TEGGIANO Stemma: una stella gialla a otto punte con coda su sfondo blu. L’antica Dianum, di fondazione pre-greca, pre fu colonia romana in età Neroniana;; definita: città-museo città poiché intorno al Castello dei Sanseverino, si sviluppa il borgo con i suoi numerosi monumenti. monumenti L’economia agricola con prodotti DOP, DOP IGT, lattiero-caseari e pasta fatta a mano, valorizzati nei ne piatti tipici, durante gli eventi e “Alla Tavola della Principessa Costanza”. Costanza STORIA La fondazione dell’insediamento sul quale oggi sorge Teggiano, potrebbe essere ricondotta a coloni greci, giunti fin qui, probabilmente, da Tegea. Secondo altri, l’insediamento di Teggiano sarebbe stato occupato da genti osco-sabelliche scacciate dalle loro terre a seguito dell'espansione della civiltà Etrusca. Ultima ipotesi è quella che Teggiano sia sorta con i Lucani all'inizio del IV secolo a.C. La documentazione attesta il nome: Tegea, quando faceva parte delle dodici città confederate lucane; poi Tegianum in epoca romana, quando fu una fiorente colonia romana; forse dal IV sec. a.C. si chiamò Dianum, in riferimento alla divinità Cacciatrice. Infine Dianum divenne Diano, nome che poi nel Medioevo fu esteso a tutto il Vallo. L’aspetto naturale di Ioppidum romano, caratterizzato dalla presenza del Cardo e del Decumano sarà ricalcato anche in epoca normanna e in età federiciana: in epoca normanna, la nobile e potente famiglia dei Sanseverino, conti di Marsico e poi principi di Salerno, acquisì il feudo di Diano, di cui facevano parte i casali di Sassano, (Monte) San Giacomo, San Rufo, San Pietro (al Tanagro) e Sant'Arsenio). Da questo momento, Teggiano conobbe non solo uno sviluppo architettonico-religioso ma anche civile e militare, testimoniato dall'imponente Castello che fu poi teatro della politica antispagnola dei Sanseverino. Infatti nel 1485 vi fu ordita la famosa Congiura dei Baroni contro Ferdinando I d'Aragona; nel 1497, un altro Re di Napoli, Federico d'Aragona, dopo mesi di assedio a Teggiano e al suo maniero, trovandola inespugnabile dovette scendere a patti con il ribelle Principe di Salerno: Antonello Sanseverino. In seguito ad una nuova ribellione guidata questa volta da Ferrante, ultimo Principe di Salerno, i Sanseverino, nel 1552, furono allontanati dal Regno. Teggiano fu così feudo di altre nobili famiglie tra i quali i Gomez da Silva, i Grimaldi, i Caracciolo, i Villani, i Colonna, i Kalà e gli Schipani. Dal 1811 al 1860 è stato capoluogo dell'omonimo circondario appartenente al Distretto di Sala del Regno delle Due Sicilie. Mentre, dal 1860 al 1927, durante il Regno d'Italia è stato capoluogo dell'omonimo mandamento appartenente al Circondario di Sala Consilina. MONUMENTI Castello dei Principi Sanseverino Il Castello sorge nella parte più alta del colle, dominando la piana sottostante; fondato in epoca normanna, in seguito al processo di incastellamento degli antichi abitati in atto in tutta Europa. Presenta un forma poligonale e conta ben 365 ambienti; era caratterizzato da un ampio corpo principale con quattro grandi torrioni e un grandioso maschio, la fortezza era completata da una cinta muraria con 25 torri addossate alle mura pelasgiche, di cui restano ancora alcune testimonianze. Fu restaurato ed ampliato dai Sanseverino nel XIV sec.; subì un nuovo restauro nei primi anni del XV sec. sotto il re di Napoli Ladislao di Durazzo, quando Diano fu incamerata nel demanio Regio in seguito alla cacciata dei feudatari: i Sanseverino conti di Marsico. Il Castello è citato nelle cronache per la Congiura dei Baroni (1485), contro il re Ferdinando I d’Aragona: la famiglia di Antonello Sanseverino, principe di Salerno e Signore dello Stato di Diano, ordì insieme ad altre famigli feudatarie del Regno favorevoli agli angioini, la congiura, una vera e propria sommossa fiscale contro gli spagnoli e il Re di Napoli. La storia ricorda che ben 20.000 spagnoli nel 1497 cinsero d'assedio il paese,Antonello Sanseverino riuscì a resistere all’assedio Aragonese, per diversi mesi, fino a quando dovette cedere. I Sanseverino persero il castello e le terre, che furono concesse in feudo al marchese di Polla e successivamente a Giovanni Villani. Solo il figlio, Roberto II Sanseverino riuscirà a riconquistare le terre paterne. Nel 1860 parte del castello fu comprato dalla famiglia Macchiaroli, che vi apportò numerose trasformazioni alterandone la fisionomia. Oggi nel Castello Macchiaroli, resta ben poco della costruzione originaria. Il Seggio Loggiato che sorge all'incrocio del Cardo e del Decumano, dal 1450 è stato sede del Consiglio Comunale e vi si svolgevano, intorno ad un tavolo in pietra, le riunioni della Universitas medioevale. La struttura è composta da un portico con tre arcate, sulle quali poggia la trabeazione con l’incisione della data: 1620. Nel 1900 fu posta al centro del monumento una fontana, fortunatamente fu rimossa, ripristinando la natura della vecchia struttura. Cattedrale di Santa Maria Maggiore Cattedrale della Diocesi di Teggiano-Policastro. Fu edificata per volere di Carlo D'Angiò con impianto gotico, nella seconda metà del XIII sec. e consacrata il 12 agosto 1274. Originariamente aveva una impostazione architettonica di tipo gotico a tre navate con il transetto e l’abside; rimaneggiata diverse volte nel corso dei secoli, venne modifica dopo il terremoto del 1857, in concomitanza con l’erezione di Teggiano a Diocesi (21 settembre 1850). L’edificio cambiò orientamento, venne modificata la primitiva facciata che era preceduta da un portico con campanile e battistero, fu ingrandita la chiesa con l’edificazione ex novo del transetto, della zona presbiteriale e della sacrestia. Il campanile attuale è del Novecento. L’ odierna entrata principale quindi, si trova opposta a quella antica: infatti si entrava nella chiesa da un portico posto su via Roma. In seguito a questo rifacimento l’edificio perse la sua struttura