lo stress emotivo, il deterioramento cognitivo e l’isolamento sociale come secondari ai loro estremi tentativi di ridurre o controllare il peso. La dieta non funziona Studi di follow-up a lungo termine sul trattamento dell’obesità indicano che il 90-95% di coloro che perdono peso lo riacquistano entro pochi anni (Garner & Wooley, 1991). 135 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 136 La terapia cognitivo-comportamentale Tabella 3 Gli effetti del semidigiuno secondo il Minnesota Study del 1950. Attitudini e comportamenti nei confronti del cibo Preoccupazioni per cibo Collezione di ricette, libri di cucina e menù Abitudini alimentari inusuali Aumento del consumo di caffè, tè e spezie Uso della gomma da masticare Abbuffate Cambiamenti emotivi e sociali Depressione Ansia Irritabilità Instabilità emotiva Episodi psicotici Cambiamento di personalità nei test psicologici Isolamento sociale Cambiamenti cognitivi Diminuzione della concentrazione Scarsità di giudizio Apatia Cambiamenti fisici Insonnia Debolezza Disturbi gastrointestinali Ipersensibilità al rumore e alla luce Edema Ipotermia Parestesia Diminuzione del BMR Diminuzione dell’interesse sessuale 136 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 137 A. Banderali Le pazienti possono trarre dei benefici dalla comprensione che il fallimento della dieta restrittiva nella perdita di peso permanente non è in relazione ad una perdita di forza di volontà ma trova le sue radici nella biologia. Infatti questa fa sì che il decremento ponderale produca nell’organismo degli adattamenti metabolici finalizzati a far tornare il peso corporeo ai livelli mantenuti normalmente. raggiarne l’uso è spiegare alle pazienti che i lassativi non sono efficaci per prevenire l’assorbimento delle calorie. Complicanze fisiche Le pazienti che soffrono di anoressia nervosa devono essere sempre sottoposte ad un esame medico accurato per valutare il loro stato fisico ed eventualmente per identificare la presenza di complicanze mediche associate alla denutrizione e a certi comportamenti estremi per la perdita di peso. Ciclo autoperpetuante di abbuffate e vomito Il vomito autoindotto e l’abuso di lassativi vengono utilizzati all’inizio per prevenire l’aumento di peso, eliminando le calorie introdotte con una alimentazione normale o un’abbuffata. Diventano autoperpetuanti perché permettono alla paziente di soddisfare il bisogno di mangiare eliminando però il feed-back negativo che l’abbuffata produrrebbe su un’ulteriore assunzione di cibo. Educazione riguardo ai disturbi dell’alimentazione Molto tempo va dedicato alla chiarificazione dei miti riguardanti l’eziologia e le complicanze dei Disturbi dell’Alimentazione, che spesso derivano da rapporti inadeguati o conflittuali. Abuso di lassativi Funzione adattiva dell’anoressia nervosa L’abuso di lassativi è pericoloso perché può provocare gravi squilibri elettrolitici e severe complicanze fisiche. L’argomento più convincente per sco- Può essere utile dare alla paziente una formulazione provvisoria del significato personale del suo disturbo specifi- 137 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 138 La terapia cognitivo-comportamentale cando che esso è molto più grave di una semplice dieta. Se la paziente descrive specifiche paure antecedenti il disturbo e conflitti, questi possono venire integrati nella comprensione provvisoria della funzione che hanno i sintomi. Se invece vengono negate specifiche paure, si può presentare uno scenario ipotetico spiegando che la natura funzionale del disturbo spesso diventa più chiara durante il processo di guarigione. glioramenti nelle aree del comportamento alimentare e del peso corporeo. Presentazione del razionale cognitivo per il trattamento Fin dall’inizio i principi fondamentali della terapia cognitiva regolano la condotta e il contenuto della terapia. Viene data primaria fiducia all’esperienza conscia invece che alle motivazioni inconsce. Viene posta enfasi sui pensieri disfunzionali, sulle assunzioni, sui processi schematici e sui sistemi di significato in quanto variabili di mediazione che contano nei comportamenti maladattivi e nelle emozioni negative. Vengono utilizzati dei questionari come strumento terapeutico fondamentale, il terapeuta utilizza un approccio attivo e direttivo. Viene enfatizzato il lavoro svolto al di fuori della seduta come mezzo per esplorare i pensieri disfunzionali e i pattern di pensiero. La discussione del modello cognitivo-comportamentale nel trattamento dell’anoressia nervosa, rispetto a quanto fatto nella bulimia nervosa, deve essere modificata in modo da adattarsi alla motivazione presente della paziente. Al contrario di quello che accade L’approccio binario al trattamento Il contenuto della terapia può essere diviso in due binari. Il primo affronta questioni legate al peso, alle abbuffate, al vomito, alla dieta ferrea e ad altri comportamenti che mirano al controllo ponderale. Il secondo affronta temi psicologici come l’autostima, lo scarso concetto di sé, l’autocontrollo, il perfezionismo, l’espressione delle emozioni, la regolazione degli impulsi, i conflitti familiari e il funzionamento interpersonale. All’inizio della terapia si pone una maggiore enfasi sul primo binario enfatizzando l’interdipendenza tra funzionamento fisico e mentale. Il trattamento poi si sposta gradualmente sul secondo binario, quando si sono verificati dei mi- 138 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 139 A. Banderali nella bulimia nervosa, dove i sintomi sono più egodistonici, all’inizio del trattamento con le pazienti affette da anoressia nervosa è consigliabile resistere all’insegnamento del modello cognitivo o all’inserimento rapido di tecniche per l’identificazione e la correzione dei pensieri disfunzionali. Le pazienti sono resistenti ad accettare un modello di modificazione dei loro pensieri perché preferiscono i loro sintomi egosintonici e non sono motivate al trattamento. È consigliabile che i principi cognitivo-comportamentali vengano esemplificati con gradualità nel corso della fase iniziale del trattamento. L’educazione è la prima procedura cognitiva da implementare con lo scopo esplicito di modificare le convinzioni della paziente attraverso una corretta informazione. Altro modo di presentare il modello cognitivo all’inizio della terapia è fornire degli esempi. mentare e al controllo dei sintomi dipende dal livello corrente di motivazione della paziente. Se la delineazione di concreti obiettivi di peso va oltre il livello di motivazione o tolleranza al cambiamento della paziente, l’attenzione andrà allora spostata per cercare di aumentare le motivazioni al cambiamento. Di seguito saranno presentati brevemente alcuni metodi per normalizzare l’alimentazione e il peso. Affrontare l’aumento di peso Nell’anoressia nervosa il peso e l’aumento ponderale devono essere affrontati direttamente. Le pazienti in molti casi arrivano al primo incontro opponendosi in maniera determinata al controllo del loro peso. Va ricordato che esistono molti motivi del perché tale atteggiamento è controterapeutico, se non irresponsabile. È preferibile che il peso sia monitorato dal terapeuta in quanto le variabili ponderali forniscono dati utili sugli aspetti cognitivi, affettivi e comportamentali della paziente. Il peso deve essere controllato in ogni seduta e il suo valore va riportato su un grafico. Razionale e consigli per la normalizzazione dell’alimentazione e del peso corporeo Determinare una soglia di peso corporeo minimo Le pazienti che soffrono di anoressia nervosa devono essere informate La formulazione di obiettivi legati al peso corporeo, al comportamento ali- 139 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 140 La terapia cognitivo-comportamentale che è possibile effettuare il trattamento ambulatoriale solo se il loro peso non scende oltre un determinato livello minimo. Se il peso della paziente all’incontro iniziale è vicino a questa soglia, si deve stabilire chiaramente il livello ponderale minimo per continuare il trattamento ambulatoriale. Tuttavia non ci sono regole assolute che riguardano questo minimo, in quanto esso dipende dalle condizioni generali di salute della paziente, dalla presenza di complicanze di tipo fisico e dalla capacità di fare progressi nel trattamento ambulatoriale. Se