speciale antiche varietà di frutta A cura del Crpv Un progetto regionale per salvare le cultivar a rischio d’estinzione DANIELE MISSErE Centro Ricerche Produzioni Vegetali, Cesena I n Emilia-Romagna la frutticoltura ha un’antichissima tradizione. Pier de’ Crescenzi, nel XIII secolo, consigliava d’innestare il pero sul cotogno: la coltivazione delle piante da frutto, quindi, in quegli anni era già ampiamente diffusa. All’inizio del secolo scorso ha avuto una grande espansione, portando con sé l’introduzione di numerose varietà e di conseguenza un ampliamento della variabilità genetica. In seguito molte delle antiche varietà sono state abbandonate a favore delle nuove cultivar, dotate di qualità più in linea con le esigenze agronomiche e di mercato. Per questo motivo la Regione Emilia-Romagna, nell’ambito del Programma di sviluppo rurale 2007‐2013 (Misura 214 - Azione 7 “Agrobiodiversità: progetti comprensoriali integrati”) ha promosso, tramite il Centro ricerche produzioni vegetali, un’iniziativa volta a salvaguardare il patrimonio di varietà autoctone a rischio di erosione genetica. Il progetto prevede la ricognizione, la caratterizzazione e la conservazione ex situ delle antiche varietà frutticole più significative per il territorio regionale. Ricognizione e caratterizzazione morfologica La tabella 1 riporta le collezioni che la Regione, con determina di Giunta n 8396/12, ha ritenuto idonee alla conservazione ex situ. Osservando la tabella 2, si può notare come il materiale già iscritto al Repertorio volontario regionale (Rvr) delle ri- sorse genetiche agrarie presente nelle collezioni sia una minima parte: tolte le ripetizioni, sono solo 28 le varietà del Repertorio. Inoltre esso dovrà essere interamente accertato, poiché si tratta di materiale acquisito con quella denominazione, ma spesso non verificato da tecnici esperti. Pertanto il Crpv dovrà verificare le eventuali omonimie e/o sinonimie, l’età e lo stato generale di sanità delle piante; fattori che permettono di valutare l’importanza di ogni accessione e di pesare in modo diverso sulla quantificazione del rischio di erosione genetica. Per la loro caratterizzazione sarà impiegata, per ogni specie, un’apposita scheda morfologica d’identificazione varietale approvata dalla Regione EmiliaRomagna, modificata per essere adattata a quella proposta a livello nazionale dal gruppo di lavoro Biodiversità in agricoltura e contenuta all’interno delle Linee guida per la conservazione delle Risorse genetiche agrarie. L’implementazione delle schede avverrà in base ai rilievi feno-pomologici sulle piante in campo e consultando sia i riferimenti bibliografici ufficiali, sia il materiale informativo e le testimonianze orali fornite dai soggetti conservatori. Recuperare informazioni sulla provenienza, la storia, le varie denominazioni locali è un elemento fondamentale per capire e documentare i legami con il territorio e ricostruire le aree di maggiore coltivazione. Spesso, infatti, i nomi locali richiamano il luogo di origine e a volte anche le caratte- Tab. 1 - Collezioni di anTiChe varieTà fruTTiCole regionali riTenuTe idonee alla Conservazione ex situ. Struttura accreditata 68 Varietà iScritte al rVr Varietà non iScritte al rVr Comune di Casola valsenio (rA) 8 5 Astra Innovazione e Sviluppo s.r.l. - Faenza (rA) 7 38 Fondazione villa Ghigi - Bologna (BO) 12 43 Istituto Alcide Cervi - Gattatico (rE) 4 4 Az. agr. Ghetti Domenico e Stefano s.s. - Brisighella (rA) 18 67 Itas “F. Bocchialini” - parma 9 100 Ghetti Daniele - Faenza (rA) 17 16 Associazione Nuova Terraviva - Ferrara (FE) 5 11 Ente di gestione per i parchi e la biodiversità Emilia occidentale - Langhirano (pr) 5 97 TOTALE vArIETà/ACCESSIONI 85 381 luglio/agosto 2013 Tab. 2 - varieTà fruTTiCole isCriTTe e non isCriTTe al reperTorio volonTario regionale (rvr). Varietà