Quaderni
di Ricerca
quaderni di ricerca
Capitale sociale e partecipazione
politica dei giovani
Barbara Loera
Raffaella Ferrero Camoletto
Copertina e grafica:
boletsfernando, Torino
STAMPATO CON IL CONTRIBUTO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO - DIPARTIMENTO DI SCIENZE SOCIALI - FONDI M.I.U.R. PROGETTO DI RICERCA DI RILEVANTE
INTERESSE NAZIONALE, ANNO 2001, DAL TITOLO: ‘IL CAMBIAMENTO DEI VALORI, DEI
PROCESSI DI SOCIALIZZAZIONE E DELL'IDENTITÀ TRA I GIOVANI ITALIANI’
(COORD. PROF. LOREDANA SCIOLLA)
Quaderni di Ricerca
del Dipartimento di Scienze Sociali
dell’Università di Torino,
n. 8, settembre 2004
Capitale sociale
e partecipazione politica dei giovani
di Barbara Loera e Raffaella Ferrero Camoletto
Per conto della redazione dei Quaderni di Ricerca del
Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino,
questo saggio è stato valutato da
Silvano Belligni, Sonia Bertolini, Luigi Berzano.
Edizioni Libreria Stampatori
Via S. Ottavio, 15
10124 – Torino
tel 011/836778 fax 011/836232
email: [email protected]
ISBN 88-88057-54-4
2
INDICE
Introduzione
pag. 5
1. Capitale sociale e partecipazione politica: un circuito virtuoso? pag. 7
1.1 Il concetto di capitale sociale: definizione e articolazione
1.2 Le forme della partecipazione politica
1.3 Dal capitale sociale alla partecipazione politica:
possibili percorsi
pag. 7
pag. 13
pag. 17
2. Risorse e coinvolgimento nei giovani: un quadro descrittivo pag. 31
2.1 Come è cambiata negli ultimi anni la dotazione
di capitale sociale
2.2 Come è cambiata negli ultimi anni la partecipazione politica
giovanile
2.3 Un aggiornamento al 2003
pag. 32
pag. 36
pag. 40
3. A ciascuno il suo: quali risorse per quale partecipazione?
pag. 49
pag. 49
pag. 56
Conclusioni: le molte vie del capitale sociale
pag. 69
Bibliografia
pag. 75
3.1 I legami tra le dimensioni del capitale sociale
3.2 Un modello di spiegazione della partecipazione politica
3
4
Introduzione
Nord-ov
Il concetto di capitale sociale ha ormai conquistato un posto di rilievo nel lessico delle scienze politico-sociali, suscitando plausi
entusiastici da parte di alcuni e reazioni critiche e scettiche da
parte di altri. L’introduzione di tale concetto si lega certamente ad
una tradizione teorica e di ricerca precedente, alimentata da concetti affini quali quello di comunità, di reciprocità o di fiducia.
Tuttavia, come ricorda Bagnasco, “i cambiamenti di vocabolario
non sono mai soltanto una questione di stile o di abitudine: annunciano cambiamenti nel modo di definire e affrontare problemi
analitici” (1999, p.65). Il concetto di capitale sociale offre uno
strumento euristico: “focalizzarsi sul ruolo del capitale sociale
vuol dire, dunque, riconoscere che la propensione e la capacità a
cooperare espressa dai membri di una data società influenzano in
modo significativo i caratteri dello sviluppo economico e politico
perseguibili da quella stessa società” (Mutti 1998, p.12). Senza
entrare quindi nel vivo del dibattito che ancora divide fautori e
detrattori, nel paper ci proponiamo di affrontare uno di questi
problemi analitici, ovvero di testare l’efficacia di questo concetto
nel rendere conto di alcune forme della partecipazione politica
giovanile. La riflessione sulla partecipazione politica giovanile
costituisce uno dei fuochi dell’analisi sociologica contemporanea,
5
Femmin
in quanto la propensione e la competenza delle nuove generazioni
nel partecipare ai processi decisionali che riguardano la gestione
della cosa pubblica è ritenuto un indicatore della vitalità di una
società e della capacità di quest’ultima di riprodursi nel tempo.
Dopo aver illustrato l’accezione di capitale sociale per cui abbiamo optato, posizionandoci rispetto al mare magnum delle definizioni e delle applicazioni via via adottate, e dopo aver definito le
forme della partecipazione politica, illustreremo i principali risultati a cui la letteratura sociologica è pervenuta nell’analizzare il
rapporto tra i due fenomeni. Successivamente descriveremo un
quadro evolutivo della dotazione che i giovani italiani hanno di
questa risorsa – al tempo stesso morale, fiduciaria e relazionale –
e dei livelli e delle forme della partecipazione politica giovanile a
partire da quanto emerge delle indagini Iard. Infine, misureremo
l’impatto di tali diverse componenti su alcune forme di partecipazione politica giovanile, esaminando i risultati di una ricerca, condotta nel 2003 all’interno di un progetto interuniversitario che ha
coinvolto l’ateneo di Torino e quello di Bologna1.
1
Il progetto ‘Il cambiamento dei valori, dei meccanismi di socializzazione e
dell’identità dei giovani italiani’, coordinato da Loredana Sciolla, ha ricevuto un finanziamento dal MIUR per il trennio 2001-2003. Al progetto hanno
partecipato tre unità locali, due dell’ateneo torinese, dirette da Loredana
Sciolla e da Franco Garelli, e una dell’Università di Bologna, diretta da Augusto Palmonari. Chi scrive fa parte delle unità torinesi. Il testo è frutto di
un lavoro comune di riflessione e di analisi. La stesura delle singole parti è
così suddivisa: l’introduzione, il paragrafo 1.3 e le conclusioni sono stati
scritti insieme; Raffaella ha scritto i paragrafi 1.1, 1.2, 2.2, mentre Barbara
ha scritto i paragrafi 2.3, 3.1 e 3.2. Infine, come indicato nel testo, il paragrafo 2.1 è tratto da un precedente lavoro di Roberto Albano.
6
1. Capitale sociale e
partecipazione politica:
un circuito virtuoso?
1.1 Il concetto di capitale sociale: definizione e articolazione
Il concetto di capitale sociale è stato spesso associato ad immagini
– ‘collante sociale’ (Van Deth et al. 1999, p.XV), ‘lubrificante
della cooperazione’ (Putnam 1993, p.201) – che ne hanno enfatizzato l’accezione positiva. In particolare, il termine ‘capitale’ ne
sottolinea la funzione produttiva, in quanto fonte di valori materiali e simbolici che ampliano la capacità di azione dell’attore individuale così come del sistema sociale, favorendo l’integrazione
e la cooperazione; l’aggettivo ‘sociale’ rimanda invece al fatto che
il capitale sociale produce effetti per tutti gli individui inseriti in
una rete di relazioni, indipendentemente dal contributo che essi
danno alla costruzione e al mantenimento del capitale stesso.
Il concetto di capitale sociale viene introdotto nel dibattito scientifico a partire dagli anni ’70 (Granovetter 1973; Loury 1977), ma è
soltanto negli anni ’80-’90 che esso si afferma pienamente da un
lato per le sue applicazioni nel campo della sociologia economica
7
(Granovetter 1985), dall’altro grazie al contributo di due autori,
Robert Putnam e James Coleman, apripista di due filoni di ricerca
che, oltre a generare un ampio dibattito nell’opinione pubblica,
hanno costituito un modello, teorico ed empirico, con cui i ricercatori successivi si sono dovuti confrontare.
Nell’ormai classica ricerca sulla tradizione civica delle diverse regioni italiane, Putnam definisce il capitale sociale come “la fiducia, le
norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo” (1993,
p.196). Esso quindi deve essere pensato come un bene pubblico,
costituito da risorse indivisibili e inalienabili (appunto le norme e
le obbligazioni, il livello di fiducia interpersonale e istituzionale,
le reti associative) “la cui fornitura aumenta invece di diminuire
con l’uso e che non si esauriscono se non sono usate” (ibid.,
p.199, corsivo nel testo). Ma per Putnam il capitale sociale è anche un bene privato, nel senso che dei suoi effetti può godere sia
colui che ha investito in esso, sia altri soggetti inseriti nella rete:
in questo senso egli parla di ‘esternalità’ del capitale sociale, ad
indicare come i suoi effetti si estendano al di là degli interessi diretti dei membri della comunità. Questa prima accezione di capitale sociale, sviluppata poi anche da altri autori, come Fukuyama,
focalizza maggiormente l’attenzione sulle caratteristiche di un dato territorio o di una data società, considerando il capitale sociale
come un prodotto della storia – insieme culturale, economica, sociale, ecc. –, una sorta di “abitudine etica ereditata” (Fukuyama
1995, cit. in Bagnasco 1999) che favorisce il rendimento politico
o lo sviluppo economico di una data area2.
Nel suo lavoro seminale su capitale sociale e capitale umano e nel
trattato successivo sui fondamenti della teoria sociale, Coleman
(1988; 1990) definisce il capitale sociale come quell’insieme di
qualità delle reti sociali che ne fanno un elemento facilitatore
2
Questa natura ‘ereditata’ del capitale sociale è uno degli aspetti criticati
dell’accezione di Putnam e di Fukuyama, in quanto sottovaluta il ruolo attivo dei soggetti nel contribuire alla costruzione e al mantenimento del capitale sociale, nonché nell’appropriarsene e nel fruirne in modo proficuo.
8
dell’azione degli individui: in questo senso, il capitale sociale non
può essere inteso propriamente come un bene privato di cui gli attori possono appropriarsi, ma deve essere considerato “come un
capitale disponibile per l’individuo” (Coleman 1990, p.302, corsivo nostro), di cui cioè gli individui possono avvantaggiarsi per
perseguire scopi personali. Infatti, come già aveva sottolineato
Bourdieu, a differenza di altre forme di capitale (economico, culturale, ecc.), la peculiarità del concetto di capitale sociale è il suo
riferirsi a “risorse socio-strutturali” (1986, p.302) che ineriscono
non tanto ai singoli attori sociali individuali, quanto piuttosto al
sistema di relazioni al cui interno tali attori sono inseriti. In altre
parole, gli individui possono fruire di questo capitale, ma non lo
posseggono così come invece fanno con risorse materiali o monetarie (il capitale fisico) o competenze e abilità (il capitale umano).
Come afferma esplicitamente Coleman, “come attributo della
struttura sociale in cui una persona è inserita, il capitale sociale
non è proprietà privata di qualcuna delle persone che ne traggono
vantaggi” (Coleman 1990, trad. in Piselli 2001, p.50).
Abbiamo visto come del capitale sociale si possano sottolineare
aspetti differenti: la natura strutturale così come quella simbolica,
la valenza di bene pubblico così come quella di bene privato. In
particolare, questo secondo aspetto – la connotazione esclusivamente sociale o anche individuale del capitale sociale – è uno degli elementi più controversi di tale concetto, che conduce a scelte metodologiche differenti nel misurarlo empiricamente: da un
lato abbiamo ricerche – come quelle del primo Putnam e di Fukuyama – che si fondano su dati ecologici e che utilizzano come
unità d’analisi contesti territoriali o sociali, dall’altro abbiamo
invece ricerche – come quelle di Coleman o dell’ultimo Putnam
– basate su dati survey che assumono come unità d’analisi gli
individui.
Cercando di tenere conto dei diversi – e non sempre convergenti –
contributi teorici, possiamo tentare di tradurre il concetto di capitale sociale in uno strumento di analisi, distinguendo le dimensioni in cui esso si articola. Nel far ciò prenderemo come riferimento
la riflessione di Sciolla, la quale ha affrontato in più occasioni la
9
scomposizione analitica del concetto di capitale sociale, proponendo uno schema teorico e metodologico in cui, oltre alle dimensioni relazionale e fiduciaria, si è cercato di esplicitarne
l’endemica valenza morale (1996; 2003a; 2004)3. L’assunto di
multidimensionalità presente nel lavoro di Sciolla costituisce un
tentativo di supplire all’opacità di un ‘concetto valigia’, di cui
spesso è enfatizzata la capacità di contenere aspetti diversi, se non
in contrapposizione, anziché il tipo di contenuti. In tale prospettiva, le dimensioni in cui si articola il concetto, e il rapporto tra di
esse, non vengono soltanto ricostruite a livello teorico ma sono
oggetto di studio empirico.
Una prima componente è rappresentata dalla dimensione morale,
per cui il capitale sociale è un tessuto la cui trama è fatta di norme, valori, obbligazioni, aspettative e sanzioni: in altre parole, gli
individui fanno delle cose per gli altri perché sentono di essere legati ad essi da un destino comune, da rapporti che richiedono attenzione e dedizione reciproca. Si tratta di quella civicness che
può essere considerata la virtù che spinge i cittadini a rispettare le
norme sociali e a perseguire il bene pubblico. Parlare di una componente morale del capitale sociale significa quindi considerare
norme, valori, obbligazioni come risorse morali inerenti (embedded)
il contesto sociale e disponibili ai soggetti che accedono a tale
contesto: come ricorda un famoso esempio di Coleman (1990),
le norme morali che regolano il commercio di diamanti rendono
più facili le transazioni, ma non estendono la loro valenza al di
fuori di tale circuito in quanto gli uomini d’affari implicati non
possono portarsi via con loro quell’ethos per utilizzarlo in un altro mercato.
3
In realtà l’articolo del 1996 a cui si fa riferimento (Sciolla e Negri) è dedicato allo studio della cultura civica in Italia, e non direttamente al capitale
sociale. Tuttavia, tale contributo ci pare pertinente e rilevante perché rappresenta l’inizio di un percorso teorico e metodologico poi proseguito negli
studi sul capitale sociale, concetto peraltro in parte sovrapponibile a quello
di cultura civica.
10
Una seconda componente è quella fiduciaria4, per cui in un contesto caratterizzato da alto capitale sociale gli individui credono che
gli altri (attori individuali o collettivi quali le istituzioni) siano degni di fiducia, ovvero si aspettano che essi svolgeranno correttamente i loro ruoli o funzioni per il bene (o almeno per evitare il
danno a carico) della comunità nel suo complesso. Rientra in questa componente l’idea di reciprocità, ovvero la convinzione che
nella società e tra i cittadini il bene circoli, vada e venga: in
quest’ottica, gli individui non fanno qualcosa per gli altri soltanto
perché si aspettano di essere immediatamente ricompensati da coloro che hanno beneficiato (reciprocità specifica), ma perché credono che in un futuro riceveranno a loro volta da qualcun altro e
secondo altre modalità (reciprocità generalizzata). La fiducia può
poi essere rivolta ad attori individuali più o meno vicini al soggetto (fiducia interpersonale focalizzata, particolaristica o a corto
raggio), agli altri in generale o a soggetti estranei alle nostre reti
sociali (fiducia interpersonale generalizzata, a lungo raggio o universalistica), alle istituzioni o al sistema sociale nel suo complesso
(fiducia istituzionale o sistemica) (Mutti 2003).
Infine, una terza componente è quella relazionale, per cui il capitale sociale scorre attraverso le reti di interazione tra gli individui:
tali reti possono essere formali, come nel caso della partecipazione ad associazioni e gruppi strutturati, o informali, come nel caso
delle relazioni amicali o di vicinato (Newton 1999a; 1999b), e
l’entità del capitale è data sia dal volume di tali reti che dalla loro
struttura e composizione (Bourdieu 1986; Coleman 1988). Le relazioni che rientrano nel capitale sociale devono avere una certa
stabilità e implicare una “cerchia di riconoscimento” (Pizzorno
2001, p.23). In particolare l’effetto del capitale sociale è positivo,
secondo Coleman (1990), quando tali relazioni sono multiple e
4
Alcuni autori, come Newton, non distinguono la dimensione morale da
quella fiduciaria, considerando fiducia e reciprocità come norme e valori
alla stessa stregua dei valori tipici della civicness. In questa sede, preferiamo seguire l’impostazione di Sciolla perché ci sembra permetta di articolare
meglio le relazioni tra le diverse componenti del capitale sociale. Cfr. Sciolla (2003a) e Newton (1999b).
11
generano chiusura (closure) del network: è il caso, ad esempio,
dei membri di una comunità religiosa che possono essere al tempo
stesso correligionari, vicini di casa, genitori di bambini che sono
compagni della scuola confessionale, ecc. Inoltre, reti non troppo
dense e coese, dotate cioè di “buchi strutturali” (structural holes),
lasciano agli individui spazi di manovra che ne favoriscono
l’azione e permettono l’accesso a nuove fonti di informazione
(Burt 1992). Ancora, come evidenzia Putnam (2000), gruppi o reti
generano effetti positivi quando creano un ‘effetto-ponte’ (bridging) che collega individui con caratteristiche socioculturali
molto diverse tra loro (come, ad esempio, nelle associazioni per i
diritti civili) piuttosto che generare forme di solidarietà ristretta
(bonding) tra simili (come nel caso dei gruppi etnici)5.
Quest’ultima distinzione è considerata da Putnam la più importante tra le forme di classificazione del capitale sociale: infatti, essa
mostra in modo evidente come il capitale sociale non abbia necessariamente effetti positivi o ‘sociali’, ma come possa al contrario
alimentare settarismi ed etnocentrismi che rinforzano identità omogenee e solidarietà esclusive. Si può quindi parlare di “capitale
non-sociale” (Levi 1996) o di un “lato oscuro del capitale sociale”
(Putnam 2000) per indicare gli effetti perversi che ne possono scaturire. Tuttavia, Putnam stesso ricorda che la distinzione tra bonding/bridging non va considerata come un’alternativa: vi sono
gruppi che hanno aspetti di solidarietà ristretta e altri di solidarietà
trasversale, come nel caso di una chiesa nera che lega fra loro
soggetti dello stesso gruppo etnico ma che appartengono a classi
sociali differenti. Non si tratta quindi di una distinzione ‘o... o...’
ma piuttosto ‘maggiore... minore...’, in cui le due dimensioni sono
compresenti in misura differente.
Se del capitale sociale si riconosce la struttura composita, per la
partecipazione politica si può parlare di una natura multiforme:
5
A questo proposito, Pizzorno (2001) distingue tra capitale sociale di solidarietà, basato su relazioni sociali che generano legami forti all’interno di
un gruppo coeso, e capitale sociale di reciprocità, in cui i soggetti hanno legami al di fuori del gruppo di appartenenza.
12
esaminiamo dunque le modalità con cui essa si manifesta, rispetto
alle quali l’impatto del capitale sociale, come vedremo in ultimo,
può essere differente.
1.2 Le forme della partecipazione politica
L’analisi degli effetti politici del capitale sociale in termini di partecipazione individuale va collocata all’interno di uno scenario in
trasformazione, a livello globale così come a livello nazionale: la
stagione politica che le società occidentali avanzate stanno attraversando ha fatto registrare una caduta della fiducia nei confronti
delle istituzioni e della classe politica, una riduzione del numero
dei votanti e una crescita del disinteresse per la politica, specialmente nelle nuove generazioni.
Occorre dunque definire cosa si intende per partecipazione politica, facendo riferimento ad aspetti strutturali (le forme e le modalità operative) e storici (lo sviluppo e il mutamento di tali forme e
modalità). Infatti, il repertorio delle forme di partecipazione varia sia da contesto a contesto che da epoca a epoca: nuove modalità di coinvolgimento nella sfera pubblica possono emergere,
così come forme già esistenti possono essere investite di significati differenti6.
