speciale antiche varietà di frutta
A cura del Crpv
Un progetto regionale per salvare
le cultivar a rischio d’estinzione
DANIELE MISSErE
Centro Ricerche
Produzioni Vegetali,
Cesena
I
n Emilia-Romagna la frutticoltura ha un’antichissima tradizione. Pier de’ Crescenzi, nel XIII secolo,
consigliava d’innestare il pero sul cotogno: la coltivazione delle piante da frutto, quindi, in quegli
anni era già ampiamente diffusa. All’inizio del secolo
scorso ha avuto una grande espansione, portando con
sé l’introduzione di numerose varietà e di conseguenza
un ampliamento della variabilità genetica. In seguito
molte delle antiche varietà sono state abbandonate a
favore delle nuove cultivar, dotate di qualità più in linea
con le esigenze agronomiche e di mercato.
Per questo motivo la Regione Emilia-Romagna,
nell’ambito del Programma di sviluppo rurale
2007‐2013 (Misura 214 - Azione 7 “Agrobiodiversità: progetti comprensoriali integrati”) ha promosso, tramite il Centro ricerche produzioni vegetali,
un’iniziativa volta a salvaguardare il patrimonio di
varietà autoctone a rischio di erosione genetica. Il
progetto prevede la ricognizione, la caratterizzazione e la conservazione ex situ delle antiche varietà
frutticole più significative per il territorio regionale.
Ricognizione
e caratterizzazione morfologica
La tabella 1 riporta le collezioni che la Regione,
con determina di Giunta n 8396/12, ha ritenuto
idonee alla conservazione ex situ. Osservando la tabella 2, si può notare come il materiale già iscritto
al Repertorio volontario regionale (Rvr) delle ri-
sorse genetiche agrarie presente nelle collezioni sia
una minima parte: tolte le ripetizioni, sono solo 28
le varietà del Repertorio. Inoltre esso dovrà essere
interamente accertato, poiché si tratta di materiale acquisito con quella denominazione, ma spesso
non verificato da tecnici esperti.
Pertanto il Crpv dovrà verificare le eventuali omonimie e/o sinonimie, l’età e lo stato generale di
sanità delle piante; fattori che permettono di valutare l’importanza di ogni accessione e di pesare in
modo diverso sulla quantificazione del rischio di
erosione genetica.
Per la loro caratterizzazione sarà impiegata, per ogni
specie, un’apposita scheda morfologica d’identificazione varietale approvata dalla Regione EmiliaRomagna, modificata per essere adattata a quella
proposta a livello nazionale dal gruppo di lavoro
Biodiversità in agricoltura e contenuta all’interno
delle Linee guida per la conservazione delle Risorse
genetiche agrarie. L’implementazione delle schede
avverrà in base ai rilievi feno-pomologici sulle piante in campo e consultando sia i riferimenti bibliografici ufficiali, sia il materiale informativo e le testimonianze orali fornite dai soggetti conservatori.
Recuperare informazioni sulla provenienza, la storia, le varie denominazioni locali è un elemento
fondamentale per capire e documentare i legami
con il territorio e ricostruire le aree di maggiore
coltivazione. Spesso, infatti, i nomi locali richiamano il luogo di origine e a volte anche le caratte-
Tab. 1 - Collezioni di anTiChe varieTà fruTTiCole regionali riTenuTe idonee alla Conservazione ex situ.
Struttura accreditata
68
Varietà iScritte al rVr
Varietà non iScritte al rVr
Comune di Casola valsenio (rA)
8
5
Astra Innovazione e Sviluppo s.r.l. - Faenza (rA)
7
38
Fondazione villa Ghigi - Bologna (BO)
12
43
Istituto Alcide Cervi - Gattatico (rE)
4
4
Az. agr. Ghetti Domenico e Stefano s.s. - Brisighella (rA)
18
67
Itas “F. Bocchialini” - parma
9
100
Ghetti Daniele - Faenza (rA)
17
16
Associazione Nuova Terraviva - Ferrara (FE)
5
11
Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Emilia
occidentale - Langhirano (pr)
5
97
TOTALE vArIETà/ACCESSIONI
85
381
luglio/agosto 2013
Tab. 2 - varieTà fruTTiCole isCriTTe e non isCriTTe al reperTorio volonTario regionale (rvr).