iScritte Specie numero peSco 4 albicocco 2 SuSino 1 cilieGio dolce 2 Vecchi biotipi non iScritti iStituto cerVi (re) astra imola (bo) 1 comune casola Valsenio (ra) Villa Ghigi bologna az. Ghetti domenico brisighella (ra) az. Ghetti daniele Faenza (ra) 35 16 3 5 1 5 1 1 nuova terraviva (Fe) 8 cilieGio acido ente Gestione parchi langhirano (pr) itas bocchialini (pr) Totale 1 52 1 11 13 13 32 7 12 28 Melo 8 pero 8 oliVo 3 MeloGrano 1 1 7 14 2 13 17 14 2 26 33 84 4 41 33 124 1 6 4 1 12 1 4 1 2 8 aZZeruolo 2 4 2 KaKi 1 Fico 6 2 1 4 caStaGno cotoGno 2 Mandorlo 1 biricoccolo TOTALE 3 13 1 1 2 2 1 1 1 28 4 38 5 ristiche che contraddistinguono l’accessione. Per alcune di esse potrebbe essere necessario eseguire analisi qualitative di laboratorio e prove di conservabilità per confermare certe peculiarità descritte nelle schede pomologiche. Sia le analisi, sia le prove di conservazione saranno realizzate da Astra-Innovazione e Sviluppo. Analisi molecolare e verifica dello stato sanitario Le analisi molecolari saranno condotte quando i soli rilevi feno-pomologici si riveleranno insufficienti per redimere alcune controverse attribuzioni. Parte del materiale individuato è già stato “repertoriato” ai sensi della legge regionale 1/2008, ma alcuni dubbi che potrebbero emergere all’atto della caratterizzazione morfologica devono essere ulteriormente fugati. Ciò per mettere in evidenza eventuali casi di sinonimie e omonimie con varietà già iscritte al Registro nazionale delle varietà; inoltre le collezioni acquisite richiedono verifiche per una corretta attribuzione delle varietà già iscritte al Repertorio volontario regionale e per l’indagine luglio/agosto 2013 5 5 43 67 16 11 97 100 381 delle accessioni non iscritte. Le analisi molecolari saranno condotte dal Cra-Unità di ricerca per la frutticoltura di Forlì. Infine sarà importante verificare lo stato sanitario delle singole accessioni, per evitare che il materiale presente nelle collezioni sia fonte d’infezione di virus da quarantena e decidere, nel caso si tratti di esemplari unici di particolare interesse, di procedere alla conservazione in condizioni d’isolamento o al loro risanamento. è noto che alcuni patogeni virali possono determinare variazioni nelle caratteristiche fenotipiche: gli alberi dei genotipi infetti sono meno vigorosi e con crescita più disforme, ma più produttivi e con frutti più piccoli, più eterogenei nella colorazione e talvolta con polpa più consistente rispetto a quelli virus-esenti. I controlli fitosanitari saranno condotti in primo luogo visivamente mediante un monitoraggio nei momenti di maggior evidenza dei sintomi; in presenza di dubbi saranno effettuati saggi biologici (indexaggi) e analisi di laboratorio (test Elisa e, nei casi di particolare rischio, Rt-Pcr). Le analisi saranno eseguite dai laboratori del Centro attività vivaistiche. 69 speciale antiche varietà di frutta Due frutti ritrovati: pesca Buco Incavato e pera Mora CLAUDIO BUSCAROLI Centro Ricerche Produzioni Vegetali, Cesena Crpv Negli anni ’30 la pesca bianca Buco Incavato era la varietà più diffusa in Emilia-Romagna. 70 E ra il 1884: Giuseppe Gianstefani si recava come di consueto con il biroccio al mercato di Bologna, l’attuale mercato delle erbe. Finita la vendita della sua frutta andava a colazione all’albergo Tre Re; qui, un giorno, gli accadde di vedere il cameriere che serviva ad una cliente delle pesche assai belle. Lo chiamò e gli chiese se poteva prendere i noccioli e come compenso gli avrebbe dato due delle sue pesche per ciascuno di essi. Piantò i noccioli in azienda e in pochi anni ottenne i primi frutti. É così che il figlio Ulisse, uno dei pionieri della frutticoltura romagnola, racconta la nascita del Buco Incavato, denominato anche Pesca di Massa Lombarda, che in poco tempo divenne la varietà più coltivata