Seguendo una definizione condivisa, si può parlare di partecipazione politica “quando: 1) nell’ambito di un dato sistema politico
od organizzazione (di cui si è parte o si aspira a far parte), 2) attraverso un insieme di atteggiamenti e comportamenti concreti si
prende parte, 3) cioè si cerca di influenzare (in maniera più o meno diretta e più o meno legale) le decisioni dei detentori del potere
politico, nonché la loro stessa selezione, 4) nella prospettiva di
conservare o modificare la struttura, e quindi i valori, del sistema
6
Si pensi, ad esempio, al mutamento del significato del voto: se nelle generazioni adulte e anziane era considerato un dovere civico, per i giovani
sembra essere sempre più una scelta e un diritto, come testimonia la minore
fedeltà partitica, la legittimazione dell’astensionismo e la partecipazione elettorale selettiva. Cfr. Cuturi (2001).
13
di interessi dominanti”(Raniolo 2002, pp.25-26). La partecipazione politica implica sia la componente dell’azione che quella della
scelta: l’elemento chiave è la volontarietà, ovvero “la possibilità
di scegliere da parte del cittadino tra opzioni che gli sono proposte piuttosto che imposte” (ibid.). In quest’ottica, il semplice assolvimento dei doveri di cittadino (pagare le tasse, svolgere il servizio militare, ecc.) non rappresenta propriamente una forma di
partecipazione, in quanto serie di atti dovuti che manifestano
tutt’al più un consenso nei confronti della collettività7.
La letteratura sociologica e politologica ha per lungo tempo risentito dell’influenza americana: il modello statunitense, sviluppato a
partire dagli anni ’50-’608, considerava la partecipazione politica
come una variabile dipendente rispetto ad altre componenti della
‘cultura politica’, quali l’informazione, la socializzazione e la comunicazione politica, o variabili strutturali quali il reddito e il livello di istruzione. L’accezione di partecipazione politica impiegata in tale filone di studi era però alquanto parziale e riduttiva,
essendo quasi esclusivamente centrata sui diversi aspetti del processo elettorale. In Italia negli anni ’60 alcuni studiosi9 si attivarono quindi per rivedere la definizione di partecipazione politica e
la scelta degli indicatori operate dai ricercatori americani, al fine
da un lato di ampliare le forme contemplate (non solo il comportamento elettorale), dall’altro di adattare tale definizione e scelta
ad un contesto culturale, quale quello italiano, molto diverso da
quello statunitense.
7
Raniolo qui critica la definizione di ‘partecipazione politica passiva’ di
Milbrath. Cfr. Raniolo F. (2002).
8
Tra le opere che hanno inaugurato questo filone teorico e di ricerca empirica, si possono ricordare quelle di Campbell, Converse (1960), di Almond,
Verba (1963) e di Milbrath et al. (1965).
9
A questo proposito, va ricordato il contributo del gruppo di ricerca coordinato da Pizzorno, composto da Martinotti, Paci e Sivini, confluito nel numero monografico di ‘Quaderni di Sociologia’, n.3-4, del 1966. In particolare,
si vedano Pizzorno (1966) e Martinotti (1966a; 1966b). Un ulteriore contributo è pervenuto dalle ricerche condotte dall’Istituto Cattaneo di Bologna
nella seconda metà degli anni ’60: si vedano in particolare Alberoni et al.
(1967), e Galli (1968).
14
La concezione che oggi abbiamo di partecipazione politica è
quindi piuttosto articolata. La pluralità di forme individuate può
essere sintetizzata richiamando le etichette usate per designarle,
che spesso sono costituite da coppie di termini opposti. Tra le dicotomie più utilizzate, possiamo distinguere partecipazione diretta e indiretta, latente e manifesta, convenzionale e non convenzionale, strumentale e simbolica. Ovviamente, si tratta di distinzioni che spesso si sovrappongono o si incrociano, in quanto con
nessuna di esse si pretende di esaurire la complessità del fenomeno: l’utilità di queste dicotomie è invece quella di enfatizzare le
differenze e quindi di permettere una maggiore chiarificazione
concettuale. Vediamo più approfonditamente su quali aspetti ogni
coppia di termini ponga l’accento.
Per partecipazione indiretta si intendono tutti quegli atti volti a selezionare e/o influenzare i governanti, mentre alla partecipazione
diretta corrisponde una forma di coinvolgimento attivo e senza intermediazioni nel processo decisionale, con l’esercizio di un potere di co-decisione.
La partecipazione latente (o invisibile) comprende quell’insieme di
orientamenti cognitivi, affetti e valutativi (interesse e fiducia verso
la politica, informazione su temi politici) che non necessariamente
conducono ad atti concreti, ma che esprimono un coinvolgimento
emotivo e affettivo nei fatti politici, mentre la partecipazione manifesta (o visibile) si traduce in comportamenti esteriori (il voto,
l’adesione ad una manifestazione, la firma di una petizione, ecc.)10.
La dicotomia tra partecipazione convenzionale e non convenzionale (o istituzionalizzata e non-istituzionalizzata) sottolinea invece il fatto che si stia facendo riferimento a comportamenti osservabili finalizzati a influenzare la selezione del personale politico o
le decisioni da questi assunte, o che invece si considerino pratiche
politiche innovative e eterodosse rispetto alle forme più tradizio-
10
La coppia di termini visibile/invisibile è stata coniata da Barbagli, Maccelli (1985), mentre la coppia manifesta/latente è utilizzata da Pasquino
(1997).
15
nali e istituzionalizzate11. Nelle forme convenzionali rientrano,
oltre al voto (considerato la forma di partecipazione politica standard), attività quali l’impegnarsi in campagne elettorali, il contattare politici, il candidarsi per o il ricoprire una carica pubblica o di
partito, ecc. Nelle forme non convenzionali possono invece essere
comprese attività molto diverse, dal firmare una petizione al rifiutare di pagare delle tasse, dal boicottaggio al blocco del traffico o
di un servizio pubblico, dall’occupazione di edifici al danneggiamento di beni, dall’invio di una lettera ad un quotidiano alla partecipazione ad una manifestazione non autorizzata. L’elemento
distintivo viene ravvisato nella legalità o legittimità dei comportamenti politici adottati, che implica però, oltre alle azioni legali e
illegali, anche la presenza di azioni alegali, innovative ma non esplicitamente disciplinate o vietate dalla legge, e pseudolegali,
forme di protesta che però non violano le norme vigenti (Morlino
1996). Tuttavia, questa distinzione non appare totalmente risolutiva, in quanto soggetta all’evoluzione storica, sociale e culturale:
secondo la tesi dei ‘cicli di mobilitazione’, alla fine di ogni periodo di mutamento forme di partecipazione politica innovative e
non convenzionali possono essere istituzionalizzate o legittimate12.
Quando si parla di partecipazione strumentale e simbolicoespressiva, si pone invece l’attenzione sul senso dell’azione politica e sulle sue finalità. La partecipazione strumentale riguarda il
coinvolgimento dei cittadini nel processo di governo della collettività finalizzato alla protezione e al perseguimento di interessi
individuali o alla realizzazione di determinati ideali. La partecipazione simbolica invece sottolinea come il prendere parte ai processi politici decisionali sia un fine in sé, indipendentemente dagli
obiettivi altri che può permettere di raggiungere: attraverso la par11
Questa distinzione riflette il mutamento introdotto dalla stagione dei nuovi
movimenti sociali, che induce i ricercatori ad una rilettura dell’azione partecipativa. Si veda la ricostruzione di Biorcio (2003) e di Millefiorini (2002).
12
Tarrow (1990) sostiene che vi sia un pendolarismo ciclico tra forme convenzionali e non convenzionali, che generano, alla fine di ogni ciclo, un arricchimento del repertorio di azioni politiche.
16
tecipazione politica si impara ad essere e sentirsi parte della collettività, e quindi si sviluppa una maggiore consapevolezza sia dei
diritti, sia dei doveri connessi all’essere cittadini. Inoltre, la partecipazione può avere una funzione espressiva, di manifestazione
della propria identità e appartenenza e di ricerca di riconoscimento. La valenza strumentale o simbolico-espressiva della partecipazione, a differenza di altre dicotomie, non rappresenta
un’alternativa esclusiva, dal momento che ogni atto partecipativo
può assumere entrambe le funzioni, in combinazioni in cui varia
la proporzione tra i due aspetti.
Nella costruzione del questionario con cui sono stati raccolti i dati
qui analizzati, abbiamo assunto due delle distinzioni analitiche
sopra elencate: quella tra partecipazione politica visibile e invisibile e quella tra partecipazione convenzionale e non convenzionale13. L’interrogativo che guida il nostro lavoro è quindi il seguente: quali effetti ha il capitale sociale, nelle sue diverse dimensioni,
sulle forme di participazione politica considerate? Per rispondere
a tale quesito, vediamo innanzitutto quale rapporto la letteratura
sociologica abbia evidenziato tra le varie componenti del capitale
sociale e la partecipazione politica.
1.3 Dal capitale sociale alla partecipazione politica:
possibili percorsi
Nelle applicazioni empiriche il concetto di capitale sociale è stato
utilizzato come predittore di fenomeni molto differenti tra loro:
dal rendimento scolastico all’inserimento lavorativo, dalla devianza giovanile (affiliazione a gang, gravidanze adolescenziali,
ecc.) alla criminalità, dalla capacità imprenditoriale al successo
economico. Portes (1998) ha riassunto tre principali funzioni at13
La scelta di concentrare l’attenzione su tali forme di partecipazione è motivata dal loro uso ormai consolidato in ricerche a livello internazionale,
come nella WVS e nella EVS, e a livello nazionale, come nelle ricerche Itanes dell’Istituto Cattaneo.
17
tribuite al capitale sociale: controllo sociale; supporto familiare;
benefici derivanti dall’inserimento in reti sociali extrafamiliari.
Egli osserva come le prime due funzioni, legate alla posizione teorica di Coleman, non siano riconosciute unanimamente da tutti
gli autori, mentre la terza funzione è quella che ha ottenuto il
maggiore consenso nella letteratura sociologica.
In particolare, tra gli effetti positivi dell’essere membri di una
rete sociale si può annoverare anche la partecipazione politica
come coinvolgimento più o meno attivo nella vita democratica di
una comunità.
Putnam ha mostrato come vi sia una correlazione tra cultura civica di un territorio e performance istituzionali: l’esito della sua ricerca è che “il costante accumulo di capitale sociale gioca un ruolo essenziale nello sviluppo dei circoli virtuosi dell’Italia civica”(1993, p.201). Questa idea dei ‘circoli virtuosi’ del capitale sociale può essere estesa anche agli attori individuali? In altre parole, una buona dotazione di capitale sociale, prima ancora di migliorare il rendimento degli attori istituzionali, può favorire la partecipazione dei cittadini alla vita politica del paese?
Noi crediamo che la risposta sia affermativa, poiché nello stesso
percorso interpretativo di Putnam si trovano alcune suggestioni
che orientano in tal senso . “Ognuno ha il governo che si merita”
(ibid., p.4) perché quando una società democratica è composta da
cittadini e gruppi intermedi che hanno le risorse per ‘incalzare’ i
politici, è probabile che l’operato del sistema politico sia efficiente, avvenga nel pieno rispetto della legge e sia orientato a realizzare l’uguaglianza politica, civile e sociale su cui si basano le garanzie costituzionali che rendono una democrazia effettivamente rappresentativa delle preferenze dei cittadini (Dahl 1980). Infatti, la
qualità democratica può essere ragionevolmente qualificata valutando in quale misura le istituzioni realizzano responsiveness e
accountability. La prima è la disponibilità delle istituzioni politiche ad accogliere le richieste provenienti dalla società civile, nonché la capacità di soddisfarle, mentre la seconda è la responsabilità politica di tipo verticale – dei politici nei confronti dei cittadini
che li hanno eletti – e orizzontale – dei politici nei confronti di al18
tre istituzioni o attori collettivi che hanno conoscenze e potere di
valutazione – (Morlino 200314). Affinché le istituzioni rispondano
in modo efficace alle richieste dei cittadini è necessario che la responsabilità politica sia incentivata, e ciò non avviene se l’unico
momento di controllo è la verifica elettorale. Per tale ragione la
presenza di cittadini coinvolti non soltanto in modo episodico, ma
costantemente informati e inclini a collaborare in funzione del
perseguimento del bene pubblico, costituisce un elemento facilitante per lo sviluppo, o il mantenimento, di buone istituzioni democratiche (Almagisti 2003).
Questo ragionamento porta quindi a sostenere che le stesse dimensioni di contenuto (civismo, fiducia e associazionismo) impiegate a livello macro per qualificare come civica una comunità possano essere declinate a livello individuale, e interpretate come risorse che facilitano la partecipazione dei cittadini alla vita politica.
La scelta di lavorare a livello dei singoli individui ha anche una
ragione metodologica15, che fondamentalmente poggia sulla ricerca di una maggior analiticità. Infatti, in molte delle applicazioni
della teoria del capitale sociale in ambito politico le definizioni
operative del concetto spesso ne ignorano la multidimensionalità.
Come conseguenza, si ha una riduzione forzata della struttura del
concetto, che talvolta porta ad ignorarne aspetti difficilmente trascurabili, quali valori e norme.
Questi contributi sono in buona misura criticabili impiegando lo
stesso pesante argomento sviluppato per obiettare, più in generale,
14
Capacità di risposta e responsabilità sono soltanto due delle dimensioni di
qualità evidenziate da Morlino (2003), a cui dovrebbero essere aggiunte: il
rispetto della legge, il rispetto dei diritti civili, politici e sociali e la progressiva realizzazione dell’uguaglianza, formale e sostanziale. La definizione di
qualità democratica di Morlino è in realtà uno sviluppo di quella formulata
da Dahl (1980).
15
Il riportare il livello di riflessione e di analisi al piano individuale è naturalmente un’opzione epistemologica, ancor prima che metodologica; d’altra
parte, come evidenziato in apertura, il concetto stesso di capitale sociale ha
una valenza insieme individuale e sociale. Sulla plausibilità di studiare fenomeni culturali adottando un livello di analisi individuale, si vedano in
particolare Sciolla (2000) e Albano, Loera (2004).
19
la capacità esplicativa dei modelli culturali applicati in ambito politico ed economico: la circolarità logica. In proposito sono particolarmente incisive le obiezioni mosse alla ricerca sulla cultura
civica di Almond e Verba (1963), allo schema intepretativo proposto da Inglehart (1970, 1990), a Fukuyama (1995) e allo stesso
Putnam16, che possiamo esemplificare con le parole di Portes:
“concepito come proprietà delle comunità piuttosto che degli individui, il capitale sociale è simultaneamente causa ed effetto: genera effetti positivi, come lo sviluppo economico, la sicurezza
dell’ambiente sociale e la partecipazione politica, ed è inferito dai
medesimi effetti che produce” (1988, p.19).
Nel tentativo di ridurre al minimo il rischio di ragionamenti tautologici, cercheremo di distinguere chiaramente le diverse dimensioni del capitale sociale, preservando il più possibile la separazione tra le componenti del concetto e il nostro explanandum: la
partecipazione politica giovanile.
Iniziamo quindi da un aspetto che, a nostro avviso, rappresenta
uno dei più interessanti ma meno sviluppati nella concezione di
capitale sociale elaborata da Putnam: il contributo dei valori alla
civicness.
Per l’autore il civismo è un ingrediente fondamentale del capitale
sociale, che può essere definito, in riferimento a Tocqueville, come l’interesse personale propriamente inteso, ossia “un interesse
valutato nel contesto di un più generale interesse pubblico, illuminato e non miope, aperto al bene comune” (1993, p.103).
A dispetto della rilevanza accordatale, Putnam non concede a tale
dimensione una autonomia semantica e, a livello empirico, si limita ad inferirne la presenza tramite indicatori senz’altro idonei
per cogliere gli esiti del civismo, ma certo non direttamente inerenti la moralità, l’idea condivisa di ciò che è bene, giusto e accettabile in riferimento agli interessi collettivi17.
16
Si vedano in particolare Lijphart (1989), Sciolla (2004). Una sintesi delle obiezioni ai modelli culturali è contenuta nella tesi di dottorato di Loera
(2004).
17
Nella ricerca sulla tradizione civica delle regioni italiane Putnam (1993)
costruisce un indice di civicness basato su quattro indicatori: lettura di quo20
Rispetto ai nostri obiettivi questo è ovviamente un limite grave
perché, come dimostrano altri studi, non soltanto i valori collegati
alla cittadinanza hanno una struttura ben più complessa di quella
rappresentata dal solo civismo – il quale potrebbe ancora esser distinto in virtù civiche e civility18 – ma contribuiscono in modo significativo a render conto del livello e delle forme di partecipazione politica dei cittadini, anche di quelli più giovani.
In primo luogo, se si studiano i valori di cittadinanza19 con strumenti di raccolta e analisi specificatamente elaborati a questo fine20, si ottiene una rappresentazione che, oltre al civismo, include
tidiani, voto referendario, voto politico e associazionismo. Nei successivi
lavori e, in particolare, in Bowling alone, la composizione dell’indice diviene più complessa – ben 14 variabili ricavate da dati survey o da statistiche
ecologiche che rappresentano fiducia sociale, socialità informale, volontariato, impegno pubblico (voto politico e incontri sui temi della scuola) e
vita organizzativa della comunità – ma continua a non includere alcun riferimento esplicito alla dimensione morale del concetto (2000, trad. it.
2004, p.351).
18
“Gli ideali di cittadinanza oggi non costituiscono un insieme coerente. Il
cittadino riceve, per così dire, istruzioni tra loro non coerenti. Patriottismo,
civiltà, tolleranza e attivismo politico lo tirano in differenti direzioni. Il primo e l’ultimo richiedono zelo e passione, e stimolano al coinvolgimento
nella vita pubblica. […] Civiltà e tolleranza incoraggiano la gente a considerare gli interessi come diversi e privati, militano per la quiete e la cittadinanza passiva” (Walzer 1974, trad, it. 1992, p. 93).
19
L’espressione ‘valori di cittadinanza’ è stata usata da Sciolla e Negri
(1996) per designare questo specifico tipo di valori civili, che si riferiscono a concezioni di ciò che è bene ed ammissibile rispetto alla convivenza
civile, alle libertà individuali e al bene pubblico. Poiché noi ci riferiamo
esattamente allo stesso insieme di valori ed usiamo metodologie analoghe
a quelle impiegate dai due autori riteniamo corretto adottarne la denominazione.
20
Ci riferiamo a questionari contenenti batterie per la rilevazione dei valori
e degli atteggiamenti, e all’uso di tecniche di analisi dei dati, quale l’analisi
fattoriale, che permettono di ricondurre le risposte all’azione di uno o più
fattori latenti interpretabili come dimensioni valoriali. Per una discussione
sull’uso dell’analisi fattoriale per lo studio dei valori, si veda il recente lavoro di Albano e Loera (2004).
21
perlomeno una seconda dimensione morale relativa ai diritti e alle
libertà individuali. Più precisamente è stato evidenziato che i valori di cittadinanza si strutturano in configurazioni a tre dimensioni interpretabili come: civismo, libertarismo – diritti o liberalismo morale – e responsabilità – o rischio – (Sciolla 1996, 2003b, 2004; Sciolla et.
al. 2000; Albano e Loera 2004), piuttosto che civismo/self-interest, libertarismo/integrismo, solidarietà/responsabilità (Ricolfi 2002a)21.
In secondo luogo, quando la dimensione morale del capitale sociale è rappresentata in modo autonomo, diviene possibile studiare quali effetti essa genera sul comportamento politico, indipendentemente dalle eventuali influenze esercitate dalla fiducia sociale e dall’esperienza associativa. E in effetti, è stato mostrato che
gli orientamenti morali non solo rendono conto delle preferenze
elettorali, ma lo fanno anche meglio di altre spiegazioni alternative basate sulla personalità o sulla condizione sociale dei cittadini
(Ricolfi 2002a).