Varietà
iScritte
Specie
numero
peSco
4
albicocco
2
SuSino
1
cilieGio
dolce
2
Vecchi biotipi non iScritti
iStituto
cerVi (re)
astra imola
(bo)
1
comune
casola
Valsenio
(ra)
Villa Ghigi
bologna
az. Ghetti
domenico
brisighella
(ra)
az. Ghetti
daniele
Faenza
(ra)
35
16
3
5
1
5
1
1
nuova
terraviva
(Fe)
8
cilieGio
acido
ente
Gestione
parchi
langhirano
(pr)
itas
bocchialini
(pr)
Totale
1
52
1
11
13
13
32
7
12
28
Melo
8
pero
8
oliVo
3
MeloGrano
1
1
7
14
2
13
17
14
2
26
33
84
4
41
33
124
1
6
4
1
12
1
4
1
2
8
aZZeruolo
2
4
2
KaKi
1
Fico
6
2
1
4
caStaGno
cotoGno
2
Mandorlo
1
biricoccolo
TOTALE
3
13
1
1
2
2
1
1
1
28
4
38
5
ristiche che contraddistinguono l’accessione.
Per alcune di esse potrebbe essere necessario eseguire analisi qualitative di laboratorio e prove di
conservabilità per confermare certe peculiarità
descritte nelle schede pomologiche. Sia le analisi,
sia le prove di conservazione saranno realizzate da
Astra-Innovazione e Sviluppo.
Analisi molecolare
e verifica dello stato sanitario
Le analisi molecolari saranno condotte quando i
soli rilevi feno-pomologici si riveleranno insufficienti per redimere alcune controverse attribuzioni. Parte del materiale individuato è già stato
“repertoriato” ai sensi della legge regionale 1/2008,
ma alcuni dubbi che potrebbero emergere all’atto
della caratterizzazione morfologica devono essere
ulteriormente fugati. Ciò per mettere in evidenza
eventuali casi di sinonimie e omonimie con varietà
già iscritte al Registro nazionale delle varietà; inoltre le collezioni acquisite richiedono verifiche per
una corretta attribuzione delle varietà già iscritte
al Repertorio volontario regionale e per l’indagine
luglio/agosto 2013
5
5
43
67
16
11
97
100
381
delle accessioni non iscritte. Le analisi molecolari
saranno condotte dal Cra-Unità di ricerca per la
frutticoltura di Forlì.
Infine sarà importante verificare lo stato sanitario
delle singole accessioni, per evitare che il materiale presente nelle collezioni sia fonte d’infezione di
virus da quarantena e decidere, nel caso si tratti di
esemplari unici di particolare interesse, di procedere alla conservazione in condizioni d’isolamento
o al loro risanamento. è noto che alcuni patogeni
virali possono determinare variazioni nelle caratteristiche fenotipiche: gli alberi dei genotipi infetti
sono meno vigorosi e con crescita più disforme,
ma più produttivi e con frutti più piccoli, più eterogenei nella colorazione e talvolta con polpa più
consistente rispetto a quelli virus-esenti.
I controlli fitosanitari saranno condotti in primo
luogo visivamente mediante un monitoraggio
nei momenti di maggior evidenza dei sintomi; in
presenza di dubbi saranno effettuati saggi biologici (indexaggi) e analisi di laboratorio (test Elisa e,
nei casi di particolare rischio, Rt-Pcr). Le analisi
saranno eseguite dai laboratori del Centro attività
vivaistiche.
69
speciale antiche varietà di frutta
Due frutti ritrovati: pesca
Buco Incavato e pera Mora
CLAUDIO BUSCAROLI
Centro Ricerche
Produzioni Vegetali,
Cesena
Crpv
Negli anni ’30
la pesca bianca
Buco Incavato
era la varietà
più diffusa
in Emilia-Romagna.
70
E
ra il 1884: Giuseppe Gianstefani si recava come di consueto con il biroccio
al mercato di Bologna, l’attuale mercato delle erbe. Finita la vendita della sua
frutta andava a colazione all’albergo Tre Re; qui,
un giorno, gli accadde di vedere il cameriere che
serviva ad una cliente delle pesche assai belle. Lo
chiamò e gli chiese se poteva prendere i noccioli
e come compenso gli avrebbe dato due delle sue
pesche per ciascuno di essi. Piantò i noccioli in
azienda e in pochi anni ottenne i primi frutti.