il peso della paziente scende sotto il minimo stabilito dovranno essere disponibili alternative come il day hospital o il ricovero in ospedale e occorrerà spostare il focus della terapia per convincere la paziente che questi provvedimenti sono necessari. La determinazione di un obiettivo di range di peso, durante gli incontri iniziali, dipende dal livello di motivazione e di impegno della paziente nei riguardi del trattamento. La paziente deve comprendere l’importante significato biologico del raggiungimento di una soglia di peso minimo è che è necessario raggiungere questo livello di peso per guarire. Pur essendoci delle differenze individuali, il peso minimo, nelle donne che hanno già avuto il menarca, corrisponde circa al 90% del peso più elevato raggiunto. Questo peso in genere favorisce la ripresa del funzionamento ormonale e delle mestruazioni. Pianificare i pasti Le pazienti che hanno bisogno di una struttura per normalizzare il loro comportamento alimentare possono trarre beneficio maggiore dalla pianificazione dei pasti piuttosto che dall’uso dell’automonitoraggio che offre maggiori vantaggi nel trattamento della bulimia nervosa. Pianificare i pasti significa specificare i dettagli del mangiare, sia in senso qualitativo sia quantitativo, e stabilire il contesto in cui il pasto deve venire consumato, in altre parole il luogo e l’ora. La pianificazione dei pasti non mira solo alla rialimentazione, ma anche a valutare la motivazione e a far emergere i pensieri disfunzionali della paziente che diventeranno successivamente l’obiettivo dell’intervento cognitivo. L’inizio di ogni seduta è dedicato a valutare la capacità della paziente di adattarsi alla pianificazione dei pasti e agli eventuali pensieri che impediscono di seguire lo schema alimentare. La pianificazione dei pasti implica molte componenti tra cui: 140 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 141 A. Banderali La quantità del cibo Il numero di calorie che le pazienti necessitano di consumare quotidianamente dipende dal loro peso, dalla condizione metabolica, dalle modalità alimentari e dalla tolleranza al cambiamento. L’ideale è aumentare gradatamente l’assunzione calorica in modo da favorire un incremento ponderale di circa 1/2–1 kg la settimana. Per le pazienti ricoverate il numero delle calorie dovrebbe essere stabilito in modo da raggiungere un aumento di 1-1,5 kg la settimana. La dieta prescritta alle pazienti ricoverate non dovrebbe scendere sotto le 1500 calorie al giorno e solitamente essere aumentata a 1800 e a 2400 calorie nel corso della prima settimana. 1) l’alimentazione meccanica; 2) il distanziamento dei pasti a intervalli predeterminati; 3) la specificazione della quantità dei cibi. Alimentazione meccanica La paziente dovrebbe mangiare meccanicamente secondo dei tempi ed un piano prestabilito. Il cibo dovrebbe essere visto come una medicina prescritta per vaccinare la paziente contro il craving del cibo e le abbuffate. Una sospensione temporanea della decisione che riguarda il cibo è necessaria nel trattamento quando le pazienti sono particolarmente inclini a essere sopraffatte dall’ansia e dalla colpa in situazioni alimentari problematiche. La qualità del cibo La maggior parte delle pazienti tende a dividere il cibo in “buono” e “cattivo” spesso in base a miti nutrizionali. Uno degli obiettivi del trattamento è quello di aiutare le pazienti ad imparare a sentirsi più rilassate nel mangiare un’ampia varietà di cibi. Un piano settimanale dovrebbe includere delle piccole quantità del cibo che prima era evitato o proibito. Le pazienti che soffrono di episodi bulimici dovrebbero consumare piccole quantità dei cibi che solitamente riservano per le abbuffate. Alimentazione distanziata È importante che i pasti siano distanziati nel corso della giornata. Non si dovrebbe mai saltare la colazione e sarebbe ideale assumere 3 pasti principali e una o due merende. È meglio seguire degli orari predeterminati piuttosto che basarsi sulle proprie sensazioni interiori. La pianificazione dell’orario dei pasti fa diminuire il desiderio di cibo, il bisogno di mangiare in eccesso o troppo poco e la perdita di controllo. 141 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 142 La terapia cognitivo-comportamentale Interruzione del ciclo abbuffate e/o vomito Vi è un sottogruppo di pazienti con anoressia nervosa che si abbuffa e si induce il vomito. In questi casi può essere molto utile per controllare le abbuffate, il vomito auto-indotto o l’abuso di lassativi l’uso dell’automonitoraggio che consiste nel riportare tutti i giorni su un diario i cibi e i liquidi ingeriti e tutti gli episodi di abbuffate, vomito, abuso di lassativi e altri comportamenti estremi di controllo del peso. Nonostante ci sia un accordo generale sul valore dell’automonitoraggio, nell’anoressia nervosa le raccomandazioni relative all’implementazione iniziale e alla flessibilità nell’attuazione di questa procedura sono variabili. passando dal cibo e il peso al significato personale che la magrezza ha acquistato per l’individuo. Lo scopo della seconda fase è di identificare il significato particolare e le funzioni che i sintomi hanno per la paziente e di aiutarla a trovare mezzi più adattivi per raggiungere degli obiettivi costruiti. Riformulare le ricadute Il terapeuta deve preparare le pazienti al fatto che la loro vulnerabilità nei confronti di possibili ricadute bulimiche persisterà particolarmente nei periodi stressanti. Dopo un episodio bulimico, le pazienti si puniscono con valutazioni di sé di tipo disfunzionale che possono portare a sviluppare un circolo vizioso in cui i sensi di colpa e di disperazione complicano ulteriormente il comportamento sintomatico. Le pazienti devono essere incoraggiate a riformulare la ricaduta, riflettendo sui fattori che l’hanno determinata. Per aiutare le pazienti a riformulare le ricadute il terapeuta dovrebbe incoraggiarle a mettere in pratica le cosiddette “quattro R”: 1) Riformulare l’episodio come una scivolata e non come una ricaduta. 2) Rinnovare l’impegno per una guarigione a lungo termine. Fase II Modificare i pensieri disfunzionali relativi al cibo e al peso e ampliare successivamente lo scopo della terapia Nella seconda fase il contenuto della terapia si allarga gradualmente 142 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 143 A. Banderali 3) Ritornare a pianificare un’alimentazione regolare senza usare i mezzi di compenso. 4) Riprendere un controllo sul comportamento per evitare episodi futuri di perdita di controllo. profonda che implica la modificazione dell’identità personale. Sviluppare abilità di ristrutturazione cognitiva La ristrutturazione cognitiva serve per esaminare e modificare i pensieri disfunzionali e prevede diversi passi (Tab. 4). I pensieri disfunzionali e le assunzioni possono essere compresi attraverso una maggior consapevolezza del processo di pensiero. Essi possono anche essere messi in luce dall’osservazione di specifiche modalità comportamentali. La paziente viene poi incoraggiata a produrre ed ad esaminare le evidenze a favore e contro un particolare pensiero disfunzionale. Le successive strategie cognitive sono state descritte per il trattamento di altri disturbi emotivi; tuttavia il contenuto e lo stile sono stati adattati per essere applicati anche all’anoressia nervosa. Identificare i pensieri disfunzionali, gli schemi cognitivi e le modalità di pensiero Nel corso della terapia, il terapeuta deve assistere la paziente perché impari ad identificare i pensieri disfunzionali e gli errori di processo delle informazioni che influenzano le sue percezioni e i suoi pensieri, sentimenti e comportamenti sintomatici. I pensieri disfunzionali o i comportamenti che mantengono un comportamento sintomatico devono essere connessi a schemi, spesso più generali e impliciti, che vengono definiti come assunzioni sottostanti (Beck, 1976) o significati impliciti sovraordinati o modelli schematici (Teasdale & Barnard, 1993). Garner et al. (1982) e Guidano & Liotti (1983) hanno descritto la progressione nella terapia da strutture cognitive più superficiali legate al cibo e al peso ad una ristrutturazione cognitiva Articolazione delle convinzioni Le convinzioni e i pensieri disfunzionali sono intrappolati in resoconti com- 143 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 144 La terapia cognitivo-comportamentale Tabella 4 I passi della ristrutturazione cognitiva. 