A conclusioni simili giunge Sciolla in diverse ricerche già menzionate, in cui si accerta l’esistenza di una relazione tra valori di
cittadinanza e partecipazione politica. Anche lavorando su dati
internazionali, l’autrice ritrova la stessa struttura di relazioni, da
cui emerge che l’orientamento morale maggiormente connesso
alla partecipazione politica, sia essa visibile, invisibile o non
convenzionale, non è il civismo in senso stretto, bensì il libertarismo, ossia una dimensione etica collegata ai diritti individuali
(Sciolla 2004).
Contrariamente a quanto accade per i valori, nella riflessione teorica sul capitale sociale e, in particolare, negli studi che ne valutano l’impatto in ambito politico, l’importanza e l’attenzione attribuite alla dimensione fiduciaria sono ampiamente condivise.
21
Non si tratta ovviamente di cogliere la complessità delle configurazioni
morali presenti in un dato contesto socioculturale, quanto di delineare una
rappresentazione stilizzata delle priorità di valore connesse alla cittadinanza, che serva come euristica nello studio di alcuni aspetti della cultura e di
fenomeni ad essa collegati.
22
La fiducia, soprattutto interpersonale, è concepita come uno degli
ingredienti essenziali alla base delle società civili, in assenza della
quale non è possibile parlare né di rapporti orizzontali di solidarietà e cooperazione finalizzati al bene comune, né di sostegno
politico diffuso. Per Inglehart, ad esempio, “una solida democrazia di massa” può realizzarsi soltanto se “nella maggior parte della
popolazione si sviluppano norme e atteggiamenti di sostegno nei
confronti della democrazia stessa […] e fra questi atteggiamenti
fondamentale è il senso di fiducia interpersonale” (1990, trad. it.
1997, pp.23-24).
In proposito risultano emblematici molti studi dedicati all’Italia,
perché molte spiegazioni delle presunte anomalie della cultura politica italiana si basano su una diagnosi di particolarismo in cui la
debolezza della fiducia generalizzata e di quella istituzionale hanno un peso determinante: “alienazione, isolamento sociale e sfiducia” (Almond e Verba 1963), piuttosto che “apatia, sfiducia e
risentimento verso le istituzioni, settarismo e intolleranza” (La Palombara 1965).
Nell’analizzare il nesso tra fiducia e partecipazione politica occorre tuttavia introdurre delle distinzioni, perché non necessariamente fiducia interpersonale e istituzionale orientano verso i medesimi
comportamenti, anzitutto perché i due tipi di investimento possono procedere in senso opposto. Non esiste un rapporto ovvio tra
fiducia sociale e fiducia istituzionale, perché la seconda dipende,
in misura rilevante, dall’operato delle istituzioni e dalle conoscenze che l’individuo ha potuto maturare in merito ad esso (Newton
1999a). Si può avere fiducia negli altri in generale senza averne
nelle istituzioni, perché se la percezione che ne abbiamo è di malfunzionamento e corruzione, allora le nostre aspettative verso il
funzionamento delle istituzioni saranno negative. Inoltre, la fiducia interpersonale è generalmente associata al civismo e quindi, a
maggior ragione, non bisognerebbe prefigurare una relazione implicita tra fiducia negli altri e fiducia nelle istituzioni: più un individuo condivide gli ideali democratici, più è elevata la possibilità
che egli resti deluso dal modo in cui tali ideali si concretizzano
nel
funzionamento
delle
istituzioni.
L’interpretazione
23
dell’insoddisfazione per il funzionamento della democrazia formulata da Norris (1999) segue esattamente questo schema: i cittadini non sono apatici o disinteressati verso la politica, al contrario
essi sono sufficientemente informati e attivi per valutare in modo
critico l’operato delle istituzioni democratiche, ed esserne insoddisfatti. Quindi, contrariamente alle aspettative, può essere
l’insoddisfazione, e dunque l’assenza di fiducia, a motivare alla
partecipazione politica, anziché la fiducia.
Per quel che riguarda la dimensione relazionale, come abbiamo
visto, essa può comprendere sia il coinvolgimento in reti associative, sia l’inserimento in reti amicali.
Già Tocqueville aveva individuato nel tessuto associativo un fattore importante per il funzionamento del sistema democratico.
Negli anni ’60, la ricerca di Almond e Verba (1963) aveva mostrato come i membri di associazioni manifestino un più alto livello di informazione e di impegno politico, nonché di fiducia sociale. La ricerca di Putnam (1993) sul rendimento delle istituzioni
nelle diverse regioni italiane ha poi evidenziato come una diversa
dotazione di capitale sociale nei termini di densità della presenza
associativa sia fortemente correlata alla tradizione civica di alcune
aree territoriali; di più, la partecipazione ad associazioni volontarie può generare fiducia e cooperazione e permettere quindi agli
individui di maturare quelle competenze e quegli atteggiamenti
che contrastano le tendenze all’atomizzazione e alla frammentazione sociale (Putnam 1995a; 2000). La partecipazione associativa offrirebbe dunque una opportunità di interagire e cooperare
all’interno di un contesto organizzativo più o meno formale; di fare esperienza di ambienti socioculturali differenti e più o meno
omogenei; di ampliare la gamma dei propri interessi, volgendosi
anche a questioni di interesse pubblico; di sviluppare reti di informazione e discussione che vanno oltre la cerchia dei gruppi
primari; di sperimentare competenze democratiche (civic skills),
dal semplice dibattito al coinvolgimento in processi decisionali
all’assunzione di leadership (Van Deth et al. 1997); di essere coinvolti, proprio a partire dalla rete associativa, in attività di natura
24
politica22. In altre parole, pur non essendo necessariamente politico il contenuto delle attività, l’associazionismo può avere effetti
dotati di rilevanza politica e costituire a tutti gli effetti una “scuola
di democrazia” (Van Deth et al. 1997, p.15).
Numerose ricerche più recenti hanno confermato la relazione esistente tra partecipazione associativa e partecipazione politica23,
anche se poi tale relazione appare più complessa se si tiene conto
delle differenze tra associazioni dal punto di vista della struttura
organizzativa, delle finalità, delle forme di membership, ecc.
(Verba, Schlozman, Brady 1995; Stolle, Rochon 1998; Ayala
2000; Albano 2002; Wollebaek, Selle 2003; Teorell 2003; Bowler, Donovan, Hanneman 2003; Caiani 2003). Se confrontati con
quanti non ne fanno parte, i membri di associazioni manifestano
un maggiore interesse per la politica e tendono più frequentemente a mettere in atto forme di partecipazione politica sia convenzionale (come il recarsi alle urne a votare) sia non convenzionale
(prendere parte a manifestazioni, boicottare un prodotto o un servizio, firmare una petizione, ecc.). Appare dunque legittimo “sia
guardare alla partecipazione associativa come ad una forma di ca22
La principale argomentazione di Verba e Nie (1972) prima e di Verba,
Schlozman e Brady (1995) poi è che la partecipazione associativa funga da
palestra per sviluppare competenze civiche (civic skills). Teorell (2003) etichetta tale modello esplicativo, peraltro ritenuto plausibile, come
l’argomentazione del capitale umano (the human capital mechanism), cui
contrappone l’argomentazione del capitale sociale (the social capital mechanism) intesa come la probabilità di coinvolgimento (recruitment) in attività politiche non convenzionali che deriva dall’essere inseriti in reti associative multiple, che attraversano diverse cerchie sociali.
23
Van Deth sostiene, sulla base della letteratura, che il ‘modello di impatto
diretto’ (direct impact model) sia più efficace per spiegare la relazione esistente tra partecipazione sociale e partecipazione politica (in particolare per
quel che riguarda il comportamento elettorale e altre forme di partecipazione politica convenzionale) rispetto allo ‘shifting involvement model’, che
postula l’esistenza di uno stesso background che permette spostamenti dei
cittadini impegnati tra partecipazione sociale e politica, e allo ‘standard SES
model’, secondo cui lo status socioeconomico determinerebbe il livello di
partecipazione sociale e gli orientamenti politici che, a loro volta, influenzerebbero la partecipazione politica. Cfr. Van Deth et al. 1997, pp.11-14.
25
pitale sociale, sia considerare il bagaglio di esperienze associative
come un indicatore di capitale sociale individuale. [...] attraverso
la partecipazione un individuo sviluppa una serie di competenze e,
soprattutto, di relazioni sociali che ne rafforzano la capacità di agire politicamente e ne formano gli orientamenti anche in periodi
successivi” (Diani 2000, pp. 481-482).
Il rapporto tra partecipazione sociale e partecipazione politica può
però anche essere inverso, ovvero la prima può svolgere una funzione sostitutiva della seconda: la sfiducia verso il sistema politico può alimentare il coinvolgimento in attività associative come
forma di rifiuto della politica e di protesta24.
A differenza delle reti associative, come abbiamo visto molto studiate, la sociologia ha dedicato meno spazio al tema delle reti amicali rispetto alla psicologia sociale. Inoltre, spesso l’influenza
delle cerchie amicali è stata letta in termini di negativi, come
‘pressione’ verso forme di trasgressione e devianza: ecco quindi
che si è sviluppata una letteratura sterminata sull’effetto del gruppo dei pari nel campo dei comportamenti a rischio, dal consumo
di droghe all’abuso di alcool alla dipendenza da tabacco
all’esposizione volontaria a pericoli fisici. Molto meno studiato è
l’effetto positivo del gruppo dei pari in termini di comportamenti
prosociali, spesso ricondotto a una logica di prevenzione dei fenomeni sopra descritti. In particolare, non sono numerosi gli studi
che hanno focalizzato l’attenzione sull’influenza della rete amicale sulla partecipazione civica e politica, di quanto gli amici possano rappresentare un’espressione e una fonte di capitale sociale.
Alcune recenti ricerche empiriche hanno riportato l’attenzione
sulle cerchie amicali e sulle relazioni informali. Johnson e Lollar
(2002) hanno studiato l’impatto dell’esposizione alla diversità in
tre contesti socializzanti (nel college, nel gruppo dei pari e nel
percorso formativo prima del college), trovando un’influenza significativa dell’esperienza della diversità, a livello sia educativo
24
La possibile valenza sostitutiva della partecipazione associativa è stata evidenziata già da Inglehart (1977). In Italia, si vedano Garelli (1996) e Donati
(1997) .
26
sia amicale, sulla consapevolezza circa le questioni etniche e razziali e sulla propensione a prendere parte attivamente ad attività
associative studentesche a sfondo politico e sociale. In altre parole, la minore esposizione alla diversità socioculturale negli anni
della formazione – esperienza che ha le caratteristiche delle forme
di associazione ‘bonding’ di cui parla Putnam – produce una minore capacità di gestione e valorizzazione delle differenze in età
adulta, e quindi ha un impatto sulla partecipazione ad una democrazia pluralistica. L’esposizione alla diversità nei contesti di socializzazione permette invece di tenere insieme eguaglianza
(gruppi di pari) e pluralità (molteplicità di prospettive), abituando
i giovani al confronto e anche al conflitto come aspetti normali
della vita. Ad una conclusione simile sembrano essere giunti anche La Due Lake e Huckfeldt (1998), che parlano esplicitamente
di “capitale sociale politicamente rilevante” per indicare quelle
caratteristiche delle reti sociali che le rendono influenti sulla partecipazione politica. Il risultato più interessante della loro ricerca
è che risulta politicamente rilevante non soltanto il grado di politicizzazione della rete sociale (il livello di expertise politica degli
individui con cui si è in relazione e la frequenza con cui si discute
di temi di interesse collettivo), dato che potrebbe essere considerato tautologico, ma anche la sua ampiezza, ovvero l’essere potenzialmente esposti a una più o meno vasta ed eterogenea gamma
di opinioni e informazioni di natura politica.
Ampiezza, struttura e varietà delle composizione della rete amicale si rivelano quindi elementi importanti del capitale sociale, che
possono avere effetti rilevanti nei termini della partecipazione civica e politica.
Infine, anche l’adesione ad una religione costituisce una forma di capitale sociale che può avere effetti sia diretti sulla partecipazione politica (sull’interesse per la politica così come sull’orientamento di
voto25 e su forme di partecipazione non convenzionale), sia effetti
25
In Italia, il rapporto tra religione e politica è stato spesso analizzato nei
termini dell’influenza dell’adesione religiosa e confessionale sugli orientamenti partitici e sul comportamento elettorale: l’esistenza e poi la crisi e
27
indiretti, corroborando altre forme di capitale sociale, come la fiducia nelle istituzioni e il coinvolgimento in organizzazioni volontarie26.
I valori religiosi alimentano e sostengono il capitale sociale inteso
come set di risorse morali che favoriscono il senso di ‘connessione sociale’ e generano cooperazione, reciprocità, partecipazione
(Uslaner 2001). In particolare, Coleman (1988) ha posto l’accento
sulle comunità religiose come fonte di chiusura intergenerazionale, in quanto sostengono l’interazione tra gli individui e rafforzano
l’efficacia delle norme: più recentemente, Smith (2003a; 2003b),
studiando l’influenza del coinvolgimento religioso sugli adolescenti americani, ha rilevato come i giovani che manifestano una
forma di identificazione religiosa risultino spesso dotati di reti relazionali dense e omogenee che enfatizzano la condivisione di valori e norme e favoriscono l’impegno civico e politico.
Le chiese e i gruppi religiosi sono stati indicati come luoghi di
sperimentazione di competenze (Verba, Schlozman, Brady 1995).
Questo presunto circolo virtuoso tra religione e mobilitazione civica ha assunto una cruciale importanza nel dibattito americano a
seguito della diagnosi del declino del capitale sociale e della partecipazione democratica in America (Putnam 2000). La religione
è stata così considerata come un fattore capace di (ri)generare la
partecipazione sociale e politica: la partecipazione a reti e ad organizzazioni religiose è considerata un predittore di attivismo civico e sociale (Greeley 1997; Hooghe 2003; Uslaner 2001), tanto
da far parlare di “capitale religioso” (Park, Smith 2000) come di
una forma di capitale sociale. Le organizzazioni religiose prodissoluzione del ‘partito dei cattolici’ ha focalizzato l’attenzione sulla diaspora del voto cattolico, e quindi sullo studio del comportamento dell’elettorato cattolico in termini di preferenze partitiche. Ad esempio, si vedano
Cesareo et al. (1995), Garelli (1996), Diotallevi (1996) e Rovati (2000).
26
Il rapporto tra adesione religiosa e impegno sociale in forme di associazionismo e volontariato, peraltro, può anche avere effetti controproducenti
sul versante della partecipazione politica: secondo Garelli (1996), oggi il
volontariato può tramutarsi in una sottrazione di risorse e una forma compensativa rispetto all’azione pubblica e all’impegno politico.
28
muovono l’identificazione collettiva, l’adozione di norme di reciprocità e la fiducia interpersonale; stimolano l’acquisizione di
competenze democratiche; generano una cultura politica come attenzione per il territorio e per i bisogni della comunità e come
sensibilità critica e anticipatoria di questioni emergenti (Wood
1997; 2002). In Italia, Cartocci ha mostrato come il fattore religioso rappresenti un forte predittore di orientamenti e comportamenti civici: gli studenti cattolici sembrano distinguersi dai loro
coetanei per un profilo civico più alto e dinamico, per cui “dopo il
crollo della capacità di mobilitazione delle organizzazioni di sinistra, la rete delle parrocchie e degli oratori appare oggi come una
delle poche palestre di civismo” (2002, p.15).
L’adesione religiosa può però anche produrre una forma di fiducia
particolaristica che genera una chiusura verso l’altro e attiva
quindi circuiti di solidarietà ristretta: nel caso degli Usa, Scheufele, Nisbet e Brossard (2003) mostrano come l’adesione religiosa
produca sì un interesse per la politica, ma prevalentemente verso
questioni considerate religiosamente rilevanti; similmente, in alcuni casi essa sembra ridurre la lettura di quotidiani, il confronto
con altri soggetti su temi politici e il coinvolgimento attivo nella
comunità. Un certo tipo di identificazione religiosa può quindi
produrre capitale sociale negativo, orientato più a relazioni di
chiusura che di apertura agli altri.
Sino ad ora abbiamo definito il capitale sociale e la partecipazione
politica nelle loro diverse componenti: ma come si configurano i
giovani italiani rispetto alla loro dotazione di capitale sociale e alle loro modalità di prendere parte alla vita pubblica?
29
30
2. Risorse e
coinvolgimento nei giovani:
un quadro descrittivo
Prima di verificare empiricamente la solidità dei presunti nessi tra
capitale sociale e partecipazione politica, riteniamo utile descrivere quali sono le risorse ed i livelli di coinvolgimento dei giovani
italiani. A tal fine, limitatamente alle caratteristiche prese in esame, cercheremo di delineare una sorta di profilo. Non sarà però
un’immagine statica perché, sfruttando il fatto che in Italia esiste
ormai una consolidata tradizione di ricerca focalizzata sui giovani, collocheremo l’istantanea ricavabile dai dati raccolti nel 2003
all’interno di un quadro più ampio, tracciato attraverso le ultime
indagini Iard.
Per mantenere un ordine temporale, inizieremo proprio dal considerare qual’è stata l’evoluzione più recente della dotazione di
capitale sociale, così come descritta in un recente contributo di
Albano27.
27
Desideriamo ringraziare Roberto Albano per averci permesso di utilizzare il
testo riportato nel paragrafo 2.2, estratto da un suo articolo del 2004 pubblicato sul sito www.istitutoiard.it. Per facilitarne l’inserimento, previa autorizzazione dell’autore, il paragrafo originale è stato da noi ritoccato.
31
2.1 Come è cambiata negli ultimi anni la dotazione
di capitale sociale
Date le differenze territoriali che caratterizzano la società italiana,
evidenti soprattutto nel sistema economico, in quello politicoistituzionale e nella struttura sociale, vale la pena chiedersi se le
dimensioni che stiamo considerando presentino una variabilità
regionale. L’ampiezza del campione Iard permette di fare una distinzione perlomeno per grandi macro-aree, mentre la continuità
delle indagini consente di portare in luce eventuali cambiamenti
avvenuti in ciascuna area territoriale. Esamineremo quindi i mutamenti occorsi nel periodo 1996-2000 (i dati sono riferiti alla fascia dei 15-29enni).
Iniziando dalla fiducia istituzionale, osserviamo come essa sia
diminuita un po’ dappertutto, ma soprattutto nel Nord e nelle Isole. Ciò ha provocato peraltro un cambiamento di graduatoria, per
cui nel 2000 si ha più fiducia istituzionale al Sud e al Centro che
al Nord, mentre nel 1996 si aveva il contrario. Questo dato sembra contraddire la linea interpretativa sostenuta da Putnam, che
vede un deficit di cultura civica nelle zone del meridione d’Italia:
la fiducia nel sistema delle istituzioni sociali difficilmente si sposa con il familismo amorale. Questa maggiore fiducia istituzionale del Sud rispetto alle altre zone d’Italia peraltro non costituisce
una novità, se si osserva che è coerente con quanto rilevato ad esempio nell’ambito della European Value Survey del 1990 (Sciolla 1997, p.52); in quel caso il campione era composto da cittadini
di tutte le età.
Tornando ai nostri dati, è poi necessario osservare il netto divario
tra i giovani isolani e quelli continentali. Se non fosse che anche
nel modernizzato Nord-ovest si è avuto un crollo di fiducia, si potrebbe pensare che una differenza tanto marcata segnali che negli
ultimi tempi il ‘Sistema Italia’ nel suo complesso si sia un po’
dimenticato della Sicilia e della Sardegna.