É così che il figlio Ulisse, uno dei pionieri della frutticoltura romagnola, racconta la nascita
del Buco Incavato, denominato anche Pesca di
Massa Lombarda, che in poco tempo divenne la
varietà più coltivata nella provincia di Ravenna.
É una pesca a polpa bianca che matura attorno
al 20 agosto; i frutti, oltre che saporitissimi, erano considerati adatti ai trasporti e alimentarono
una corrente di esportazione fino ad allora impensabile. A metà degli anni ’30 era la varietà
più importante in tutta l’Emilia Romagna, poi,
con l’introduzione dei genotipi a polpa gialla di
origine americana, prima tra tutte J.H. Hale,
più serbevoli, a maggiore tenuta di maturazione
e più idonei per le spedizioni a lunga distanza,
iniziò il suo declino: a metà degli anni ’50 rappresentava già meno dell’1% della produzione
regionale.
Il progetto della Provincia
di Ravenna per la biodiversità
Sebbene fosse nota a partire dall’inizio del secolo
scorso, la prima scheda pomologica dettagliata
e illustrata fu pubblicata nel 1936. Nella descrizione sono evidenziate le ottime caratteristiche
qualitative dei frutti di “polpa finissima e gustosa”. Una particolarità del Buco Incavato è che,
agli esordi della sua affermazione, veniva spesso
moltiplicata per seme anziché per innesto, come
d’altronde succedeva per altre varietà dell’epoca,
quali le Maddalene e le Morellone. Illustri esperti infatti osservavano che alcune di esse, sebbene
fosse consigliabile propagarle per innesto, per
seme mantenevano costanti le caratteristiche tipiche.
Sorsero perciò nuovi varianti del Buco Incavato
molto simili tra loro, ma con alcuni caratteri distintivi: a volte era l’estensione del sovraccolore
rosso sulla buccia, in altri casi la forma dei frutti
o l’epoca di maturazione. Inizialmente presero
denominazione aggiuntive rispetto alla varietà
capostipite, poi con il tempo dimenticate. Oggi
sono presenti nel territorio solo poche piante di
questa storica pesca bianca, conservate da qualche frutticoltore o amatore locale che le mantiene vicino a casa per gustarne ancora il profumo
e il sapore.
Per tutelare gli ultimi esemplari a rischio di
estinzione la Provincia di Ravenna ha promosso il “Progetto comprensoriale integrato per il
recupero, la salvaguardia e la valorizzazione della biodiversità a tutela del patrimonio genetico
di varietà e razze autoctone”. L’iniziativa, nella
quale il Crpv è parte attiva con la collaborazione del Cra di Forlì, si è sviluppata attraverso il
censimento degli esemplari ancora presenti nel
territorio provinciale, individuati tramite l’organizzazione di incontri con i frutticoltori.
L’esperienza è stata accolta con grande entusiasmo
anche grazie all’interessamento delle associazioni
luglio/agosto 2013
Crpv
di categoria e dei Comuni - in particolare Massa
Lombarda, dove probabilmente la varietà è nata
- che hanno divulgato le iniziative attraverso conferenze stampa e articoli sui giornali locali. I biotipi censiti sono stati poi caratterizzati dal punto di
vista feno-pomologico e molecolare.
Durante i sopralluoghi è stato riscontrato che un
paio degli esemplari oggetto dell’indagine erano
in realtà Tardiva di Massa, varietà che proviene
dagli stessi semi piantati da Gianstefani e che si
pensava ormai perduta, sotto la denominazione generica o di Buco Incavato tardivo. È stata
inoltre organizzata una “Giornata della pesca del
Buco Incavato” promossa dal Comune di Massa
Lombarda, che si svolge nel momento della raccolta dove i frutti ancora esistenti sono degustati
e giudicati pubblicamente dai partecipanti.
Nel progetto rientra anche la distribuzione di
piante ad agricoltori, aziende agrituristiche,
amatori e hobbisti interessati: sono stati utilizzati
i tre cloni per i quali erano terminati i controlli
sanitari e di cui erano disponibili piante madri
in aree indenni da organismi da quarantena; in
questo modo il materiale per l’innesto è stato
raccolto rispettando la normativa vigente.