1. Monitorare i pensieri e aumentare la consapevolezza della modalità di pensiero 2. Identificare, chiarire, distillare e articolare i pensieri disfunzionali nella forma più semplice 3. Esaminare l’evidenza e gli argomenti pro e contro la validità e l’utilità dei pensieri disfunzionali 4. Raggiungere una conclusione ragionata, valutando l’evidenza a favore e contro 5. Fare delle modificazioni comportamentali che siano consistenti, con la conclusione ragionata 6. Sviluppare pensieri alternativi e interpretazioni più realistiche 7. Modificare gradualmente assunzioni sottostanti riflesse da credenze e pensieri più specifici plessi delle esperienze presenti e passate. Le pazienti devono esercitarsi a pensare, hanno bisogno di aiuto per distillare i pensieri disfunzionali dal flusso complesso dei loro pensieri. Attraverso questa tecnica le pazienti possono essere incoraggiate a sviluppare un’idea più realistica dell’impatto che la maggior parte dei loro comportamenti ha sugli altri. Decentramento Sfidare il ragionamento dicotomico Decentrare implica il processo di valutazione di una particolare convinzione da una prospettiva differente in modo da apprezzarne più oggettivamente la validità. È utile in modo particolare per combattere le interpretazioni egocentriche come quella che la paziente è al centro dell’attenzione delle altre persone. Il ragionamento dicotomico (tutto o niente o pensiero assolutistico) è molto comune nell’anoressia nervosa. Lo stile di pensiero dicotomico non è applicato solo al cibo e al peso (cibi “buoni” o cibi “cattivi”), ma si evidenzia anche nelle attitudini estreme alla ricerca del successo nello sport, nella carriera, nella 144 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 145 A. Banderali Sfidare le convinzioni attraverso esercizi comportamentali scuola, nell’essere accettata da parte degli altri. Un importante compito terapeutico è quello di insegnare alla paziente a riconoscere questo stile di pensiero, ad esaminare le evidenze contro di esso, a valutare le sue conseguenze maladattive e a praticare l’adozione di uno stile di vita più bilanciato. La terapia cognitiva ha, come uno dei principali obiettivi, quello di aiutare le pazienti a cambiare il loro comportamento modificando i pensieri disfunzionali e le assunzioni sottostanti. Nel trattamento dell’anoressia nervosa però è importante anche l’effetto del comportamento nei confronti delle modificazioni delle convinzioni. L’ansia e la paura sono centrali nel mantenimento dei sintomi del disturbo. Anche con la più attenta preparazione cognitiva non si elimina la paura associata al cambiamento delle modalità alimentari e all’aumento di peso. Se le pazienti intendono guarire, ad un certo punto, devono iniziare a modificare anche queste condizioni. I cambiamenti comportamentali forniscono una reale opportunità per esaminare, sfidare e correggere le assunzioni false nei confronti del mangiare, del peso e della valutazione di sé. Decatastrofizzare Ellis (1962) ha originariamente descritto la decatastrofizzazione come una strategia per sfidare l’ansia che ha origine dall’esagerare gli eventi negativi. Questa tecnica implica che il terapeuta chieda alla paziente di chiarire delle vaghe ed implicite previsioni riguardo a una calamità ponendo la domanda: «Cosa succederebbe se la situazione che lei teme tanto accadesse realmente? Sarebbe devastante veramente come lei se lo immagina?». Oltre ad aiutare la paziente a moderare le previsioni spaventose sul futuro, il terapeuta può facilitare lo sviluppo di strategie per far fronte alle situazioni che la paziente teme nel caso in cui dovessero verificarsi. Tecniche di riattribuzione Nell’anoressia nervosa non ci sono metodi affidabili per modificare diretta- 145 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 146 La terapia cognitivo-comportamentale mente l’errata percezione delle dimensioni corporee. È utile che il terapeuta chieda alla paziente di attribuire queste autopercezioni corporee al disturbo anoressico e di trattenersi dall’agire basandosi sui pensieri intrusivi, sulle immagini o sulle esperienze corporee. Questo approccio è contrario al generale obiettivo terapeutico di incoraggiare l’auto-fiducia nella validità e nell’affidabilità delle esperienze interne. 1) L’io senza valore che è caratterizzato da bassa autostima, sentimenti di impotenza, senso di identità poco sviluppato, tendenza a ricercare verifiche esterne, estrema sensibilità alle critiche, conflitto tra autonomia e dipendenza. 2) L’io perfettibile che include il perfezionismo, la grandezza, l’ascetismo, lo stile cognitivo tipo new year resolution. 3) L’io sopraffatto che è caratterizzato dalla preferenza per la semplicità, per la certezza e dalla tendenza a ritirarsi da ambienti sociali complessi e intensi. Modificare il concetto di sé La concezione di sé è un costrutto ampio e multidimensionale che include due sub-componenti: autostima e autoconsapevolezza. L’autostima è la componente del concetto di sé primariamente collegata ad attitudini, sentimenti e percezioni che costituiscono la valutazione di una persona o la valutazione del suo valore. Al contrario l’autoconsapevolezza si riferisce alla percezione e alla comprensione dei processi interni che guidano l’esperienza. Vitousek & Ewald (1993) hanno raggruppato il deficit del concetto di sé che caratterizza l’anoressia nervosa in tre ampi cluster: Migliorare l’autostima È riconosciuto che la bassa autostima precede spesso l’apparizione dei sintomi del Disturbo dell’Alimentazione. L’orgoglio che deriva dal raggiungimento del controllo del peso temporaneamente allevia questo disagio. La correzione della bassa autostima, in particolar modo se è pervasiva e di lunga durata, è un compito molto difficile. A un certo punto della terapia le pazienti rilevano di sentirsi esseri inferiori e di non avere alcun valore personale. Per il terapeuta è utile aiutarle a distillare as- 146 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 147 A. Banderali Difficoltà nell’etichettare e nell’esprimere le emozioni sunzioni vaghe riguardo al valore personale in affermazioni semplici e chiare del tipo “mi sento una fallita”. Dopo che le pazienti hanno espresso di avere una bassa autostima è utile intraprendere una discussione più generale al riguardo alle basi dell’autostima e applicare successivamente quello che si è imparato rispetto a una lista di situazioni particolari identificate dalla paziente. Per molte pazienti il peso e le forme corporee sono diventati lo strumento predominante per la valutazione del loro valore. È utile determinare i pro e contro di questa cornice di riferimento per estenderli poi ad altri comportamenti, tratti o caratteristiche che si sviluppano per attuare il processo di autovalutazione che segue le procedure descritte da Burns (1993). Il decentramento può essere usato per analizzare il “bilancio decisionale” nell’approcciare il valore umano. La paziente considera gli altri allo stesso modo? C’è qualcun altro che viene considerato senza valore o inferiore se compie degli errori, è meno intelligente o non agisce in modo perfetto? Lo scopo di questo approccio è di aiutare la paziente a costruirsi un concetto di valore iniziale facendosi alcune domande sul modo in cui valuta se stessa tramite la tecnica del bilancio decisionale. Brunch (1962; 1973) considerò la mancanza di consapevolezza interocettiva, cioè l’incapacità di identificare e rispondere accuratamente alle emozioni ed ad altre sensazioni interne, una caratteristica dell’anoressia nervosa. Osservò che le pazienti che soffrivano di anoressia nervosa “si comportavano come se non avessero diritti autonomi e sembravano credere che né i loro corpi, né le loro azioni fossero dirette da loro stesse”; l’incapacità di identificare e rispondere in modo accurato alle sensazioni interne è stata provata empiricamente (Bourke et al., 1992; Schmidt et al., 1993). La confusione che circonda lo stato inferiore si estende fino alla sfiducia nella validità e nell’attendibilità di attitudini, motivazioni e comportamenti. La mancanza di fiducia nel processo di pensiero si riflette in un esagerato monitoraggio e in comportamenti e