Quaderni di Ricerca quaderni di ricerca Capitale sociale e partecipazione politica dei giovani Barbara Loera Raffaella Ferrero Camoletto Copertina e grafica: boletsfernando, Torino STAMPATO CON IL CONTRIBUTO DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO - DIPARTIMENTO DI SCIENZE SOCIALI - FONDI M.I.U.R. PROGETTO DI RICERCA DI RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE, ANNO 2001, DAL TITOLO: ‘IL CAMBIAMENTO DEI VALORI, DEI PROCESSI DI SOCIALIZZAZIONE E DELL'IDENTITÀ TRA I GIOVANI ITALIANI’ (COORD. PROF. LOREDANA SCIOLLA) Quaderni di Ricerca del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino, n. 8, settembre 2004 Capitale sociale e partecipazione politica dei giovani di Barbara Loera e Raffaella Ferrero Camoletto Per conto della redazione dei Quaderni di Ricerca del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino, questo saggio è stato valutato da Silvano Belligni, Sonia Bertolini, Luigi Berzano. Edizioni Libreria Stampatori Via S. Ottavio, 15 10124 – Torino tel 011/836778 fax 011/836232 email: [email protected] ISBN 88-88057-54-4 2 INDICE Introduzione pag. 5 1. Capitale sociale e partecipazione politica: un circuito virtuoso? pag. 7 1.1 Il concetto di capitale sociale: definizione e articolazione 1.2 Le forme della partecipazione politica 1.3 Dal capitale sociale alla partecipazione politica: possibili percorsi pag. 7 pag. 13 pag. 17 2. Risorse e coinvolgimento nei giovani: un quadro descrittivo pag. 31 2.1 Come è cambiata negli ultimi anni la dotazione di capitale sociale 2.2 Come è cambiata negli ultimi anni la partecipazione politica giovanile 2.3 Un aggiornamento al 2003 pag. 32 pag. 36 pag. 40 3. A ciascuno il suo: quali risorse per quale partecipazione? pag. 49 pag. 49 pag. 56 Conclusioni: le molte vie del capitale sociale pag. 69 Bibliografia pag. 75 3.1 I legami tra le dimensioni del capitale sociale 3.2 Un modello di spiegazione della partecipazione politica 3 4 Introduzione Nord-ov Il concetto di capitale sociale ha ormai conquistato un posto di rilievo nel lessico delle scienze politico-sociali, suscitando plausi entusiastici da parte di alcuni e reazioni critiche e scettiche da parte di altri. L’introduzione di tale concetto si lega certamente ad una tradizione teorica e di ricerca precedente, alimentata da concetti affini quali quello di comunità, di reciprocità o di fiducia. Tuttavia, come ricorda Bagnasco, “i cambiamenti di vocabolario non sono mai soltanto una questione di stile o di abitudine: annunciano cambiamenti nel modo di definire e affrontare problemi analitici” (1999, p.65). Il concetto di capitale sociale offre uno strumento euristico: “focalizzarsi sul ruolo del capitale sociale vuol dire, dunque, riconoscere che la propensione e la capacità a cooperare espressa dai membri di una data società influenzano in modo significativo i caratteri dello sviluppo economico e politico perseguibili da quella stessa società” (Mutti 1998, p.12). Senza entrare quindi nel vivo del dibattito che ancora divide fautori e detrattori, nel paper ci proponiamo di affrontare uno di questi problemi analitici, ovvero di testare l’efficacia di questo concetto nel rendere conto di alcune forme della partecipazione politica giovanile. La riflessione sulla partecipazione politica giovanile costituisce uno dei fuochi dell’analisi sociologica contemporanea, 5 Femmin in quanto la propensione e la competenza delle nuove generazioni nel partecipare ai processi decisionali che riguardano la gestione della cosa pubblica è ritenuto un indicatore della vitalità di una società e della capacità di quest’ultima di riprodursi nel tempo. Dopo aver illustrato l’accezione di capitale sociale per cui abbiamo optato, posizionandoci rispetto al mare magnum delle definizioni e delle applicazioni via via adottate, e dopo aver definito le forme della partecipazione politica, illustreremo i principali risultati a cui la letteratura sociologica è pervenuta nell’analizzare il rapporto tra i due fenomeni. Successivamente descriveremo un quadro evolutivo della dotazione che i giovani italiani hanno di questa risorsa – al tempo stesso morale, fiduciaria e relazionale – e dei livelli e delle forme della partecipazione politica giovanile a partire da quanto emerge delle indagini Iard. Infine, misureremo l’impatto di tali diverse componenti su alcune forme di partecipazione politica giovanile, esaminando i risultati di una ricerca, condotta nel 2003 all’interno di un progetto interuniversitario che ha coinvolto l’ateneo di Torino e quello di Bologna1. 1 Il progetto ‘Il cambiamento dei valori, dei meccanismi di socializzazione e dell’identità dei giovani italiani’, coordinato da Loredana Sciolla, ha ricevuto un finanziamento dal MIUR per il trennio 2001-2003. Al progetto hanno partecipato tre unità locali, due dell’ateneo torinese, dirette da Loredana Sciolla e da Franco Garelli, e una dell’Università di Bologna, diretta da Augusto Palmonari. Chi scrive fa parte delle unità torinesi. Il testo è frutto di un lavoro comune di riflessione e di analisi. La stesura delle singole parti è così suddivisa: l’introduzione, il paragrafo 1.3 e le conclusioni sono stati scritti insieme; Raffaella ha scritto i paragrafi 1.1, 1.2, 2.2, mentre Barbara ha scritto i paragrafi 2.3, 3.1 e 3.2. Infine, come indicato nel testo, il paragrafo 2.1 è tratto da un precedente lavoro di Roberto Albano. 6 1. Capitale sociale e partecipazione politica: un circuito virtuoso? 1.1 Il concetto di capitale sociale: definizione e articolazione Il concetto di capitale sociale è stato spesso associato ad immagini – ‘collante sociale’ (Van Deth et al. 1999, p.XV), ‘lubrificante della cooperazione’ (Putnam 1993, p.201) – che ne hanno enfatizzato l’accezione positiva. In particolare, il termine ‘capitale’ ne sottolinea la funzione produttiva, in quanto fonte di valori materiali e simbolici che ampliano la capacità di azione dell’attore individuale così come del sistema sociale, favorendo l’integrazione e la cooperazione; l’aggettivo ‘sociale’ rimanda invece al fatto che il capitale sociale produce effetti per tutti gli individui inseriti in una rete di relazioni, indipendentemente dal contributo che essi danno alla costruzione e al mantenimento del capitale stesso. Il concetto di capitale sociale viene introdotto nel dibattito scientifico a partire dagli anni ’70 (Granovetter 1973; Loury 1977), ma è soltanto negli anni ’80-’90 che esso si afferma pienamente da un lato per le sue applicazioni nel campo della sociologia economica 7 (Granovetter 1985), dall’altro grazie al contributo di due autori, Robert Putnam e James Coleman, apripista di due filoni di ricerca che, oltre a generare un ampio dibattito nell’opinione pubblica, hanno costituito un modello, teorico ed empirico, con cui i ricercatori successivi si sono dovuti confrontare. Nell’ormai classica ricerca sulla tradizione civica delle diverse regioni italiane, Putnam definisce il capitale sociale come “la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo” (1993, p.196). Esso quindi deve essere pensato come un bene pubblico, costituito da risorse indivisibili e inalienabili (appunto le norme e le obbligazioni, il livello di fiducia interpersonale e istituzionale, le reti associative) “la cui fornitura aumenta invece di diminuire con l’uso e che non si esauriscono se non sono usate” (ibid., p.199, corsivo nel testo). Ma per Putnam il capitale sociale è anche un bene privato, nel senso che dei suoi effetti può godere sia colui che ha investito in esso, sia altri soggetti inseriti nella rete: in questo senso egli parla di ‘esternalità’ del capitale sociale, ad indicare come i suoi effetti si estendano al di là degli interessi diretti dei membri della comunità. Questa prima accezione di capitale sociale, sviluppata poi anche da altri autori, come Fukuyama, focalizza maggiormente l’attenzione sulle caratteristiche di un dato territorio o di una data società, considerando il capitale sociale come un prodotto della storia – insieme culturale, economica, sociale, ecc. –, una sorta di “abitudine etica ereditata” (Fukuyama 1995, cit. in Bagnasco 1999) che favorisce il rendimento politico o lo sviluppo economico di una data area2. Nel suo lavoro seminale su capitale sociale e capitale umano e nel trattato successivo sui fondamenti della teoria sociale, Coleman (1988; 1990) definisce il capitale sociale come quell’insieme di qualità delle reti sociali che ne fanno un elemento facilitatore 2 Questa natura ‘ereditata’ del capitale sociale è uno degli aspetti criticati dell’accezione di Putnam e di Fukuyama, in quanto sottovaluta il ruolo attivo dei soggetti nel contribuire alla costruzione e al mantenimento del capitale sociale, nonché nell’appropriarsene e nel fruirne in modo proficuo. 8 dell’azione degli individui: in questo senso, il capitale sociale non può essere inteso propriamente come un bene privato di cui gli attori possono appropriarsi, ma deve essere considerato “come un capitale disponibile per l’individuo” (Coleman 1990, p.302, corsivo nostro), di cui cioè gli individui possono avvantaggiarsi per perseguire scopi personali. Infatti, come già aveva sottolineato Bourdieu, a differenza di altre forme di capitale (economico, culturale, ecc.), la peculiarità del concetto di capitale sociale è il suo riferirsi a “risorse socio-strutturali” (1986, p.302) che ineriscono non tanto ai singoli attori sociali individuali, quanto piuttosto al sistema di relazioni al cui interno tali attori sono inseriti. In altre parole, gli individui possono fruire di questo capitale, ma non lo posseggono così come invece fanno con risorse materiali o monetarie (il capitale fisico) o competenze e abilità (il capitale umano). Come afferma esplicitamente Coleman, “come attributo della struttura sociale in cui una persona è inserita, il capitale sociale non è proprietà privata di qualcuna delle persone che ne traggono vantaggi” (Coleman 1990, trad. in Piselli 2001, p.50). Abbiamo visto come del capitale sociale si possano sottolineare aspetti differenti: la natura strutturale così come quella simbolica, la valenza di bene pubblico così come quella di bene privato. In particolare, questo secondo aspetto – la connotazione esclusivamente sociale o anche individuale del capitale sociale – è uno degli elementi più controversi di tale concetto, che conduce a scelte metodologiche differenti nel misurarlo empiricamente: da un lato abbiamo ricerche – come quelle del primo Putnam e di Fukuyama – che si fondano su dati ecologici e che utilizzano come unità d’analisi contesti territoriali o sociali, dall’altro abbiamo invece ricerche – come quelle di Coleman o dell’ultimo Putnam – basate su dati survey che assumono come unità d’analisi gli individui. Cercando di tenere conto dei diversi – e non sempre convergenti – contributi teorici, possiamo tentare di tradurre il concetto di capitale sociale in uno strumento di analisi, distinguendo le dimensioni in cui esso si articola. Nel far ciò prenderemo come riferimento la riflessione di Sciolla, la quale ha affrontato in più occasioni la 9 scomposizione analitica del concetto di capitale sociale, proponendo uno schema teorico e metodologico in cui, oltre alle dimensioni relazionale e fiduciaria, si è cercato di esplicitarne l’endemica valenza morale (1996; 2003a; 2004)3. L’assunto di multidimensionalità presente nel lavoro di Sciolla costituisce un tentativo di supplire all’opacità di un ‘concetto valigia’, di cui spesso è enfatizzata la capacità di contenere aspetti diversi, se non in contrapposizione, anziché il tipo di contenuti. In tale prospettiva, le dimensioni in cui si articola il concetto, e il rapporto tra di esse, non vengono soltanto ricostruite a livello teorico ma sono oggetto di studio empirico. Una prima componente è rappresentata dalla dimensione morale, per cui il capitale sociale è un tessuto la cui trama è fatta di norme, valori, obbligazioni, aspettative e sanzioni: in altre parole, gli individui fanno delle cose per gli altri perché sentono di essere legati ad essi da un destino comune, da rapporti che richiedono attenzione e dedizione reciproca. Si tratta di quella civicness che può essere considerata la virtù che spinge i cittadini a rispettare le norme sociali e a perseguire il bene pubblico. Parlare di una componente morale del capitale sociale significa quindi considerare norme, valori, obbligazioni come risorse morali inerenti (embedded) il contesto sociale e disponibili ai soggetti che accedono a tale contesto: come ricorda un famoso esempio di Coleman (1990), le norme morali che regolano il commercio di diamanti rendono più facili le transazioni, ma non estendono la loro valenza al di fuori di tale circuito in quanto gli uomini d’affari implicati non possono portarsi via con loro quell’ethos per utilizzarlo in un altro mercato. 3 In realtà l’articolo del 1996 a cui si fa riferimento (Sciolla e Negri) è dedicato allo studio della cultura civica in Italia, e non direttamente al capitale sociale. Tuttavia, tale contributo ci pare pertinente e rilevante perché rappresenta l’inizio di un percorso teorico e metodologico poi proseguito negli studi sul capitale sociale, concetto peraltro in parte sovrapponibile a quello di cultura civica. 10 Una seconda componente è quella fiduciaria4, per cui in un contesto caratterizzato da alto capitale sociale gli individui credono che gli altri (attori individuali o collettivi quali le istituzioni) siano degni di fiducia, ovvero si aspettano che essi svolgeranno correttamente i loro ruoli o funzioni per il bene (o almeno per evitare il danno a carico) della comunità nel suo complesso. Rientra in questa componente l’idea di reciprocità, ovvero la convinzione che nella società e tra i cittadini il bene circoli, vada e venga: in quest’ottica, gli individui non fanno qualcosa per gli altri soltanto perché si aspettano di essere immediatamente ricompensati da coloro che hanno beneficiato (reciprocità specifica), ma perché credono che in un futuro riceveranno a loro volta da qualcun altro e secondo altre modalità (reciprocità generalizzata). La fiducia può poi essere rivolta ad attori individuali più o meno vicini al soggetto (fiducia interpersonale focalizzata, particolaristica o a corto raggio), agli altri in generale o a soggetti estranei alle nostre reti sociali (fiducia interpersonale generalizzata, a lungo raggio o universalistica), alle istituzioni o al sistema sociale nel suo complesso (fiducia istituzionale o sistemica) (Mutti 2003). Infine, una terza componente è quella relazionale, per cui il capitale sociale scorre attraverso le reti di interazione tra gli individui: tali reti possono essere formali, come nel caso della partecipazione ad associazioni e gruppi strutturati, o informali, come nel caso delle relazioni amicali o di vicinato (Newton 1999a; 1999b), e l’entità del capitale è data sia dal volume di tali reti che dalla loro struttura e composizione (Bourdieu 1986; Coleman 1988). Le relazioni che rientrano nel capitale sociale devono avere una certa stabilità e implicare una “cerchia di riconoscimento” (Pizzorno 2001, p.23). In particolare l’effetto del capitale sociale è positivo, secondo Coleman (1990), quando tali relazioni sono multiple e 4 Alcuni autori, come Newton, non distinguono la dimensione morale da quella fiduciaria, considerando fiducia e reciprocità come norme e valori alla stessa stregua dei valori tipici della civicness. In questa sede, preferiamo seguire l’impostazione di Sciolla perché ci sembra permetta di articolare meglio le relazioni tra le diverse componenti del capitale sociale. Cfr. Sciolla (2003a) e Newton (1999b). 