Forma irregolare,
profumo intenso e persistente
Più incerta e meno documentata è l’origine della
pera Mora, sebbene le testimonianze scritte ne
dimostrino la coltivazione già all’inizio del secolo scorso. Sono soprattutto le piante secolari
sopravvissute nei sagrati delle pievi, nelle abbazie, negli antichi poderi di pianura e della collina
faentina e casolana ad attestarne la presenza radicata sul territorio, sin da epoche più remote di
quanto per ora sia stato accertato.
È una pera tendenzialmente grossa ma di aspetto poco attraente, di forma turbinata spesso
irregolare. Il colore verde scuro della buccia,
parzialmente rugginosa, tende ad essere quasi
totalmente bronzato negli ambienti più umidi
di pianura, talvolta con qualche sfumatura rossa
quando innestata su cotogno. Ciò che colpisce
all’assaggio è il profumo intenso e delicato, ma
soprattutto l’aroma particolarmente persistente
che rimane in bocca a lungo. Il sapore della polpa è fine, anche se un po’ granuloso.
Rare sono le varietà di pero attualmente in commercio paragonabili alla Mora per ricchezza ed
eleganza di sensazioni aromatiche, evocazione di
una cultura millenaria, rurale ma raffinata nei
gusti, lontana da quella tecnologica e di massa
dei giorni nostri.
luglio/agosto 2013
Molti, tuttavia, sono i difetti: occorrono almeno venti giorni - un mese dal momento della
raccolta, che avviene circa a metà ottobre, prima che i frutti siano maturi e la polpa non più
astringente; è difficile valutare la maturazione
perché non sempre l’ingiallimento della buccia è
sufficientemente indicativo. La conservazione è
abbastanza breve: alla fine di dicembre già tende
ad ammezzire.
Nell’ambito del progetto della Provincia di Ravenna sono stati valutati diversi biotipi reperiti
nelle collezioni degli istituti di ricerca, dei vivaisti e sul territorio. Dopo i rilievi pomologici di
campo sono stati raccolti campioni di frutti per
effettuare le analisi chimico-fisiche e sensoriali presso il laboratorio di Astra, dove sono state
confrontate le varie provenienze. è stato anche
previsto un fingerprinting molecolare dei biotipi
più interessanti, condotto dall’Università di Bologna; infine si è proceduto alla moltiplicazione
e distribuzione delle piante alle aziende agricole,
dopo numerose azioni di divulgazione nelle aree
tipiche di coltivazione. Gli innesti per ottenere
gli astoni da distribuire sono stati raccolti dal
biotipo che ha ottenuto i punteggi più alti di
gradimento dal panel test.
La pera Mora
si contraddistingue
per l’aroma
intenso e persistente.
71
speciale antiche varietà di frutta
Il recupero di ciliegie, pesche
e prugne autoctone a Forlì-cesena
STEFANO TELLArINI
La ciliegia
Corniola ha ottime
caratteristiche
organolettiche
che ne hanno
favorito lo sviluppo
negli ultimi anni.
A
nche la Provincia di Forlì-Cesena ha
avviato nel 2011 un “Progetto comprensoriale integrato per il recupero,
la salvaguardia e la valorizzazione della biodiversità a tutela del patrimonio genetico di
varietà e razze autoctone”, realizzato dal Centro
ricerche produzioni vegetali assieme al Cra-Frf di
Magliano.
Numerose le attività svolte per le singole varietà:
approfondita ricerca bibliografica, scheda d’identificazione con descrizioni e immagini, individuazione sul territorio di piante madri sane da cui prelevare materiale riproduttivo, analisi genetica per
la loro identificazione e per la riproduzione di materiale da distribuire ad agricoltori e appassionati,
con l’impegno alla cura per almeno dieci anni.
è opportuno ricordare che le piante da mettere a
dimora nel territorio della sola provincia di ForlìCesena sono state assegnate ma non ancora distribuite; pertanto è possibile proporre la propria candidatura solo come riserva per eventuali rinunce.
Le antiche varietà recuperate nell’ambito del progetto sono state la ciliegia Corniola, due pesche romagnole a pasta bianca - Bella di Cesena e S. Anna
Balducci - e la prugna Vacaza Zabeo.