gotica. Il portale maggiore (vedi foto in basso) è dello scultore ed architetto Melchiorre da Montalbano, presenta un’ impostazione con stipiti formati da un gruppo di agili colonnine corinzie e da un architrave piano, ornato di fogliame semplice e sormontato da un arco a tutto sesto, chiuso in un frontone triangolare Il portale laterale (foto in basso) ricalca, quello principale, datato al 1508 è del maestro Francesco da Sicignano. La facciata esterna che affaccia su via Roma presenta quattro edicole funerarie, un Cavaspina e due colonne con capitello di epoca romana. L’interno Nella Cattedrale sono conservati: un crocifisso ligneo del XV sec., la statua lignea di San Cono da Teggiano, dell’artista Domenico Di Venuta del XVIII sec. e quella in legno policromo dell'Assunta, opera di Giacomo Colombo del XIX sec. Nella cappella di sinistra vi sono: la statua di San Cono "dormiente" del XIX sec., due tele con "Madonna con San Cono" e "Miracolo di San Cono" di fine XVII sec., ed una teca con le reliquie di San Cono. Nel transetto vi sono due tele del XVI secolo: "Madonna del Rosario" e "Circoncisione di Gesù"; e la coppia di sculture cinquecentesche raffiguranti immagini di Angeli, di autore ignoto, poste ai lati dell'altare principale. Il Pulpito di S. Maria Maggiore opera di Melchiorre da Montalbano è datato al 1271. Realizzato in pietra di Teggiano, poggia su quattro colonne sormontate da quattro capitelli e da due archi trilobati. In alto vi sono i simboli dei quattro evangelisti: Marco, Matteo, Giovanni e Luca. Nei triangoli in basso, sono scolpiti: un cervo (l'uomo non ancora convertito), un leone (l'uomo cristiano, quindi forte e potente), Mosè ed Eva. A sorreggere la colonna tortile di mezzo (foto in alto) il leone, che rappresenta la potenza della Chiesa che regge la colonna simbolo dell'umanità. In alto, le sculture simboleggiano l'eterna lotta tra il bene e il male: il guerriero, il bene, che con sforzo difende la lepre, l'uomo, dall'aquila, il male. Tomba di Enrico Sanseverino Per Enrico Sanseverino, morto giovanissimo nella Crociata a Gerusalemme, il padre Tommaso Sanseverino fondatore della Certosa di Padula, volle un sepolcro degno della famiglia e di suo figlio. Scolpita nel 1336, è attribuita al grande artista gotico senese Tino da Camaino. Il monumento poggiata su tre colonne tortili, con al centro i dodici apostoli. Ai lati e sulle fasce centrali vi sono scritte in oro su fondo smaltato e sul coperchio Enrico vestito da crociato. In alto è raffigurata la presentazione di Enrico, inginocchiato e con la spada al fianco, alla Madonna con Bambino, affiancata da angeli e S. Enrico di Hoistoffen con in braccio un infante che simboleggia l'anima del morto. Tomba di Stasio De Heustasio Lungo la stessa navata si trova il sepolcro di Stasio de Heustasio, retto da tre statue raffiguranti le virtù teologali: fede, speranza e carità. Scolpita nel 1472, è attribuita a Francesco da Sicignano. Nel corpo centrale vi è la Madonna con bambino affiancata da angeli, lo stemma dei d'Heustasio a sinistra e quello dei Sanseverino a destra. Sul coperchio riposa Stasio vestito da guerriero con i piedi poggiati sul fedele cane. In realtà il corpo di Stasio, morto in battaglia, non è stato mai sepolto in questa tomba che dal 1857, dopo che Diano divenne sede di Diocesi, conserva le spoglie mortali del primo Vescovo di Teggiano: Mons. Valentino Vignone. Tomba di Orso Malavolta Nella navata opposta si scorge immediatamente la tomba, datata 1488, del medico senese Orso Malavolta; giunto a Diano insieme a Costanza, la figlia del Duca di Urbino. L’autore non è del luogo e rimane ignoto. Un’iscrizione ricorda che Orso Malavolta fu medico sia presso il Principe Antonello Sanseverino che presso il Re di Napoli; mentre la parte alta della tomba, accoglie lo stemma della famiglia Malavolta. Poggia su due alte cariatidi di epoca precedente che certamente reggevano un'altra tomba. Sul coperchio la figura di Orso (foto in basso). Infine, la navata di sinistra, accoglie addossata alla parete,la tomba più semplice della famiglia Schipani, gli ultimi duchi di Diano. Chiesa di Sant’Antuono La chiesa di Sant’Antuono sorge sulla via omonima e fu eretta prima del XI sec., a nord del centro storico, a poca distanza dalle mura del Castello. L’edificio presenta un campanile sul lato destro sormontante il portale di accesso e incorporato nella facciata; che presenta un protiro a protezione del portale. L'architrave è decorato con un motivo ad intreccio arboreo ed un soprastante lunetta affrescata (foto in alto al centro). All’interno ha una navata principale semplice e di piccole dimensioni, un tempo affiancata da altre due navate divise da colonne (foto in basso). La parte anteriore della navata destra fu demolita in occasione del Congresso Eucaristico Mariano a Teggiano del 1954 o secondo altri nel 1958, per far posto alla strada. Recenti lavori di restauro hanno evidenziato sulle pareti interne un ciclo di affreschi medioevali. La chiesa è affrescata con opere risalenti al XIV sec.: “Madonna con Bambino” e “Natività”, (foto in basso). Vi è la statua quattrocentesca di Sant’Antonio Abate. La vicinanza della chiesa al castello ha fatto supporre ad alcuni studiosi che nel Medioevo l’aula sacra fungesse da cappella palatina. Chiesa e Convento Francescano della S.S. Pietà Chiesa di un antico complesso monastico appartenuto, fino alla seconda metà del Quattrocento, alle Monache di San Benedetto, fu trasformato da Antonello Sanseverino, Principe di Salerno e Signore di Diano, dopo il 1475, in convento dei frati Minori Osservanti di San Francesco. Nella stessa epoca fu arricchito di opere d'arte. All’esterno presenta un portico con tre archi poggiati su artistici capitelli, attribuiti a Francesco da Sicignano (foto in alto a sinistra), un portale, del 1476, con al centro, nella lunetta, una scultura raffigurante la "Pietà" (foto in alto a