32
Tabella 1 - Indice ‘fiducia istituzionale’ (0-17) per area regionale28
(valori medi)
1996
2000
∆ 1996-2000
Nord-ovest
7.57
6.07
- 1.50
Nord-est
7.74
6.62
- 1.12
Centro
7.04
6.97
- 0.07
Sud
7.49
7.11
- 0.38
Isole
7.21
5.86
- 1.35
Italia
7.43
6.58
- 0.85
casi validi
2500
1133
Confronto sullo stesso set di istituzioni
Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000)
Diversamente vanno le cose per quanto riguarda la fiducia interpersonale; il confronto richiede una certa cautela perché sono
cambiate le modalità di rilevazione29. Ci soffermiamo quindi particolarmente sulle differenze regionali. Qui la tesi di Putnam
sembrerebbe a prima vista corroborata, in quanto la fiducia interpersonale è meno diffusa al Sud. Tuttavia, anche in questo caso, a
un’analisi attenta tale tesi non sembra del tutto sostenibile. Innanzitutto, in quattro anni c’è un innalzamento fortissimo della fiducia tra i giovani delle Isole che mal si combina con l’idea che la
cultura civica muti solo nel corso di tempi molto lunghi (e del re28
La fiducia istituzionale viene qui sintetizzata attraverso un indice che si
basa sul numero di istituzioni in cui si ha ‘molta’ o ‘abbastanza fiducia’. Le
istituzioni conteggiate nell’indice (comuni alle due rilevazioni) sono: gli
scienziati, la polizia, gli insegnanti, i carabinieri, i magistrati, i sacerdoti, le
banche, gli industriali, la televisione pubblica, la televisione privata, i militari di carriera, l’amministrazione comunale, i funzionari dello stato, i sindacalisti, il governo, i partiti, gli uomini politici.
29
Nella rilevazione del 2000 è stato chiesto agli intervistati di scegliere tra
due affermazioni: “Gran parte della gente è degna di fiducia” e “Gli altri, se
si presentasse l’occasione, approfitterebbero della mia buona fede” (dando
anche la possibilità di rispondere “non so”). Nel 1996 le due affermazioni
erano state presentate separatamente e per ciascuna gli intervistati dovevano
dichiarare il loro accordo su una scala Likert a 5 modalità. Si è quindi deciso di considerare equivalenti (e quindi di operare un confronto, seppur approssimativo) coloro che nel 2000 hanno scelto “Gran parte della gente è
degna di fiducia” e coloro che nel 1996 hanno dichiarato un maggiore accordo (indipendentemente dal grado) su tale affermazione rispetto
all’accordo dichiarato sull’affermazione che indica sfiducia negli altri.
33
sto in questi quattro anni non ci sono neppure stati particolari
movimenti o eventi rivoluzionari). In secondo luogo, se vogliamo
individuare delle differenze rilevanti nel livello di fiducia interpersonale, non è confrontando Sud vs. Nord quanto piuttosto
Nord-est vs. resto d’Italia.
Tabella 2 – Fiducia interpersonale per area regionale
(%)
1996
2000
Nord-ovest
27.7
29.2
Nord-est
36.4
44.3
Centro
26.2
29.7
Sud
19.6
23.0
Isole
16.7
35.6
Italia
24.9
31.1
casi validi
2498
1126
Confronto approssimativo
∆ 1996-2000
+ 1.5
+ 7.9
+ 3.5
+ 3.4
+ 18.9
+ 6.2
Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000)
Il dato sull’associazionismo è quello che più va nella direzione
delle tesi di Putnam. Anche in questo caso, come per la fiducia
interpersonale, non è possibile uno stretto confronto longitudinale
perché è cambiata la modalità di costruzione del dato. E’ probabile comunque che nel Sud, nelle Isole e nel Centro-nord vi sia stato un effettivo calo, al di là di fluttuazioni legate allo strumento di
rilevazione. Si tratta di aree dove nel decennio precedente
all’ultima indagine vi era stata una consistente diffusione: un po’
gonfiata nel Nord-ovest, in cui la forma associativa per un certo
periodo era stata utilizzata in modo improprio anche da organizzazioni con fini commerciali, più strutturale nelle aree meridionali, dove partiva da livelli molto ridotti rispetto alle altre aree regionali ed era legata alle accelerazioni avvenute negli anni Ottanta nel progresso socio-culturale e nell’emancipazione della società civile meridionale (Segatti 1990; Trigiglia 1995). Da questo
punto di vista le regioni meridionali e insulari sembrerebbero essere tornate a soffrire di un deficit di capitale sociale rispetto alle
zone settentrionali, in controtendenza con i processi di livellamento avvenuti negli anni passati.
34
Tabella 3 - ‘Associazionismo’ (mono e pluriassociati) per area regionale
(%)
1996
2000
∆ 1996-2000
Nord-ovest
63.5
56.4
- 7.1
Nord-est
55.9
55.4
- 0.5
Centro
45.4
46.0
+ 0.6
Sud
47.2
39.5
- 7.7
Isole
44.9
34.0
- 10.9
Italia
51.8
46.9
- 4.9
casi validi
2500
1133
Confronto approssimativo
Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000)
La terza dimensione, quella della morale civica, è resa operativa
mediante un indice sintetico denominato ‘civismo’; quest’ultimo
è ottenuto sommando 7 dicotomie semplici relative alla giustificabilità di comportamenti devianti lesivi di valori, beni e interessi
della collettività (tale indice varia da 0 a 7, dove 0 indica il valore
minimo di civismo, che si ottiene quando tutti i comportamenti
devianti vengono giustificati)30.
Il confronto temporale eseguito sulla base dell’indice di civismo
ci rivela che negli ultimi anni, ad eccezione del Nord-est, ci sono
stati importanti cambiamenti che segnano un’inversione di graduatoria tra le varie aree. Il Sud è l’unica area in cui questa risorsa
morale si diffonde, anziché comprimersi, tra i giovani. La massima contrazione si ha tra i giovani del Centro Italia, ma è consistente anche nel Nord-ovest. Il risultato è che una importante risorsa come il civismo, inteso come disposizione soggettiva, è oggi più diffuso nel Sud e nelle Isole che altrove. Questo dato contrasta fortemente l’idea di una mentalità arretrata e difficilmente
modificabile degli abitanti del Sud.
30
Le sette affermazioni sono: “Viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare”, “Assentarsi dal lavoro quando non si è realmente ammalati”, “Prendere
qualcosa in un negozio senza pagare”, “Fare a botte per far valere le proprie
ragioni”, “Fare a botte con i tifosi di un’altra squadra”, “Dichiarare al fisco
meno di quanto si guadagna”, “Produrre danni a beni pubblici”.
35
Tabella 4 - Indice ‘civismo’ (0-7) per area regionale
(valori medi)
1996
2000
Nord-ovest
5.68
5.47
Nord-est
5.59
5.52
Centro
5.67
5.34
Sud
5.58
5.87
Isole
5.89
5.70
Italia
5.66
5.59
casi validi
2441
1020
Confronto approssimativo
∆ 1996-2000
- 0.21
- 0.07
- 0.33
+ 0.29
- 0.19
- 0.07
Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000)
Se dunque mediamente la dotazione di capitale sociale dei giovani sembra aver subito una contrazione, seppure ridotta, che ne è
invece del livello di coinvolgimento dei giovani nella vita pubblica? Come è mutato il rapporto delle nuove generazioni con le diverse forme di partecipazione politica?
2.2 Come è cambiata negli ultimi anni la partecipazione
politica giovanile
Il rapporto che i giovani intrattengono oggi con la politica si presta a interpretazioni contrastanti. Da un lato, abbiamo quella che
potrebbe essere definita la prospettiva ‘pessimista’ (Mazzoleni
2003), secondo la quale i giovani vivrebbero oggi una stagione di
distacco – tra il disincanto e il cinismo – dalla politica: in
quest’ottica, si è parlato di ‘ritiro generazionale’ e di ‘riflusso nel
privato’ (Borgna 1979; Traniello 1979; Allum, Diamanti 1986)31
per segnalare il progressivo allontanamento delle nuove generazioni dalla sfera politica, soprattutto se confrontati con le generazioni di giovani impegnati degli anni ’60-’70, e il ruolo marginale
31
Una critica alle ‘ideologie del riflusso’ è stata proposta da Sciolla e Ricolfi (1980), che hanno evidenziato come il ‘ritorno all’individuo’ non vada
interpretato come uno spostamento dalla politicizzazione al privatismo e
dall’impegno all’evasione, bensì come una politicizzazione del quotidiano,
“lo sforzo di dare una dimensione sociale e politica ai problemi
dell’individuo” nella “esigenza di saldare i due aspetti, quello pubblicopolitico e quello privato personale” (p.244).
36
che la politica e l’impegno pubblico rivestono nella vita di tali
giovani. Dall’altro lato, invece, si colloca la prospettiva ‘ottimista’
che legge questo distacco come una trasformazione dell’accezione
di politica e delle forme in cui essa si esprime: nelle nuove generazioni si sarebbe realizzato uno spostamento da modalità di impegno pubblico in luoghi istituzionali e formali (i partiti, i sindacati, i movimenti politici) a modalità di partecipazione ibride e
multiformi, giocate più sul versante socioculturale che su quello
strettamente politico (come nel caso dell’associazionismo, del volontariato, ecc.), con forme aggregative nuove e tematiche esterne
all’agenda politica tradizionale, imperniate più su opzioni di valore e di stile di vita (Della Porta 1996; Caniglia 2002). Questi giovani si rivelano “meno propensi a recarsi alle urne o ad impegnarsi in un’attività di partito, ma più disposti ad abbracciare attività
«politiche» legate ad una militanza «sociale» o «morale», dove il
«sacrificio» del proprio tempo lascia il posto alla «convivialità» e
alla «co-decisione»” (Mazzoleni 2003, p.230).
L’aspetto più importante è che la differenza tra le due prospettive
non si gioca solamente sul piano interpretativo, ma anche su quello definitorio: in altre parole, se la prima prospettiva mantiene una
definizione di politica e di partecipazione alla politica come attività di sostegno e legittimazione dei processi istituzionali dello Stato, la seconda prospettiva ne amplia la definizione sino a comprendere forme non convenzionali e innovative di partecipazione.
Se accettiamo questa visione più allargata di politica, apatia, disimpegno e partecipazione silenziosa non sembrano essere categorie sufficienti a descrivere la presenza politica giovanile attuale,
che si esprime sotto nuove vesti: da un lato, protagonismo sociale
e attivismo civico dei giovani saltano le classificazioni dicotomiche del passato che opponevano individuale e collettivo, privato e
pubblico, impegno ed evasione (Beck 2000). Nello stesso tempo,
però, la partecipazione politica giovanile risente delle grandi trasformazioni che hanno investito la sfera politica, prima fra tutte la
crisi della sua dimensione ideologica, che ha prodotto una laicizzazione e professionalizzazione dell’impegno politico, seguita poi
dall’apertura dei suoi confini a istanze tradizionalmente estranee
37
alla politica ufficiale o istituzionale, come l’area fortemente dibattuta delle life issues o del diritto alla differenza. Alcuni indicatori
di questo mutamento di scenario sono rappresentati dallo spostamento dal voto di appartenenza al voto di opinione, dalla crescita
dell’astensionismo, dalla riduzione drastica degli iscritti ai partiti,
dal 12,6% dell’elettorato nel 1946 al 4,2% nel 1996 (Raniolo
2002, p.114).
Il confronto tra i dati degli ultimi due rapporti Iard sulla partecipazione politica giovanile ci permette di cogliere alcuni dei mutamenti descritti. La rilevazione del 2000 fa registrare una diminuzione dell’interesse nei confronti della politica a fronte di un
incremento dell’atteggiamento di delega e di disgusto.
Quest’ultima posizione di estrema presa di distanza dalla politica
raggiunge nel 2000 il massimo storico, avendo oscillato nei due
decenni precedenti tra il 10-20%.
Tabella 5 - Atteggiamento verso la politica (15-29 anni)
1996
2000
Impegno
3.1
3.2
Interesse senza partecipazione
52.2
40.5
Delega
24.3
29.1
Disgusto
20.2
26.3
Non indica
0.2
0.9
Casi validi
2.500
2.297
Confronto approssimativo
∆ 1996-2000
+ 0.1
- 11.7
+ 4.8
+ 6.1
+ 0.7
Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000)
Inoltre, i giovani tendono sempre meno a collocarsi politicamente: dal 70% dei giovani nel 1996 al 60,1% del 2000. L’aumento
del disinteresse, della delega e del disgusto sembrano così tradursi
in un allontanamento anche dagli schemi categoriali della politica
classica, come la distinzione sinistra/destra.
38
Tabella 6 - Autocollocazione sull’asse sinistra/destra (15-29 anni)
1996
2000
∆ 1996-2000
Sinistra (1-4)
27.0
23.6
- 3.4
Centro (5-6)
16.4
12.4
- 4.0
Destra (7-10)
22.5
20.9
- 1.6
Centro esatto
4.1
3.2
- 0.9
Non voglio rispondere
6.8
10.2
+ 3.4
Non so/non voglio collocarmi
23.2
29.7
+ 6.5
Casi validi
2.500
2.297
Confronto approssimativo
Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000)
Con il passaggio al nuovo secolo, dunque, negli orizzonti di vita
dei giovani sembra profilarsi una ‘eclissi della politica’ (Ricolfi
2002b) intesa come un gioco a cui sempre più giovani rinunciano
a partecipare. Resta aperta l’interpretazione da dare a questo fenomeno: se esso debba essere considerato come una manifestazione di indifferenza o di insoddisfazione dei giovani verso la politica (Beck 2000; Millefiorini 2002).
39
2.3 Un aggiornamento al 2003
Il profilo dei giovani ricavabile dai dati del 200332 non è direttamente comparabile con quello sinora delineato perché le domande
usate nelle due indagini sono in parte diverse: talora varia la
composizione delle batterie di item, altre volte cambia il formato
di risposta, e così via. Preferiamo quindi evitare un confronto
puntuale, che sarebbe forzato, e limitarci a comparazioni qualitative, anche perché gli indici da noi impiegati sono stati creati con
l’obiettivo di specificare un modello di regressione del capitale
sociale sulla partecipazione politica; quindi, sono indici che si basano su definizioni operative mirate a tradurre empiricamente le
ipotesi relative ad associazionismo, valori e fiducia riassunte in
precedenza. Ciò implica che, ad esempio, non siamo tanto interessate al livello di adesione associativa, quanto alla forma di associazionismo, perché riteniamo che l’incidenza sul coinvolgimento politico sia diversa a seconda del tipo di attività svolta.
Vediamo dunque gli indici elaborati per rappresentare le dimensioni del capitale sociale e le forme di partecipazione politica,
nonché le relative distribuzioni.
Per rappresentare la componente relazionale del capitale sociale
abbiamo utilizzato due diverse informazioni: il tipo di associazione frequentata, il numero di amici e il tipo di rete amicale degli
intervistati.
Rispetto alle associazioni, ci è parso che una buona riduzione dello spazio di attributi dovesse distinguere le associazioni con finalità ludico-ricreative da quelle che espletano attività di volontariato sociale o assistenziale, di tutela dell’ambiente o dei diritti della
persona. In aggiunta, si è ritenuto di dover separare coloro che, nel
rispondere al questionario, qualificano l’associazione frequentata
come religiosa, enfatizzandone la matrice e le finalità ideologiche
anziché l’attività svolta. La classificazione risultante è quindi costituita da tre gruppi di associazioni che, in analogia con quanto
32
I dati si riferiscono ad un campione nazionale di 2000 casi rappresentativo della popolazione giovanile dai 16 ai 29 anni.
40
fatto da Albano (1997), abbiamo denominato: religiose, di impegno, e di fruizione33.
Dato che il campione impiegato è costituito da giovani, con
un’età compresa tra i 16 ed i 29 anni, si è preferito considerare sia
la partecipazione attuale che quella passata, in modo da cogliere
gli eventuali effetti dell’esperienza associativa anche tra i più maturi, che possono aver cessato alcune attività.
Tabella 7 - Forme e livello di partecipazione associativa
Attuale
Religiose
10.1
Di impegno
15.2
Di fruizione
27.1
Non associati
Mono associati
Multi associati
59.2
24.6
16.2
Mai associati
Associati solo in passato
Associati solo nel presente
Associati passato e presente
Passata
20.3
23.0
36.0
49.2
22.3
28.6
32.6
26.6
16.6
24.2
Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003)
Come si può notare esiste un 26,6% di ragazzi che hanno fatto
parte di qualche associazione e che, al momento dell’intervista,
vanno invece ad accrescere il numero dei non associati. La diminuzione più pesante si ha nelle file delle associazioni religiose,
che nel passaggio da ieri ad oggi perdono il 10% di frequentanti,
ossia ben la metà dei partecipanti.
Attualmente il 40,8% degli intervistati fa parte di almeno una associazione e, tra questi, il 27,1% frequenta una associazione di
33
Nel dettaglio si sono considerati i partecipanti a: (1: religiose) gruppi, associazioni religiose e/o parrocchiali, (2: di impegno) sindacati, associazioni
di categoria, organizzazioni umanitarie, gruppi di volontariato sociale o assistenziale, centri sociali, organizzazioni di tutela dell’ambiente, organizzazioni studentesche; (3: di fruizione) associazioni culturali, associazioni
sportive, club di tifosi, gruppi scout, associazioni turistiche.
41
fruizione, il 15,2% una associazione di impegno e soltanto il
10,1% dichiara di prender parte alle attività di gruppi religiosi e/o
parrocchiali. Ancora, soltanto il 24,2% degli attivi è stato associato anche in passato e, confrontato con i dati Iard, questo risultato
pare confermare il trend decrescente evidenziato da Albano, secondo cui dal 1996 al 2000 la partecipazione associativa a livello
italiano era già diminuita di quasi 5 punti percentuali. Inoltre, non
soltanto l’associazionismo tende a diminuire nel tempo, ma riguarda meno della metà dei ragazzi: nonostante la giovane età,
ben il 32,6% degli intervistati non ha mai fatto parte di un gruppo, neppure sportivo o parrocchiale, e il 26,6 % ha cessato qualsiasi attività.
Solo tra coloro che nel 2003 avevano al massimo 19 anni il numero di associati è pari al 53,7%, mentre nelle successive classi
di età tale valore scende al 38,8% (20-24 anni) e poi al 35,4 %
(25-29 anni).
Per completare la descrizione della rete sociale extrafamiliare e
scolastica in cui i ragazzi sono inseriti abbiamo cercato di considerare ampiezza e composizione dei gruppi informali. Anche in
questo caso esistono delle differenze significative dovute all’età,
in base a cui si può denotare una vera e propria spaccatura tra gli
adolescenti ed il resto degli intervistati. In media, i primi dichiarano di avere almeno 25 amici, organizzati in gruppi (un solo
gruppo di amici 24,7%; più gruppi di amici 53,6%), mentre i secondi hanno un numero inferiore di amici (21, in media), che nella maggioranza dei casi frequentano separatamente anziché in
gruppo. Si rileva quindi un ragionevole effetto del corso di vita,
sostanziato da un aumento di selettività ed indipendenza, che porta alla riduzione del numero di amici e alla decontestualizzazione
degli investimenti affettivi amicali, che avvengono anche a prescindere dall’esistenza di un gruppo.