Corniola, la più antica
delle cultivar autoctone
La ciliegia Corniola è la più antica delle autoctone
e la più autoctona delle antiche. Le fonti storicoletterarie, tra cui Plinio il Vecchio, affermano che
il ciliegio dolce sia stato introdotto in Italia verso il
73 A.C. dal Ponto, in Asia Minore. Nel Seicento
il bolognese Tanara scrive che un tipo di ciliegie,
le Cornee, era presente nel nostro Paese già prima
di Lucullo e che nel suo contado si trovava una
varietà chiamata Cornie.
La Corniola è raffigurata per la prima volta con
questa denominazione e in modo molto simile ad
alcuni ecotipi pregiati ancora oggi coltivati nelle
nostre colline nella Plantarum Collectio di padre
Majoli, che illustra le piante presenti in Romagna
a fine Settecento. Mazzei nel 1924 descrive così le
ciliegie Corne: «Forma cuoriforme, colore chiaro, quasi carnicino, frutto medio resistente, pasta
croccante. Maturazione verso fine giugno».
Ora questa ciliegia vive un grande favore nei nuovi
impianti, grazie alle ottime caratteristiche organolettiche che ne hanno incentivato la messa a dimora in decine di ettari.
Crpv
Di Bella di Cesena e S. Anna Balducci
sono rimaste solo poche piante
72
Bella di Cesena e S. Anna Balducci sono due antiche varietà di pesca a pasta bianca.
La prima è cesenate Doc, stando a quanto afferma Antonio Manuzzi nel 1931: «è una varietà che
matura nell’ultima decade di luglio, di grossa pezzatura e di un bel colorito rosso fiammante, forma
regolare, matura uniformemente, peso specifico
notevole, abbondante fruttificazione della pianta,
resistentissima ai trasporti. Possiede molti requisiti
qualitativi identici alla Carman, ma si differenzia
da essa per una maggiore precocità e per il colorito rosso uniforme. è stata diffusa e sperimentata
su larga scala dal colono Pieri Domenico, uno dei
pionieri della peschicoltura cesenate».
Per poter fare tali affermazioni la varietà doveva
essere conosciuta da tempo, pertanto si può ipotizzarne la nascita verso l’inizio degli anni Venti.
luglio/agosto 2013
Dal Rubicone al Forlivese,
la diffusione della Vacaza Zabeo
La prugna
Vacaza Zabeo
appare nei listini
dei mercati
ortofrutticoli romagnoli
negli anni Sessanta.
ravatti di Saonara, con l’indicazione che la varietà era
conosciuta da tempo e maturava in agosto.
La definizione in Romagna di una prugna come
“Vacca” sembra essere riferita ai frutti europei del
tipo Regina Claudia, leggermente allungati, succosi,
dolci e a buccia relativamente sottile. Oggi tale uso
semantico non risulta in altre zone d’Italia, mentre
Zabeo è cognome quasi esclusivo delle province di
Venezia e Padova e pressoché assente in Romagna.
Successivamente la ritroviamo in Puglia nel 1936,
classificata sotto il nome di Cazza o Vacazza Zabbeo
di Monopoli. Poi si passa alla fine degli anni Sessanta
in Romagna, dove comincia ad apparire nei listini
dei mercati e delle cooperative ortofrutticole.
è stata inserita nel Repertorio regionale delle vecchie varietà per la sua ipotizzata ascrivibilità al
gruppo delle Zucchelle, di antico insediamento
su tutto il territorio regionale. Recentemente ciò è
stato messo in dubbio dall’Università di Bologna,
che indagando la genetica di queste prugne sposta
gli ecotipi delle nostre provincie orientali in un altro gruppo non autoctono vicino alla californiana
Giant; scoperta peraltro confermata dalle analisi
svolte nell’ambito del progetto in questione.
Oggi la prugna è diffusa quasi ovunque dal Rubicone al Forlivese in molte aziende, anche se con
poche piante spesso non riconosciute dallo stesso
proprietario come Vacaza Zabeo.
S. Anna Balducci
a confronto con
Bella di Cesena.