atteggiamenti rigidi. I teorici cognitivi hanno attribuito questa tendenza a credenze idiosincrasiche ad assunzioni o schemi che le pazienti che soffrono di anoressia nervosa usano per valutare il loro stato interno (Garner & Benis, 1985). Queste credenze solitamente si incentrano intorno ad attitu- 147 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 148 La terapia cognitivo-comportamentale dini che riguardano la legittimità, la desiderabilità, l’accettabilità o la giustificazione delle esperienze interne. I seguenti commenti fatti da alcune pazienti permettono di capire il problema della scarsa autoconsapevolezza: “non so come mi sento”; “come dovrei sentirmi?”; “non mi arrabbio mai”; “sono sempre piena di energia, non mi stanco mai”. È importante che il terapeuta, una volta che i significati distorti sono stati revisionati, incoraggi la paziente ad eseguire esercizi comportamentali per rinforzare e legittimare le nuove interpretazioni. nel contenuto della terapia, l’affidamento alle procedure cognitive standard continua. Le pazienti tendono ad applicare gli stessi errori di raggiungimento e le stesse assunzioni disfunzionali osservate nelle altre aree anche nelle relazioni interpersonali. Il processo di identificazione e di modificazione degli schemi interpersonali disfunzionali va affrontato con le tecniche di ristrutturazione cognitiva. Terapia familiare Il supporto che deriva dal coinvolgimento della famiglia nel trattamento dell’anoressia nervosa deriva da un gran numero di fonti. Prima di tutto esistono motivi etici, finanziari e pratici per includere i genitori nel trattamento delle pazienti più giovani che soffrono di anoressia nervosa. In secondo luogo le pazienti che sono guarite considerano la risoluzione dei problemi familiari ed interpersonali elementi fondamentali della guarigione. Terzo, anche se i primi studi hanno sopravvalutato l’efficacia della terapia familiare, questo tipo di intervento ha avuto un impatto costante nel trattamento dell’anoressia nervosa e ha ricevuto un sostegno empirico in trial controllati. Focus interpersonale nella terapia Preoccupazioni interpersonali vengono inevitabilmente espresse dalle pazienti che soffrono di anoressia nervosa durante il corso protratto della terapia. Gli schemi di sé e gli schemi interpersonali influenzano e sono influenzati dalle interazioni con gli altri. La letteratura sulla terapia cognitiva ha integrato un numero sempre maggiore di processi interpersonali e schemi senza compromettere la fedeltà alla teoria. Anche se il focus interpersonale della terapia richiede un cambiamento 148 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 149 A. Banderali Fase III 3) Riassumere le aree di continua vulnerabilità Il terapeuta deve sottolineare che la vulnerabilità a sviluppare i sintomi dei Disturbi dell’Alimentazione può continuare per molti anni. Le aree di potenziale vulnerabilità includono: stress professionali, vacanze, difficoltà nelle relazioni interpersonali e improvvisi aumenti di peso (ad esempio durante o dopo una gravidanza). 4) Rimanere in allerta di fronte a segnali premonitori della ricaduta Il terapeuta deve spiegare alle pazienti l’utilità di esaminare i primi segnali di ricaduta con particolare attenzione alla preoccupazione del peso e delle forme corporee, alle abbuffate, ai rapidi aumenti di peso, alle perdite graduali di peso e alla scomparsa del ciclo mestruale. Prevenzione delle ricadute e preparazione per la conclusione Nella terza fase l’obiettivo è preparare la paziente alla conclusione della terapia e fare in modo di sviluppare strategie per ridurre la probabilità di ricaduta. Il terapeuta deve aiutare la paziente a convincersi che potrà riuscire ad affrontare le varie sfide della vita da sola, anche senza la terapia. Di seguito saranno descritti brevemente gli aspetti chiave della fase finale del trattamento. 1) Riassumere i progressi Durante la fase di preparazione alla conclusione della terapia è utile “valutare” i cambiamenti effettuati durante il trattamento. 2) Riesaminare le basi per continuare a progredire Il terapeuta deve riassumere gli aspetti del trattamento che hanno giocato un ruolo chiave nel determinare un miglioramento sintomatico. È essenziale rinforzare l’assoluta necessità di mantenere un comportamento alimentare regolare e non restrittivo. Conclusioni Questo capitolo ha fornito una visione dell’approccio cognitivo-comportamentale nel trattamento dell’anoressia nervosa. Allo stato attuale delle conoscenze il modello cognitivo, come altri approcci terapeutici per la cura dell’anoressia nervosa, deve essere 149 1802_99 Cap. 7 - 3ªBz 29-05-2002 14:51 Pagina 150 La terapia cognitivo-comportamentale Burns DD Ten days to self esteem. Quill William Morrow, New York, 1993. considerato provvisorio perché scarsi sono gli studi di outcome controllati eseguiti. Ad ogni modo i risultati clinici sono abbastanza incoraggianti da supportare ulteriori trial controllati per valutare gli esiti dell’intervento cognitivocomportamentale qui descritto. In questo periodo sono in corso numerosi studi di ricerca rigorosi che potranno fornire i dati necessari a sostenere l’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale nella cura dell’anoressia nervosa. Crisp AH, Joughin N, Halek C & Bowyer C Il desiderio di cambiare. Il primo approccio all’anoressia nervosa. Positive Press, Verona, 1997. Crisp AH, Noeton K, Gowers S, Bowyer C, Yeldaham D, Levett G, Bhat A A controlled study of the effect of therapies aimed at adolescent and family psychopathology in Anorexia Nervosa. British Journal of Psychiatry, 161: 104-107, 1992. Dalle Grave R A multidimensional inpatient treatment for Anorexia Nervosa. 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Pertini” di Roma Può essere indispensabile, in alcune fasi, un ricovero ospedaliero per superare emergenze somatiche o psichiatriche. La flessibilità delle strutture di cura è poi motivata dai frequenti mutamenti, sia nell’espressione dei sintomi, sia nei modi di evoluzione di questa patologia. Oggi, ad esempio, si osservano, con frequenza maggiore rispetto al passato, le forme anoressiche di tipo purgativo, più pericolose e difficili da trattare delle forme restrittive. Un tempo l’AN colpiva con netta prevalenza l’adolescenza e il sesso femminile. Al momento osserviamo un discreto incremento dei casi prepuberi, maschili o in età tardiva. Questa patologia, che prima interessava solo le classi più elevate, è oggi diffusa a tutti i livelli sociali. L’intervento che si effettua su un paziente in condizioni sociali degradate aumenta la già elevata difficoltà di cura. Introduzione Non è difficile teorizzare l’organizzazione di una struttura d’assistenza per l’anoressia nervosa (AN), secondo un modello ottimale, con la disponibilità di tutte le diverse scelte di cura. Al di là del non secondario problema dei costi sanitari, la cura dell’AN è spesso lunga e difficile e la sua larga diffusione richiede strutture che si adattino ai diversi momenti di trattamento con la dovuta flessibilità. L’inquadramento nosografico dell’anoressia comprende forme diverse sia sul piano sintomatico, sia per la comorbidità psichiatrica associata. Pertanto il paziente necessita di una valutazione approfondita personale e familiare e di uno stile d’intervento il più possibile adattato alle sue caratteristiche cliniche. In alcuni casi l’intervento ambulatoriale specializzato è sufficiente a ristabilire un buon equilibrio. In altri si rende necessaria una riabilitazione nutrizionale in ricovero. 