La dimensione fiduciaria del capitale sociale è stata sintetizzata
attraverso due semplici indicatori: la percentuale di ragazzi che
rispondono positivamente all’affermazione ‘in generale si può
aver fiducia nella maggior parte delle persone’, e il conteggio delle istituzioni verso cui si nutre ‘molta’ o ‘abbastanza fiducia’. Il
42
48,1% dei ragazzi ha fiducia negli altri in generale, e questa percentuale prosegue la tendenza crescente evidenziata nel paragrafo
2.2. Non possiamo invece valutare l’evoluzione della fiducia istituzionale, perché sia il numero (11 anziché 17) che l’insieme delle istituzioni giudicate differiscono da quelle incluse nell’indagine
Iard. Possiamo però dire che, anche nell’indagine del 2003, i livelli medi di fiducia istituzionale sono piuttosto bassi: in media, il
numero di istituzioni verso cui si nutre fiducia è soltanto pari a 3
e, come accade per gli adulti, le istituzioni ritenute meno affidabili sono quelle politiche. Per i ragazzi, ad esempio, Partiti, Parlamento, Governo e Amministrazione comunale sono meno affidabili dei mass media.
Tabella 8 - Percentuali di fiducia nelle istituzioni
Istituzioni e indice complessivo
% molta, abbastanza fiducia
Chiesa
40.5
Scuola
44.8
Magistratura
26.2
Sindacati
21.1
Forze ordine
43.7
Parlamento
16.9
Impresa privata
41.1
Governo
17.4
Amministrazione comunale
21.2
Partiti
10.4
Mass media
33.8
Fiducia media (range 0-11)
3.1
Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003)
Per concludere l’analisi della dotazione di capitale sociale dobbiamo ancora esaminare la dimensione morale del concetto, che
rappresenta quella meno studiata.
In modo coerente ai pochi lavori italiani (Sciolla 1996, 2003a,
2003b, 2004; Ricolfi 2002a) in cui si è cercato di isolare e rappresentare tale dimensione, abbiamo analizzato una batteria di domande volte a rilevare la giustificabilità di taluni a atti relativi al
bene pubblico, alle regole di convivenza civile e ai diritti individuali. Si tratta di una batteria analoga a quella introdotta nelle in43
dagini European Values Survey (1981, 1990, 2000) e World Values Survey (1981,1990, 1995, 2000) e successivamente impiegata in diverse ricerche coordinate da Sciolla, inclusa questa ultima
del 2003 a cui noi stesse abbiamo partecipato34.
L’aspettativa era che, al pari di quanto emerso su numerosi campioni nazionali e non (Albano, Loera 2004; Sciolla 2004), i giudizi di giustificabilità fossero governati da dimensioni valoriali latenti e, nello specifico, da tre costrutti etichettabili come civismo,
liberalismo morale (o libertarismo) e responsabilità.
Tabella 9 - Spazio morale
Divorziare
Richiedere l’eutanasia
Avere rapporti omosessuali
Ricorrere alla fecondazione artificiale
Abortire
Tenersi del denaro trovato
Non pagare le tasse
Comprare oggetti rubati
Mentire nel proprio interesse
Cercare di ottenere dallo stato benefici
a cui non si ha diritto
Assentarsi dal lavoro quando non si è
realmente ammalati
Fare a botte per far valere le proprie
ragioni
Gettare rifiuti in luogo pubblico
Avere uno scontro con la polizia
Prostituirsi
Usare droghe leggere
Liberalismo Civismo Responsabilità
0.790
0.655
0.608
- 0.330
0.608
0.577
0.520
0.516
0.515
0.508
0.467
0.438
0.353
- 0.219
0.308
0.246
0.329
- 0.552
- 0.457
- 0.443
Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003)
34
Per confronti si vedano i questionari delle indagini EVS e WVS, consultabili on line sui siti www.europeanvalues.nl e http://wvs.isr.umich.edu.
44
L’esito delle analisi35 conferma le aspettative, perché le risposte
dei ragazzi si organizzano esattamente su tre fattori, che continuano ad essere interpretabili nel modo indicato. Il primo rimanda
alle libertà individuali, il secondo include i comportamenti civici,
di tutela degli interessi e dei beni collettivi, mentre l’ultimo riguarda una serie di azioni ‘trasgressive’ che, se compiute, possono arrecare un danno a sé o agli altri.
Se assumiamo come soglia il punteggio individuale medio su ciascun fattore (che è zero per costruzione), possiamo riassumere le
tre dimensioni in altrettante variabili dicotomiche, che ci informano rispettivamente sul numero di ragazzi civici, liberali e responsabili.
Tabella 10 - Profili morali
Sotto la media
Sopra la media
Liberalismo
47.5
52.5
Civismo
45.5
54.5
Responsabilità
57.0
43.0
Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003)
Veniamo ora al profilo politico dei giovani intervistati, ed iniziamo con l’indicatore di partecipazione latente che rileva
l’atteggiamento generale verso la politica.
La maggior parte dei ragazzi si dichiara interessato alla politica, e
soltanto un 3,5% si definisce impegnato. Tra gli alienati, il 16%
ha un atteggiamento di delega, circa il 40% manifesta un aperto
disinteresse, e una esigua minoranza sceglie la modalità di risposta ‘la politica mi disgusta’.
35
Per studiare i giudizi è stata condotta una analisi fattoriale esplorativa, con
metodo di stima ULS (Unweighted List Square) e rotazione oblimin. La matrice dei modelli è presentata nella tab.9. La varianza spiegata dal modello
fattoriale è pari al 35,4%, mentre le correlazioni tra i fattori sono: civismo/liberalismo = 0,216, civismo/responsabilità = - 0,403; liberalismo/responsabilità = - 0,192.
45
Tabella 11- Atteggiamento verso la politica
%
Mi considero politicamente impegnato
3.5
Mi tengo al corrente della politica senza parteciparvi personalmente 35.9
Bisogna lasciare la politica alle persone più competenti di me
16.1
La politica non mi interessa
39.3
La politica mi disgusta
5.2
Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003)
Questa distribuzione delle risposte presenta alcune differenze interessanti rispetto a quella emersa nel campione Iard (rilevazione
2000, paragrafo 2.3, tab. 5), alcune delle quali dipendono verosimilmente da un cambiamento delle modalità di risposta introdotto
dal gruppo di ricerca sulla socializzazione. Nel costruire il questionario, si è ritenuto che le modalità di risposta volte a cogliere
le posizioni negative dell’atteggiamento verso la politica non fossero sufficientemente discriminanti, ossia che il passaggio diretto
dalla delega al disgusto fosse eccessivo. Così, in analogia al versante positivo della scala di risposta, in cui tra le posizioni di impegno e di delega è prevista quella di interesse, si è deciso di anticipare al disgusto una modalità di risposta inerente il disinteresse
per la politica36.
Come si può vedere dalla tabella 11, questo intervento ha dato
buon esito, perché la nuova modalità è stata scelta dal 39,3% degli intervistati, e ciò ha ragionevolmente provocato una cospicua
riduzione dei giovani disgustati dalla politica e, forse, anche di
coloro che dichiarano un atteggiamento di delega.
Naturalmente il risultato va letto con cautela, perché le differenze
nella distribuzione delle risposte potrebbero essere interpretate in
ragione del tempo trascorso dalla rilevazione Iard con cui si effettua il confronto. Tuttavia, le differenze sono tali (5,2% contro un
26,3% di disgustati) da esser in buona misura interpretabili come
36
L’idea di inserire nelle risposte precodificate alla domanda di atteggiamento verso la politica una modalità intermedia tra la delega ed il disgusto
è di Franco Garelli.
46
conseguenze di un ‘effetto metodo’, piuttosto che di un ‘effetto
tempo’, ossia di un genuino cambiamento dell’atteggiamento verso
la politica. Infatti, in termini sostanziali, il profilo di risposta è in
linea con la fotografia ricavabile dai dati Iard del 2000: una esigua minoranza di giovani si autodefiniscono impegnati, una quota
rilevante (intorno al 35-40%) si tiene al corrente ma non partecipa
direttamente, e i restanti si collocano nelle modalità che denotano
un atteggiamento negativo.
Il secondo indicatore che prendiamo in esame è l’intenzione di
voto, ossia un indicatore di partecipazione politica convenzionale.
Se ci fosse una imminente consultazione, circa il 70% degli intervistati si recherebbe a votare e, di questi, il 63,2% esprimerebbe
un voto valido. Il 10% invece si asterrebbe, e un cospicuo 20%
sarebbe indeciso sul da farsi.
Considerando che la partecipazione al voto è una delle forme di
coinvolgimento manifesto meno impegnative, perché non richiede che un coinvolgimento episodico e può persino esser ritenuta
un dovere, queste percentuali non sono molto incoraggianti, soprattutto se circa il 30% di coloro che voterebbero è disinteressato, o peggio disgustato, dalla politica. Forse questo risultato è
interpretabile attraverso quanto sostenuto in una nota tesi che
collega il coinvolgimento politico allo sviluppo economico e
all’evoluzione morale delle società contemporanee. Secondo Inglehart (1990), la partecipazione giovanile sta da tempo evolvendo in direzione di un maggior coinvolgimento diretto e non convenzionale, parallelo al cambiamento delle priorità di valore in
senso postacquisitivo. In questo nuovo panorama i partiti tradizionali non sarebbero in grado di cogliere e rappresentare la domanda politica giovanile, le nuove issues e, in primo luogo, la rilevanza attribuita all’autorealizzazione. La sfiducia verso i partiti,
insieme alle maggiori capacità politiche, orientano i giovani contemporanei verso forme di partecipazione più diretta e focalizzata.
In effetti, se controlliamo quanti nel 2003 hanno già fatto o sono
disponibili ad impegnarsi in azioni non convenzionali, possiamo
notare che, a fianco delle manifestazioni e degli scioperi, sono
molti i giovani che aderiscono a forme di finanziamento etico, pe47
tizioni, raccolte di firme per consultazioni referendarie o leggi di
iniziativa popolare.
Tabella 12 - Partecipazione non convenzionale
% di ‘già fatto’,
‘potrei fare’
Partecipare ad uno sciopero organizzato dal sindacato
68.9
Partecipare a manifestazioni, assemblee o cortei autorizzati
71.2
Partecipare a manifestazioni, assemblee o cortei non autorizzati
39.3
Firmare per petizioni, referendum o leggi di iniziativa popolare
76.3
Sostenere forme di finanziamento etico
71.7
Partecipare a boicottaggi
43.1
Partecipare a scioperi selvaggi
15.5
Occupare edifici e fabbriche
24.1
Partecipare a comitati civici, di quartiere
48.3
Partecipare attivamente a campagne elettorali
35.7
Interrompere un servizio pubblico
16.4
Partecipare a forum telematici
31.9
Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003)
L’insieme di questi comportamenti viene efficacemente rappresentata da una struttura fattoriale bidimensionale, che sostanzialmente evidenzia una inclinazione a forme di partecipazione
politica non convenzionale, radicale e moderata37. La prima riguarda il 32% del campione, e non presenta alcuna relazione con
l’intenzione di voto, la seconda è comune a ben il 53,1% degli intervistati ed è linearmente associata alla partecipazione convenzionale (r=0,24).
37
Anche in questo caso, in modo analogo a quanto fatto per la dimensione
morale del capitale sociale, è stata effettuata una analisi fattoriale esplorativa con metodo ULS e rotazione oblimin. Con due fattori la varianza spiegata è del 39,3%, mentre la correlazione tra i due tratti latenti è 0,551.
48
3. A ciascuno il suo:
quali risorse
per quale partecipazione?
3.1 I legami tra le dimensioni del capitale sociale
Sino a questo punto abbiamo esaminato la dotazione di capitale
sociale dei giovani italiani per come emerge dall’analisi dei singoli indicatori impiegati nelle rilevazioni Iard e nella ricerca sulla
socializzazione ai valori di cittadinanza. Ora, in modo coerente a
quanto i modelli teorici cui facciamo riferimento affermano, cercheremo di completare il quadro descrittivo delineato andando a
studiare quali sono i legami esistenti tra le dimensioni che strutturano il capitale sociale. Infatti, ciò che accomuna molte concezioni di capitale sociale è l’idea che esso sia costituito da risorse
strutturate in modo coerente, che interagiscono generando un circolo virtuoso da cui esse stesse trovano nuovo alimento. Così, restando alla definizione di Putnam, il capitale sociale è un insieme
coerente di senso civico, fiducia e relazioni orizzontali di cooperazione, queste ultime identificate in modo quasi esclusivo con i
legami associativi. La prospettiva adottata da Putnam postula un
legame necessario tra partecipazione associativa e fiducia allargata, in base al quale la maggior presenza di reti di impegno civico
in una comunità si accompagna a livelli elevati di fiducia e collaborazione tra i cittadini. L’esistenza di una relazione non implica
49
però una definizione univoca del verso della relazione stessa: tra
associazionismo e fiducia esiste un legame reciproco, perché così
come la partecipazione associativa può promuovere lo sviluppo
della fiducia, dall’altro lato la maggiore inclinazione a fidarsi degli altri può essere un fattore che facilita l’iscrizione ad una associazione.
E’ quindi interessante constatare cosa accade quando i nessi tra le
singole componenti del concetto vengono studiati a livello empirico mediante operatori simmetrici.
La figura 1 mostra le connessioni tra gli indici che rilevano le
singole componenti del capitale sociale. I valori riportati nel diagramma si riferiscono a coefficienti di correlazione, ossia a misure simmetriche che indicano il verso e la forza della relazione lineare esistente tra coppie di variabili.
Figura 1 - Legami tra le dimensioni del capitale sociale
50
Come si può osservare, le due intensioni della componente fiduciaria sono in relazione tra loro (r=0,21) e con la componente morale del concetto (r=0,10 e r=0,12). Ciò significa che a livello
empirico esiste un pattern coerente di civismo e fiducia, tale per
cui un giovane che dichiara di avere fiducia negli altri in generale,
tendenzialmente ha fiducia anche nelle istituzioni e possiede un
registro morale in cui compaiono orientamenti di tipo civico.
Al contrario, proprio la partecipazione associativa, che Putnam
considera il principale indicatore di “sociabilità civica” (1993, p.107),
resta in buona parte esclusa dalla rete di legami, essendo in connessione soltanto con la fiducia interpersonale generalizzata.
E’ da sottolineare che tale risultato non è così inatteso, giacché la
medesima configurazione di relazioni emerge dall’analisi dei dati
Iard effettuata da Albano (2004), i cui risultati sono riportati tra
parentesi nel diagramma della fig.1.
Inoltre, a nostro avviso, tale configurazione rappresenta una struttura plausibile, perché si possono nutrire seri dubbi circa il fatto
che sia il mero livello di attività associativa (nella definizione di
Putnam il numero di associazioni presenti in un dato territorio,
per noi il numero di associazioni frequentate dai giovani intervistati in tutta Italia) ad essere collegato alle virtù che sostanziano il
capitale sociale.
Anzitutto si può obiettare che le associazioni possono non essere
il principale veicolo della ‘sociabilità’, perché la famiglia, le esperienze scolastiche, i gruppi informali e di lavoro, anche soltanto in termini di tempo fisico, coinvolgono l’individuo più di quanto possa fare una associazione (Granovetter 1973; Coleman 1988;
Barbieri 1997; Newton 1999b; Baron, Field e Schuller 2000). Ciò
implica che gli effetti di tali esperienze sugli orientamenti morali
e sulla fiducia individuale possono essere ben più incisivi, e di
segno diverso, di quelli eventualmente collegati alla partecipazione associativa.
In secondo luogo, la durata e l’intensità della partecipazione associativa possono persino accompagnarsi ad atteggiamenti opposti a
quelli attesi. Diani, ad esempio, ha rilevato che sono soprattutto i
neoassociati ad avere i più alti livelli di fiducia istituzionale, men51
tre le persone che hanno una storia associativa più lunga maturano
una visione più critica e disincantata: “un capitale sociale accumulato nel tempo sembra un ostacolo, piuttosto che un supporto, ad
atteggiamenti fiduciosi verso le istituzioni” (2000, p.482).
Infine, occorre distinguere il tipo di associazioni frequentate, perché non necessariamente il coinvolgimento in attività volontarie si
accompagna ad una inclinazione etica al perseguimento del bene
comune, e la fiducia verso i membri dell’associazione si estende
orizzontalmente agli altri in generale, e verticalmente alle istituzioni. L’iscrizione ad una associazione con finalità ludicoricreative probabilmente non amplifica alcuna sensibilità civica,
mentre il prendere parte in modo attivo ad una organizzazione fortemente centrata sulla tutela di interessi particolari può persino portare a sviluppare un atteggiamento conflittuale verso i gruppi che
sostengono priorità diverse da quelle promosse dall’associazione
di cui si è membri, ossia divergenti rispetto ai propri interessi e
valori. In merito, si può ricordare la distinzione introdotta dallo
stesso Putnam (2000), che fondamentalmente permette di classificare le associazioni in relazione al loro grado di inclusività: alcuni
gruppi (bonding) sono fortemente orientati al loro interno e tendono ad incentivare un atteggiamento di esclusione verso coloro
che non vi appartengono, altri sono invece propensi ad occuparsi
di attività che facilitano lo sviluppo di un atteggiamento di apertura e tolleranza verso l’esterno (bridging).
Queste considerazioni ci portano ad approfondire lo studio dei legami tra la dimensione associativa e le altre componenti del capitale sociale, specificando la prima non soltanto in termini di livello (numero di associazioni frequentate), ma anche di forma (tipo
di attività svolta dall’associazione di cui si è membri).
Per ciò che riguarda il livello impieghiamo una ricodifica discreta
del numero di associazioni frequentate, che ordina i giovani in
“non associati”, “monoassociati” e “multiassociati”. I tre ranghi
permettono agevolmente di constatare che i legami con la fiducia
istituzionale ed i valori sono piuttosto complessi, e non seguono
un andamento lineare: all’aumentare del livello di associazionismo non corrisponde una crescita (o una diminuzione, se la rela52
zione è inversa) sistematica del civismo o della fiducia.
Quanto appena sostenuto si evince dalla tabella 13 in cui, per ciascun livello di associazionismo, sono presentate le percentuali di
civismo e fiducia istituzionale; quest’ultima, come si può vedere,
è stata trattata in modo analitico al fine di far emergere le eventuali differenze negli investimenti fiduciari legate al tipo di istituzione considerata.
Tabella 13 - Percentuali di civismo e fiducia istituzionale per livelli di associazionismo
Non
Mono
Multi
associati
associati
Associati
Civismo
54.4
55.7
52.9
Fiducia nelle istituzioni
Chiesa
Scuola
Magistratura
Sindacati
Forze dell’ordine
Parlamento
Imprese private
Governo
Amministrazione comunale
Partiti politici
Mass media
35.8
44.2
26.4
20.9
44.0
14.2
39.0
16.0
19.7
8.8
34.0
32.3
43.5
26.0
18.6
41.7
15.6
38.8
16.1
22.6
9.4
34.5
40.4
37.1
22.9
21.6
37.3
16.6
36.3
16.2
26.0
12.0
30.6
Osservando i valori della tavola si può notare che non esiste una
connessione lineare tra associazionismo e civismo perché, contrariamente a quanto accade nel passaggio da non associato a mono
associato, in cui il numero di individui civici sale, tra i giovani
che frequentano più di una associazione la percentuale di civici è
persino inferiore a quella del gruppo di coloro che non prestano
alcun lavoro volontario in organizzazioni.
Inoltre, la presunta relazione lineare crescente tra associazionismo e fiducia vale soltanto per tre istituzioni: all’aumentare del
53
livello di associazionismo aumentano le percentuali di giovani
che nutrono fiducia nell’Amministrazione comunale (19,7
<22,6<26,0), nei Partiti politici (8,8<9,4<12,0) e nel Parlamento
(14,2<15,6<16,2). Con più frequenza si rileva una diminuzione
progressiva di fiducia nella Scuola, nella Magistratura e nelle
Forze dell’ordine e nelle Imprese, che segnala una maggior criticità verso queste istituzioni proprio da parte di coloro che hanno
una vita associativa più ricca. Negli altri casi la percentuale di fiducia resta costante o segue un andamento non lineare.