nella provincia di Ravenna. É una pesca a polpa bianca che matura attorno al 20 agosto; i frutti, oltre che saporitissimi, erano considerati adatti ai trasporti e alimentarono una corrente di esportazione fino ad allora impensabile. A metà degli anni ’30 era la varietà più importante in tutta l’Emilia Romagna, poi, con l’introduzione dei genotipi a polpa gialla di origine americana, prima tra tutte J.H. Hale, più serbevoli, a maggiore tenuta di maturazione e più idonei per le spedizioni a lunga distanza, iniziò il suo declino: a metà degli anni ’50 rappresentava già meno dell’1% della produzione regionale. Il progetto della Provincia di Ravenna per la biodiversità Sebbene fosse nota a partire dall’inizio del secolo scorso, la prima scheda pomologica dettagliata e illustrata fu pubblicata nel 1936. Nella descrizione sono evidenziate le ottime caratteristiche qualitative dei frutti di “polpa finissima e gustosa”. Una particolarità del Buco Incavato è che, agli esordi della sua affermazione, veniva spesso moltiplicata per seme anziché per innesto, come d’altronde succedeva per altre varietà dell’epoca, quali le Maddalene e le Morellone. Illustri esperti infatti osservavano che alcune di esse, sebbene fosse consigliabile propagarle per innesto, per seme mantenevano costanti le caratteristiche tipiche. Sorsero perciò nuovi varianti del Buco Incavato molto simili tra loro, ma con alcuni caratteri distintivi: a volte era l’estensione del sovraccolore rosso sulla buccia, in altri casi la forma dei frutti o l’epoca di maturazione. Inizialmente presero denominazione aggiuntive rispetto alla varietà capostipite, poi con il tempo dimenticate. Oggi sono presenti nel territorio solo poche piante di questa storica pesca bianca, conservate da qualche frutticoltore o amatore locale che le mantiene vicino a casa per gustarne ancora il profumo e il sapore. Per tutelare gli ultimi esemplari a rischio di estinzione la Provincia di Ravenna ha promosso il “Progetto comprensoriale integrato per il recupero, la salvaguardia e la valorizzazione della biodiversità a tutela del patrimonio genetico di varietà e razze autoctone”. L’iniziativa, nella quale il Crpv è parte attiva con la collaborazione del Cra di Forlì, si è sviluppata attraverso il censimento degli esemplari ancora presenti nel territorio provinciale, individuati tramite l’organizzazione di incontri con i frutticoltori. L’esperienza è stata accolta con grande entusiasmo anche grazie all’interessamento delle associazioni luglio/agosto 2013 Crpv di categoria e dei Comuni - in particolare Massa Lombarda, dove probabilmente la varietà è nata - che hanno divulgato le iniziative attraverso conferenze stampa e articoli sui giornali locali. I biotipi censiti sono stati poi caratterizzati dal punto di vista feno-pomologico e molecolare. Durante i sopralluoghi è stato riscontrato che un paio degli esemplari oggetto dell’indagine erano in realtà Tardiva di Massa, varietà che proviene dagli stessi semi piantati da Gianstefani e che si pensava ormai perduta, sotto la denominazione generica o di Buco Incavato tardivo. È stata inoltre organizzata una “Giornata della pesca del Buco Incavato” promossa dal Comune di Massa Lombarda, che si svolge nel momento della raccolta dove i frutti ancora esistenti sono degustati e giudicati pubblicamente dai partecipanti. Nel progetto rientra anche la distribuzione di piante ad agricoltori, aziende agrituristiche, amatori e hobbisti interessati: sono stati utilizzati i tre cloni per i quali erano terminati i controlli sanitari e di cui erano disponibili piante madri in aree indenni da organismi da quarantena; in questo modo il materiale per l’innesto è stato raccolto rispettando la normativa vigente. Forma irregolare, profumo intenso e persistente Più incerta e meno documentata è l’origine della pera