11 generano chiusura (closure) del network: è il caso, ad esempio, dei membri di una comunità religiosa che possono essere al tempo stesso correligionari, vicini di casa, genitori di bambini che sono compagni della scuola confessionale, ecc. Inoltre, reti non troppo dense e coese, dotate cioè di “buchi strutturali” (structural holes), lasciano agli individui spazi di manovra che ne favoriscono l’azione e permettono l’accesso a nuove fonti di informazione (Burt 1992). Ancora, come evidenzia Putnam (2000), gruppi o reti generano effetti positivi quando creano un ‘effetto-ponte’ (bridging) che collega individui con caratteristiche socioculturali molto diverse tra loro (come, ad esempio, nelle associazioni per i diritti civili) piuttosto che generare forme di solidarietà ristretta (bonding) tra simili (come nel caso dei gruppi etnici)5. Quest’ultima distinzione è considerata da Putnam la più importante tra le forme di classificazione del capitale sociale: infatti, essa mostra in modo evidente come il capitale sociale non abbia necessariamente effetti positivi o ‘sociali’, ma come possa al contrario alimentare settarismi ed etnocentrismi che rinforzano identità omogenee e solidarietà esclusive. Si può quindi parlare di “capitale non-sociale” (Levi 1996) o di un “lato oscuro del capitale sociale” (Putnam 2000) per indicare gli effetti perversi che ne possono scaturire. Tuttavia, Putnam stesso ricorda che la distinzione tra bonding/bridging non va considerata come un’alternativa: vi sono gruppi che hanno aspetti di solidarietà ristretta e altri di solidarietà trasversale, come nel caso di una chiesa nera che lega fra loro soggetti dello stesso gruppo etnico ma che appartengono a classi sociali differenti. Non si tratta quindi di una distinzione ‘o... o...’ ma piuttosto ‘maggiore... minore...’, in cui le due dimensioni sono compresenti in misura differente. Se del capitale sociale si riconosce la struttura composita, per la partecipazione politica si può parlare di una natura multiforme: 5 A questo proposito, Pizzorno (2001) distingue tra capitale sociale di solidarietà, basato su relazioni sociali che generano legami forti all’interno di un gruppo coeso, e capitale sociale di reciprocità, in cui i soggetti hanno legami al di fuori del gruppo di appartenenza. 12 esaminiamo dunque le modalità con cui essa si manifesta, rispetto alle quali l’impatto del capitale sociale, come vedremo in ultimo, può essere differente. 1.2 Le forme della partecipazione politica L’analisi degli effetti politici del capitale sociale in termini di partecipazione individuale va collocata all’interno di uno scenario in trasformazione, a livello globale così come a livello nazionale: la stagione politica che le società occidentali avanzate stanno attraversando ha fatto registrare una caduta della fiducia nei confronti delle istituzioni e della classe politica, una riduzione del numero dei votanti e una crescita del disinteresse per la politica, specialmente nelle nuove generazioni. Occorre dunque definire cosa si intende per partecipazione politica, facendo riferimento ad aspetti strutturali (le forme e le modalità operative) e storici (lo sviluppo e il mutamento di tali forme e modalità). Infatti, il repertorio delle forme di partecipazione varia sia da contesto a contesto che da epoca a epoca: nuove modalità di coinvolgimento nella sfera pubblica possono emergere, così come forme già esistenti possono essere investite di significati differenti6. Seguendo una definizione condivisa, si può parlare di partecipazione politica “quando: 1) nell’ambito di un dato sistema politico od organizzazione (di cui si è parte o si aspira a far parte), 2) attraverso un insieme di atteggiamenti e comportamenti concreti si prende parte, 3) cioè si cerca di influenzare (in maniera più o meno diretta e più o meno legale) le decisioni dei detentori del potere politico, nonché la loro stessa selezione, 4) nella prospettiva di conservare o modificare la struttura, e quindi i valori, del sistema 6 Si pensi, ad esempio, al mutamento del significato del voto: se nelle generazioni adulte e anziane era considerato un dovere civico, per i giovani sembra essere sempre più una scelta e un diritto, come testimonia la minore fedeltà partitica, la legittimazione dell’astensionismo e la partecipazione elettorale selettiva. Cfr. Cuturi (2001). 13 di interessi dominanti”(Raniolo 2002, pp.25-26). La partecipazione politica implica sia la componente dell’azione che quella della scelta: l’elemento chiave è la volontarietà, ovvero “la possibilità di scegliere da parte del cittadino tra opzioni che gli sono proposte piuttosto che imposte” (ibid.). In quest’ottica, il semplice assolvimento dei doveri di cittadino (pagare le tasse, svolgere il servizio militare, ecc.) non rappresenta propriamente una forma di partecipazione, in quanto serie di atti dovuti che manifestano tutt’al più un consenso nei confronti della collettività7. La letteratura sociologica e politologica ha per lungo tempo risentito dell’influenza americana: il modello statunitense, sviluppato a partire dagli anni ’50-’608, considerava la partecipazione politica come una variabile dipendente rispetto ad altre componenti della ‘cultura politica’, quali l’informazione, la socializzazione e la comunicazione politica, o variabili strutturali quali il reddito e il livello di istruzione. L’accezione di partecipazione politica impiegata in tale filone di studi era però alquanto parziale e riduttiva, essendo quasi esclusivamente centrata sui diversi aspetti del processo elettorale. In Italia negli anni ’60 alcuni studiosi9 si attivarono quindi per rivedere la definizione di partecipazione politica e la scelta degli indicatori operate dai ricercatori americani, al fine da un lato di ampliare le forme contemplate (non solo il comportamento elettorale), dall’altro di adattare tale definizione e scelta ad un contesto culturale, quale quello italiano, molto diverso da quello statunitense. 7 Raniolo qui critica la definizione di ‘partecipazione politica passiva’ di Milbrath. Cfr. Raniolo F. (2002). 8 Tra le opere che hanno inaugurato questo filone teorico e di ricerca empirica, si possono ricordare quelle di Campbell, Converse (1960), di Almond, Verba (1963) e di Milbrath et al. (1965). 9 A questo proposito, va ricordato il contributo del gruppo di ricerca coordinato da Pizzorno, composto da Martinotti, Paci e Sivini, confluito nel numero monografico di ‘Quaderni di Sociologia’, n.3-4, del 1966. In particolare, si vedano Pizzorno (1966) e Martinotti (1966a; 1966b). Un ulteriore contributo è pervenuto dalle ricerche condotte dall’Istituto Cattaneo di Bologna nella seconda metà degli anni ’60: si vedano in particolare Alberoni et al. (1967), e Galli (1968). 14 La concezione che oggi abbiamo di partecipazione politica è quindi piuttosto articolata. La pluralità di forme individuate può essere sintetizzata richiamando le etichette usate per designarle, che spesso sono costituite da coppie di termini opposti. Tra le dicotomie più utilizzate, possiamo distinguere partecipazione diretta e indiretta, latente e manifesta, convenzionale e non convenzionale, strumentale e simbolica. Ovviamente, si tratta di distinzioni che spesso si sovrappongono o si incrociano, in quanto con nessuna di esse si pretende di esaurire la complessità del fenomeno: l’utilità di queste dicotomie è invece quella di enfatizzare le differenze e quindi di permettere una maggiore chiarificazione concettuale. Vediamo più approfonditamente su quali aspetti ogni coppia di termini ponga l’accento. Per partecipazione indiretta si intendono tutti quegli atti volti a selezionare e/o influenzare i governanti, mentre alla partecipazione diretta corrisponde una forma di coinvolgimento attivo e senza intermediazioni nel processo decisionale, con l’esercizio di un potere di co-decisione. La partecipazione latente (o invisibile) comprende quell’insieme di orientamenti cognitivi, affetti e valutativi (interesse e fiducia verso la politica, informazione su temi politici) che non necessariamente conducono ad atti concreti, ma che esprimono un coinvolgimento emotivo e affettivo nei fatti politici, mentre la partecipazione manifesta (o visibile) si traduce in comportamenti esteriori (il voto, l’adesione ad una manifestazione, la firma di una petizione, ecc.)10. La dicotomia tra partecipazione convenzionale e non convenzionale (o istituzionalizzata e non-istituzionalizzata) sottolinea invece il fatto che si stia facendo riferimento a comportamenti osservabili finalizzati a influenzare la selezione del personale politico o le decisioni da questi assunte, o che invece si considerino pratiche politiche innovative e eterodosse rispetto alle forme più tradizio- 10 La coppia di termini visibile/invisibile è stata coniata da Barbagli, Maccelli (1985), mentre la coppia manifesta/latente è utilizzata da Pasquino (1997). 15 nali e istituzionalizzate11. Nelle forme convenzionali rientrano, oltre al voto (considerato la forma di partecipazione politica standard), attività quali l’impegnarsi in campagne elettorali, il contattare politici, il candidarsi per o il ricoprire una carica pubblica o di partito, ecc. Nelle forme non convenzionali possono invece essere comprese attività molto diverse, dal firmare una petizione al rifiutare di pagare delle tasse, dal boicottaggio al blocco del traffico o di un servizio pubblico, dall’occupazione di edifici al danneggiamento di beni, dall’invio di una lettera ad un quotidiano alla partecipazione ad una manifestazione non autorizzata. L’elemento distintivo viene ravvisato nella legalità o legittimità dei comportamenti politici adottati, che implica però, oltre alle azioni legali e illegali, anche la presenza di azioni alegali, innovative ma non esplicitamente disciplinate o vietate dalla legge, e pseudolegali, forme di protesta che però non violano le norme vigenti (Morlino 1996). Tuttavia, questa distinzione non appare totalmente risolutiva, in quanto soggetta all’evoluzione storica, sociale e culturale: secondo la tesi dei ‘cicli di mobilitazione’, alla fine di ogni periodo di mutamento forme di partecipazione politica innovative e non convenzionali possono essere istituzionalizzate o legittimate12. Quando si parla di partecipazione strumentale e simbolicoespressiva, si pone invece l’attenzione sul senso dell’azione politica e sulle sue finalità. La partecipazione strumentale riguarda il coinvolgimento dei cittadini nel processo di governo della collettività finalizzato alla protezione e al perseguimento di interessi individuali o alla realizzazione di determinati ideali. La partecipazione simbolica invece sottolinea come il prendere parte ai processi politici decisionali sia un fine in sé, indipendentemente dagli obiettivi altri che può permettere di raggiungere: attraverso la par11 Questa distinzione riflette il mutamento introdotto dalla stagione dei nuovi movimenti sociali, che induce i ricercatori ad una rilettura dell’azione partecipativa. Si veda la ricostruzione di Biorcio (2003) e di Millefiorini (2002). 12 Tarrow (1990) sostiene che vi sia un pendolarismo ciclico tra forme convenzionali e non convenzionali, che generano, alla fine di ogni ciclo, un arricchimento del repertorio di azioni politiche. 16 tecipazione politica si impara ad essere e sentirsi parte della collettività, e quindi si sviluppa una maggiore consapevolezza sia dei diritti, sia dei doveri connessi all’essere cittadini. Inoltre, la partecipazione può avere una funzione espressiva, di manifestazione della propria identità e appartenenza e di ricerca di riconoscimento. La valenza strumentale o simbolico-espressiva della partecipazione, a differenza di altre dicotomie, non rappresenta un’alternativa esclusiva, dal momento che ogni atto partecipativo può assumere entrambe le funzioni, in combinazioni in cui varia la proporzione tra i due aspetti. Nella costruzione del questionario con cui sono stati raccolti i dati qui analizzati, abbiamo assunto due delle distinzioni analitiche sopra elencate: quella tra partecipazione politica visibile e invisibile e quella tra partecipazione convenzionale e non convenzionale13. L’interrogativo che guida il nostro lavoro è quindi il seguente: quali effetti ha il capitale sociale, nelle sue diverse dimensioni, sulle forme di participazione politica considerate? Per rispondere a tale quesito, vediamo innanzitutto quale rapporto la letteratura sociologica abbia evidenziato tra le varie componenti del capitale sociale e la partecipazione politica. 1.3 Dal capitale sociale alla partecipazione politica: possibili percorsi Nelle applicazioni empiriche il concetto di capitale sociale è stato utilizzato come predittore di fenomeni molto differenti tra loro: dal rendimento scolastico all’inserimento lavorativo, dalla devianza giovanile (affiliazione a gang, gravidanze adolescenziali, ecc.) alla criminalità, dalla capacità imprenditoriale al successo economico. Portes (1998) ha riassunto tre principali funzioni at13 La scelta di concentrare l’attenzione su tali forme di partecipazione è motivata dal loro uso ormai consolidato in ricerche a livello internazionale, come nella WVS e nella EVS, e a livello nazionale, come nelle ricerche Itanes dell’Istituto Cattaneo. 17 tribuite al capitale sociale: controllo sociale; supporto familiare; benefici derivanti dall’inserimento in reti sociali extrafamiliari. Egli osserva come le prime due funzioni, legate alla posizione teorica di Coleman, non siano riconosciute unanimamente da tutti gli autori, mentre la terza funzione è quella che ha ottenuto il maggiore consenso nella letteratura sociologica. In particolare, tra gli effetti positivi dell’essere membri di una rete sociale si può annoverare anche la partecipazione politica come coinvolgimento più o meno attivo nella vita democratica di una comunità. Putnam ha mostrato come vi sia una correlazione tra cultura civica di un territorio e performance istituzionali: l’esito della sua ricerca è che “il costante accumulo di capitale sociale gioca un ruolo essenziale nello sviluppo dei circoli virtuosi dell’Italia civica”(1993, p.201). Questa idea dei ‘circoli virtuosi’ del capitale sociale può essere estesa anche agli attori individuali? In altre parole, una buona dotazione di capitale sociale, prima ancora di migliorare il rendimento degli attori istituzionali, può favorire la partecipazione dei cittadini alla vita politica del paese? Noi crediamo che la risposta sia affermativa, poiché nello stesso percorso interpretativo di Putnam si trovano alcune suggestioni che orientano in tal senso . “Ognuno ha il governo che si merita” (ibid., p.4) perché quando una società democratica è composta da cittadini e gruppi intermedi che hanno le risorse per ‘incalzare’ i politici, è probabile che l’operato del sistema politico sia efficiente, avvenga nel pieno rispetto della legge e sia orientato a realizzare l’uguaglianza politica, civile e sociale su cui si basano le garanzie costituzionali che rendono una democrazia effettivamente rappresentativa delle preferenze dei cittadini (Dahl 1980). Infatti, la qualità democratica può essere ragionevolmente qualificata valutando in quale misura le istituzioni realizzano responsiveness e accountability. La prima è la disponibilità delle istituzioni politiche ad accogliere le richieste provenienti dalla società civile, nonché la capacità di soddisfarle, mentre la seconda è la responsabilità politica di tipo verticale – dei politici nei confronti dei cittadini che li hanno eletti – e orizzontale – dei politici nei confronti di al18 tre istituzioni o attori collettivi che hanno conoscenze e potere di valutazione – (Morlino 200314). Affinché le istituzioni rispondano in modo efficace alle richieste dei cittadini è necessario che la responsabilità politica sia incentivata, e ciò non avviene se l’unico momento di controllo è la verifica elettorale. Per tale ragione la presenza di cittadini coinvolti non soltanto in modo episodico, ma costantemente informati e inclini a collaborare in funzione del perseguimento del bene pubblico, costituisce un elemento facilitante per lo sviluppo, o il mantenimento, di buone istituzioni democratiche (Almagisti 2003). Questo ragionamento porta quindi a sostenere che le stesse dimensioni di contenuto (civismo, fiducia e associazionismo) impiegate a livello macro per qualificare come civica una comunità possano essere declinate a livello individuale, e interpretate come risorse che facilitano la partecipazione dei cittadini alla vita politica. La scelta di lavorare a livello dei singoli individui ha anche una ragione metodologica15, che fondamentalmente poggia sulla ricerca di una maggior analiticità. Infatti, in molte delle applicazioni della teoria del capitale sociale in ambito politico le definizioni operative del concetto spesso ne ignorano la multidimensionalità. Come conseguenza, si ha una riduzione forzata della struttura del concetto, che talvolta porta ad ignorarne aspetti difficilmente trascurabili, quali valori e norme. Questi contributi sono in buona misura criticabili impiegando lo stesso pesante argomento sviluppato per obiettare, più in generale, 14 Capacità di risposta e responsabilità sono soltanto due delle dimensioni di qualità evidenziate da Morlino (2003), a cui dovrebbero essere aggiunte: il rispetto della legge, il rispetto dei diritti civili, politici e sociali e la progressiva realizzazione dell’uguaglianza, formale e sostanziale. La definizione di qualità democratica di Morlino è in realtà uno sviluppo di quella formulata da Dahl (1980). 