Rispetto a quanto sostenuto a livello teorico i riscontri empirici
non danno ragione né a Putnam, né ai suoi critici o, in modo più
ottimistico, danno parzialmente ragione ad entrambi, rivelando in
ogni caso che la struttura dei nessi tra associazionismo, fiducia e
civismo ha una complessità difficilmente riducibile ad un insieme
di relazioni lineari.
Ulteriori indizi in questa direzione si ottengono se ragioniamo
sulle forme anziché sul livello di associazionismo. Procedendo
con ordine iniziamo col dire che, al fine di distinguere le forme di
associazionismo, impieghiamo la classificazione, già descritta in
precedenza, che separa le associazioni di matrice religiosa dalle
associazioni di impegno e di fruizione. Le tre classi, incrociate
con il civismo, la fiducia interpersonale e istituzionale, originano
le percentuali presentate nella tabella 14, dove sono state riportate
anche le percentuali dei non associati (colonne indicate con Ā) ed
evidenziati i risultati che segnalano un effetto virtuoso della
partecipazione associativa.
54
Tabella 14 - Percentuali di civismo, fiducia interpersonale e istituzionale
per classi di associazionismo
Impegno
Fruizione
Religiose
Ā
A
Ā
A
Ā
A
Civismo
54,1 56,1 55,2 52,5 53,1 66,2
Fiducia interpersonale gen.
47,5
50,2
47,2
49,9
46,2
62,6
Fiducia nelle istituzioni
Chiesa
Scuola
Magistratura
Sindacati
Forze dell’ordine
Parlamento
Imprese private
Governo
Amministrazione comunale
Partiti politici
Mass media
Ā: non associato; A: associato
35,9
42,7
26,4
19,6
43,7
15,4
39,6
16,9
20,8
9,2
34,0
34,3
43,6
22,1
24,9
34,9
13,2
32,8
11,9
25,2
11,0
31,3
37,1
44,7
25,4
20,5
42,3
13,8
37,1
15,4
20,8
9,0
33,3
31,8
38,2
26,5
20,2
42,0
18,1
42,1
17,9
23,4
10,9
34,3
31,9
42,8
25,9
21,1
42,6
15,1
39,1
16,0
20,9
9,7
33,8
67,5
43,4
23,8
14,9
39,3
14,3
33,2
16,5
26,4
8,1
31,7
La classificazione consente di aggiungere qualche tassello
all’interpretazione del diagramma da cui siamo partiti, in cui
l’associazionismo risulta in buona parte distaccato dalle altre dimensioni che strutturano il capitale sociale.
Iniziamo dall’unico legame lineare esistente, ossia quello con la
fiducia interpersonale. Come si può vedere nella tavola, la connessione tra associazionismo e fiducia interpersonale generalizzata prescinde dall’associazione frequentata. Infatti, sebbene la percentuale di individui che nutrono fiducia negli altri in generale sia
maggiore tra coloro che frequentano associazioni di impegno e,
soprattutto, religiose, si può concludere che qualsiasi sia la natura
delle attività svolte, la fiducia sociale è più diffusa tra i giovani
associati che tra i non associati.
Lo stesso non si può dire per le percentuali di civismo e di fiducia
istituzionale, che variano in modo rilevante in base al tipo di associazione frequentata: è più probabile trovare giovani con un orientamento civico tra chi fa parte di una associazione di impegno
55
o religiosa, piuttosto che tra i ragazzi che frequentano associazioni
ludico-ricreative. Resta poi da valutare se è l’orientamento civico a
promuovere la partecipazione a specifici tipi di associazioni o se è
vero il contrario.
Le connessioni con la fiducia istituzionale sono meno chiare. Non
si evidenzia infatti alcun legame privilegiato tra tipo di associazione frequentata e fiducia in specifiche istituzioni, ad eccezione
dello scontato e più che abbondante incremento di soggetti che
nutrono fiducia nella Chiesa tra i giovani membri di associazioni
religiose.
In definitiva, questi ultimi risultati confermano che, mentre il legame tra dimensione morale e fiduciaria del concetto di capitale
sociale può ragionevolmente essere colto anche da una semplice
relazione lineare, le connessioni tra queste due dimensioni e la
componente associativa sono meno nitide, ad eccezione dei nessi
con la fiducia sociale. Il livello di associazionismo si collega linearmente alla fiducia sociale ma non a quella istituzionale e al civismo, e su questi ultimi due legami incide in modo rilevante non
soltanto il numero di associazioni frequentate, ma anche il tipo di
attività in cui si è coinvolti.
3.2 Un modello di spiegazione della partecipazione
politica
Per stimare l’impatto del capitale sociale sulla partecipazione politica abbiamo elaborato un modello composto da 32 regressori, di
cui 14 indicatori sociodemografici e 18 indicatori culturali.
L’unica variabile politica che abbiamo deciso di inserire
nell’equazione riguarda l’autocollocazione politica sulla dimensione sinistra-destra, e le ragioni di tale scelta sono due. In primo
luogo perché esiste una lunga tradizione di ricerche, da cui emerge che in Italia, dal dopoguerra ad oggi, l’interesse e la partecipazione politica sono sempre stati quantitativamente più presenti tra
gli elettori e i militanti della sinistra (Guidorossi 1984; Millefiorini 2002) e ciò significa che la posizione politica si presenta come
56
un dato strutturale del fenomeno partecipativo in Italia, di cui è
impossibile non tener conto. In secondo luogo, perché
l’autocollocazione politica intrattiene delle relazioni significative
con alcune delle dimensioni che strutturano il capitale sociale e
quindi, per avere un effetto netto di tali variabili sulla partecipazione politica, si rende necessario depurarne gli impatti includendo il posizionamento politico dei soggetti nel modello di regressione.
Figura 2 - Capitale sociale e autocollocazione politica
4.0
3.8
Media indice di fiducia istituzionale
3.6
3.4
3.2
3.0
2.8
2.6
2.4
E sx
Sx
C sx
C
C dx
D
E dx
E sx
Sx
C sx
C
C dx
Dx
E dx
.6
Liberalismo (punteggio individuale medio)
.4
.2
0.0
-.2
-.4
57
Associazionismo di impegno ( valori percentuali)
.6
.5
.4
.3
.2
.1
E sx
Sx
C sx
C
C dx
Dx
E dx
I tre grafici mostrano che esiste una chiara relazione monotona tra
il posizionamento politico dei giovani ed alcuni indicatori di capitale sociale. Nello specifico si rileva che: il liberalismo morale e
l’associazionismo di impegno diminuiscono man mano che la posizione politica varia da sinistra a destra, mentre accade il contrario per la fiducia nelle istituzioni; in quest’ultimo caso, ad eccezione dei soggetti che si autodefiniscono di estrema destra, il punteggio medio di fiducia istituzionale cresce in relazione allo spostamento verso destra degli individui.
Per completare il background dei soggetti intervistati, nel modello
sono stati inseriti i principali indicatori sociodemografici38: genere, età, titolo di studio conseguito al momento dell’intervista, zona
38
La rilevanza del profilo sociodemografico sulla partecipazione politica è
da tempo nota: infatti, uno dei modelli esplicativi più consolidati si basa
sull’idea della centralità/perifericità sociale (Milbrath et al. 1965). In questa
sede, gli indicatori sociodemografici sono invece trattati come variabili di
controllo, al fine di stimare la capacità esplicativa delle variabili di capitale
sociale al netto delle precedenti.
58
di residenza e ampiezza del centro di residenza, capitale culturale
e classe sociale della famiglia di origine39.
Tra le variabili indipendenti del modello abbiamo ovviamente incluso tutti i principali indicatori di cui ci siamo occupati sinora, e
quindi: le tre dimensioni morali, la fiducia interpersonale, la fiducia per le istituzioni e l’associazionismo, distinto nelle tre classi di
associazionismo religioso, di impegno e di fruizione.
In aggiunta, per verificare le ipotesi relative all’ampiezza e alla
struttura dei gruppi informali, si è deciso di considerare anche il
numero di amici e la composizione della rete amicale (un solo
gruppo, piuttosto che diversi gruppi o, ancora, amici frequentati
singolarmente).
L’ultima variabile culturale introdotta è un indicatore che combina credenza e pratica religiosa, in modo da cogliere non soltanto
gli effetti diretti ma anche l’interazione delle due. Infatti, la sola
credenza potrebbe non far emergere alcun tratto distintivo dei religiosi rispetto agli atei o indifferenti, e la sola pratica potrebbe
indicare esclusivamente ritualismo, convenzionalismo. In merito
all’influenza della religione sulla partecipazione politica siamo
quindi in grado di valutare ben quattro eventuali effetti: il primo
imputabile al solo fatto di ritenersi credente, il secondo alla pratica, il terzo alla combinazione, più o meno virtuosa, della credenza
e della pratica, e l’ultimo all’associazionismo religioso.
La composizione analitica del modello si trova nella tabella 15, in
cui abbiamo riportato anche le categorie di riferimento delle variabili indipendenti di natura categoriale inserite nel modello.
39
Questi due indicatori relativi alla famiglia sono stati elaborati seguendo la
prassi Iard, che per il capitale culturale prevede di considerare il titolo di
studio di padre e madre, e per la classe sociale la professione di entrambi i
genitori.
59
Tabella 15 - Modello di regressione: variabili indipendenti
Proprietà
Autocollocazione
politica
Età
Genere
Titolo di studio
Condizione professionale
Area di residenza
Indicatori
Estrema sinistra
Centro sinistra
Centro
Centro destra
Estrema destra
Età in anni compiuti
Maschio
Diploma superiore
Post diploma, laurea
Studente
Lavoratore
Nord ovest
Nord est
Centro
Maggiore di 100 mila ab.
Ampiezza centro
Capitale culturale della
Alto/medio alto
famiglia
Superiore
Classe sociale della
Impiegatizia
famiglia
Autonoma
Di fruizione
Associazionismo (atDi impegno
tuale e passato)
Religioso
Fiducia generalizzata
Fiducia
Conteggio istituzioni per cui
Fiducia istituzionale
si nutre fiducia
Civismo
Valori di cittadinanza Liberalismo morale
Responsabilità
Ampiezza rete amicale Numero amici
Più gruppi
Struttura rete amicale
Singoli amici
Credenza e pratica re- Credente non praticante
ligiosa
Credente praticante
Categorie di riferimento
delle variabili categoriali
non so+missing+non voglio
collocarmi
Femmina
Scuola dell’obbligo
Né studente né lavoratore
Sud e isole
Minore di 100 mila ab.
Medio/basso
Operaia e assimilata
Non associati (per ciascuna
classe)
No fiducia
Un solo gruppo
Non credente
Nella base dati utilizzata vi sono diversi indicatori di partecipazione politica: alcuni riguardano forme invisibili, mentre altri
forme manifeste, convenzionali e non. Nel dettaglio, concentreremo l’attenzione su:
• l’atteggiamento verso la politica;
• l’intenzione di voto in una eventuale consultazione politica;
60
l’iscrizione ai partiti politici;
• la partecipazione non convenzionale moderata (punteggio fattoriale che riassume: firmare una petizione, sostenere boicottaggi,
partecipare ad una manifestazione autorizzata);
• la partecipazione non convenzionale radicale (punteggio fattoriale che riassume: partecipare a scioperi non autorizzati, occupare
edifici o fabbriche).
Supponendo che ciascun tipo di coinvolgimento possa esser legato a particolari caratteristiche sociodemografiche e culturali, abbiamo preferito trattare ciascun indicatore separatamente, in modo
da controllare l’esistenza di legami esplicativi privilegiati tra singole componenti del capitale sociale e specifiche forme di partecipazione politica.
Prima di iniziare con l’esposizione dei risultati è bene precisare
ancora che la stima del modello di regressione ordinaria40 è stata
effettuata con una procedura di tipo backward, ossia mediante una
sequenza di stime su modelli via via più snelli, semplificati sino
ad arrivare ad un sottoinsieme costituito dai soli regressori significativi. Presenteremo soltanto questi ultimi risultati, in modo da
ragionare sui parametri che collegano i vari regressori alla partecipazione politica con una probabilità di errore inferiore al 5%.
Iniziamo con la partecipazione invisibile. L’impegno e l’interesse
per la politica caratterizzano in special modo i soggetti di genere
maschile, con un titolo di studio elevato o ancora coinvolti in un
percorso formativo. Questi risultati riproducono in buona misura
•
40
Data la natura dicotomica di talune variabili dipendenti, dal punto di vista
metodologico, sarebbe stato più corretto usare un modello di regressione
logistica. Tuttavia, ciò avrebbe comportato la presentazione di risultati molto diversi, giacché un coefficiente di regressione ordinaria si interpreta diversamente da quello prodotto da una logistica. Di conseguenza, per semplificare l’esposizione dei risultati di ricerca si è preferito optare per il modello
più semplice, ossia la regressione ordinaria, e impiegare la logistica soltanto
per i controlli. Infatti, ogni qual volta il livello di scala dei dati lo richiedeva, abbiamo specificato anche una equazione di regressione logistica, attraverso cui controllare che le significatività, i segni e l’entità degli impatti
dell’insieme dei regressori significativi fossero analoghi a quelli ottenuti
con il metodo ordinario.
61
ciò che accade anche a livello dell’intera popolazione, dove sono
soprattutto gli individui ‘centrali’ a manifestare il maggior livello
di interesse per la politica, oltre che un maggior coinvolgimento
politico in generale.
Tabella 16 - Partecipazione invisibile – Impegno e interesse per la politica:
risultati del modello di regressione (adattamento, impatti dei regressori e
relative significatività)
Adattamento del modello
R multiplo
R2
Adj. R2
.522
.272
.264
Impatti dei regressori
B
Beta
Sig.
Costante
.102
.003
Estrema sinistra
.526
.134
.000
Centro sinistra
.346
.298
.000
Centro destra
.287
.233
.000
Estrema sinistra
.571
.175
.000
Maschio
.091
.092
.000
Diploma superiore
.106
.107
.000
Post diploma, laurea
.215
.099
.000
Studente
.075
.073
.005
Partecipazione associazioni di
.064
.064
.015
fruizione (attuale e passata)
Partecipazione associazioni di im.067
.065
.013
pegno (attuale e passata)
Civismo
.078
.136
.000
Liberalismo
.032
.060
.027
Responsabilità
-.083
-.135
.000
Credente non praticante
-.060
-.057
.022
Un risultato che invece contraddice quanto solitamente si ottiene
dalle analisi di dati survey a carattere politico è l’effetto trasversale dell’autocollocazione sull’interesse: ad incidere non è tanto
l’identificazione con una specifica parte politica, bensì il mero fatto di collocarsi, che si collega positivamente ad un aumento
dell’impegno e dell’interesse per le questioni politiche. Sono piut62
tosto le posizioni estreme, siano esse di sinistra o di destra, a generare un atteggiamento maggiormente positivo verso la sfera politica.
Tra le variabili di capitale sociale le uniche influenti riguardano
l’associazionismo di impegno e di fruizione, e tutte le dimensioni
morali che abbiamo denominato valori di cittadinanza. L’unico
effetto negativo è generato dalla credenza senza pratica religiosa
che, rapportata alla categoria dei non credenti, produce una diminuzione di impegno e interesse.
Il coinvolgimento religioso, sia esso misurato come sola credenza
o come credenza e pratica, ha invece un effetto positivo
sull’intenzione di voto, indipendentemente da come essa è resa
operativa. Nel modello 1 la variabile dipendente è stata codificata
considerando come partecipazione anche le schede bianche e nulle, mentre nel modello 2 si è preferito far confluire queste ipotetiche scelte nell’area del ‘non voto’. Questa doppia codifica deriva
dal non sapere come gestire a priori coloro che decidono di annullare il voto: considerarli comunque dei votanti, oppure accentuarne le eventuali finalità di protesta, includendoli nel gruppo degli
astensionisti, rimarcando così la convenzionalità dell’esprimere
una preferenza valida?41
Per quanto il numero di individui che optano per annullare la preferenza non sia elevato, un loro spostamento ha degli esiti piuttosto interessanti sulle significatività delle variabili esplicative. Infatti, come si nota dai coefficienti dei due modelli, includere i voti
nulli nei voti di preferenza fa decadere la significatività di alcuni
indicatori di background, quali la condizione occupazionale,
l’ampiezza centro, l’area di residenza, e della dimensione morale
denominata responsabilità. Al contrario, far confluire i voti nulli
nell’astensione fa scomparire l’impatto positivo della fiducia nelle
istituzioni.
41
La decisione di testare due modelli è frutto di un confronto serrato ma fecondo con Roberto Albano, il quale propende per la prima definizione operativa della partecipazione convenzionale. Confrontando i risultati dei due
modelli, noi abbiamo infine optato per la seconda specificazione.
63
Tabella 17 - Partecipazione convenzionale - Intenzione di voto: risultati del
modello di regressione (adattamento, impatti dei regressori e relative significatività)
Adattamento
R multiplo
R2
Adj. R2
.434
.188
.181
Modello 1
.489
.239
.229
Modello 2
Modello 1
Modello2
Impatti dei regressori
B
Beta
Sig
B
Beta
Sig
Costante
.327
.000
.189
.000
Estrema sinistra
.305
.087 .001
.428
.114 .000
Centro sinistra
.258
.247 .000
.342
.306 .000
Centro
.166
.076 .004
.219
.095 .000
Centro destra
.250
.225 .000
.323
.272 .000
Estrema destra
.326
.111 .000
.341
.109 .000
Diploma superiore
.124
.139 .000
.134
.141 .000
Post diploma, laurea
.183
.094 .000
.216
.103 .000
Studente
.099
.100 .006
Lavoratore
.086
.090 .012
Nord est
-.081
-.065 .009
Comune >100 mila ab.
-.060
-.055 .031
Fiducia istituzionale
.071
.080 .003
Fiducia generalizzata
.011
.058 .032
.067
.071 .005
Liberalismo
.056
.115 .000
.060
.116 .000
Responsabilità
.037
.063 .018
Credente non praticante
.142
.148 .000
.150
.146 .000
Credente praticante
.213
.185 .000
.235
.192 .000
Mod1: dipendente=voto+bianche e nulle/astensione, non so
Mod2: dipendente=voto/bianche, nulle, astensione, non so
Entrambe le definizioni sono quindi interessanti, ma la seconda
offre un pattern di effetti più ricco, che permette di tracciare un
profilo maggiormente discriminante dei più inclini all’espressione
di una preferenza valida. E’ quindi una accezione più specifica e
coerente con l’idea della convenzionalità: la forma più standard di
partecipazione è infatti il recarsi alle urne ed esprimere un voto
valido. Al contrario, annullare la scheda o richiederla per poi consegnarla in bianco possono esser concepite sia come azioni che
richiedono un coinvolgimento politico più elevato, se non altro
perché andar contro corrente richiede sempre un maggior investi64
mento, sia in termini di alienazione. A nostro avviso, tale ambivalenza rende i voti nulli e bianchi più simili all’astensione,
anch’essa interpretabile come protesta o estraniazione, che non
all’espressione di un voto valido.
Date le bassissime percentuali di attivisti, è invece difficile considerare il prender parte alle attività di un partito come una attività
politica standard, in particolare per i giovani.