Mora, sebbene le testimonianze scritte ne dimostrino la coltivazione già all’inizio del secolo scorso. Sono soprattutto le piante secolari sopravvissute nei sagrati delle pievi, nelle abbazie, negli antichi poderi di pianura e della collina faentina e casolana ad attestarne la presenza radicata sul territorio, sin da epoche più remote di quanto per ora sia stato accertato. È una pera tendenzialmente grossa ma di aspetto poco attraente, di forma turbinata spesso irregolare. Il colore verde scuro della buccia, parzialmente rugginosa, tende ad essere quasi totalmente bronzato negli ambienti più umidi di pianura, talvolta con qualche sfumatura rossa quando innestata su cotogno. Ciò che colpisce all’assaggio è il profumo intenso e delicato, ma soprattutto l’aroma particolarmente persistente che rimane in bocca a lungo. Il sapore della polpa è fine, anche se un po’ granuloso. Rare sono le varietà di pero attualmente in commercio paragonabili alla Mora per ricchezza ed eleganza di sensazioni aromatiche, evocazione di una cultura millenaria, rurale ma raffinata nei gusti, lontana da quella tecnologica e di massa dei giorni nostri. luglio/agosto 2013 Molti, tuttavia, sono i difetti: occorrono almeno venti giorni - un mese dal momento della raccolta, che avviene circa a metà ottobre, prima che i frutti siano maturi e la polpa non più astringente; è difficile valutare la maturazione perché non sempre l’ingiallimento della buccia è sufficientemente indicativo. La conservazione è abbastanza breve: alla fine di dicembre già tende ad ammezzire. Nell’ambito del progetto della Provincia di Ravenna sono stati valutati diversi biotipi reperiti nelle collezioni degli istituti di ricerca, dei vivaisti e sul territorio. Dopo i rilievi pomologici di campo sono stati raccolti campioni di frutti per effettuare le analisi chimico-fisiche e sensoriali presso il laboratorio di Astra, dove sono state confrontate le varie provenienze. è stato anche previsto un fingerprinting molecolare dei biotipi più interessanti, condotto dall’Università di Bologna; infine si è proceduto alla moltiplicazione e distribuzione delle piante alle aziende agricole, dopo numerose azioni di divulgazione nelle aree tipiche di coltivazione. Gli innesti per ottenere gli astoni da distribuire sono stati raccolti dal biotipo che ha ottenuto i punteggi più alti di gradimento dal panel test. La pera Mora si contraddistingue per l’aroma intenso e persistente. 71 speciale antiche varietà di frutta Il recupero di ciliegie, pesche e prugne autoctone a Forlì-cesena STEFANO TELLArINI La ciliegia Corniola ha ottime caratteristiche organolettiche che ne hanno favorito lo sviluppo negli ultimi anni. A nche la Provincia di Forlì-Cesena ha avviato nel 2011 un “Progetto comprensoriale integrato per il recupero, la salvaguardia e la valorizzazione della biodiversità a tutela del patrimonio genetico di varietà e razze autoctone”, realizzato dal Centro ricerche produzioni vegetali assieme al Cra-Frf di Magliano. Numerose le attività svolte per le singole varietà: approfondita ricerca bibliografica, scheda d’identificazione con descrizioni e immagini, individuazione sul territorio di piante madri sane da cui prelevare materiale riproduttivo, analisi genetica per la loro identificazione e per la riproduzione di materiale da distribuire ad agricoltori e appassionati, con l’impegno alla cura per almeno dieci anni. è opportuno ricordare che le piante da mettere a dimora nel territorio della sola provincia di ForlìCesena sono state assegnate ma non ancora distribuite; pertanto è possibile proporre la propria candidatura solo come riserva per eventuali rinunce. Le antiche varietà recuperate nell’ambito del progetto sono state la ciliegia Corniola, due pesche romagnole a pasta bianca - Bella di Cesena e S. Anna Balducci - e la prugna Vacaza