153 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 154 Le strutture di ricovero e cura Non siamo in grado di prevedere oggi quali e quante altre trasformazioni potranno presentare questi disturbi, ma dobbiamo evitare di costruire strutture di assistenza che nel tempo si rivelino non adattabili ai possibili cambiamenti della patologia. L’AN è una patologia psichiatrica, in cui il coinvolgimento somatico assume un ruolo spesso drammatico. In passato i casi erano rari e si procedeva con un approccio non sistematico, in cui prevaleva l’intervento psicoterapico. L’intervento medico, raramente guidato da un’esperienza specifica, avveniva solo nei momenti critici e si manteneva distante da quello psichiatrico. L’incremento che negli ultimi 30 anni ha avuto l’AN ha costretto gli specialisti a tentare strade diverse d’intervento. L’esperienza clinica acquisita e l’analisi dei dati di ricerca hanno dimostrato la necessità di integrare i diversi modi di cura in un approccio unitario. La psicoterapia, secondo i diversi modelli in uso (analitico, cognitivo o relazionale sistemico) rappresenta il trattamento d’elezione dell’AN. La sua efficacia, però, è strettamente legata alla possibilità di disporre di altri interventi associati: la sorveglianza internistica, la riabili- tazione nutrizionale, la terapia psicofarmacologica o il counselling familiare. Una buona struttura di assistenza si costruisce in funzione della disponibilità di operatori di diversa competenza, che intervengono come équipe multidisciplinare. L’AN necessita di questo intervento d’équipe, sia per il bisogno di una corretta riabilitazione nutrizionale, sia per le frequenti complicanze somatiche. Le forme anoressiche protratte o cronicizzate sono frequentemente causate da trattamenti scorretti o limitati, che possono essere evitati solo con l’applicazione rigorosa di modelli di cura integrati. Un trattamento integrato, che prevede l’impiego di un’équipe, può avvenire in strutture che vanno dal semplice ambulatorio specializzato al day hospital o al centro riabilitativo residenziale. Siamo ancora lontani dalla possibilità di proporre interventi rapidi e risolutivi, ma molto è stato fatto rispetto agli approcci pionieristici e limitati di un tempo. Offrire un’assistenza adeguata significa disporre di specialisti di concreta esperienza e robusta formazione. In caso contrario anche il centro più organizzato e moderno rischierebbe di non offrire risposte terapeutiche efficaci a patologie così complesse. 154 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 155 G. Caputo solo l’operatore di area psicologico-psichiatrica, ma, con diverso coinvolgimento, tutte le figure professionali impegnate nella cura. Gli operatori, oltre alla specifica esperienza clinica, per collaborare all’intervento d’équipe, devono possedere le qualità per sapere lavorare in gruppo, con colleghi di competenza e formazione diverse. Numerose esperienze mettono in evidenza la tendenza del paziente anoressico a creare conflitti tra i diversi operatori, ostacolando la sinergia e l’intervento integrato. Se si stabiliscono all’interno dell’équipe queste condizioni negative il risultato immancabile è l’inefficacia della cura. Il gruppo deve pertanto essere capace di individuare per tempo ed evitare tali situazioni critiche. Il buon funzionamento dell’équipe si ottiene con l’organizzazione di frequenti riunioni e con la costante discussione dei casi seguiti, alle quali tutto il gruppo deve partecipare. Questi incontri hanno il valore non solo di migliorare il lavoro clinico, ma anche di mantenere una comunicazione vivace tra i diversi operatori. L’équipe deve poi giovarsi di una periodica supervisione, da parte di uno specialista esterno, il quale possa valutare le dinamiche relazionali degli operatori, allo scopo di garantirne la coesione. In questo modo il gruppo as- Formazione degli operatori L’AN rimane una patologia di difficile comprensione sul piano eziopatogenetico e di conseguenza anche l’approccio clinico al paziente è difficile. In genere, lo specialista che cura un soggetto vittima di una sofferenza psichica deve possedere la capacità di comprendere in profondità la condizione del paziente ed il significato autentico dei sintomi perché il suo intervento abbia efficacia. Questa disposizione vale anche nei confronti dell’AN, che presenta delle indiscutibili difficoltà nel poter essere accettata e compresa. L’ostinato rifiuto alla cura, l’ossessività del controllo, la ridotta capacità relazionale e la povertà emotiva, tipiche del soggetto anoressico, producono nell’operatore un senso di impotenza e frustrazione. Solo chi ha lungamente sperimentato questo confronto riesce nel tempo a stabilire un’efficace relazione terapeutica. La “strategia” anoressica è in sé una modalità difensiva, che il paziente utilizza nel tentativo di arginare una sofferenza profonda e inconsapevole e che il terapista deve saper accogliere. Nello stesso tempo non deve sottovalutare i sintomi somatici. Questo atteggiamento non riguarda 155 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 156 Le strutture di ricovero e cura sume la necessaria flessibilità d’intervento, modellandosi sulle prerogative dei diversi operatori e del tipo di utenza. all’impostazione di un corretto iter diagnostico e del trattamento successivo. Deve potersi giovare dell’intervento di altri specialisti esterni (ginecologo, pediatra, neuropsichiatra infantile, cardiologo, ecc.). Nell’intervento ambulatoriale, l’équipe di base ha capacità ampie nella fase di diagnosi, ma limitate sul piano del trattamento. È possibile attuare, su un discreto numero di pazienti, una buona sorveglianza internistica e nutrizionale e, in una certa misura, un programma di riabilitazione nutrizionale. È invece diverso l’intervento di area psicologica-psichiatrica, che può essere molto efficiente per svolgere l’iter L’équipe multidisciplinare e il trattamento ambulatoriale L’équipe multidisciplinare per un ambulatorio specializzato deve disporre di vari specialisti (Tab. 1). Un gruppo così formato è in grado di rispondere alla maggior parte delle richieste di assistenza ed in particolare Tabella 1 Caratteristiche generali dell’équipe multidisciplinare di base. È formata almeno da: uno specialista psichiatra uno specialista internista (nutrizione clinica, endocrinologia, ecc.) uno psicologo clinico uno psicologo per l’intervento familiare un dietista Interviene per: attuare l’iter diagnostico valutare le condizioni somatiche svolgere la riabilitazione nutrizionale organizzare ed avviare il programma di cura Necessita di: periodiche riunioni per discutere gli interventi di cura supervisione esterna per ottimizzare il lavoro e i rapporti tra gli operatori 156 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 157 G. Caputo diagnostico e l’impostazione della cura, ma risulta limitato nel trattamento. Gli specialisti psichiatri e psicologi difficilmente possono attuare trattamenti psicoterapici individuali, che non siano impostati per durate limitate. Diversamente, in breve tempo, gli operatori si troverebbero in una rapida saturazione degli spazi di assistenza per tempi non definibili. L’équipe multidisciplinare prevede la scelta inevitabile di un approccio psicoterapico breve, che dovrà poi proseguire con altri operatori esterni con trattamenti prolungati. Questo aspetto problematico spiega la larga diffusione di interventi in prevalenza di tipo cognitivo, organizzati secondo un numero definito d’incontri, che hanno mostrato la loro validità in molte forme di disturbi del comportamento alimentare. Nel caso dell’AN l’approccio psicoterapico breve è importante perché può produrre nel paziente una maggiore consapevolezza della propria condizione, migliorare la motivazione alla cura ed instaurare un rapporto collaborativo valido. È raro però che questo intervento possa essere in grado di risolvere il quadro clinico. In genere il paziente necessita di un trattamento psicoterapico prolungato e spesso associato ad una terapia dei genitori o familiare. Diventa così indispensabile che l’équipe possa contare sull’intervento di terapisti esterni con i quali la collaborazione deve essere costante e fattiva. La terapia di gruppo, indicata per altre forme di disturbi del comportamento alimentare (bulimia nervosa, sindromi parziali) risulta poco efficace nell’AN. Un ruolo importante, in alcuni casi determinante, è svolto dalle terapie familiari. Il counselling consente di stabilire un rapporto di aiuto e guida per i genitori e deve essere considerato indispensabile. La terapia familiare invece investe tutti i membri della famiglia ed è indicata soprattutto quando i pazienti sono molto giovani (12-16 anni). In ogni caso questo intervento può svolgere un ruolo fondamentale per l’esito positivo della cura e non deve mai essere tralasciato, quando il carico familiare, che il paziente anoressico impone, è molto elevato. L’équipe ambulatoriale rimane comunque il punto di riferimento principale: sorveglia l’andamento delle condizioni cliniche e nutrizionali; interviene quando necessario, con trattamenti farmacologici; gestisce il counselling o la terapia familiare; procede nella riabilitazione nutrizionale (Fig. 1). 