destra) e un portone ligneo scolpito e dipinto della stessa epoca. L’interno è scandito da una grande navata, affiancata da una navatella laterale con archi a vela poggiati su basse e robuste colonne in pietra (foto in basso) e su cui si affacciano due cappelle: Cappella Macchiaroli e la Cappella Carrano. Sono presenti diversi dipinti, tra cui quello di Baldassarre Peruzzi: “Miracolo di san Diego”, della prima metà del XVI sec.; e quello di Nicola Peccheneda “Sangue del Redentore”. Sull’arco dell’altare maggiore (foto in basso a sinistra) si nota lo stemma dei Sanseverino, nell’abside, un bel coro ligneo con gli schienali su cui sono dipinte le immagini dei Santi e, al di sopra, su un palchetto, il gruppo "Compianto sul Cristo Morto”(foto in basso a destra) una serie di sei statue lignee policrome, datate al 1505, attribuite a Giovanni da Nola e raffiguranti la deposizione con il Cristo morto, l’Addolorata, San Giovanni Battista, la Maddalena, Roberto e Antonello Sanseverino. Adiacente alla Chiesa è il Chiostro: al centro, un pozzo con due colonne reggenti un architrave; sotto i portici troviamo colonnine romaniche in pietra lavorata (foto in basso), nelle volte sono figure allegoriche, fiorami, verzure, arabeschi; sulle lunette di parete una serie di affreschi del XIV e XV sec. raffiguranti scene della “Vita di San Francesco”. Poco distante, nel Refettorio dell’antico convento, si ammira un imponente affresco del 1487: “L’andata al Calvario” (in basso), a fianco del quale, in alto, torna lo stemma dei Sanseverino. Chiesa di San Francesco La costruzione della Chiesa e dell'annesso convento si fa risalire al periodo medievale, come attesta l'iscrizione posta sull'architrave del portale, datato 1307. Il Convento nel 1340, appartiene all'Ordine dei frati Minori Conventuali di San Francesco fino ai primi anni dell'Ottocento, quando fu soppresso con le leggi napoleoniche nel 1808. Dopo la soppressione del convento, la chiesa fu l'unico edificio religioso di Teggiano a restare aperto al culto durante il decennio francese. Divenne chiesa di Stato assumendo la denominazione di “Chiesa di San Gioacchino”, in onore di Gioacchino Murat, che allora era sul trono di Napoli. L'ex convento, del quale allo stato attuale resta soltanto il chiostro Rinascimentale con al centro il pozzo, il cui architrave reca scolpita al di sotto dello stemma francescano la data del 1788, è stato incorporato nella costruzione dell'odierno palazzo municipale. La pianta segue uno schema "a fienile": pianta centrale, soffitto a capanna e abside a pianta quadrata con volta a crociera (foto in alto). Nel 1745, le capriate e le monofore poste in alto alle pareti laterali, furono nascoste da un soffitto ligneo a “guazzo”, tempera su tavola (foto in alto a destra) opera del De Martino, ancora integro nei colori originari. L’interno è arricchito da un pulpito, con mascheroni dorati sul davanti, un coro cinquecentesco in noce con sedia priorale finemente intagliata ed alcune tele del XVII secolo. Recentemente, sono venuti alla luce nel corso di un restauro affreschi di scuola giottesca sulla “vita di San Francesco”, ricoperti da uno strato di intonaco settecentesco. Sul lato sinistro della stessa parete si ammirano le immagini quattrocentesche, sovrapposte a precedenti affreschi del 1300, di Santi appartenenti all'ordine francescano: si riconoscono san Francesco d'Assisi, al centro, e, ai lati, San Bernardino da Siena e S. Antonio da Padova. Chiesa di San Martino La realizzazione del complesso monumentale di S. Martino risale all’epoca rinascimentale. Successivamente, nel 1556, a seguito di un lascito del medico teggianese Giovanni Carrano, furono eseguiti i primi lavori di restauro; il più importante dei quali fu realizzato al principio del secolo scorso, dopo che fu devastata da un incendio. L'accesso all'interno è dato attraverso un porticato a tre arcate a tutto sesto sorretto da robuste colonne e recintato da una cancellata di ferro (foto in basso) e volte a crociera. Il portale principale, affiancato da due porte minori (foto in basso a sinistra), pur non recando iscritta alcuna data, presenta forme decorative di epoca tardo-settecentesca; è formato da due pilastri poggianti su un piedistallo, ornati da due scudi gentilizi e sormontati da un architrave con fregio. La pianta a schema basilicale, è a tre navate divise da un duplice colonnato in pietra, con archi a tutto sesto e da due archi trionfali, senza transetto poggianti su due solidi pilastri di pietra al centro di uno dei quali è scolpita una ruota di carro, simbolo dell’illustre famiglia Carrano. Dal presbiterio si accede all'abside, poligonale e voltato a vela, attraverso un arco trionfale a tutto sesto poggiante su solidi pilastri. Conserva un coro ligneo di forme neoclassiche; dal rozzo intonaco delle pareti della chiesa e del portico, traspaiono, lacerti di affreschi che andrebbero riportati ala luce. Le notizie storiche indicano S. Martino come Parrocchia fino al 1940. Chiesa di Sant’Agostino La Chiesa fu costruita come chiesa dell'annesso convento dei frati agostiniani nel XIV sec., si affaccia sulla piazza Valentino Vignone, su cui sorgono anche l’episcopio e la chiesa di San Pietro. Sul portale d'ingresso della chiesa figura incisa la data 1370 e presenta uno schema iconografico ad aula, chiusa da un coro un tempo poligonale, arricchita da decorazioni barocche, dovute al restauro del XVIII sec. Nel corso del quale fu costruito l’altare maggiore, di marmi policromi, e furono realizzati la maggior parte dei dipinti all’interno della chiesa, e gli affreschi del chiostro. L’altare maggiore è in marmi policromi, simile a quello dell’altare laterale dedicato alla Madonna del Buon Consiglio; in una nicchia dell’abside vi sono: la colossale statua di S. Agostino (foto in basso a destra), del XVIII sec., e la statua della Madonna del Buonconsiglio, del XVII sec. Sugli altari laterali figurano