15 Il riportare il livello di riflessione e di analisi al piano individuale è naturalmente un’opzione epistemologica, ancor prima che metodologica; d’altra parte, come evidenziato in apertura, il concetto stesso di capitale sociale ha una valenza insieme individuale e sociale. Sulla plausibilità di studiare fenomeni culturali adottando un livello di analisi individuale, si vedano in particolare Sciolla (2000) e Albano, Loera (2004). 19 la capacità esplicativa dei modelli culturali applicati in ambito politico ed economico: la circolarità logica. In proposito sono particolarmente incisive le obiezioni mosse alla ricerca sulla cultura civica di Almond e Verba (1963), allo schema intepretativo proposto da Inglehart (1970, 1990), a Fukuyama (1995) e allo stesso Putnam16, che possiamo esemplificare con le parole di Portes: “concepito come proprietà delle comunità piuttosto che degli individui, il capitale sociale è simultaneamente causa ed effetto: genera effetti positivi, come lo sviluppo economico, la sicurezza dell’ambiente sociale e la partecipazione politica, ed è inferito dai medesimi effetti che produce” (1988, p.19). Nel tentativo di ridurre al minimo il rischio di ragionamenti tautologici, cercheremo di distinguere chiaramente le diverse dimensioni del capitale sociale, preservando il più possibile la separazione tra le componenti del concetto e il nostro explanandum: la partecipazione politica giovanile. Iniziamo quindi da un aspetto che, a nostro avviso, rappresenta uno dei più interessanti ma meno sviluppati nella concezione di capitale sociale elaborata da Putnam: il contributo dei valori alla civicness. Per l’autore il civismo è un ingrediente fondamentale del capitale sociale, che può essere definito, in riferimento a Tocqueville, come l’interesse personale propriamente inteso, ossia “un interesse valutato nel contesto di un più generale interesse pubblico, illuminato e non miope, aperto al bene comune” (1993, p.103). A dispetto della rilevanza accordatale, Putnam non concede a tale dimensione una autonomia semantica e, a livello empirico, si limita ad inferirne la presenza tramite indicatori senz’altro idonei per cogliere gli esiti del civismo, ma certo non direttamente inerenti la moralità, l’idea condivisa di ciò che è bene, giusto e accettabile in riferimento agli interessi collettivi17. 16 Si vedano in particolare Lijphart (1989), Sciolla (2004). Una sintesi delle obiezioni ai modelli culturali è contenuta nella tesi di dottorato di Loera (2004). 17 Nella ricerca sulla tradizione civica delle regioni italiane Putnam (1993) costruisce un indice di civicness basato su quattro indicatori: lettura di quo20 Rispetto ai nostri obiettivi questo è ovviamente un limite grave perché, come dimostrano altri studi, non soltanto i valori collegati alla cittadinanza hanno una struttura ben più complessa di quella rappresentata dal solo civismo – il quale potrebbe ancora esser distinto in virtù civiche e civility18 – ma contribuiscono in modo significativo a render conto del livello e delle forme di partecipazione politica dei cittadini, anche di quelli più giovani. In primo luogo, se si studiano i valori di cittadinanza19 con strumenti di raccolta e analisi specificatamente elaborati a questo fine20, si ottiene una rappresentazione che, oltre al civismo, include tidiani, voto referendario, voto politico e associazionismo. Nei successivi lavori e, in particolare, in Bowling alone, la composizione dell’indice diviene più complessa – ben 14 variabili ricavate da dati survey o da statistiche ecologiche che rappresentano fiducia sociale, socialità informale, volontariato, impegno pubblico (voto politico e incontri sui temi della scuola) e vita organizzativa della comunità – ma continua a non includere alcun riferimento esplicito alla dimensione morale del concetto (2000, trad. it. 2004, p.351). 18 “Gli ideali di cittadinanza oggi non costituiscono un insieme coerente. Il cittadino riceve, per così dire, istruzioni tra loro non coerenti. Patriottismo, civiltà, tolleranza e attivismo politico lo tirano in differenti direzioni. Il primo e l’ultimo richiedono zelo e passione, e stimolano al coinvolgimento nella vita pubblica. […] Civiltà e tolleranza incoraggiano la gente a considerare gli interessi come diversi e privati, militano per la quiete e la cittadinanza passiva” (Walzer 1974, trad, it. 1992, p. 93). 19 L’espressione ‘valori di cittadinanza’ è stata usata da Sciolla e Negri (1996) per designare questo specifico tipo di valori civili, che si riferiscono a concezioni di ciò che è bene ed ammissibile rispetto alla convivenza civile, alle libertà individuali e al bene pubblico. Poiché noi ci riferiamo esattamente allo stesso insieme di valori ed usiamo metodologie analoghe a quelle impiegate dai due autori riteniamo corretto adottarne la denominazione. 20 Ci riferiamo a questionari contenenti batterie per la rilevazione dei valori e degli atteggiamenti, e all’uso di tecniche di analisi dei dati, quale l’analisi fattoriale, che permettono di ricondurre le risposte all’azione di uno o più fattori latenti interpretabili come dimensioni valoriali. Per una discussione sull’uso dell’analisi fattoriale per lo studio dei valori, si veda il recente lavoro di Albano e Loera (2004). 21 perlomeno una seconda dimensione morale relativa ai diritti e alle libertà individuali. Più precisamente è stato evidenziato che i valori di cittadinanza si strutturano in configurazioni a tre dimensioni interpretabili come: civismo, libertarismo – diritti o liberalismo morale – e responsabilità – o rischio – (Sciolla 1996, 2003b, 2004; Sciolla et. al. 2000; Albano e Loera 2004), piuttosto che civismo/self-interest, libertarismo/integrismo, solidarietà/responsabilità (Ricolfi 2002a)21. In secondo luogo, quando la dimensione morale del capitale sociale è rappresentata in modo autonomo, diviene possibile studiare quali effetti essa genera sul comportamento politico, indipendentemente dalle eventuali influenze esercitate dalla fiducia sociale e dall’esperienza associativa. E in effetti, è stato mostrato che gli orientamenti morali non solo rendono conto delle preferenze elettorali, ma lo fanno anche meglio di altre spiegazioni alternative basate sulla personalità o sulla condizione sociale dei cittadini (Ricolfi 2002a). A conclusioni simili giunge Sciolla in diverse ricerche già menzionate, in cui si accerta l’esistenza di una relazione tra valori di cittadinanza e partecipazione politica. Anche lavorando su dati internazionali, l’autrice ritrova la stessa struttura di relazioni, da cui emerge che l’orientamento morale maggiormente connesso alla partecipazione politica, sia essa visibile, invisibile o non convenzionale, non è il civismo in senso stretto, bensì il libertarismo, ossia una dimensione etica collegata ai diritti individuali (Sciolla 2004). Contrariamente a quanto accade per i valori, nella riflessione teorica sul capitale sociale e, in particolare, negli studi che ne valutano l’impatto in ambito politico, l’importanza e l’attenzione attribuite alla dimensione fiduciaria sono ampiamente condivise. 21 Non si tratta ovviamente di cogliere la complessità delle configurazioni morali presenti in un dato contesto socioculturale, quanto di delineare una rappresentazione stilizzata delle priorità di valore connesse alla cittadinanza, che serva come euristica nello studio di alcuni aspetti della cultura e di fenomeni ad essa collegati. 22 La fiducia, soprattutto interpersonale, è concepita come uno degli ingredienti essenziali alla base delle società civili, in assenza della quale non è possibile parlare né di rapporti orizzontali di solidarietà e cooperazione finalizzati al bene comune, né di sostegno politico diffuso. Per Inglehart, ad esempio, “una solida democrazia di massa” può realizzarsi soltanto se “nella maggior parte della popolazione si sviluppano norme e atteggiamenti di sostegno nei confronti della democrazia stessa […] e fra questi atteggiamenti fondamentale è il senso di fiducia interpersonale” (1990, trad. it. 1997, pp.23-24). In proposito risultano emblematici molti studi dedicati all’Italia, perché molte spiegazioni delle presunte anomalie della cultura politica italiana si basano su una diagnosi di particolarismo in cui la debolezza della fiducia generalizzata e di quella istituzionale hanno un peso determinante: “alienazione, isolamento sociale e sfiducia” (Almond e Verba 1963), piuttosto che “apatia, sfiducia e risentimento verso le istituzioni, settarismo e intolleranza” (La Palombara 1965). Nell’analizzare il nesso tra fiducia e partecipazione politica occorre tuttavia introdurre delle distinzioni, perché non necessariamente fiducia interpersonale e istituzionale orientano verso i medesimi comportamenti, anzitutto perché i due tipi di investimento possono procedere in senso opposto. Non esiste un rapporto ovvio tra fiducia sociale e fiducia istituzionale, perché la seconda dipende, in misura rilevante, dall’operato delle istituzioni e dalle conoscenze che l’individuo ha potuto maturare in merito ad esso (Newton 1999a). Si può avere fiducia negli altri in generale senza averne nelle istituzioni, perché se la percezione che ne abbiamo è di malfunzionamento e corruzione, allora le nostre aspettative verso il funzionamento delle istituzioni saranno negative. Inoltre, la fiducia interpersonale è generalmente associata al civismo e quindi, a maggior ragione, non bisognerebbe prefigurare una relazione implicita tra fiducia negli altri e fiducia nelle istituzioni: più un individuo condivide gli ideali democratici, più è elevata la possibilità che egli resti deluso dal modo in cui tali ideali si concretizzano nel funzionamento delle istituzioni. L’interpretazione 23 dell’insoddisfazione per il funzionamento della democrazia formulata da Norris (1999) segue esattamente questo schema: i cittadini non sono apatici o disinteressati verso la politica, al contrario essi sono sufficientemente informati e attivi per valutare in modo critico l’operato delle istituzioni democratiche, ed esserne insoddisfatti. Quindi, contrariamente alle aspettative, può essere l’insoddisfazione, e dunque l’assenza di fiducia, a motivare alla partecipazione politica, anziché la fiducia. Per quel che riguarda la dimensione relazionale, come abbiamo visto, essa può comprendere sia il coinvolgimento in reti associative, sia l’inserimento in reti amicali. Già Tocqueville aveva individuato nel tessuto associativo un fattore importante per il funzionamento del sistema democratico. Negli anni ’60, la ricerca di Almond e Verba (1963) aveva mostrato come i membri di associazioni manifestino un più alto livello di informazione e di impegno politico, nonché di fiducia sociale. La ricerca di Putnam (1993) sul rendimento delle istituzioni nelle diverse regioni italiane ha poi evidenziato come una diversa dotazione di capitale sociale nei termini di densità della presenza associativa sia fortemente correlata alla tradizione civica di alcune aree territoriali; di più, la partecipazione ad associazioni volontarie può generare fiducia e cooperazione e permettere quindi agli individui di maturare quelle competenze e quegli atteggiamenti che contrastano le tendenze all’atomizzazione e alla frammentazione sociale (Putnam 1995a; 2000). La partecipazione associativa offrirebbe dunque una opportunità di interagire e cooperare all’interno di un contesto organizzativo più o meno formale; di fare esperienza di ambienti socioculturali differenti e più o meno omogenei; di ampliare la gamma dei propri interessi, volgendosi anche a questioni di interesse pubblico; di sviluppare reti di informazione e discussione che vanno oltre la cerchia dei gruppi primari; di sperimentare competenze democratiche (civic skills), dal semplice dibattito al coinvolgimento in processi decisionali all’assunzione di leadership (Van Deth et al. 1997); di essere coinvolti, proprio a partire dalla rete associativa, in attività di natura 24 politica22. In altre parole, pur non essendo necessariamente politico il contenuto delle attività, l’associazionismo può avere effetti dotati di rilevanza politica e costituire a tutti gli effetti una “scuola di democrazia” (Van Deth et al. 1997, p.15). Numerose ricerche più recenti hanno confermato la relazione esistente tra partecipazione associativa e partecipazione politica23, anche se poi tale relazione appare più complessa se si tiene conto delle differenze tra associazioni dal punto di vista della struttura organizzativa, delle finalità, delle forme di membership, ecc. (Verba, Schlozman, Brady 1995; Stolle, Rochon 1998; Ayala 2000; Albano 2002; Wollebaek, Selle 2003; Teorell 2003; Bowler, Donovan, Hanneman 2003; Caiani 2003). Se confrontati con quanti non ne fanno parte, i membri di associazioni manifestano un maggiore interesse per la politica e tendono più frequentemente a mettere in atto forme di partecipazione politica sia convenzionale (come il recarsi alle urne a votare) sia non convenzionale (prendere parte a manifestazioni, boicottare un prodotto o un servizio, firmare una petizione, ecc.). Appare dunque legittimo “sia guardare alla partecipazione associativa come ad una forma di ca22 La principale argomentazione di Verba e Nie (1972) prima e di Verba, Schlozman e Brady (1995) poi è che la partecipazione associativa funga da palestra per sviluppare competenze civiche (civic skills). Teorell (2003) etichetta tale modello esplicativo, peraltro ritenuto plausibile, come l’argomentazione del capitale umano (the human capital mechanism), cui contrappone l’argomentazione del capitale sociale (the social capital mechanism) intesa come la probabilità di coinvolgimento (recruitment) in attività politiche non convenzionali che deriva dall’essere inseriti in reti associative multiple, che attraversano diverse cerchie sociali. 23 Van Deth sostiene, sulla base della letteratura, che il ‘modello di impatto diretto’ (direct impact model) sia più efficace per spiegare la relazione esistente tra partecipazione sociale e partecipazione politica (in particolare per quel che riguarda il comportamento elettorale e altre forme di partecipazione politica convenzionale) rispetto allo ‘shifting involvement model’, che postula l’esistenza di uno stesso background che permette spostamenti dei cittadini impegnati tra partecipazione sociale e politica, e allo ‘standard SES model’, secondo cui lo status socioeconomico determinerebbe il livello di partecipazione sociale e gli orientamenti politici che, a loro volta, influenzerebbero la partecipazione politica. Cfr. Van Deth et al. 1997, pp.11-14. 25 pitale sociale, sia considerare il bagaglio di esperienze associative come un indicatore di capitale sociale individuale. [...] attraverso la partecipazione un individuo sviluppa una serie di competenze e, soprattutto, di relazioni sociali che ne rafforzano la capacità di agire politicamente e ne formano gli orientamenti anche in periodi successivi” (Diani 2000, pp. 481-482). Il rapporto tra partecipazione sociale e partecipazione politica può però anche essere inverso, ovvero la prima può svolgere una funzione sostitutiva della seconda: la sfiducia verso il sistema politico può alimentare il coinvolgimento in attività associative come forma di rifiuto della politica e di protesta24. A differenza delle reti associative, come abbiamo visto molto studiate, la sociologia ha dedicato meno spazio al tema delle reti amicali rispetto alla psicologia sociale. Inoltre, spesso l’influenza delle cerchie amicali è stata letta in termini di negativi, come ‘pressione’ verso forme di trasgressione e devianza: ecco quindi che si è sviluppata una letteratura sterminata sull’effetto del gruppo dei pari nel campo dei comportamenti a rischio, dal consumo di droghe all’abuso di alcool alla dipendenza da tabacco all’esposizione volontaria a pericoli fisici. Molto meno studiato è l’effetto positivo del gruppo dei pari in termini di comportamenti prosociali, spesso ricondotto a una logica di prevenzione dei fenomeni sopra descritti. In particolare, non sono numerosi gli studi che hanno focalizzato l’attenzione sull’influenza della rete amicale sulla partecipazione civica e politica, di quanto gli amici possano rappresentare un’espressione e una fonte di capitale sociale. Alcune recenti ricerche empiriche hanno riportato l’attenzione sulle cerchie amicali e sulle relazioni informali. Johnson e Lollar (2002) hanno studiato l’impatto dell’esposizione alla diversità in tre contesti socializzanti (nel college, nel gruppo dei pari e nel percorso formativo prima del college), trovando un’influenza significativa dell’esperienza della diversità, a livello sia educativo 24 La possibile valenza sostitutiva della partecipazione associativa è stata evidenziata già da Inglehart (1977). In Italia, si vedano Garelli (1996) e Donati (1997) . 