Zabeo. Corniola, la più antica delle cultivar autoctone La ciliegia Corniola è la più antica delle autoctone e la più autoctona delle antiche. Le fonti storicoletterarie, tra cui Plinio il Vecchio, affermano che il ciliegio dolce sia stato introdotto in Italia verso il 73 A.C. dal Ponto, in Asia Minore. Nel Seicento il bolognese Tanara scrive che un tipo di ciliegie, le Cornee, era presente nel nostro Paese già prima di Lucullo e che nel suo contado si trovava una varietà chiamata Cornie. La Corniola è raffigurata per la prima volta con questa denominazione e in modo molto simile ad alcuni ecotipi pregiati ancora oggi coltivati nelle nostre colline nella Plantarum Collectio di padre Majoli, che illustra le piante presenti in Romagna a fine Settecento. Mazzei nel 1924 descrive così le ciliegie Corne: «Forma cuoriforme, colore chiaro, quasi carnicino, frutto medio resistente, pasta croccante. Maturazione verso fine giugno». Ora questa ciliegia vive un grande favore nei nuovi impianti, grazie alle ottime caratteristiche organolettiche che ne hanno incentivato la messa a dimora in decine di ettari. Crpv Di Bella di Cesena e S. Anna Balducci sono rimaste solo poche piante 72 Bella di Cesena e S. Anna Balducci sono due antiche varietà di pesca a pasta bianca. La prima è cesenate Doc, stando a quanto afferma Antonio Manuzzi nel 1931: «è una varietà che matura nell’ultima decade di luglio, di grossa pezzatura e di un bel colorito rosso fiammante, forma regolare, matura uniformemente, peso specifico notevole, abbondante fruttificazione della pianta, resistentissima ai trasporti. Possiede molti requisiti qualitativi identici alla Carman, ma si differenzia da essa per una maggiore precocità e per il colorito rosso uniforme. è stata diffusa e sperimentata su larga scala dal colono Pieri Domenico, uno dei pionieri della peschicoltura cesenate». Per poter fare tali affermazioni la varietà doveva essere conosciuta da tempo, pertanto si può ipotizzarne la nascita verso l’inizio degli anni Venti. luglio/agosto 2013 Dal Rubicone al Forlivese, la diffusione della Vacaza Zabeo La prugna Vacaza Zabeo appare nei listini dei mercati ortofrutticoli romagnoli negli anni Sessanta. ravatti di Saonara, con l’indicazione che la varietà era conosciuta da tempo e maturava in agosto. La definizione in Romagna di una prugna come “Vacca” sembra essere riferita ai frutti europei del tipo Regina Claudia, leggermente allungati, succosi, dolci e a buccia relativamente sottile. Oggi tale uso semantico non risulta in altre zone d’Italia, mentre Zabeo è cognome quasi esclusivo delle province di Venezia e Padova e pressoché assente in Romagna. Successivamente la ritroviamo in Puglia nel 1936, classificata sotto il nome di Cazza o Vacazza Zabbeo di Monopoli. Poi si passa alla fine degli anni Sessanta in Romagna, dove comincia ad apparire nei listini dei mercati e delle cooperative ortofrutticole. è stata inserita nel Repertorio regionale delle vecchie varietà per la sua ipotizzata ascrivibilità al gruppo delle Zucchelle, di antico insediamento su tutto il territorio regionale. Recentemente ciò è stato messo in dubbio dall’Università di Bologna, che indagando la genetica di queste prugne sposta gli ecotipi delle nostre provincie orientali in un altro gruppo non autoctono vicino alla californiana Giant; scoperta peraltro confermata dalle analisi svolte nell’ambito del progetto in questione. Oggi la prugna è diffusa quasi ovunque dal Rubicone al Forlivese in molte aziende, anche se con poche piante spesso non riconosciute dallo stesso proprietario come Vacaza Zabeo. S. Anna Balducci a confronto con Bella di Cesena. Tellarini Tellarini Molti interrogativi sorgono per la prugna Vacaza Zabeo, a partire dal numero di varianti della denominazione, molto curiose: Giant, Favorita del Sultano, Borsa del Bricco. Il