la tela del “Martirio di santa Caterina d’Alessandria” (foto in basso a sinistra), del XVII sec., di Giovanni De Gregorio Pietrafesa; e altre di minor interesse pittorico: la “Madonna con santi Agostino e Monica” e “L’Apparizione della Madonna a san Gaetano da Thiene”, datati al XVII sec., opera dell’artista Pietro Antonio Ferro. Al XVII sec. si data il “Transito di san Giuseppe”, opera di Nicola Peccheneda. Il convento agostiniano fu soppresso nel 1809, convertito in carcere circondariale, poi in caserma militare, oggi è un ospizio. Della struttura, resta un chiostro (foto in basso) decorato nelle volte e nei sottarchi da un ciclo di affreschi realizzati tra il XVII e XVIII sec., raffiguranti la vita di Sant’Agostino. Chiesa di San Pietro e Museo Diocesano La chiesa di S. Pietro sorge all’inizio del XIV sec. sull’acropoli della città antica. Le fondamenta della chiesa poggiano sui resti dell’antico tempio dedicato al Dio Esculapio, ancora ben visibili lungo il lato destro del prospetto principale dal quale, attraverso una scala si accede al porticato prima, e poi al cuore vero e proprio dell’edificio dedicato dalla religiosità cristiana al “Principe degli Apostoli”. L’attribuzione dei resti strutturali, come luogo di culto del Dio della medicina, Esculapio, ci deriva in maniera dalla lettura dei frammenti che contornano le mura esterne dell’intero edificio: un capitello di ordine corinzio in cui le bisce si sostituiscono alle foglie d’acanto ed ai caulicoli; un’ara sacrificale (foto in basso a sinistra), situata sempre lungo il prospetto che volge lo sguardo al Palazzo Vescovile, con un’ampolla per unguenti medicamentosi. Altro elemento di conferma, appare la collocazione topografica dell’area sacra destinata al culto del dio Esculapio: collocazione nella parte topograficamente più alta, che assicurava la salubrità dell’aria. Sulla scala d’accesso, in pietra bianca, si colloca un porticato a tre arcate (foto in alto a destra) di cui quella centrale decorata da cinque rilievi marmorei raffiguranti immagini di profeti, sorretto da due colonne, sotto il quale si apre un portale dalle pregevoli fattezze rinascimentali, voluto e commissionato da Ambrogio Malavolta, il quale, nel 1476, come testimonia l’iscrizione in esso scolpitavi, lo destinò alla collocazione in cui ancora oggi è possibile ammirarlo. Nella parte superiore il portale è ornato da uno stupendo affresco nel quale si legge la scena tipica della religiosità “La Crocifissione”, dipinto che nella fattura riprende in pieno le particolarità delle maestranze toscane. L’interno a navata unica, con transetto ed abside, apre su tre piccole cappelle in cui sono collocate due tombe. Tomba di Bartolomeo Francone La tomba è posta nella cappella dell’Addolorata, a memoria del valoroso soldato dianese Bartolomeo Francone (foto in basso a destra). La sepoltura, datata 1401, si compone di un sarcofago sorretto da un leone sul quale appare la figura del defunto. Il monumento funebre è completato da quattro colonnette (foto in basso a sinistra e al centro) a sostegno del baldacchino. Tomba all’arcidiacono Guglielmo Rossi Nella cappella di S. Paolo è collocata la tromba,realizzata in pietra locale, dell’arcidiacono Guglielmo Rossi di Marsico, morto nel 1512. Il sarcofago (foto in basso) è sostenuto da tre figure maschili (foto in basso a destra), simboleggianti le tre età della vita: come attesta l’iscrizione scolpita nella fascia dell’arco del sarcofago. Nel 1930 i locali dell’antica chiesa ormai sconsacrata, furono destinati ad ospitare il Museo Civico. Negli anni ottanta l’edificio fu sottoposto a restauro e nel 1987, dopo un moderno allestimento della sala espositiva fu inaugurato il nuovo museo cui venne conferito il nome di Museo Diocesano “San Pietro”. Nel giugno del 2007 il museo è stato riaperto al pubblico dopo essere stato riallestito e ampliato con opere di notevole pregio storico ed artistico. Nel presbiterio si trovano una serie di sculture che occupano un arco cronologico di cinquecento anni, dal XIV al XIX sec.; come gli affreschi collocati nell’abside e nel presbiterio (foto in basso a sinistra), staccati dalla cripta di Sant’Angelo nel 1980 e restaurati, attribuiti al XIV-XV secolo; la Madonna con Bambino del XIV secolo, una Madonna del XV secolo, la Madonna delle Grazie del XVI secolo e una Pala d’altare (foto in basso al centro) del XVII secolo raffigurante la Madonna del Rosario con i misteri. Il restauro ha riportato alla luce, nascosto da cartapesta di precedenti restauri, anche un antico Crocifisso in muratura (foto in basso a destra) del XV secolo. L’ex sacrestia della chiesa di San Pietro accoglie la sezione museale dedicata ad oggetti liturgici e suppellettili sacre (foto in basso), quali paramenti, argenteria e stupendi reliquiari del XVII secolo. Monastero delle Benedettine Le Benedettine, nel 1497, abbandonarono il monastero situato nelle S.S. Pietà, cedendolo ai Sanseverino, per fondarne uno nuovo, sotto il titolo di S. Benedetto. Il nuovo monastero fu realizzato, costruendo, adattando ed ampliando l’abitazione dell’arcidiacono Rossi; e accogliendo al suo interno solo gentildonne della nobiltà provenienti dalla Provincia. Ormai deserto, il 6 dicembre del 1902, fu ceduto al comune; riscattato dalla nobile signora Celestina Carrano, il 6 giugno 1924, fu trasferito gratuitamente, sotto il medesimo titolo, all’Istituto Pontificio delle Maestre Pie Filippi, che attualmente lo occupa. Questo ordine, dedito all’educazione e all’insegnamento, ne mutò la destinazione e fece realizzare numerosi interventi architettonici che, per consentire lo svolgimento delle proprie attività, trasformarono profondamente la struttura dell'immobile. Di notevole interesse sono i due portali d’ingresso alla chiesa ed al convento (foto in basso a sinistra); l’altare in marmi pregiati (foto in basso al centro); due bellissime finestre (in basso a destra)sulla