26 sia amicale, sulla consapevolezza circa le questioni etniche e razziali e sulla propensione a prendere parte attivamente ad attività associative studentesche a sfondo politico e sociale. In altre parole, la minore esposizione alla diversità socioculturale negli anni della formazione – esperienza che ha le caratteristiche delle forme di associazione ‘bonding’ di cui parla Putnam – produce una minore capacità di gestione e valorizzazione delle differenze in età adulta, e quindi ha un impatto sulla partecipazione ad una democrazia pluralistica. L’esposizione alla diversità nei contesti di socializzazione permette invece di tenere insieme eguaglianza (gruppi di pari) e pluralità (molteplicità di prospettive), abituando i giovani al confronto e anche al conflitto come aspetti normali della vita. Ad una conclusione simile sembrano essere giunti anche La Due Lake e Huckfeldt (1998), che parlano esplicitamente di “capitale sociale politicamente rilevante” per indicare quelle caratteristiche delle reti sociali che le rendono influenti sulla partecipazione politica. Il risultato più interessante della loro ricerca è che risulta politicamente rilevante non soltanto il grado di politicizzazione della rete sociale (il livello di expertise politica degli individui con cui si è in relazione e la frequenza con cui si discute di temi di interesse collettivo), dato che potrebbe essere considerato tautologico, ma anche la sua ampiezza, ovvero l’essere potenzialmente esposti a una più o meno vasta ed eterogenea gamma di opinioni e informazioni di natura politica. Ampiezza, struttura e varietà delle composizione della rete amicale si rivelano quindi elementi importanti del capitale sociale, che possono avere effetti rilevanti nei termini della partecipazione civica e politica. Infine, anche l’adesione ad una religione costituisce una forma di capitale sociale che può avere effetti sia diretti sulla partecipazione politica (sull’interesse per la politica così come sull’orientamento di voto25 e su forme di partecipazione non convenzionale), sia effetti 25 In Italia, il rapporto tra religione e politica è stato spesso analizzato nei termini dell’influenza dell’adesione religiosa e confessionale sugli orientamenti partitici e sul comportamento elettorale: l’esistenza e poi la crisi e 27 indiretti, corroborando altre forme di capitale sociale, come la fiducia nelle istituzioni e il coinvolgimento in organizzazioni volontarie26. I valori religiosi alimentano e sostengono il capitale sociale inteso come set di risorse morali che favoriscono il senso di ‘connessione sociale’ e generano cooperazione, reciprocità, partecipazione (Uslaner 2001). In particolare, Coleman (1988) ha posto l’accento sulle comunità religiose come fonte di chiusura intergenerazionale, in quanto sostengono l’interazione tra gli individui e rafforzano l’efficacia delle norme: più recentemente, Smith (2003a; 2003b), studiando l’influenza del coinvolgimento religioso sugli adolescenti americani, ha rilevato come i giovani che manifestano una forma di identificazione religiosa risultino spesso dotati di reti relazionali dense e omogenee che enfatizzano la condivisione di valori e norme e favoriscono l’impegno civico e politico. Le chiese e i gruppi religiosi sono stati indicati come luoghi di sperimentazione di competenze (Verba, Schlozman, Brady 1995). Questo presunto circolo virtuoso tra religione e mobilitazione civica ha assunto una cruciale importanza nel dibattito americano a seguito della diagnosi del declino del capitale sociale e della partecipazione democratica in America (Putnam 2000). La religione è stata così considerata come un fattore capace di (ri)generare la partecipazione sociale e politica: la partecipazione a reti e ad organizzazioni religiose è considerata un predittore di attivismo civico e sociale (Greeley 1997; Hooghe 2003; Uslaner 2001), tanto da far parlare di “capitale religioso” (Park, Smith 2000) come di una forma di capitale sociale. Le organizzazioni religiose prodissoluzione del ‘partito dei cattolici’ ha focalizzato l’attenzione sulla diaspora del voto cattolico, e quindi sullo studio del comportamento dell’elettorato cattolico in termini di preferenze partitiche. Ad esempio, si vedano Cesareo et al. (1995), Garelli (1996), Diotallevi (1996) e Rovati (2000). 26 Il rapporto tra adesione religiosa e impegno sociale in forme di associazionismo e volontariato, peraltro, può anche avere effetti controproducenti sul versante della partecipazione politica: secondo Garelli (1996), oggi il volontariato può tramutarsi in una sottrazione di risorse e una forma compensativa rispetto all’azione pubblica e all’impegno politico. 28 muovono l’identificazione collettiva, l’adozione di norme di reciprocità e la fiducia interpersonale; stimolano l’acquisizione di competenze democratiche; generano una cultura politica come attenzione per il territorio e per i bisogni della comunità e come sensibilità critica e anticipatoria di questioni emergenti (Wood 1997; 2002). In Italia, Cartocci ha mostrato come il fattore religioso rappresenti un forte predittore di orientamenti e comportamenti civici: gli studenti cattolici sembrano distinguersi dai loro coetanei per un profilo civico più alto e dinamico, per cui “dopo il crollo della capacità di mobilitazione delle organizzazioni di sinistra, la rete delle parrocchie e degli oratori appare oggi come una delle poche palestre di civismo” (2002, p.15). L’adesione religiosa può però anche produrre una forma di fiducia particolaristica che genera una chiusura verso l’altro e attiva quindi circuiti di solidarietà ristretta: nel caso degli Usa, Scheufele, Nisbet e Brossard (2003) mostrano come l’adesione religiosa produca sì un interesse per la politica, ma prevalentemente verso questioni considerate religiosamente rilevanti; similmente, in alcuni casi essa sembra ridurre la lettura di quotidiani, il confronto con altri soggetti su temi politici e il coinvolgimento attivo nella comunità. Un certo tipo di identificazione religiosa può quindi produrre capitale sociale negativo, orientato più a relazioni di chiusura che di apertura agli altri. Sino ad ora abbiamo definito il capitale sociale e la partecipazione politica nelle loro diverse componenti: ma come si configurano i giovani italiani rispetto alla loro dotazione di capitale sociale e alle loro modalità di prendere parte alla vita pubblica? 29 30 2. Risorse e coinvolgimento nei giovani: un quadro descrittivo Prima di verificare empiricamente la solidità dei presunti nessi tra capitale sociale e partecipazione politica, riteniamo utile descrivere quali sono le risorse ed i livelli di coinvolgimento dei giovani italiani. A tal fine, limitatamente alle caratteristiche prese in esame, cercheremo di delineare una sorta di profilo. Non sarà però un’immagine statica perché, sfruttando il fatto che in Italia esiste ormai una consolidata tradizione di ricerca focalizzata sui giovani, collocheremo l’istantanea ricavabile dai dati raccolti nel 2003 all’interno di un quadro più ampio, tracciato attraverso le ultime indagini Iard. Per mantenere un ordine temporale, inizieremo proprio dal considerare qual’è stata l’evoluzione più recente della dotazione di capitale sociale, così come descritta in un recente contributo di Albano27. 27 Desideriamo ringraziare Roberto Albano per averci permesso di utilizzare il testo riportato nel paragrafo 2.2, estratto da un suo articolo del 2004 pubblicato sul sito www.istitutoiard.it. Per facilitarne l’inserimento, previa autorizzazione dell’autore, il paragrafo originale è stato da noi ritoccato. 31 2.1 Come è cambiata negli ultimi anni la dotazione di capitale sociale Date le differenze territoriali che caratterizzano la società italiana, evidenti soprattutto nel sistema economico, in quello politicoistituzionale e nella struttura sociale, vale la pena chiedersi se le dimensioni che stiamo considerando presentino una variabilità regionale. L’ampiezza del campione Iard permette di fare una distinzione perlomeno per grandi macro-aree, mentre la continuità delle indagini consente di portare in luce eventuali cambiamenti avvenuti in ciascuna area territoriale. Esamineremo quindi i mutamenti occorsi nel periodo 1996-2000 (i dati sono riferiti alla fascia dei 15-29enni). Iniziando dalla fiducia istituzionale, osserviamo come essa sia diminuita un po’ dappertutto, ma soprattutto nel Nord e nelle Isole. Ciò ha provocato peraltro un cambiamento di graduatoria, per cui nel 2000 si ha più fiducia istituzionale al Sud e al Centro che al Nord, mentre nel 1996 si aveva il contrario. Questo dato sembra contraddire la linea interpretativa sostenuta da Putnam, che vede un deficit di cultura civica nelle zone del meridione d’Italia: la fiducia nel sistema delle istituzioni sociali difficilmente si sposa con il familismo amorale. Questa maggiore fiducia istituzionale del Sud rispetto alle altre zone d’Italia peraltro non costituisce una novità, se si osserva che è coerente con quanto rilevato ad esempio nell’ambito della European Value Survey del 1990 (Sciolla 1997, p.52); in quel caso il campione era composto da cittadini di tutte le età. Tornando ai nostri dati, è poi necessario osservare il netto divario tra i giovani isolani e quelli continentali. Se non fosse che anche nel modernizzato Nord-ovest si è avuto un crollo di fiducia, si potrebbe pensare che una differenza tanto marcata segnali che negli ultimi tempi il ‘Sistema Italia’ nel suo complesso si sia un po’ dimenticato della Sicilia e della Sardegna. 32 Tabella 1 - Indice ‘fiducia istituzionale’ (0-17) per area regionale28 (valori medi) 1996 2000 ∆ 1996-2000 Nord-ovest 7.57 6.07 - 1.50 Nord-est 7.74 6.62 - 1.12 Centro 7.04 6.97 - 0.07 Sud 7.49 7.11 - 0.38 Isole 7.21 5.86 - 1.35 Italia 7.43 6.58 - 0.85 casi validi 2500 1133 Confronto sullo stesso set di istituzioni Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000) Diversamente vanno le cose per quanto riguarda la fiducia interpersonale; il confronto richiede una certa cautela perché sono cambiate le modalità di rilevazione29. Ci soffermiamo quindi particolarmente sulle differenze regionali. Qui la tesi di Putnam sembrerebbe a prima vista corroborata, in quanto la fiducia interpersonale è meno diffusa al Sud. Tuttavia, anche in questo caso, a un’analisi attenta tale tesi non sembra del tutto sostenibile. Innanzitutto, in quattro anni c’è un innalzamento fortissimo della fiducia tra i giovani delle Isole che mal si combina con l’idea che la cultura civica muti solo nel corso di tempi molto lunghi (e del re28 La fiducia istituzionale viene qui sintetizzata attraverso un indice che si basa sul numero di istituzioni in cui si ha ‘molta’ o ‘abbastanza fiducia’. Le istituzioni conteggiate nell’indice (comuni alle due rilevazioni) sono: gli scienziati, la polizia, gli insegnanti, i carabinieri, i magistrati, i sacerdoti, le banche, gli industriali, la televisione pubblica, la televisione privata, i militari di carriera, l’amministrazione comunale, i funzionari dello stato, i sindacalisti, il governo, i partiti, gli uomini politici. 29 Nella rilevazione del 2000 è stato chiesto agli intervistati di scegliere tra due affermazioni: “Gran parte della gente è degna di fiducia” e “Gli altri, se si presentasse l’occasione, approfitterebbero della mia buona fede” (dando anche la possibilità di rispondere “non so”). Nel 1996 le due affermazioni erano state presentate separatamente e per ciascuna gli intervistati dovevano dichiarare il loro accordo su una scala Likert a 5 modalità. Si è quindi deciso di considerare equivalenti (e quindi di operare un confronto, seppur approssimativo) coloro che nel 2000 hanno scelto “Gran parte della gente è degna di fiducia” e coloro che nel 1996 hanno dichiarato un maggiore accordo (indipendentemente dal grado) su tale affermazione rispetto all’accordo dichiarato sull’affermazione che indica sfiducia negli altri. 33 sto in questi quattro anni non ci sono neppure stati particolari movimenti o eventi rivoluzionari). In secondo luogo, se vogliamo individuare delle differenze rilevanti nel livello di fiducia interpersonale, non è confrontando Sud vs. Nord quanto piuttosto Nord-est vs. resto d’Italia. Tabella 2 – Fiducia interpersonale per area regionale (%) 1996 2000 Nord-ovest 27.7 29.2 Nord-est 36.4 44.3 Centro 26.2 29.7 Sud 19.6 23.0 Isole 16.7 35.6 Italia 24.9 31.1 casi validi 2498 1126 Confronto approssimativo ∆ 1996-2000 + 1.5 + 7.9 + 3.5 + 3.4 + 18.9 + 6.2 Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000) Il dato sull’associazionismo è quello che più va nella direzione delle tesi di Putnam. Anche in questo caso, come per la fiducia interpersonale, non è possibile uno stretto confronto longitudinale perché è cambiata la modalità di costruzione del dato. E’ probabile comunque che nel Sud, nelle Isole e nel Centro-nord vi sia stato un effettivo calo, al di là di fluttuazioni legate allo strumento di rilevazione. Si tratta di aree dove nel decennio precedente all’ultima indagine vi era stata una consistente diffusione: un po’ gonfiata nel Nord-ovest, in cui la forma associativa per un certo periodo era stata utilizzata in modo improprio anche da organizzazioni con fini commerciali, più strutturale nelle aree meridionali, dove partiva da livelli molto ridotti rispetto alle altre aree regionali ed era legata alle accelerazioni avvenute negli anni Ottanta nel progresso socio-culturale e nell’emancipazione della società civile meridionale (Segatti 1990; Trigiglia 1995). Da questo punto di vista le regioni meridionali e insulari sembrerebbero essere tornate a soffrire di un deficit di capitale sociale rispetto alle zone settentrionali, in controtendenza con i processi di livellamento avvenuti negli anni passati. 34 Tabella 3 - ‘Associazionismo’ (mono e pluriassociati) per area regionale (%) 1996 2000 ∆ 1996-2000 Nord-ovest 63.5 56.4 - 7.1 Nord-est 55.9 55.4 - 0.5 Centro 45.4 46.0 + 0.6 Sud 47.2 39.5 - 7.7 Isole 44.9 34.0 - 10.9 Italia 51.8 46.9 - 4.9 casi validi 2500 1133 Confronto approssimativo Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000) La terza dimensione, quella della morale civica, è resa operativa mediante un indice sintetico denominato ‘civismo’; quest’ultimo è ottenuto sommando 7 dicotomie semplici relative alla giustificabilità di comportamenti devianti lesivi di valori, beni e interessi della collettività (tale indice varia da 0 a 7, dove 0 indica il valore minimo di civismo, che si ottiene quando tutti i comportamenti devianti vengono giustificati)30. Il confronto temporale eseguito sulla base dell’indice di civismo ci rivela che negli ultimi anni, ad eccezione del Nord-est, ci sono stati importanti cambiamenti che segnano un’inversione di graduatoria tra le varie aree. Il Sud è l’unica area in cui questa risorsa morale si diffonde, anziché comprimersi, tra i giovani. La massima contrazione si ha tra i giovani del Centro Italia, ma è consistente anche nel Nord-ovest. Il risultato è che una importante risorsa come il civismo, inteso come disposizione soggettiva, è oggi più diffuso nel Sud e nelle Isole che altrove. Questo dato contrasta fortemente l’idea di una mentalità arretrata e difficilmente modificabile degli abitanti del Sud. 30 Le sette affermazioni sono: “Viaggiare sui trasporti pubblici senza pagare”, “Assentarsi dal lavoro quando non si è realmente ammalati”, “Prendere qualcosa in un negozio senza pagare”, “Fare a botte per far valere le proprie ragioni”, “Fare a botte con i tifosi di un’altra squadra”, “Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna”, “Produrre danni a beni pubblici”. 35 Tabella 4 - Indice ‘civismo’ (0-7) per area regionale (valori medi) 1996 2000 Nord-ovest 5.68 5.47 Nord-est 5.59 5.52 Centro 5.67 5.34 Sud 5.58 5.87 Isole 5.89 5.70 Italia 5.66 5.59 casi validi 2441 1020 Confronto approssimativo ∆ 1996-2000 - 0.21 - 0.07 - 0.33 + 0.29 - 0.19 - 0.07 Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000) Se dunque mediamente la dotazione di capitale sociale dei giovani sembra aver subito una contrazione, seppure ridotta, che ne è invece del livello di coinvolgimento dei giovani nella vita pubblica? Come è mutato il rapporto delle nuove generazioni con le diverse forme di partecipazione politica? 