Rispetto al nostro modello, gli unici indicatori collegati in positivo a questa forma di partecipazione sono la collocazione estrema
sull’asse sinistra-destra e la partecipazione ad associazioni di impegno e di fruizione. Se la prima relazione è ampiamente prevedibile, la seconda lo è meno perché sembra denotare un generale
‘effetto associazionismo’, che ridimensiona la distinzione tra impegno ed evasione.
La partecipazione alle attività di un partito è invece disincentivata
dall’orientamento civico; come vedremo, questa e la partecipazione invisibile sono le uniche forme di coinvolgimento politico su
cui tale dimensione morale ha una incidenza.
Tabella 18 - Partecipazione convenzionale – Partecipazione a partiti politici:
risultati del modello di regressione (adattamento, impatti dei regressori e
relative significatività)
Adattamento del modello
R multiplo
R2
Adj. R2
.325
.105
.101
Impatti dei regressori
Costante
Estrema sinistra
Centro sinistra
Estrema destra
Diploma superiore
Partecipazione associazioni di
fruizione (attuale e passata)
Partecipazione associazioni di impegno (attuale e passata)
Civismo
B
-.018
.288
.063
.294
.036
Beta
.138
.103
.170
.068
Sig.
.155
.000
.000
.000
.011
.045
.086
.002
.065
.119
.000
-.029
-.095
.000
65
Considerando infine le forme non convenzionali di partecipazione, innanzitutto constatiamo che esse, tra i giovani come tra gli
adulti, sono di pertinenza esclusiva di quanti si orientano a sinistra. Un secondo elemento caratterizzante è il pattern di influenza
della dimensione morale: al crescere del punteggio individuale
sulla dimensione del liberalismo morale, aumenta la propensione
a compiere azioni politiche non convenzionali, mentre un’analoga
variazione nei punteggi della responsabilità ha un effetto disincentivante.
Tabella 19 - Partecipazione non convenzionale moderata: risultati del modello di regressione (adattamento, impatti dei regressori e relative significatività)
Adattamento del modello
R multiplo
R2
Adj. R2
.600
.360
.351
Impatti dei regressori
Costante
Estrema sinistra
Centro sinistra
Età
Diploma superiore
Post diploma, laurea
Nord est
Centro
Partecipazione associazioni di
fruizione (attuale e passata)
Partecipazione associazioni di
impegno (attuale e passata)
Partecipazione associazioni religiose (attuale e passata)
Fiducia generalizzata
Liberalismo
Responsabilità
Ampiezza rete amicale
66
B
.094
.747
.540
-.029
.196
.392
-.129
-.122
Beta
.109
.263
-.129
.110
.104
-.056
-.054
Sig.
.548
.000
.000
.000
.000
.000
.033
.036
.168
.093
.001
.235
.129
.000
.198
.106
.000
.121
.219
-.108
.003
.068
.227
-.098
.050
.006
.000
.000
.049
Un terzo fattore rilevante è l’esperienza associativa, con una differenza tra forme moderate e radicali: mentre nel primo caso si riscontra nuovamente un ‘effetto associazionismo’, che giunge anche a comprendere la partecipazione a gruppi religiosi, nelle forme più radicali è soltanto l’associazionismo d’impegno a esercitare un’influenza positiva. Come a dire che, per prender parte ad azioni di disobbedienza civile sono necessari livelli di interesse,
conoscenza e competenza politica superiori a quelli richiesti per
firmare una petizione. L’associazionismo può quindi avere un generale effetto positivo di sostegno al coinvolgimento politico, ma
solo l’associazionismo di impegno dimostra di essere una palestra
per una partecipazione più radicale, che comporta elevati costi e
potenziali rischi a livello personale. E’ forse anche per queste peculiarità che a propendere per questo tipo di attività sono in particolar modo i maschi ed i più giovani.
Tabella 20 - Partecipazione non convenzionale radicale: risultati del modello di regressione (adattamento, impatti dei regressori e relative significatività)
Adattamento del modello
R multiplo
R2
Adj. R2
.521
.272
.266
Impatti dei regressori
B
Beta
Sig.
Costante
.485
.001
Estrema sinistra
.833
.119
.000
Centro sinistra
.450
.215
.000
Età
-.028
-.121
.000
Maschio
.130
.072
.008
Partecipazione associazioni di im.174
.093
.001
pegno (attuale e passata)
Fiducia istituzionale
-.032
-.083
.002
Liberalismo
.150
.152
.000
Responsabilità
-.269
-.239
.000
Vi sono poi ulteriori elementi che confermano l’irriducibilità delle
due forme di partecipazione non convenzionale: uno di questi è
67
l’effetto differenziato della componente fiduciaria del capitale sociale. Nel caso della partecipazione radicale, soltanto la fiducia
istituzionale esercita un’influenza negativa: quanto più i giovani si
dichiarano vicini alle istituzioni, tanto meno si fanno coinvolgere
in azioni politiche estreme. La fiducia nelle istituzioni non ha invece alcun effetto sulle forme più moderate, su cui gioca un ruolo
determinante sia la fiducia interpersonale generalizzata che
l’ampiezza della rete amicale. Questi ultimi, insieme al già menzionato impatto dell’associazionismo, lasciano presumere che alla
base della partecipazione politica moderata vi sia un atteggiamento di apertura e solidarietà verso gli altri.
68
Conclusioni:
le molte vie
del capitale sociale
In questo lavoro si è optato per un approccio analitico allo studio
del capitale sociale e dei suoi effetti sulla partecipazione politica,
nel convincimento che ciò avrebbe permesso di preservare la
complessità di entrambi i fenomeni esaminati. Tale approccio ha
comportato anzitutto l’abbandono di una ‘concezione olistica’ del
capitale sociale, che ne postula la coerenza sia a livello di struttura
interna, sia a livello degli effetti esterni. Conseguentemente, le
nostre aspettative erano di cogliere gli impatti diversificati di ciascuna sottodimensione del capitale sociale sulle differenti forme
di impegno politico considerate.
Per evidenziare i risultati più significativi e rapportarli alla letteratura teorica di riferimento, crediamo utile darne una rappresentazione sintetica.
69
Tabella 21 - Capitale sociale e partecipazione politica: quadro sintetico dei
risultati
Pnc mo- Pnc raAtt pol Voto
Partiti
derata
dicale
Ass. di fruizione
+
+
+
Ass. di impegno
+
++
++
+
Ass. religioso
++
Fiducia interpersonale
+
+
Fiducia istituzionale
Civismo
++
Liberalismo morale
+
++
++
++
Responsabilità
-+
-Ampiezza rete amicale
+
Più gruppi
Singoli amici
Credente non praticante
+
Credente praticante
++
++= 0.05 < β <0.10; ++= 0.10 < β < 0.20
La componente morale, insieme all’associazionismo, si rivela la
variabile esplicativa di maggiore interesse, giustificando lo spazio
ad essa attribuito nel presente lavoro. I risultati ottenuti confermano in buona parte che l’influenza delle componenti morali, fiduciarie e relazionali non ha necessariamente esiti univoci o convergenti. Ad esempio, avere come priorità di valore la responsabilità
orienta positivamente i giovani al voto ma disincentiva l’interesse
per la politica e il coinvolgimento in forme di partecipazione meno convenzionali.
Contrariamente a quanto affermato nelle principali riflessioni teoriche sul capitale sociale, la dimensione valoriale più influente
non è il civismo, bensì il liberalismo morale. Per la rappresentazione che ne abbiamo dato, il civismo pare interpretabile soprattutto come rispetto delle regole, che può tradursi in conformismo:
in quest’accezione, non stupisce che esso risulti meno rilevante
nella determinazione dei comportamenti politici di quanto non lo
sia a livello di atteggiamenti. Ben più influente è invece il liberalismo come dimensione morale che soggiace alla tutela dei diritti
70
individuali: esso promuove tutte le forme di partecipazione politica, con l’unica eccezione dell’adesione a partiti. Questo risultato
fa presumere che oggi, soprattutto per le nuove generazioni, la difesa delle libertà e dei diritti della persona sia un fattore che contribuisce alla definizione degli interessi collettivi e motiva alla
partecipazione pubblica. In quest’ottica, il liberalismo morale può
essere sintomatico di un ‘individualismo sano’ che non comporta
una chiusura privatistica ma, al contrario, favorisce l’impegno politico. Ciò appare in linea con quanto sostenuto in altri studi, secondo cui la partecipazione giovanile è motivata da istanze relative ad aspetti della vita personale e sociale, quali la sessualità,
l’ambiente, la salute, che sono espressione dell’importanza attribuita all’autorealizzazione (Inglehart 1977) e alla qualità della vita (Beck 2000).
La terza dimensione morale, quella della responsabilità, risulta influente quanto il liberalismo, ma con esiti opposti: essa infatti disincentiva tutte le forme di partecipazione ad eccezione del voto.
Una possibile linea interpretativa è di intendere l’effetto incentivante della responsabilità sul voto come conformità alle ‘aspettative minime’ circa l’essere un buon cittadino. Forme di partecipazione politica più coinvolgenti o comunque ‘opzionali’, come le
varie modalità di partecipazione non convenzionale, sembrano essere favorite dall’orientamento morale contrario, ovvero il rischio:
nel caso dei giovani, ciò può essere inteso come un orientamento
alla sperimentazione, al ‘mettersi in gioco’ in prima persona, che
può favorire il prendere parte ad attività politiche più dirette (Inglehart 1990).
Più in linea con i contributi teorici ed empirici dedicati al capitale
sociale, l’associazionismo esercita un’influenza di largo raggio
sulla partecipazione politica, alimentando sia l’interesse per la cosa pubblica, sia il coinvolgimento in gruppi e in attività di carattere politico. L’insieme degli impatti è tale da lasciar presumere un
generale effetto coadiuvante, che prescinde dal tipo di attività associativa svolta. In realtà, le differenze riemergono quando si
prendono in esame forme più radicali di coinvolgimento: in questo caso, scompare l’effetto dell’associazionismo di fruizione e
71
religioso, e si rivela invece determinante quello di impegno. Tutto
ciò evidenzia una duplice funzione dell’associazionismo: politicamente socializzante e politicamente mobilitante. Nel primo caso, l’esperienza associativa, senza distinzioni, socializza gli individui ad un interesse per la politica e promuove in essi lo sviluppo
di ‘competenze civiche’ reinvestibili poi in attività politicamente
connotate: far parte di associazioni “inculca l’abitudine alla cooperazione e un senso di condivisione di responsabilità nelle imprese collettive” (Putnam 1993, p.105). Nel secondo caso,
l’effetto è limitato all’associazionismo di impegno, che forse funge da canale privilegiato per avvicinarsi a forme di partecipazione
politica più radicali.
La fiducia interpersonale generalizzata ha anch’essa un effetto coadiuvante, ma limitato alle forme convenzionali e non convenzionali moderate. Rispetto alla rilevanza attribuitale a livello teorico,
la fiducia negli altri incide debolmente sulla partecipazione politica, ma ciò potrebbe essere dovuto alla parziale sovrapposizione
con l’influenza dell’associazionismo, con cui essa è correlata: in
sostanza, la partecipazione associativa potrebbe già includere gli
elementi di apertura e di reciprocità caratteristici della dimensione
fiduciaria.
Diverso è il caso della fiducia istituzionale, che non incentiva
neppure le forme più convenzionali: al contrario, è la sfiducia verso le istituzioni a spingere i giovani verso la partecipazione radicale. Come già evidenziato in altre ricerche, in alcuni casi è proprio la delusione e la distanza avvertita nei confronti delle istituzioni a generare un desiderio di partecipazione politica, secondo
modalità però estranee al sistema politico istituzionale: “un alto
livello di coinvolgimento nell’azione collettiva, di qualsiasi natura, può cioè corrispondere ad orientamenti di sfiducia verso le istituzioni politiche. In questa prospettiva, il cittadino fortemente impegnato sembra essere spinto dal pessimismo circa la capacità
delle istituzioni di operare adeguatamente, piuttosto che dalla
convinzione che il suo agire troverà interlocutori istituzionali attenti” (Diani 2000, p.492). Non a caso, quindi, i giovani sfiduciati
verso le istituzioni scelgono di impegnarsi in forme di attivismo
72
politico che esprimono una protesta nei confronti degli interlocutori istituzionali, sino ad arrivare alle forme più estreme in cui la
stessa autorità istituzionale è negata.
Due sono le assenze che più ci sorprendono: la rete amicale e
l’adesione religiosa, i cui effetti sono molto limitati.
Per quel che riguarda la prima, risulta significativa l’ampiezza
ma non la struttura della rete amicale: come a dire che ciò che
veramente conta è una socialità allargata, che si può supporre
esponga i giovani a una maggiore pluralità e diversità di stimoli,
favorendone lo sviluppo di capacità critiche e di confronto dialettico con l’altro. Nel complesso, però, la rete amicale gioca
come un elemento di contesto complementare all’esperienza associativa, che può quindi averne ‘cannibalizzato’ gli eventuali
effetti sulla politica42.
Infine, l’adesione religiosa, sia a livello di credenze che di pratiche, rimane sullo sfondo, se non per un debole effetto, peraltro
negativo, sull’interesse verso la politica, e per un effetto positivo
sul comportamento di voto. In altre parole, l’unica differenza sostanziale tra i soggetti non religiosi (categoria di riferimento) e i
due gruppi dei credenti non praticanti e dei credenti praticanti è la
maggiore propensione di questi ultimi a recarsi alle urne. Ciò può
essere interpretato come il segnale di un effetto della pratica religiosa limitato ad una forma di ‘partecipazione politica minima’,
ovvero al rispetto dei doveri di cittadino (l’andare a votare), cui
però non corrisponde un reale interesse per la politica. Una lettura
complementare rimanda invece all’idea di una stretta relazione tra
orientamento religioso e partecipazione associativa: in qualche
modo, la forza mobilitante della religione si limiterebbe
all’ingrossare le fila del volontariato e dell’associazionismo, in
una stagione in cui, in Italia, queste forme di attivismo sociale
sembrano aver interrotto la loro funzione di reclutamento
nell’area della militanza politica, o comunque di formazione ad
42
Non è da escludere che l’assenza di effetti della rete amicale dipenda dalle modalità di raccolta e di costruzione degli indicatori, che probabilmente
non rendono conto della complessità di questa dimensione.
73
una cultura politica (Garelli 1996).
Al termine di questo lavoro, siamo consapevoli di aver disegnato
una mappa ancora approssimativa delle molte vie attraverso cui le
diverse risorse che compongono il capitale sociale conducono alla
partecipazione politica. Un lavoro più approfondito richiederebbe
di specificare modelli ben più complessi di quelli adottati, al fine
di esplorare la combinazione e l’eventuale sequenzialità degli effetti dei diversi tipi di risorsa. Un’ulteriore linea di ricerca dovrebbe, a nostro avviso, affinare anche gli strumenti di rilevazione
al fine di ricavare una rappresentazione più adeguata delle proprietà studiate: il questionario impiegato dall’équipe di cui chi
scrive fa parte è già un primo tentativo in questa direzione.
74
Bibliografia
ALBANO R. (2004), Il capitale sociale e la partecipazione politica
dei giovani, articolo on line presente sul sito www.istitutoiard.it
ALBANO R. (2002), L’associazionismo e la partecipazione, in Buzzi
C., Cavalli A. e de Lillo A. (a cura di), Giovani del nuovo millennio.
Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino,
Bologna
ALBANO R. (1997), L’associazionismo e la fiducia nelle istituzioni,
in Buzzi C., Cavalli A., De Lillo A. (a cura di), Giovani verso il
Duemila. Quarto rapporto IARD, Il Mulino, Bologna
ALBANO R., LOERA B. (2004), La struttura dei valori di cittadinanza. L’analisi fattoriale per lo studio delle configurazioni valoriali, in
‘Quaderni di Ricerca’, n. 6, Dipartimento di Scienze Sociali, Torino
ALBERONI F. ET AL. (1967), L’attivista di partito. Una indagine sui
militanti di base nel PCI e nella DC, Il Mulino, Bologna
ALLUM P. (1988), Cultura o opinioni? Su alcuni dubbi epistemologici, ne ‘Il Politico’, n.2, pp. 261-268
ALLUM P., DIAMANTI I. (1986), ‘50/’80. Vent’anni. Due generazioni
di giovani a confronto, Edizioni Lavoro, Roma
ALMAGISTI M. (2003), Procedure e democrazia. Il ruolo della cultura politica e del capitale sociale nell’analisi della qualità democratica, paper provvisorio presentato al Convegno Nazionale della SISP,
Trento, 14-16 settembre
75
ALMOND G., VERBA S. (1980), The Civic Culture Revisited, Little
Brown & Co, Boston
ALMOND G., VERBA S. (1963), The Civic Culture. Political Attitudes
and Democracy in Five Nations, Princeton University Press, Princeton
ARMILLEI G., TIRABASSI A. (1992), Apatia, partecipazione politica,
impegno pubblico: i giovani in Italia negli anni ’80, in ‘Sociologia e
ricerca sociale’, n. 37
AYALA L.J. (2000), Trained for Democracy: the Differing Effects of
Voluntary and Involuntary Organizations on Political Participation,
in ‘Political Research Quarterly’, n.1, pp. 99-115
BAGNASCO A. (1999), Tracce di comunità, Il Mulino, Bologna
BAGNASCO A. ET AL. (2001), Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso,
Il Mulino, Bologna
BARBAGLI M., MACCELLI A.(1985), La partecipazione politica a
Bologna, Il Mulino, Bologna
BARBAGLI M., PISATI M. (1995), Rapporto sulla situazione sociale a
Bologna, Il Mulino, Bologna
BARBIERI P. (1997), Il tesoro nascosto. La mappa del capitale sociale in un’area metropolitana, in ‘Rassegna Italiana di Sociologia’,
n.3, pp. 343-370
BARON S., FIELD J., SCHULLER T. (2000, a cura di), Social capital.