157 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 158 Le strutture di ricovero e cura Figura 1 Organizzazione del percorso di cura integrata dell’anoressia nervosa. AMBULATORIO SPECIALISTICO PAZIENTE Fase diagnostica Complicanze somatiche e/o psichiatriche Organizzazione del trattamento Psicoterapia individuale Ricovero ospedaliero Riabilitazione nutrizionale Ricovero salvavita Sorveglianza internistica Riabilitazione residenziale Counselling familiare Day hospital Terapia familiare Ripristino della cura ambulatoriale Un aspetto da non sottovalutare riguarda i limiti numerici della gestione dei pazienti. Un gruppo esperto e ben allenato può svolgere un vasto intervento diagnostico, ma nella gestione successiva del paziente anoressico deve essere attento a limitare i casi seguiti secondo le sue reali possibilità. L’intervento ambulatoriale d’équipe svolge, oltre al servizio di diagnosi e cura, anche un’efficace azione di prevenzione secondaria, attraverso la sorveglianza dei casi subclinici e l’individuazione di situazioni di rischio. Per consolidare il suo ruolo, deve essere a sua volta integrato con altre strutture di cura come centri residenziali o day hospital riabilitativi. È determinante disporre di strutture ospedaliere per il trattamento di situazioni acute. Riabilitazione in centri residenziali o in day hospital La cura psicoterapica, che mantiene un ruolo primario, può proseguire anche molti anni, con il supporto di un ambulatorio specializzato. Si deve impedire che un eventuale lungo trattamento sia costellato di scompensi fisici gravi o situazioni nutrizionali critiche. Ciò spiega 158 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 159 G. Caputo l’importanza di un trattamento integrato e la necessità di cure riabilitative. Può accadere che un’AN si risolva senza gravi evoluzioni somatiche grazie ad un’efficace cura psicoterapica individuale e/o familiare, ma nella maggior parte dei casi la riabilitazione nutrizionale ed il riequilibrio del disturbo dell’immagine corporea rappresentano tappe terapeutiche indispensabili. Abbiamo già definito come un’équipe di base interviene nella fase ambulatoriale per la diagnosi e per la preparazione al trattamento. Se, iniziata una psicoterapia, dopo un ragionevole lasso di tempo, l’impegno somatico e le condizioni nutrizionali e psichiche non presentano variazioni, deve essere presa in considerazione l’opportunità di avviare il paziente ad un ricovero riabilitativo. Tale possibilità deve essere discussa e concordata con il paziente, evitando inutili contrapposi- zioni o imposizioni. Un ricovero riabilitativo si rivela efficace, nella maggior parte dei casi, solo quando può avvalersi della collaborazione del paziente, che deve avere chiari gli obiettivi di una tale scelta (Tab. 2). Pertanto il concetto di riabilitazione non deve essere mai limitato al solo obiettivo di riprendere un peso corporeo corretto, ma estendersi a migliorare le capacità relazionali del paziente. Le strutture atte a rispondere a queste esigenze di cura possono essere organizzate secondo due modalità: il ricovero presso centri specializzati residenziali o in day hospital. L’AN ottiene una buona risposta nella riabilitazione svolta in ricovero continuato presso centri specializzati. In questo caso il paziente subisce un effettivo allontanamento dalla famiglia, che nella prima fase della cura risulta di grande utilità per ottenere una maggiore collaborazio- Tabella 2 Obiettivi del ricovero riabilitativo residenziale o in day hospital. • Ristabilire un rapporto con il cibo più equilibrato e non dominato dall’atteggiamento di controllo ossessivo • Ristabilire un peso corporeo che non sia necessariamente quello più adeguato ma che superi i livelli critici • Migliorare il rapporto con il corpo e ridurre il disturbo dell’immagine corporea • Creare una crescente consapevolezza della condizione di malattia mettendo il paziente a confronto con situazioni simili alle sue • Ristabilire una capacità di socializzare e interrompere lo stato di isolamento • Creare una distanza tra il paziente e le situazioni familiari che possono determinare lo stato di sofferenza psichica 159 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 160 Le strutture di ricovero e cura ne al trattamento. Mentre le strutture di day hospital possono essere facilmente organizzate in un ambito ospedaliero classico, quelle residenziali dovrebbero avere alcune caratteristiche specifiche: – giovarsi di strutture riservate; – essere organizzate in ambienti accoglienti e possibilmente non ospedalieri; – disporre di spazi adeguati alle attività di gruppo, alle terapie corporee ed occupazionali. In passato la tendenza era quella di ottenere dai ricoveri riabilitativi il miglior risultato rispetto alle condizioni ponderali e nutrizionali. Spesso il ricovero era il primo o l’unico tentativo di cura, ma in molti casi queste modalità d’intervento potevano risultare inefficaci, perché il solo miglioramento delle condizioni somatiche non è sufficiente alla risoluzione del quadro. La riabilitazione nutrizionale è proposta con la somministrazione di adeguate quantità di alimenti, che i pazienti, in gruppo, accettano di assumere secondo ritmi equilibrati e senza forzature, guidati dagli operatori (dietisti). Le modalità con le quali si procede alla riabilitazione si rifanno a modelli diversi. In genere ogni équipe sceglie il modello con il quale trova la maggiore rispondenza. La scelta del ricovero riabilitativo deve rappresentare una tappa del pro- cesso di cura, che inizia con la fase diagnostica ambulatoriale e prosegue con il trattamento psicoterapico individuale. Dopo il ricovero la sorveglianza ambulatoriale e la psicoterapia riprenderanno fino al ristabilirsi di condizioni generali compensate. In diversi modelli di trattamento, terminata la riabilitazione residenziale, la cura prosegue con una fase di day hospital per graduare il passaggio ad una maggiore autonomia del paziente. La riabilitazione in day hospital prevede che il paziente mantenga il rapporto con la famiglia e si è rivelata efficace soprattutto nelle bulimie nervose e nelle sindromi parziali. Nell’AN l’intervento in day hospital è consigliabile quando: – i rapporti familiari non sono critici o degradati; – i genitori del paziente sono collaborativi e disponibili a seguire un corretto counselling o una terapia; – le condizioni somatiche e psichiche sono tali da garantire al paziente una buona consapevolezza della necessità di cura; – il paziente non presenta una lunga durata di malattia, costellata di molti ricoveri; – la fase in day hospital rappresenta la continuazione di una riabilitazione residenziale. 160 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 161 G. Caputo Durante la fase di ricovero è importante riuscire a non focalizzare tutto l’intervento sugli aspetti dell’alimentazione e sulla ripresa del peso corporeo. È ovvio che questi obiettivi rimangono primari, ma debbono essere inseriti in un dialogo più ampio con il paziente per evitare che permanga alta l’ossessività relativa al cibo e al controllo del corpo. A tale scopo l’équipe di base, che interviene nei centri riabilitativi residenziali o nei day hospital, è affiancata da altri operatori, che consentono di diversificare le modalità di cura, adattandole al modello di trattamento usato. Sia nel caso di un servizio diurno, sia di ricovero, con una numerosità relativa ai posti letto disponibili, sono necessari: – infermieri specializzati; – dietisti; – terapisti corporei; – terapisti occupazionali; – terapisti di gruppo; – terapisti familiari. Tutti gli operatori citati devono possedere una preparazione specifica ed essere integrati nell’équipe, partecipando alle periodiche riunioni e alla discussione dei casi clinici. Con l’aumento del numero degli operatori e con la diversificazione degli interventi, la coesione dell’équipe può essere più difficile e pertanto deve essere maggiormente sorvegliata. Proprio in situazioni di ricovero, il paziente anoressico si trova, nelle prime fasi di cura, esposto ad un impatto molto diverso, rispetto al trattamento ambulatoriale. Non è raro che le dinamiche soggettive