facciata SO: una bifora e una polifora. Chiesa di San Michele Arcangelo Fu costruita nel XII sec., sui ruderi di un precedente edificio romano, forse un teatro. Si dice che sia tra le chiese più antiche di Teggiano. Presenta all'esterno un portico di piccole dimensioni disposto non sulla facciata, bensì sul lato lungo (foto in basso). L'interno ha un presbiterio sopraelevato, che evidenzia maggiormente la presenza della cripta, a cui si accede per mezzo di due ampie scalinate situate al di sotto del presbiterio. Interessanti sono i quattro rozzi e duri rilievi, colmi però di efficace espressione, raffiguranti i simboli degli "Evangelisti", databili intorno al 1270 e attribuiti a Melchiorre Di Montalbano. La cripta la parte più antica dell'intera costruzione, è dedicata a Santa Venera; presenta volte a crociera (foto in alto a sinistra) su basse colonne con capitelli in forma di animali (foto al centro). Le pareti conservano affreschi del XIII sec. raffiguranti S. Venera ed altri santi a sinistra dell'entrata è un affresco databile al primo decennio del XV secolo, con la “Madonna con Bambino in trono tra San Giovanni Battista e Santa Venera” (foto in alto a destra). Chiesa della SS. Annunziata Sorge nei pressi dell'antica porta omonima, fu fondata dagli angioini, nel XIV sec., quando i monaci celestini la scelsero per insediarvisi. Il convento dei monaci fu soppresso nel 1652, i locali divennero privati e trasformati in civili abitazioni. Mediante un'ampia scalinata si arriva al portico scoperto (foto in alto a sinistra), con tre arcate a tutto sesto, rette da alte colonne monolitiche. Il portale di accesso è del 1504 e presenta superiormente un bassorilievo in cotto raffigurante l’Annunciazione (foto in alto a destra). Il portico introduce alla chiesa, che presenta una soluzione architettonica tipicamente angioina (foto in basso a sinistra), riconoscibile soprattutto nell’abside quadrata voltata a crociera. L’altare maggiore ospita un polittico cinquecentesco che raffigura l’Annunciazione con due santi ai lati (foto in alto a destra). La predella ospita raffigurazioni di santi, mentre nella parte superiore dell’opera è dipinto il martirio di Santa Caterina d’Alessandria con san Giovanni Battista e san Giuseppe. Tra i santi del polittico si riconosce anche Celestino V, conosciuto come il papa del “Gran Rifiuto”. La navata principale è affiancata a destra, da una navatella laterale (foto in basso), delimitata da forti e basse colonne sormontate da capitelli larghi e schiacciati, decorati a fogliame e di gusto romanico, su cui scaricano tre archi e delle volte a vela che presentano affreschi rinascimentali. Sulle pareti della navata minore sono disposti degli altari con decorazione in stucco del XVIII sec., mentre nel vano occluso è venuto alla luce un affresco raffigurante San Cono in abiti benedettini, ed un altro con la raffigurazione del “Martirio di san Lorenzo”. Sulla parete di destra dell'abside vi è una tavola dipinta (foto in basso a destra) del XVI sec., raffigurante “l'Annunciazione”. Chiesa di Sant’Andrea Di origini molto antiche, vi si accede dal portale d’ingresso posto sotto il campanile, che si affaccia su via Sant’Andrea (foto in basso). Presso l’ingresso vi sono alcuni frammenti lapidei di età lucana e romana: capitello con figure e decorazioni floreali del IV sec. a. C. ed un’ara romana. L'interno presenta un impianto centrale ad unico vano coperto da una volta a vela, l’abside è innestata nella pianta poligonale della navata. Conserva il trittico “Madonna con i santi Antonio da Padova e Biagio” (in basso a sinistra) di Pavanino da Palermo del 1499, e la pala “Madonna con Bambino con sant’Antonio da Padova e san Nicola di Bari” (in basso a destra) di Andrea Sabatini (da Salerno), del 1508. Sono conservate anche due tele del XIX sec.: la “Decollazione del Battista” e “Cristo in Croce con la Madonna e san Cono”. Seminario e Vescovado Il palazzo della famiglia Malavolta accoglie la sede del Seminario vescovile della diocesi di TeggianoPolicastro, fondato all’indomani Concilio di Trento, nel 1564, dal vescovo di Capaccio: Paolo Emilio Verallo. Oggi il seminario ospita l'importante Archivio Diocesano; mentre il museo conserva opere di epoca classica e medievale. Vi è Anche la sede dell'Accademia Musicale del Vallo di Diano. Nell'ingresso del seminario si può ammirare la pavimentazione in pietra locale, fatta a strisce per evitare che i cavalli scivolassero. . MUSEI Museo delle Arti e della Civiltà Contadina Il Museo, allestito nel 1988 dalla Pro Loco di Teggiano, è allocato in un palazzo comunale nei pressi della Chiesa di Santa Barbara. Il suo patrimonio si è formato nel corso degli anni con le donazioni fatte gentilmente dalle famiglie teggianesi. Sono presenti il telaio per tessere la canapa, i filatori e gli attrezzi per raffinare il lino (foto in basso a sinistra). Strumenti per riparare le scarpe con le varie forme (foto in basso al centro e destra) e contenitori in legno. Sono presenti anche gli arredi di una camera da letto dei primi del '900, con un antico letto in ferro battuto e il monaco, un attrezzo che si infilava sotto il letto per i bisogni igienici (foto in basso). Ed ancora, raccolte di oggetti, musiche, e tutta una documentazione sui cicli di trasformazione riguardante il latte, il vino, e l'olio. Il piccolo museo raccoglie reperti, mantenuti vivi nella loro funzione originaria, dall’antico telaio, agli aratri per buoi e per cavalli, alle lucerne, agli attrezzi per falciare, mietere, trebbiare, setacciare, finimenti di cuoio. Completano la raccolta fotografie e costumi d’epoca. Museo di San Cono Nella piazza principale, in prossimità del Seggio, si trova il Museo di san Cono. Si tratta di una piccola struttura ma piena e fornita di ogni materiale necessario per conoscere la storia del Santo protettore di Teggiano. Al suo interno il piccolo museo custodisce quadri, manifesti, paramenti