2.2 Come è cambiata negli ultimi anni la partecipazione politica giovanile Il rapporto che i giovani intrattengono oggi con la politica si presta a interpretazioni contrastanti. Da un lato, abbiamo quella che potrebbe essere definita la prospettiva ‘pessimista’ (Mazzoleni 2003), secondo la quale i giovani vivrebbero oggi una stagione di distacco – tra il disincanto e il cinismo – dalla politica: in quest’ottica, si è parlato di ‘ritiro generazionale’ e di ‘riflusso nel privato’ (Borgna 1979; Traniello 1979; Allum, Diamanti 1986)31 per segnalare il progressivo allontanamento delle nuove generazioni dalla sfera politica, soprattutto se confrontati con le generazioni di giovani impegnati degli anni ’60-’70, e il ruolo marginale 31 Una critica alle ‘ideologie del riflusso’ è stata proposta da Sciolla e Ricolfi (1980), che hanno evidenziato come il ‘ritorno all’individuo’ non vada interpretato come uno spostamento dalla politicizzazione al privatismo e dall’impegno all’evasione, bensì come una politicizzazione del quotidiano, “lo sforzo di dare una dimensione sociale e politica ai problemi dell’individuo” nella “esigenza di saldare i due aspetti, quello pubblicopolitico e quello privato personale” (p.244). 36 che la politica e l’impegno pubblico rivestono nella vita di tali giovani. Dall’altro lato, invece, si colloca la prospettiva ‘ottimista’ che legge questo distacco come una trasformazione dell’accezione di politica e delle forme in cui essa si esprime: nelle nuove generazioni si sarebbe realizzato uno spostamento da modalità di impegno pubblico in luoghi istituzionali e formali (i partiti, i sindacati, i movimenti politici) a modalità di partecipazione ibride e multiformi, giocate più sul versante socioculturale che su quello strettamente politico (come nel caso dell’associazionismo, del volontariato, ecc.), con forme aggregative nuove e tematiche esterne all’agenda politica tradizionale, imperniate più su opzioni di valore e di stile di vita (Della Porta 1996; Caniglia 2002). Questi giovani si rivelano “meno propensi a recarsi alle urne o ad impegnarsi in un’attività di partito, ma più disposti ad abbracciare attività «politiche» legate ad una militanza «sociale» o «morale», dove il «sacrificio» del proprio tempo lascia il posto alla «convivialità» e alla «co-decisione»” (Mazzoleni 2003, p.230). L’aspetto più importante è che la differenza tra le due prospettive non si gioca solamente sul piano interpretativo, ma anche su quello definitorio: in altre parole, se la prima prospettiva mantiene una definizione di politica e di partecipazione alla politica come attività di sostegno e legittimazione dei processi istituzionali dello Stato, la seconda prospettiva ne amplia la definizione sino a comprendere forme non convenzionali e innovative di partecipazione. Se accettiamo questa visione più allargata di politica, apatia, disimpegno e partecipazione silenziosa non sembrano essere categorie sufficienti a descrivere la presenza politica giovanile attuale, che si esprime sotto nuove vesti: da un lato, protagonismo sociale e attivismo civico dei giovani saltano le classificazioni dicotomiche del passato che opponevano individuale e collettivo, privato e pubblico, impegno ed evasione (Beck 2000). Nello stesso tempo, però, la partecipazione politica giovanile risente delle grandi trasformazioni che hanno investito la sfera politica, prima fra tutte la crisi della sua dimensione ideologica, che ha prodotto una laicizzazione e professionalizzazione dell’impegno politico, seguita poi dall’apertura dei suoi confini a istanze tradizionalmente estranee 37 alla politica ufficiale o istituzionale, come l’area fortemente dibattuta delle life issues o del diritto alla differenza. Alcuni indicatori di questo mutamento di scenario sono rappresentati dallo spostamento dal voto di appartenenza al voto di opinione, dalla crescita dell’astensionismo, dalla riduzione drastica degli iscritti ai partiti, dal 12,6% dell’elettorato nel 1946 al 4,2% nel 1996 (Raniolo 2002, p.114). Il confronto tra i dati degli ultimi due rapporti Iard sulla partecipazione politica giovanile ci permette di cogliere alcuni dei mutamenti descritti. La rilevazione del 2000 fa registrare una diminuzione dell’interesse nei confronti della politica a fronte di un incremento dell’atteggiamento di delega e di disgusto. Quest’ultima posizione di estrema presa di distanza dalla politica raggiunge nel 2000 il massimo storico, avendo oscillato nei due decenni precedenti tra il 10-20%. Tabella 5 - Atteggiamento verso la politica (15-29 anni) 1996 2000 Impegno 3.1 3.2 Interesse senza partecipazione 52.2 40.5 Delega 24.3 29.1 Disgusto 20.2 26.3 Non indica 0.2 0.9 Casi validi 2.500 2.297 Confronto approssimativo ∆ 1996-2000 + 0.1 - 11.7 + 4.8 + 6.1 + 0.7 Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000) Inoltre, i giovani tendono sempre meno a collocarsi politicamente: dal 70% dei giovani nel 1996 al 60,1% del 2000. L’aumento del disinteresse, della delega e del disgusto sembrano così tradursi in un allontanamento anche dagli schemi categoriali della politica classica, come la distinzione sinistra/destra. 38 Tabella 6 - Autocollocazione sull’asse sinistra/destra (15-29 anni) 1996 2000 ∆ 1996-2000 Sinistra (1-4) 27.0 23.6 - 3.4 Centro (5-6) 16.4 12.4 - 4.0 Destra (7-10) 22.5 20.9 - 1.6 Centro esatto 4.1 3.2 - 0.9 Non voglio rispondere 6.8 10.2 + 3.4 Non so/non voglio collocarmi 23.2 29.7 + 6.5 Casi validi 2.500 2.297 Confronto approssimativo Base dati: Buzzi, Cavalli e de Lillo (1997, 2000) Con il passaggio al nuovo secolo, dunque, negli orizzonti di vita dei giovani sembra profilarsi una ‘eclissi della politica’ (Ricolfi 2002b) intesa come un gioco a cui sempre più giovani rinunciano a partecipare. Resta aperta l’interpretazione da dare a questo fenomeno: se esso debba essere considerato come una manifestazione di indifferenza o di insoddisfazione dei giovani verso la politica (Beck 2000; Millefiorini 2002). 39 2.3 Un aggiornamento al 2003 Il profilo dei giovani ricavabile dai dati del 200332 non è direttamente comparabile con quello sinora delineato perché le domande usate nelle due indagini sono in parte diverse: talora varia la composizione delle batterie di item, altre volte cambia il formato di risposta, e così via. Preferiamo quindi evitare un confronto puntuale, che sarebbe forzato, e limitarci a comparazioni qualitative, anche perché gli indici da noi impiegati sono stati creati con l’obiettivo di specificare un modello di regressione del capitale sociale sulla partecipazione politica; quindi, sono indici che si basano su definizioni operative mirate a tradurre empiricamente le ipotesi relative ad associazionismo, valori e fiducia riassunte in precedenza. Ciò implica che, ad esempio, non siamo tanto interessate al livello di adesione associativa, quanto alla forma di associazionismo, perché riteniamo che l’incidenza sul coinvolgimento politico sia diversa a seconda del tipo di attività svolta. Vediamo dunque gli indici elaborati per rappresentare le dimensioni del capitale sociale e le forme di partecipazione politica, nonché le relative distribuzioni. Per rappresentare la componente relazionale del capitale sociale abbiamo utilizzato due diverse informazioni: il tipo di associazione frequentata, il numero di amici e il tipo di rete amicale degli intervistati. Rispetto alle associazioni, ci è parso che una buona riduzione dello spazio di attributi dovesse distinguere le associazioni con finalità ludico-ricreative da quelle che espletano attività di volontariato sociale o assistenziale, di tutela dell’ambiente o dei diritti della persona. In aggiunta, si è ritenuto di dover separare coloro che, nel rispondere al questionario, qualificano l’associazione frequentata come religiosa, enfatizzandone la matrice e le finalità ideologiche anziché l’attività svolta. La classificazione risultante è quindi costituita da tre gruppi di associazioni che, in analogia con quanto 32 I dati si riferiscono ad un campione nazionale di 2000 casi rappresentativo della popolazione giovanile dai 16 ai 29 anni. 40 fatto da Albano (1997), abbiamo denominato: religiose, di impegno, e di fruizione33. Dato che il campione impiegato è costituito da giovani, con un’età compresa tra i 16 ed i 29 anni, si è preferito considerare sia la partecipazione attuale che quella passata, in modo da cogliere gli eventuali effetti dell’esperienza associativa anche tra i più maturi, che possono aver cessato alcune attività. Tabella 7 - Forme e livello di partecipazione associativa Attuale Religiose 10.1 Di impegno 15.2 Di fruizione 27.1 Non associati Mono associati Multi associati 59.2 24.6 16.2 Mai associati Associati solo in passato Associati solo nel presente Associati passato e presente Passata 20.3 23.0 36.0 49.2 22.3 28.6 32.6 26.6 16.6 24.2 Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003) Come si può notare esiste un 26,6% di ragazzi che hanno fatto parte di qualche associazione e che, al momento dell’intervista, vanno invece ad accrescere il numero dei non associati. La diminuzione più pesante si ha nelle file delle associazioni religiose, che nel passaggio da ieri ad oggi perdono il 10% di frequentanti, ossia ben la metà dei partecipanti. Attualmente il 40,8% degli intervistati fa parte di almeno una associazione e, tra questi, il 27,1% frequenta una associazione di 33 Nel dettaglio si sono considerati i partecipanti a: (1: religiose) gruppi, associazioni religiose e/o parrocchiali, (2: di impegno) sindacati, associazioni di categoria, organizzazioni umanitarie, gruppi di volontariato sociale o assistenziale, centri sociali, organizzazioni di tutela dell’ambiente, organizzazioni studentesche; (3: di fruizione) associazioni culturali, associazioni sportive, club di tifosi, gruppi scout, associazioni turistiche. 41 fruizione, il 15,2% una associazione di impegno e soltanto il 10,1% dichiara di prender parte alle attività di gruppi religiosi e/o parrocchiali. Ancora, soltanto il 24,2% degli attivi è stato associato anche in passato e, confrontato con i dati Iard, questo risultato pare confermare il trend decrescente evidenziato da Albano, secondo cui dal 1996 al 2000 la partecipazione associativa a livello italiano era già diminuita di quasi 5 punti percentuali. Inoltre, non soltanto l’associazionismo tende a diminuire nel tempo, ma riguarda meno della metà dei ragazzi: nonostante la giovane età, ben il 32,6% degli intervistati non ha mai fatto parte di un gruppo, neppure sportivo o parrocchiale, e il 26,6 % ha cessato qualsiasi attività. Solo tra coloro che nel 2003 avevano al massimo 19 anni il numero di associati è pari al 53,7%, mentre nelle successive classi di età tale valore scende al 38,8% (20-24 anni) e poi al 35,4 % (25-29 anni). Per completare la descrizione della rete sociale extrafamiliare e scolastica in cui i ragazzi sono inseriti abbiamo cercato di considerare ampiezza e composizione dei gruppi informali. Anche in questo caso esistono delle differenze significative dovute all’età, in base a cui si può denotare una vera e propria spaccatura tra gli adolescenti ed il resto degli intervistati. In media, i primi dichiarano di avere almeno 25 amici, organizzati in gruppi (un solo gruppo di amici 24,7%; più gruppi di amici 53,6%), mentre i secondi hanno un numero inferiore di amici (21, in media), che nella maggioranza dei casi frequentano separatamente anziché in gruppo. Si rileva quindi un ragionevole effetto del corso di vita, sostanziato da un aumento di selettività ed indipendenza, che porta alla riduzione del numero di amici e alla decontestualizzazione degli investimenti affettivi amicali, che avvengono anche a prescindere dall’esistenza di un gruppo. La dimensione fiduciaria del capitale sociale è stata sintetizzata attraverso due semplici indicatori: la percentuale di ragazzi che rispondono positivamente all’affermazione ‘in generale si può aver fiducia nella maggior parte delle persone’, e il conteggio delle istituzioni verso cui si nutre ‘molta’ o ‘abbastanza fiducia’. Il 42 48,1% dei ragazzi ha fiducia negli altri in generale, e questa percentuale prosegue la tendenza crescente evidenziata nel paragrafo 2.2. Non possiamo invece valutare l’evoluzione della fiducia istituzionale, perché sia il numero (11 anziché 17) che l’insieme delle istituzioni giudicate differiscono da quelle incluse nell’indagine Iard. Possiamo però dire che, anche nell’indagine del 2003, i livelli medi di fiducia istituzionale sono piuttosto bassi: in media, il numero di istituzioni verso cui si nutre fiducia è soltanto pari a 3 e, come accade per gli adulti, le istituzioni ritenute meno affidabili sono quelle politiche. Per i ragazzi, ad esempio, Partiti, Parlamento, Governo e Amministrazione comunale sono meno affidabili dei mass media. Tabella 8 - Percentuali di fiducia nelle istituzioni Istituzioni e indice complessivo % molta, abbastanza fiducia Chiesa 40.5 Scuola 44.8 Magistratura 26.2 Sindacati 21.1 Forze ordine 43.7 Parlamento 16.9 Impresa privata 41.1 Governo 17.4 Amministrazione comunale 21.2 Partiti 10.4 Mass media 33.8 Fiducia media (range 0-11) 3.1 Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003) Per concludere l’analisi della dotazione di capitale sociale dobbiamo ancora esaminare la dimensione morale del concetto, che rappresenta quella meno studiata. In modo coerente ai pochi lavori italiani (Sciolla 1996, 2003a, 2003b, 2004; Ricolfi 2002a) in cui si è cercato di isolare e rappresentare tale dimensione, abbiamo analizzato una batteria di domande volte a rilevare la giustificabilità di taluni a atti relativi al bene pubblico, alle regole di convivenza civile e ai diritti individuali. Si tratta di una batteria analoga a quella introdotta nelle in43 dagini European Values Survey (1981, 1990, 2000) e World Values Survey (1981,1990, 1995, 2000) e successivamente impiegata in diverse ricerche coordinate da Sciolla, inclusa questa ultima del 2003 a cui noi stesse abbiamo partecipato34. L’aspettativa era che, al pari di quanto emerso su numerosi campioni nazionali e non (Albano, Loera 2004; Sciolla 2004), i giudizi di giustificabilità fossero governati da dimensioni valoriali latenti e, nello specifico, da tre costrutti etichettabili come civismo, liberalismo morale (o libertarismo) e responsabilità. Tabella 9 - Spazio morale Divorziare Richiedere l’eutanasia Avere rapporti omosessuali Ricorrere alla fecondazione artificiale Abortire Tenersi del denaro trovato Non pagare le tasse Comprare oggetti rubati Mentire nel proprio interesse Cercare di ottenere dallo stato benefici a cui non si ha diritto Assentarsi dal lavoro quando non si è realmente ammalati Fare a botte per far valere le proprie ragioni Gettare rifiuti in luogo pubblico Avere uno scontro con la polizia Prostituirsi Usare droghe leggere Liberalismo Civismo Responsabilità 0.790 0.655 0.608 - 0.330 0.608 0.577 0.520 0.516 0.515 0.508 0.467 0.438 0.353 - 0.219 0.308 0.246 0.329 - 0.552 - 0.457 - 0.443 Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003) 34 Per confronti si vedano i questionari delle indagini EVS e WVS, consultabili on line sui siti www.europeanvalues.nl e http://wvs.isr.umich.edu. 44 L’esito delle analisi35 conferma le aspettative, perché le risposte dei ragazzi si organizzano esattamente su tre fattori, che continuano ad essere interpretabili nel modo indicato. Il primo rimanda alle libertà individuali, il secondo include i comportamenti civici, di tutela degli interessi e dei beni collettivi, mentre l’ultimo riguarda una serie di azioni ‘trasgressive’ che, se compiute, possono arrecare un danno a sé o agli altri. Se assumiamo come soglia il punteggio individuale medio su ciascun fattore (che è zero per costruzione), possiamo riassumere le tre dimensioni in altrettante variabili dicotomiche, che ci informano rispettivamente sul numero di ragazzi civici, liberali e responsabili. Tabella 10 - Profili morali Sotto la media Sopra la media Liberalismo 47.5 52.5 Civismo 45.5 54.5 Responsabilità 57.0 43.0 Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003) Veniamo ora al profilo politico dei giovani intervistati, ed iniziamo con l’indicatore di partecipazione latente che rileva l’atteggiamento generale verso la politica. La maggior parte dei ragazzi si dichiara interessato alla politica, e soltanto un 3,5% si definisce impegnato. Tra gli alienati, il 16% ha un atteggiamento di delega, circa il 40% manifesta un aperto disinteresse, e una esigua minoranza sceglie la modalità di risposta ‘la politica mi disgusta’. 