Critical Perspectives, Oxford University Press, Oxford
BECK U. (2000), Figli della libertà: contro il lamento sulla caduta
dei valori, in Beck U., I rischi della libertà, Il Mulino, Bologna
BENGSTON V.L., BIBLARZ T.J., ROBERTS R.E.L. (2002), How Families Still Matter. A Longitudinal Study of Youth in Two Generations,
Cambridge University Press, Cambridge
BETTIN LATTES G. (2001, a cura di), La politica acerba. Saggi sulla
cultura civica dei giovani, Rubbettino, Soveria Mannelli
BETTIN LATTES G. (1999, a cura di), Giovani e democrazia in Europa, Cedam, Padova
BIANCHI S.M., ROBINSON J. (1997), What Did You Do Today? Children’s Use of Time, Family Composition and the Acquisition of Social
Capital, in ‘Journal of Marriage and the Family’, n.2, pp.332-344
BIORCIO R. (2003), Sociologia politica. Partiti, movimenti sociali e
partecipazione, Il Mulino, Bologna
BORGNA G. (1979), I giovani, in AA.VV., Dal ’68 a oggi. Come
siamo e come eravamo, Laterza, Bari
76
BOURDIEU P. (1986), The Forms of Capital, in Richardson J.E. (a
cura di), Handbook of Theory of Research in the Sociology of Education, Greenword Press, London
BOWLER S., DONOVAN T., HANNEMAN R. (2003), Art for Democracy’s Sake? Group Membership and Political Engagement in
Europe, in ‘The Journal of Politics’, n.4, 1111-1129
BRECHON P. (2003), Integration into Catholicism and Protestantism
in Europe: the Impact on Moral and Political Values, in HALMAN L.,
RIIS O., Religion in a Secularising Society. The European’s Religion
at the End of the 20th Century, Brill, Leiden-Boston
BREHM J., RAHN W. (1997), Individual-Level Evidence for the
Causes and Consequences for Social Capital, in ‘American Journal
of Political Science’, n.3, pp. 999-1023
BURT R. (1992), Structural Holes: The Social Structure of Competition, Harvard University Press, Cambridge
BUZZI C., CAVALLI A. DE LILLO A. (2002), Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna
BUZZI C., CAVALLI A., DE LILLO A. (1997), Giovani verso il Duemila. Quarto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna
CAIANI M. (2003), Capitale sociale e partecipazione politica. Associazioni e attivisti a Firenze, in ‘Polis’, n.1, pp. 61-92
CALAVITA M. (2003), Within the Context of Many Contexts: Family,
News Media Engagement, and the Ecology of Individual Political
Development Among ‘Generation Xers’, in ‘The Communication
Review’, n. 6, pp.23-43
CAMPBELL A., CONVERSE P. (1960), The American Voter, Wiley,
New York
CAMPUS D. (2000), L’elettore pigro, Il Mulino, Bologna
CANIGLIA E. (2002), Identità, partecipazione e antagonismo nella
politica giovanile, Rubbettino, Soveria Mannelli
CAPPELLO F., DIAMANTI I. (1995), Appartenenza religiosa, secolarizzazione e preferenze politiche, in PARISI A., SCHADEE H., Sulle
soglie del cambiamento, Il Mulino, Bologna
CARTOCCI R. (2002), Diventare grandi in tempi di cinismo. Identità
nazionale, memoria collettiva e fiducia nelle istituzioni tra i giovani
italiani, Il Mulino, Bologna
77
CARTOCCI R., CORBETTA P. (2001), Ventenni contro?, in ‘Il Mulino’, n.397, pp. 861-869
CAVALLI A., DE LILLO A. (1993), Giovani anni ’90. Terzo rapporto
Iard sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna
CESAREO V. ET AL. (1995), La religiosità in Italia, Mondadori, Milano
COLEMAN J.S. (1990), Foundations of Social Theory, Harvard University Press, Cambridge - London
COLEMAN J.S. (1988), Social Capital and the Creation of Human
Capital, in ‘American Journal of Sociology’, n.94, pp.95-120
COLOZZI I. (1997), I valori, la collocazione politica e gli orientamenti morali dei giovani tra incoerenze e indebolimento dei nessi, in
DONATI P., COLOZZI I., Giovani e generazioni. Quando si cresce in
una società eticamente neutra, Il Mulino, Bologna
COTTA M., DELLA PORTA D., MORLINO L. (2001), Scienza politica,
Il Mulino, Bologna
CRYSTAL D.S., DEBELL M. (2002), Sources of Civic Orientation
among Youth: Trust, Religious Valuation and Attributions of Responsibility, in ‘Political Psychology’, n.1, pp.113-132
CUTURI V. (2001), Astensionismo e generazioni, in BETTIN LATTES
G. (a cura di), La politica acerba. Saggi sull’identità civica dei giovani, Rubbettino, Soveria Mannelli, pp.175-202
DAHL R. (1980), Poliarchia. Partecipazione e opposizione, Franco
Angeli, Milano
DE GRAF N.D., DE GRAF P.M., KRAAYKAMP G. (2000), Parental
Cultural Capital and Educational Attainment in the Netherlands: a
Refinement of the Cultural Capital Perspective, in ‘Sociology of
Education’, n.2, p.92-111
DEI M. (2002), Sulle tracce della società civile. Identità territoriale,
etica civica e comportamento associativo degli studenti della secondaria superiore, Franco Angeli, Milano
DELLA PORTA D. (1996), Movimenti collettivi e sistema politico in
Italia, Laterza, Bari
DIAMANTI I. (1999, a cura di), La generazione invisibile. Inchiesta
sui giovani del nostro tempo, Il Sole 24 ore, Milano
DIANI M. (2000), Capitale sociale, partecipazione associativa e fiducia istituzionale, in ‘Rivista Italiana di Scienza Politica’, n.3, pp.
475-511
78
DIOTALLEVI L. (1996), Praticanti e militanti: elementi di differenziazione nelle dimensioni religiosa, morale e politica, in ‘Studi di Sociologia’, n.4, pp.427-456
DONATI P. (1997, a cura di), La società civile in Italia, Mondadori,
Milano
EGERTON M. (2002), Higher Education and Civic Engagement, in
‘British Journal of Sociology’, n.4, p.603-620
FUKUYAMA F. (1995), Trust: The Social Virtues and the Creation of
Prosperity, Free Press, New York (trad. it. 1995 Fiducia, Rizzoli,
Milano)
GALLI G. (1968, a cura di), Il comportamento elettorale in Italia.
Una indagine ecologica sulle elezioni in Italia tra il 1943 e il 1966,
Il Mulino, Bologna
GARELLI F. (1996), Forza della religione, debolezza della fede, Il
Mulino, Bologna
GARELLI F., OFFI M. (1997), Giovani. Una vecchia storia?, SEI, Torino
GARELLI F., GUIZZARDI G., PACE E. (2003, a cura di), Un singolare
pluralismo. Indagine sul pluralismo morale e religioso degli italiani,
Il Mulino, Bologna
GRANOVETTER M.S. (1985), Economic Action and Social Structure:
the Problem of Embeddedness, in ‘American Journal of Sociology’,
n.3, pp.481-510
GRANOVETTER M.S. (1973), The strength of Weak Ties, in ‘American Journal of Sociology’, vol.78, p.1360-1380
GREELEY A. (1997), Coleman Revisited: Religious Structures as a
Source of Social Capital, in ‘American Behavioural Scientist’,
vol.40, pp.587-594
GUBERT R. (2000, a cura di), La via italiana alla postmodernità.
Verso una nuova architettura dei valori, Franco Angeli, Milano
GUIDOROSSI G. (1984), Gli italiani e la politica, Franco Angeli, Milano
HALMAN L., DE MOOR R. (1994), Religion, Churches and Moral
Values, in ESTER P., HALMAN L., DE MOOR R. (a cura di), The Individualizing Society. Value Change in Europe and North America,
Tilburg University Press, Tilburg
HARVEY T.J. (1972), Computer Simulation of Peer Group Influences
on Adolescents Political Behaviour: An Exploratory Study, in ‘Midwest Journal of Political Science’, n.4, pp.570-602
79
HOOGHE M. (2003), Why Should We Be Bowling Alone? Results from
a Belgium Survey on Civic Participation, in ‘Voluntas. International
Journal of Voluntary and Nonprofit Organizations’, n.1, pp.14-59
HYMAN H. (1969), Political Socialization, The Free Press, Glencoe
INGLEHART R. (1990), Culture Shift in Advanced Industrial Society,
Princeton University Press, Princeton (trad. it. 1997, Valori e cultura
politica nella società industriale avanzata, UTET, Torino)
INGLEHART R. (1977), The Silent Revolution: Changing Values and
Political Styles Among Western Publics, Princeton University Press,
Princeton, (trad. it. La rivoluzione silenziosa, Rizzoli, Milano, 1983)
INGLEHART R. (1970), Cognitive Mobilization and European Identity, in ‘Comparative Politics’, n. 1, pp. 45-70
JELEN .G., FETZER J.S. (1998), Context and Conscience: the Catholic
Church as an Agent of Political Socialization in Western Europe, in
‘Journal for the Scientific Study of Religion’, n.1, pp.28-39
JENNINGS M.K., NIEMI R.G. (1975), Continuity and Change in Political Orientations: A Longitudinal Study of Two Generations, in
‘The American Political Science Review’, vol.62, pp.1316-1335
JOHNSON S.M., LOLLAR X.L. (2002), Diversity Policy in Higher
Education: the Impact of College Students’ Exposure to Diversity on
Cultural Awareness and Political Participation, in ‘Journal of Education Policy’, n.3, pp.305-320
KOHN M.L., SCHOOLER C. (1969), Class, Occupation and Orientation, in ‘American Sociological Review’, n.5, pp.659-678
KOHN M.L., SLOMCZYSKI K.M., SCHOENBACK C. (1986), Social
Stratification and the Transmission of Values in the Family: A CrossNational Assessment, in ‘Sociological Forum’, n.1, pp.73-102
LA DUE LAKE R., HUCKFELDT R. (1998), Social Capital, Social
Networks and Political Participation, in ‘Political Psychology’, n.3,
pp.567-584
LA PALOMBARA J. (1965), Italy: Fragmentation, Isolation, Alienation, in PYE L. E VERBA S., Political Culture and Political Development, Princeton University Press, Princeton
LEVI M. (1996), Social and Unsocial Capital: A Review Essay of
Robert Putnam’s Making Democracy Work, in ‘Politics and Society’,
vol.24, pp.45-55
LI Y., SAVAGE M., PICKLES A. (2003), Social Change, Friendship
and Civic Participation, in ‘Sociological Research Online’, sito web
80
http://www.socresonline.org.uk/8/4/li.html
LIJPHART A.(1989), The Structure of Inference, in ALMOND G.,
VERBA S. (1989), The Civic Culture Revisited, Sage, London
LOURY G. (1977), A Dynamic Theory of Racial Income Differences,
in WALLACE P.A., LE MUND A. (a cura di), Women, Minorities, and
Employment Discrimination, Lexington Books, Lexington
MANNHEIMER R., SANI G. (1987), Il mercato elettorale. Identikit
dell’elettore italiano, Il Mulino, Bologna
MARTINOTTI G. (1966a), Le caratteristiche dell’apatia politica, in
‘Quaderni di Sociologia’, n.3-4, pp.231-287
MARTINOTTI G. (1966b), La partecipazione politica dei giovani, in
‘Quaderni di Sociologia’, n.3-4, pp.334-371
MAZZOLENI O. (2003), Giovani e politica. Limiti e prospettive di un
campo di studi, in MAZZOLENI O. (a cura di), La politica allo specchio. Istituzioni, partecipazione e formazione alla cittadinanza, Atti
del convegno internazionale ‘Istituzioni, partecipazione, cittadinanza’ (Bellinzona 18-19 maggio 2001), Giampiero Casagrande Editore,
Lugano
MILBRATH ET AL. (1965), Political Participation, Rand Mc Nally,
Chicago
MILLEFIORINI A. (2002), La partecipazione politica in Italia. Impegno politico e azione collettiva negli anni ’80 e ’90, Carocci, Roma
MORLINO L. (1993), Dissenso, in ‘Enciclopedia delle Scienze Sociali’, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. III, pp.189-194, Roma
MUTTI A. (2003), La teoria della fiducia nelle ricerche sul capitale
sociale, in ‘Rassegna Italiana di Sociologia’, n.4, pp.515-536
MUTTI A. (1998), Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, Il Mulino, Bologna
NEWTON K. (1999a), Social and Political Trust in Established Democracies, in NORRIS P., Critical Citizens. Global support for Democratic Government, Oxford University Press, Oxford
NEWTON K. (1999b), Social Capital and Democracy in Modern
Europe, in VAN DETH J., MARAFFI M., NEWTON K., WHITELEY P.F.,
Social Capital and European Democracy, Routledge, London-New
York
NORRIS P. (1999), Critical Citizens. Global Support for Democratic
Government, Oxford University Press, Oxford
81
PARK J.Z., SMITH C. (2000), ‘To Whom Much Has Been Given’. Religious Capital and Community Voluntarism among Churchgoing
Protestants, in ‘Journal for the Scientific Study of Religion’, n.3,
pp.272-286
PASQUINO G. (1997), Corso di scienza politica, Il Mulino, Bologna
PISELLI F. (2001), Capitale sociale, un concetto situazionale e dinamico, in BAGNASCO A. ET AL. (2001), Il capitale sociale. Istruzioni
per l’uso, Il Mulino, Bologna
PIZZORNO A. (2001), Perché si paga il benzinaio. Per una teoria del
capitale sociale, in BAGNASCO A. ET AL., Il capitale sociale. Istruzioni per l’uso, Il Mulino, Bologna
PIZZORNO A. (1966), Introduzione allo studio della partecipazione
politica, in ‘Quaderni di Sociologia’, n. 3-4, pp. 288-309
PORTES A. (1998), Social Capital: It’s Origins and Applications in
Modern Sociology , in ‘Annual Review of Sociology’, vol.24, pp. 1-24
PROCTER M., HORNSBY-SMITH M.P. (2003), Individual Context Religiosity, Religious and Values in Europe and North America, in
HALMAN L., RIIS O. , Religion in a Secularising Society. The European’s Religion at the End of the 20th Century, Brill, Leiden-Boston
PUTNAM R. D. (2000), Bowling Alone. The Collapse and Revival of
American Community, Simon & Schuster, New York (trad. it. 2004
Capitale sociale e partecipazione, Il Mulino, Bologna)
PUTNAM R. D. (1995a), Bowling Alone: America's Declining Social
Capital, in ‘Journal of Democracy’, n. 6, pp. 65-78
PUTNAM R. D. (1995b), Tuning in, Tuning out: The Strange Disappearance of Social Capital in America, in ‘Political Science and
Politics’, n. 28, pp.664-683
PUTNAM R. D. (1993), con LEONARDI R., NANETTI R. Y. (1993),
Making Democracy Work: Civic Traditions in Modern Italy, Princeton University Press, Princeton (trad. it. 1993 La tradizione civica
nelle regioni italiane, Mondadori, Milano)
PYE L. W., VERBA S. (1965), Political Culture and Political Development, Princeton University Press, Princeton
RANIOLO F. (2002), La partecipazione politica, Il Mulino, Bologna
RICOLFI L. (2002a), La frattura etica. La ragionevole sconfitta della
sinistra, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli
82
RICOLFI L. (2002b), L’eclissi della politica, in BUZZI C., CAVALLI A.
DE LILLO A., Giovani del nuovo secolo. Quinto rapporto Iard sulla
condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna
RICOLFI L. (1997), La politica immaginaria, in BUZZI C., CAVALLI
A., DE LILLO A., Giovani verso il Duemila. Quarto rapporto Iard
sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna
RICOLFI L., SCIOLLA L. (1980), Senza padri né maestri. Inchiesta
sugli orientamenti politici e culturali degli studenti, De Donato, Bari
ROVATI G. (2000), L’incerta scelta. Autocollocazione politica e intenzioni di voto, in GUBERT R. (a cura di), La via italiana alla postmodernità. Verso una nuova architettura dei valori, Franco Angeli,
Milano
SANI G. (1996), Partecipazione politica, in ‘Enciclopedia delle
Scienze Sociali’, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. VI, pp.502508, Roma
SCHEUFELE D.A., NISBET M.C., BROSSARD D. (2003), Pathways to
Political Participation? Religion, Communication Context and Mass
Media, in ‘International Journal of Public Opinion Research’, n.3,
pp.300-324
SCIOLLA L. (2004), I due volti della morale civile: rispetto delle regole e dei diritti in Italia, Il Mulino, Bologna (in corso di stampa)
SCIOLLA L. (2003a), Quale capitale sociale? Partecipazione associativa, fiducia e spirito civico, in ‘Rassegna Italiana di Sociologia’,
n. 2, pp. 269-293
SCIOLLA L. (2003b), Cultura civica e “carattere nazionale”. Il caso
italiano in una prospettiva comparata, in Nevola G. (a cura di), Una
patria per gli italiani?, Roma, Carocci
SCIOLLA L. (1997), Italiani. Stereotipi di casa nostra, Il Mulino, Bologna
SCIOLLA L. ET AL. (2000) Valori civili e società regionali in Italia.
Rapporto di ricerca, Istituto Piemontese Antonio Gramsci, Torino
SCIOLLA L., NEGRI N. (1996), L’isolamento dello spirito civico, in
NEGRI N., SCIOLLA L. (a cura di), Il paese dei paradossi. Le basi sociali della politica in Italia, La Nuova Italia Scientifica, Roma
SCIOLLA L., RICOLFI L. (1989), Vent’anni dopo. Saggio su una generazione senza ricordi, Il Mulino, Bologna
SEGATTI P. (1990), La partecipazione associativa, in CAVALLI A.
(a cura di), I giovani del mezzogiorno, Il Mulino, Bologna
83
SMITH C. (2003a), Religious Participation and Network Closure
Among American Adolescents, in ‘Journal for the Scientific Study of
Religion’, n.2, pp.259-267
SMITH C. (2003b), Theorizing Religious Effects among American
Adolescents, in ‘Journal for the Scientific Study of Religion’, n.1,
pp.17-30
SMITH E.S.(1999), The Effects of Investments in the Social Capital of
Youth on Political and Civic Behaviour in Young Adulthood: a Longitudinal Analyis, in ‘Political Psychology’, n.3, pp.553-580
STOLLE D., ROCHON T.R.(1998), Are All Associations Alike? Member Diversity, Associational Type, and the Creation of Social Capital, in ‘American Behavioral Scientist’, n.1, pp.47-65
TARROW S. (1990), Democrazia e disordine. Movimenti di protesta e
politica in Italia. 1965-1975, Laterza, Roma
TEDIN K.L. (1974), The Influence of Parents on the Political Attitudes of Adolescents, in ‘The American Political Science Review’,
n.68, 1579-1592
TEORELL J. (2003), Linking Social Capital to Political Participation:
Voluntary Associations and Networks of Recruitment in Sweeden, in
‘Scandinavian Political Studies’, n.1, pp.49-66
TOCQUEVILLE A. (1992), La democrazia in America, Rizzoli, Milano
TRANIELLO F. (1979), Giovani e politica, in AA.VV., Il mondo giovanile, Stampatori, Torino
TRIGILIA C. (1995, a cura di), Cultura e sviluppo. L’associazionismo
nel mezzogiorno, Donzelli, Roma
USLANER E.M. (2001), Volunteering and Social Capital. How Trust
and Religion Shape Civic Participation in the United Stated, in
DEKKER P., USLANER E.M., Social Capital and Participation in Everyday Life, Routledge, London
USLANER E.M. (1999), Morality Plays: Social Capital and Moral
Behaviour, in VAN DETH J.W., MARAFFI M., NEWTON K.,
WHITELEY P.F., Social Capital and European Democracy, Routledge, London-New York
VAN DETH J.W. (1997, a cura di), Private Groups and Public Life.
Social Participation, Voluntary Associations and Political Involvement in Representative Democracies, Routledge, London
VAN DETH J.W., MARAFFI M., NEWTON K., WHITELEY P.F. (1999, a
cura di), Social Capital and European Democracy, Routledge, Lon84
don-New York
VERBA S., NIE N. (1972), Participation in America. Political Democracy and Social Equality, Harper and Row, New York
VERBA S., SCHLOZMAN K., BRADY H. (1995), Voice and Equality.
Civic Volunteerism in American Politics, Harvard University Press,
Cambridge
WALZER M. (1974), Civilty and Civic Virtue in Contemporary America, in ‘Social Research’, pp. 593-611 (trad. it. 1992 Che cosa significa essere americani, Venezia, Marsilio)
WOLLEBAEK D., SELLE P. (2003), Participation and Social Capital
Formation. Norway in Comparative Perspective, in ‘Scandinavian
Political Studies’, n.1, pp.67-91
WOLLEBAEK D., SELLE P. (2002), Does Participation in Voluntary
Associations Contribute to Social Capital? The Impact of Intensity,
Scope and Type, in ‘Nonprofit and Voluntary Sector Quarterly’, n.1,
pp.32-61
WOOD R.L. (2002), Faith in Action. Religion, Race and Democratic
Organizing in America, Chicago University Press, Chicago
WOOD R.L. (1997), Social Capital and Political Culture: God Meets
Politics in the Inner City, in ‘American Behavioural Scientist’, n.5,
pp.595-605
85
Finito di stampare nel settembre 2004
dalla Viva s.r.l - via Forlì, 56 - Torino
Scarica

Apri in formato PDF - Scienze Sociali