nome appare per la prima volta nel 1920 in un catalogo di vivaisti padovani, gli Sga- Tellarini Passando alla Sant’Anna, si tratta di un nome generico riferito a tutte le pesche che maturano a fine luglio e la Balducci è la migliore del gruppo. Secondo Breviglieri è di origine imolese: «Variazione clonale di S. Anna, di maggior pregio, che si va affermando per i suoi meriti. Fu individuata nel 1934 dal frutticoltore Balducci in località Ponticelli di Imola. Albero vigoroso, fertile, lievemente recettivo agli afidi. Frutto medio, arrotondato, colorato di rosso vivo; polpa bianca, spiccagnola, di qualità pregevole. è la prima pesca spiccagnola avente ottime caratteristiche. Matura contemporaneamente alla S. Anna comune». Il suo successo inizia negli anni Cinquanta, con la ripresa delle esportazioni verso i mercati tradizionali europei di lingua tedesca. Nel 1963 Bevilacqua indica per Bella di Cesena 800 ettari in provincia di Forlì e 30 mila quintali di produzione; per S. Anna Balducci riferisce un’espansione corrispondente al 15% degli impianti. Morettini ne attesta l’apice di gradimento (con un picco nel 1968 di circa il 10% sul totale esportato per entrambe le varietà) e la successiva decadenza dalla fine degli anni Sessanta. Dal 1973 scompaiono dai consigli varietali per i nuovi impianti, a favore di pesche dotate di maggior resistenza alla manipolazione. Attualmente Bella di Cesena è presente sul territorio provinciale in poche piante sparse, di cui la maggior parte distribuita tramite bando dai precedenti progetti provinciali; ancora minore è la presenza di S. Anna Balducci, localizzata presso un unico agricoltore. S. Anna Balducci luglio/agosto 2013 Bella di Cesena 73 speciale antiche varietà di frutta Della Tonda di Tossignano sopravvivono rarissimi esemplari I mitici anni ’60 sono passati solo da un cinquantennio, ma chi è nato prima di quel periodo si rende conto del cambiamento davvero epocale che segnarono: da allora niente è stato più come prima, anche in agricoltura. L’industria e i “piani verdi” ne cambiarono letteralmente la faccia e sul momento, presi dallo sviluppo e dalla modernità, non ci si accorse di quanto si stava perdendo. Poi, dopo il 1986, è stata formalmente adottata la parola biodiversità, che ha messo in discussione uno dei principi fondanti dell’agricoltura moderna: uguale è bello. Da quel momento si è iniziato a riflettere sull’importanza della complessità degli agro-ecosistemi e si è cercato di fermare la perdita di razze e varietà attraverso interventi mirati di conservazione ex situ e/o in situ. Molte delle vecchie varietà di specie agricole sono arrivate fino ad oggi grazie alla passione di alcune persone e spesso sono state salvate dall’estinzione per puro caso, come è successo all’albicocca Tonda di Tossignano, per gli amici Tondina. Presente sul territorio imolese dal 1920, ma scoperta per caso Daniele Ghetti, faentino e appassionato cultore della biodiversità, alcuni anni fa individua in un fondo della collina imolese un paio di vecchi albicocchi abbandonati, che grazie ad alcune indicazioni desume essere di Tondina. Quando l’anno seguente torna sul posto per prelevare gli innesti, una frana ha quasi completamente divelto le piante, ma riesce comunque a predisporne tre, di cui due sono nella sua collezione e una è stata donata al Giardino di Villa Ghigi, a Bologna. Da queste piante è partita la caratterizzazione della Tonda di Tossignano, ora iscritta al Repertorio della biodiversità dell’Emilia-Romagna. Ghetti MArISA FONTANA Dell’albicocca Tonda di Tossignano sopravvivono pochissimi esemplari. 