35 Per studiare i giudizi è stata condotta una analisi fattoriale esplorativa, con metodo di stima ULS (Unweighted List Square) e rotazione oblimin. La matrice dei modelli è presentata nella tab.9. La varianza spiegata dal modello fattoriale è pari al 35,4%, mentre le correlazioni tra i fattori sono: civismo/liberalismo = 0,216, civismo/responsabilità = - 0,403; liberalismo/responsabilità = - 0,192. 45 Tabella 11- Atteggiamento verso la politica % Mi considero politicamente impegnato 3.5 Mi tengo al corrente della politica senza parteciparvi personalmente 35.9 Bisogna lasciare la politica alle persone più competenti di me 16.1 La politica non mi interessa 39.3 La politica mi disgusta 5.2 Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003) Questa distribuzione delle risposte presenta alcune differenze interessanti rispetto a quella emersa nel campione Iard (rilevazione 2000, paragrafo 2.3, tab. 5), alcune delle quali dipendono verosimilmente da un cambiamento delle modalità di risposta introdotto dal gruppo di ricerca sulla socializzazione. Nel costruire il questionario, si è ritenuto che le modalità di risposta volte a cogliere le posizioni negative dell’atteggiamento verso la politica non fossero sufficientemente discriminanti, ossia che il passaggio diretto dalla delega al disgusto fosse eccessivo. Così, in analogia al versante positivo della scala di risposta, in cui tra le posizioni di impegno e di delega è prevista quella di interesse, si è deciso di anticipare al disgusto una modalità di risposta inerente il disinteresse per la politica36. Come si può vedere dalla tabella 11, questo intervento ha dato buon esito, perché la nuova modalità è stata scelta dal 39,3% degli intervistati, e ciò ha ragionevolmente provocato una cospicua riduzione dei giovani disgustati dalla politica e, forse, anche di coloro che dichiarano un atteggiamento di delega. Naturalmente il risultato va letto con cautela, perché le differenze nella distribuzione delle risposte potrebbero essere interpretate in ragione del tempo trascorso dalla rilevazione Iard con cui si effettua il confronto. Tuttavia, le differenze sono tali (5,2% contro un 26,3% di disgustati) da esser in buona misura interpretabili come 36 L’idea di inserire nelle risposte precodificate alla domanda di atteggiamento verso la politica una modalità intermedia tra la delega ed il disgusto è di Franco Garelli. 46 conseguenze di un ‘effetto metodo’, piuttosto che di un ‘effetto tempo’, ossia di un genuino cambiamento dell’atteggiamento verso la politica. Infatti, in termini sostanziali, il profilo di risposta è in linea con la fotografia ricavabile dai dati Iard del 2000: una esigua minoranza di giovani si autodefiniscono impegnati, una quota rilevante (intorno al 35-40%) si tiene al corrente ma non partecipa direttamente, e i restanti si collocano nelle modalità che denotano un atteggiamento negativo. Il secondo indicatore che prendiamo in esame è l’intenzione di voto, ossia un indicatore di partecipazione politica convenzionale. Se ci fosse una imminente consultazione, circa il 70% degli intervistati si recherebbe a votare e, di questi, il 63,2% esprimerebbe un voto valido. Il 10% invece si asterrebbe, e un cospicuo 20% sarebbe indeciso sul da farsi. Considerando che la partecipazione al voto è una delle forme di coinvolgimento manifesto meno impegnative, perché non richiede che un coinvolgimento episodico e può persino esser ritenuta un dovere, queste percentuali non sono molto incoraggianti, soprattutto se circa il 30% di coloro che voterebbero è disinteressato, o peggio disgustato, dalla politica. Forse questo risultato è interpretabile attraverso quanto sostenuto in una nota tesi che collega il coinvolgimento politico allo sviluppo economico e all’evoluzione morale delle società contemporanee. Secondo Inglehart (1990), la partecipazione giovanile sta da tempo evolvendo in direzione di un maggior coinvolgimento diretto e non convenzionale, parallelo al cambiamento delle priorità di valore in senso postacquisitivo. In questo nuovo panorama i partiti tradizionali non sarebbero in grado di cogliere e rappresentare la domanda politica giovanile, le nuove issues e, in primo luogo, la rilevanza attribuita all’autorealizzazione. La sfiducia verso i partiti, insieme alle maggiori capacità politiche, orientano i giovani contemporanei verso forme di partecipazione più diretta e focalizzata. In effetti, se controlliamo quanti nel 2003 hanno già fatto o sono disponibili ad impegnarsi in azioni non convenzionali, possiamo notare che, a fianco delle manifestazioni e degli scioperi, sono molti i giovani che aderiscono a forme di finanziamento etico, pe47 tizioni, raccolte di firme per consultazioni referendarie o leggi di iniziativa popolare. Tabella 12 - Partecipazione non convenzionale % di ‘già fatto’, ‘potrei fare’ Partecipare ad uno sciopero organizzato dal sindacato 68.9 Partecipare a manifestazioni, assemblee o cortei autorizzati 71.2 Partecipare a manifestazioni, assemblee o cortei non autorizzati 39.3 Firmare per petizioni, referendum o leggi di iniziativa popolare 76.3 Sostenere forme di finanziamento etico 71.7 Partecipare a boicottaggi 43.1 Partecipare a scioperi selvaggi 15.5 Occupare edifici e fabbriche 24.1 Partecipare a comitati civici, di quartiere 48.3 Partecipare attivamente a campagne elettorali 35.7 Interrompere un servizio pubblico 16.4 Partecipare a forum telematici 31.9 Base dati: gruppo di ricerca sulla socializzazione (2003) L’insieme di questi comportamenti viene efficacemente rappresentata da una struttura fattoriale bidimensionale, che sostanzialmente evidenzia una inclinazione a forme di partecipazione politica non convenzionale, radicale e moderata37. La prima riguarda il 32% del campione, e non presenta alcuna relazione con l’intenzione di voto, la seconda è comune a ben il 53,1% degli intervistati ed è linearmente associata alla partecipazione convenzionale (r=0,24). 37 Anche in questo caso, in modo analogo a quanto fatto per la dimensione morale del capitale sociale, è stata effettuata una analisi fattoriale esplorativa con metodo ULS e rotazione oblimin. Con due fattori la varianza spiegata è del 39,3%, mentre la correlazione tra i due tratti latenti è 0,551. 48 3. A ciascuno il suo: quali risorse per quale partecipazione? 3.1 I legami tra le dimensioni del capitale sociale Sino a questo punto abbiamo esaminato la dotazione di capitale sociale dei giovani italiani per come emerge dall’analisi dei singoli indicatori impiegati nelle rilevazioni Iard e nella ricerca sulla socializzazione ai valori di cittadinanza. Ora, in modo coerente a quanto i modelli teorici cui facciamo riferimento affermano, cercheremo di completare il quadro descrittivo delineato andando a studiare quali sono i legami esistenti tra le dimensioni che strutturano il capitale sociale. Infatti, ciò che accomuna molte concezioni di capitale sociale è l’idea che esso sia costituito da risorse strutturate in modo coerente, che interagiscono generando un circolo virtuoso da cui esse stesse trovano nuovo alimento. Così, restando alla definizione di Putnam, il capitale sociale è un insieme coerente di senso civico, fiducia e relazioni orizzontali di cooperazione, queste ultime identificate in modo quasi esclusivo con i legami associativi. La prospettiva adottata da Putnam postula un legame necessario tra partecipazione associativa e fiducia allargata, in base al quale la maggior presenza di reti di impegno civico in una comunità si accompagna a livelli elevati di fiducia e collaborazione tra i cittadini. L’esistenza di una relazione non implica 49 però una definizione univoca del verso della relazione stessa: tra associazionismo e fiducia esiste un legame reciproco, perché così come la partecipazione associativa può promuovere lo sviluppo della fiducia, dall’altro lato la maggiore inclinazione a fidarsi degli altri può essere un fattore che facilita l’iscrizione ad una associazione. E’ quindi interessante constatare cosa accade quando i nessi tra le singole componenti del concetto vengono studiati a livello empirico mediante operatori simmetrici. La figura 1 mostra le connessioni tra gli indici che rilevano le singole componenti del capitale sociale. I valori riportati nel diagramma si riferiscono a coefficienti di correlazione, ossia a misure simmetriche che indicano il verso e la forza della relazione lineare esistente tra coppie di variabili. Figura 1 - Legami tra le dimensioni del capitale sociale 50 Come si può osservare, le due intensioni della componente fiduciaria sono in relazione tra loro (r=0,21) e con la componente morale del concetto (r=0,10 e r=0,12). Ciò significa che a livello empirico esiste un pattern coerente di civismo e fiducia, tale per cui un giovane che dichiara di avere fiducia negli altri in generale, tendenzialmente ha fiducia anche nelle istituzioni e possiede un registro morale in cui compaiono orientamenti di tipo civico. Al contrario, proprio la partecipazione associativa, che Putnam considera il principale indicatore di “sociabilità civica” (1993, p.107), resta in buona parte esclusa dalla rete di legami, essendo in connessione soltanto con la fiducia interpersonale generalizzata. E’ da sottolineare che tale risultato non è così inatteso, giacché la medesima configurazione di relazioni emerge dall’analisi dei dati Iard effettuata da Albano (2004), i cui risultati sono riportati tra parentesi nel diagramma della fig.1. Inoltre, a nostro avviso, tale configurazione rappresenta una struttura plausibile, perché si possono nutrire seri dubbi circa il fatto che sia il mero livello di attività associativa (nella definizione di Putnam il numero di associazioni presenti in un dato territorio, per noi il numero di associazioni frequentate dai giovani intervistati in tutta Italia) ad essere collegato alle virtù che sostanziano il capitale sociale. Anzitutto si può obiettare che le associazioni possono non essere il principale veicolo della ‘sociabilità’, perché la famiglia, le esperienze scolastiche, i gruppi informali e di lavoro, anche soltanto in termini di tempo fisico, coinvolgono l’individuo più di quanto possa fare una associazione (Granovetter 1973; Coleman 1988; Barbieri 1997; Newton 1999b; Baron, Field e Schuller 2000). Ciò implica che gli effetti di tali esperienze sugli orientamenti morali e sulla fiducia individuale possono essere ben più incisivi, e di segno diverso, di quelli eventualmente collegati alla partecipazione associativa. In secondo luogo, la durata e l’intensità della partecipazione associativa possono persino accompagnarsi ad atteggiamenti opposti a quelli attesi. Diani, ad esempio, ha rilevato che sono soprattutto i neoassociati ad avere i più alti livelli di fiducia istituzionale, men51 tre le persone che hanno una storia associativa più lunga maturano una visione più critica e disincantata: “un capitale sociale accumulato nel tempo sembra un ostacolo, piuttosto che un supporto, ad atteggiamenti fiduciosi verso le istituzioni” (2000, p.482). Infine, occorre distinguere il tipo di associazioni frequentate, perché non necessariamente il coinvolgimento in attività volontarie si accompagna ad una inclinazione etica al perseguimento del bene comune, e la fiducia verso i membri dell’associazione si estende orizzontalmente agli altri in generale, e verticalmente alle istituzioni. L’iscrizione ad una associazione con finalità ludicoricreative probabilmente non amplifica alcuna sensibilità civica, mentre il prendere parte in modo attivo ad una organizzazione fortemente centrata sulla tutela di interessi particolari può persino portare a sviluppare un atteggiamento conflittuale verso i gruppi che sostengono priorità diverse da quelle promosse dall’associazione di cui si è membri, ossia divergenti rispetto ai propri interessi e valori. In merito, si può ricordare la distinzione introdotta dallo stesso Putnam (2000), che fondamentalmente permette di classificare le associazioni in relazione al loro grado di inclusività: alcuni gruppi (bonding) sono fortemente orientati al loro interno e tendono ad incentivare un atteggiamento di esclusione verso coloro che non vi appartengono, altri sono invece propensi ad occuparsi di attività che facilitano lo sviluppo di un atteggiamento di apertura e tolleranza verso l’esterno (bridging). Queste considerazioni ci portano ad approfondire lo studio dei legami tra la dimensione associativa e le altre componenti del capitale sociale, specificando la prima non soltanto in termini di livello (numero di associazioni frequentate), ma anche di forma (tipo di attività svolta dall’associazione di cui si è membri). Per ciò che riguarda il livello impieghiamo una ricodifica discreta del numero di associazioni frequentate, che ordina i giovani in “non associati”, “monoassociati” e “multiassociati”. I tre ranghi permettono agevolmente di constatare che i legami con la fiducia istituzionale ed i valori sono piuttosto complessi, e non seguono un andamento lineare: all’aumentare del livello di associazionismo non corrisponde una crescita (o una diminuzione, se la rela52 zione è inversa) sistematica del civismo o della fiducia. Quanto appena sostenuto si evince dalla tabella 13 in cui, per ciascun livello di associazionismo, sono presentate le percentuali di civismo e fiducia istituzionale; quest’ultima, come si può vedere, è stata trattata in modo analitico al fine di far emergere le eventuali differenze negli investimenti fiduciari legate al tipo di istituzione considerata. Tabella 13 - Percentuali di civismo e fiducia istituzionale per livelli di associazionismo Non Mono Multi associati associati Associati Civismo 54.4 55.7 52.9 Fiducia nelle istituzioni Chiesa Scuola Magistratura Sindacati Forze dell’ordine Parlamento Imprese private Governo Amministrazione comunale Partiti politici Mass media 35.8 44.2 26.4 20.9 44.0 14.2 39.0 16.0 19.7 8.8 34.0 32.3 43.5 26.0 18.6 41.7 15.6 38.8 16.1 22.6 9.4 34.5 40.4 37.1 22.9 21.6 37.3 16.6 36.3 16.2 26.0 12.0 30.6 Osservando i valori della tavola si può notare che non esiste una connessione lineare tra associazionismo e civismo perché, contrariamente a quanto accade nel passaggio da non associato a mono associato, in cui il numero di individui civici sale, tra i giovani che frequentano più di una associazione la percentuale di civici è persino inferiore a quella del gruppo di coloro che non prestano alcun lavoro volontario in organizzazioni. Inoltre, la presunta relazione lineare crescente tra associazionismo e fiducia vale soltanto per tre istituzioni: all’aumentare del 53 livello di associazionismo aumentano le percentuali di giovani che nutrono fiducia nell’Amministrazione comunale (19,7 <22,6<26,0), nei Partiti politici (8,8<9,4<12,0) e nel Parlamento (14,2<15,6<16,2). Con più frequenza si rileva una diminuzione progressiva di fiducia nella Scuola, nella Magistratura e nelle Forze dell’ordine e nelle Imprese, che segnala una maggior criticità verso queste istituzioni proprio da parte di coloro che hanno una vita associativa più ricca. Negli altri casi la percentuale di fiducia resta costante o segue un andamento non lineare. Rispetto a quanto sostenuto a livello teorico i riscontri empirici non danno ragione né a Putnam, né ai suoi critici o, in modo più ottimistico, danno parzialmente ragione ad entrambi, rivelando in ogni caso che la struttura dei nessi tra associazionismo, fiducia e civismo ha una complessità difficilmente riducibile ad un insieme di relazioni lineari. Ulteriori indizi in questa direzione si ottengono se ragioniamo sulle forme anziché sul livello di associazionismo. Procedendo con ordine iniziamo col dire che, al fine di distinguere le forme di associazionismo, impieghiamo la classificazione, già descritta in precedenza, che separa le associazioni di matrice religiosa dalle associazioni di impegno e di fruizione. Le tre classi, incrociate con il civismo, la fiducia interpersonale e istituzionale, originano le percentuali presentate nella tabella 14, dove sono state riportate anche le percentuali dei non associati (colonne indicate con Ā) ed evidenziati i risultati che segnalano un effetto virtuoso della partecipazione associativa. 