Tellarini
Tellarini
Molti interrogativi sorgono per la prugna Vacaza Zabeo, a partire dal numero di varianti della denominazione, molto curiose: Giant, Favorita del Sultano,
Borsa del Bricco. Il nome appare per la prima volta
nel 1920 in un catalogo di vivaisti padovani, gli Sga-
Tellarini
Passando alla Sant’Anna, si tratta di un nome generico riferito a tutte le pesche che maturano a fine
luglio e la Balducci è la migliore del gruppo. Secondo Breviglieri è di origine imolese: «Variazione
clonale di S. Anna, di maggior pregio, che si va
affermando per i suoi meriti. Fu individuata nel
1934 dal frutticoltore Balducci in località Ponticelli di Imola. Albero vigoroso, fertile, lievemente recettivo agli afidi. Frutto medio, arrotondato,
colorato di rosso vivo; polpa bianca, spiccagnola,
di qualità pregevole. è la prima pesca spiccagnola
avente ottime caratteristiche. Matura contemporaneamente alla S. Anna comune».
Il suo successo inizia negli anni Cinquanta, con la
ripresa delle esportazioni verso i mercati tradizionali europei di lingua tedesca. Nel 1963 Bevilacqua
indica per Bella di Cesena 800 ettari in provincia
di Forlì e 30 mila quintali di produzione; per S.
Anna Balducci riferisce un’espansione corrispondente al 15% degli impianti. Morettini ne attesta
l’apice di gradimento (con un picco nel 1968 di
circa il 10% sul totale esportato per entrambe le
varietà) e la successiva decadenza dalla fine degli
anni Sessanta. Dal 1973 scompaiono dai consigli
varietali per i nuovi impianti, a favore di pesche
dotate di maggior resistenza alla manipolazione.
Attualmente Bella di Cesena è presente sul territorio provinciale in poche piante sparse, di cui la
maggior parte distribuita tramite bando dai precedenti progetti provinciali; ancora minore è la
presenza di S. Anna Balducci, localizzata presso un
unico agricoltore.
S. Anna Balducci
luglio/agosto 2013
Bella di Cesena
73
speciale antiche varietà di frutta
Della Tonda di Tossignano
sopravvivono rarissimi esemplari
I
mitici anni ’60 sono passati solo da un cinquantennio, ma chi è nato prima di quel periodo si rende conto del cambiamento davvero epocale che segnarono: da allora niente è
stato più come prima, anche in agricoltura.
L’industria e i “piani verdi” ne cambiarono letteralmente la faccia e sul momento, presi dallo sviluppo e dalla modernità, non ci si accorse di quanto
si stava perdendo. Poi, dopo il 1986, è stata formalmente adottata la parola biodiversità, che
ha messo in discussione uno dei principi
fondanti dell’agricoltura moderna: uguale
è bello. Da quel momento si è iniziato a riflettere sull’importanza della
complessità degli agro-ecosistemi e si è cercato di
fermare la perdita di razze e varietà attraverso interventi mirati di conservazione ex situ e/o in situ.
Molte delle vecchie varietà di specie agricole sono
arrivate fino ad oggi grazie alla passione di alcune
persone e spesso sono state salvate dall’estinzione
per puro caso, come è successo all’albicocca Tonda
di Tossignano, per gli amici Tondina.
Presente sul territorio imolese
dal 1920, ma scoperta per caso
Daniele Ghetti, faentino e appassionato cultore
della biodiversità, alcuni anni fa individua in un
fondo della collina imolese un paio di vecchi albicocchi abbandonati, che grazie ad alcune indicazioni desume essere di Tondina. Quando
l’anno seguente torna sul posto per prelevare gli innesti, una frana ha quasi
completamente divelto le piante, ma
riesce comunque a predisporne tre,
di cui due sono nella sua collezione
e una è stata donata al Giardino di
Villa Ghigi, a Bologna. Da queste
piante è partita la caratterizzazione della Tonda di Tossignano, ora
iscritta al Repertorio della biodiversità
dell’Emilia-Romagna.
Ghetti
MArISA
FONTANA
Dell’albicocca
Tonda di Tossignano
sopravvivono
pochissimi esemplari.