dei pazienti possano creare incomprensioni e conflitti nel gruppo degli operatori. In questi casi si possono produrre situazioni di disagio, che si estendono a tutti i ricoverati, rendendo molto problematica la gestione del reparto. Gli infermieri e i dietisti sono spesso gli operatori che passano il tempo maggiore con i pazienti. Devono perciò conoscere bene il programma di trattamento e possedere una buona capacità di relazione. Svolgono poi il delicato compito di una sorveglianza prolungata del paziente in situazioni, che possono risultare critiche, come quelle dei pasti o quelle in cui il paziente tende ad isolarsi. Questi operatori non devono intervenire in modo poliziesco e delatorio, ma cercare in ogni caso il dialogo e rappresentare un riferimento fiduciario per il paziente. I terapisti corporei lavorano, secondo stili diversi, per riorganizzare il rapporto del paziente con il proprio corpo e migliorare il disturbo dell’immagine corporea. Secondo alcuni studi, soprattutto nelle situazioni di ricovero, questo in- 161 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 162 Le strutture di ricovero e cura tervento svolge funzioni di grande efficacia nel miglioramento complessivo della situazione anoressica. Secondo altre ricerche è molto difficile stabilire l’utilità di questo trattamento, sia perché poco codificato, sia perché è difficile una valutazione di esito. Rappresenta comunque un campo valido di ricerca, al quale andrebbe concessa una maggiore attenzione per individuare quali modelli d’intervento risultino più efficaci. Anche la terapia occupazionale è attuata secondo modalità diverse (art therapy, dance therapy, ecc.) ed ha il prevalente scopo di rompere l’isolamento e la fissazione ossessiva del paziente sul sintomo, ampliando le sue esperienze di relazione. Esistono équipe che sanno integrare in modo valido questi interventi, il cui effetto risulterà sicuramente positivo nell’ambito complessivo della cura. Quando invece le terapie corporea e occupazionale diventano una modalità per riempire il tempo di degenza, senza un’autentica integrazione nel trattamento, è possibile ottenere solo risultati relativi. L’organizzazione di gruppi di psicoterapia rappresenta nella maggior parte dei casi una necessità operativa che riguarda tutte le strutture di ricovero per l’AN, a causa della crescente numerosità dei pazienti e della scarsità dei centri. I trattamenti ambulatoriali di gruppo si sono rivelati validi per forme come la bulimia nervosa o le sindromi parziali. Risultano di minore efficacia nelle forme anoressiche, tranne l’eventualità del loro inserimento durante i ricoveri riabilitativi. In genere un ricovero riabilitativo rappresenta una tappa del processo di cura. Ciò presuppone che il paziente abbia già iniziato un suo percorso psicoterapico. Riproporre una terapia individuale nel momento del ricovero può creare problemi di sovrapposizione d’interventi. Tranne casi specifici, la terapia di gruppo nel momento del ricovero mantiene l’efficacia del sostegno psicoterapico, evitando di interferire sul proseguimento della cura individuale. Questa peculiarità deve essere ben conosciuta dai terapisti di gruppo, che imposteranno il loro intervento senza favorire conflitti con le cure successive. Il trattamento residenziale ha spesso la funzione iniziale di separare il paziente dalla famiglia, per ridurre gli effetti negativi di dinamiche conflittuali. Questo non significa che al momento opportuno non sia avviato un counselling per i genitori, che si rivela sempre molto utile nel percorso di cura. L’intervento deve essere svolto da operatori con una specifica preparazione relazio- 162 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 163 G. Caputo nale-sistemica ed integrato nell’ambito degli altri trattamenti. Nei programmi di ricovero un effetto positivo svolgono anche i gruppi psicoeducazionali, che hanno l’importante funzione non solo di aumentare la consapevolezza e le conoscenze, ma anche di migliorare la collaborazione dei pazienti. per attuare un programma di cura. Anche le famiglie dei pazienti possono a loro volta influenzare negativamente i rapporti terapeutici, con modalità diverse. Esistono poi quadri clinici che, sulla pressione di un’elevata sofferenza psichica, presentano comportamenti alimentari critici, una notevole tendenza a gesti autolesivi o suicidali, come avviene nei casi con disturbo di personalità borderline. Con minore frequenza rispetto al passato, può accadere che i pazienti arrivino all’osservazione in condizioni fisiche gravemente scadute e risulti impossibile stabilire una relazione collaborativa, mentre l’impegno somatico richiede un intervento immediato. Esistono poi forme croniche o situazioni in cui precedenti trattamenti inefficaci o errati rendono l’intervento molto problematico. In questi casi, tutt’altro che rari, non si può sempre proporre il percorso di cura che abbiamo illustrato. Si possono adattare soluzioni diverse, ma soprattutto deve intervenire l’esperienza dell’operatore per concordare con flessibilità quelle cure che realisticamente possono avviare un miglioramento. Quando il grado di denutrizione e la sofferenza somatica prevedono il rischio di un evento acuto, è necessario proporre un ricovero in ambito ospedaliero per una nutrizione arti- Il ricovero ospedaliero e l’intervento nei casi acuti Abbiamo delineato il percorso terapeutico di un paziente anoressico, che nella fase iniziale ottiene in un ambulatorio specializzato una corretta diagnosi ed un avviamento alla cura, raggiungendo una buona consapevolezza del problema e offrendo collaborazione al trattamento. Questa situazione rappresenta un tragitto ottimale, che non sempre è possibile attuare. Non dimentichiamo che l’AN è prima di tutto una patologia psichiatrica che, attraverso gli stessi sintomi, può celare una diversa gravità psichica. La presenza di disturbi psichiatrici gravi (ad esempio disturbi di personalità, depressione maggiore, ecc.) rappresentano sul piano del trattamento ostacoli spesso insormontabili 163 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 164 Le strutture di ricovero e cura ficiale, che sarà attuata secondo tecniche opportune (nutrizione parenterale, sondino nasogastrico). Una tale eventualità deve essere il più possibile concordata con il paziente, mentre sarà imposta solo quando non vi sarà altra scelta. Durante questi ricoveri può rivelarsi utile la somministrazione di psicofarmaci per ridurre il grado di angoscia, determinato dalla rialimentazione e dalla ospedalizzazione. È necessario mantenere attivo il rapporto tra paziente e operatore che ha disposto il ricovero, affinché non manchi il sostegno psicoterapico e si favorisca la massima collaborazione con gli specialisti ospedalieri. Quando possibile è preferibile scegliere reparti di cura che si rendano disponibili a questi interventi e che dispongano di esperienza nel rapporto con tali pazienti. Questo tipo di ricovero, se condotto in modo corretto, può rappresentare un’utile opportunità per migliorare la consapevolezza del paziente e la sua disponibilità al trattamento successivo. L’operatore deve saper sfruttare questa possibilità, senza limitarsi ad aspettare la fine del ricovero ed il miglioramento della condizione fisica. È importante che l’aumento ponderale non sia mai eccessivo e quando possibile deve favorirsi al più presto il ritorno ad un’ali- mentazione spontanea. Produrre rapidi ed elevati incrementi ponderali, oltre che pericoloso sul piano fisiologico, può determinare gravi sofferenze psichiche nel paziente, che troverà così un rinforzo a mantenere il suo isolamento e il rifiuto verso cure successive. Non è raro osservare casi di AN, che hanno subito numerosi ricoveri ospedalieri, seguiti sempre dal riacutizzarsi dei sintomi di controllo e di restrizione alimentare. Anche il ricovero ospedaliero, fatto per superare una fase fisica critica, deve rispettare, entro limiti accettabili, un atteggiamento non aggressivo verso i sintomi e diventare una delle tappe riabilitative. Nell’evoluzione di un quadro anoressico, si possono presentare situazioni di gravità estrema che impongono quello che si definisce un ricovero “salvavita”. A volte la restrizione alimentare raggiunge livelli tanto gravi da determinare un’ipereccitabilità