54 Tabella 14 - Percentuali di civismo, fiducia interpersonale e istituzionale per classi di associazionismo Impegno Fruizione Religiose Ā A Ā A Ā A Civismo 54,1 56,1 55,2 52,5 53,1 66,2 Fiducia interpersonale gen. 47,5 50,2 47,2 49,9 46,2 62,6 Fiducia nelle istituzioni Chiesa Scuola Magistratura Sindacati Forze dell’ordine Parlamento Imprese private Governo Amministrazione comunale Partiti politici Mass media Ā: non associato; A: associato 35,9 42,7 26,4 19,6 43,7 15,4 39,6 16,9 20,8 9,2 34,0 34,3 43,6 22,1 24,9 34,9 13,2 32,8 11,9 25,2 11,0 31,3 37,1 44,7 25,4 20,5 42,3 13,8 37,1 15,4 20,8 9,0 33,3 31,8 38,2 26,5 20,2 42,0 18,1 42,1 17,9 23,4 10,9 34,3 31,9 42,8 25,9 21,1 42,6 15,1 39,1 16,0 20,9 9,7 33,8 67,5 43,4 23,8 14,9 39,3 14,3 33,2 16,5 26,4 8,1 31,7 La classificazione consente di aggiungere qualche tassello all’interpretazione del diagramma da cui siamo partiti, in cui l’associazionismo risulta in buona parte distaccato dalle altre dimensioni che strutturano il capitale sociale. Iniziamo dall’unico legame lineare esistente, ossia quello con la fiducia interpersonale. Come si può vedere nella tavola, la connessione tra associazionismo e fiducia interpersonale generalizzata prescinde dall’associazione frequentata. Infatti, sebbene la percentuale di individui che nutrono fiducia negli altri in generale sia maggiore tra coloro che frequentano associazioni di impegno e, soprattutto, religiose, si può concludere che qualsiasi sia la natura delle attività svolte, la fiducia sociale è più diffusa tra i giovani associati che tra i non associati. Lo stesso non si può dire per le percentuali di civismo e di fiducia istituzionale, che variano in modo rilevante in base al tipo di associazione frequentata: è più probabile trovare giovani con un orientamento civico tra chi fa parte di una associazione di impegno 55 o religiosa, piuttosto che tra i ragazzi che frequentano associazioni ludico-ricreative. Resta poi da valutare se è l’orientamento civico a promuovere la partecipazione a specifici tipi di associazioni o se è vero il contrario. Le connessioni con la fiducia istituzionale sono meno chiare. Non si evidenzia infatti alcun legame privilegiato tra tipo di associazione frequentata e fiducia in specifiche istituzioni, ad eccezione dello scontato e più che abbondante incremento di soggetti che nutrono fiducia nella Chiesa tra i giovani membri di associazioni religiose. In definitiva, questi ultimi risultati confermano che, mentre il legame tra dimensione morale e fiduciaria del concetto di capitale sociale può ragionevolmente essere colto anche da una semplice relazione lineare, le connessioni tra queste due dimensioni e la componente associativa sono meno nitide, ad eccezione dei nessi con la fiducia sociale. Il livello di associazionismo si collega linearmente alla fiducia sociale ma non a quella istituzionale e al civismo, e su questi ultimi due legami incide in modo rilevante non soltanto il numero di associazioni frequentate, ma anche il tipo di attività in cui si è coinvolti. 3.2 Un modello di spiegazione della partecipazione politica Per stimare l’impatto del capitale sociale sulla partecipazione politica abbiamo elaborato un modello composto da 32 regressori, di cui 14 indicatori sociodemografici e 18 indicatori culturali. L’unica variabile politica che abbiamo deciso di inserire nell’equazione riguarda l’autocollocazione politica sulla dimensione sinistra-destra, e le ragioni di tale scelta sono due. In primo luogo perché esiste una lunga tradizione di ricerche, da cui emerge che in Italia, dal dopoguerra ad oggi, l’interesse e la partecipazione politica sono sempre stati quantitativamente più presenti tra gli elettori e i militanti della sinistra (Guidorossi 1984; Millefiorini 2002) e ciò significa che la posizione politica si presenta come 56 un dato strutturale del fenomeno partecipativo in Italia, di cui è impossibile non tener conto. In secondo luogo, perché l’autocollocazione politica intrattiene delle relazioni significative con alcune delle dimensioni che strutturano il capitale sociale e quindi, per avere un effetto netto di tali variabili sulla partecipazione politica, si rende necessario depurarne gli impatti includendo il posizionamento politico dei soggetti nel modello di regressione. Figura 2 - Capitale sociale e autocollocazione politica 4.0 3.8 Media indice di fiducia istituzionale 3.6 3.4 3.2 3.0 2.8 2.6 2.4 E sx Sx C sx C C dx D E dx E sx Sx C sx C C dx Dx E dx .6 Liberalismo (punteggio individuale medio) .4 .2 0.0 -.2 -.4 57 Associazionismo di impegno ( valori percentuali) .6 .5 .4 .3 .2 .1 E sx Sx C sx C C dx Dx E dx I tre grafici mostrano che esiste una chiara relazione monotona tra il posizionamento politico dei giovani ed alcuni indicatori di capitale sociale. Nello specifico si rileva che: il liberalismo morale e l’associazionismo di impegno diminuiscono man mano che la posizione politica varia da sinistra a destra, mentre accade il contrario per la fiducia nelle istituzioni; in quest’ultimo caso, ad eccezione dei soggetti che si autodefiniscono di estrema destra, il punteggio medio di fiducia istituzionale cresce in relazione allo spostamento verso destra degli individui. Per completare il background dei soggetti intervistati, nel modello sono stati inseriti i principali indicatori sociodemografici38: genere, età, titolo di studio conseguito al momento dell’intervista, zona 38 La rilevanza del profilo sociodemografico sulla partecipazione politica è da tempo nota: infatti, uno dei modelli esplicativi più consolidati si basa sull’idea della centralità/perifericità sociale (Milbrath et al. 1965). In questa sede, gli indicatori sociodemografici sono invece trattati come variabili di controllo, al fine di stimare la capacità esplicativa delle variabili di capitale sociale al netto delle precedenti. 58 di residenza e ampiezza del centro di residenza, capitale culturale e classe sociale della famiglia di origine39. Tra le variabili indipendenti del modello abbiamo ovviamente incluso tutti i principali indicatori di cui ci siamo occupati sinora, e quindi: le tre dimensioni morali, la fiducia interpersonale, la fiducia per le istituzioni e l’associazionismo, distinto nelle tre classi di associazionismo religioso, di impegno e di fruizione. In aggiunta, per verificare le ipotesi relative all’ampiezza e alla struttura dei gruppi informali, si è deciso di considerare anche il numero di amici e la composizione della rete amicale (un solo gruppo, piuttosto che diversi gruppi o, ancora, amici frequentati singolarmente). L’ultima variabile culturale introdotta è un indicatore che combina credenza e pratica religiosa, in modo da cogliere non soltanto gli effetti diretti ma anche l’interazione delle due. Infatti, la sola credenza potrebbe non far emergere alcun tratto distintivo dei religiosi rispetto agli atei o indifferenti, e la sola pratica potrebbe indicare esclusivamente ritualismo, convenzionalismo. In merito all’influenza della religione sulla partecipazione politica siamo quindi in grado di valutare ben quattro eventuali effetti: il primo imputabile al solo fatto di ritenersi credente, il secondo alla pratica, il terzo alla combinazione, più o meno virtuosa, della credenza e della pratica, e l’ultimo all’associazionismo religioso. La composizione analitica del modello si trova nella tabella 15, in cui abbiamo riportato anche le categorie di riferimento delle variabili indipendenti di natura categoriale inserite nel modello. 39 Questi due indicatori relativi alla famiglia sono stati elaborati seguendo la prassi Iard, che per il capitale culturale prevede di considerare il titolo di studio di padre e madre, e per la classe sociale la professione di entrambi i genitori. 59 Tabella 15 - Modello di regressione: variabili indipendenti Proprietà Autocollocazione politica Età Genere Titolo di studio Condizione professionale Area di residenza Indicatori Estrema sinistra Centro sinistra Centro Centro destra Estrema destra Età in anni compiuti Maschio Diploma superiore Post diploma, laurea Studente Lavoratore Nord ovest Nord est Centro Maggiore di 100 mila ab. Ampiezza centro Capitale culturale della Alto/medio alto famiglia Superiore Classe sociale della Impiegatizia famiglia Autonoma Di fruizione Associazionismo (atDi impegno tuale e passato) Religioso Fiducia generalizzata Fiducia Conteggio istituzioni per cui Fiducia istituzionale si nutre fiducia Civismo Valori di cittadinanza Liberalismo morale Responsabilità Ampiezza rete amicale Numero amici Più gruppi Struttura rete amicale Singoli amici Credenza e pratica re- Credente non praticante ligiosa Credente praticante Categorie di riferimento delle variabili categoriali non so+missing+non voglio collocarmi Femmina Scuola dell’obbligo Né studente né lavoratore Sud e isole Minore di 100 mila ab. Medio/basso Operaia e assimilata Non associati (per ciascuna classe) No fiducia Un solo gruppo Non credente Nella base dati utilizzata vi sono diversi indicatori di partecipazione politica: alcuni riguardano forme invisibili, mentre altri forme manifeste, convenzionali e non. Nel dettaglio, concentreremo l’attenzione su: • l’atteggiamento verso la politica; • l’intenzione di voto in una eventuale consultazione politica; 60 l’iscrizione ai partiti politici; • la partecipazione non convenzionale moderata (punteggio fattoriale che riassume: firmare una petizione, sostenere boicottaggi, partecipare ad una manifestazione autorizzata); • la partecipazione non convenzionale radicale (punteggio fattoriale che riassume: partecipare a scioperi non autorizzati, occupare edifici o fabbriche). Supponendo che ciascun tipo di coinvolgimento possa esser legato a particolari caratteristiche sociodemografiche e culturali, abbiamo preferito trattare ciascun indicatore separatamente, in modo da controllare l’esistenza di legami esplicativi privilegiati tra singole componenti del capitale sociale e specifiche forme di partecipazione politica. Prima di iniziare con l’esposizione dei risultati è bene precisare ancora che la stima del modello di regressione ordinaria40 è stata effettuata con una procedura di tipo backward, ossia mediante una sequenza di stime su modelli via via più snelli, semplificati sino ad arrivare ad un sottoinsieme costituito dai soli regressori significativi. Presenteremo soltanto questi ultimi risultati, in modo da ragionare sui parametri che collegano i vari regressori alla partecipazione politica con una probabilità di errore inferiore al 5%. Iniziamo con la partecipazione invisibile. L’impegno e l’interesse per la politica caratterizzano in special modo i soggetti di genere maschile, con un titolo di studio elevato o ancora coinvolti in un percorso formativo. Questi risultati riproducono in buona misura • 40 Data la natura dicotomica di talune variabili dipendenti, dal punto di vista metodologico, sarebbe stato più corretto usare un modello di regressione logistica. Tuttavia, ciò avrebbe comportato la presentazione di risultati molto diversi, giacché un coefficiente di regressione ordinaria si interpreta diversamente da quello prodotto da una logistica. Di conseguenza, per semplificare l’esposizione dei risultati di ricerca si è preferito optare per il modello più semplice, ossia la regressione ordinaria, e impiegare la logistica soltanto per i controlli. Infatti, ogni qual volta il livello di scala dei dati lo richiedeva, abbiamo specificato anche una equazione di regressione logistica, attraverso cui controllare che le significatività, i segni e l’entità degli impatti dell’insieme dei regressori significativi fossero analoghi a quelli ottenuti con il metodo ordinario. 61 ciò che accade anche a livello dell’intera popolazione, dove sono soprattutto gli individui ‘centrali’ a manifestare il maggior livello di interesse per la politica, oltre che un maggior coinvolgimento politico in generale. Tabella 16 - Partecipazione invisibile – Impegno e interesse per la politica: risultati del modello di regressione (adattamento, impatti dei regressori e relative significatività) Adattamento del modello R multiplo R2 Adj. R2 .522 .272 .264 Impatti dei regressori B Beta Sig. Costante .102 .003 Estrema sinistra .526 .134 .000 Centro sinistra .346 .298 .000 Centro destra .287 .233 .000 Estrema sinistra .571 .175 .000 Maschio .091 .092 .000 Diploma superiore .106 .107 .000 Post diploma, laurea .215 .099 .000 Studente .075 .073 .005 Partecipazione associazioni di .064 .064 .015 fruizione (attuale e passata) Partecipazione associazioni di im.067 .065 .013 pegno (attuale e passata) Civismo .078 .136 .000 Liberalismo .032 .060 .027 Responsabilità -.083 -.135 .000 Credente non praticante -.060 -.057 .022 Un risultato che invece contraddice quanto solitamente si ottiene dalle analisi di dati survey a carattere politico è l’effetto trasversale dell’autocollocazione sull’interesse: ad incidere non è tanto l’identificazione con una specifica parte politica, bensì il mero fatto di collocarsi, che si collega positivamente ad un aumento dell’impegno e dell’interesse per le questioni politiche. Sono piut62 tosto le posizioni estreme, siano esse di sinistra o di destra, a generare un atteggiamento maggiormente positivo verso la sfera politica. Tra le variabili di capitale sociale le uniche influenti riguardano l’associazionismo di impegno e di fruizione, e tutte le dimensioni morali che abbiamo denominato valori di cittadinanza. L’unico effetto negativo è generato dalla credenza senza pratica religiosa che, rapportata alla categoria dei non credenti, produce una diminuzione di impegno e interesse. Il coinvolgimento religioso, sia esso misurato come sola credenza o come credenza e pratica, ha invece un effetto positivo sull’intenzione di voto, indipendentemente da come essa è resa operativa. Nel modello 1 la variabile dipendente è stata codificata considerando come partecipazione anche le schede bianche e nulle, mentre nel modello 2 si è preferito far confluire queste ipotetiche scelte nell’area del ‘non voto’. Questa doppia codifica deriva dal non sapere come gestire a priori coloro che decidono di annullare il voto: considerarli comunque dei votanti, oppure accentuarne le eventuali finalità di protesta, includendoli nel gruppo degli astensionisti, rimarcando così la convenzionalità dell’esprimere una preferenza valida?41 Per quanto il numero di individui che optano per annullare la preferenza non sia elevato, un loro spostamento ha degli esiti piuttosto interessanti sulle significatività delle variabili esplicative. Infatti, come si nota dai coefficienti dei due modelli, includere i voti nulli nei voti di preferenza fa decadere la significatività di alcuni indicatori di background, quali la condizione occupazionale, l’ampiezza centro, l’area di residenza, e della dimensione morale denominata responsabilità. Al contrario, far confluire i voti nulli nell’astensione fa scomparire l’impatto positivo della fiducia nelle istituzioni. 41 La decisione di testare due modelli è frutto di un confronto serrato ma fecondo con Roberto Albano, il quale propende per la prima definizione operativa della partecipazione convenzionale. Confrontando i risultati dei due modelli, noi abbiamo infine optato per la seconda specificazione. 