74
luglio/agosto 2013
Negli anni ’60 inizia il declino,
dovuto alla piccola pezzatura
Gli anni ’60 segnano il declino della Tonda di Tossignano a favore della Reale di Imola, comunque
buona e di migliore pezzatura, e del suo semenzale
Precoce Cremonini, di cui si stava testando la validità e per la quale Tonda di Tossignano era ancora
indicata come buon impollinatore. Sulle caratteristiche di Tonda di Tossignano ci dice Branzanti:
«Una cultivar che pur avendo una ristretta area di
diffusione presenta un certo interesse è la Tonda di
luglio/agosto 2013
Crpv
Per quanto riguarda l’origine della Tonda di Tossignano, Branzanti e Dall’Olio nel 1961 riferiscono:
«Localmente nota anche con il nome di Tondina,
questa cultivar sembra derivi da un nocciolo di albicocco occasionalmente mescolato a semi di Prunus davidiana che il Rev. G. Dal Pozzo, parroco di
Fontanelice, importò verso il 1920. Gli esemplari
più vecchi si trovano nel comune di Borgo Tossignano, dove è largamente diffusa anche in appezzamenti specializzati. Nel complesso occupa circa
il 10% della superficie totale ad albicocco dell’imolese».
La coltivazione di questa coltura caratterizza il territorio imolese sin dalla fine dell’Ottocento, come
testimoniano i nomi di alcune varietà che ne hanno fatto la storia: Reale di Imola, Precoce di Imola
e Bella di Imola.
Da uno scritto di Scaramuzzi sulla coltivazione
dell’albicocco in Italia, negli anni ’60, si evince
che in provincia di Bologna la specie era coltivata soprattutto nei comuni del circondario imolese
(Castel del Rio, Fontanelice, Borgo Tossignano,
Casalfiumanese, Imola e Dozza). In quegli anni la
coltura si estendeva su circa 175 ettari, con una
produzione di 8-10 mila quintali di frutti maturi
nel periodo tra metà giugno e metà luglio. Il panorama varietale è così descritto: «La principale varietà coltivata è la Reale di Imola, di probabile origine
locale, conosciuta anche con il nome di Mandorlona. Circa l’85% della produzione di tutta la provincia è costituito appunto da questa varietà, che
matura nell’ultima decade di giugno e nella prima
di luglio. Seguono, in ordine di importanza, altre
varietà locali come la Tonda di Tossignano (conosciuta anche con il nome di Tondina) per circa il
10% della produzione complessiva, la Brusca per
il 2%, la Grana (conosciuta anche con il nome di
Reginella di Spagna) per il 2%; merita di essere segnalata anche la varietà locale Precoce Cremonini
o Precoce di Imola la quale, sebbene oggi non alimenti più dell’1% della produzione, merita interesse per le buone caratteristiche dimostrate».
Tossignano, estesa nella zona di Borgo Tossignano. È più precoce della Reale di Imola, più rustica e più produttiva. Matura 6-7 giorni prima, ma
fiorisce contemporaneamente. Ha un frutto più
sferico, più zuccherino ma pezzatura ridotta. Per i
succhi è preferita alla Reale di Imola».
A metà degli anni ’70 la Tonda entra nella fase finale del suo declino, imputabile soprattutto alla
scarsa pezzatura, come scrive Grandi: «L’assortimento varietale dell’albicocco in Emilia-Romagna
è praticamente definito da alcune cultivar locali,
fra le quali per l’importanza e gli intrinseci pregi
emerge la Reale di Imola (circa il 70% della produzione complessiva), a cui si affiancano Precoce di
Imola o Precoce Cremonini (circa il 22%), Tonda
di Tossignano (2%) e poche altre (4% circa)».
Nel 1992 viene citata nell’elenco delle varietà del
germoplasma di albicocco che fanno parte di una
collezione di Imola, curata dall’Istituto di coltivazioni arboree dell’Università di Bologna.
In campo è ormai presente in rarissimi vecchi
esemplari conservati per affezione più che per
coltivazione. La pezzatura è in effetti piccola, ma
la colorazione intensa della polpa, la sua finezza e
l’intensità aromatica hanno ridestato un certo interesse per questa albicocca, che potrebbe trovare
una buona collocazione sul mercato locale e in relazione a forme di turismo che non disdegnano le
produzioni del territorio.
La Tonda di Tossignano
potrebbe trovare
una buona collocazione
sul mercato locale.
75
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Speciale - Agricoltura e pesca - Regione Emilia