74 luglio/agosto 2013 Negli anni ’60 inizia il declino, dovuto alla piccola pezzatura Gli anni ’60 segnano il declino della Tonda di Tossignano a favore della Reale di Imola, comunque buona e di migliore pezzatura, e del suo semenzale Precoce Cremonini, di cui si stava testando la validità e per la quale Tonda di Tossignano era ancora indicata come buon impollinatore. Sulle caratteristiche di Tonda di Tossignano ci dice Branzanti: «Una cultivar che pur avendo una ristretta area di diffusione presenta un certo interesse è la Tonda di luglio/agosto 2013 Crpv Per quanto riguarda l’origine della Tonda di Tossignano, Branzanti e Dall’Olio nel 1961 riferiscono: «Localmente nota anche con il nome di Tondina, questa cultivar sembra derivi da un nocciolo di albicocco occasionalmente mescolato a semi di Prunus davidiana che il Rev. G. Dal Pozzo, parroco di Fontanelice, importò verso il 1920. Gli esemplari più vecchi si trovano nel comune di Borgo Tossignano, dove è largamente diffusa anche in appezzamenti specializzati. Nel complesso occupa circa il 10% della superficie totale ad albicocco dell’imolese». La coltivazione di questa coltura caratterizza il territorio imolese sin dalla fine dell’Ottocento, come testimoniano i nomi di alcune varietà che ne hanno fatto la storia: Reale di Imola, Precoce di Imola e Bella di Imola. Da uno scritto di Scaramuzzi sulla coltivazione dell’albicocco in Italia, negli anni ’60, si evince che in provincia di Bologna la specie era coltivata soprattutto nei comuni del circondario imolese (Castel del Rio, Fontanelice, Borgo Tossignano, Casalfiumanese, Imola e Dozza). In quegli anni la coltura si estendeva su circa 175 ettari, con una produzione di 8-10 mila quintali di frutti maturi nel periodo tra metà giugno e metà luglio. Il panorama varietale è così descritto: «La principale varietà coltivata è la Reale di Imola, di probabile origine locale, conosciuta anche con il nome di Mandorlona. Circa l’85% della produzione di tutta la provincia è costituito appunto da questa varietà, che matura nell’ultima decade di giugno e nella prima di luglio. Seguono, in ordine di importanza, altre varietà locali come la Tonda di Tossignano (conosciuta anche con il nome di Tondina) per circa il 10% della produzione complessiva, la Brusca per il 2%, la Grana (conosciuta anche con il nome di Reginella di Spagna) per il 2%; merita di essere segnalata anche la varietà locale Precoce Cremonini o Precoce di Imola la quale, sebbene oggi non alimenti più dell’1% della produzione, merita interesse per le buone caratteristiche dimostrate». Tossignano, estesa nella zona di Borgo Tossignano. È più precoce della Reale di Imola, più rustica e più produttiva. Matura 6-7 giorni prima, ma fiorisce contemporaneamente. Ha un frutto più sferico, più zuccherino ma pezzatura ridotta. Per i succhi è preferita alla Reale di Imola». A metà degli anni ’70 la Tonda entra nella fase finale del suo declino, imputabile soprattutto alla scarsa pezzatura, come scrive Grandi: «L’assortimento varietale dell’albicocco in Emilia-Romagna è praticamente definito da alcune cultivar locali, fra le quali per l’importanza e gli intrinseci pregi emerge la Reale di Imola (circa il 70% della produzione complessiva), a cui si affiancano Precoce di Imola o Precoce Cremonini (circa il 22%), Tonda di Tossignano (2%) e poche altre (4% circa)». Nel 1992 viene citata nell’elenco delle varietà del germoplasma di albicocco che fanno parte di una collezione di Imola, curata dall’Istituto di coltivazioni arboree dell’Università di Bologna. In campo è ormai presente in rarissimi vecchi esemplari conservati per affezione più che per coltivazione. La pezzatura è in effetti piccola, ma la colorazione intensa della polpa, la sua finezza e l’intensità aromatica hanno ridestato un certo interesse per questa albicocca, che potrebbe trovare una buona collocazione sul mercato locale e in relazione a forme di turismo che non disdegnano le produzioni del territorio. La Tonda di Tossignano potrebbe trovare una buona collocazione sul mercato locale. 75