63 Tabella 17 - Partecipazione convenzionale - Intenzione di voto: risultati del modello di regressione (adattamento, impatti dei regressori e relative significatività) Adattamento R multiplo R2 Adj. R2 .434 .188 .181 Modello 1 .489 .239 .229 Modello 2 Modello 1 Modello2 Impatti dei regressori B Beta Sig B Beta Sig Costante .327 .000 .189 .000 Estrema sinistra .305 .087 .001 .428 .114 .000 Centro sinistra .258 .247 .000 .342 .306 .000 Centro .166 .076 .004 .219 .095 .000 Centro destra .250 .225 .000 .323 .272 .000 Estrema destra .326 .111 .000 .341 .109 .000 Diploma superiore .124 .139 .000 .134 .141 .000 Post diploma, laurea .183 .094 .000 .216 .103 .000 Studente .099 .100 .006 Lavoratore .086 .090 .012 Nord est -.081 -.065 .009 Comune >100 mila ab. -.060 -.055 .031 Fiducia istituzionale .071 .080 .003 Fiducia generalizzata .011 .058 .032 .067 .071 .005 Liberalismo .056 .115 .000 .060 .116 .000 Responsabilità .037 .063 .018 Credente non praticante .142 .148 .000 .150 .146 .000 Credente praticante .213 .185 .000 .235 .192 .000 Mod1: dipendente=voto+bianche e nulle/astensione, non so Mod2: dipendente=voto/bianche, nulle, astensione, non so Entrambe le definizioni sono quindi interessanti, ma la seconda offre un pattern di effetti più ricco, che permette di tracciare un profilo maggiormente discriminante dei più inclini all’espressione di una preferenza valida. E’ quindi una accezione più specifica e coerente con l’idea della convenzionalità: la forma più standard di partecipazione è infatti il recarsi alle urne ed esprimere un voto valido. Al contrario, annullare la scheda o richiederla per poi consegnarla in bianco possono esser concepite sia come azioni che richiedono un coinvolgimento politico più elevato, se non altro perché andar contro corrente richiede sempre un maggior investi64 mento, sia in termini di alienazione. A nostro avviso, tale ambivalenza rende i voti nulli e bianchi più simili all’astensione, anch’essa interpretabile come protesta o estraniazione, che non all’espressione di un voto valido. Date le bassissime percentuali di attivisti, è invece difficile considerare il prender parte alle attività di un partito come una attività politica standard, in particolare per i giovani. Rispetto al nostro modello, gli unici indicatori collegati in positivo a questa forma di partecipazione sono la collocazione estrema sull’asse sinistra-destra e la partecipazione ad associazioni di impegno e di fruizione. Se la prima relazione è ampiamente prevedibile, la seconda lo è meno perché sembra denotare un generale ‘effetto associazionismo’, che ridimensiona la distinzione tra impegno ed evasione. La partecipazione alle attività di un partito è invece disincentivata dall’orientamento civico; come vedremo, questa e la partecipazione invisibile sono le uniche forme di coinvolgimento politico su cui tale dimensione morale ha una incidenza. Tabella 18 - Partecipazione convenzionale – Partecipazione a partiti politici: risultati del modello di regressione (adattamento, impatti dei regressori e relative significatività) Adattamento del modello R multiplo R2 Adj. R2 .325 .105 .101 Impatti dei regressori Costante Estrema sinistra Centro sinistra Estrema destra Diploma superiore Partecipazione associazioni di fruizione (attuale e passata) Partecipazione associazioni di impegno (attuale e passata) Civismo B -.018 .288 .063 .294 .036 Beta .138 .103 .170 .068 Sig. .155 .000 .000 .000 .011 .045 .086 .002 .065 .119 .000 -.029 -.095 .000 65 Considerando infine le forme non convenzionali di partecipazione, innanzitutto constatiamo che esse, tra i giovani come tra gli adulti, sono di pertinenza esclusiva di quanti si orientano a sinistra. Un secondo elemento caratterizzante è il pattern di influenza della dimensione morale: al crescere del punteggio individuale sulla dimensione del liberalismo morale, aumenta la propensione a compiere azioni politiche non convenzionali, mentre un’analoga variazione nei punteggi della responsabilità ha un effetto disincentivante. Tabella 19 - Partecipazione non convenzionale moderata: risultati del modello di regressione (adattamento, impatti dei regressori e relative significatività) Adattamento del modello R multiplo R2 Adj. R2 .600 .360 .351 Impatti dei regressori Costante Estrema sinistra Centro sinistra Età Diploma superiore Post diploma, laurea Nord est Centro Partecipazione associazioni di fruizione (attuale e passata) Partecipazione associazioni di impegno (attuale e passata) Partecipazione associazioni religiose (attuale e passata) Fiducia generalizzata Liberalismo Responsabilità Ampiezza rete amicale 66 B .094 .747 .540 -.029 .196 .392 -.129 -.122 Beta .109 .263 -.129 .110 .104 -.056 -.054 Sig. .548 .000 .000 .000 .000 .000 .033 .036 .168 .093 .001 .235 .129 .000 .198 .106 .000 .121 .219 -.108 .003 .068 .227 -.098 .050 .006 .000 .000 .049 Un terzo fattore rilevante è l’esperienza associativa, con una differenza tra forme moderate e radicali: mentre nel primo caso si riscontra nuovamente un ‘effetto associazionismo’, che giunge anche a comprendere la partecipazione a gruppi religiosi, nelle forme più radicali è soltanto l’associazionismo d’impegno a esercitare un’influenza positiva. Come a dire che, per prender parte ad azioni di disobbedienza civile sono necessari livelli di interesse, conoscenza e competenza politica superiori a quelli richiesti per firmare una petizione. L’associazionismo può quindi avere un generale effetto positivo di sostegno al coinvolgimento politico, ma solo l’associazionismo di impegno dimostra di essere una palestra per una partecipazione più radicale, che comporta elevati costi e potenziali rischi a livello personale. E’ forse anche per queste peculiarità che a propendere per questo tipo di attività sono in particolar modo i maschi ed i più giovani. Tabella 20 - Partecipazione non convenzionale radicale: risultati del modello di regressione (adattamento, impatti dei regressori e relative significatività) Adattamento del modello R multiplo R2 Adj. R2 .521 .272 .266 Impatti dei regressori B Beta Sig. Costante .485 .001 Estrema sinistra .833 .119 .000 Centro sinistra .450 .215 .000 Età -.028 -.121 .000 Maschio .130 .072 .008 Partecipazione associazioni di im.174 .093 .001 pegno (attuale e passata) Fiducia istituzionale -.032 -.083 .002 Liberalismo .150 .152 .000 Responsabilità -.269 -.239 .000 Vi sono poi ulteriori elementi che confermano l’irriducibilità delle due forme di partecipazione non convenzionale: uno di questi è 67 l’effetto differenziato della componente fiduciaria del capitale sociale. Nel caso della partecipazione radicale, soltanto la fiducia istituzionale esercita un’influenza negativa: quanto più i giovani si dichiarano vicini alle istituzioni, tanto meno si fanno coinvolgere in azioni politiche estreme. La fiducia nelle istituzioni non ha invece alcun effetto sulle forme più moderate, su cui gioca un ruolo determinante sia la fiducia interpersonale generalizzata che l’ampiezza della rete amicale. Questi ultimi, insieme al già menzionato impatto dell’associazionismo, lasciano presumere che alla base della partecipazione politica moderata vi sia un atteggiamento di apertura e solidarietà verso gli altri. 68 Conclusioni: le molte vie del capitale sociale In questo lavoro si è optato per un approccio analitico allo studio del capitale sociale e dei suoi effetti sulla partecipazione politica, nel convincimento che ciò avrebbe permesso di preservare la complessità di entrambi i fenomeni esaminati. Tale approccio ha comportato anzitutto l’abbandono di una ‘concezione olistica’ del capitale sociale, che ne postula la coerenza sia a livello di struttura interna, sia a livello degli effetti esterni. Conseguentemente, le nostre aspettative erano di cogliere gli impatti diversificati di ciascuna sottodimensione del capitale sociale sulle differenti forme di impegno politico considerate. Per evidenziare i risultati più significativi e rapportarli alla letteratura teorica di riferimento, crediamo utile darne una rappresentazione sintetica. 69 Tabella 21 - Capitale sociale e partecipazione politica: quadro sintetico dei risultati Pnc mo- Pnc raAtt pol Voto Partiti derata dicale Ass. di fruizione + + + Ass. di impegno + ++ ++ + Ass. religioso ++ Fiducia interpersonale + + Fiducia istituzionale Civismo ++ Liberalismo morale + ++ ++ ++ Responsabilità -+ -Ampiezza rete amicale + Più gruppi Singoli amici Credente non praticante + Credente praticante ++ ++= 0.05 < β <0.10; ++= 0.10 < β < 0.20 La componente morale, insieme all’associazionismo, si rivela la variabile esplicativa di maggiore interesse, giustificando lo spazio ad essa attribuito nel presente lavoro. I risultati ottenuti confermano in buona parte che l’influenza delle componenti morali, fiduciarie e relazionali non ha necessariamente esiti univoci o convergenti. Ad esempio, avere come priorità di valore la responsabilità orienta positivamente i giovani al voto ma disincentiva l’interesse per la politica e il coinvolgimento in forme di partecipazione meno convenzionali. Contrariamente a quanto affermato nelle principali riflessioni teoriche sul capitale sociale, la dimensione valoriale più influente non è il civismo, bensì il liberalismo morale. Per la rappresentazione che ne abbiamo dato, il civismo pare interpretabile soprattutto come rispetto delle regole, che può tradursi in conformismo: in quest’accezione, non stupisce che esso risulti meno rilevante nella determinazione dei comportamenti politici di quanto non lo sia a livello di atteggiamenti. Ben più influente è invece il liberalismo come dimensione morale che soggiace alla tutela dei diritti 70 individuali: esso promuove tutte le forme di partecipazione politica, con l’unica eccezione dell’adesione a partiti. Questo risultato fa presumere che oggi, soprattutto per le nuove generazioni, la difesa delle libertà e dei diritti della persona sia un fattore che contribuisce alla definizione degli interessi collettivi e motiva alla partecipazione pubblica. In quest’ottica, il liberalismo morale può essere sintomatico di un ‘individualismo sano’ che non comporta una chiusura privatistica ma, al contrario, favorisce l’impegno politico. Ciò appare in linea con quanto sostenuto in altri studi, secondo cui la partecipazione giovanile è motivata da istanze relative ad aspetti della vita personale e sociale, quali la sessualità, l’ambiente, la salute, che sono espressione dell’importanza attribuita all’autorealizzazione (Inglehart 1977) e alla qualità della vita (Beck 2000). La terza dimensione morale, quella della responsabilità, risulta influente quanto il liberalismo, ma con esiti opposti: essa infatti disincentiva tutte le forme di partecipazione ad eccezione del voto. Una possibile linea interpretativa è di intendere l’effetto incentivante della responsabilità sul voto come conformità alle ‘aspettative minime’ circa l’essere un buon cittadino. Forme di partecipazione politica più coinvolgenti o comunque ‘opzionali’, come le varie modalità di partecipazione non convenzionale, sembrano essere favorite dall’orientamento morale contrario, ovvero il rischio: nel caso dei giovani, ciò può essere inteso come un orientamento alla sperimentazione, al ‘mettersi in gioco’ in prima persona, che può favorire il prendere parte ad attività politiche più dirette (Inglehart 1990). Più in linea con i contributi teorici ed empirici dedicati al capitale sociale, l’associazionismo esercita un’influenza di largo raggio sulla partecipazione politica, alimentando sia l’interesse per la cosa pubblica, sia il coinvolgimento in gruppi e in attività di carattere politico. L’insieme degli impatti è tale da lasciar presumere un generale effetto coadiuvante, che prescinde dal tipo di attività associativa svolta. In realtà, le differenze riemergono quando si prendono in esame forme più radicali di coinvolgimento: in questo caso, scompare l’effetto dell’associazionismo di fruizione e 71 religioso, e si rivela invece determinante quello di impegno. Tutto ciò evidenzia una duplice funzione dell’associazionismo: politicamente socializzante e politicamente mobilitante. Nel primo caso, l’esperienza associativa, senza distinzioni, socializza gli individui ad un interesse per la politica e promuove in essi lo sviluppo di ‘competenze civiche’ reinvestibili poi in attività politicamente connotate: far parte di associazioni “inculca l’abitudine alla cooperazione e un senso di condivisione di responsabilità nelle imprese collettive” (Putnam 1993, p.105). Nel secondo caso, l’effetto è limitato all’associazionismo di impegno, che forse funge da canale privilegiato per avvicinarsi a forme di partecipazione politica più radicali. La fiducia interpersonale generalizzata ha anch’essa un effetto coadiuvante, ma limitato alle forme convenzionali e non convenzionali moderate. Rispetto alla rilevanza attribuitale a livello teorico, la fiducia negli altri incide debolmente sulla partecipazione politica, ma ciò potrebbe essere dovuto alla parziale sovrapposizione con l’influenza dell’associazionismo, con cui essa è correlata: in sostanza, la partecipazione associativa potrebbe già includere gli elementi di apertura e di reciprocità caratteristici della dimensione fiduciaria. Diverso è il caso della fiducia istituzionale, che non incentiva neppure le forme più convenzionali: al contrario, è la sfiducia verso le istituzioni a spingere i giovani verso la partecipazione radicale. Come già evidenziato in altre ricerche, in alcuni casi è proprio la delusione e la distanza avvertita nei confronti delle istituzioni a generare un desiderio di partecipazione politica, secondo modalità però estranee al sistema politico istituzionale: “un alto livello di coinvolgimento nell’azione collettiva, di qualsiasi natura, può cioè corrispondere ad orientamenti di sfiducia verso le istituzioni politiche. In questa prospettiva, il cittadino fortemente impegnato sembra essere spinto dal pessimismo circa la capacità delle istituzioni di operare adeguatamente, piuttosto che dalla convinzione che il suo agire troverà interlocutori istituzionali attenti” (Diani 2000, p.492). Non a caso, quindi, i giovani sfiduciati verso le istituzioni scelgono di impegnarsi in forme di attivismo 72 politico che esprimono una protesta nei confronti degli interlocutori istituzionali, sino ad arrivare alle forme più estreme in cui la stessa autorità istituzionale è negata. Due sono le assenze che più ci sorprendono: la rete amicale e l’adesione religiosa, i cui effetti sono molto limitati. Per quel che riguarda la prima, risulta significativa l’ampiezza ma non la struttura della rete amicale: come a dire che ciò che veramente conta è una socialità allargata, che si può supporre esponga i giovani a una maggiore pluralità e diversità di stimoli, favorendone lo sviluppo di capacità critiche e di confronto dialettico con l’altro. Nel complesso, però, la rete amicale gioca come un elemento di contesto complementare all’esperienza associativa, che può quindi averne ‘cannibalizzato’ gli eventuali effetti sulla politica42. Infine, l’adesione religiosa, sia a livello di credenze che di pratiche, rimane sullo sfondo, se non per un debole effetto, peraltro negativo, sull’interesse verso la politica, e per un effetto positivo sul comportamento di voto. In altre parole, l’unica differenza sostanziale tra i soggetti non religiosi (categoria di riferimento) e i due gruppi dei credenti non praticanti e dei credenti praticanti è la maggiore propensione di questi ultimi a recarsi alle urne. Ciò può essere interpretato come il segnale di un effetto della pratica religiosa limitato ad una forma di ‘partecipazione politica minima’, ovvero al rispetto dei doveri di cittadino (l’andare a votare), cui però non corrisponde un reale interesse per la politica. Una lettura complementare rimanda invece all’idea di una stretta relazione tra orientamento religioso e partecipazione associativa: in qualche modo, la forza mobilitante della religione si limiterebbe all’ingrossare le fila del volontariato e dell’associazionismo, in una stagione in cui, in Italia, queste forme di attivismo sociale sembrano aver interrotto la loro funzione di reclutamento nell’area della militanza politica, o comunque di formazione ad 42 Non è da escludere che l’assenza di effetti della rete amicale dipenda dalle modalità di raccolta e di costruzione degli indicatori, che probabilmente non rendono conto della complessità di questa dimensione. 73 una cultura politica (Garelli 1996). Al termine di questo lavoro, siamo consapevoli di aver disegnato una mappa ancora approssimativa delle molte vie attraverso cui le diverse risorse che compongono il capitale sociale conducono alla partecipazione politica. Un lavoro più approfondito richiederebbe di specificare modelli ben più complessi di quelli adottati, al fine di esplorare la combinazione e l’eventuale sequenzialità degli effetti dei diversi tipi di risorsa. Un’ulteriore linea di ricerca dovrebbe, a nostro avviso, affinare anche gli strumenti di rilevazione al fine di ricavare una rappresentazione più adeguata delle proprietà studiate: il questionario impiegato dall’équipe di cui chi scrive fa parte è già un primo tentativo in questa direzione. 74 Bibliografia ALBANO R. (2004), Il capitale sociale e la partecipazione politica dei giovani, articolo on line presente sul sito www.istitutoiard.it ALBANO R. (2002), L’associazionismo e la partecipazione, in Buzzi C., Cavalli A. e de Lillo A. (a cura di), Giovani del nuovo millennio. Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna ALBANO R. (1997), L’associazionismo e la fiducia nelle istituzioni, in Buzzi C., Cavalli A., De Lillo A. 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