generalizzata o al contrario uno stato di totale indifferenza, con la completa impossibilità di avere la collaborazione del paziente. L’uso massivo di vomito autoindotto, di lassativi e diuretici o di miscele di psicofarmaci, come pure l’ingestione di quantità elevate di liquidi, determinano quadri di scompenso acuto. In tali evenienze l’intervento d’emergenza è inevi- 164 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 165 G. Caputo tabile e spesso solo grazie a terapie intensive si riesce a superare il momento critico. Esiste infine l’eventualità di ricorrere ad un trattamento sanitario obbligatorio, come estrema ratio. In genere questo intervento resta riservato a situazioni psichiatriche acute e dovrebbe essere il più possibile evitato per ottenere una rialimentazione forzata. Gli operatori devono possedere la capacità, anche nei casi più difficili, di portare il paziente ad accettare la cura e non a subirla come imposizione. Questo impegno potrà essere ripagato successivamente da una disponibilità al trattamento, che invece non è per niente scontata dopo un ricovero coatto. Organizzazione territoriale delle strutture di assistenza Gli esempi dell’organizzazione territoriale di assistenza che sono stati proposti in molti Paesi occidentali sono relativi al livello delle strutture sanitarie e alla sensibilizzazione sociale al problema dell’AN. È questa una patologia di grande impatto, che coinvolge la famiglia, la scuola e i gruppi sociali, con una notevole risonanza mediatica. Una valida struttura territoriale non si concretizza nella disponibilità di centri clinici più o meno grandi e ben organizzati, ma deve basarsi su una rete di assistenza capillare (Fig. 2). Figura 2 Organizzazione di una rete territoriale di assistenza per l’anoressia nervosa. OSSERVATORIO EPIDEMIOLOGICO TERRITORIALE Medicina di base – Consultori familiari e giovanili Scuole – Centri sociali – Servizi psichiatrici territoriali Psicoterapie individuali Ricoveri ospedalieri dei casi acuti Unità ambulatoriali di diagnosi e cura Centro riabilitativo in day hospital Centro riabilitativo residenziale 165 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 166 Le strutture di ricovero e cura Diversi motivi giustificano questa scelta. La distribuzione a rete: – permette una comunicazione ottimale tra le diverse strutture sanitarie e sociali; – consente di attuare un’efficace prevenzione secondaria; – favorisce una corretta distribuzione degli interventi terapeutici; – utilizza strutture sanitarie già esistenti sul territorio; – evita il sovraffollamento di strutture più complesse come i centri di ricovero; – consente notevoli risparmi sui costi gestionali complessivi. Una rete di assistenza ha il suo primo riferimento in una struttura ambulatoriale dotata di una équipe di base, in grado di attuare l’iter diagnostico e di avviare il trattamento, coinvolgendo i servizi necessari (day hospital, centro riabilitativo, ospedale). I vari ambulatori, organizzati in un numero congruo sulla base della popolazione del territorio, devono lavorare in stretto contatto con gli altri servizi di accoglienza: medici di base, servizi psichiatrici, consultori familiari e giovanili, centri sociali e scuole. In questo modo sono favoriti gli interventi nelle fasi iniziali della patologia (sindromi parziali, forme anoressiche in esordio). Molte ricerche sostengono che un intervento precoce evita molte delle complicanze acute, sensibilizza la famiglia e riduce i rischi di cronicità e di cure errate. La presenza di un numero adeguato di ambulatori specializzati svolge poi l’utile funzione di screening sulla popolazione e di sensibilizzazione culturale per queste patologie ancora poco conosciute. L’intervento ambulatoriale sulla patologia anoressica deve prevedere uno specifico lavoro di consapevolezza del paziente, che in molti casi rifiuta le cure o le subisce senza alcun giovamento reale. La correttezza di questo approccio riduce notevolmente i ricoveri e quindi i costi sanitari complessivi. Per l’AN è comunque necessario disporre di almeno un centro riabilitativo territoriale, organizzato in forma di day hospital o di ricovero residenziale. È poi indispensabile che le strutture ospedaliere esistenti offrano la disponibilità di ricovero per situazioni acute. Uno degli aspetti problematici per l’organizzazione di una rete di assistenza riguarda le modalità attraverso le quali definire il numero degli ambulatori o la disponibilità di posti letto per la riabilitazione nutrizionale. Gli studi epidemiologici di incidenza e prevalenza possono essere di grande aiuto, ma si deve tenere conto che l’AN è una patologia mutevole nel tempo, anche nella sua 166 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 167 G. Caputo diffusione, come già chiarito in precedenza. Da queste considerazioni deriva la necessità di osservatori permanenti territoriali, che possano elaborare i dati della rete di assistenza, adattando così le modalità d’intervento. ziente anoressico in fase di esordio, piuttosto che in una condizione di malattia già avanzata. Questo fenomeno indica che un certo grado di prevenzione secondaria comincia ad essere presente, anche se è ancora impossibile ipotizzare interventi preventivi primari adeguati. Riuscire ad offrire trattamenti sempre più corretti è possibile se si potrà contare sulla validità di un’organizzazione sanitaria capillare. Molte volte, ancora oggi, si propongono approcci improvvisati, cure senza fondamento o interventi paradossali. Deve essere chiaro che un trattamento errato lascia un segno negativo, che allunga la durata della malattia ed espone al rischio di cronicità. In questo modo è inevitabile che i costi sanitari diventino maggiori. Preparare gli operatori, per quanto oneroso possa essere, diventa in ogni caso un investimento produttivo nel tempo. Rimane complesso il problema di come trattare le forme prolungate o cronicizzate, che spesso non possono trovare nei modelli correnti di cura risposte efficaci. Anche i casi di AN, che insorgono in situazioni sociali di grave degrado o in ambiti familiari intensamente patogeni, rappresentano spesso situazioni che prevedono un confronto arduo e ben poche soluzioni. Conclusioni L’AN, malattia un tempo rara, ci costringe oggi, con la sua diffusione nel mondo industrializzato, ad un intervento terapeutico lungo, complesso e solo in parte garantito nei risultati. Rispetto al passato sappiamo, però, che esistono direzioni di cura corrette che, se forse non promettono la guarigione, possono ragionevolmente offrire una netta riduzione della mortalità, un accettabile reinserimento sociale e un minor rischio di cronicità. Ottenere questi pur limitati obiettivi richiede un grande impegno e un’organizzazione efficiente, fondata sulle capacità professionali degli operatori. È possibile che aumentando l’esperienza clinica, suffragata dalla ricerca, in futuro si possa ottenere un intervento risolutivo e più agevole. Esiste oggi una migliore informazione ed è diventato più frequente di un tempo osservare un pa- 167 1802_99 Cap. 8 -3ªBz 29-05-2002 14:50 Pagina 168 Le strutture di ricovero e cura Ipotesi per una rete di assistenza per i disturbi del comportamento alimentare. Annali della Sanità Pubblica, 3(1,2,3): 26-29, 1998. Sarebbe forse utile progettare e sperimentare soluzioni di assistenza innovative, nelle quali il paziente, stabilizzato nelle condizioni somatiche, possa essere guidato a migliorare il rapporto con se stesso e con gli altri in un ambiente favorevole. L’AN obbliga operatori di diversa formazione ad imparare come attuare una buona collaborazione. Forse queste importanti esperienze di crescita culturale ci consentiranno in futuro di immaginare quelle necessarie nuove soluzioni. Commissione di studio per l’assistenza ai pazienti affetti da anoressia e bulimia nervosa – Ministero della Sanità Trattamento dei disturbi del comportamento alimentare. Annali della Sanità Pubblica, 3(1,2,3): 17-25, 1998. Deter HC, Herzog W Anorexia nervosa in a long-term perspective: results of the Heidelberg-Mannheim Study. Psychosom Med, 56(1): 20-27, 1994. Eckert ED, Halmi KA, Marchi P, Grove W, Crosby R Ten-year follow-up of anorexia nervosa: clinical course and outcome. Psychol Med, 25(1): 143-156, 1995. 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