sacri e libri sulla figura di San Cono e del culto del santo protettore di Teggiano. Nonostante le piccole dimensioni il Museo di San Cono, costituisce un punto di riferimento per la comunità, in quanto custode di un culto popolare mantenuto nel tempo, che oltrepassando i confini nazionali. Costituisce, inoltre, un punto di riferimento anche per gli studiosi di antropologia e delle tradizioni popolari sviluppatesi dai culti dei santi. Museo delle Erbe Il Museo delle Erbe con Viridarium, è posto in pieno centro storico, accanto all'antico Convento della SS. Pietà; inaugurato nel giugno del '99, rappresenta un punto di riferimento di numerose categorie sociali dai professionisti agli studenti, ai contadini, agli artigiani, alle massaie, ai ricercatori, agli studiosi, ai curiosi della Provincia di Salerno e della Regione Campania. Presenta diverse sezioni:- Etnobotanica (l'antica spezieria medievale, la medicina popolare, le erbe nell'uso domestico, le piante ed i legni dell'artigianato, le erbe della magia); Medicine naturali, preparazioni farmaceutiche ed erboristeria; Banca semi ed antico germoplasma delle zone interne della Provincia di Salerno; Erbario naturale, classificazioni e carte floristiche; Micologia; Monitoraggio sulle emergenze floristiche del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano; Le erbe, la didattica ed il mondo della scuola. ECONOMIA LOCALE Industria Piccole industrie alimentari Occupazione di c.a. 30% sul totale degli abitanti di Teggiano. Artigianato Lavorazione della Pietra Lavorazione del Legno Intrecci di ceste Ricamo Turismo Legato alla manifestazione medievale e alle visite guidate nel centro storico. Prodotti Agroalimentari DOP Olio extravergine di oliva DOP Denominazione di Origine Protetta “Colline Salernitane” Teggiano è uno dei comuni nei quali si produce olio extravergine d’oliva della DOP Olearia “Olio Colline Salernitane”; che comprende un vasto territorio tra la Costiera Amalfitana e la Valle del Calore. La DOP Olearia è ottenuta, per almeno il 65% dalle varietà Rotondella, da Carpellese o Nostrale, e Frantoio. Concorrono alla produzione, in misura non superiore al 35%, le varietà Ogliarola e Leccino; che nel rispetto del disciplinare di produzione danno vita ad un prodotto ricco di caratteristiche organolettiche e nutrizionali L’olio extravergine d’oliva DOP di Teggiano è ottenuto dalla coltivazione di piante esclusivamente presenti in questo territorio del Vallo di Diano; coltivate in un ambiente con prevalente vocazione agricola, tendente all’agricoltura biologica, quindi con terreni non sottoposti all’agricoltura intensiva. Nei quali persistono numerose varietà autoctone, conservate grazie al lavoro degli agricoltori, come le cultivar storiche Rotondella e Carpellese. L’olio è realizzato dalla premitura di olive coltivate nella valle e raccolte per brucatura a mano o con macchine agevolatrici; raramente sono presenti reti sotto gli ulivi per la caduta naturale. Le olive da olio crescono in un clima freddo e piovoso per la lontananza dal mare e per la presenza di rilievi. La maggiore presenza della varietà Rotondella, con il suo equilibrato contenuto in sostanze fenoliche e cere, rispetto alle alte quantità presenti nella varietà Ogliarola, conferisce morbidezza e delicatezza all’olio. Presenta un sapore dolce, dal retrogusto pulito, con un livello medio fruttato e un livello medio-leggero di amaro piccante, che lo rendono adatto per grigliate di pesce, verdure e carpaccio. DISCIPLINARE DI PRODUZIONE http://www.agricoltura.regione.campania.it/tipici/pdf/disciplinare-olio-salerno.pdf IGT Vini ad IGT Indicazione Geografica Tipica “Colli di Salerno” Il territorio di Teggiano rientra nella zona di produzione dei Vini ad IGT “Colli di Salerno”, il disciplinare di produzione individua come zona di produzione delle uve tutto il territorio amministrativo della provincia di Salerno. Una zona molto estesa, nella quale occorre distinguere le zone di produzione alle spalle di Salerno e dell’area Cilentana, dalle zone costiere. Il terreno e le tecniche di coltivazione rendono il prodotto finale variegato e diversificato, nonostante si coltivino vitigni identici. Le modalità di coltivazione sono differenti, su terrazzamenti in Costiera, sui dolci declivi, nell’entroterra collinare. Qui alcuni produttori hanno scelto di sposare la tradizione, realizzando vini in purezza con vitigni autoctoni; altri hanno deciso di sperimentare nuovi vini abbinandoli a vitigni internazionali. I bianchi di quest’area, quando sono prodotti con cura in vigna e in cantina, esprimono un buon equilibrio, sentori fruttati al naso e, in certi campioni, una sensibile nota salata, una buona bevibilità, fresca e di notevole nerbo acido. I rossi presentano una maggiore diversificazione, anche perché i vini più importanti, seguendo una tendenza consolidata, vengono “ammorbiditi” assemblando ai vitigni autoctoni i cosiddetti “vitigni internazionali”. Secondo quanto stabilito dal disciplinare di produzione, i vini IGT “Colli di Salerno” prevedono: La produzione è riservata ai seguenti vini • vini bianchi (nelle tipologie frizzante, amabile e passito) • rossi (nelle tipologie frizzante, amabile, passito e novello) • rosati (nelle tipologie frizzante e amabile) Le uve devono provenire da vigneti composti da uno o più vitigni a bacca di colore analogo, idonei per la provincia di Salerno e iscritti nel registro nazionale delle varietà di vite per uve da vino secondo quanto stabilito dal disciplinare di produzione. I vini devono essere ottenuti da uve provenienti per almeno l’85% da vitigni di: Aglianico, Barbera, Coda di Volpe, Falanghina, Fiano, Greco, Moscato, Piedirosso, Primitivo, Sciascinoso. Possono concorrere, fino ad un massimo del 15% uve dei vitigni a bacca di colore analogo, non aromatici, idonei per la provincia di Salerno. Gli abbinamenti si adattano alla tipologia del vino, ma sono da preferire quelli con la cucina tradizionale. DISCIPLINARE DI PRODUZIONE http://www.agricoltura.regione.campania.it/viticoltura/disciplinari/IGT_Colli_Salerno.pdf Caciocavallo Silano DOP Il “Caciocavallo Silano” DOP è un formaggio semiduro a pasta filata, prodotto con latte di vacca allevata prevalentemente al pascolo o a stabulazione fissa. Il caciocavallo DOP prodotto nel territorio di Teggiano si caratterizza rispetto agli altri per l’ambiente di crescita degli animali produttori di latte: pascoli sempreverdi e larghi spazi aperti; unito alle tecniche di lavorazione, che seguono le antiche tradizioni, tramandate da generazione. Il nome Caciocavallo deriva dalla consuetudine di appendere ad asciugare i formaggi in coppia a cavallo di una trave, oppure per la forma “a cavalluccio” data alla pasta. Presenta una forma ovale o troncoconica, con testina o senza; con un peso tra 1 kg e 2,500 kg. La crosta è sottile e di marcato colore paglierino e in superficie può manifestare la presenza di leggere insenature dovute ai legacci. La pasta è omogenea e compatta, presenta una leggera occhiatura di colore bianco o giallo paglierino. Il sapore aromatico, piacevole, delicato e tendenzialmente dolce quando il formaggio è giovane, fino a divenire piccante a maturazione avanzata. Un apposito disciplinare di produzione stabilisce le caratteristiche del prodotto, ne identifica i Comuni produttori e le regioni: Calabria, Basilicata, Puglia, Campania e Molise. Il Consorzio di Tutela Formaggio Caciocavallo Silano” difende e tutela la produzione, il commercio e l’uso della denominazione nel rispetto del disciplinare; salvaguardandone la tipicità, le caratteristiche peculiari e la genuinità. DISCIPLINARE DI PRODUZIONE http://www.agricoltura.regione.campania.it/tipici/pdf/disciplinare-caciocavallo-silano.pdf CONSORZIO DI TUTELA FORMAGGIO CACIOCAVALLO SILANO http://www.caciocavallosilano.it/ Salumi Per la produzione dei salumi locali, vengono utilizzate carni provenienti dagli animali cresciuti e allevamenti in questa zona del Vallo di Diano. Nati naturalmente dalle scrofe, e allevati solo con prodotti locali, coltivati nei campi del Vallo: crusca, verdure, zucche, ghiande, farinaccio, etc. Salsiccia: ottenuta da una scrupolosa selezione di carni, di prosciutti e spalle di suini freschi macellati, tritate con macina grossa, aromatizzate con polvere di peperone dolce o piccante e finocchietto selvatico, e infine insaccate in budello naturale. Dopo l’essiccazione viene consumata, accompagnando gli antipasti o nelle preparazioni in cucina. Soppressata: preparata con la parte magra del prosciutto, macinata, salata, aromatizzata con pepe nero e pezzetti di grasso tagliato a cubetti di piccole dimensioni a lama di coltello ed insaccata in budello naturale. Posta a pressatura, ad essiccatura, per un periodo di 40 giorni, e infine consumata. Si mangia con del buon pane locale, magari accompagnata da un buon bicchiere di vino IGT. Pancetta: per realizzarla si utilizza la parte della pancia del maiale, posta in salamoia e aromatizzata con pepe e peperoncino dolce. Trascorso il giusto tempo, la pancetta viene arrotolata ed essiccata a temperatura ambiente per 90 giorni. Si può avere anche tesa. Ottima negli antipasti e anche per preparazioni in cucina. Capocollo: realizzato utilizzando la parte del dorso del collo del maiale, situata tra capo e collo, dalla quale appunto prende il nome, posta in salamoia e aromatizzata con pepe in grani, infine avvolta per essere stagionata. Si mangia con del buon pane locale, magari accompagnata da un buon bicchiere di vino IGT. PIATTI TIPICI E RICETTE Pasta fatta a mano Fusilli Pasta a base di farina di grano duro, acqua, sale. I cilindretti di pasta sono lavorati con un ferretto, passato orizzontalmente al centro arrotolando la pasta intorno ad esso e verso l’esterno. Si ottiene una pasta di media lunghezza, che può essere condita con sugo semplice o con ragù. Parmatieddi Pasta fatta in casa, a base di farina di grano duro, acqua, sale. Condita con sugo, fatto con pomodoro, olio extravergine d’oliva DOP, carme macinata, cipolle e una manciata di ricotta salata. Ravaiuoli teggianesi pasta fresca farcita con un ripieno di ricotta, con la "pettila", ossia pasta di circa 2 o 3 cm disposta tutto intorno al ripieno, e chiusa con la forchetta. Si tratta di ravioli abbastanza grandi, circa 12 cm per 8 cm. Possono essere realizzati anche a "crona": a corona, e richiamano la corona della Principessa Costanza. Peperoni “sciscilloni” prende questo nome in seguito alla tecnica di preparazione dei peperoni secchi; fritti interi nell'olio bollente. Posso essere mangiati da soli oppure possono andare a condire patate bollite o altro. Salsiccia a "caparieddi" conservata sotto "nzogna" (sugna). Estratta e liberata dalla sugna, va consumata abitualmente, a fette sottili, con del pane o accompagnando la preparazione di piatti. RICETTE Ravioli cunzati Ingredienti per la pasta: 1 kg farina, acqua q.b., sale. Ricotta, uova, prezzemolo. Ingredienti per il condimento: 500 gr. salsa di pomodoro, 500 gr. pelati, 1 cipolla, 1 aglio, 1 sedano, 1carota, sale q.b., olio extravergine d’oliva DOP q.b. Procedimento Iniziate impastando la farina con un po’ di acqua tiepida e sale, quando otterrete un impasto compatto, fate riposare. Preparare il ripieno con ricotta, uova, sale, prezzemolo. Stendere la pasta in una striscia lunga e sottile, con un cucchiaio prendere un pò del ripieno e porlo sulla striscia, in modo da creare tanti mucchietti distanziati tra loro. Chiudere la striscia su se stessa e sigillare i singoli ravioli con la punta di una forchetta. Preparare il sugo riscaldando in una pentola abbastanza capiente, l’olio con il soffritto di cipolla, aglio, sedano e carote. Appena sarà dorato il tutto aggiungere la salsa e i pelati di pomodoro, salare, pepare e aggiungere un pizzico di peperoncino al tutto. Cuocere a fuoco lento per c.a. un’ora e mezza. Cuocere i ravioli al dente e condire con il sugo aggiungendo una manciata di pecorino. Medaglioni di Caciocavallo Silano DOP Ingredienti: 350 g Formaggio Caciocavallo Silano DOP, due spicchi Aglio, due uova, pan grattato, un pizzico origano, olio, sale e pepe. Procedimento: Sbattere le uova con una forchetta montandole leggermente. Tagliare il formaggio a fette e passare le fette prima nelle uova frullate e poi nel pangrattato. In una padella fare scaldare dell’olio con gli spicchi d’aglio. Mettere le fette di caciocavallo Silano DOP e lasciare rosolare da entrambi i lati; scolare bene dall’eccesso d’olio e sgocciolare su un foglio di carta assorbente. Profumare con un pizzico d’origano, sale e pepe. Vanno serviti caldi. Melanzane ripiene con Caciocavallo Silano Ingredienti: due melanzane medie nere, 100 g di caciocavallo Silano DOP semi stagionato, due spicchi d’aglio, un ciuffo di basilico, 4 pomodori maturi, olio extra vergine d’oliva DOP, sale e pepe. Procedimento: Lavare le melanzane, eliminare il picciolo e tagliare a metà nel senso della lunghezza. Praticare tre o quattro incisioni profonde, cospargerle di sale e metterle in uno scolapasta per un’ ora. In seguito lavarle e asciugarle con cura. Tritare l’aglio con il basilico, pelare il pomodoro, eliminare i semi e tagliarlo a filetti. Tagliare a cubetti il caciocavallo Silano DOP. Mescolare tutti gli ingredienti e aggiungere un filo d’olio con un pizzico di sale e pepe. Riempire con il composto ottenuto i tagli che avete praticato nelle melanzane. Disporle in una teglia unta e irrorare la superficie con un altro cucchiaio d’olio e infornare a 180° per tre quarti d’ora. EVENTI Festa Di San Cono Patrono Di Teggiano Cittadino e protettore di Teggiano e della Diocesi San Cono nacque a Teggiano nel XI secolo da una famiglia agiata di nome Indelli. Ancora adolescente si sente chiamato alla vita monastica e si ritira, all’insaputa dei genitori, al Monastero di S. Maria di Cadossa, situato nei pressi di Montesano sulla Marcellana nel Vallo di Diano. Per evitare che i genitori lo riportassero a casa il giovinetto si rifugia nella cucina del cenobio benedettino e salta nel forno acceso. I genitori, accompagnati dal priore Costa, rimangono colpiti dal prodigio e riconoscendo la volontà del figlio si accomiatano da lui e fanno ritorno a Teggiano. Segue per Cono il noviziato ed infine la morte sopraggiunta nel primo decennio del secolo XII. Le sue spoglie furono trasferite a Teggiano nel 1261. Il culto del Santo è attestato da numerose testimonianze ricorrenti lungo il corso dei secoli. La sua santità però fu riconosciuta ufficialmente e solennemente il 27 aprile del 1871. I suoi resti mortali, sottoposti più volte a ricognizione canonica, sono venerati nella cappella a Lui dedicata nella Chiesa Cattedrale di S. Maria Maggiore in Teggiano. La celebrazione solenne della festa di S. Cono a Teggiano ha luogo il 3 giugno mentre il 27 settembre si fa memoria della traslazione dei suoi resti mortali da S. Maria di Cadossa al suo paese nativo ed il 17 dicembre si ricorda il suo speciale patrocinio in favore dei suoi concittadini. Alla Tavola della Principessa Costanza Rievocazione storica della visita a Diano del Principe Sanseverino e della sua Sposa Costanza. Le fonti raccontano che per l’evento l’intero feudo organizzò grandi festeggiamenti: la cittadina si vestì a festa adornando tutte le strade gli edifici con ghirlande e fiori e furono preparati diversi piatti. Antonello Sanseverino, Principe di Salerno e Signore di Diano, figlio di Roberto Sanseverino, I° principe di Salerno, e di Raimondina (o Bernardina) Orsini dei duchi di Venosa, sposa nel 1480 Costanza, figlia di Federico da Montefeltro Duca di Urbino. Dopo le nozze si recano in visita a Diano. La festa medievale si svolge in tre giorni: 11, 12 e 13 agosto di ogni anno; al Corteo Storico partecipano numerosi cittadini, vestiti con abiti d’epoca, giocolieri, menestrelli, balestrieri, trombonieri, sbandieratori e numerosi artisti provenienti da tutta la regione e anche oltre (vedi foto). Seguono la rievocazione del Consiglio Comunale presso il Seggio, il Palio dei Casali e l’apertura del banco di Cambio e delle botteghe; la festa termina con l’assalto al Castello (vedi foto). Nelle botteghe sono ripresi i vecchi mestieri e l’artigianato locale; le locande servono cibi realizzati con le ricette medievali, nei quali sono valorizzati i prodotti locali DOP, IGT, i salumi, i prodotti lattiero-caseari. Palio del Ciuccio Palio con corsa sugli asini, risalente al medioevo - le cronache riportano differenti storie sulla sua origine: - gli abitanti della contrada S. Marco, avrebbero salvato il castello da un violento incendio al tempo di Antonello Sanseverino, trasportando con gli asini l’acqua dal fiume al borgo. - gli abitanti della contrada S. Marco avrebbero salvato l’icona del Santo da un incendio divampato nella cappella di San Marco, trasportando con gli asini l’acqua. Teggiano Antiquaria Mostra Mercato Nazionale dell'Antiquariato e del Collezionismo: esposizione di mobili di piccolo e grande antiquariato e di finissimo artigianato. In vetrina mobili del Settecento, dipinti, sculture, gioielli, argenteria, porcellane, oggetti d´arredamento, tappeti, giocattoli da collezione, vetri di Murano, filatelia, numismatica e stampe d´epoca, tra cui incisioni del XIV Secolo e XVII Secolo. I pezzi, tutti di notevole valore, verranno selezionati tra alcuni dei più noti antiquari italiani provenienti da quasi tutte le regioni italiane. Gustour Evento gastronomico all'insegna del rispetto della tradizione e della tipicità dei propri prodotti. La manifestazione è un'opportunità in più per apprezzare prodotti come: carni, insaccati e formaggi, sott'oli e sott'aceti, salse e condimenti tradizionali, paste artigianali, prodotti da forno dolci e salati, distillati, senza dimenticare il vino IGT e l’olio DOP.